Informazione

(english / castellano)




RAMIZ DELALIC, LA MUERTE LE LLEGO ANTES QUE LA JUSTICIA

Ramiz Delalić, cuyo crimen, el asesinato en las puertas de la iglesia ortodoxa en el centro de Sarajevo del serbio Nikola Gardović el 2 de marzo de 1992, cuando este asistía a la boda de un hijo suyo, significó el pistoletazo de salida para sangrienta guerra civil bosnia, murió ayer en esta capital, victima de un típico ajuste de cuentas entre dos bandas mafiosas.

Delalić fue ametrallado en las puertas del edificio donde vivía en un apartamento alquilado porque en su propia casa no se encontraba seguro. A pesar de llegar en pocos minutos, policía y servicios de urgencia únicamente podían constatar la muerte de Ćelo (Calvo).

29.6.2007.



Vigilantes del aparcamiento próximo al lugar de los hechos declararon que no había coches en la calle y que asesino (o asesinos) pudo huir a pie.

Delalić quedará recordado por su perverso reconocimiento del asesinato de Gardović delante de las cámaras de la TV local y en riguroso directo. Pero esto no fue suficiente para que acabe en la cárcel. El motivo es su fuerte amistad con el ya difunto Alija Izetbegović, entonces presidente de Bosnia. Como muestra de este aprecio, queda la pistola con la dedicatoria que le regalo Izetbegović personalmente, en presencia de otros dos criminales, Sakib Puska y Musan Topalović, conocido este ultimo por arrojar las decenas de cadáveres de los asesinados civiles serbios durante la guerra, a la gruta Kazani.

Como fruto de la fuerte presión intencional, cuando Izetbegović ya no podía protegerle, escapó a Turquía y de allí a Croacia pero al volver a Sarajevo, fue arrestado y procesado.

Al depositar la fianza, le permitieron que se defienda de la libertad. El proceso fue hábilmente obstruido por una conjura entre la fiscalía y la defensa, lo que permitió que se declare nulo cuatro veces y que otras tantas empiece de cero.

Lo que resulta especialmente irritante en este caso es que el tribunal trató este asesinato como un delito común, ignorando su claro componente étnico.

Tres hipótesis sobre la muerte de Delalić

Hay diferentes hipótesis sobre la muerte de este individuo. Primera es que, como miembro de “clan de Sandzak” (nació en Prijepolje, Serbia, Sandzak-Raska) fue eliminado por las mafias albanesas que en Sarajevo tienen importantes negocios. Otra opción es que fue eliminado por la ala de su propio grupo que le pretende arrebatar el liderazgo dentro del clan. Tercera versión es que el propio estado eliminó a Delalić que aparte de ser el testigo incomodo sobre los acontecimientos bélicos, ponía en peligro la seguridad de la ciudad con su muy desarrollada actividad criminal.

Enviado por kopaonik el Jueves, 28 junio a las 21:54:32


===

http://www.adnki.com/index_2Level_English.php?cat=Politics&loid=8.0.430384576&par=0

ADN Kronos International (Italy)
June 28, 2007

BOSNIA: FORMER MUSLIM WARLORD MEETS MYSTERIOUS DEATH


Sarajevo - A well known Bosnian underworld figure and war-time military commander Ramiz Delalic, known as 'Celo', was killed Wednesday night in Sarajevo, local media reported on Thursday, without giving details.

Delalic (44) has been investigated for allegedly shooting at a Serbian wedding party in Sarajevo in March 1992, killing local Serb, Nikola Gardovic.

Delalic had a criminal record, but during the 1992-1995 Bosnian civil war he became a commander of the Ninth motorized brigade of the Bosnian Muslim army.

His killing is the latest in a string of shootings, some fatal, of underworld figures in the Bosnian capital.

Delalic and several other Bosnian underworld figures helped defend Sarajevo against former Yugoslav army and Bosnian Serb forces but then ran racketeering and extortion rings.

Gardovic is generally regarded as the first victim of the Bosnian civil war triggered by the country’s secession from former Yugoslavia that it is estimated claimed as many as 100,000 lives.

Police said more details on Delalic’s death will be made public upon completion of investigation. 





(francais /italiano)


=== ITALIANO ===

Contro l’uso devastante dell’Uranio Depleto  

Informazione sui lavori del World Depleted Uranium Centre 
diretto da Albrecht Schott

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova –
alla memoria di Silvia Cortese, Medico per la Pace –
articolo segnalato da Andrea Martocchia di Scienzaepace mailing list –
dal sito web www.globalresearch.ca )


Il Male
Un uomo – era ancora del tutto inoffensivo –
Spiegò i quanti (impresa difficile!).
Un secondo, che esplorava l’universo, studiò la relatività.
Un terzo suppose, ancora  innocente,
Che l’uranio celasse un segreto.
Un quarto non poté resistere all’idea 
Della fissione nucleare. 
Un quinto – pura attività scientifica -
Scatenò l’energia atomica.
Un sesto - parimenti in buona fede -
Volle sfruttarla, ma a fini pacifici. 
Erano tutti innocenti:
Chi potrebbe condannarli individualmente?
È stato solo il settimo, che ha immaginato le bombe,
L’ottavo, che le ha fabbricate,
È stato chi le ha sganciate 
Colui che ha prodotto più danni ?
Nessuno metterà mai la mano sul Diavolo
Che stava là, fin dall’inizio.
Eugen Roth, scrittore (1895–1976)

Compendio

Decine di migliaia di veterani e un numero enorme di abitanti delle regioni vittime della guerra, in Iraq, in Afghanistan, in Bosnia, in Kosovo sono stati sottoposti a radiazioni in seguito ad operazioni militari.
Benché non si sia fatto uso di armi nucleari “classiche”, soldati e popolazione hanno subito una contaminazione radioattiva, dato che le armi moderne anticarro e  antibunker contengono Uranio Depleto, (impoverito, DU). Questo è dovuto al fatto che il peso specifico elevato dell’Uranio conferisce a questi tipi di armi una forza di penetrazione estremamente potente rispetto a quella degli armamenti costituiti da altri materiali. È per questo che le munizioni al DU sono particolarmente apprezzate dai militari. E l’industria nucleare ne approfitta ugualmente, dato che il DU è una scoria derivata dalla fabbricazione del combustibile delle centrali nucleari e dell’Uranio destinato agli armamenti.
Tuttavia, quando il pulviscolo del DU viene inalato dalle persone, produce effetti estremamente distruttivi. Infatti,
•    l’Uranio è solubile in acqua,
•    chimicamente tossico,
•    e radioattivo.
La radioattività e la tossicità chimica danneggiano le cellule e il materiale genetico. Durante le operazioni militari in Iraq, in Afghanistan, in Bosnia, in Kosovo, migliaia di tonnellate di munizioni al DU sono state sparate e il DU che quei proietti contenevano è stato liberato. Gli uomini, gli animali e le piante sono stati contaminati e lo saranno ancora per lungo tempo.
•    Al momento dell’impatto, le munizioni al DU liberano delle polveri assai sottili, tossiche e radioattive, che continuano a diffondersi anche dopo i combattimenti.
•    Perfino quando i proiettili al DU inesplosi « non fanno che » giacere al suolo, essi si decompongono lentamente e il loro contenuto tossico penetra nel suolo e nella falda freatica (solubilità).  
Le conseguenze drammatiche, sia per i veterani che per la popolazione delle regioni che hanno dovuto subire la guerra, sono :                                                                 •    i danni causati dalle radiazioni, che determinano un gran numero di gravi malattie ;                                                                                                                                  •    un aumento di malformazioni congenite nei neonati e di danni genetici che si trasmettono alle generazioni successive. 
Ma non sono solo i veterani e le popolazioni toccate dalla guerra ad essere interessati. Ora si sa che bisogna parlare di contaminazione mondiale.
Effettivamente, è provato che le polveri sottili tossiche e radioattive di DU si spandono nell’atmosfera e raggiungono le regioni lontane dalle zone di guerra. Inoltre, in numerosi paesi, ad esempio in Germania, esiste tutta una serie di terreni ad uso militare che sono stati contaminati dall’uso di munizioni al DU. 
Per evitare che si continui ad inquinare il pianeta, il World Depleted Uranium Centre – Centro Studi sull’Uranio Depleto nel Mondo (WODUC), lotta contro la continuazione dell’utilizzo civile e militare del DU.                                                                                                                                                                                          Il WODUC è un’organizzazione scientifica senza collegamenti governativi che dipende da donazioni individuali e di altri organismi favorevoli al Centro. Viene assolutamente escluso ogni sostegno governativo o industriale. 

Quello che la scienza ci insegna sul DU 

L’Uranio è un metallo pesante. Data la massa atomica relativa di 238, si tratta dell’elemento chimico più pesante allo stato naturale. L’Uranio(U) naturale è una miscela di differenti isotopi [isotopo: ciascuno dei differenti tipi di atomi di un medesimo elemento aventi lo stesso numero di protoni ed elettroni (stesso Numero Atomico) ma differente numero di neutroni (Massa Atomica differente)] : il 99,3% di U 238, lo 0,7% di U 235 e lo 0,006% di U 234. Solo l’isotopo U 235 viene utilizzato per le bombe nucleari e come combustibile per le centrali nucleari. Per fare funzionare una centrale o per fare esplodere una bomba nucleare, l’U 235 deve avere concentrazioni più elevate che nell’Uranio naturale. Quindi, è necessario procedere all’arricchimento della concentrazione dell’U 235.
Il processo di arricchimento produce scorie, sotto forma di Uranio Depleto (DU), costituite quasi esclusivamente da U 238. Da 8 chilogrammi di Uranio naturale si ricava 1 chilogrammo di combustibile da centrale nucleare e i restanti 7 chilogrammi costituiscono scorie di DU. Per fabbricare una bomba nucleare, esiste la necessità di avere a disposizione U altamente arricchito: per 1 chilogrammo di U destinato alle bombe, si ottengono circa 100 chilogrammi di DU, cosa che rappresenta circa 3 milioni di tonnellate di scorie nel mondo intero. 

Il DU possiede 6 proprietà importanti:
Prima proprietà: il DU è estremamente pesante. Il suo peso specifico è di 19,2 g/cm3, vale a dire che il DU è 1,7 volte più pesante del Piombo. Per questo è particolarmente indicato per la produzione di armamenti antibunker. Inoltre, conosce qualcosa come 700 utilizzazioni civili differenti, in particolare come zavorra per gli aeroplani.
Seconda proprietà: Il DU è solubile in acqua, e quindi i frammenti delle munizioni al DU che si trovano depositati al suolo vengono aggrediti dall’acqua e il DU portato in soluzione penetra nel suolo e nella falda freatica e quindi, alla fine, nella catena alimentare.  
Così, in ragione di 3900 colpi al minuto, l’aereo da caccia A-10 «Phacochère» disperde nell’ambiente grandi quantità di DU. Il 99% delle munizioni fanno cilecca e penetrano nel terreno. Un rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (PNUE) ha accertato che in Bosnia i frammenti delle munizioni al DU, dopo la guerra, hanno perso il 25% del loro peso. Questo 25% è avviato verso le nostre mense (ciclo ecologico). Il PNUE esige un controllo delle acque potabili. 
Terza proprietà: Il DU è piroforo. Penetrando in una struttura corazzata, un proiettile al DU provoca enormi pressioni e lo sviluppo di temperature assai elevate.
Il DU si infiamma e brucia a 3000° C. Allora si producono, per una parte, delle particelle estremamente sottili di ossido di Uranio del diametro da 0,001 a 0,1 µm (vale a dire da 0,001 a 0,1 micron, milionesimo di metro) e d’altra parte, a causa delle temperature elevate, tutto un cocktail di sostanze altamente tossiche e cancerogene originate dalla combustione dell’interno del blindato colpito. Questo cocktail chimico si deposita sulle particelle di ossido di Uranio. 

Le particelle di queste dimensioni si comportano come dei gas, e quindi penetrano nel nostro organismo attraverso l’aria inalata o gli alimenti consumati, non solamente sui posti dove si sono prodotte, ma, disperse dalle correnti atmosferiche, si propagano su tutto il pianeta. Infatti, il PNUE ha riscontrato la presenza del DU in luoghi dove non erano mai avvenuti dei combattimenti.  
Circa il 40% del pulviscolo di ossido di Uranio si solubilizza nell’acqua. Il rimanente è costituito da DU ceramico non solubile in acqua. Questo DU ceramico viene immagazzinato nell’organismo e liberato costantemente dal DU totale che entra ad interagire con i metabolismi.
Quarta e quinta proprietà : Il DU presenta una tossicità chimica e radiologica. L’Uranio è un elemento chimico a due “facce”, a due proprietà: da un lato la tossicità chimica che deriva dalla struttura elettronica dell’atomo e d’altro canto la sua radioattività, che deriva dal nucleo dell’atomo.
La tossicità chimica causa in modo particolare danni ai globuli bianchi, producendo la leucemia, danni ai globuli rossi in seguito allo spostamento degli atomi di ferro all’interno delle molecole di emoglobina, lesioni delle cellule nervose (una rilevante percentuale di veterani hanno difficoltà di espressione e problemi di memoria), lesioni fetali, lo sviluppo di idrocefalia negli adulti. La sindrome della Guerra del Golfo comprende parecchie dozzine di quadri clinici. E non bisogna dimenticare che il DU riduce, arresta, più precisamente uccide la creatività dell’uomo. 
A tutto questo si aggiunge la radiotossicità del DU, vale a dire la tossicità procurata dalla disintegrazione dei nuclei atomici e la conseguente emissione di particelle alfa (radioattività). Queste particelle si comportano come tanti piccoli proiettili che possono distruggere molecole vitali per l’organismo. Il più grave effetto delle radiazioni si esercita sul materiale genetico: possono rompersi dei cromosomi e quando la cellula tenta la loro riparazione ricade in errore e due parti cromosomiche possono sì rincontrarsi, ma la loro unione avviene in modo non corretto. 

Sesta proprietà : Il DU ha un tempo di dimezzamento di circa 4,5 miliardi di anni. Come abbiamo già indicato, il DU emette radiazioni alfa derivate dalla disintegrazione dei nuclei atomici. Certamente che il problema si risolve da solo, ma dopo un tot di miliardi di anni! Effettivamente, un tempo di dimezzamento di 4,5 miliardi di anni sta a significare che, in capo a questo lasso di tempo, solamente la metà di tutti gli atomi di Uranio si saranno disintegrati. L’altra metà continua ad essere radioattiva e dopo altri 4,5 miliardi di anni circa la metà di questa metà si sarà disintegrata e via di seguito così.
Nelle zone gravemente contaminate, il DU stermina in modo duraturo, in perpetuo. 

Effetti dell’uso del DU sulla salute 

Allorché il DU è penetrato nell’organismo umano per inalazione, per ingestione attraverso gli alimenti o tramite ferite, può sviluppare i suoi effetti tossici, chimici e radiologici. Infatti, le particelle inalate si depositano sulle cellule del sangue e possono penetrarvi.  Secondo un lavoro pubblicato dall’Esercito Statunitense (sic!), il DU può addirittura sostituire il ferro delle molecole di ferro-emoglobina dei globuli rossi del sangue, ferro che è indispensabile per il trasporto dell’ossigeno, e quindi delle respirazioni. 
In definitiva, tutte le parti del nostro corpo sono alimentate dal sangue e perciò il DU arriva nei più piccoli recessi, come un « passeggero clandestino » e può provocare danni di diversa natura. Ad esempio:
•    Il DU può deteriorare il materiale genetico mediante il suo irraggiamento radioattivo. Le radiazioni possono provocare lesioni cromosomiche, con una conseguente riparazione. Infatti, gli esseri viventi sono in possesso di meccanismi di riparazione, che consentono la correzione dei danni procurati al materiale genetico. Per più delle volte, questi meccanismi funzionano regolarmente. Ma può succedere che col tempo si arrivi a qualche errore. Questo significa che più il DU è disseminato nell’organismo, più le radiazioni sono frequenti e più diventano frequenti gli eventi dannosi. In questo caso aumentano le probabilità di errori nella riparazione e di formazione di un cromosoma «dicentrico».
Questi errori producono delle malformazioni congenite nei neonati, in particolare apertura del cranio, idrocefalia, un terzo occhio ciclopico, l’assenza di occhi o del cervello (anencefalia), la colonna vertebrale fessa (spina bifida), leucemia. Nelle zone di combattimento, il tasso di sviluppo del cancro vede un aumento del 350%. Inoltre, bisogna sottolineare le malformazioni agli arti, ad esempio mani e piedi che appaiono direttamente collegati al tronco (dismelia). A volte, una mano si presenta al posto di un piede. Anche gli animali subiscono lesioni al materiale genetico. Sono state riscontrate nascite di vitelli ad 8 zampe.   
•    Il DU può attraversare la barriera emato-placentare, cosicché un feto può venire contaminato già durante il suo sviluppo. 
•    Il DU arriva ai neuroni attraverso la barriera emato-encefalica e vi causa danni consistenti. Ecco perché una percentuale elevata di veterani della Guerra del Golfo soffrono di difficoltà di espressione verbale e hanno problemi di memoria. L’irroramento di differenti aree del cervello risulta insufficiente.  

•    Il DU tende ad invadere il midollo osseo, dove si producono i globuli bianchi (leucociti). Questi vengono danneggiati subito dopo la contaminazione da DU, in modo che in poco tempo si ha lo sviluppo di leucemie. 

•    Il DU può provocare una idrocefalia nell’adulto. L’autore di questo documento conosce personalmente un veterano colpito da questa malattia.                                    Di sovente, i veterani manifestano contemporaneamente più di 30 differenti sintomi. Detto questo, bisogna nello stesso tempo tenere in conto degli effetti nocivi dei numerosi vaccini che sono stati loro somministrati prima dei combattimenti. Ecco perché, oltre alle malattie che andiamo a citare, si osservano: 

•    disfunzioni renali,
•    disturbi circolatori,
•    disturbi epatici, 

•    osteoporosi, 
•    intolleranza al glutine, 

•    crisi dolorifiche,
•    affaticamento cronico,
•    fibromialgie (la fibromialgia è una malattia caratterizzata da dolori di tipo reumatoide in differenti parti del corpo) 

•    disturbi del sonno.

La relazione fra l’utilizzo del DU e l’insorgere di queste malattie è stata confermata da diversi studi ed osservazioni : 

•    Han Kang et al., (Pregnancy Outcomes Among US Gulf War Veterans. A Population Based Survey of 30000 Veterans. Annals of Epidemiology, Vol. 11, Issue 7, October 2001, pp. 504-511), in questa indagine minuziosa condotta su 30.000 combattenti della guerra in Iraq, si sono occupati in particolar modo dei danni procurati ai feti e ai neonati. Hanno scoperto che nelle famiglie dei veterani si riscontra un tasso significatamene più elevato di aborti che nelle famiglie di militari che non hanno prestato servizio in Iraq. Le stesse associazioni di veterani hanno preso atto del numero più elevato di aborti. I casi di bambini nati morti e di prematuri tendono ad aumentare, come pure la mortalità infantile. 
•    Uno studio condotto dopo la guerra del Golfo del 1991 in un ospedale del Bahreïn su 15.628 civili ha rivelato un aumento di aborti spontanei. 
•    La Dr.ssa Eva-Maria Hobiger, un’oncologa austriaca, che ha lavorato molto nel sud dell’Iraq, ci ha riportato le dichiarazioni del Dr. Mazin Al-Jadiry, specialista in oncologia infantile all’ospedale Al-Mansour di Bagdad, (in 10 Jahre nach dem Golf-Krieg, Irak im Februar 200, www.embargos.de/irak/envir-DU/10JahreGolf-Krieghobiger.htm): «Nel nostro ospedale, nel 1990 abbiamo diagnosticato 150 casi di leucemia linfoblastica acuta. Nel 2000, abbiamo avuto già 254 casi. Attualmente, i nostri servizi sono decisamente insufficienti per accogliere tutti questi malati.»
Secondo il Primario Janan Ghalib Hassan del Reparto di Maternità per donne e bambini dell’Ospedale di Bassora, «l’incidenza (numero di nuovi casi) delle leucemie infantili è raddoppiata tra il 1994 e il 1998, mentre tra il 1998 e il 2000 il tasso è quintuplicato.»
A Bagdad e a Bassora, i medici sono unanimi nel pensare che le cifre reali siano molto più elevate, visto che i beduini del deserto non portano mai i loro bambini negli ospedali. La situazione, in materia di medicinali, è catastrofica: non può essere condotto a termine alcun ciclo di chemioterapia per mancanza di citostatici. L’80% dei bambini muoiono durante il primo ciclo in seguito ad emorragie e infezioni. 

•    A Bassora, le donne hanno paura di restare incinte. Fino al 1990, con circa 12.000 nascite per anno, nasceva ogni 15 giorni un bambino che presentava malformazioni. Attualmente, a parità di numero di nascite, nascono 1 o 2 bambini malformati al giorno. I casi sono ben documentati.
Si osservano malformazioni talmente gravi, come l’assenza di cervello (anencefalia), un unico occhio in mezzo alla fronte (ciclopia), piedi o mani che appaiono direttamente collegati al tronco (focomelia), l’assenza di testa e di membra o di cute, labbra leporine, malformazioni cardiache, ecc.
Potrete trovare foto di queste orribili malformazioni, specialmente sul sito www.firethistime.org/extremedeformities.htm  

DU e diritto internazionale 

Questo passo del documento tratta delle conseguenze dell’utilizzo del DU rispetto al diritto internazionale sulla guerra e al diritto internazionale umanitario.  Verranno citati estratti da diversi testi giuridici, che saranno commentati in riferimento all’utilizzo militare del DU. 

Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, del 9/12/1948, articolo 2

«Nella presente Convenzione, per genocidio si intende una delle azioni, indicate qui di seguito, commesse nell’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso : 

a)    Uccisione dei membri del gruppo ;
b)    Attentato grave all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo ;
c)    Sottomissione intenzionale del gruppo a particolari condizioni di esistenza, prima di mettere in atto la sua distruzione fisica totale o parziale;  

d)    Misure con lo scopo di impedire le nascite all’interno del gruppo; […]

Commento
A proposito del punto a): A partire dalla Guerra del Golfo del 1991, quanto meno nel sud dell’Iraq, una parte della popolazione civile è stata ammazzata dal DU. Questo è successo anche con le guerre in Bosnia, in Kosovo e in Afghanistan.

A proposito del punto b): Fino ad oggi, il DU ha causato nelle popolazioni civili Irachena, Bosniaca, Serba ed Afgana danni sia di natura fisica che psichica. I tassi di cancro sono aumentati in modo considerevole, come pure i decessi dovuti a questi tipi di cancro. 
Parallelamente, i bombardamenti con munizioni al DU e le loro conseguenze hanno provocato gravi traumi psichici. I mezzi di informazione di tutto il mondo ne hanno parlato ed esistono a riguardo dei rapporti scientifici indipendenti e relazioni di Commissioni delle Nazioni Unite. 

A proposito del punto c): La contaminazione massiccia dei territori ad uso agricolo, in particolare nel sud dell’Iraq in seguito alla Guerra del 1991 (e probabilmente anche a quella del 2003), ha parzialmente distrutto le basi dell’alimentazione della popolazione. Una parte di queste aree è interdetta all’accesso. Si è perfino considerato di evacuare alcune regioni dell’Iraq meridionale. La contaminazione delle acque comporta, nelle zone dove sono state utilizzate armi al DU, una diminuzione importante, addirittura la perdita totale delle risorse di acqua potabile, e quindi l’acqua consumata dalla popolazione è pericolosa per la salute. 
A lungo andare, la contaminazione delle falde freatiche, dovuta alla solubilizzazione in acqua dell’Uranio, risulta ancora più grave, dato che provoca squilibri ai cicli ecologici. Ne risulta che il munizionamento al DU costituisce, se del caso, un’arma di sterminio.  

A proposito del punto d): Le emissioni alfa dell’Uranio provocano un aumento del numero di rotture al livello dei cromosomi. Nelle zone di conflitti il tasso dei neonati malformati, il cui patrimonio genetico ha subito gravi danni, è aumentato in maniera significativa. I soldati delle truppe alleate della Guerra del Golfo del 1991, da allora, donano la vita a bambini che soffrono di malformazioni congenite in percentuale significativamente molto elevata.  

Convenzione sulla proibizione di utilizzare tecniche di modificazione dell’ambiente a fini militari o per altri scopi ostili, del 10/12/1976, articolo 1 

«1. Ciascuno Stato, membro della presente Convenzione, si impegna a non utilizzare a fini militari, o per qualsiasi altro scopo ostile, la modificazione dell’ambiente con effetti estesi, duraturi o gravi, e di non mettere in atto metodi per procurare distruzioni, danni o nocumenti agli altri Stati membri.  
2. Ciascuno Stato, membro della presente Convenzione, si impegna a non aiutare, incoraggiare o incitare alcuno Stato, gruppi di Stati o organizzazioni internazionali nella conduzione di attività contrarie alle disposizioni del paragrafo 1 del presente articolo.»

Commento
A proposito del punto 1): Il DU è stato largamente diffuso su vaste aree, durante le Guerre del Golfo del 1991 e del 2003, nella ex Jugoslavia (Bosnia e Kosovo) e nell’ Afghanistan. Gli effetti della contaminazione non si sono limitati solo su alcune zone ma hanno avuto un carattere globale, dato che le polveri sottili del DU, in ragione del diametro infinitesimo delle particelle (tra 0,001 e 0,1 µm), si comportano come un gas e si disperdono nell’atmosfera di tutto il pianeta.
Il tempo di dimezzamento di circa 4,5 miliardi di anni produce degli effetti che si faranno sentire per un tempo molto più esteso di quello dell’esperienza di vita del genere umano sulla Terra. Il DU provoca gravi effetti sulla salute: le degenerazioni del materiale genetico, le rotture a livello cromosomico e i disturbi renali sono stati provati e sono stati l’oggetto di pubblicazioni nelle riviste scientifiche.
La sindrome del Golfo, in parte molto simile alla sindrome del Kosovo, e quindi è probabile che le due sindromi siano strettamente collegabili all’utilizzo del DU, comprende un considerevole numero di altre malattie come la leucemia, l’osteoporosi, l’intolleranza al glutine, l’impotenza, turbe della memoria, difficoltà di espressione verbale, incontinenza, disturbi ai sistemi nervoso, immunitario e respiratorio, danni ematici, lesioni ai muscoli collegati allo scheletro, lesioni cutanee, epatiche, endocrine e genetiche. 

A proposito del punto 2): Gli Stati che hanno sostenuto la Guerra del Golfo del 1991 con l’invio di truppe hanno violato i paragrafi 1 e 2. 

Convenzione sulla proibizione di utilizzare tecniche di modificazione dell’ambiente a fini militari o per altri scopi ostili, del 10/12/1976, articolo 2 

«Ai fini dell’articolo 1, l’espressione «tecniche di modificazione dell’ambiente» designa qualsiasi tecnica che ha per obiettivo quello di modificare, grazie ad una alterazione deliberata dei processi naturali, la dinamica, la composizione o la struttura della Terra, ivi compresi i suoi biotipi, la sua litosfera, la sua idrosfera e la sua atmosfera, come pure lo spazio extra atmosferico.»

Commento
L’utilizzazione delle munizioni al DU produce una modificazione della composizione e della struttura della zone contaminate. Questo vale anche per gli impianti dove queste armi vengono prodotte, i terreni dove vengono testate, i campi di manovra e le località dove avvengono infortuni con la presenza di materiali al DU. Gli effetti sono globali e riguardano gli uomini, le piante e gli animali. I tre rapporti del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (PNUE) sulla ex Jugoslavia ci informano esaurientemente. Stabilito che il DU è solubile in acqua e che le sue polveri sottili si comportano come un gas, quando si formano al momento della sua combustione dopo l’impatto delle bombe antibunker, avvengono contaminazioni a livello della litosfera (crosta terrestre), dell’idrosfera (tutto il complesso delle acque del pianeta) e l’atmosfera.
Aggiungiamo qui che è stata avanzata l’ipotesi che dei sommovimenti terrestri hanno potuto scatenarsi a causa dell’esplosione di bombe antibunker di grande tonnellaggio e di altre armi esplosive.  

Protocollo aggiuntivo I alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, dell’8 giugno 1977 

Titolo III, Sezione I, Articolo 35 : Regole fondamentali 

«1) In qualsiasi conflitto armato, il diritto delle parti in conflitto di scegliere i metodi o i mezzi di guerra non è illimitato. 

 2) È proibito impiegare armi, proiettili e materiali, come pure metodi di guerra, di natura tale da causare sofferenze superflue. 

 3) È proibito impiegare metodi o mezzi di guerra che siano concepiti per causare, o da cui ci si può attendere che causeranno, danni estesi, duraturi e gravi per l’ambiente naturale.»

Commento
A proposito del punto 1): le Risoluzioni delle Nazioni Unite 1996/16 (E/CN.4/1997/2) e 1997/36 (E/CN.4/1998/2) sconsigliano vivamente l’uso di munizioni al DU. Già prima dell’inizio della Guerra del Golfo del 1991, l’Esercito degli Stati Uniti era al corrente della pericolosità del DU (rapporti scientifici). La decisione di ricorrere al DU e non al tungsteno richiama alla mente l’arrogarsi il diritto illimitato di scegliersi i propri mezzi di guerra. 
A proposito del punto 2): l’utilizzazione del DU nelle munizioni e nella corazzatura dei carri armati produce inutili malattie, che potrebbero essere evitate attraverso il ricorso al tungsteno, che non presenta radioattività e non ha la tossicità chimica del DU, o rinunciando completamente alle munizioni al DU. In ragione della sua radioattività, della sua tossicità e del suo enorme tempo di dimezzamento, il DU produce sofferenze superflue, che potrebbero essere evitate con il ricorso al tungsteno o rinunciando totalmente al DU.
A proposito del punto 3): prima di utilizzare il DU come mezzo di guerra, l’Esercito Statunitense era stato informato, mediante una relazione di un organismo scientifico, del fatto che il DU causava danni gravi, estesi e duraturi all’ambiente.   

Titolo III, Sezione I, Articolo 36: Armi di nuova generazione

«Nella progettazione, la messa a punto, l’acquisizione o l’adozione di una nuova arma, di nuovi mezzi o di un nuovo metodo di guerra, un Membro avente sottoscritto il Protocollo ha l’obbligo di stabilire se l’impiego gli sarebbe proibito, in particolari o in tutte le circostanze, dalle disposizioni del presente Protocollo o da qualsiasi altra norma del diritto internazionale applicabile al suddetto Membro contraente.»

Commento
Uno studio sulle conseguenze dell’utilizzo di munizioni al DU e una comparazione diretta fra le proprietà del DU e quelle del tungsteno è stato effettuato negli Stati Uniti ed è stato pubblicato, per lo meno in parte. Malgrado la violazione evidente di questo Protocollo e di altre disposizioni del diritto internazionale, il DU è stato utilizzato nelle munizioni e in altri ordigni bellici. 

Titolo IV, Sezione I, Capitolo I, Articolo 51: Protezione della popolazione civile 

[… Protezione]
b) «Da attacchi dai quali ci si possa attendere incidentalmente perdite in vite umane nella popolazione civile, lesioni ai civili, danni ai beni di carattere civile, o una combinazione di queste perdite e danni, che risultino eccessivi in rapporto ai vantaggi di ordine militare, concreti e direttamente attesi .»

Commento
L’utilizzazione del DU è eccessiva in rapporto ai vantaggi di ordine militare, concreti e direttamente attesi, per le ragioni seguenti: 
•    L’Uranio 238 – costituito dal 99,8 % di DU – ha un tempo di dimezzamento di qualcosa come 4,5 miliardi di anni. 

•    Il DU ha un’alta tossicità chimica comprovata da pubblicazioni scientifiche.
•    Il DU provoca un incremento significativo di malformazioni congenite nei neonati, di aborti, di morti nati e di fratture cromosomiche riscontrate nei globuli bianchi (linfociti). 

•    Il DU è solubile nell’acqua e si diffonde nell’ambiente per tramite i cicli ecologici, distrugge o provoca danni alle sorgenti naturali vitali per le popolazioni. 

Titolo IV, Sezione I, Capitolo II, Articolo 54: Protezione dei beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile 

 «2) È proibito attaccare, distruggere, eliminare o mettere fuori uso beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, come le derrate alimentari e le zone agricole che le producono, i raccolti, il bestiame, le istallazioni e le riserve di acqua potabile e le strutture per la irrigazione, con lo scopo di creare privazioni, dato il loro valore per il sostentamento, alle popolazioni civili o alla parte avversa…»

Commento
Specialmente durante le Guerre del Golfo del 1991 e del 2003, come pure in quella di Bosnia e in Kosovo, sono state distrutti o resi inutilizzabili impianti per l’acqua potabile. 

Titolo IV, Sezione I, Capitolo II, Articolo 55: Protezione dell’ambiente naturale 

«1. La guerra dovrà essere condotta badando a proteggere l’ambiente naturale contro danneggiamenti estesi, duraturi e gravi. Questa protezione include la proibizione all’utilizzo di metodi o mezzi bellici concepiti per causare danni, o dai quali ci si possa attendere la produzione di danni all’ambiente naturale, che possono così compromettere di fatto la salute o la sopravvivenza della popolazione.                                                                                                                                  2. Gli attacchi contro l’ambiente naturale a titolo di rappresaglia sono proibiti.»

Commento

A proposito del punto 1): Il DU è un’arma che, a lungo termine, distrugge ogni forma di vita.                                                                                                               A proposito del punto 2): La decisione degli USA di utilizzare il DU al posto del tungsteno, stanti le conoscenze sulle proprietà del DU che si avevano al momento di questa decisione, costituisce una grave violazione dell’articolo 55-2. Particolarmente nella ex Jugoslavia, sono stati bombardati impianti chimici, quando questi non costituivano affatto obiettivi strategici e si conosceva bene l’enorme potenziale tossico che questi attacchi avrebbero scatenato.

Commento a complemento

Aggiungiamo che in una parte delle munizioni a DU si è riscontrata la presenza di Uranio 236 e di Plutonio, cosa comprovante l’utilizzazione di DU proveniente da combustibile nucleare usato, denominato anche «DU sporco» (DU secondario). [Il DU secondario viene estratto dal combustibile nucleare delle centrali e il DU primario viene ricavato dall’Uranio naturale.]
 L’Uranio 236 e il Plutonio sono dei marcatori della presenza di un grande numero di altri elementi radioattivi, altamente radiotossici e chemiotossici, che si formano nei reattori nucleari e sono presenti nel combustibile nucleare usato. Perciò, non si può scartare l’ipotesi che sia stata utilizzata in maniera intenzionale e mirata un’arma radiologica « sudicia ».
L’esempio del Plutonio consente di dimostrare a che punto alcune sostanze presenti nel DU secondario siano pericolose : «In conseguenza della sua radiazione alfa elevata e della sua forte tendenza a depositarsi sulle ossa, il Plutonio può venire enumerato fra le sostanze tossiche conosciute, più pericolose.
L’inalazione delle polveri sottili di Plutonio può provocare il cancro ai polmoni, e i suoi depositi sulle ossa producono un effetto radioattivo su tutto l’organismo. Solo pochi microgrammi di Plutonio sono sufficienti per provocare lesioni letali.» (Brockhaus Enzyklopädie, 2001)
 
Menzioniamo ancora due citazioni dell’Ufficio federale tedesco di protezione radiologica (BfS) del 17/7/2001:
•    «Nel mondo intero, a tutt’oggi sono state prodotte, nel corso di attività civili e militari, circa 1000 tonnellate di Plutonio. In seguito agli esperimenti atomici degli anni 1950-1960 sono state liberate nell’ambiente del pianeta grandi quantità di Plutonio, circa 4 tonnellate.»
•    «Per il Plutonio che è penetrato nell’organismo, non esiste una concentrazione soglia al disotto della quale non è osservabile alcun effetto. Per i bambini, si suppone che l’assorbimento sia dieci volte più elevato.»

Dopo la Guerra del Golfo del 1991 e quella del Kosovo, l’opinione pubblica tedesca è stata messa al corrente dei pericoli del munizionamento al DU. Quelli che erano fautori della Guerra del Golfo del 2003 erano coscienti dei crimini che potevano essere perpetrati con queste munizioni. In Germania, personalità eminenti si sono pronunciate in favore di questa terza Guerra del Golfo. Costoro non potevano proprio addurre a pretesto di ignorare l’utilizzo inevitabile delle munizioni al DU in un conflitto armato dei nostri giorni. 
È importante dirlo chiaramente, perché bisogna assolutamente impedire che il nostro pianeta continui a venire contaminato da DU. Bisogna che non solamente i responsabili, ma noi tutti prendiamo consapevolezza della gravità della situazione. È importante l’apporto concreto di tutti.  


Albrecht Schott, bio-chimico, Presidente del WODUC - World Depleted Uranium Centre: «Come presidente del WODUC, sono disposto a collaborare con tutti coloro, in particolare con coloro che governano, che sono pronti a decontaminare la terra, indipendentemente dai loro precedenti in materia di utilizzazione del DU.» 


(english / italiano)

Petrinja: la fossa comune che c'è per davvero


...Infatti le agenzie di stampa del nostro paese non hanno riportato la notizia.

Si tratta di una fossa comune dalla quale sono stati esumati 160 cadaveri di morti ammazzati nel corso dell'operazione "Tempesta" - quella con la quale il cattolico ed europeo regime di Franjo Tudjman, con l'appoggio dei generali USA (MPRI) e delle strutture NATO (per la logistica, il radar, ecc.), nell'agosto del 1995 cancellava dalla faccia della terra la comunità politica dei serbi di Croazia ("Republika Srpska Krajna") ed espelleva alcune centinaia di migliaia di persone dai territori dove erano nate. 
La fossa comune di cui stiamo parlando si trova a Petrinja, che era un villaggio dei serbi di Croazia. Nella fossa aperta ci sono una trentina di cadaveri di donne. Tutti i corpi sono ancora da identificare. 
Si tratta solo di una tra molte fosse comuni dove sono seppelliti i serbi della Krajna; delle altre si aspetta... che emerga la volontà politica per parlarne ed esumarne le vittime. 

In tutto i "desaparecidos" serbi di Croazia sono infatti più di mezzo migliaio.

Tale volontà politica per adesso non c'è, ne' in Croazia, ne' da parte della Unione Europea o dell'ONU. La Croazia è infatti "un paese per bene": la Croazia viene premiata per quelle politiche neonaziste, stendendogli il "tappeto rosso" dell'accesso alla UE (vedi dispaccio ANSA allegato - come già premesso, l'ANSA ha omesso di riferire della fossa comune di Petrinja).

Nessuno fino a questo momento è incriminato per lo sterminio di Petrinja. Viceversa, il "Tribunale speciale" dell'Aia ha comminato una pena pesantissima contro Milan Martic, capo politico dei serbi di Krajna per una fase (alleghiamo più sotto un altro dispaccio ANSA), per aver difeso i serbi di Krajna da qualcuno di questi massacri contrattaccando militarmente Zagabria. L'altro leader dei serbi di Krajna, Babic, "è stato suicidato", come Milosevic, nel carcere dell'Aia.

(introduzione a cura di Olga e Andrea)

---

Sulla epurazione etnica dei serbi in Croazia raccomandiamo il sito:
 
---

http://www.b92.net/eng/news/society-article.php?yyyy=2007&mm=06&dd=12&nav_category=113&nav_id=41753

Tanjug (Serbia)
June 12, 2007

Croatia: Mass grave exhumation

BELGRADE - During a seven-day exhumation, the remains of 105 victims, believed to be Serbs, were uncovered in the Croatian town of Petrinja.

At least 20 women are among the victims, according to sources.

Serbian Documentation and Information Centre Veritas stated that the remains were all of Serbs from Banija and Kordun, killed by Croatian forces in a 1995 offensive in a UN-protected zone.

The exhumation, conducted by the Croatian government, will be continued.

The Hague Tribunal officials monitored the digging, as well as those from the International Missing Persons Commission, and Serbian and Croatian Missing Persons organizations.

Although the large mass grave in question has been known since the fall of 1995, the investigation “took place in complete media silence which, without question, is directly tied to the nationality of the victims,” Veritas stated.

According to the NGO, there are more graves of Serbs killed during Operation Storm at the same location.

The exhumation of these graves was still “awaiting the right political climate,” Veritas representatives said.

During the attack of Croatian forces on the UN Sector North sector in 1995, 721 Serbs were killed, 441 civilians, 403 of which were women.

Of the victims, 531 are still listed as missing, 341 civilians, 185 of which are women.

There have been no indictments thus far by international or Croatian courts related to these war crimes committed against Serbs in Croatia. 

---

http://www.b92.net/eng/news/society-article.php?yyyy=2007&mm=06&dd=18&nav_category=113&nav_id=41881

B92 (Serbia)
June 18, 2007

Croatia: Operation Storm victims exhumed 

ZAGREB, BELGRADE - Exhumations have uncovered 160 ethnic Serb victims of the Croatian Army's Operation Storm in a mass grave in Petrinja.

Missing Persons Commission President Veljko Odaloviæ confirmed that there were both military and civilian victims of which 30 were women. Identification of the victims will begin shortly.

The grave is the largest known site of its kind in this region of Croatia. It contains the bodies of Serbs killed in August 1995.

“A lot depends on the quality of the samples we take. They are compared in the laboratory with the blood of the families of missing persons to see if they match, then we can say with 99.9 percent confidence that it is the person in question,” Odaloviæ said speaking about the identification process.

President of the Documentation and Information Center Veritas Savo Štrbac said that Croatia purposely made the exhumation last longer than was necessary.

The grave site in Petrinja dates back to 1995, when the Croatian forces "sanitized the field” after conflicts had ended, moving the remains to secondary graves in order to wait for the "right political climate" to allow for the return of the remains to victims' families, he said.

Odaloviæ said that cooperation with the Croatian Commission for Missing Persons finally gave some results and that he hoped the ten remaining locations in the region will be investigated, adding that he expeced 500 more bodies will be found.

“Starting in the fall, we will work through the details with the Croatians. We will quickly begin investigations and agree on priorities,” Odaloviæ said.

Although the exhumation was conducted on the request of the Hague Tribunal, the court has not indicted anyone in relation to the crimes committed against Serbs during Operation Storm in the regions of Banija and Kordun, the so-called Sector North.

Štrbac said that this could be done by either the Serbian or Croatian war crimes courts. 

---

ALLARGAMENTO UE: ZAGABRIA PIU'VICINA A ENTRARE NEL 2009

BRUXELLES - L'Unione Europea autorizza la Croazia a dare un colpo di acceleratore nel processo di avvicinamento a Bruxelles e, parallelamente, frena quello della Turchia. E' questo l'esito delle due conferenze di adesione svoltesi oggi, protagoniste Ankara e Zagabria.

L'esame fatto alla Turchia si e' concluso con la promozione in due materie su tre. I 27, come previsto, hanno aperto solo due capitoli dei negoziati di adesione che la presidenza tedesca aveva promesso di iniziare a valutare entro la fine del suo mandato, in scadenza alla fine di giugno.

Seccata la reazione del ministro dell'economia turco e capo negoziatore con la Ue, Ali Babacan. ''Non siamo soddisfatti delle spiegazioni dell'Ue, abbiamo fatto tutto quello che la Ue ci ha chiesto, abbiamo rispettato ogni scadenza, e lo scorso marzo una lettera ci assicurava che avevamo le carte in regola per aprire anche il capitolo della politica economica e monetaria'', ha aggiunto, auspicando che l' Ue sappia opporsi ad un cambiamento di rotta nel negoziato con la Turchia, ''perche' un processo diverso da quello in atto sarebbe controproducente per entrambe le parti''.

Il commissario europeo all'allargamento Olli Rehn ha cercato di smussare la polemica. ''Quelli aperti oggi sono comunque capitoli molto importanti e sono sicuro che il processo di adesione andra' avanti con la stessa convinzione anche sotto la presidenza portoghese. Incoraggiamo la Turchia a fare le riforme nonostante l'appuntamento elettorale e speriamo che il nuovo governo si impegni a fare progressi nel campo della liberta' d'espressione e delle pari opportunita' '', ha aggiunto.

Risultato e clima assai diverso nel negoziato con la Croazia. In questo caso i 27 hanno deciso di aprire sei nuovi capitoli dei negoziati di adesione entrando nel vivo delle trattative.

''Sono molto felice di annunciare l'apertura dei nuovi capitoli, un segnale che da' la misura dei progressi fatti dalla Croazia'', ha detto Steinmeier. ''Con quelli odierni abbiamo aperto un terzo del totale dei capitoli che compongono i negoziati di adesione, e speriamo di continuare a tenere questo passo anche nel prossimo semestre, sotto la presidenza portoghese'', ha commentato soddisfatta il ministro degli esteri croato, signora Kolinda Grabar Kitarovic, la quale ha assicurato che il suo paese procedera' senza soste nel lavoro delle riforme che l'Ue continua a chiedergli, per essere pronta ad entrare in Europa dal gennaio 2009.
27/06/2007 12:56 

---

TPI: BOMBE SU ZAGABRIA, MARTIC CONDANNATO A 35 ANNI/ ANSA

(ANSA) - L'AJA, 12 GIU - L'ex presidente della Krajina Milan Martic e' stato condannato oggi dal Tribunale penale internazionale (Tpi) per la ex Jugoslavia a 35 anni di reclusione. Imputato di crimini di guerra e contro l'umanita' la procura ne aveva chiesta la condanna all'ergastolo per le atrocita' commesse contro i croati, tra il 1991 ed il 1995, nell'ambito di un'operazione di ''pulizia etnica'' condotta nel quadro di ''un'impresa criminale comune'' con l'ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, morto di infarto nelle carceri dell'Aja nel marzo dello scorso anno. Accusato di ''azioni terroristiche e persecuzione'' dei croati dei villaggi Vrpolje e Potkonje, nei pressi di Knin, la 'capitale' della Krajina, Martic era stato gia' condannato in contumacia dal tribunale di Sebenico, nell'agosto del 1993, a 15 anni di reclusione. ''Ora mi sento sollevato, la giustizia e' lenta, ma ha le braccia lunghe. Questo e' un messaggio chiaro per tutti i criminali che progettano simili future avventure'', ha commentato Milan Bandic, sindaco di Zagabria, appena appresa la notizia. Martic, 62 anni, consegnatosi spontaneamente al Tpi nel 2002, era accusato tra l'altro di avere ordinato, nel maggio 1995, il bombardamento di Zagabria per ritorsione dopo un' offensiva dell' esercito croato contro la Krajina, regione croata allora sotto controllo delle forze secessioniste serbe che, nel 1991, avevano auto-proclamato la Repubblica serba della Krajina (Rsk). Oltre che del bombardamento di Zagabria, che provoco' sette vittime tra i civili, l'imputato doveva rispondere di responsabilita' nella morte di altri civili nei bombardamenti di centri urbani compiuti nelle guerre di Croazia e di Bosnia, tra il 1991 ed il 1995. L'ex presidente della Krajina, che si e' sempre dichiarato innocente, e' stato oggi riconosciuto colpevole di 18 dei 19 capi di imputazione che gli erano contestati. I giudici lo hanno assolto solo per quello di sterminio. Martic, che alla lettura della sentenza non ha manifestato particolari reazioni, secondo i giudici del Tpi ha tentato di creare ''un territorio etnicamente serbo'', creando ''un' atmosfera di paura e sfiducia tra serbi e non serbi''. Per il tribunale l'imputato era la personalita' piu' influente e importante in Krajina e ''pertanto era al corrente dei molteplici crimini commessi contro i non serbi'', cosi' come, a parere dei giudici, e' stato provato che Martic aveva chiesto ed ottenuto aiuto finanziario, logistico e militare a Milosevic. In relazione al bombardamento di Zagabria i giudici hanno respinto la tesi dell'accusato e dei suoi avvocati secondo la quale la capitale croata ospitava obbiettivi militari e l'operazione era stata ordinata contro i croati perche' colpevoli di violazione dei diritti umani. (ANSA) RED-VS
12/06/2007 17:44 



DEL PONTE "UNABLE" TO INVESTIGATE ON CRIMES COMMITTED IN KOSOVO


http://groups.yahoo.com/group/Roma_ex_Yugoslavia/message/1925

NO INVESTIGATION BY ICTY on crimes committed against Roma in Kosovo

Today in the European Parliament, there was an exchange of views with
Ms Carla Del Ponte, Prosecutor of the International Criminal Tribunal
for the Former Yugoslavia.

Member of the European Parliament Els de Groen has addressed Ms. Del
Ponte and asked

De Groen: How far are you with the investigation of the committed
crime against Roma in Kosovo?

De Ponte: No, No...We were not able to conduct all the
investigations. You know we were not able... We will be willing to
conduct against impunity.
The Security Council Mandate is highly responsible and politically
responsible for the crimes commission .
Second the strategy in 2004 was that our investigation should finish
and cut down our list of suspects too. We could not investigate that.
I hope there someone... must be done because of impunity... If it is
not the International should be the National tribunal.


“Disarmiamoli”: una proposta di legge per desecretare i trattati e rimettere

in discussione le basi militari USA e NATO in Italia


comunicato stampa


Verrà presentata a Roma sabato 30 giugno la proposta di legge di iniziativa popolare che chiede al governo di rendere pubblici i protocolli segreti e di rimettere in discussione le basi militari USA-NATO imposte dai trattati internazionali al nostro paese. A settembre partirà la raccolta di firme in tutta Italia mentre continua a svilupparsi la campagna contro l’adesione italiana allo Scudo missilistico USA in Europa. Sono questi – insieme alla mobilitazione per impedire l’avvio dei lavori al Dal Molin, la nuova base militare USA a Vicenza – gli obiettivi del programma di lavoro della Rete nazionale “Disarmiamoli” che sabato 30 giugno terrà il suo incontro nazionale (inizio lavori ore 10.00 al centro congressi Cavour, via Cavour 50/A).
Protagonista insieme ad altre reti antimilitariste della Carovane contro la guerra che hanno attraversato tutto il paese tra maggio e giugno – tenendo più di 40 tra incontri, assemblee, sit in dalla Val di Susa a Sigonella, da Aviano a Colleferro, da Novara a Camp Darby -  la Rete Disarmiamoli è stata anche una dei promotori della riuscita manifestazione del 9 giugno scorso contro la visita di Bush e la politica militarista del governo Prodi. “Le lotte contro la base a Vicenza, lo scudo antimissilistico, le basi USA NATO, la presenza all’estero delle truppe coloniali italiane, la militarizzazione dei territori e della vita sociale escono enormemente rafforzata dalla manifestazione del 9 giugno” sostiene la Rete Disarmiamoli. “A noi la capacità di socializzare e radicare questa grande energia nelle lotte dei prossimi mesi rafforzando l’autonomia dei movimenti dalle scelte militariste del governo e dei partiti che lo sostengono”. All’incontro di sabato 30 giugno, a Roma, parteciperanno sia personalità ed esperti impegnati nel movimento contro la guerra come Manlio Dinucci, Andrea Licata, Claudio Giangiacomo sia i rappresentanti dei comitati sorti nelle città dove esistono movimenti contro le basi e le servitù militari. All’incontro non mancheranno – tra l’altro – gli esponenti del presidio permanente contro il Dal Molin di Vicenza.

Parteciperanno:
Paolo Consolaro del Presidio Permanente No Dal Molin - 
Manlio Dinucci, saggista - Avv. Giangiacomo Claudio della  
Associazione Ialina - Antonella Mangia e Marica Ciminelli 
del Coordinamento salentino contro le basi militari e la guerra 
- Raniero Germano Federazione CUB Vicenza -  Patrizia Creati e 
Tiziano Cardosi di Semprecontrolaguerra - Alfonso Navarra del 
Coordinamento "Fermiamo chi scherza col fuoco atomico" - 
Giovanni Venditti RdB CUB Benevento - Oreste Strano, Coordinamento 
contro gli F35 Novara -  Campagna per la smilitarizzazione di 
Sigonella - Comitato per lo smantellamento e la riconversione a 
scopi esclusivamente civili base USA di camp Darby - Coordinamento 
contro la guerra valle del Sacco/Colleferro – Beppe Di Brisco, 
Attac Foggia – Andrea Licata, CUCA2000 – Luigi Casali e Antonino 
Lania, Segreteria regionale RdB CUB Piemonte – Fabio Caso, Comitato
difesa territorio Cremona – Valentina Cancelli, No TAV Val di Susa
Patrizia Cammarata, Vicenza,componente "Comitato degli abitanti e dei lavoratori 
di Vicenza Est-Contro la costruzione di una nuova base a Vicenza/per la conversione 
della caserma Ederle ad usi civili" – Asti Social Forum - collettivo comunista 
"Utopia e Lotta" contro la base nato di poggio renatico (Ferrara)
Associazione Umanista Mondo Senza Guerre - Rete contro tutte le guerre di 
Messina

Info: www.disarmiamoli.org; info@...  tel. 3381028120 (Roberto Luchetti)

---

30 giugno 2007, Roma -  Centro congressi Cavour, ore 10  
 
PER UNA AGENDA DI LAVORO CONTRO  

BASI MILITARI, INVESTIMENTI BELLICI,
MILITARIZZAZIONE DEI TERRITORI E DELLA VITA SOCIALE  
 
Incontro della Rete nazionale Disarmiamoli!  
 
Il movimento contro la guerra italiano ha raggiunto in questi mesi un alto grado di maturità politica.
Nonostante i tentativi di criminalizzare, sminuire, boicottare, “circuire” la manifestazione nazionale del 9 giugno contro le politiche belliciste di  Bush & Prodi, il bellissimo e partecipato corteo sfilato da Piazza Esedra a Piazza Navona ha evidenziato un dato oramai incontrovertibile: contro le politiche di guerra in Italia esiste una soggettività plurale capace di muoversi sulla base di precise parole d’ordine, indipendentemente dalle mille sirene filo governative messesi in moto ben prima della risicata vittoria elettorale del governo di centro sinistra. Un intero ceto politico si è ritrovato solo, isolato dalle piazze, dalle aspettative tradite di milioni di ex “elettori”.
Le esperienze concrete delle realtà che da anni si battono contro le basi militari, la militarizzazione e lo scempio dei territori sono punti di riferimento imprescindibili per il rafforzamento di questo nuovo movimento cresciuto nel paese. Su questo reticolo di comitati, forum sociali, associazioni pacifiste, strutture antimperialiste, la Rete nazionale Disarmiamoli ha scommesso in questi mesi e continuerà a scommettere nel prossimo futuro, proponendo già alla fine di giugno un incontro nazionale per “rinserrare le fila” delle tante strutture incontrate dalle carovane contro la guerra che dal 19 al 9 giugno hanno attraversato l’Italia, per concentrarsi nelle manifestazioni romane.
Le lotte contro la base a Vicenza, lo scudo antimissilistico, le basi USA NATO, la presenza all’estero delle truppe coloniali italiane, la militarizzazione dei territori e della vita sociale escono enormemente rafforzata dalla manifestazione del 9 giugno. A noi la capacità di socializzare e radicare questa grande energia nelle lotte dei prossimi mesi.
Le tappe che hanno portato a questa nuova fase lasciano il segno di una identità forte, in dialettica diretta con i movimenti che in Italia e nel mondo si battono concretamente contro la militarizzazione e lo scempio dei territori, contro le basi militari e le logiche di guerra, siano esse uni o multi laterali.
La Rete nazionale Disarmiamoli ha praticato un concreto percorso di ricomposizione con l’obiettivo di riportare nell’agenda politica nazionale la lotta antimilitarista contro basi di guerra, accordi militari e truppe di occupazione all’estero. L’assunzione nelle piattaforme nazionali del movimento No War delle  parole d’ordine proposte in questi mesi è un importante passo in avanti in questa direzione. 
Si tratta ora di raccogliere le forze, rilanciando la mobilitazione sui temi e gli obiettivi che scaturiscono dalle recenti mobilitazioni, a partire dalla impellente questione Dal Molin.
L’incontro nazionale che proponiamo per sabato 30 giugno ha questo scopo, divenendo nel contempo momento di confronto tra realtà territoriali, rafforzamento della rete di relazioni ed organizzazione per le campagne del prossimo autunno.

I TEMI CHE PROPONIAMO ALLA DISCUSSIONE SONO:
1)      coordinamento delle mobilitazioni intorno alle “aree di crisi”, assumendo in pieno lo spirito del Patto di mutuo soccorso anche sul terreno della lotta antimilitarista, a partire dalla immediata mobilitazione al fianco del Presidio permanente No Dal Molin. Attenzione particolare andrà data nei prossimi mesi alle mobilitazioni contro la costruzione degli F35 a Cameri, contro l’ampliamento delle basi di Sigonella e camp Darby
2)      Rilancio della mobilitazione contro lo scudo antimissilistico, a partire dalla raccolta di firme sulla Petizione popolare
3)      Organizzazione del Comitato Promotore per la Legge di Iniziativa Popolare sui trattati internazionali e sulle basi e servitù militari
4) rafforzamento della rete di relazioni nazionale in previsione del rilancio autunnale delle mobilitazioni
Dalle manifestazioni al fianco della resistenza libanese nell’agosto del 2006 durante i bombardamenti israeliani, alla manifestazione del 17 febbraio al fianco del popolo palestinese, sino al corteo del 17 marzo che ricordava l’anniversario dell’invasione dell’Iraq, decine di migliaia di militanti si sono mobilitati, indipendentemente dalle strutture delle grandi “organizzazioni di massa”, impegnate a cogestire la “nuova” politica estera dalemiana. I 150.000 scesi in piazza il 9 giugno contro Bush e le politiche militariste del governo Prodi esprimono ora - questo è il dato di novità assoluta - una soggettività plurale indipendente da politiche estere con connotati chiaramente bipartisan. 
Su questa capacità di autonomia ed indipendenza è bene che tutti riflettano. Il movimento contro la guerra più che di leader avrà bisogno nei prossimi mesi di unità e radicamento, di contenuti in grado di amalgamare settori sociali diversi colpiti quotidianamente dai costi bellici, di coerenza nelle campagne contro la militarizzazione dei territori, a partire dalla battaglia che ci aspetta a Vicenza contro la base al Dal Molin.
Nel vivo di queste iniziative e mobilitazioni nasce l’ipotesi della Rete nazionale Disarmiamoli, con l’obiettivo di mettere a valore il lavoro di tante realtà territoriali impegnate da anni contro le basi USA NATO presenti nel nostro paese, contro la militarizzazione dei territori e della vita sociale.
In questo tragitto abbiamo incontrato altre reti di movimento, portatrici di culture e prassi politiche differenti, ma ugualmente determinate a tener fede agli obiettivi storici del “No alla guerra senza se e senza ma”. Con queste realtà abbiamo pianificato il progetto delle Carovane contro la guerra, per il disarmo e la pace, veicolo concreto per conoscere e confrontarci, dal Nord al Sud del paese, con i tanti comitati, social forum, associazioni e collettivi di “resistenti”, tessuto connettivo imprescindibile del presente e del futuro movimento contro la guerra.
Dal 19 maggio al 2 giugno abbiamo toccato oltre 50 realtà, grandi e piccole, dalla Sicilia al Veneto, dal Piemonte alla Toscana, dalla Puglia alla Campania, per giungere a Roma a contestare il militarismo dei fori imperiali, oggi legittimato anche dalla spilletta del Presidente della Camera.
Durante le tappe abbiamo raccolto le firme sulla Petizione popolare contro lo scudo antimissilistico, divulgato i testi delle leggi di iniziativa popolare contro accordi militari, basi USA / NATO e ordigni nucleari, diffuso i materiali e le informazioni di comitati ed esperti sulle basi e sulle guerre in atto, smascherando le false politiche “di pace” di un governo intriso di militarismo e servilismo verso il gigante d’oltreoceano.  
Il 30 giugno sugli obiettivi praticati sino ad oggi e sulle proposte che emergeranno durante il dibattito ci impegneremo, chiamando tutte le realtà del movimento No War ad un confronto fattivo, in grado di rafforzare complessivamente la lotta contro i venti di guerra che soffiano forte su tutto il continente eurasiatico e mediorientale.

La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org   info@disarmiamoli.org  3381028120


Prime adesioni:
Paolo Consolaro del Presidio Permanente No Dal Molin - Manlio Dinucci, saggista - Avv. Giangiacomo Claudio della  Associazione Ialina - Antonella Mangia e Marica Ciminelli del Coordinamento salentino contro le basi militari e la guerra - Raniero Germano Federazione CUB Vicenza -  Patrizia Creati e Tiziano Cardosi di Semprecontrolaguerra - Alfonso Navarra del Coordinamento "Fermiamo chi scherza col fuoco atomico" - Giovanni Venditti RdB CUB Benevento - Oreste Strano, Coordinamento contro gli F35 Novara -  Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella - Comitato per lo smantellamento e la riconversione a scopi esclusivamente civili base USA di camp Darby - Coordinamento contro la guerra valle del Sacco/Colleferro – Beppe Di Brisco, Attac Foggia – Andrea Licata, CUCA2000 – Luigi Casali e Antonino Lania, Segreteria regionale RdB CUB Piemonte – Fabio Caso, Comitato difesa territorio Cremona – Valentina Cancelli, No TAV Val di Susa



(english / srpskohrvatski)

Albanska mafija kupila Ahtisarija

(in base ad indiscrezioni apparse sulla stampa serbo-bosniaca, i servizi segreti tedeschi avrebbero spedito al Segretario generale dell'ONU informazioni relative ad un versamento di almeno 40 milioni di euro che le lobby pan-albanesi avrebbero effettuato a favore del "mediatore" Marti Ahtisaari affinchè quest'ultimo caldeggiasse la secessione del Kosovo)

1) Speaker: Determine truth about Ahtisaari 
2) Fifty Million Dollars and Up for Dismembering a Medium-Size Sovereign State
3) http://www.fokus.ba : Albanska mafija kupila Ahtisarija
4) R.K. Kent: ON THE BEST NATIONAL INTERES THAT  MONEY CAN BUY


=== 1 ===

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2007&mm=06&dd=24&nav_category=90&nav_id=42018

FoNet (Serbia)
June 24, 2007

Speaker: Determine truth about Ahtisaari

BELGRADE - Parliament Speaker Oliver Duliæ reacted to
allegations Martti Ahtissari took money to propose
independence for Kosovo.

“All of this needs to be investigated and the truth
ought to be determined, and if it turns out this is
true, it will cast a huge shadow over the final Kosovo
settlement process,” Duliæ said.

Banja Luka’s Fokus magazine reported earlier this week
that the German intelligence agency BND had sent a
report to UN Secretary-General Ban Ki-moon, which
allegedly confirms suspicions that Kosovo Albanian
leaders paid UN Kosovo Envoy Martti Ahtisaari EUR 40mn
in order to suggest independence for the province in
his Kosovo settlement plan. 


=== 2 ===

Source: http://www.byzantinesacredart.com/blog/

June 23, 2007

BND: White Slaves and Millions of Heroin Dollars for Ahtisaari’s Plan

Fifty Million Dollars and Up for Dismembering a Medium-Size Sovereign State


Former Finnish president and one of the world’s most respected living Nazis Martti Ahtisaari (i.e. Adolfsen) is a very busy man these days. Turkey — correctly noting Ahtisaari’s strong pro-Muslim bias, undoubtedly a result of historically sound and productive fascist/Muslim alliances — wants Ahtisaari to help them break into the EU. In Northern Ireland, where Ahtisaari was meddling before, he was appointed an “international advisor” to a reconciliation group.

Let’s hope they can afford the 70-year-old whore with a steep price list.

According to the June 21 article by the Banja Luka daily Fokus, titled “Albanian Mafia Bought Ahtisaari,” German Federal Intelligence Service BND (Bundesnachrichtendienst) has recently sent a report to the UN Secretary-General Ban Ki-moon revealing that Albanian separatists and terrorists in Serbian Kosovo-Metohija province have literally purchased Ahtisaari’s plan which suggests independence for the Serbian province and its severing from Serbia.

German Secret Service has found that 2 million Euros (2.68 million USD) have been transfered directly to Ahtisaari’s personal bank account, and that amounts of multi-million Euros were given to the UN envoy in cash on at least two occasions, totaling up to 40 million Euros (over 53 million U.S. dollars).

According to the Fokus’ source, the German BND Secret Service Brigadier Luke Neiman was directly appointed by the German government to designate part of the German Secret Service apparatus to the United Nations Mission in Kosovo, after the UN Secretary-General Ban Ki-moon requested such service. It was, therefore, the UN Secretary-General who received the detailed report about the corruption of his special envoy Martti Ahtisaari.

Reportedly, the BND agents have immediately discovered clear connection and regular contacts between the leading figures of Kosovo Albanian mafia, their subordinates and Martti Ahtisaari. The agents have also established that Ahtisaari has had frequent telephone communications with the Albanian billionaire, mafia boss living in Switzerland Bexhet Pacolli.

Price of the “Supervised Independence:” Two Million Via Bank, Four Coffers of Heroin Cash and Couple of White Slaves

One of the recorded conversations was pertaining to a transaction in the amount of 2 million Euros from the Swiss bank in Basel, the account No. 239700-93457-00097, protected as an offshore account under the code XS52-KOLER. The account owner is Exhet Boria, the right hand of the Albanian mafia boss. Two million Euros were transfered from this to the account No. 3459346699004533, code VOLANND, in the Cyprus bank. In order to withdraw the money from these accounts, all that was needed was to give the codes to a bank teller.

German Intelligence Service agents have made a note that on February 12, 2007, at 6:23 a.m., jeep with the registration plates PR-443-22CD, which belongs to the Kosovo Albanian provisional “government”, arrived in front of the UN Special Envoy Martti Ahtisaari’s building. Two men carrying two silver-color briefcases went in, handing the briefcases to Ahtisaari. A source in the building later confirmed that the briefcases were filled with cash and given to the UN envoy.

Twelve days later, at 5:44 p.m. the exact same thing took place, only this time it was Exhet Boria personally who exited the black Mercedes Benz with no plates, followed by the two bodyguards carrying two silver-color briefcases.

BND agents found that all four briefcases, later protected with the diplomatic labels, safely arrived to Finland without check-ups and were delivered to Martti Ahtisaari’s home address.

On the last day of February, at 11:47 p.m., German Secret Service agents made a note about the arrival of the KFOR (NATO troops stationed in Serbian Kosovo province, Kosovo FORce) jeep which brought two young women over, followed by Boria’s bodyguard. The girls were in Ahtisaari’s quarters until 5:17 a.m., when they were driven away by the same vehicle.

Posted by Svetlana at 09:50 AM | Permalink | Comments (4) | TrackBacks (1)


=== 3 ===

http://www.fokus.ba/vidi.php?rub=2&vijest=1649

Albanska mafija kupila Ahtisarija


Z. ŠARENAC | 21.06.2007 19:02


Sumnje da je albansko rukovodstvo na Kosovu "kupilo" konačni plan Marti Ahtisarija, koji definitivno ide u korist nezavisnosti i otcjepljenju Kosova od Srbije, potvrđene su u izvještaju njemačke obavještajne službe BND, upućene generalnom sekretaru UN, Ban Ki Munu.
Ova tajna služba otkrila je da je na Ahtisarijev privatni račun prebačen iznos od dva miliona evra, te da su u nekoliko navrata isplaćene višemilionske cifre u gotovini za koje se pretpostavlja da se kreću i do 40 miliona evra.
Prema izvoru "Fokusa", brigadir njemačke tajne službe BND, Luk Niman, direktno je zadužen od njemačke vlade da stavi dio obavještajnog aparata u službu UN po nalogu i molbi generalnog sekretara UN, Ban Ki Muna, koji je dobio informacije o korupciji specijalnog izaslanika za Kosovo, Marti Arthisarija.
Nakon što su upućeni na Kosovo, agenti BND otkrili su jasnu i učestalu vezu i komunikaciju između vodećih ljudi albanske mafije, njihovih posrednika i Marti Ahtisarija.
Prema nalazima agenata, nekoliko poziva prema zgradi specijalnog izaslanika za Kosovo, Marti Ahtisarija, upućeno je i s brojeva koji pripadaju šiptarskom milijarderu Beksetu Pacoliju.
Sadržaj razgovora s ovog broja odnosio se na nepoznatu transakciju novca u iznosu od dva miliona evra iz jedne švajcarske banke u Bazelu, s računa 239700-93457-00097, zaštićenog kao ofšor podračun prema šifri XS52-KOLER, čiji je vlasnik Ekshet Boria, desna ruka lidera albanske mafije, prema direktnom računu 3459346699004533, šifra računa VOLANND, Kiparske banke.
Pri podizanju novca s ovih računa, na šalteru je dovoljno bilo samo izgovoriti imena ovih šifri i novac bi bio predat.
Agenti BND zapazili su da je 12. februara ove godine u šest časova i 23 minuta džip registarskih oznaka PR-443-22CD, koji pripada albanskoj vladi, stigao ispred zgrade specijalnog izaslanika UN, Marti Ahtisarija.
Iz džipa su izašla dva čovjeka s dva kofera srebrne boje, za koje je kasnije iz izvora u zgradi utvrđeno da su bili puni keša i da su predati Ahtisariju.
Sličan slučaj dogodio se dvanaest dana kasnije u 17 časova i 44 minuta, kada je primijećen dolazak crnog mercedesa bez tablica, s Ekshet Borijem, koji je u pratnji dva tjelohranitelja, koji su nosili dva kofera srebrne boje, donio drugu višemilionsku isplatu Ahtisariju na ruke.
Agenti su otkrili kako su sva četiri kofera, naknadno zaštićena diplomatskim markicama, bez provjere otputovala u Finsku, na kućnu adresu Marti Ahtisarija.

Sve za nezavisnost 


Posljednjeg dana februara, u 23 časa i 47 minuta, primijećen je dolazak džipa KFOR-a, iz kojeg su izašle dvije djevojke u pratnji jednog Borijinog tjelohranitelja.
Djevojke su bile u Ahtisarijevim odajama do pet sati i 17 minuta ujutro, kada je zabilježen njihov odlazak istim vozilom, upratili su agenti BND.


=== 4 ===

ON THE BEST NATIONAL INTERES THAT  MONEY CAN BUY

R.K.Kent

 

Foreign press notes that the U.N. Secretary General has received a detailed report from the German Intelligence Service (BND).  Ban Ki-moon had requested himself that a section of BND be posted to  the U.N. Mission at Kosovo to unravel  the web of complexities which envelop this province of Serbia. As is widely known the U.N.'s Special Envoy Martti Ahtisaari has proposed  to sever Kosovo from Serbia, act which would create a newly independent state on the grounds of Albanian demographic  preponderance.

If implemented, it would not only violate the U.N.'s own resolution to the contrary. It well could  give a green light to similar candidates in Spain and France, in Great Britain (independent Scotland) as well as lead to a  Mexican-American movement (seconded by Mexico  and supported by the Union of Latin American States) demanding that California be severed from the United States and  given the status of an independent and internationally recognized state. Why not independent Texas, not to add more candidates around the planet Earth? But, these projections are not of immediate concern, especially when contrasted with a sensational and detailed revelation. The assigned  BND team, led by Brigadier Luke Neiman.  discovered without much effort that Mr.  Ahtisaari had frequent contacts with Albanian separatist leaders and had received large sums of money with the equivalent value of about 53 million dollars. The details are listed with teutonic precision.

Among them are recorded conversations about money transfers, specific bank accounts and codes in Switzerland and Cyprus, substantial supplies of heroin, procurement of two female white slaves and a visit to  Mr.Ahtisaari's residence (at 6.23 AM on 12 February 2007) of a Jeep with the plate of PR-443-22CD. It was a vehicle owned by the Albanian “provisional” government at Kosovo's capital of Pristina. In addition, it appears that Mr.Ahtisaari has some old pro-Nazi skeletons in his closet and has cultivated a pro-Muslim bias stemming probably from  the Nazi/Fascist/Muslim  alliannces  during  World War II.

Whithout knowing the BND discoveries, the present writer has urged the previous U.N. Secretary to dismiss Mr. Ahtisaari without delay and appoint someone who is not in any way imbedded either with the Albanians or the Serbs. No doubt because Mr. Ahtisaari is a former head of state and is  “widely respected” internationally, the ex-Secretary did not act. With the detailed information  from the BND, it should be impossible to allow him to keep his post or accept his plan a priori.

It is not a secret that Albanian sources have made donations to members of our Congress and that the recipients have argued in favor of taking Kosovo  from Serbia and givig it to the Albanian majority.Even a former U.S. Secretry of State, an ardent supporter of independent Albanian Kosovo , has now  a  telecommunications  company in Kosovo itself. There does not seem to be anything illegal in donating electoral funds to our Solons. The impact is not going to be at home and what happens overseas as a result of our pro-Albanian  Legislators is of no concern since they are not accountable to anyone. The policy of the previous home Administration could be summed-up: “feed the Serbs to the Muslim desiderata” as this would buy good will in the Middle East. The result is the birth of Al-Q'uaida by way of  Bosnia and the growing Wahabyya among the Albanian Muslims at Kosovo. If we can perhaps  be excused because of knowing very little about Balkan history and the context in which it unravels, this is not true of Western Europe even as it marches with the repetitive U.S. Foreign policy. Western Europe knows well that the Serbs were  “keepers of the gates “ through which the Ottomans tried to pass and attain the conquest of entire Western Europe. An older European generation also remembers that the Serbs had made considerable contributions to the Allied victories  in World Wars I and II but our people do not even know that one of the smallest minorities in the U.S., Americans of Serb origin, produced  seven men who earned  Congressional Medals of Honor  in both Wars. Our public does not know that the Serbs saved over 300 fallen American pilots in WW II and returned them to duty. But, it has been informed by our Government and mainstream media that “the Serbs” are the sole aggressirs in ex-Yugoslavia and all the other “tribes” in it are victims despite an obvious tripartite fratricide assisted  very much from abroad. Virtual reality replaces reality itself. All  in the name of some geopolitical ideology which has encapsulated  the highest echelons into its web in the mirific belief that we can alter human nature and change the world permanently.





www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 26-06-07 

da Serbian network
 
Una risposta a Noam Chomsky
 
di Ljubodrag Simonovic    

 

Maggio 2007  

 

Il Signor Chomsky merita rispetto per la sua coraggiosa resistenza nei confronti della politica imperialista americana. Sfortunatamente, nell’intervista sul quotidiano di Belgrado “Politika” del 7 e 8 Maggio, Chomsky vede come ultima soluzione alla crisi nei Balcani la realizzazione della politica di Washington.

 

Alla domanda “Cosa vede come soluzione realistica allo status finale del Kosovo e quanto essa differisce da ciò che gli Stati Uniti sostengono oggi?” Chomsky risponde: «Già da molto tempo mi sembra che l’unica soluzione realistica allo status finale del Kosovo sia veramente quella proposta dall’ex presidente della Serbia (Dobrica Cosic), penso del 1993, che è una specie di “partizione” dei Serbi. Sono rimasti pochi Serbi, ma le regioni che sono sempre state Serbe devono far parte della Serbia, il resto può essere “indipendente”, come si dice, che vuol dire integrato all’Albania. Non vedo semplicemente nessun’altra soluzione ancora oggi».

 

L’idea di Chomsky non è nuova. Questo è un “modello” per il Kosovo, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu realizzato dai fascisti Italiani e Tedeschi. A proposito del riferimento a Dobrica Cosic, l’ex Presidente della Yugoslavia, esso costituisce, nella realtà dei fatti, un alibi molto complesso, alla luce delle motivazioni che stavano dietro al sostegno di Cosic nei confronti della divisione del Kosovo. La posizione di Chomsky è esattamente identica a quella della classe dirigente americana.

 

Ciò significa che Chomsky non parla di una soluzione giusta e negoziata per il problema del Kosovo, ma di una “soluzione realistica”, Qual è realmente la base del “realismo” di Chomsky? Prima di tutto il fatto che gli Albanesi sono la maggioranza in Kosovo e che essi non vogliono vivere in Serbia. Sarebbe veramente “realistico” il “realismo” di Chomsky se l’America non si nascondesse dietro agli Albanesi?

 

In quel caso non avrebbe forse applicato un altro tipo di realismo, e cioè che gli Albanesi rappresentano circa il 15% della popolazione della Serbia e che i Serbi, che sono la maggioranza, non vogliono che il Kosovo si separi dalla Serbia? La “soluzione realistica” di Chomsky è fondata, di fatto, sui risultati della pulizia etnica nei confronti dei Serbi e degli altri non-Albanesi (circa 300.000), portata avanti dai gruppi terroristici Albanesi che, anche secondo Chomsky, furono organizzati e armati dagli Stati Uniti, come anche la colonizzazione in Kosovo di centinaia di migliaia di Albanesi provenienti dall’Albania.

 

Cosa succederebbe se il principio della “autodeterminazione” fosse applicato per risolvere il problema delle minoranze etniche nei paesi europei?

 

Secondo Chomsky, sarebbe una “soluzione realistica” il distacco della Macedonia occidentale e la sua annessione all’Albania? Oppure l’annessione da parte della Grecia di quelle parti dell’Albania in cui i Greci sono la maggioranza? Oppure l’annessione da parte dei Turchi di quelle parti della Bulgaria e della Grecia dove rappresentano la maggioranza? Oppure l’annessione da parte dell’Ungheria di quelle parti della Romania, della Serbia e della Slovacchia dove essi sono la maggioranza della popolazione?

 

E a proposito dell’Abkhazia, del Sud Ossezia, del Nagorno-Karabach, eccetera?

 

E la Catalogna, i Paesi Baschi, la Corsica, il Sud Tirolo, le parti della Turchia dove i Curdi sono la maggioranza, oppure la Crimea e altre parti dell’Ucraina popolate dai Russi, come anche gli Stati baltici con una maggioranza di popolazione russa?

 

Chomsky offre agli Albanesi del Kosovo come minoranza nazionale il diritto di formare uno Stato proprio e di essere annessi all’Albania. E cosa possiamo dire allora del diritto dei Serbi e dei Croati in Bosnia ed Erzegovina, dove non sono minoranze nazionali, ma popoli costitutivi, dove sta il loro diritto di decidere della loro indipendenza?

 

Il problema è se Chomsky è consapevole che la sua concezione “realistica”, di fatto, dà legittimità al principio della pulizia etnica apertamente sostenuta dall’amministrazione americana. La concezione di Chomsky, indipendentemente dai reali motivi del suo autore, rappresenta un invito ad una rottura violenta degli Stati multietnici. Questo cosa significherebbe per la Serbia dove vivono 24 nazionalità? In pratica, tutte le zone di confine della Serbia diventerebbero regioni in cui in cui potrebbero essere provocati conflitti etnici con lo scopo di realizzare poi un’annessione con gli Stati confinanti. In effetti, esistono già provocazioni in quelle parti del paese abitate da Musulmani (Sangiaccato) e da Ungheresi (Voivodina).

 

Come può la secessione di quella parte del paese che rappresenta la fondazione dello Stato Serbo e della coscienza nazionale di un popolo essere accettato “pacificamente”dai Serbi? I serbi sono consapevoli che i veri occupanti del Kosovo non sono gli Albanesi, ma gli Americani. Chomsky non menziona la presenza in Kosovo di Camp “Bond-Steel”, che è la più grande base militare americana in Europa. E questa è, di fatto, la principale ragione per cui gli Americani stanno cercando di staccare il Kosovo dalla Serbia e di annetterlo all’Albania.

 

Gli Americani stanno cercando di trasformare i Balcani e gli stati dell’Est europeo in un corridoio militare per isolare l’Europa dalla Russia e per impedire all’Europa di raggiungere il Medio Oriente. La “Grande Albania” diventerebbe il punto strategico principale nel piano americano di mettere radici sul territorio europeo.

 

Nella sua intervista Chomsky “ha dimenticato” di menzionare il fatto che la ragione fondamentale per il bombardamento della Yugoslavia fu il rifiuto di Milosevic di firmare il documento a Rambouillet, nel quale gli Americani chiedevano il dispiegamento in Yugoslavia di più di 30.000 soldati NATO.

 

Di fatto, essi chiesero a Milosevic di sottoscrivere l’occupazione del suo paese.

 

Rispondendo alla domanda: “Perché gli Usa cominciarono quella guerra?”, Chomsky fa riferimento al libro di John Norris che dichiara: “la vera causa della guerra non ha niente a che vedere con gli Albanesi del Kosovo, la vera causa fu che la Serbia non effettuava le riforme sociali e di mercato richieste, che significava che era l’unico angolo d’Europa che rifiutava di accettare i programmi neo-liberisti dettati dagli Stati Uniti e questo doveva essere fermato”.

 

Nella stessa intervista Chomsky dice che Milosevic “avrebbe dovuto essere rovesciato, e probabilmente lo sarebbe stato, nei primi anni ’90, con i voti albanesi.” Chomsky vede nei gruppi politici che in Serbia hanno fatto da “cavallo di Troia” per gli Stati Uniti e che hanno ricevuto centinaia di migliaia di dollari dagli Usa per rovesciare Milosevic, e nei separatisti albanesi, le forze che avrebbero rovesciato Milosevic.

 

Come si può combattere la politica criminale degli Stati Uniti nei Balcani, e, allo tesso tempo, sostenere le forze politiche che portano avanti gli interessi americani nei Balcani?

 

Qual’è l’opinione di Chomsky su Milosevic? Chomsky pensa che Milosevic “ha commesso molti crimini”, “che non è una persona buona”, “che è una persona terribile, ma che le accuse contro di lui non avrebbero mai potuto essere dimostrate”. Alla domanda “Sei un simpatizzante di Milosevic?” Chomsky risponde: “No, egli era terribile…certamente non avrei mai cenato con lui o parlato con lui. Si meritava di essere condannato per i suoi crimini, ma il suo processo non è stato eseguito in modo equo. Esso era una farsa ed ora sono contenti che sia morto”.

 

Per quali crimini avrebbe dovuto essere stato processato Milosevic e perché avrebbe dovuto essere rovesciato all'inizio degli anni novanta?

 

L’uomo che introdusse il sistema multi-partitico e che portò avanti una Costituzione secondo la quale il cittadino e non la nazione sono la base per la formazione politica della società, cosa che fu fortemente combattuta dalle forze che Chomsky sostiene.

 

Chomsky non da’ una risposta concreta alla domanda ricorrente. Fondamentalmente, Chomsky non ha una visione politica dei Balcani che possa dare a questi paesi la possibilità di preservare la loro indipendenza, senza la quale la storia delle “libertà democratiche” è solo una farsa. Questa è la ragione per cui Chomsky ha teorizzato un’opposizione “democratica” che avrebbe dovuto rovesciare Milosevic, qualcosa che non è mai realmente esistita.

 

Madeleine Albright ha detto molte volte che la Yugoslavia è stata bombardata con lo scopo di portare al potere coloro che avrebbero sostenuto la politica Americana nei Balcani. Questa è la vera opposizione che cercò di rovesciare Milosevic e che andò al potere il 5 Ottobre del 2000 e che trasformò la Serbia e il Montenegro in una colonia Americana.

 

Nella “democrazia” che l’occidente ha imposto alla Serbia con l’aggressione militare, più del 50% della popolazione abile al lavoro è disoccupata; più del 65% dei giovani sotto i 30 anni è senza lavoro; il salario medio è al di sotto dei 300 euro al mese; circa l’80% delle persone impiegate nel settore privato non hanno tutele sociali, solo a Belgrado ci sono più di 80.000 tossicodipendenti; oggi gli studenti pagano tasse dieci volte più alte rispetto ai tempi di Milosevic; nel processo di forzata privatizzazione quasi tutte le più importanti fabbriche, miniere, risorse idriche e altre proprietà pubbliche sono state vendute per pochi soldi alle compagnie occidentali o alle mafie locali; il prodotto interno lordo è sceso al di sotto dei livelli raggiunti anche nei momenti delle più severe sanzioni economiche ed embarghi; non vi è mai stato un numero così alto come oggi di giovani che emigrano fuori del paese; le testate giornalistiche e televisive critiche verso l’Occidente sono state chiuse, ogni giorno le persone che non si adeguano alle politiche dominanti stanno perdendo il loro lavoro, ogni giorno le banche vengono rapinate, i lavoratori delle poste uccisi, la gente muore nelle lotte di mafia…

 

La Serbia è diventata una società “democratica”, secondo gli standard occidentali.

 

Che a Chomsky piaccia o meno, Slobodan Milosevic era ed è ancora un simbolo della lotta per la libertà del popolo Serbo. Non è un caso che alla sua cerimonia funebre a Belgrado e a Pozarevac fossero presenti molte più persone di quante si trovarono il 5 ottobre del 2000.

 

Uno degli slogan era “Il Kosovo è La Serbia!”. Questa è la realtà sulla quale dobbiamo insistere se vogliamo la pace nei Balcani.
 
Traduzione dall’inglese per resistenze.org a cura del Forum Belgrado Italia



JUGOSLAVENSKI GLAS (Svakog drugog utorka na Radio Citta' Aperta)

Emisija je u direktnom prijenosu. Moze se pratiti  i preko  Interneta:                   


Kratke intervencije na telefon +39-06-4393512.
Pisite nam na jugocoord@tiscali .it, ili fax  +39-06-4828957.

                            


VOCE JUGOSLAVA  (Ogni due martedi')

su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio. Si può seguire, come del resto anche le altre trasmissioni della Radio,  via Internet:


La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità) ed in diretta. Brevi interventi telefonico allo 06-4393512.
Scriveteci all'indirizzo email: jugocoor@tiscali .it, fax 06-4828957. 

 

Program                  14. sati   26.VI.2007   ore 14              Programma

Recensione del libro-documento
Il Dossier nascosto del "genocidio" di Srebrenica
(trasmissione a cura di Marco Santopadre)




 

La deriva anti-socialista di Liberazione

1) A che gioco gioca Nocioni? (e Liberazione?) (Claudia Cernigoi)
2) Lettera a Liberazione sul Venezuela (Fosco Giannini)
3) L’ON. FOLENA NON HA IL COPYRIGHT DELLA DEMOCRAZIA (Ass. Naz. Italia-Cuba)
4) Penne all’arrabbiata in salsa creola (PuntoCritico)
5) Risposta ai 24 redattori di Liberazione (Comitato Fabio di Celmo ed altri)
6) La libertà è anche il rispetto della verità (Michele Capuano ed altri)
7) Lettera al direttore (Giovanni Caggiati)
8) Lettera che forse non verrà pubblicata (Sergio Bovicelli)
9) Cuba, Venezuela, "Liberazione" e la verità (Mercedes Frias, eurodeputata)
10) Risposta e controrisposta al compagno Sansonetti (Samir Amin ed altri)
11) EMBARGHI (Cesare Allara)


LINK

Cosa c'è dietro l'acrimonia verso Cuba?

Sono profondamente addolorato da come il vostro giornale, con gli articoli di Angela Nocioni, e con le risposte di Piero Sansonetti e Rina Gagliardi, ha parlato di Cuba, accodandosi all’infame campagna imperialistica. Per di più, come giustamente ha fatto notare Fabio Amato, il nostro rappresentante esteri, con scarso rispetto delle persone (le mogli dei “Cinque” e il povero papà Di Celmo presentati come approfittatori)...

di Giuseppe Abbà, redazionale del 6/6/2007  


=== 1 ===

A che gioco gioca Nocioni? (e Liberazione?)

Dopo gli orrendi articoli contro Cuba, l'inviata di Liberazione Angela Nocioni è tornata al suo antico amore (o forse bisognerebbe dire "odio"): il governo venezuelano di Hugo Chavez. Già un paio di anni or sono la signora si era dedicata ad un paio di servizi di mero "sputtanamento" del presidente Chavez, intervistato ma "amabilmente" preso in giro nei commenti post-intervista. Poco prima di dedicare le proprie "cure" a Cuba (cosa della quale avremmo fatto volentieri a meno) Nocioni aveva nuovamente avuto modo di parlare (male, ne dubitavate?) del governo del Venezuela "intervistando" il ministro degli esteri Nicolas Maduro, definito "Bruce Willis della rivoluzione" o anche "rottweiler del presidente".
Oggi, 13 giugno 2007, ecco la recidiva: sotto il titolo "la mappa del potere a Caracas, ecco gli uomini di Chavez", l'ineffabile Nocioni esordisce con queste parole: "decide tutto lui. Da solo. Quando far tuonare il ministro degli Esteri contro la diplomazia colombiana e quando inaugurare il trenino di Caracas. Cosa dire alle riunioni dell'Opec e in quale corridoio spostare l'albero di Natale". L'articolo prosegue su questo tono per altre 14 righe, nelle quali il lettore presume che il soggetto di cotanta verve ironica sia il presidente Chavez, cosa che pare evidentemente superfluo specificare all'autrice dell'articolo, che il direttore Sansonetti ritiene essere una delle migliori sul mercato. Mi permetto di dire che quando andavo a scuola mi hanno insegnato a scrivere diversamente, se volevo farmi capire, ma non vorrei insistere su questo argomento, che non è quello fondamentale.
Il punto è: dove vuole arrivare Liberazione, sguinzagliando (scusate, ma mutuo lo stile da quello dell'inviata in Sudamerica: se lo fa lei, perché io no?) Angela Nocioni a sparare a zero, spesso con pessimo gusto (vorrei vedere se si apostrofasse "rottweiler" o "mastino", come nell'articolo di oggi, il ministro di un qualunque paese europeo, ma anche di casa nostra, la reazione che ci sarebbe) contro il Venezuela, "casualmente" proprio in questo periodo in cui il Venezuela è sotto tiro (forse perché dal 1° maggio il Venezuela ha riconquistato la propria sovranità energetica a scapito delle multinazionali? chissà) soprattutto da parte degli Usa, ma con il buon aiuto di altri personaggi, come gli italiani Dimitri Buffa di Radio radicale e Aldo Forbice della Rai che propongono come alternativa "moderata" a Chavez nientepopodimeno che Alejandro Pena Esclusa, già coinvolto nel fallito golpe contro Chavez, membro dell'organizzazione Tradizione famiglia e proprietà del fascista brasiliano Pinio Correa de Oliveira, uno che ha dichiarato che "i colpi di stato militari sono soluzioni legittime ed auspicabili".
Ma anche El Paìs spagnolo (la Spagna è uno dei paesi che più hanno avuto un danno economico dalle scelte energetiche di Chavez) si lancia in difesa della democrazia contro chi ha osato chiudere l'emittente RCTV (che in realtà continua a trasmettere, solo sul satellite, cosa che in Italia bipartisanamente si vorrebbe sia per Raitre sia per Retequattro, ma evidentemente quod licet Iovis non licet bovis e mentre noi siamo il faro della democrazia, il Venezuela non lo è). Permettetemi di citare Valerio Evangelisti, che, dopo avere ricordato che questa emittente televisiva aveva apertamente appoggiato il fallito golpe contro Chavez, pone questa domanda provocatoria ai "democratici" nostrani: "mettiamo che in Italia al tempo dell'assassinio di Moro una delle nostre tv private avesse detto che avevano fatto bene ad ammazzarlo. Per quanto tempo sarebbe rimasta nell'etere?".
Andate a leggere la stampa internazionale, curiosate tra gli articoli pubblicati dalla testata francese "Reseau Voltaire" che evidenzia i maneggi Usa contro il Venezuela, tentativi di golpe, problematiche energetiche. Altro che la cronaca salottiera su mastini e rottweiler che ci ammanisce la soave inviata di Liberazione nell'America Latina. L'analisi della politica internazionale non si fa scrivendo articoli da giornale femminile o con l'imitazione della spocchia tipica della defunta Oriana Fallaci.
Del resto, il governo di Chavez ha disposto che dal primo maggio 2010 la giornata lavorativa in Venezuela passi a sei ore. Di questo non fa comodo parlare? Che fine ha fatto quella megagalattica campagna (anno domini 1998, se non ricordo male) per le 35 ore settimanali promossa (giustamente) da Rifondazione e poi finita nel dimenticatoio?
Saluti comunisti (finché possiamo...)

Claudia Cernigoi
direttore de "La Nuova Alabarda"
Trieste


=== 2 ===

From:   lernestomail @ yahoo.it
Subject: Lettera a Liberazione sul Venezuela
Date: June 14, 2007 4:00:32 PM GMT+02:00


LETTERA A LIBERAZIONE SU VENEZUELA - ARTICOLO NOCIONI


Di nuovo Angela Nocioni. Dopo Cuba questa volta attacca – e denigra – il Venezuela di Hugo Chavez. In Venezuela è in atto un inedito – quanto importante per tutti i popoli subordinati – tentativo di transizione al socialismo. Una transizione che prende corpo dopo poco più di un quindicennio  dalla crisi dell’89 e da ciò che Fukujama chiamava “ la fine della storia” e cioè l’illusione della vittoria eterna del capitalismo.

 E’ proprio dall’asse  Cuba-Venezuela, oggi, che sale invece una spinta liberatrice per tutta l’America Latina, una lotta di emancipazione dall’imperialismo Usa che può  riconsegnare ai popoli latinoamericani il loro destino. Da questo punto di vista ritengo sconcertante l’articolo di oggi

( mercoledì 13 giugno) della Nocioni sul Venezuela e altrettanto sconcertante l’avallo del direttore, Sansonetti.

Credo che in tempi brevi il nostro Partito debba chiarire i rapporti tra gruppo dirigente, iscritti e militanti e “Liberazione”. Qualcuno può anche decidere di alzare, contro Cuba e contro il Venezuela, la stessa bandiera della borghesia, latinoamericana ed europea. Ma non può farlo a nome di un Partito comunista, come lo è il Prc.

Fosco Giannini - Senatore Prc


=== 3 ===


Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba

 

L’ON. FOLENA NON HA IL COPYRIGHT DELLA DEMOCRAZIA

Sergio Marinoni, presidente
Andrea Genovali, vice-presidente

 

 

Abbiamo letto con attenzione l’intervento di oggi su Liberazione dell’onorevole Folena sulla democrazia a Cuba e ci pare opportuno fare alcune considerazioni.
                                                                                                                            
Il primo, affermato dall’onorevole Folena, lapidario, è che “a Cuba non c’è democrazia. Non ci sono elezioni libere. Non c’è un sistema pluralistico”. Parlando di questi argomenti preferiamo iniziare, non dalla eurocentrica idea di democrazia, ma dalla solenne affermazione della Carta di San Francisco che nel giugno 1945 ha dato origine alle Nazioni Unite e che indica nelle peculiarità, nella storia, nelle tradizioni, nelle esigenze e nei bisogni dei popoli la strada maestra per costruire la loro democrazia. Questo è un punto fondamentale, anche quando contraddice la via occidentale e italiana alla costruzione della democrazia.
Nessun sincero democratico può arrogarsi il diritto di stabilire che la democrazia sia solo il confronto elettorale tra due o più partiti. La democrazia può esistere anche attraverso altre forme, tanto è che l’etimologia del termine (nella lingua greca, demos = popolo, krateo = comandare) non contiene affatto alcun riferimento a qualsiasi partito. E non ci risulta che l’onorevole Folena possieda il copyright su questo vocabolo per stabilire lui che cosa sia, o meno, la democrazia.
Non si tratta pertanto di contrapporre sistemi, ma di sforzarci di comprendere che ogni popolo costruisce questa strada come più conviene alla propria storia. Non è giustificazionismo, ma affermazione di un’idea basilare enunciata dalle Nazioni Unite. Cuba e il popolo cubano hanno intrapreso una loro strada, certamente non perfetta, neppure la nostra lo è - ricordiamoci le ultime elezioni politiche - ma è la loro strada che ha un coinvolgimento reale delle persone, che può non piacere all’onorevole Folena e ad altri, ma è la strada liberamente intrapresa dai cubani. La si può criticare, ma non dipingere come una dittatura. Perché questo è falso.
Cuba è uno stato di diritto, retto da una Costituzione approvata tramite referendum il 15 febbraio 1976, con voto libero, segreto e diretto.
Come stabilisce la Costituzione cubana, le elezioni si svolgono ogni due anni e mezzo a livello municipale e ogni cinque anni a livello provinciale (le nostre regionali) e nazionale. Il Partito Comunista di Cuba non partecipa alle elezioni e non propone candidati.

 

Secondo aspetto. Siamo decisamente persuasi che dopo il 1989 anche Cuba sarebbe caduta miseramente, come i vari Stati dell’Est europeo e l’URSS, se il sistema politico cubano non avesse avuto, e tuttora ha, il sostegno popolare. Non bastano le conquista sociali a difendere un regime oppressivo e negazionista dei diritti civili, politici e umani come quello che goffamente si tenta di rappresentare di Cuba. Non ci pare condivisibile in nessun modo l’affermazione di Folena che dice che a Cuba non esistono i presupposti fondamentali della democrazia. E’ veramente eccessiva e dettata da troppo ideologismo che non ha riscontro nella realtà e chiunque si rechi a Cuba lo può facilmente notare da solo. Certamente esiste un’area di scontento, il blocco statunitense, un macigno enorme che ancora grava su Cuba, riforme economiche perfettibili ecc., sicuramente possono colpire alcuni settori della società. Ma Cuba è un paese fatto di persone in carne e ossa che hanno lottato per la propria libertà e continuano a farlo, commettendo talvolta anche errori, ma la conquista dell’indipendenza e di uno stato sociale, unico nei paesi del Terzo Mondo e in parte anche in quello Occidentale, sono il risultato di una partecipazione e di una condivisione popolare alla Rivoluzione. Altrimenti, ripeto, Cuba rivoluzionaria non esisterebbe più dai primissimi anni Novanta.
Allora, non ci pare onorevole Folena, il giusto modo il suo di salire su di una cattedra a dare lezioni di democrazia da parte di chi, nel proprio paese non è mai riuscito a realizzare una profonda riforma sociale dello Stato. Occorre dialogare, anche criticare, ma in uno spirito solidale e mai fare i saccenti e i primi della classe. E’ un profondo errore eurocentrico che ricorda uno spirito neocoloniale per cui fuori dall’Occidente tutti debbono ascoltare le nostre lezioni.

 

Terzo aspetto. A Cuba si rimprovera una mancanza di democrazia e di pluralismo politico. Peccato che non si consideri mai il fatto che Cuba non abbia mai vissuto una situazione tranquilla. Cuba non è la Svizzera e ha lo storico problema dell’ingerenza statunitense, fin dai tempi in cui era una colonia spagnola. Anzi, dal 1898 gli Stati Uniti sono diventati i padroni assoluti dell’Isola, concedendo poi, nel 1902, una farsa di indipendenza e di democrazia durata fino al 31 dicembre 1958.
Da quel giorno il problema di Cuba è stato quello di innalzare una diga di fronte a tale ingerenza e questa barriera è costituita dall’unico partito esistente. Questo partito non è assolutamente di ispirazione “sovietica”, come si vuol far credere, ma fonda le sue radici nel partito unico ideato da José Martí nel 1892. Gli Stati Uniti hanno avuto gioco facile a penetrare e a dividere l’unità del popolo cubano come ha ampiamente dimostrato la storia del periodo pre-rivoluzionario. E’ l’unità, invece, che ha permesso di sviluppare una società che innanzitutto salvaguardi la loro indipendenza, la loro autodeterminazione e il diritto di sviluppare il sistema sociale a loro più congeniale.
Pertanto, onorevole Folena, non cada nell’errore di considerare Cuba un modello politico a cui ispirarsi o di cui parlar male. I cubani non pretendono affatto che il loro sia un modello. Non pretendono affatto di esportarlo. Non pretendono affatto che altri lo condividano. Pretendono unicamente di essere rispettati e che altri non mettano il naso nei loro affari interni.

 


=== 4 ===

From:   info @ puntocritico.net
Subject: ANCORA A PROPOSITO DELLA NOCIONI
Date: June 14, 2007 5:19:58 PM GMT+02:00

Penne all’arrabbiata in salsa creola.

Continua lo stillicidio di articoli su Liberazione  dopo Cuba e Castro ora è la volta del Venezuela e di Chavez
 
Dopo i vergognosi articoli su Cuba e la rivoluzione cubana, Angela Nocioni continua a dare prova della propria faziosità attaccando la Rivoluzione Bolivariana del Venezuela e il presidente eletto Chavez .
Negli articoli su Cuba la Nocioni impostava i suoi attacchi con l’arma dell’ironia condita con falsità e mezze verità francamente troppo faziose per essere condonate ad una inviata, senza farsi peraltro neanche troppi scrupoli nell’attaccare il padre di Fabio Di Celmo (l’Italiano morto a Cuba in un attentato nel 97’) tacciandolo di essere divenuto un’arma della propaganda di “regime”in cambio di privilegi di natura economica. E così un ristorante statale che porta il nome del povero Fabio diviene di proprietà del padre, colpevole di lavoravi nei momenti liberi.
Un padre che sceglie di vivere a Cuba per lottare per la verità sulla morte del figlio, diviene un’arma della propaganda, un mercenario. Non entriamo ulteriormente nel merito degli articoli su Cuba in quanto molto già è stato detto da molti compagni autorevoli o semplici militanti, associazioni, organizzazioni e rappresentanti di partiti della sinistra, che hanno condannato ampiamente gli articoli in questione.
Ora il bersaglio è il Venezuela Bolivariano. L’articolo : Venezuela, tutti gli uomini di Chavez a pag. 4 di mercoledì 13 giugno attacca frontalmente Chavez e il suo governo, mettendo in campo chiacchere di corridoio e maldicenze tutte da provare sugli uomini di governo, ministri e militari bolivariani.
L’immagine che ne esce è quella di un governo di persone succubi del carismatico leader, quasi come si insinuasse l’idea che la rivoluzione bolivariana venezuelana, che sta travolgendo e contaminando il continente dipendesse solo dalla figura dispotica del suo presidente, coccolato, venerato e temuto.
Si insinua l’idea che Chavez è circondato da persone poco qualificate incapaci e timorose di criticare e esprimere giudizio; la rivoluzione bolivariana quindi è Hugo Chavez e pochi altri fanatici.
Ricorda molto come quanti insistono tuttora, tra cui la stessa Nocioni, che il socialismo a Cuba è Fidel e suoi accoliti, nonostante i fatti dimostrino tutt’altro.
Vogliamo ora ricordare alcune cose molto significative rispetto l’esperienza rivoluzionaria bolivariana: innanzi tutto l’aspetto straordinariamente importante della democrazia partecipativa sospinto anche sotto il profilo giuridico con la conformazione dei Consigli Comunali (Legge del giugno scorso – che istituisce queste sottostrutture di base sul modello dei Comitati in Difesa della Rivoluzione di Cuba, ma con un’ampia autonomia anche sotto il profilo economico con l’Istituzione delle Banche Comunali).
La nascita del partito unico di governo PSUV (Partito Socialista Unificato del Venezuela), cha ha al momento raccolto l’adesione di più di 5 milioni di venezuelani su una popolazione complessiva di 26 milioni e mezzo (1 elettore su 4) di abitanti; questa scelta di unificare i partiti della sinistra venezuelana è frutto della necessità di mobilitare sempre più maggiormente un numero maggiore di cittadini e venezuelani in difesa della rivoluzione e nei processi di trasformazione socialista in atto.
La nascita dell’economia cooperativistica, dove l’interesse sociale viene anteposto a quello privato, queste nuove imprese semi statali (statali – coop) stanno cambiando il panorama economico delle imprese sia distributive sia produttrici, soprattutto in campo alimentare; oggi sono più di mezzo milione, cinque anni fa meno di cinquemila.
Le missioni sono i piani di trasformazione sociale che, congiuntamente all’apporto di tecnici e specialisti cubani, hanno sradicato dal paese piaghe come quelle dell’analfabetismo, del deficit dell’assistenza sanitaria (per non parlare dell’Operazione Milagro in campo Oftamologico), e dell’istruzione in senso largo su corsi parauniversitari e una riforma straordinaria del sistema educativo.
Tutto ciò non è avvenuto perché il petrolio conduce a entrate più alte, non è frutto della crescita del 9% del PIL annuo, ma di una mobilitazione di massa di un popolo che sta giorno per giorno conquistando il proprio futuro.
Ritenere che la Rivoluzione Bolivariana vada dove decide che va una singola persona è piuttosto ridicolo, nonché irreale.
Le missioni hanno mobilitato decine di migliaia di medici, insegnanti, giovani, assistenti; le trasformazioni socialiste dell’economia coinvolgono invece centinaia di migliaia di lavoratori; la nascita dei consigli comunali comporta la partecipazione dal basso del popolo alle decisioni più importanti sul proprio futuro.
Questo avremmo voluto sapere, non la storia fiabesca degli “uomini di Chavez” ma la realtà oggettiva, concreta e di sostanza che la trasformazione socialista bolivariana stà conducendo.


=== 5 ===

Risposta ai 24 redattori di Liberazione


Perfettamente d’accordo con la solidarietà di un gruppo di giornalisti di Liberazione pubblicata sullo stesso solo che ci sembra ci siano delle imperfezioni in quanto delle scuse le dovremmo contro ogni falsità e menzogna a Giustino Di Celmo, papà di una vittima del terrorismo, a cinque donne che hanno i loro mariti ingiustamente detenuti nelle carceri nordamericane e ad una bambina alla quale è impedito di vedere il proprio genitore. La libertà di un giornalista e di chiunque non significa il diritto ad inventare infamità spacciandole per vere ma richiama alla conoscenza della realtà pur nel rispetto di ogni libera critica. Crediamo che in questa fase tra Cuba, Chavez e poi toccherà a Lula, a Morales e a chiunque sta cercando un percorso diverso in quello che è sempre stato il cortile di casa degli Stati Uniti (ricordate il Cile? L’Argentina? Feroci dittature in tutta il latinoamerica?) stiamo minacciando la serietà del quotidiano Liberazione e sviando il conflitto e l’analisi sulla democrazia spostandolo dai responsabili di guerre, sfruttamento e altro a una sorta di pretestuoso dibattito “interno” facendo lezioni di organizzazione di società mentre abbiamo molto da ragionare sulle nostre perenni contraddizioni. Il danno che deriva da articoli contro Cuba ecc. sta creando oggettivamente disorientamento e confusione nelle nostre fila e in più in generale a sinistra. Ci auguriamo che il Partito, i suoi gruppi dirigenti ci rispettino come iscritti, simpatizzanti e lettori del quotidiano Liberazione intervenendo su questa penosa e forzata vicenda.

Comitato Fabio di Celmo, 
Siporcuba, 
Angolo cubano, 
Zona Rossa, 
usd Tor di Quinto,
Promocaraibi,
Punto Cubano, 
AIASP, 
sgs Artiglio Calcio, 
AGTI, 
associazioneITACA, 
ComitatoProvinciaHabana,
ASIDAL, 
Rete Associazioni Popolari, 
Comunità Montana Valle dellAniene,
Comitè Internazionalista Camillo Cianfuegos 
Casa dei popoli di Roma, 
Società Artisti Comunisti dello spettacolo, 
Polisportiva RM6 villa Gordiani,
Le Villette di tutta l’Italia, 
le Associazioni del Comitato 28Giugno

CON CUBA, CON FIDEL SENZA SE SENZA MA


=== 6 ===

La libertà è anche il rispetto della verità

Si può essere indignati o sollevare critiche nei confronti di una giornalista o di un direttore di quotidiano o di un giornale stesso che decide, liberamente, di esprimere un proprio e legittimo punto di vista nei confronti di un qualsiasi avvenimento? Certamente no e sicuramente anche Liberazione, quotidiano del PRC, ha il diritto sacrosanto di scrivere su Cuba quello che più ritiene giusto anche se questo comporta trattare con superficialità la storia di un popolo e di uomini e donne che subiscono da anni un intollerabile bloqueo e vili e ripetuti attentati terroristici. E’ altrettanto vero, tuttavia, che la menzogna e le opere di fantasia che infangano le persone e che sono semplice frutto di un pressappochismo giornalistico che non dovrebbe appartenerci vanno ostacolate o almeno ricondotte a realtà lasciando spazio alla verità e contrastando gratuite invenzioni. Questo è il caso dell’articolo della signora Nocioni apparso su Liberazione ed è quanto ribadisce a firma della Bufalini L’Unità, storico quotidiano fondato da Antonio Gramsci, perseguendo nella menzogna pur volendo apparire come super partes tra “Liberazione e Castro”. E’ davvero cinico trasformare violentemente un uomo che ha visto morire il figlio davanti ai propri occhi e che ha consumato le proprie lagrime nel piangerlo in un profittatore che sciacallando su quella morte cerca di trarne un profitto personale e lo è, a maggior ragione, se persiste l’indifferenza del Governo italiano verso un terrorista reo confesso che circola liberamente negli Stati Uniti. La verità unica e documentabile è che dopo dieci anni Cuba ha inteso realizzare un sogno che era della vittima innocente della barbarie Fabio Di Celmo di realizzare un ristorante italiano a La Habana. In questa realizzazione Giustino non ha altro ruolo, per un ristorante cubano e i cui proventi vanno alle autorità cubane, se non quello di consulente prima e di gerente poi con la “conquista” di ricordare in un nome, una dedica e fosse anche una pizza una vita vigliaccamente spezzata. Il Ristorante, un film, uno spettacolo con Alicia Alonzo, un concerto, una manifestazione, un libro, un convegno: qualsiasi opportunità o scelte alla ricerca di una giustizia che attende da anni di arrivare a compimento. Cuba riesce a dedicare a questo papà un’ospedale con il nome del figlio e da noi sostenuto con la solidarietà internazionale, un museo e noi, comitato italiano per Fabio Di Celmo, un comitato che ha tra i suoi fondatori magistrati, avvocati, giornalisti, deputati, semplici cittadini, dirigenti di diverse associazioni, a suo tempo le firme prestigiose di Tom Benetollo o del premio nobel Alferov, realizzammo un libro con tutti i più grandi poeti italiani e dei diversi continenti (da Luzi ancora in vita a Merini, da Vendola a Lunetta, da Sanguineti a Di Benedetti) per aprire una sala convegni (progetto realizzato) con Alberto Granado alla Casa Africa de l’Avana. Questo e molto altro in nome della lotta al terrorismo, per la pace, per un mondo migliore ma, soprattutto e nel caso specifico, cercando disperatamente di tenere sempre acceso il faro su un delitto che ancora rimane impunito. Ugualmente ci siamo attivati, anni fa, con il parere positivo anche del sindaco della città di Roma e del Municipio Roma 6, per una targa nel parco di viale Irpinia, dinanzi la Casa dei Popoli, dedicata a Fabio Di Celmo “vittima del terrorismo”. Giustino dopo la morte del figlio, imprenditore italiano, è rimasto a Cuba e sono non poche le sue attività verso gli ultimi ed i più deboli. E’ rimasto dove si è portata avanti la battaglia contro chi ha assassinato il figlio ed è tornato ripetutamente in Italia (diversi gli incontri anche in Parlamento con gli onorevoli Rizzo o Pistone o parlando con Giovanni Russo Spena o con Paolo Cento, Con Bertinotti e Diliberto e noi stessi con Livia Turco in un sit in su tale tema fuori il Parlamento solo due anni fa) per chiedere giustizia, l’estradizione o un giusto processo per un terrorista. Infine una parola su una omaggiata, altra invenzione forzata della giornalista, laurea in sociologia a Giustino. Abbiamo la documentazione di un percorso fatto di iscrizione all’Università, di docenti incontrati, esami etc. e abbiamo il filmato integrale della presentazione della tesi con tanto di interrogazione, domande e risposte. La dignità di un uomo colpito da un grave lutto è consistita, anche in questo caso, nel tenere viva la memoria del figlio con un altro impegno a lui promesso in un tempo in cui anziché vivere nel dolore era la gioia e programmi verso il futuro ad appartenere alla famiglia Di Celmo. Il filmato fu da noi realizzato casualmente, trovandoci a Cuba, con l’idea di portarlo alla madre Ora: una donna che non ha più trovato serenità dopo la  morte  inaudita del suo figlio più giovane. Caro direttore, crediamo doverosa la pubblicazione di tale lettera, una sorta di errata corrige, almeno per farci continuare a ritenere che c’è sempre posto per la verità anche in un’epoca in cui l’ipocrisia la fa da padrona e che anche la critica politica o di qualsiasi genere, poggia le sue basi, soprattutto per noi che lottiamo disinteressatamente per una società migliore, sulla realtà. Questo è l’impegno che abbiamo preso parlandone con Giustino Di Celmo al telefono ed è quanto a lui ribadiremo portando la nostra solidarietà e le nostre scuse ad un uomo fortemente provato dalla vita andando il 15 giugno a Cuba. 

Michele Capuano –giornalista, direttore della rivista “La Ragione”
Ines Venturi – presidente del comitato “Fabio Di Celmo”
Luciano Iacovino presidente La Villetta
Comitato 28 Giugno


=== 7 ===

----- Original Message ----- 
From: Giovanni Caggiati 
To: Liberazione 
Sent: Friday, June 15, 2007 1:37 AM
Subject: lettera al direttore (14-6-'07)

Caro direttore,
mi/ti chiedo dove vuole arrivare Liberazione con la pubblicazione del nuovo articolo di Angela Nocioni, su Chavez. Già Cuba era stata condannata senza appello per la mancanza di democrazia, pluralismo e libertà. Democrazia che certo è elemento fondamentale, non semplicemente da aggiungere al socialismo, come scrive Folena, ma parte integrante del socialismo stesso, cosa senza la quale il socialismo non è pienamente tale, come ha maturato il Partito Comunista Italiano nel corso storico della sua esperienza politica. Ma non ha senso il richiamo a democrazia e socialismo se lo spirito degli articoli della giornalista è sprezzante e distruttivo nei confronti di quel tanto di socialismo che a Cuba è stato realizzato: se viene a mancare, se si distrugge, un termine (per quel tanto che c'è), il socialismo, dei due termini, democrazia e socialismo, della discussione, non ha ragion d'essere la discussione stessa. Nei confronti del Venezuela di Chavez l'accusa è ancora più fuori luogo. Al di là delle critiche, anche questa volta sprezzanti, alla persona Chavez - come se "personalismi" non esistessero anche nella democratica sinistra radicale comunista (o soltanto sinistra) nostrana - sono i fatti politici a parlare: in Venezuela democrazia, pluralismo, libertà e libere elezioni sono rispettati e garantiti. E per questa via democratica, con questa via sostanzialmente, là si sta avanzando verso il socialismo, mentre in Italia non si riesce nemmeno a riempire una piazza di Roma contro il presidente americano guerrafondaio nel giorno della sua presenza nella capitale.

Giovanni Caggiati - Parma, 14 giugno '07


=== 8 ===

(francais / italiano)

Pausa forzata per il Feral

15.06.2007   


Dopo 14 anni di pubblicazioni regolari, il giornale che ha ricevuto tra i più alti riconoscimenti internazionali per la qualità del suo lavoro, oggi non sarà in edicola. Il comunicato inviatoci dalla redazione del Feral Tribune, alla quale ancora una volta rivolgiamo piena solidarietà
Redazione Feral Tribune 

Traduzione a cura della redazione di Osservatorio Balcani 


---

Le tasse soffocano la stampa

11.06.2007    Da Osijek, scrive Drago Hedl


I giornali croati versano allo stato tasse altissime, le più alte d’Europa. Qualcosa pare stia cambiando ma per alcuni giornali potrebbe essere troppo tardi. Tra questi anche lo storico settimanale Feral Tribune, al quale la redazione di OB esprime piena solidarietà


---


FERAL TRIBUNE

Croatie : Feral Tribune en danger, la liberté de la presse menacée

TRADUIT PAR PERSA ALIGRUDIC
Publié dans la presse : 14 juin 2007
Mise en ligne : samedi 16 juin 2007

Le fameux hebdomadaire de Split, Feral Tribune, pourfendeur du nationalisme et de la corruption, véritable conscience morale et satirique de la Croatie, n’est pas dans les kiosques cette semaine. Les comptes du journal ont été saisis pour un retard de paiement de TVA. En cause : une lourde fiscalité qui étouffe la presse, mais aussi la dictature des annonceurs et des lobbies médiatiques, décidés à faire taire une voix critique. Le « marché de la presse » n’est pas plus libre que sous Tudjman, dénonce la rédaction de Feral.

Par la rédaction


Feral Tribune, le journal croate le plus récompensé, n’est pas sorti cette semaine. On ne sait toujours pas si et quand les prochains numéros se trouveront dans les kiosques. Le fait que Feral ne soit pas en vente, après quatorze années de parution régulière, est le résultat des problèmes auxquels la rédaction est confrontée depuis longtemps, mais qu’elle n’est pas en mesure, malgré de grands sacrifices, de surmonter.

Le récent blocage de notre compte par l’État, qui a prélevé de force un demi-million de kunas (environ 66.000 euros) au titre des TVA impayées, a financièrement détruit notre maison de sorte que, depuis des mois, les journalistes n’ont pas reçu leur salaire. Nous sommes encore menacés de rembourser le solde d’un million de kunas dû au titre de la TVA. Le fait est que le gouvernement de Croatie avait renoncé à plusieurs reprises à percevoir les dettes de TVA redevables par les médias appartenant à l’État (par exemple Vjesnik, la télévision publique HRT ou plus récemment Slobodna Dalmacija), ce qui a créé une concurrence déloyale. Nous avons également signalé que le montant draconien de la TVA pour les journaux - le plus élevé du monde - ne pouvait que mener les petits éditeurs indépendants à une mort certaine.

Les mesures prises d’urgence par le gouvernement, prévoyant que le montant de la TVA sur la presse devrait être deux fois inférieur au taux normal, ne font que confirmer que le problème existe et qu’il sera réglé grâce à l’appel de Feral, mais cela n’ira pas sans d’énormes pertes pour ce journal.

Les diktats de la pub

Nous avons également attiré l’attention sur le dictat de la corporation qui gouverne le marché des médias, de sorte que Feral Tribune, en raison de sa ligne politique de nature indépendante et incorruptible, est entièrement privé de revenus publicitaires. La situation est absolument insoutenable, car les gros annonceurs, apparemment en accord avec la politique gouvernante, divisent les médias entre les « bons » et les « mauvais », mettant ainsi tout le journalisme croate au service de leurs entreprises. La profession journalistique en Croatie, dirigée par les corporations de médias et leur tendance à faire des profits, s’abandonne sans résister à cette forme d’obéissance, au détriment des informations librement exprimées et des intérêts des citoyens de ce pays.

Les médias enclins à publier la vérité, à l’instar de Feral, sont généralement ignorés, privés d’une part considérable de leurs revenus potentiels et condamnés à la ruine financière. Il s’agit d’un racket de grande envergue, d’une corruption qui s’est transformée en système - avec les intérêts associés des maîtres profiteurs de la politique et des médias - et ce n’est qu’en humiliant le bon sens qu’on peut qualifier la situation actuelle de « situation de marché ».

Finalement, les sentences énoncées par la justice pour de présumés préjudices moraux, avec d’énormes demandes de dédommagement, sont beaucoup plus fréquentes ces derniers mois qu’au cours des dernières années, de sorte qu’il ne se passe pas une semaine sans que la rédaction de Feral ne reçoive une plainte judiciaire réclamant des dommages et intérêts de quelques dizaines de milliers de kunas. Ainsi, la justice croate, soumise au diktat des intérêts et de la politique, apporte sa contribution à l’étouffement de la libre expression publique, comme dans les années les plus noires du régime de Tudjman.

Feral Tribune est le lauréat de plusieurs reconnaissances internationales professionnelles. Il a obtenu plus de prix que tous les autres médias croates réunis. Il a sauvegardé les standards professionnels et moraux qui, dans ce pays, continuent d’être bien éloignés. Il a ouvert des sujets les plus dramatiques, que d’autres journaux n’ont osé aborder que des années plus tard. Le coup actuellement porté contre Feral annonce la mort de toute critique de la scène médiatique. La disparition de Feral des kiosques, que cela plaise à certains ou non, serait le signe avant-coureur d’un avenir qui réservera un misérable rôle de serviteur au journalisme.

La rédaction remercie les fidèles lecteurs de Feral Tribune qui nous ont appuyés dans les moments les plus difficiles. Encouragés par ce soutien ainsi que par les voix de soutien qui parviennent de l’opinion publique démocrate croate, les journalistes de ce journal feront tout leur possible pour que Feral Tribune soit de nouveau dans les kiosques le plus vite possible.





ABOLITA LA NONVIOLENZA, ADESSO ABOLISCONO LA "PACE"


(NB. La "Tavola della Pace" è quella organizzazione che nel 1999
invitava Massimo D'Alema - primo responsabile della partecipazione 
italiana al bombardamento del petrolchimico di Pancevo e della piazza
del mercato di Nis - a partecipare alla marcia Perugia-Assisi)


Confronto sul senso della parola

Un movimento senza pace

Sara Milanese

La Tavola della Pace ha deciso di abolire il termine “pace” dalla sigla
della prossima edizione della marcia Perugia-Assisi. Per far riflettere
sui significati concreti di quel termine, la spiegazione. “In realtà è
una svolta sinistra”, per Euli. «Un modo per togliere dall’imbarazzo
tanti politici», per Zanotelli.

La Tavola della Pace ha deciso di rompere con le tradizioni. Aldo
Capitini è ormai superato: i tempi sono cambiati, e sono abbastanza
maturi per affrontare il primo “sciopero della parola pace”, come l’ha
definito Flavio Lotti, coordinatore della Tavola.

Uno sciopero necessario, perché pace è una parola troppo abusata,
bistrattata, politicizzata. Uno sciopero che vuole “ricercare il
significato vero e profondo” della pace. Cioè gli aspetti pratici e
concreti: i diritti umani. La prossima marcia Perugia –Assisi, non più
per la pace, vuole sottolineare proprio questo aspetto, lo slogan
infatti è “tutti i diritti umani per tutti”.

Uno sciopero, però, che non cancella definitivamente la parola pace dalle
attività della Tavola: la marcia sarà preceduta dalla “Settimana della
pace”: 7 giorni di iniziative, incontri, assemblee, giornate a tema.
Inoltre, in parallelo alle attività italiane, si svolgerà a Nairobi
l’ottava edizione della Marcia della Pace (il 15 settembre), e, sempre a
Nairobi, una conferenza internazionale sui conflitti africani aperta a
giornalisti e ad esponenti politici chiave (dal 29 novembre al 1
dicembre).

Era proprio necessario dunque “mutilare” la storica marcia? O forse la
meditata riflessione è nata in seguito alle polemiche dell’edizione
2006, quando la Tavola della Pace decise di appoggiare l’invio di caschi
blu in Libano approvato dal governo Prodi?

«Una svolta sinistra» l’ha definita Enrico Euli, docente di peacekeeping
e gestione dei conflitti a Cagliari, ed esponente dei movimenti
nonviolenti. Una decisione, quella di abolire la “pace”, «coerente con
il percorso che la Tavola sta portando avanti da anni». Secondo Euli c’è
ormai una differenza abissale tra il pacifismo della prima marcia nel
’61, antimilitarista e non violento, e quello generico di oggi; «una
degradazione che è in corso da più di un decennio».
Pace come parola è ormai inutilizzabile, «si dovrebbe andare verso
visioni più radicali e più definite» per capire di cosa si intende. Ma
la scelta di sostituirla con la cultura del diritto «ancora più morta,
fallita e ambigua della parola pace, non solo non è una soluzione, ma è
proprio la matrice stessa del problema». La crisi del pacifismo sarebbe
determinata quindi dalla sua riduzione al solo aspetto giuridico. «Il
pacifismo è morto proprio perché lo si è fatto diventare solo pacifismo
giuridico, e non ha invece sviluppato tutti i percorsi tipici della
nonviolenza».

«Per pace intendiamo la costruzione di un sistema di giustizia
internazionale, vogliamo porre l’accento sul cosa permette di costruire
la pace», questo, secondo Lisa Clark di Beati i costruttori di pace, il
vero motivo che sta dietro la decisione della Tavola. Costruire la pace
presuppone il garantire diritti, il soddisfare bisogni. «In questo modo
non si appiattisce il significato della pace, ma lo si esalta. Si esalta
tutto il lavoro che c’è dietro la sua costruzione».

«Tanti politici alla marcia per la pace non si potevano accettare. In
questo modo li si toglie dall’imbarazzo», il primo commento di padre
Alex Zanotelli. Che prosegue: «Il valore della pace è sempre stato molto
a cuore a tanti, togliere il nome pace dalla marcia vuol dire toglierle
il cuore. Proprio quest’anno, per la prima volta noi ci presentiamo con
un governo amico che ha una pagella sulla pace estremamente pesante». In
finanziaria sono aumentate le spese militari, le esportazioni di armi
del 2006 hanno battuto il record di vendite degli ultimi 20 anni. «Ora
come non mai c’è bisogno di porre l’attenzione sulla parola pace, invece
che abolirla».
D’altra parte, l’Italia è ancora presente coi suoi militari in
Afghanistan; il nostro sottosegretario alla Difesa ha firmato accordi
con Washington per la costruzione di oltre 4000 F35; il nostro ministro
Parisi ha già firmato, assieme alla Polonia, l’accordo con gli Stati
Uniti sullo scudo spaziale. In coerenza, quindi, «nessuno di questi
ministri, sottosegretari, esponenti di partiti di governo, potrebbe
partecipare ad una marcia della pace». Ma alla marcia per i diritti
umani non potranno mancare.





From: baracca @ fi.infn.it
Date: June 22, 2007 5:50:34 PM GMT+02:00
Subject: SEMINARIO SUL KOSOVO, 9 luglio, ore 17

CON PREGHIERA DI DIFFUSIONE


Seminario sul
Kosovo

Lunedì 9 luglio, ore 17
Casa del Popolo “Andrea del Sarto”
Via Manara 6 – Firenze

Con la Partecipazione del Prof. Alberto Tarozzi

Nel quasi assoluto silenzio dei media, l'evolversi della situazione nei Balcani si degrada progressivamente in modo allarmante, con pesanti analogie con quella che si era creata agli inizio degli anni 90, con le conseguenze ''inattese'' a tutti ben note.

Lo scenario più probabile vede al momento un allungamento di qualche mese dei tempi decisionali, che consentiranno però solo piccole variazioni, visto che la componente kossovaro albanese è già sostanzialmente soddisfatta del “piano Ahtisaari” e non è dunque propensa a  recedere da una opzione per l'indipendenza che sarà sicuramente sostenuta dagli Stati Uniti, determinati a versare benzina sul fuoco.
La decisione delle Nazioni Unite per l'indipendenza non può essere compresa ed accettata dai Serbi, che vedrebbero sottratto al proprio Paese un 15 per cento del territorio che era stato viceversa mantenuto nonostante la guerra della Nato ai tempi di Milosevic. Tale posizione è stata ribadita anche nella recente visita del Ministro degli esteri D’Alema.
Sul piano internazionale si prefigura una violazione dall'alto dei confini nazionali di uno Stato: un precedente che allarma, per ovvi motivi, numerosi Paesi europei come Spagna e Grecia, oltre naturalmente alla Russia.
Ci si avvia comunque ad una decisione delle Nazioni Unite per l'indipendenza del Kosovo, alla quale verrà probabilmente opposto il veto della Russia, e al successivo riconoscimento unilaterale del Kosovo da parte degli Stati Uniti, riproducendo una situazione perfettamente analoga al riconoscimento di Croazia e Slovenia agli inizi degli anni 90, che fu il punto di partenza del massacro in ex Jugoslavia. ... e poi?

In quelle zone vi sono 2.000 nostri soldati.

Nell’indifferenza generale, sono generali italiani, come Mini (ex-comandante NATO nel Kosovo), che vedono nell'indipendenza del Kosovo elementi fonte di possibili nuovi conflitti (v. intervista al Manifesto, 16 gennaio 2007, ALLEGATA).

Data la sostanziale rimozione di questi nodi nei media e nell’opinione pubblica, a fronte dei rischi concreti di esplosione di nuovi conflitti nei Balcani, riteniamo fondamentale riunirci per una discussione ampia e approfondita.



*** Si veda anche l'intervista a Fabio Mini «Italia apprendista stregone in Kosovo» diffusa su JUGOINFO il 30 maggio 2007:
http://www.esserecomunisti.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=15833%20%20 ***



Quanti leader della Nato si resero conto davvero del vaso di Pandora che si stava aprendo con la scelta della guerra del 1999? 

«In Kosovo vacilla l'Europa»

Il generale Fabio Mini, ex comandante Nato: in questi 7 anni si sono ignorate molte nefandezze. Resta grave la responsabilità dell’amministrazione Unmik che ha impedito il rientro dei rifugiati.

Tommaso Di Francesco 
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
16 gennaio 2007

Si apre oggi a Roma la Conferenza sui Balcani e sullo status finale del Kosovo del governo italiano. Su questa crisi, che preoccupa i ministri degli esteri europei che temono una «tempesta» tanto da convocare un vertice il 26 gennaio a Bruxelles, abbiamo rivolto alcune domande al generale Fabio Mini, ex comandante Nato della Kfor dal 2002 al 2003 e esperto di Balcani.

Da diverso tempo lei va ripetendo che i Balcani sono, adesso, una polveriera...

Ciò che caratterizza i Balcani è la mancanza quasi assoluta di volontà di sopportazione reciproca fra le varie componenti politiche e sociali. I signori della guerra e della droga in Afghanistan possono trovare sempre un punto d’incontro, magari negli interessi illeciti, per evitare la guerra civile. Curdi, Sunniti e Sciiti si sono sopportati per secoli prima di Saddam e la guerra civile irachena non è mai stata un’opzione di nessuna delle varie componenti. Ci è voluto l’intervento occidentale perché lo diventasse. Anche in Iraq e perfino in Libano gli interessi politici ed economici possono tenere assieme le varie parti. Basta trovare un punto di equilibrio. Nei Balcani l’equilibrio non solo è particolarmente difficile, ma non è ricercato né dagli attori locali né da quelli internazionali. Anzi è sempre stata perseguita la divisione e l’alimentazione dell’odio e dell’instabilità trasferendo al livello interstatale l’intolleranza etnica. Questo è ciò che succederebbe anche per la questione del Kosovo se non fosse trovata un’intesa politica condivisa. Con l’imposizione esterna di uno status qualsiasi si getta il seme per una nuova crisi e si crea un precedente giuridico destinato a scardinare il sistema degli «Stati sovrani» sul quale si basa la comunità internazionale. Per questo ritengo i Balcani più che mai una polveriera sulla quale distinti signori in doppiopetto stanno tranquillamente discutendo brandendo sigari accesi.

Che cosa è accaduto in Kosovo in questi sette anni dopo la conclusione della guerra «umanitaria». Anni nei quali i governi occidentali hanno guardato da un’altra parte. Come se non ci fossero mai stati né i 78 giorni di bombardamenti sull’ex Jugoslavia (Kosovo compreso), né la pace di Kumanovo del giugno ’99, fatta propria da una risoluzione, la 1244, del Consiglio di sicurezza Onu che, ponendo fine alla guerra, prevedeva l’ingresso temporaneo delle truppe Kfor-Nato e la riconsegna a Belgrado dopo sei anni del territorio. L’ex ambasciatore jugoslavo Miodrag Lekic si è chiesto se quella guerra non si sia conclusa «con un imbroglio»...

In questi sette anni in Kosovo si sono avvicendati vari tipi di fumatori di sigaro. Alcuni pericolosamente consapevoli e altri altrettanto pericolosamente inconsapevoli. La comunità internazionale, di fronte alle crescenti evidenze di manipolazione della crisi kosovara in funzione di una guerra già decisa, ha preferito ignorare i problemi e non approfondire le cause e le dinamiche della repressione nazionalista serba. Per oltre un decennio ha ignorato le nefandezze serbe e non ha neppure voluto considerare le poche voci che si sono levate a denunciare le nefandezze kosovaro-albanesi. Non concordo con la «tesi dell’imbroglio». La Serbia è sempre stata consapevole delle richieste kosovare d’indipendenza. Sapeva anche che l’insurrezione armata avrebbe portato all’indipendenza e che i massacri e le repressioni avrebbero solo peggiorato le cose, come in Croazia e Bosnia. Sapeva bene che i vari negoziatori di professione avevano già in mente una Dayton per il Kosovo, e che una maggiore determinazione internazionale sul piano diplomatico e militare avrebbe potuto strappare l’indipendenza del Kosovo, non per decisione del Consiglio di sicurezza, ma per «concessione» della stessa Serbia. Sapeva anche benissimo che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza non aveva voluto riconoscere l’indipendenza del Kosovo per evitare il veto russo e cinese e per non creare un problema giuridico allo stesso principio fondatore delle Nazioni Unite. Sapeva perciò che la formula scelta per la risoluzione era un compromesso, ma non un regalo alla Serbia. Era un modo per prendere tempo e per dare tempo al Kosovo e alla Serbia di venire ad un accordo. Né la Serbia né il Kosovo hanno tratto profitto da questa opportunità e, allora sì, entrambi, aiutati dall’indifferenza e dalla superficialità di tutti, hanno «imbrogliato» la comunità internazionale.

Come giudica lo strabismo dell’Onu che, da una parte, con il Consiglio di sicurezza hanno condannato la contropulizia etnica, dall’altra con l’amministrazione Unmik l’hanno di fatto autorizzata e legittimata?

Il Consiglio di Sicurezza, mentre si discutevano gli accordi militari di Kumanovo tra il comandante Nato e i Serbi, ha dovuto prendere atto della situazione. Il rischio di contropulizia etnica era concreto ed erano già cominciate le vendette dell’Uck che assumeva il controllo del territorio mentre le truppe Nato erano ancora in Macedonia. Gran parte dei serbi ancora rimasti in Kosovo dovettero fuggire abbandonando case, lavoro e proprietà. Le popolazioni Rom, Ashkalia, Gorani, Egyptian, che per il solo fatto di parlare serbo erano considerate «collaborazioniste», non ebbero tale opportunità e dovettero sopportare repressioni anche più dure. La responsabilità del Consiglio di Sicurezza e della Nato di non aver saputo o voluto evitare tali crimini è grande, ma in parte giustificata dall’impegno di assumere il controllo del territorio in regime di legalità e quindi soltanto dopo la firma degli accordi, l’accordo sulla risoluzione ed il ritiro delle truppe serbe. Più grave è invece la responsabilità di Unmik che ha deliberatamente formulato una politica che limitava i rientri dei rifugiati, che non ha salvaguardato le proprietà individuali, che non ha preservato le fonti di lavoro e di energia e che ha favorito le faide interne o quelle interetniche rendendo così impossibile il ritorno alle proprie case dei serbi kosovari a sud dell’Ibar e dei kosovaro-albanesi a nord.

Si parla di Kosovo come di «stato delle mafie», di «stato della droga» e di stato della «burocrazia internazionale» che lucra sull’ipermercato umanitario delle Ong, mentre a Pristina, «miracolata dalla guerra», sono arrivati a pioggia miliardi di euro spariti nel nulla...

Le espressioni «stato mafia», «stato fallito», o «stato della droga» sono prospettive negative di possibili scenari futuri, non realtà attuali. Sia perché il Kosovo non è uno «stato» sia perché in Kosovo esistono forze serie e veramente dedicate allo sviluppo, alla democrazia e alla pace. Il problema è che queste energie, ancorché espresse dalla maggioranza della gente, sono minoritarie nei luoghi del potere ed hanno bisogno di tutto il supporto internazionale per prevalere su quelle dedicate allo sfruttamento dell’instabilità e dell’indeterminatezza. L’espressione «burocrazia internazionale» è invece una realtà concreta. Anche qui bisogna distinguere i buoni dai cattivi e separare la buona burocrazia che tende al rispetto dei piani e delle procedure di trasparenza da quella cattiva per incapacità o fini criminali. Ma è in questo mix di incapacità e criminalità che sono finiti i miliardi. La miscela delle oligarchie deviate e della cattiva burocrazia alimenta la probabilità degli scenari negativi e fornisce un cattivo esempio anche per quelle forze giovani e volenterose che vorrebbero una svolta.

La comunità internazionale ha rimandato il riconoscimento dell’indipendenza a dopo le elezioni del prossimo 21 gennaio in Serbia - dove la nuova Costituzione sancisce che il Kosovo «è parte irrinunciabile della nazione». Sono immaginabili forti proteste, sia che venga concessa sia che venga rimandata o negata? E nei Balcani che accadrà?

Non vedo scenari, dell’immediato «dopo status», catastrofici. Ci saranno dimostrazioni e prese di posizione estremiste, ma penso che la Serbia non correrà il rischio di tagliarsi per sempre fuori dall’Europa per il Kosovo. Vedo nello stesso preambolo della costituzione serba la voglia di ribadire in forma solenne e «statuale» la propria sovranità sul Kosovo proprio per giustificare una eventuale controversia giuridica internazionale piuttosto che uno strumento per infiammare la piazza. Anche l’eventuale dichiarazione unilaterale d’indipendenza kosovaro-albanese può essere un modo interlocutorio per continuare a discutere e pervenire ad una soluzione concordata. Purchè la stessa comunità internazionale non l’avalli per convinzione o ricatto e capisca che c’è ancora bisogno di discutere per dare soluzione concreta ai problemi veri della gente sia serba che albanese o di qualsiasi altra etnia. Il caso peggiore è perciò la cristallizzazione da parte della comunità internazionale di una posizione o imposizione estrema qualsiasi: l’indipendenza, l’autonomia, la mezza indipendenza, la cantonizzazione e così via. Con un irrigidimento internazionale si possono innescare tutte le reazioni peggiori, dalla sollevazione, all’invasione o alla sistematica destabilizzazione di tutta l’area. E oltre.

Il governo italiano è in prima fila, anche perché ha contingenti nei Balcani. Quale dovrebbe essere il ruolo dell’Italia?

Favorire la ripresa di una soluzione concordata questa volta portando allo stesso tavolo i responsabili delle due parti per parlare di status e non di carte d’identità o di targhe automobilistiche. Bisogna anche che l’Italia spinga l’Europa, non solo per accontentare chi grida più forte, assegnare altri miliardi o condurre altre infinite missioni militari, ma per stabilizzare i Balcani. Marten van Heuven, un analista d’intelligence che ha commentato i rapporti informativi segreti sulla Jugoslavia dal 1948 al 1990 di recente declassificati dal Dipartimento di Stato Usa, ha giustamente osservato che «Finchè i Balcani sono instabili, l’Europa rimane instabile». Se l’Italia tiene veramente all’Europa deve «stanare» chi intende tale osservazione come auspicio o come policy e lavora per l’instabilità dei Balcani.

A questo punto è legittimo interrogarsi sui risultati reali della guerra Nato del 1999?

E’ legittimo e doveroso. Siamo noi stessi, noi soldati, a chiedere perché e per chi dobbiamo morire e ammazzare. Ma dobbiamo anche interrogarci sul dopo guerra. Su chi lo gestisce, come lo gestisce e in nome di cosa.

La guerra venne motivata dai leader della Nato in chiave umanitaria (difesa dei profughi e contro la pulizia etnica). Ora emerge che quel conflitto, al di fuori di ogni autorizzazione del Consiglio di sicurezza e deciso da un’allenza militare (la Nato, oltre il suo mandato di difesa, almeno fino a quel momento), preparava un’altra indipendenza etnica. Non le sembra un pericoloso precedente, viste le tante crisi internazionali con indipendenze rivendicate, profughi e pulizie etniche?

Potenza della disinformazione! Non so quanti leader dei paesi Nato del 1999 fossero a conoscenza della reale situazione e forse non si sarebbero sbracciati nel sostegno alla guerra se avessero saputo che preparava lo smembramento della Serbia, anche se essi avevano sostenuto quello della Jugoslavia. Non so quanti si rendessero conto del vaso di Pandora che si stava aprendo. La Russia stessa non ha assunto una posizione forte ed è poi intervenuta a fianco della Nato, così come si è sganciata dopo tre anni, quasi a dimostrare la propria indifferenza. Devo riconoscere che alcuni politici italiani (tra cui il ministro Dini) avevano subodorato qualcosa a Rambouillet, ma le inaccettabili pretese di Milosevic e i tentativi di pulizia etnica erano reali. Purtroppo la questione è stata posta solo in bianco e nero: bisognava scegliere tra una posizione debole che avrebbe dato forza a Milosevic ed una posizione forte che l’avrebbe abbattuto. Non è stato fatto alcuno sforzo per trovare altre soluzioni che accogliessero le legittime aspirazioni del popolo kosovaro albanese senza incorrere in conseguenze ingestibili o compromettere l’intero quadro internazionale. Oggi si può solo trarre un insegnamento: dobbiamo saperne di più, dobbiamo informarci e informare meglio e dobbiamo adottare una politica di equilibrio ma soprattutto di coerenza. Quello che vale per una crisi deve valere anche per l’altra. Bisogna poi ponderare meglio le conseguenze degli interventi militari di qualsiasi tipo e chiedersi se si è in grado di gestirle: prima d’intervenire. 

Note: 

Un generale «balcanico»
Aspettando il dopoguerra

Mini è stato Capo di Stato Maggiore del Comando Nato del Sud Europa dal 2000 al 2002, quando questo ha assunto la responsabilità operativa di tutte le operazioni nei Balcani. Ha coordinato l’intervento Nato in Macedonia nella crisi del 2001 costituendo il primo Comando Nato in un paese non alleato. È stato Comandante Nato di Kfor dal 2002 al 2003. Ha scritto, oltre a numerosi saggi e articoli, molti libri sulla guerra e sui Balcani, in particolare il saggio«La guerra dopo la guerra» (Einaudi, 2003). Per la Libreria Editrice Goriziana ha curato l’edizione italiana di «Guerra senza limiti» (di Qiao Liang e Wang Xiangsui)