Informazione



www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 02-07-07 

 

Kosovo: Sul miglior interesse nazionale che il denaro possa comprare

 

Prof. R. K. Kent *

 

30 giugno 2007

 

La stampa straniera riporta che il Segretario Generale dell'ONU ha ricevuto un rapporto particolareggiato dai Servizi d’Intelligence tedeschi (BND). Ban Ki-Moon stesso aveva richiesto che una sezione del BND fosse affiancata alla missione ONU in Kosovo per districare la rete di complessità che avvolge questa provincia della Serbia. Com’è ampiamente risaputo, l'Inviato Speciale dell'ONU Martti Ahtisaari ha proposto di separare il Kosovo dalla Serbia, atto che creerebbe un nuovo stato indipendente sulla base della preponderanza demografica albanese.

 

Se perfezionato, non solo violerebbe la stessa risoluzione ONU, che prevedeva il contrario, ma potrebbe dare il via libera a candidature simili in Spagna e Francia, in Gran Bretagna (la Scozia indipendente) così come condurre ad un movimento messicano-americano (appoggiato dal Messico e sostenuto dall'Unione degli Stati latinoamericani) esigendo che la California sia separata dagli Stati Uniti e ottenga lo status di paese indipendente e riconosciuto in campo internazionale. Perché non il Texas indipendente, perché non aggiungere più candidati in giro per il pianeta Terra? Ma, queste proiezioni non sono di preoccupazione immediata, specialmente quando contrapposte ad una rivelazione sensazionale e particolareggiata. La squadra del BND, comandata dal Generale di brigata Luke Neiman, ha scoperto senza molto sforzo che il Sig. Ahtisaari aveva contatti frequenti con leader separatisti albanesi ed aveva ricevuto grandi somme di denaro (approssimativamente 53 milioni di dollari). I dettagli sono elencati con precisione teutonica.

 

Sono state registrate le loro conversazioni sui trasferimenti di denaro, con relativi conti bancari e codici in Svizzera e Cipro, su consistenti rifornimenti di eroina, sulla disponibilità dei favori di due donne “schiave”, così come è stata annotata una visita alla residenza di Mr.Ahtisaari (alle 6.23 di mattina del 12 febbraio 2007) di una Jeep targata PR-443-22CD. Era un veicolo posseduto dal governo "transitorio" albanese del Kosovo nella capitale Pristina. Insomma, sembra che il Sig. Ahtisaari abbia dei vecchi scheletri pro-nazi nel suo armadio e abbia coltivato una parzialità pro-musulmana che probabilmente scaturisce dalle alleanze di nazi-fasciste-musulmane risalenti alla Seconda Guerra mondiale.

 

Senza conoscere le scoperte del BND, chi scrive ha esortato il precedente Segretario dell'ONU a congedare il Sig. Ahtisaari senza indugio e a nominare qualcuno che non fosse in alcun modo legato con albanesi o serbi. Senza dubbio l'ex Segretario non agì perché il Sig. Ahtisaari è un ex capo di stato ed è ampiamente rispettato in campo internazionale. Con le informazioni particolareggiate del BND, dovrebbe essere impossibile per lui conservare il posto o accettare a priori il suo piano.

 

Non è un segreto che fonti albanesi hanno fatto donazioni a membri del nostro Congresso e che i destinatari si sono battuti in favore di una separazione del Kosovo dalla Serbia per darlo alla maggioranza albanese. Anche un precedente Segretario di Stato americano, fervente sostenitore di un Kosovo albanese ed indipendente, ora ha una società di telecomunicazioni nel Kosovo stesso. Non sembra esserci nulla di illegale nel donare fondi elettorali ai nostri moderni Soloni. L'impatto non sarà "a casa" e quello che accade all'estero come risultato della scelta dei nostri legislatori pro-albanesi non è di alcuna preoccupazione. La politica della precedente amministrazione potrebbe essere riassunta nel "nutrire i serbi con i desiderata musulmani" poiché questo avrebbe comprato la buona volontà del Medio Oriente. Il risultato è stato la nascita di Al-Qaeda anche in Bosnia ed il wahabitismo crescente fra i musulmani albanesi in Kosovo. Se noi forse possiamo essere scusati a causa di una conoscenza molto limitata della storia balcanica e del contesto in cui essa si districa, questo non vale per l'Europa occidentale anche perché questa marcia in sintonia con la politica estera americana. L'Europa occidentale sa bene che i serbi erano "custodi dei cancelli " attraverso i quali gli ottomani tentarono di passare e raggiungere la conquista dell'intera Europa occidentale. La generazione europea più vecchia sa anche che i serbi avevano fornito un contributo considerevole alle vittorie alleate nelle due Guerre mondiali. La nostra gente non sa anche che una delle più piccole minoranze negli Stati Uniti, americani di origine di serba, fornì sette uomini che guadagnarono Medaglie d'Onore al Congresso in entrambe le Guerre. La nostra opinione pubblica non sa che i serbi salvarono oltre 300 piloti americani precipitati durante la seconda Guerra mondiale e li restituirono al loro dovere. Ma, è stata informata, dal nostro Governo e dai principali media, che "i serbi" sono i soli aggressori in ex-Yugoslavia e che tutte le altre "tribù" sono vittime nonostante l’ovvia presenza di un tripartito fratricida, molto sostenuto dall'estero. La realtà virtuale sostituisce la realtà stessa. Tutto nel nome di un'ideologia geopolitica che ha imbrigliato tutti i più alti organismi nella sua rete, nella credenza che noi si possa alterare la natura umana e cambiare permanentemente il mondo.

 

* Docente del Dipartimento di Storia dell’Università di Berkeley, California.

 

Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Forum Belgrado Italia



Jörg Becker/Mira Beham: Operation Balkan 

04.07.2007

Werbung für Krieg und Tod
Baden-Baden 2006 (Nomos Verlag)
130 Seiten
17,90 Euro
ISBN 3-8329-1900-7


Ende März 1999 erklärten die damaligen deutschen Bundesminister Rudolf Scharping (Verteidigung) und Joseph Fischer (Auswärtiges Amt) auf einer Pressekonferenz, ihnen lägen "zuverlässige" Informationen über Massaker, Gräueltaten, Konzentrationslager und die Hinrichtung von Intellektuellen in der serbischen Provinz Kosovo vor. Unter der Ägide der serbischen Polizei und der jugoslawischen Bundesarmee finde ein "von langer Hand geplante(r), systematische(r) ethnische(r) Vertreibungskrieg" gegen die dort lebenden Albaner statt, behaupteten die beiden Spitzenpolitiker. Während der folgenden Tage und Wochen meinte Scharping gar, in die "Fratze der eigenen Vergangenheit" zu blicken; Fischer verglich den jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic öffentlich mit Adolf Hitler und sah im Kosovo eine "serbische SS" am Werk. Die sich selektiv auf den Holocaust beziehende Regierungspropaganda, schreiben Jörg Becker und Mira Beham in ihrer aktuellen Publikation über die "Operation Balkan", konnte nur funktionieren, weil "geschlossene Informationskreisläufe in den westlichen Gesellschaften (Politiker, Medien, PR-Agenturen, NGOs, Think-Tanks, Consulting-Firmen, Intellektuelle usw.) - geleitet von politischen und Machtinteressen - durch den Gebrauch einer entsprechenden Metaphorik eine solche Erinnerung evozier(t)en".

Wie diese "geschlossenen Informationskreisläufe" der Unterstützung sezessionistischer Bestrebungen im ehemaligen Jugoslawien und schließlich der Propagierung des NATO-Angriffskrieges gegen das südosteuropäische Land dienten, wollen die Autoren untersuchen. Den Politikwissenschaftler Becker und die OSZE-Mitarbeiterin Beham interessiert insbesondere die Rolle, die PR-Agenturen und Nichtregierungsorganisationen (Non-Governmental Organizations, NGOs) dabei spielten. An diesem Punkt sehen sie sich jedoch mit einem gravierenden Problem konfrontiert: Gerade das Vorgehen von PR-Beratern und Einflussagenten verweigert sich "seiner Natur nach dem Element der Transparenz und damit einer systematischen Analyse".

Verlässliche Angaben über die Tätigkeit von PR-Firmen zur Unterstützung der sezessionistischen Kriegsparteien im ehemaligen Jugoslawien liegen denn auch nur für die beteiligten US-Unternehmen vor. Geschuldet ist dies dem "Foreign Agents Registration Act", der 1938 in den USA verabschiedet wurde, um einen Überblick über Einzelpersonen und Agenturen zu erhalten, die das Land im Auftrag der deutschen Regierung mit nazistischer Propaganda überschwemmten. Bis heute ermöglicht er einen Einblick in einschlägige Aktivitäten der PR-Branche - anders als in Deutschland, wo man gewöhnlich nichts darüber erfährt. Lediglich die "Kooperation" des Frankfurter Rüstungslobbyisten Moritz Hunzinger ermöglichte es Beham und Becker, "auch das Engagement einer deutschen Public-Relations-Firma auf dem Balkan exemplarisch (zu) untersuchen".

Als wissenschaftlich gesichert kann nunmehr folgendes gelten: Hunzinger, seinerzeit Vorstandsvorsitzender der "Hunzinger Information AG", überzeugte im Auftrag der Geschäftsführung der Messer Griesheim GmbH den NATO-Befehlshaber und späteren Kommandeur der Kosovo-Besatzungstruppe KFOR, den deutschen General Klaus Reinhardt, die Belgrader Messer-Tochtergesellschaft Tehnogas bei der Auswahl der Ziele der NATO-Luftangriffe auszusparen. Mit Reinhardt verband Hunzinger eine ebenso enge Geschäftsbeziehung wie mit Ortwin Buchbender, der für das deutsche Militär bis 1990 an der "Schule für Psychologische Verteidigung" in Euskirchen tätig war und danach Direktor der Strausberger "Akademie der Bundeswehr für Information und Kommunikation" wurde. Den späteren serbischen Ministerpräsidenten Zoran Djindjic baute Hunzinger systematisch zum Hoffnungsträger des Westens auf. Nachdem Djindjic zunächst den NATO-Krieg gegen Jugoslawien begrüßt hatte, förderte er nach dem Sturz Milosevics im Jahr 2000 die Übernahme der serbischen Wirtschaft durch deutsche Konzerne. Hunzinger vermittelte Djindjic "rund 250 Pressegespräche, TV- und Radiointerviews" sowie "zahlreiche Einzelgespräche und Präsentationen bei deutschen Industrievertretern und Politikern" - namentlich bei Scharping und Fischer. Ob der Frankfurter PR-Berater auch deren eingangs erwähnte Propagandalügen formulierte, wie bereits des Öfteren vermutet wurde, konnten Becker und Beham allerdings nicht klären.

Hingegen ist die Herkunft einer weiteren Behauptung, die für die Befürwortung des Krieges durch die deutsche Bevölkerung wesentlich war, mittlerweile gut dokumentiert. Die vom Auswärtigen Amt und anderen staatlichen Stellen finanzierte NGO "medica mondiale" (Köln) lancierte ab 1992 immer wieder Berichte über zehntausende Massenvergewaltigungen bosnischer Frauen in "serbischen Konzentrationslagern", wobei sie von führenden deutschen Politikern unterstützt wurde. Obwohl, wie die Autoren schreiben, die Rede von "Massenvergewaltigungen in serbischen Konzentrationslagern" "seit langem als Medienhysterie entlarvt werden konnte", dient er der vermeintlichen NGO bis heute als "ideologische Existenzgrundlage".

"Embedded NGOs" waren, stellen Becker und Beham abschließend fest, ebenso an der Propaganda gegen Jugoslawien und der "Werbung für Krieg und Tod" beteiligt wie Politiker, Journalisten, PR-Berater und die Repräsentanten des "militärisch-industriellen Komplexes". Heute finanziert das deutsche Verteidigungsministerium verschiedene im von NATO-Truppen besetzten Afghanistan aktive NGOs; die Folge ihrer "zivil-militärischen Zusammenarbeit" mit der Bundeswehr ist, dass sie zunehmend ins Visier der dortigen Aufstandsbewegung geraten.



(english / italiano)


Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic
I C D S M
Sofia-New York-Moscow-Belgrade
www.icdsm.org
Fondato il 25 Marzo 2001 a Berlino

20 giugno 2007

S.E. Sig. Boris TADIC,
Presidente della Repubblica di Serbia
S.E. Dr Vojislav KOSTUNICA,
Primo Ministro del Governo della Repubblica di Serbia

Vostre Eccellenze,

dopo che il Tribunale dell'Aia ha eseguito l'assassinio giudiziale
del Presidente Slobodan Milosevic, un uomo che aveva coraggiosamente
difeso la verità e gli interessi del popolo serbo, ci appare
assolutamente inaccettabile ed inappropriato che i membri della sua
famiglia siano adesso soggetti a persecuzione politica.
Siamo anche convinti che i continui ricatti e pressioni esercitate
sul governo serbo da parte del tribunale illegale e dei suoi sponsor
siano solo da disprezzare, e che la pratica del tribunale di di
violare i diritti umani debba essere pienamente denunciata e le
persone responsabili debbano essere chiamate a risponderne.
Tutto questo è importante anche per resistere alle ultime mosse
mirate a staccare la provincia del Kosovo-Metohija dalla Serbia, in
violazione della Carta ONU e della Risoluzione ONU 1244. C'è urgente
bisogno adesso di una vigorosa campagna per difendere l'integrità
territoriale della Serbia.
Speriamo che le Vostre Eccellenze troveranno il modo di opporsi a
questi sviluppi negativi per la Serbia. Agendo a questo scopo,
avreste il nostro sostegno pieno e sincero.

Per conto dell'ICDSM,

Velko VALKANOV, Copresidente (Bulgaria)
Ramsey CLARK, Copresidente (USA)
Sergei BABURIN, Copresidente (Russia)
Klaus HARTMANN, Presidente del direttivo (Germania)


=== ORIGINAL ===

The International Committee to Defend Slobodan Milosevic
I C D S M
Sofia-New York-Moscow-Belgrade
www.icdsm.org
Founded 25 March 2001 in Berlin

20th June 2007

H.E. Mr. Boris TADIC,
President of the Republic of Serbia
H.E. Dr Vojislav KOSTUNICA,
Prime Minister of the Government of the Republic of Serbia

Your Excellencies,

After the Hague tribunal carried out the judicial murder
of President Slobodan Milosevic, a man who had bravely defended the
truth and the interests of the Serbian people, we find it totally
unacceptable and inappropriate that the members of his family are now
being subjected to political persecution.
We are also convinced that the continuing blackmail and
pressure by the illegal tribunal and its sponsors on the Serbian
government deserve only disdain, and that the tribunal's practice of
violating human rights must be totally exposed and the persons
responsible made accountable.
All that is also important to resist the latest moves to
sever the province of Kosovo-Metohija from Serbia, in violation of
the UN Charter and UN Resolution 1244. A vigorous campaign to defend
the territorial integrity of Serbia is urgently needed at this time.
We hope that Your Excellencies will find a way to oppose
these negative developments for Serbia. In acting toward that end,
you would have our full and sincerest support.

On behalf of the International Committee to Defend
Slobodan Milosevic,

Velko VALKANOV, Cochairman (Bulgaria)
Ramsey CLARK, Cochairman (USA)
Sergei BABURIN, Cochairman (Russian Federation)
Klaus HARTMANN, Chairman of the Board (Germany)

Perchè odiano Chavez

In ordine cronologico inverso:
1) Chavez aprirà 200 “fabbriche socialiste” (luglio 2007)
2) A partire del primo maggio 2010 la giornata lavorativa in
Venezuela passa ad essere di sei ore (maggio 2007)
3) De-privatizzazione delle compagnie di telefoni e elettricità
(americane) (gennaio 2007)

(... per tacere delle politiche energetiche alternative e della
nazionalizzazione del petrolio!)


=== 1 ===

Chavez aprirà 200 “fabbriche socialiste”

Il presidente venezuelano, Hugo Chavez, ha dichiarato che si appresta
a far partire “più di 200 fabbriche socialiste” come parte del
“progetto di sviluppo nazionale della rivoluzione bolivariana”.

Secondo Chavez nel corso dell’anno saranno inaugurate industrie in
settori strategici; fra quelli interessati ci saranno i settori
dell’alimentare, vestiario, chimico, automobilistico ed informatico.

Queste aziende “saranno create per rafforzare la nostra indipendenza
e sovranità, ed avranno come finalità la produzione per le necessità
di base di tutti”. Il presidente venezuelano ha pure annunciato che
sta per cominciare la distribuzione di computers, telefoni cellulari,
automobili e motociclette assemblati in Venezuela con il partneriato
di Cina ed Iran.

Lo stesso vale per “Industria Petrocasa”, un programma di costruzione
di alloggi popolari realizzati con materiale plastico derivato dal
petrolio.

Chavez cerca di ottenere l’autosufficienza del paese in modo da
dipendere sempre meno dalle importazioni. In merito ha dichiarato:
“Il prossimo anno queste imprese daranno i loro frutti, per questo ho
voluto che il 2008 sia l’anno di un nuovo ciclo della rivoluzione.
Non vi spaventate”

Queste dichiarazioni il presidente venezuelano le ha fatte in
occasione della cerimonia di inaugurazione di una centrale
termoelettrica nello stato occidentale dello Zulia, e sono state
trasmesse in tutta la nazione per radio e televisione. Egli ha pure
chiesto di non spaventarsi per il modello socioeconomico che si sta
introducendo nel suo paese: “E’ un progetto di sviluppo nazionale che
qui non era mai stato considerato... questo noi lo possiamo fare
perché siamo liberi”.

Il presidente ha fatto anche riferimento alla capacità del Venezuela
di costruire armi.

“Stiamo producendo granate e i nostri primi missiletti, che non vanno
molto lontano.. Non dobbiamo aggredire nessuno, ma che a nessuno
venga in mente di venire qui ad aggredirci”.

da Rebelion.org
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=52398

Fonte: aa-info @ yahoogroups.com


=== 2 ===

Epocale annuncio di Hugo Chavez: a partire del primo maggio 2010 la
giornata lavorativa in Venezuela passa ad essere di sei ore

Attilio Folliero

Caracas, 01/05/2007, LPG - E' un salto epocale, quello annunciato
oggi da Hugo Chavez, in occasione della Festa del Primo maggio.
Costituita una commisione presidenziale, presieduta dal Vice
Presidente Jorge Rodriguez, incaricata di promuovere una riforma
costituzionale tendente a portare la giornata lavorativa dalle
attuali otto ore a sei ore, con meta da raggiungere progressivamente
il primo maggio del 2010. Ossia, progressivamente la giornata
lavorativa in Venezuela passerá dalle otto ore attuali, a sei ore, il
che significa un enorme miglioramento della qualitá della vita del
lavoratore, del proletariato.

Con quest'annuncio Hugo Chavez si pone decisamente alla testa delle
rivendicazioni del proletariato non solo venezuelano e
latinoamericano, ma mondiale. Una dozzina di anni fa, in Italia sulla
scorta dell'approvazione in Francia di una legge che fissó la
settimana lavorativa a 35 ore, si ebbe un grande dibattito, poi
caduto nel dimenticatoio. Oggi, la sinistra che allora era alla testa
della rivendicazione della settimana lavorativa di 35 ore, é
pienamente inserita nel Governo, ma il tema della riduzione della
giornata lavorativa non é stato piú ripreso. Oggi, questa sinistra
sembra, preoccupata esclusivamente delle sorti del capitalismo
italiano in affanno per la profonda concorrenza da parte dei nuovi
capitalismi selvaggi, dove lo sfruttamento dei lavoratori é
illimitato ed il salario orario é di poche decine di centesimi di
dollari. Quest'annuncio di Chavez puó e deve avere ripercursioni
anche in Italia, stimolando la ripresa delle lotte rivendicative dei
lavoratori e del proletariato.

E' indubbio che l'annuncio di oggi, di Hugo Chavez avrá ripercursioni
non solo in America Latina, ma in tutto il mondo e soprattutto nei
paesi del capitalismo avanzato, dove la giornata lavorativa é ferma
alle otto ore. E' arrivato il momento che ovunque si apra la stagione
della rivendicazione della giornata lavorativa di sei ore. Da oggi é
necessario lottare per rivendicare una nuova riorganizzazione della
giornata dell'uomo: 6 ore per il lavoro, 6 ore per dormire, 6 ore per
la diversione e 6 ore per la formazione e la rigenerazione, per
alimentare il corpo e formare il cervello.

Ricordiamo anche che la rivoluzione bolivariana, in otto anni di
Governo Chavez ha sconfitto l'analfabetismo in Venezuela ed é
fortemente impegnata nella sfida per debellare la povertá entro il
2021. Ma la rivoluzione bolivariana non ha solo mete in Venezuela: é
di questi giorni il lancio del programma, nell'ambito dell'ALBA,
tendente a sconfiggere l'analfabetismo in tutta l'America Latina.
Inoltre, sono numerosi i programmi di solidarietá intrapresi nei vari
paesi dell'America Latina, fino ai settori poveri della societá
statunitense, ai quali lo stato venezuelano fornisce petrolio a
prezzo agevolato.

Se l'annuncio piú eclatante, che sicuramente fará il giro del mondo,
é quello della riduzione della giornata lavorativa, non meno
impattanti sono gli altri provvedimenti annunciati: da oggi il
salario minimo in Venezuela passa a 614.000 bolivares circa, con un
aumento del 20%. E' bene ricordare che il salario minimo é
accompagnato anche da un buono pasto giornaliero.

Negli otto anni di Governo Chavez il recupero del potere d'acquisto
reale del salario del lavoratore é cresciuto come in pochi paesi al
mondo: dai circa 30 dollari USA mensili del 1999, anno dell'arrivo di
Hugo Chavez al Governo, ai poco meno di 300 dollari USA mensili
attuali; in realtá aggiungendo il valore del buono pasto giornaliero,
il salario minimo supera i 400 dollari USA mensili. Ma vi é un altro
dato da considerare: quando Chavez arriva al Governo l'inflazione,
che nel 1996 arrivó a superare il 100%, (http://
www.lapatriagrande.net/01_venezuela/economia/ipc_ven.htm) divorava
interamente lo scarso salario; negli anni di Chavez l'aumento del
salario é sempre stato al di sopra dell'inflazione; nel mese di Marzo
2007, ad esempio, ultimo dato disponibile, l'inflazione é stata di
-0.7%.

Sono stati numerosi i provvedimenti annunciati e che da oggi entrano
in vigore, tutti tendenti a migliorare la qualitá della vita delle
fasce piú deboli, come la pensione sociale (il 60% del salario
minimo) per le persone anziane (61 anni di etá) che non hanno versato
contributi previdenziali e che fino ad oggi non avevano diritto a
nessuna fonte di reddito.

Ma oggi é anche il giorno della fine della "Apertura petrolifera",
ossia la legge che permise la privatizzazione del settore
petrolifero, pur in presenza di una legge costituzionale che
riservava l'attivitá lucrativa nel settore petrolifero ed energetico
esclusivamente allo Stato. Con l'"apertura petrolifera" negli anni
novanta si permise praticamente la privatizzazione del settore
petrolifero. A partire da oggi, l'attivitá petrolifero torna ad
essere interamente di uso esclusivo dello Stato.

E' proprio grazie al recupero degli introiti derivanti dallo
sfruttamento delle fonti energetiche che il Governo Chavez ha potuto
operare una ridistribuzione delle ricchezze piú giusta ed
inidirizzata fortemente a pagare l'enorme "debito sociale" di cui
furono vittime le classi lavoratrici e piú povere. Fino all'avvento
del Governo Chavez, le enormi ricchezze del Venezuela erano di uso
esclusivo delle classi oligarchiche e di governo, lasciando al
proletariato esclusivamente le briciole, ossia i circa 30 dollari USA
mensili di salario minimo, con cui era costretta a sopravvivere il
70% della popolazione venezuelana. Mai in passato i governi
venezuelani avevano realizzato politiche di carattere sociale: il 70%
della popolazione venezuelana non aveva diritto a sanitá, educazione,
formazione, pensione, assistenza sociale... non aveva diritto che
alla povertá estrema.

Oggi Chavez non é solo sempre piú saldamente al Governo nel suo
paese, ma é sempre piú popolare in America Latina e nel mondo intero
e lider riconosciuto alla testa delle rivendizioni del proletariato
mondiale.

Fonte: http://nuke.lapatriagrande.net


=== 3 ===

Chavez: (ri)nazionalizzazioni

Insediandosi a Caracas, annuncia «la strada verso il socialismo» e la
de-privatizzazione delle compagnie di telefoni e elettricità (americane)

Maurizio Matteuzzi da il Manifesto del 10.1.07 p. 6

Con un'accelerazione secca ma per la verità non inattesa la via
venezuelana al socialismo - anche se al «socialismo del secolo XXI» -
sembra tracciata e, stando alle parole del presidente Hugo Chavez, «è
irreversibile». Ne prendano buona nota Bush, le compagnie
transnazionali, la chiesa cattolica e l'opposizione venezuelana.
Alle parole socialismo e nazionalizzazioni delle «imprese
strategiche», la Borsa di Caracas è crollata - meno 9% ieri - e
quella di New York è stata costretta a sospendere le contrattazioni
delle azioni della Cantv, la compagnia telefonica privatizzata nel
'91, cadute del 35%.
Fra lunedì, quando nel teatro Teresa Carreño di Caracas ha ricevuto
il giuramento dei 27 ministri (di cui 15 nuovi nel consueto
tourbillon), e ieri mattina, quando nel Salon protocolar del
Congresso ha giurato per il suo nuovo mandato di 6 anni (fino al
2013, per il momento), Chavez ha interpretato fino in fondo il ruolo
di guastatore che l'ha reso, con l'ineluttabile tramonto di Fidel, il
leader latino-americano più esplosivo.
Ieri mattina le cerimonie sono cominciate presto, perché poi Chavez
doveva partire per Managua per presenziare all'insediamento di Daniel
Ortega. Alle 8, fiori al Panteon nazionale, dove riposa el Libertador
Simon Bolivar; alle 9 nella sede dell'Assemblea nazionale il
giuramento e l'imposizione della fascia presidenziale; subito dopo un
discorso che i network privati (e ostili) hanno dovuto ingoiare in
catena nazionale; alle 11 sfilata militare nel Paseo de los Proceres.
Fra lunedì e ieri Chavez ha tracciato la sua strategia per i prossimi
6 anni: 5 gli assi - o «i motori» - su cui si muoverà «la
rivoluzione». La nuova Ley Habilitante votata dall'Assemblea
nazionale (dove, dopo il ritiro suicida dell'opposizione dalle
elezioni del dicembre 2005, tutti i 167 seggi sono chavisti) per
avere i poteri speciali necessari ad adottare le riforme; la riforma
costituzionale «in senso socialista»; l'«educazione popolare»; la
«nuova geometria del potere»; lo «Stato comunale» («una specie di
confederazione regionale, locale, nazionale dei consigli comunali»)
quale primo passo dello «Stato socialista, dello Stato bolivariano
capace di guidare una rivoluzione». Per avviare questi 5 «motori»,
dovrà essere riformata «profondamente» la sua costituzione
bolivariana che allora, nel '99, già diede un colpo forte ma non
ancora letale al vecchio sistema della democrazia rappresentativa,
formale ed escludente che aveva retto il Venezuela dal '58 al '98
preservandolo da golpe e dittature militari ma facendo di
quell'Eldorado petrolifero il paese dell'incredibile tasso di povertà
(l'80% dei 26 milioni di venezuelani).
Ma Chavez non si è limitato a delineare la strada verso «la
Repubblica socialista del Venezuela». Ha detto altro e di più. E da
subito. Ri-nazionalizzare i settori strategici - a cominciare dalla
Cantv e dall'Edc, la compagnia dell'elettricità -, se non il petrolio
(con le compagnie transnazionali che sfruttano i giacimenti
tradizionali di Maracaibo e quelli nuovi dell'Orinoco ha stretto mesi
fa nuovi accordi che prevedono la creazione di joint ventures con
Pdvsa, la compagnia statale venezuelana, e il forte aumento di
royalities e tasse) almeno le raffinerie, revocare l'autonomia della
Banca centrale (un concetto proprio dell'era «neo-liberista»).
Abbastanza per far crollare, ieri, le Borse e provocare la prima
reazione minacciosa di Bush («Le compagnie Usa dovranno essere
risarcite adeguatamente»).
A parte il petrolio, da maneggiare con cura (il greggio venezuelano
rifornisce il 15% del mercato interno Usa e per le compagnie a stelle
e strisce il Venezuela continua a essere una festa), sotto tiro ci
sono Cantv e Edc. La compagnia dei telefoni è l'unica impresa del
Venezuela quotata a Wall Street ed è controllata dalla statunitense
Verizon (ma ci sono anche la Telefonica spagnola, la Deutsche Bank
tedesca, l'UBS svizzera, la Morgan Stanley americana e fondi di
investimento californiani ed elvetici); la compagnia elettrica,
privatizzata nel 2000, è controllata dalla AES Corp. basata ad
Arlington, Usa.
Chavez non si è risparmiato negli interventi degli ultimi due giorni
citando, per spiegare cosa significi il suo «socialismo del secolo
XXI», citando a profusione Marx e Lenin, il Trotzky della
«rivoluzione permanente» e la Bibbia o «il comandante» Gesu Cristo.
Ma questo può fare parte del personaggio.
Si vedrà presto se la via venezuelana al socialismo imboccherà la
strada presa a suo tempo dalla Cuba castrista o se sarà solo la
semplice - e quasi inevitabile - reazione del Venezuela, come di
molti altri paesi (anche moderati) dell'America latina, contro le
privatizzazioni selvagge e spesso fraudolente degli anni 90 del '900.

Contestazioni a D'Alema

1) I. Pavicevac: Lettera aperta a D'Alema
2) Serravalle Pistoiese, 29 giugno: D'Alema contestato alla festa
della CGIL alla presenza di Epifani


=== 1 ===

----- Original Message -----
From: Ivan P. Istrijan
To: Coord. Naz. per la Jugoslavia
Sent: Sunday, June 17, 2007 9:58 AM
Subject: Fw: Lettera a D'Alema


Sig. ministro D'Alema
E p. c. Al sig. Prodi



Il Kosovo (e Metohija) indipendente è un'idea fascista del 1941 e Lei
con le recenti dichiarazioni non fa che accodarsi a questo continuato
atto di aggressione imperialista americana nello smembramento della
Jugoslavia socialista.

Come non vedere, in riferimento al 1941, che la proposta di un Kosovo
indipendente non è altro che un'espressione del revanscismo più bieco
di quelle forze che sono state sconfitte nell'ultima guerra (Italia e
Germania, quest'ultima, insieme al Vaticano, storica nemica della
Jugoslavia).

Gli schipetari, albanesi kosovari, secessionisti e terroristi, non
sono riusciti a perseguire nel loro intento utilizzando lo strumento
demografico tanto che l'espressione ricorrente da parte di costoro
era “vi sconfiggeremo con il c....”

La maggior parte del popolo albanese, e non albanese, del Kosovo e
Metohija volevano rispettare il governo del paese nel quale essi
vivevano.

I secessionisti albanesi non hanno mai voluto dialogare, nemmeno
l'ipotesi di una possibile divisione della regione, hanno invocato
l'intervento internazionale/americano, la barbara aggressione con
bombardamenti di cui il governo da Lei presieduto, all'epoca, si è
vantato.

Soltanto i miserabili, Rugova, Taci e quant'altri, possono applaudire
e costringere il proprio popolo ad applaudire gli autori dei
bombardamenti.

Al presidente Clinton è stata intestata una via a Pristina, non credo
che a Lei, sig. D'Alema, concederanno più che una pacca sulla spalla.

Personalmente ritengo che Lei non sia un uomo politico di grande
rilievo, in questo credo che anche gli albanesi siano del mio stesso
parere.

Un Kosovo indipendente non potrà diventare che uno stato di mafie con
“bulli e pupe” a intrattenere i “valorosi” (sic!) soldati americani
di stanza nella loro base di Bondsteel, da cui pensano di non andare
mai via!



Con profonda disistima

Ivan Pavicevac


=== 2 ===

From: annacapecchi @ gmail.com
Date: July 1, 2007 11:35:40 AM GMT+02:00
Subject: venerdi 29


CONTESTATO IL GUERRAFONDAIO D'ALEMA

Nel pomeriggio di venerdì 29 gugno, alla festa nazionale della CGIL
che si svolge a Serravalle Pisoiese (PT) erano presenti il segretario
generale CGIL Epifani e il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema.

Un gruppo di compagni, appena ha preso la parola il "PORTATORE DI
DEMOCRAZIA" D'Alema, ha steso uno striscione contro le guerra
imperialista di cui questo signore è uno dei maggiori promotori in
Europa. Hanno gridato slogan contro l'intervento in Afganistan, in Iraq.
Immediato e violento è stato l'intervento del servizio d'ordine del
sindacato, che ha letteralmente strappato di mano ai compagni lo
striscione. E successivamente vi è stato un massiccio intervento
della DIGOS, che coadiuvati da un sostenuto numero di poliziotti
nonche della scorta stessa del m/sinistro hanno provveduto a portare
via letteralmente di peso i compagni.

L'azione, seppure nel limite della partecipazione, del breve tempo
per pochi slogan, è stata alquanto devastante per la tranquillità con
cui la CGIL agisce in un territorio completamente controllato
(insieme ai DS) con metodi mafiosi.
Sul giornale locale si è provveduto a far passare la contestazione
come l'iniziativa di "un isolato giovane".
Non hanno però potuto impedire che tra i presenti si comprendesse il
significato dell'iniziativa, che ha invece trovato ampio consenso.

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/bologna060707.htm

LA BALCANIZZAZIONE DEI COMUNISTI

Lo squartamento della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia
ha colpito ovviamente innanzitutto i comunisti, che erano il cemento
dell'unità del paese. Oggi, per loro l'agibilità politica in
repubbliche come la Croazia è pressochè nulla. Una situazione non
dissimile si è determinata in altre aree dell'Europa che furono
governate dai comunisti - dai Paesi Baltici alla Repubblica Ceca -
dove la messa fuorilegge è all'ordine del giorno. Parliamo di paesi
che sono già nell'Unione Europea, o sono in procinto di entrarci.

Inoltre, le difficoltà dell'azione politica e le sconfitte subite
hanno oggettivamente determinato fino ad oggi un processo di
frammentazione, dispersione e litigiosità interna nelle sinistre
anticapitaliste dell'area jugoslava. Questa condizione però
contraddice i bisogni ed i sentimenti della fascia maggioritaria
della popolazione, la quale, indipendentemente dalla nazionalità, è
duramente colpita dai processi di restaurazione/ristrutturazione
capitalistica e rimpiange in modo sempre più esplicito le conquiste
civili, il livello di benessere e la convivenza pacifica conseguiti
con il socialismo.

Di recente, un esperimento è stato avviato per superare la
frammentazione sia dal punto di vista politico-ideologico che da
quello nazionale. Si tratta di una rivista - NOVI PLAMEN
( http://www.noviplamen.org/ ) - dal carattere "transfrontaliero",
realizzata da anticapitalisti - marxisti, ambientalisti, libertari -
di alcune delle repubbliche in cui la Jugoslavia si è scomposta.
Tra gli animatori di questo esperimento ci sono anche comunisti
di Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia.

Le drammatiche vicende dei comunisti jugoslavi, ed il loro modo di
affrontare le difficoltà, sono di monito e di insegnamento anche per
i comunisti attivi nei paesi capitalisti: Italia compresa.
"Balcanizzazione" e confinamento in uno spazio di "dissidenza",
lontani dalla possibilità di incidere e di cambiare il corso delle
cose, appaiono incombenti anche qui.

Ne parliamo con

JASNA TKALEC
redattrice di NOVI PLAMEN, militante del SRP (Partito Socialista dei
Lavoratori, Croazia) ed aderente al CNJ (Coordinamento Nazionale per
la Jugoslavia, Italia)

MARCELLO GRAZIOSI
collaboratore de L'Ernesto, esperto di questioni balcaniche ed
internazionali

Coordina
ANDREA MARTOCCHIA
per l'Associazione "Politica e Classe" e per il CNJ.

VENERDI 6 LUGLIO 2007 ORE 21

presso la sede della
Associazione marxista Politica e Classe per il socialismo del XXI secolo
via Barbieri 95 (quartiere Navile)
Bologna

Promuovono
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - jugocoord@...
Associazione marxista Politica e Classe per il socialismo del XXI
secolo - politicaeclassebologna@...

PER ARRIVARE:
* in treno ed autobus:
dalla uscita principale della Stazione attraversare la strada;
prendere a sinistra; dopo 200m, in Via XX Settembre prospiciente alla
Stazione Autocorriere, attendere l'autobus in direzione opposta al
centro cittadino; prendere l'autobus n.11 e scendere a Fondo Comini
(ca. 7 minuti):
http://www.atc.bo.it/orari_percorsi/planner/plannerIT.asp
* in automobile:
da ogni direzione, imboccare la Tangenziale fino all'uscita n.6; alla
rotonda svoltare per il centro cittadino e percorrere Via Corticella
per circa 1km; subito dopo l'Ippodromo (grande cartello "BINGO
Ristorante") entrare a destra in Via Barbieri; percorrerla per circa 500m:
http://it.mappe.yahoo.net/tc/mappa.jsp?com1=bologna+%28bo%29&to1=Via+G.
+Francesco
+Barbieri&civ1=95&rg=15&pv=bo&cx=11.34383&cy=44.5167&lx=11.34383&ly=44.516
7&z=0.6&lv=1&ct=&st=&cs=&nm=&al=default&type=null&d=1

http://search.japantimes.co.jp/cgi-bin/eo20070702gc.html

Japan Times
July 2, 2007

Serbia owed justice in Kosovo

By GREGORY CLARK*


No commentator likes to sound like a conspiracy nut.

But if that is the fate of anyone who tries to
challenge the distortions involved in painting Serbia
as criminally guilty over Kosovo and the breakup of
the former Yugoslavia, then so be it.

Let's go back to the beginning. When Nazi Germany
tried to occupy Yugoslavia during World War II, the
Croat and Muslim minorities there backed the Nazis in
their campaign against the mainly Serbian resistance.

Even the Nazis are said to have been impressed by the
brutality with which the Croatian forces — the dreaded
Ustashi — set out to massacre and cleanse whole
villages and even towns of their Serbian populations.
Some 1 million Serbs died as a result, many of them in
the Croatian death camp at Jasenovac, said to rival
some Nazi Holocaust operations in scale and atrocity.

With the war over, Serb revenge seemed inevitable. But
the Yugoslav resistance leader, Tito, managed to
restrain passions by allowing Serbian domination of
the central government while dividing the nation into
semi-autonomous regions with mixed ethnic populations.

But it was an uneasy compromise, as I saw on the
ground in the former Yugoslavia of the '60s and as
even we in distant Australia probably realized better
than most.

There we saw frequent attacks by recalcitrant Ustashi
elements on Yugoslav diplomatic missions and the large
Serbian immigrant community.

We took it for granted that in any breakup of
post-communist Yugoslavia it would be insanity to ask
the large Serbian minorities in Croatia and Bosnia to
accept rule by their former pro-Nazi Croatian and
Muslim oppressors. But insanity prevailed, thanks
largely to pressure from Germany, Britain and the
United States, all seeking to expand influence into
yet another Eastern Europe ex-communist nation.

In short, the subsequent fighting was inevitable, as
were the atrocities, by all sides. But the Serbs could
at least claim they were seeking mainly to recover
some of the towns and villages they had lost under the
Nazis.

Much is made of Serbian revenge killings in the
Bosnian district of Srebrenica in 1995. But we see no
mention of the wartime and postwar killings of Serbs
in that area, which had reduced the Serbian population
from a prewar level of over half to less than one
third. Nor do we find much mention of the atrocities
involved in expelling hundreds of thousands of Serbs
from Croatia.

Enter the Kosovo problem.

To assist the Muslim side during the 1992-1995 Bosnian
fighting, British and U.S. intelligence organs
resorted to the extraordinary recruitment and training
of Islamic extremists from Afghanistan's anti-Soviet
wars of the 1980s.

Help and training was also given to Albanian Muslim
extremists setting up their Kosovo Liberation Army to
launch guerrilla attacks against isolated Serbian
communities. (These long-suspected facts were
confirmed by Britain's former environment minister
Michael Meacher writing in The Guardian newspaper
recently).

Even more extraordinary was the way Serbian attempts
to prevent or retaliate against those KLA attacks were
denounced as the "ethnic cleansing" of Kosovo's
Albanians (ironically it was the KLA that invented the
term, to describe its plan to drive out the Serbian
minority).

The U.S. and the North Atlantic Treaty Organization
move to bomb Serbia into submission followed soon
after, even though it was the KLA, not Belgrade, that
violated a 1998 ceasefire organized by the U.S.

The propaganda war used to justify Western policies
over Kosovo was unrelenting.

We were told that 500,000 ethnic Albanians had been
killed there by the Serbs (miraculously we are now
given a figure of around 10,000).

Much was made of a 1989 speech by former Yugoslav
leader Slobodan Milosevic said to call for "ethnic
cleansing" in Kosovo. But one has only to read the
speech to realize it said the exact opposite — that it
was a call for moderation in handling ethnic Albanian
hostility to a justifiably stronger Serbian political
presence there; the idea that the 10 percent Serbian
minority there would set out deliberately to expel the
large ethnic Albanian majority was patently absurd
from the start.

Yet that absurdity has regularly been trundled out by
allegedly objective Western commentators relying
heavily on the 1999 flight of ethnic Albanians to
neighboring Macedonia as proof. But that flight was
temporary, and came after the U.S./NATO bombing
attacks, not before. Some of it was also staged.

Almost nowhere do we see any mention of the hundreds
of thousands of Serbs, Jews, Gypsies [Roma] and
moderate ethnic Albanians since expelled permanently
from Kosovo by the now dominant extremists. Meanwhile
we are supposed to be annoyed by Belgrade's and
Moscow's resistance to a Kosovo independence that
would almost certainly see the remaining ethnic
minorities even further victimized.

The implications for the future are frightening. The
propaganda victory over Kosovo seems to have convinced
our Western policymakers that they can say anything
they like on any issue and rely on spin, black
information and a lazy or compliant media to get away
with it.

The 1999 ultimatum given Belgrade over Kosovo was pure
blackmail: Either you agree to our demands, no matter
how unreasonable (including the demand to put not only
Kosovo but also Serbia under NATO military
occupation), or we use our dominant air power to wreck
your economic and social infrastructure. The
subsequent destruction of Serbia's industries,
including its only car factory, was pure vandalism.

Even Belgrade's willingness to accept a Kosovo under
the control of moderate ethnic Albanians was rejected,
in favor of the KLA Muslim extremists the U.S. had
long supported. Ironically some of those extremists
have now joined al-Qaida's anti-U.S. jihad.

On the 50th anniversary of their original unification,
the EU powers congratulated themselves on the way they
had kept Europe free of war ever since 1945.

They did not seem even to notice how they had just
gone to war with a European nation called Serbia.

Serbia was the one European nation to resist Nazi
German domination (the others either surrendered or
collaborated). Its capital, Belgrade, was viciously
bombed as a result. The next time it was bombed was by
a NATO that included Germany and many of the other
former collaborator nations, this time to force it to
submit over Kosovo. Little wonder the Serbs remain
angry.



*Gregory Clark is a former Australian government
official and currently vice president of Akita
International University. A translation of this
article will appear at www.gregoryclark.net 

(Source: R. Rozoff via http://groups.yahoo.com/group/stopnato and http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo )



http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2007-06-28%
2020:00:22&log=attentionm

"Sauvez deux personnes de la lapidation" ? Faux mails, fausses
pétitions, vraies manips.

Grégoire Seither

VASTE CAMPAGNE DE MANIPULATION DE L’OPINION SUR INTERNET

Depuis une semaine, tous les forums, blogs et mailing-list que je
modère sont envahis de messages à propos d’une pétition pour sauver
deux personnes condamnées à la lapidation en Iran. Ces messages,
envoyés sous des identités différentes (et souvent par des pseudos
aux adresses fausses) nous expliquent que :

Un homme et une femme auraient du être lapidés jeudi (le 21 juin
dernier) à Qazvine. La femme qui aurait du être victime de cette
sauvagerie est incarcérée depuis 11 ans. Les fosses dans lesquelles
les deux victimes auraient du être enfouies jusqu’à la poitrine
avaient été creusées et les amas de pierres qui auraient du mettre
fin à la vie des deux victimes avaient été transportés sur les lieux.
Tout était donc prêt pour une nouvelle scène d’horreur en Iran.

Si la cause apparente défendue par ces organisations “de défense des
droits de l’homme en Iran” est honorable (la lapidation est un acte
barbare), je me permets néanmoins de faire remarquer que les
organisateurs de cette campagne d’opinion ne sont pas honnêtes et que
leurs messages relèvent de la manipulation de l’opinion.

Lutter pour les droits de l’homme, oui, servir de marchepied aux
rêves de “remodelage du Moyen-Orient” des néoconservateurs à
Washington (USA), non !

Il s’agit d’une campagne concertée (le même message, traduit en
plusieurs langues, envoyé sous des pseudos différentes, est relayé
sur quasiment tous les forums ouverts ainsi que sur les blogs) en vue
de créer un “buzz” dans l’opinion et nous préparer psychologiquement
à la prochaine attaque militaire contre l’Iran.

Quand les bombes tomberont sur l’Iran, notre capacité d’indignation
sera émoussée, nous nous dirons “Bon, c’est pas bien de bombarder et
de tuer des civils, mais c’est de leur faute, ils l’avaient bien
cherché”...

C’est exactement ce qui s’était déjà passé pour la Serbie et pour
l’Irak.
Une campagne médiatique savamment orchestrée par des cabinets de
comm’ - et relayées par des personnes de bonne foi, ce qui donnait
encore plus de poids à l’argument, nous avait convaincus que “une
barbarie est entrain de se produire” et qu’il fallait bien “éliminer
ces méchants” en leur déversant des tonnes de bombes sur la tête.
Tant au Kosovo qu’en Irak, il s’était avéré ensuite que les choses
étaient bien différentes de ce que la presse avait voulu nous faire
croire.

Aujourd’hui nous avons au Ministère des Affaires Etrangères de la
France un ministre, Bernard Kouchner, qui avait à l’époque dirigé la
campagne de manipulation médiatique sur le Kosovo et ensuite approuvé
l’invasion de l’Irak par les forces américano-anglaises en reprenant
les arguments dictés par la propagande de la Maison Blanche…. Ce
n’est pas vraiment la personne idéale pour garder la tête froide face
à ceux qui nous poussent à bombarder l’Iran.

Il est donc important de garder à l’esprit que le site..
http://www.sauvelemonde.com/nous.htm

Est une création des mêmes auteurs que :
http://www.helpliberte.com/insurrection.htm
http://www.ncr-iran.info/fr/index.php
http://www.csdhi.org
http://www.iranmanif.org
http://www.iranfocus.com/french/modules/news/index.php

La totalité de ces sites sont crées et financés par des organisations
dépendantes de la NED (National Endowment for Democracy), qui n’est
qu’un paravent de la CIA aux Etats-unis, au service des projets
impérialistes.
Voir à ce sujet : “La NED, nébuleuse de l’ingérence
démocratique” (sur le site du Réseau Voltaire : http://
www.voltairenet.org/article12196.html ).

Luttons pour les droits de l’homme, mais gardons nos yeux ouverts et
méfions nous des manipulateurs qui cherchent à nous embrigader dans
leurs projets prédateurs.

Les petits mensonges de George W. Bush et de Colin Powell (souvenez
vous des “preuves” brandies à la télévision, devant l’assemblée
générale de l’ONU) ont coûté la vie à près d’un millions d’Irakiens
et plongé ce pays dans un chaos infernal... Ne laissons pas la chose
se reproduire avec l’Iran, la Syrie et le Liban

Grégoire Seither

http://libertesinternets.wordpress.com/2007/06/28/vaste-campagne-de-
manipulation-de-lopinion-sur-internet/


www.vocidelleresistenze.it

PROGRAMMA

Giovedi 5 luglio:

Tendone Dibattiti

Ore 11.00
Apertura dei lavori
Alessandra Luperto (Presidente Comitato Voci delle Resistenze)
Romano Franchi (Presidente del Consorzio di gestione Parco Storico di Monte Sole)


Ore 12:00
Apertura Ristorante

Tendone Dibattiti

Ore 14.30: 
“L’insorgenza partigiana: luoghi e memorie”

Giampietro Lippi   (autore de: “La Stella Rossa a Monte Sole”)
Renato Romagnoli (detto Italiano, partigiano 7 gap) 
Bartolomeo Marchiorri (partigiano della brigata di Mario Ricci “Armando”)  
Didala Ghilarducci (ANPI Viareggio-Versilia) 

Moderatore: Nadia Baiesi (Direttrice Fondazione Scuola di Pace di Monte Sole)  


Ore 17:00 Visite guidate presso i luoghi della memoria (durata circa 2 ½h)


Tendone Dibattiti

Ore 17.00: 
Dalla scoperta dell’armadio della vergogna alla sentenza di I grado del processo sull’eccidio di Marzabotto”

Dante Cruicchi (Pres. Comitato Regionale per le Onoranze ai caduti di Marzabotto 
Enrico Pieri (Pres. Associazione Martiri di S. Anna 12 Agosto)   
Avv. Andrea Speranzoni (difensore di parte civile nel processo penale di La Spezia relativo all’eccidio di Marzabotto)  

Moderatore: Achille Ghidini (membro Comitato Regionale per le Onoranze ai Caduti di Marzabotto) 


Ore 18:00 Visite guidate presso i luoghi della memoria (durata circa 2 ½h)


Ore 19:00
Apertura Ristorante


Libreria
Ore 20:00
Aperitivo con l’autore
Donne nella Resistenza di S. Pietro in Casale e Galliera. Testimonianze di staffette partigiane della pianura.
A cura dell’Associazione antifascista Il Casone partigiano e di Mirko Zappi    


Tendone Audiovisivi
Ore 21.00
Una voce nel vento”
A seguire dibattito con il regista del film, Alberto Castiglione   


Arena
Ore 22.30
Malasuerte Fi-Sud (ska core combat da Firenze)
Banda Bassotti (combat ska da Roma)


Venerdi 6 luglio:

Tendone Dibattiti


Ore 8:30 Visite guidate presso i luoghi della memoria (durata circa 2 ½h)


Ore 10.30
Esperienze di antimafia”

Aldo Pecora (Movimento dei Ragazzi di Locri “Ammazzateci tutti”)
Valentina Castronovo (Radio Aut Palermo)
Gianluca Faraone  (Pres. Cooperativa Placido Rizzotto)
Maurizio Pascucci (Coordinatore Progetto Liberarci dalle Spine, Libera Toscana)
Maria Luisa Toto (Pres. Associazione Donne Insieme Renata Fonte)
 
Moderatore: Francesca Balestri (autrice de: “Come quei lampadieri. Viaggio tra le esperienze di antimafia sociale in terra di Sicilia”)


Ore 12:00
Apertura Ristorante


Tendone Dibattiti

Ore 16.30
Più info meno mafia
Pizzino (rivista di satira da Palermo): 
Girodivite-segnali dalle città invisibili, settimanale online
Terrelibere.org - sito di inchieste su mafia e sud del mondo
Casablanca (magazine siciliano)
L’isola possibile (mensile siciliano di approfondimento e cultura, allegato del Manifesto)

Moderatore: Enrico Fierro (giornalista de “L’Unità”)  


Ore 17:00 Visite guidate presso i luoghi della memoria (durata circa 2 ½h)


Ore 19:00

Apertura Ristorante



Libreria
Ore 20:00
Aperitivo con l’autore
Michela di Mieri: “S’ataurn indrì” (storia della donna Erminia Mattarelli)  


Tendone Audiovisivi
Ore 21.00:
 Lontano dagli eroi, vicino agli uomini”
Regia di Danilo Caracciolo. Produzione Associazione Exzema: pruriti creativi.
A seguire dibattito con il regista Danilo Caracciolo, Andrea Trombini (associazione Exzema), Raffaele Vecchietti e Armando Gasiani (partigiani)  


Arena
Ore 22.30
Kalamu (musica popolare calabrese)
Carmina Solis (folk da Messina)


Sabato 7 luglio:

Ore 8:30 Visite guidate presso i luoghi della memoria (durata circa 2 ½h)

Tendone Dibattiti
Ore 10.30
Le norme sui reati associativi e la loro applicazione in termini repressivi

Avv. Vaimer Burani (Associazione Italiana Giuristi Democratici. Difensore dei ragazzi dell’11 marzo 2006)    
Avv. Gianandrea Ronchi (Associazione Italiana Giuristi Democratici)   
Libero Mancuso (ex Magistrato )


Moderatore
Valentino Parlato (Presidente de  “Il Manifesto”)


Ore 12:00 

Apertura Ristorante


Tendone Dibattiti
Ore 16.30
 “Dalla Rivoluzione tradita ai golpe di stato”

Giuseppe Casarrubea  (Storico, esperto della strage di Portella della Ginestra)
Cinzia Venturoli (Direttrice del CEDOST, Centro di documentazione storico-politica su stragismo, terrorismo e violenza politica)     
Carlo Lucarelli  (giornalista e scrittore)

Moderatore: Valter Bielli (Presidente CEDOST, Centro di documentazione storico-politica su stragismo, terrorismo e violenza politica)     

Ore 17:00 Visite guidate presso i luoghi della memoria (durata circa 1h)


Ore 19:00
Apertura Ristorante


Ore 20.00
Aperitivo con l’autore:
Operazione Foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista, attraverso la guerra fredda, fino al neoirredentismo
Di Claudia Cernigoi
 



Tendone Audiovisivi
Ore 21.00: 
O’ sistema
A seguire dibattito con gli autori Matteo Scanni e Ruben H. Oliva


Arena
Ore 22.30
Cantiniero (ska da Lecco)  
Talco (Marghera patchanka-combat-ska-punk)  


Domenica 8 luglio:

Ore 8:30 Visite guidate presso i luoghi della memoria (durata circa 2 ½h)

Tendone Dibattiti
Ore 11.00 
Unire le resistenze: analisi e prospettive.


Rita Borsellino  (Deputata Assemblea Legislativa Regione Siciliana)
Salvo Vitale (Presidente Associazione “Peppino Impastato”)
Francesco Berti Arnoaldi Veli (Presidente FIAP, Federazione Italiana Associazioni Partigiane)
Franco Varini (Membro ANED -Associazione nazionale ex deportati- e ANPI -Associazione Nazionale Partigiani d'Italia-)

Moderatore: Alessandra Luperto (presidente Comitato Voci delle Resistenze)  


Ore 12:00

Apertura Ristorante


Arena
Ore 16.00
Rassegna Musicale


Ore 17:00 Visite guidate presso i luoghi della memoria (durata circa 2 ½h)


Sono inoltre previsti :
- un reading di poesie a cura di Andrea Trombini e Elio Talon
- uno spettacolo teatrale itinerante presso i luoghi della memoria a cura del Teatro Volante di Bologna


Durante la giornata verranno proiettati a ciclo continuo filmati e documentari in tema con l’iniziativa. 

Tra questi:
- alcuni lavori prodotti dall’ANPI di Anzola,
- “Espansione della Memoria” dell’associazione Ekidna 
- “I giovani alla scoperta dei luoghi della memoria nel quartiere Savena di Bologna” (ANPI di Savena), 
- Fascist Legacy (documentario della BCC sui misfatti del fascismo in Africa e nell’ex Jugoslavia),
- “Un’altra storia” (film sullo scontro elettorale per la Presidenza della Regione Sicilia, a cura della Playmaker produzioni),
- “I testimoni di Monte Sole” realizzato da Il Consorzio di Gestione Parco Storico di Monte Sole.
- LO STATO DI ECCEZIONE - processo per Monte Sole 62 anni dopo” (ITA/2007) di               Germano Maccioni (90')     
- "I luoghi della Resistenza a Monte San Pietro"de l'Associazione culturale La Conserva in collaborazione con Cineclub Cinerana ANPI sez. M.S. Pietro. Fotografie e installazione di Simone Caniati. Video di Lamberto Stefanini,



Sono previste attività sportive: torneo di calcio a 5 e torneo di pallavolo (in collaborazione con il  CSI di Sasso Marconi)

---

COMUNICATO STAMPA 


i Campeggio Nazionale delle Resistenze – da Cinisi a Monte Sole

  Dal 5 all’8 luglio 2007, nel cuore del Parco Storico di Monte Sole avrà luogo il “I Campeggio Nazionale delle Resistenze”.
     Quattro giorni densi di incontri con importanti figure coinvolte nella lotta alla Mafia e nella Resistenza Antifascista, di dibattiti, di filmati e documentari, di concerti e di animazione, che riempiono un programma particolarmente rivolto ai giovani.
   Un programma che per la sua qualità, ha ottenuto l’importante patrocinio della Camera dei Deputati, che si va ad aggiungere a quello dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna, della Provincia di Bologna e di una quindicina di Comuni tra cui per primi Marzabotto, Monzuno e Grizzana Morandi, appartenenti al territorio del Parco Storico di Monte Sole.
    Numerosissime Associazioni della più varia estrazione, dall’ANPI a Libera, alle tante altre che con la loro attività costituiscono la ricchezza culturale e aggregativa del territorio, hanno aderito all’appello proposto congiuntamente dal  Parco Storico di Monte Sole e dalla Associazione Radio Aut gruppo di Marzabotto. Appello che fra l’altro recitava:

   

Se resistere significa creare allora occorre mobilitarsi per salvaguardare la memoria e al contempo pensare ad un nuovo concetto di Resistenza, che possa abbracciare e contaminare più realtà.
Solo dialogando e aggiornando certi valori alla realtà che quotidianamente viviamo, possiamo fare sì che questi si trasmettano “perché la fiamma della Resistenza non si spenga mai”..

Queste adesioni, segno tangibile della grande aspettativa che l’evento suscita, sottolineano la giusta intuizione del Parco, che non ha esitato un attimo nel cogliere il senso di quest’idea, confermando una sensibilità forte e determinata a realizzare appieno le finalità che sono alla base della istituzione del  Parco Storico di Monte Sole, nato per presidiare i luoghi in cui si è consumata una delle più orrende stragi di civili nella seconda guerra mondiale, custodendone i segni e la memoria. 
    Una sensibilità riscontrata altresì nella immediata adesione della Signora Rita Borsellino che annunciando la sua partecipazione alla giornata conclusiva di questo evento ha dichiarato: 

   "L'idea di fare un campeggio tra giovani sul tema delle resistenze, è un modo intelligente di trasformare la memoria in futuro, difendendo i principi della nostra Costituzione. Primo tra tutti, quello della libertà".

     Pur non essendo né il primo né l’unico, questo evento è certamente fino ad oggi il più grande ed originale frutto delle relazioni instaurate, e poi sempre più fortemente consolidate a partire dal 2003, fra giovani ed Associazioni che in Sicilia si battono contro una mafia, terribile ed assassina, e singole sensibilità antifasciste di Marzabotto e dei territori circostanti, che si sono poi via via coordinate dando vita ad una Associazione che ha proposto e realizzato numerose iniziative che hanno riscosso un notevole successo.

L’idea che ne è alla base è appunto quella di stabilire un forte legame fra queste due resistenze, antimafiosa ed antifascista.



Essa prende forma in occasione di un concreto atto di resistenza, nel dicembre 2002 durante le giornate di lotta degli operai della FIAT, davanti i cancelli dello stabilimento di Termini Imerese.
      Da quel contatto fra una Associazione di giovani Siciliani che si ispirano al fulgido esempio di una vittima della mafia, Peppino Impastato, intitolando alla sua Radio Aut una importante associazione, e  i compagni della CGIL di Bologna, che si trovavano lì per gestire come volontari il servizio mensa organizzato dalla FIOM nei giorni della mobilitazione.
Da quel concreto atto di resistenza, ha pr

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(francais / english / italiano)


"Terroristi Islamici" sostenuti dallo Zio Sam: 
“Operazioni Sporche” dell’Amministrazione Bush dirette contro l’Iran, il Libano e la Siria.  

by Prof Michel Chossudovsky



=== LINK ===

Opération secrète
Le dossier des mercenaires du Fatah al-Islam est clos

par Thierry Meyssan | Paris (France) | Focus | L’armée libanaise a vaincu les mercenaires du Fatah al-Islam retranchés depuis un mois dans le camp palestinien de Nahr el-Bred. Leur reddition est une victoire pour le président Lahoud, tandis que la mort de leur chef est un soulagement pour le clan Hariri qui les avait indirectement engagés pour combattre le Hezbollah et avait été contraint d’interrompre le versement de leurs soldes à la demande du roi d’Arabie saoudite. Thierry Meyssan revient sur cette opération secrète qui a mal tourné...



===

Les dessous de l’affrontement au Liban

par Michel Chossudovsky
Mondialisation.ca, Le 20 juin 2007

L’affrontement entre le groupe Fatah al-Islam et les forces armées libanaises dans les camps de réfugiés palestiniens dans le nord du Liban a défrayé la manchette au cours des dernières semaines. Les enjeux en ont été soigneusement camouflés par les médias.
Le groupe Fatah al-Islam est un groupe fondamentaliste sunnite majoritairement composé de non Palestiniens qui intervient dans les camps de réfugiés. Selon les rapports de presse, le nombre de membres du Fatah al-Islam s’élèverait à environ 150 à 200 militants, en majorité des combattants saoudiens, syriens, yéménites et marocains...


IN ENGLISH:

"Islamic Terrorists" supported by Uncle Sam: Bush Administration "Black Ops" directed against Iran, Lebanon and Syria

by Prof Michel Chossudovsky




Invio in allegato, con preghiera di diffusione, la traduzione de " 
Terroristi Islamici" sostenuti dallo Zio Sam: “Operazioni Sporche” dell’
Amministrazione Bush dirette contro l’Iran, il Libano e la Siria.  
Una analisi del Prof Michel Chossudovsky che fornisce molte risorse di 
riflessione su avvenimenti attualissimi.
Carissimi saluti da Curzio



"Terroristi Islamici" sostenuti dallo Zio Sam: “Operazioni Sporche” dell’Amministrazione Bush dirette contro l’Iran, il Libano e la Siria.  

by Prof Michel Chossudovsky


(Traduzione ed elaborazione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

 L’Amministrazione Bush ha ammesso di aver indirizzato contro l’Iran e la Siria azioni sotto copertura di natura aggressiva. L’obiettivo prefissato era di mandare in pezzi il sistema economico e monetario dei due paesi. Il malfamato Iran-Syria Policy and Operations Group – Gruppo per le Operazioni e le Politiche contro l’Iran e la Siria – (ISOG) creato all’inizio del 2006, integrato con funzionari della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato, della CIA e del Ministero del Tesoro, aveva il mandato di destabilizzare la Siria e l’Iran, per provocarne un “Cambiamento di Regime”: “Il comitato, lo Iran-Syria Policy and Operations Group [ISOG], si era incontrato settimanalmente per tutto il 2006 per coordinare azioni atte a creare limitazioni all’Iran nell’accesso alle istituzioni di credito e bancarie, per organizzare la vendita di materiale militare ai confinanti con l’Iran e per appoggiare le forze che si oppongono ai due regimi” (Boston Globe, 25 maggio 2007). Inoltre l’ISOG ha fornito assistenza sotto copertura ai gruppi di opposizione e ai dissidenti Iraniani. Le manovre propagandistiche del Gruppo sono consistite nell’alimentare disinformazione nelle catene di comunicazione e “nel costruire lo sdegno internazionale verso l’Iran”. (Boston Globe, 2 gennaio 2007)

Cambiamento di rotta nella politica verso Iran-Siria?

Di recente, Washington ha annunciato un’evidente inversione di rotta: non più infide operazioni sotto copertura dirette contro “nemici canaglie” in Medio Oriente.  Lo Iran-Syria Policy and Operations Group (ISOG) è stato congedato per ordine del Presidente Bush.  Secondo funzionari del dipartimento di Stato, gli USA non saranno più impegnati in “azioni aggressive [sotto copertura] contro l’Iran e la Siria”.                                                                                                        Un funzionario di grado elevato del dipartimento di Stato ha affermato: “ Il gruppo era diventato il centro dell’attenzione dei critici dell’Amministrazione che temevano stesse predisponendo azioni segrete che potevano portare ad un’escalation fino ad un conflitto armato con l’Iran e la Siria. L’atmosfera di segretezza che avvolgeva il Gruppo, al momento del suo insediarsi nel marzo 2006, accoppiata con il fatto che questo Gruppo  era stato modellato sulla fattispecie di un simile comitato speciale per l’Iraq, aveva contribuito a questi sospetti. Il Gruppo [lo ISOG] ha chiuso i battenti per una diffusa percezione nella pubblica opinione che esso fosse designato a mettere in esecuzione i cambiamenti di regime.” 

Comunque, altri ufficiali del Dipartimento di Stato hanno dichiarato che il Gruppo aveva come obiettivo quello di “convincere i regimi dell’Iran e della Siria a mutare il loro atteggiamento, non di farli crollare”. 


Dobbiamo credere a tutto questo?                                                                                                                                                                                         

Alcuni analisti di politica estera hanno definito la decisione di Washington come una prova di un “gradito alleggerimento” della strategia USA in Medio Oriente. Si considera che l’Amministrazione Bush abbia accantonato “i cambiamenti di regime” in favore di un più flessibile approccio, consistente in un dialogo costruttivo con Teheran e Damasco.
Allora, noi veniamo informati che azioni aggressive sotto copertura sono state barattate con interventi diplomatici internazionali da condursi in tutta onestà. Lo scioglimento dell’ISOG arriva quando  l’Amministrazione Bush si è imbarcata su un significativo nuovo tentativo di tenere incontri ad alto livello con l’ Iran e la Siria. In breve, prima che il Gruppo relativo alle questioni Iran-Siria venisse dismesso, la Segretaria di Stato Condoleezza Rice lanciava una iniziativa importante per impegnare l’Iran e la Siria in uno sforzo regionale per stabilizzare l’Iraq, capovolgendo la politica USA di vecchia data avversa a contatti ad alto livello con questi paesi. 

Per anni, l’Amministrazione Bush aveva evitato incontri con la Siria…Invece, questo mese la Rice si è incontrata in Egitto con il Ministro degli Esteri siriano, il primo incontro ad alto livello fra i due paesi dal 2004, e lunedì 4 giugno l’Ambasciatore USA in Iraq, Ryan Crocker, ha in programma di incontrare a Baghdad l’Ambasciatore iraniano.

Kenneth Katzman, uno specialista sul Medio Oriente presso il Servizio Ricerche del Congresso, lo strumento di indagine del Congresso USA, ha dichiarato di non pensare che sia stata una coincidenza la dismissione del Gruppo ISOG nel preciso momento in cui il Dipartimento di Stato ha dato il via alla sua estesa iniziativa diplomatica: "Io penso che la ragione effettiva per questo Gruppo era il favorire i cambiamenti di regime, e la Rice sta andando in una direzione totalmente differente. All’interno dell’Amministrazione, la tendenza verso i cambiamenti di regime effettivamente è andata via via sempre più indebolendosi." 

La decisione di smantellare ISOG è puramente un’operazione di cosmesi. Molte delle sue operazioni di intelligence rimangono in piedi. ISOG costituiva una delle diverse iniziative sotto copertura per destabilizzare l’Iran e la Siria. I cambiamenti di regime e le guerre illegali fanno tuttora parte dell’agenda dell’Amministrazione.  Di fatto, nel corso degli ultimi quattro anni, vi era stato un incremento delle operazioni di intelligence sotto copertura tendenti a destabilizzare i regimi dell’Iran e della Siria. Per di più, queste operazioni sono state condotte in stretta coordinazione con i piani di guerra di Israele e della NATO, e costituiscono una parte cruciale delle operazioni militari appoggiate dagli USA contro l’Iran, la Siria e il Libano. Le operazioni segrete sono state sincronizzate con la road map militare, che comprende i diversi scenari di guerra immaginati dagli USA, a partire dal lancio nel maggio 2003 del  " Theater Iran Near Term – Teatro Iraniano Quasi a Scadenza" (TIRANNT), appena un mese dopo l’invasione dell’Iraq. Questi scenari bellicosi esplicitamente prevedono i mutamenti di regime:  ... Secondo il TIRANNT, gli strateghi dell’Esercito e del Comando Centrale USA hanno preso in considerazione scenari di guerra con l’Iran, compresi tutti gli aspetti di operazioni importanti per il combattimento, dalla mobilitazione al dispiegamento delle forze fino alle operazioni post-belliche di stabilizzazione dopo il cambiamento di regime." (William Arkin, Washington Post, 16 aprile 2006)

Gli USA sono sul piede di guerra e le diverse operazioni segrete e le campagne di manipolazione psicologica – che costantemente alimentano i canali informativi di immagini spregevoli del Capo di Stato Iraniano --, sono parte integrante dell’arsenale propagandistico e militar-spionistico. D’altro canto le operazioni sotto copertura sono in stretta coordinazione con i dispiegamenti militari USA, di Israele e della NATO nel Mediterraneo Orientale e nel Golfo Persico, che vedono lo svolgimento di importanti giochi di guerra quasi di continuo dall’estate 2006.  


" Operazioni sporche" della CIA dirette contro l’Iran 

In coincidenza con l’annuncio dello scioglimento dell’ISOG,  "La CIA ha ricevuto in segreto l’approvazione Presidenziale di imbastire un’operazione sporca segreta per destabilizzare il governo Iraniano, questo secondo funzionari in servizio ed ex dell’organizzazione di intelligence…" (ABC News Report 22 May 2007). Questa iniziativa parallela che vede la CIA responsabile, e che "ha ricevuto l’approvazione di funzionari della Casa Bianca e di altri agenti negli ambienti dello spionaggio", ha chiaramente il medesimo mandato che aveva ricevuto il defunto ISOG: 
Le fonti, che hanno riferito in condizioni di anonimato data la natura delicatissima del soggetto, affermano che il Presidente Bush ha sottoscritto un "provvedimento presidenziale non letale" che mette in moto un piano CIA che, da quel che si dice, include una ben congegnata campagna di propaganda, di disinformazione e di manipolazione relativa alle transazioni valutarie e di finanza internazionale Iraniane.   
"Io non posso confermare o smentire se esista tale programma o se il Presidente lo abbia sottoscritto, ma questo sarebbe coerente con un approccio Americano globale che cerchi di trovare i modi di esercitare pressione sul regime Iraniano," ha dichiarato Bruce Riedel, un ufficiale superiore della CIA di recente a riposo, che aveva come campo di azione l’Iran e altri paesi della regione. 

Un portavoce del Consiglio Nazionale di Sicurezza, Gordon Johndroe, ha affermato: "La Casa Bianca non rilascia commenti in materia di  intelligence." 

E un portavoce della CIA: "Come è nostra abitudine, noi non commentiamo accuse non comprovate di attività segrete." (ABC News Report 22 May 2007)

Evidentemente, il piano della CIA era "pensato per esercitare pressioni sull’Iran a che bloccasse il suo programma nucleare di arricchimento di Uranio e che cessasse di appoggiare le forze della resistenza in Iraq."  L’operazione sotto copertura, secondo funzionari Statunitensi, costituiva un’alternativa più leggera di un attacco militare contro l’Iran, un’opzione che invece vedeva favorevoli il Vice Presidente Dick Cheney ed altri falchi all’interno dell’Amministrazione. 

L’ex ufficiale della CIA Riedel ha commentato: "Funzionari addetti all’intelligence, in servizio e a riposo, pensano che l’approvazione di questa operazione segreta significa che l’Amministrazione Bush, per il tempo che resterà in carica, ha deciso di non perseguire un’opzione militare contro l’Iran. Il Vice Presidente Cheney aiutava ad indirizzare la situazione in favore di un attacco militare, ma io reputo che si sia arrivati alla conclusione che un’aggressione militare avrebbe presentato più lati negativi che positivi." 

Le operazioni di intelligence sotto copertura dirette contro l’Iran e la Siria non sono in alternativa ad un’azione militare. Anzi, tutto il contrario! Il piano della CIA è stato congegnato in appoggio alla strategia di Washington di destabilizzare Iran e Siria,  per mezzo sia di azioni militari sia con mezzi non militari come operazioni segrete di intelligence. 

Sguinzagliare le Brigate Islamiche all’interno dell’Iran 

Per quel che concerne l’Iran, l’intelligence USA è stata sostenuta da un gruppo terroristico con base in Pakistan, lo Jundullah (Soldati di Dio), che ha condotto incursioni terroristiche all’interno dell’Iran. Il gruppo opera "dalle basi che si trovano nell’aspra regione che comprende i tre confini fra Iran-Pakistan-Afghanistan." Secondo un resoconto di ABC News: "Un gruppo tribale di militanti Pakistani, responsabile di una serie di incursioni mortali di guerriglia all’interno dell’Iran, è stato segretamente sostenuto e consigliato da funzionari Americani fin dal 2005; questo è stato riferito ad ABC News da fonti dell’ intelligence Pakistana. Il gruppo, denominato Jundullah, è costituito soprattutto da membri della tribù Baluchi ed opera fuori della provincia del Baluchistan in Pakistan, proprio attraverso il confine con l’Iran. È responsabile della morte e del rapimento di più di una dozzina di soldati ed ufficiali Iraniani." (ABC News, 2 April 2007)

Abd el Malik Regi, il capo di Jundullah, comanda una forza di diverse centinaia di guerriglieri combattenti "che attraversando il confine con l’Iran, organizzano attacchi contro ufficiali dell’esercito Iraniano e contro funzionari dell’intelligence Iraniana, catturandoli e filmandone la loro esecuzione,… Di recente, Jundullah si è attribuito il merito di un’aggressione in febbraio contro un bus nella città Iraniana di Zahedan, dove sono stati ammazzati almeno 11 Guardiani della Rivoluzione." (Ibid)

Fonti del governo Statunitense hanno reso noto che il capo di Jundullah "ha tenuto regolari contatti con ufficiali USA" ma negano "finanziamenti diretti" di Jundullah da parte dell’intelligence USA. 

Intrinsecamente alle operazioni segrete della CIA, l’Agenzia non assicura mai finanziamenti "direttamente". Invariabilmente, procede attraverso una delle sue organizzazioni delegate, come l’Inter Services Intelligence (ISI) del Pakistan, che storicamente, dalla guerra Sovietico-Afghana, ha fornito appoggio a gruppi terroristici Islamici, ha finanziato i campi di addestramento e le scuole Coraniche madrassahs, sempre agendo per conto della CIA. In effetti, questo ruolo insidioso dell’ISI Pakistano (per conto della CIA) è candidamente ammesso dall’intelligence USA: "Fonti dell’intelligence USA affermano che Jundullah ha ricevuto denaro ed armi attraverso l’esercito dell’Afghanistan e del Pakistan e i servizi di spionaggio Pakistani. Il Pakistan ha ufficialmente smentito qualsiasi collegamento." ( Brian Ross e Christopher Isham, The Secret War Against Iran – La guerra segreta contro l’Iran, 3 aprile 2007) 

Altri canali utilizzati dall’intelligence USA per finanziare il terrorismo sono tramite l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo, dove il denaro di fondo viene incanalato verso i diversi gruppi di militanti Islamici su mandato dello Zio Sam. "Alcuni ex funzionari della CIA indicano che l’intesa nei confronti di Jundullah richiama alla mente come il governo USA abbia sempre usato e finanziato gruppi armati alleati attraverso altri paesi, come l’Arabia Saudita, per destabilizzare il governo del    Nicaragua negli anni Ottanta [si ricordi l’affare Iran-Contra]." (Ibid)


Modello costante: le origini storiche del "Terrorismo Islamico"

Ironicamente, i gruppi Islamici sono raffigurati come intimamente connessi con Teheran. L’Iran, un paese prevalentemente Sciita, viene accusato di dare ricetto a terroristi islamici Sunniti, quando di fatto questi terroristi Islamici sono "strutture di intelligence" degli Stati Uniti, appoggiate indirettamente da Washington.  

Questo ruolo dell’intelligence USA a supporto dei "terroristi Islamici" è ben determinato. Le operazioni segrete applicate contro l’Iran fanno parte di un modello costante.  

La non tanto segreta agenda dell’intelligence USA, applicata in tutta l’Asia Centrale e il Medio Oriente, consiste nel provocare instabilità politica e fomentare conflittualità etniche in appoggio alle "organizzazioni Islamiche terroriste ", in definitiva con l’obiettivo di indebolire lo Stato Nazione e di destabilizzare i paesi sovrani. 

Dall’attacco della guerra Sovietico-Afghana e per tutti gli anni Novanta, la caratteristica precipua delle attività della CIA consisteva nel fornire appoggio sotto copertura alle "organizzazioni Islamiche terroriste ": 

Nel 1979 veniva lanciata "la più grande operazione segreta nella storia della CIA" in risposta all’invasione Sovietica dell’Afghanistan a sostegno del governo filo-comunista di Babrak Kamal.

[Vedi Fred Halliday, The Country that lost the Cold War, Afghanistan (Il paese che ha fatto perdere la Guerra Fredda, Afghanistan) - New Republic, 25 marzo 1996 e Ahmed Rashid, The Taliban: Exporting Extremism (I talebani: come esportare l’estremismo), Foreign Affairs, novembre-dicembre 1999. vedi anche Michel Chossudovsky, America's "War on Terrorism", Global Research,  2005, Ch. 2.

Con l’attivo incoraggiamento della CIA e dell’ISI-Inter Services Intelligence del Pakistan, "tra il 1982 e il 1992, circa 35.000 integralisti Mussulmani arrivarono per combattere in Afghanistan da 40 paesi Islamici. Inoltre, decine di migliaia arrivarono in Pakistan per studiare nelle madrasahs. Alla fine, più di 100.000 integralisti Mussulmani stranieri subirono la diretta influenza della jihad Afghana." (Vedi Chossudovsky, op cit)
Queste operazioni segrete in appoggio delle "Brigate Islamiche" continuarono nel periodo post Guerra Fredda. 

Subito dopo la guerra Sovietico-Afghana,  l’estesa rete militar-spionistica dell’ISI non veniva smantellata. La CIA continuava a sostenere la "jihad" Islamica fuori del Pakistan. Prendevano corpo nuove iniziative sotto copertura nell’Asia Centrale, in Medio Oriente e nei Balcani. 

L’apparato militare e di intelligence Pakistano essenzialmente "era servito da catalizzatore per la disintegrazione dell’Unione Sovietica e per far nascere sei nuove repubbliche Islamiche in Asia Centrale." (Ibid). "Nel frattempo, missionari Mussulmani della setta Wahhabita dall’Arabia Saudita andavano a stabilirsi nelle repubbliche Islamiche dell’ex Unione Sovietica e perfino all’interno della Federazione Russa, andando ad intaccare le istituzioni dello Stato laico." (Ibid) 

Un modello simile vedeva la luce nei Balcani. A partire dai primi anni Novanta, l’Amministrazione Clinton appoggiava il reclutamento dei Mujahideen di Al Qaeda per combattere in Bosnia a fianco dell’Esercito Musulmano di Bosnia. Per ironia, è stato il Partito Repubblicano a pubblicare un documento del Comitato del Partito Repubblicano del Senato USA che accusava Clinton non solo di un  "partecipe coinvolgimento nel rifornimento di armi alla rete Islamica", ma anche di collaborare con la Third World Relief Agency – Agenzia per gli Aiuti al Terzo Mondo (TWRA), "un’organizzazione, si fa per dire, umanitaria, con sede in Sudan, che veniva ritenuta essere collegata con quei punti fissi di riferimento della rete terroristica Islamica, come lo Sceicco Omar Abdel Rahman (la mente direttiva condannata per gli attentati dinamitardi del 1993 al World Trade Center) ed Osama Bin Laden,... " (Il documento originale può essere consultato sul sito web del Comitato del Partito Repubblicano del Senato USA (Senatore Larry Craig), a http://www.senate.gov/~rpc/releases/1997/iran.htm )

Dal momento che è stata scatenata la Guerra Globale contro il Terrorismo (GWOT) sull’onda dell’11 settembre 2001, molti dei documenti ufficiali, che puntualizzano le insidiose relazioni fra intelligence USA e la "rete Islamica terroristica ", sono stati accuratamente sottratti alla pubblica visione. 


Gli USA hanno sponsorizzato i "Terroristi Islamici" in Libano

Le recenti uccisioni di civili all’interno dei campi profughi Palestinesi nel nord del Libano sono state causate dagli scontri fra Fatah Al Islam e le forze armate Libanesi. 

Fatah al-Islam è un gruppo fondamentalista Sunnita, a predominanza non-Palestinese, che opera all’interno dei campi profughi. Inoltre, Fatah Al Islam fà riferimento alle sette Wahabite dell’Arabia Saudita, che hanno fatto parte delle operazioni segrete della CIA fin dallo scatenarsi della Guerra Sovietico-Afghana. 

Le forze armate Libanesi sono state coinvolte nelle incursioni all’interno dei campi, soprattutto per sradicare i profughi Palestinesi. 

Secondo documenti stampa, il numero dei militanti di Fatah al Islam (costituito da combattenti Sauditi, Siriani, Yemeniti e Marocchini), all’interno del campo era dell’ordine dei 150-200 elementi. L’offensiva dell’esercito Libanese è stata spropositata, ed ha avuto come risultato perdite civili innumerevoli. 

"Allora, l’assalto assolutamente spropositato contro il campo è stato incondizionatamente approvato dal Segretario di Stato USA Condoleezza Rice. La Rice ha dichiarato: “Il governo di Siniora sta combattendo contro un nemico estremista veramente brutale. Quindi, il Libano sta facendo la cosa giusta per cercare di proteggere la sua popolazione, per ribadire la sua sovranità ed allora noi diamo al governo Siniora tutto il nostro appoggio e questo è quello che bisogna tentare di fare.” Il Libano ha messo in atto un’azione di polizia contro questo minuscolo gruppo per chiedere agli USA 280 milioni di dollari per assistenza militare, nel tentativo di eliminare quella che viene definita pomposamente una “insurrezione”. Un portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, ha affermato che la richiesta di fondi, 220 milioni dovrebbero andare alle Forze Armate Libanesi e altri 60 milioni di dollari alle forze di sicurezza, è stata presa in considerazione da Washington. L’anno scorso, gli USA hanno fornito al Libano 40 milioni di dollari in aiuti militari e un’addizionale di 5 milioni di dollari per quest’anno." 

(Chris Marsden, 27 May 2007)


Fatah Al Islam è stata presentata dai mezzi di comunicazione, in una logica completamente distorta, come un’organizzazione collegata al movimento Fatah in Palestina, un’organizzazione laica fondata da Yaser Arafat. Da un punto di vista ideologico, Fatah al Islam, assomiglia ad Al Qaeda, che è nota per essere finanziata dall’Arabia Saudita e dagli Stati del Golfo e appoggiata dall’Inter Services Intelligence (ISI) Pakistano, in coordinamento con i servizi segreti Statunitensi. Secondo Seymour Hersh, l’Arabia Saudita sta fornendo sotto copertura finanziamenti ed appoggi  a Fatah Al Islam, in stretta consultazione con l’Amministrazione Bush. Hersh puntualizza su un "accordo privato" tra funzionari al vertice NeoCon e il Principe Bandar bin Sultan dell’Arabia Saudita, che ha operato da vicino con il Direttore della CIA George Tenet, quando era Ambasciatore Saudita a Washington. 
Anche il governo del Libano è coinvolto in questa operazione di intelligence: 
“L’attore chiave è il Saudita. Quello su cui io [Hersh] ho puntualizzato è stato una specie di accordo privato fra la Casa Bianca, stiamo parlando di Richard—Dick—Cheney ed Elliott Abrams, uno dei più importanti aiutanti della Casa Bianca, con Bandar [il Principe Bandar bin Sultan, consigliere per la sicurezza nazionale Saudita]. E l’idea era che i Sauditi fornissero sostegno sotto copertura, per appoggiare i vari gruppi jihadisti dalla linea dura, gruppi Sunniti, particolarmente in Libano, che avrebbero potuto essere presi in considerazione nel caso di un vero e proprio scontro con gli Hezbollah—il gruppo Sciita nel sud del Libano—essere presi in considerazione semplicemente come una risorsa. Ora noi ci troviamo nell’impresa di sostenere i Sunniti, ogni qualvolta possiamo, contro la Shia, contro gli Sciiti in Iran, contro gli Sciiti del Libano, vale a dire contro Nasrullah. La guerra civile! Noi ci troviamo nell’impresa di suscitare in tanti posti, in Libano particolarmente, una violenza settaria

(CNN Interview with Seymour Hersh, CNN International's Your World Today, 21 May 2007) 

Il modello dell’appoggio Saudita a Fatah Al Islam è parte di una operazione segreta sponsorizzata dagli USA, simile a quella portata avanti dalla CIA negli anni Ottanta a sostegno di Al Qaeda. 
“Bene, gli Stati Uniti sono stati profondamente coinvolti. Questa è stata un’operazione segreta che Bandar ha portato avanti con noi. Se voi ricordate, e non bisogna dimenticarlo, che noi siamo entrati in guerra in Afghanistan con l’aiuto di Osama bin Laden, i  Mujahideen nel retroscena negli ultimi anni Ottanta con Bandar e con gente come Elliott Abrams attorno, l’idea essendo quella che i Sauditi promettevano che avrebbero controllato – loro avrebbero avuto il controllo sui jihadists mentre noi avremmo speso un po’ di denaro e di tempo, … usando ed appoggiando i jihadists negli ultimi anni Ottanta…E noi seguiamo ancora lo stesso modello… usando ancora i Sauditi per appoggiare gli jihadisti [Fatah Al Islam], i Sauditi che ci assicurano che hanno sotto controllo questi gruppi diversi, gruppi come quello che in questo momento è in contatto a Tripoli (Libano) con il governo.” 

(CNN Interview with Seymour Hersh, CNN International's Your World Today, 21 May 2007) 


Inscenare un evento in Libano? Costruire una giustificazione umanitaria per un intervento militare 

Fatah Al Islam è una "risorsa di intelligence" finanziata dall’Arabia Saudita. Mentre l’Amministrazione Bush accusa Damasco di appoggiare Fatah Al Islam, vi sono indicazioni che i morti ammazzati nei campi profughi Palestinesi sono il risultato di un’operazione di intelligence militare accuratamente programmata. A partire dall’estate 2006, in seguito ai bombardamenti Israeliani sul Libano, le forze della NATO si sono insediate all’interno del Libano e sulla linea costiera Siriana-Libanese. La Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che dava il via al dispiegamento delle forze “peace-keeping” della NATO, costituiva il primo passo in questo processo, che era seguito al ritiro del 2005 delle forze Siriane dal Libano. 

L’obiettivo strategico militare è quello di scatenare all’interno del Libano una violenza settaria, che fornirà un pretesto "per motivi umanitari" ad un intervento militare più intenso da parte delle forze della NATO, sotto un formale mandato dell’ONU. 

Questo intervento militare “di natura umanitaria” della NATO, in collegamento con Israele, può essere considerato come un risultato del ritiro delle truppe Siriane del 2005 e dei bombardamenti Israeliani del 2006. Se fosse promosso questo intervento, allora darebbe luogo de facto ad una situazione di una occupazione straniera del Libano e ad un rafforzamento di un blocco economico diretto contro la Siria.  

Il pretesto per questo rafforzamento delle azioni militari è fornito dal supposto sostegno della Siria a Fatah Al Islam e dal presunto coinvolgimento di Damasco nell’assassinio di Rafiq Hariri. La tempestiva "inchiesta" sull’assassinio di Hariri e l’insediamento di un tribunale illegale stanno per essere usati dalla Coalizione per fomentare un sentimento anti Siriano nel Libano. 

Da un punto di vista militare e strategico, il Libano è la porta di ingresso verso la Siria. La destabilizzazione del Libano favorisce l’agenda militare di USA-NATO-Israele diretta contro la Siria e l’Iran. L’intelligence USA scatena le sue brigate Islamiche, mentre accusa il nemico di appoggiare i gruppi terroristici, che di fatto sono sostenuti sotto copertura e finanziati dallo Zio Sam.   

© Copyright Michel Chossudovsky, Global Research, 2007

L’indirizzo url di questo articolo a: www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=5837

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IL MISTERO DI FATAH AL ISLAM
 

 

Beirut, maggio - I sanguinosi scontri nel campo profughi palestinese di Nahr el Bared, a Tripoli, in Libano, hanno attirato l'attenzione su un'organizzazione praticamente sconosciuta: Fatah al Islam. Arabmonitor ne ha parlato con l'opinionista libanese Hassan Hamadeh. 

 

Come si spiegano gli scontri avvenuti a Tripoli ?

 

"Con un preciso progetto di creare le condizioni per trascinare l'esercito libanese in una guerra di logoramento". 

 

Perché l'esercito libanese ?

 

"Perché costituisce l'unica garanzia contro un conflitto civile nel Paese. L'intera crisi è scoppiata quando questi fuorilegge hanno assaltato una banca a Tripoli e poi gli agenti della sicurezza interna sono intervenuti presso il loro covo, che conoscevano, per fermarli. Non sono stati in grado di farlo e hanno chiamato l'esercito che era all'oscuro di tutto, ed è finito nella trappola".

 

Ma il fenomeno dell'estremismo islamico sunnita in Libano esiste da tempo (nell'ottobre 2005 Charles Ayoub, direttore del foglio indipendente libanese Ad Diyar disse ad Arabmonitor che erano presenti nel Paese molti più militanti islamici di quanti uno potesse immaginare, molti erano stranieri e avevano il preciso obiettivo di destabilizzare il Libano).

 

"Il fenomeno è emerso cinque-sei anni fa, prima della stessa invasione dell'Iraq, e fu sostenuto dallo stesso Rafic Hariri che intendeva utilizzare i fanatici islamici, gente che guarda ad al Qaeda come riferimento, per i suoi scopi".

 

Chi li ha incoraggiati o sostenuti in questi ultimi anni ?

 

"Sicuramente il movimento Future di Saad Hariri (leader dell'attuale maggioranza parlamentare libanese) ha una grande responsabilità, perché voleva usarli. Non è un caso che elementi di Fatah al Islam abbiano assaltato la Banca del Mediterraneo (di proprietà della famiglia Hariri) a Tripoli, come episodio scatenante del conflitto, perché sembra che non fossero più pagati (consigliata la lettura di Franklin Lamb: Who is behind the fighting in North Lebanon, www.counterpunch.org). La Banca del Mediterraneo ha avuto lo stesso ruolo nelle vicende libanesi degli ultimi anni che il Banco Ambrosiano in Italia all'epoca della vicenda di Calvi, della P2 e dello IOR".

 

Si dice che siano molti gli stranieri tra i ranghi di Fatah al Islam.

 

"Lo stesso ambasciatore saudita a Beirut ha riconosciuto la presenza di un bel numero di suoi connazionali (Marwan Abdulal, dirigente palestinese che vive a Tripoli, ha detto ad Arabmonitor che tra i guerriglieri del gruppo i palestinesi sono i meno rappresentati)".

 

Come sono entrati in Libano e quando sono arrivati ?

 

"Sono entrati in prevalenza attraverso l'aeroporto internazionale di Beirut che porta ancora il nome di Rafic Hariri, sebbene non sia un onore per il nostro Paese. Sono entrati usando il corridoio militare utilizzato dalle forze dell'Unifil. Nessuno ha potuto fermarli, controllarli. Sono arrivati a piccoli gruppi dallo scorso autunno. Li hanno piazzati in prevalenza nel campo di Ein el Helweh (Sidone), perché là si mimetizzavano meglio in quanto c'era già un gruppo estremista islamico. Poi, grazie alla Securita

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Quelli che esportano i "diritti umani" all'estero / 1


1) Sei anni dopo la mattanza del G8 di Genova:
- Comitato Verità e Giustizia per Genova: ALLA RICERCA DELLA VERITA’ SULLA DIAZ
DI GENNARO CAPO DI GABINETTO DI AMATO: IL CENTRO-SINISTRA CI HA PRESO IN GIRO
- Claudio Grassi: Il "gattopardismo" del Viminale mina la credibilità della stessa polizia


2Appello per la scarcerazione di Davide, Fabio, Marco

A professori, intellettuali, politici, partigiani, studenti, militanti
e a tutti coloro che sentono i valori dell’Antifascismo e della Resistenza come i propri



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"ALLA RICERCA DELLA VERITA’ SULLA DIAZ"

Nelle ultime settimane, abbiamo visto sfilare in aula, in ordine di
comparizione:

a) il vice-capo della Polizia di Stato, prefetto Antonio Manganelli, il
primo di una serie di alti funzionari chiamati a testimoniare durante il
processo per l´assalto alla scuola Diaz del luglio 2001. Manganelli ha
ricordato le sue telefonate con Francesco Gratteri, già capo del Servizio
centrale operativo, poi promosso questore di Bari ed oggi direttore della
direzione anticrimine centrale.

A luglio del 2001, Manganelli era in servizio in Puglia ma - essendo
comunque coinvolto nella gestione della sicurezza dell´evento internazionale
- restava in contatto con i super-poliziotti presenti a Genova.

b) un ex questore di Genova, Francesco Colucci, chiamato come testimone, ha
dichiarato una serie imbarazzante di "non ricordo" e di correzioni rispetto
a deposizioni precedenti. Colucci è stato poi iscritto nel registro degli
indagati per falsa testimonianza;

c) Lorenzo Murgolo, ora ai servizi segreti, si è avvalso della facoltà di
non rispondere, opzione legittima in quanto ex indagato nell'inchiesta, ma
di dubbia eticità trattandosi di funzionario dello stato, che dovrebbe
fornire la massima collaborazione alla magistratura;

d) l'ex vice capo della polizia, Ansoino Andreassi, anche lui testimone, che
spiega candidamente come il 21 luglio 2001 da Roma (cioè dal capo della
polizia Gianni De Gennaro) arrivò l'ordine di arrestare quante più persone
possibile: "Si fa sempre così in questi casi - ha detto Andreassi. È un modo
per rifarsi dei danni ed alleggerire la posizione di chi non ha tenuto in
pugno la situazione. La città è stata devastata? E allora si risponde con
una montagna di arresti”.

e) Vincenzo Canterini, nel frattempo promosso questore. L'ex comandante del
reparto mobile sperimentale della polizia di Stato, quello che fece
irruzione alla scuola Diaz di Genova il 21 luglio 2001, ha dichiarato che
alla scuola Diaz c’era una “macedonia di polizia”, di aver visto una ragazza
in una pozza di sangue, ma che “non era di sua competenza”, davanti al
pubblico ministero che lo accusa di falso, calunnia e concorso in violenze.
Anche lui, come i precedenti testimoni, indica nel prefetto La Barbera, nel
frattempo deceduto, ed in Lorenzo Murgolo (non imputato) le maggiori
responsabilità della perquisizione alla Diaz.

f) Michelangelo Fournier, imputato nel processo per i fatti della Diaz, ha
messo a nudo la strategia dell'omertà e della menzogna seguita in questi
anni dalla polizia di stato sui fatti di Genova. Fournier ha detto di avere
mentito e taciuto in questi sei anni per "spirito di appartenenza", dando
un'accezione del tutto errata di questo concetto, un'accezione incompatibile
con la Costituzione repubblicana.

Il capo della polizia Gianni De Gennaro lascia l'incarico con un'accusa
infamante - l'istigazione alla falsa testimonianza.

Le sole ultime deposizioni al processo Diaz hanno mostrato il degrado morale
della polizia di stato, fra dirigenti che rifiutano di rispondere ai pm, un
ex questore indagato per falsa testimonianza, mentre l'unico funzionario
(Fournier) che offre uno squarcio di verità - la "macelleria messicana" –
decide di parlare solo dopo sei anni.

Nel frattempo gli altri imputati hanno rinunciato a testimoniare al processo
in corso, per evitare, come dichiarato dai loro difensori, le “torture”
inflitte a Canterini e Fournier. Questo è il rispetto che questi personaggi,
poliziotti ed alti funzionari della polizia di stato, imputati di gravissimi
reati, hanno di un Tribunale della Repubblica.

Per anni abbiamo denunciato gli abusi compiuti a Genova e le coperture
garantite a chi le ha commesse, chiedendo a più riprese una tempestiva
sospensione dei dirigenti imputati e la rimozione del capo della polizia.
Non siamo stati ascoltati.

www.veritagiustizia.it

info@  veritagiustizia.it


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L’Ernesto, Newsletter n. 23, 27 luglio 2007 - Notizie in movimento

DI GENNARO CAPO DI GABINETTO DI AMATO: IL CENTRO-SINISTRA CI HA PRESO IN GIRO
Dal Sito www.megachip.info, 26 giugno 2007

Pubblichiamo condividendolo, un comunicato del "comitato verità e giustizia per Genova" che ben rappresenta il senso di sconcerto e d'indignazione che si è diffuso nell'opinione pubblica democratica del nostro Paese, a seguito della notizia che l'ex capo della polizia Giovanni De Gennaro, responsabile del comportamento dissennato delle forze dell'ordine durante i fatti di Genova del luglio 2001 e sotto inchiesta per "istigazione alla falsa testimonianza", è stato nominato dal Ministro dell'interno Amato, capo del suo Gabinetto. 


La nomina di De Gennaro capo di gabinetto del ministro Amato è un atto davvero indecente. Io lo vivo come un'umiliazione personale per tutti quelli che a Genova hanno subito ciò che sappiamo: abusi d'ogni tipo, la Costituzione calpestata, violenze fisiche. 

Il centrosinistra ci ha presi in giro, non ha il controllo delle forze di polizia e cerca di salvarsi chiamando al governo il capo del gruppo di potere più forte, che non riesce a intaccare. Lo dice anche l'associazione dei prefetti, che parla di ministero di polizia (quello che esisteva prima del ritorno della democrazia). 

Vorrebbero anche farci credere che è una scelta ottima per la democrazia, lineare e giusta, perché non si possono fare questioni personali. Infatti non facciamo questioni personali, poniamo questioni che hanno a che fare col rispetto dei diritti delle persone e con lo spirito e la lettera della Costituzione. 

Se la risposta alle rivelazione di Founier (macelleria messicana) e all'indagine su De Gennaro (istigazione alla falsa testimonianza) è la nomina di De Gennaro a braccio destro del ministro degli Interni (!!!!) e del suo vice a capo della polizia, che cosa dobbiamo pensare? 

Che possibilità ci lasciano? 

Lorenzo Guadagnucci - comitato verità e giustizia per Genova 


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Il "gattopardismo" del Viminale mina la credibilità della stessa polizia

Liberazione, 29 giugno 2007
Claudio Grassi*

«Cambiare perché tutto resti com'è". Il motto gattopardesco si adatta perfettamente al caso della sostituzione di Gianni De Gennaro con Antonio Manganelli a capo della Polizia. L'ennesima vicenda "all'italiana", confusa e nondimeno segnata da tratti inquietanti. 
I fatti seguono l'iscrizione di De Gennaro nel registro degli indagati per "istigazione alla falsa testimonianza" nel filone d'indagine relativo ai fatti del G8 di Genova del luglio 2001 aperto con l'accusa di "falsa testimonianza" ai danni dell'ex questore Colucci. 
Quest'ultimo, lo scorso 3 maggio, aveva ritrattato le dichiarazioni rese in aula, producendo una nuova ricostruzione tesa a scagionare il capo della Polizia, che da Roma seguiva la vicenda e impartiva ordini. Una ricostruzione "di comodo", probabilmente suggerita, secondo gli inquirenti, dallo stesso De Gennaro. 
Sulla base di queste dichiarazioni, De Gennaro avrebbe disposto di allertare l'allora addetto stampa, Roberto Sgalla: «c'era aria di arresti». Insomma, quella notte del 21 luglio alla scuola Diaz poteva rappresentare l'occasione del "riscatto" per la polizia.
Sappiamo bene com'è andata a finire: l'irruzione, la devastazione, le violenze. A monte, il desiderio di "vendetta" per una piazza che, così si voleva far credere, era sfuggita di mano. Alla fine, a processo in corso, l'istigazione a raccontare un'altra verità, ben diversa da quella registrata dai filmati pubblicati dalla segreteria legale di Genova. 
Le recenti dichiarazioni dell'ex vice-questore aggiunto della Celere di Roma, Michelangelo Fournier, sembrano completare il quadro: «Arrivato al primo piano dell'istituto ho trovato in atto delle colluttazioni (...). Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese, stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana». 
Anche a queste vicende è legata la rimozione di De Gennaro? O si è trattato solo di un "normale avvicendamento", come ha tenuto a sottolineare il ministro dell'Interno, Amato? De Gennaro lascia dopo aver concordato un'"uscita onorevole": la designazione a capo di gabinetto del ministro, lo stesso che, sette anni addietro (il 26 maggio 2000), in qualità di Presidente del Consiglio, lo aveva nominato capo della Polizia. 
Un precedente minaccioso: mai prima d'ora la carica di capo di gabinetto del Viminale era stata occupata da un capo di Polizia, per giunta gravato da così pesanti responsabilità nell'esercizio delle sue funzioni. 
D'altro canto, non convince neanche la successione. Gli subentra, infatti, quell'Antonio Manganelli che, con l'incarico di Vice Direttore Generale di Pubblica Sicurezza, aveva condiviso responsabilità ed omissioni legate ai fatti di Napoli, i violenti scontri del 17 marzo 2001, vere "prove generali" della mattanza genovese. 
Una scelta di continuità, ma anche una pesante ipoteca sulla credibilità democratica delle forze dell'ordine. 
Sono gravi le responsabilità, a Napoli come a Genova, che riguardano la "catena di comando". Nella sua deposizione al processo, Fournier ha spiegato che sia Canterini (che dirigeva il primo reparto mobile di Roma, quello dell'irruzione) sia Mortola (allora capo della Digos genovese) prendevano ordini da due alti funzionari, il prefetto La Barbera (ora deceduto), ex-capo dell'Ucigos e il direttore Gratteri, all'epoca capo dello Sco, il Servizio Centrale Operativo, in seguito addirittura promosso questore di Bari. 
Insomma, una vicenda inquietante che ha fatto indignare anche l'Unione europea per la violazione dei diritti umani consumata con le torture alla Diaz (senza dimenticare la caserma di Bolzaneto). 
La Corte Europea dei Diritti Umani ha così dichiarato ricevibile il ricorso che, in relazione all'uccisione di Carlo da parte delle forze dell'ordine, è stato presentato dalla famiglia Giuliani per violazioni della Convenzione Europea dei Diritti Umani agli articoli 2 e 3 (diritto alla vita e divieto della tortura) e agli articoli 6 e 13 (processo equo e ricorso effettivo).
Ecco perché torna più che mai d'attualità, insieme con la denuncia della "continuità" sancita dall'incarico a Manganelli e la ricerca della verità sulla "catena di comando" nei fatti di Napoli e di Genova, la richiesta di una commissione parlamentare di inchiesta e l'istituzione del codice di riconoscimento a garanzia dei cittadini e per responsabilizzare gli agenti. 
Una iniziativa forte per la verità e la giustizia da far vivere nel Parlamento e nel Paese e che deve impegnare anche il Governo al rispetto di un punto cardine del programma sottoscritto con il popolo del centro-sinistra.


*Senatore Prc-Se

29/06/2007


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Appello per la scarcerazione di Davide, Fabio, Marco


A professori, intellettuali, politici, partigiani, studenti, militanti
e a tutti coloro che sentono i valori dell’Antifascismo e della Resistenza come i propri


Appello per la scarcerazione immediata
degli studenti antifascisti arrestati

Alle sei e mezza del mattino del 14 giugno 2007, la digos torinese arrestava tre studenti universitari antifascisti del csoa Askatasuna e del Collettivo Universitario Autonomo, conosciuti all'interno dell'università per la loro militanza antifascista: Davide, Fabio e Marco. Dopo le perquisizioni delle loro case, a tutti veniva notificato il mandato di custodia cautelare ai domiciliari; i reati contestati sono quelli di minacce, resistenza e lesioni. 
Gli arresti sono lo strascico giudiziario dei fatti avvenuti la mattina del 14 maggio 2007 all’interno di Palazzo Nuovo, che qui di seguito riassumiamo: 
intorno alle 7,30 di quella mattina alcuni militanti del fuan (l’organizzazione degli “studenti” universitari fascisti), sotto l’occhio compiacente e complice delle forze dell’ordine, scavalcarono i cancelli ed entrarono nell’università torinese, piazzandosi nell’atrio con i loro volantini di propaganda politica in attesa dell’apertura regolare della struttura, protetti da vari cordoni di polizia. Aperti ufficialmente alle 8,00 i cancelli la polizia e la digos si prodigavano a impedire l’ingresso agli studenti identificati come antifascisti, costretti ad accedere all’interno di Palazzo Nuovo attraverso un’entrata secondaria non presidiata dalle forze dell’ordine. La presenza fascista e della polizia dentro Palazzo Nuovo mobilitò gli studenti antifascisti a formare spontaneamente un presidio d’opposizione, per chiedere l’uscita dei fascisti e la fine della militarizzazione dell’università. Le provocazioni da parte dei fascisti e delle forze dell’ordine furono innumerevoli, e crearono un clima di tensione crescente che culminò con una violenta carica ai danni del presidio, seguita da una vera e propria caccia all'uomo nell'atrio, nelle aule e persino nelle biblioteche. Diversi studenti e un lavoratore di Palazzo Nuovo furono manganellati e picchiati in vari luoghi dell’ateneo. Dopo l'uscita del fuan dall'università, il presidio antifascista, nonostante le difficoltà incontrate, si mosse in corteo verso il rettorato, per chiedere spiegazioni al rettore Ezio Pellizzetti. Nonostante i gravi fatti avvenuti le risposte fornite furono di circostanza e di rimpallo delle responsabilità. 

Oggi, nemmeno di fronte alla pesantezza delle conseguenze penali di quella mattina, il rettore ha ritenuto valesse la pena spendere una qualsiasi parola almeno in merito ai provvedimenti che hanno colpito i tre studenti arrestati. 
Riteniamo che quanto avvenuto la mattina del 14 maggio e gli arresti del 14 giugno siano fatti di estrema gravità e pericolo: la militarizzazione dell’università, le cariche della polizia e la successiva caccia all’uomo, gli studenti e i lavoratori feriti, e infine l’ordinanza di arresto per Davide, Fabio e Marco richiesta e firmata dalla magistratura torinese sono tutti elementi volti a colpire e intimidire chi a Torino continua a difendere e perseguire i valori dell’antifascismo e della Resistenza, nelle piazze, nei quartieri, sul posto di lavoro, nelle scuole e nelle università. Questura, magistratura e il rettore Pelizzetti sono responsabili, ognuno con precisi coinvolgimenti, di tutto quanto avvenuto.

Con questo appello vi invitiamo a firmare la richiesta della scarcerazione immediata di Davide Fabio e Marco, studenti arrestati con un castello accusatorio assolutamente inconsistente e attraverso un uso strumentale e politico della magistratura (è l'ordinanza di arresto stessa a dichiararlo esplicitamente) che di fatto imputa ai tre universitari la partecipazione al presidio e l'attivismo politico svolto quotidianamente all'interno dell'università. Se ce ne fosse bisogno, ciò rappresenta una motivazione in più per chiedere la loro immediata scarcerazione e la vostra firma a supporto di questa richiesta.

Torino, 16 giugno 2007
Network antagonista torinese - Csoa Askatasuna - Collettivo Universitario Autonomo - Csa Murazzi


PRIMI FIRMATARI:

- Gianni Vattimo (professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l'Università di Torino)
- Massimo Zucchetti (professore presso il Politecnico di Torino)
- Angelo D'Orsi (professore ordinario di Storia del Pensiero Politico Contemporaneo presso l'Università di Torino)
- Daniela Alfonzi (senatrice PRC)
- Alberto Burgio (docente di Storia della Filosofia presso l'Università di Bologna, deputato PRC)
- Luigi Saragnese insegnate, assessore alle Risorse educative del comune di Torino PRC)
- Gianluca Vitale (avvocato, aderente all'ASGI, Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione) 
- Lucia Delogu (vice-preside della Facoltà di Scienze Politiche, docente di Diritto Privato presso l'Università di Torino)
- Luciano Allegra (professore ordinario di Storia Moderma presso l'Università di Torino)
- Giuseppe Sergi (professore ordinario di Storia Medievale presso l'università di Torino)
- Pietro Kobau (professore associato di Estetica presso l'Università di Torino)
- Alessandra Algostino (professoressa associata di Diritto Costituzionale e Diritto Comparato presso l'Università di Torino)
- Alfredo Saad-Filho, Senior Lecturer, School of Oriental and African Studies (SOAS), University of London
- Simona Gallo (docente di Sociologia del Lavoro all'Università di Capetown - Sudafrica)
- Matilde Adduci (assegnista di ricerca presso l'Università di Torino)
- Giuseppe Caccia (ricercatore in Scienze Politiche presso l'Università di Torino)
- Chiara Bertone (ricercatrice in Sociologia presso l'Università del Piemonte Orientale)
- Daniela Calleri (docente presso l'Università di Torino)
- Dario Padovan (docente presso l'Università di Torino)
- Francesca Geymonat (ricercatrice presso l'Università di Torino)
- Paola Rumore (ricercatrice presso l'Università di Torino)
- Carlo Capello (ricercatore presso l'Università di Torino)
- Mario Ivani (ricercatore presso l'Università di Torino)
- Floriana Gargiulo (ricercatrice presso l'Università di Torino)
- Sergio Tosoni (ricercatore presso l'Università di Torino)
- J.Claude Leveque (ricercatore presso l'Università di Torino)

****************

Un altro appello è stato successivamente redatto dai docenti Enrico Pasini e Enrico Donaggio:


Il 14 maggio scorso, in occasione di paventati scontri tra studenti e militanti di parti politiche avverse, la polizia, di propria iniziativa, è intervenuta all'interno del Palazzo delle Facolta Umanistiche dell'Università di Torino, non soltanto a separare eventuali contendenti, ma caricando, inseguendo e percuotendo gli studenti fin negli uffici e locali di biblioteche e dipartimenti. Studenti in fuga, inseguiti e colpiti col manganello, non suggeriscono il protrarsi di una possibile resistenza ai pubblici ufficiali.

Questo ci ha causato un vivo sconcerto e serie perplessità sugli scopi effettivi di tale condotta.

Successivamente, a un certo numero di persone identificate come presenti sono state rivolte le accuse di resistenza e lesioni personali e tre di loro, almeno uno dei quali risulta espressamente non aver compiuto atti di violenza, sono stati sottoposti a custodia cautelare, nella forma degli arresti domiciliari: misura di cui non si colgono l'inderogabile esigenza o le motivazioni di concreto pericolo.

Ci uniamo alla richiesta, formulata da più parti, che gli studenti siano posti in libertà, in attesa di un'equa valutazione giudiziaria delle accuse mosse contro di loro dalla magistratura inquirente.


In ordine di adesione:
Enrico Pasini
Enrico Donaggio
Rocco Sciarrone
Gianni Vattimo
Maurizio Ferraris
Tiziana Andina
Gianfranco Gianotti
Sergio Bova
Lucio Bertelli
Pietro Kobau
Anna Chiarloni
Gaetano  Chiurazzi
Diego Marconi
Brunello Mantelli
Daniela Steila
Carla Bazzanella
Davide Lovisolo
Enrico Maltese
Gianluca Cuozzo
Lorenzo Massobrio



28/06/07 Torino palazzo di giustizia h 10.30
FABIO MARCO DAVIDE LIBERI SUBITO !


DAVIDE, FABIO, MARCO somo da giovedì agli arresti domiciliari.Arrestati perchè antifascisti, arrestati perchè autonomi. Da giovedì il movimento Torinese ha messo in campo iniziative in città, 
occupando il rettorato, organizzando un'assemblea e un presidio nel centro cittadino. Sono moltissimi gli attestati di solidarietàà che i compagni stanno ricevendo e che noi pubblichiamo; è stato anche redattto un appello per la loro scarcerazione immediata indirizzato a -professori, intellettuali, politici, partigiani, studenti, militanti e a tutti coloro che sentono i valori dell’Antifascismo e della Resistenza come i propri-
DAVIDE, FABIO, MARCO liberi subito!

LA CRONACA

giovedì 14 GIUGNO

Dalle 6.30 di del 14 giugno la Digos di Torino ha arrestato 3 compagni dell'Askatasuna e del collettivo universitario autonomo. Dopo aver perquisito le abitazioni li ha tradotti in questura notificando loro il mandato di custodia cautelare ai domiciliari. Davide, Fabio e Marco sono imputati dei reati di Violenza e resistenza a Pubblico ufficiale in merito agli scontri avvenuti all'università il 14 maggio quando un presidio antifascista impedì ai fascisti del Fuan di entrare a palazzo nuovo. Ci furono cariche della polizia dentro l'atrio dell'università e ci furono alcuni feriti. Due militanti dei Comunisti Italiani, che erano presenti alla manifestazione vennero già denunciati. In merito all'episodio, che ebbe molto eco sui giornali cittadini, vennero presentate alcune interrogazioni in consiglio comunale e in consiglio regionale, di solidarietà con gli studenti e di condanna alla manifestazione fascista.
leggi a lato in pdf le motivazioni dell'arresto

alle 11.00 dopo un breve presidio a Palzzo Nuovo è stato occupato il rettorato
alle 14.00 si è tenuta la conferenza stampa
scarica/ascolta la conferenza stampa a lato
alle 17 si conclude l'occupazione e la conferenza stampa rilanciando per domani alle 18.00 a Palazzo Nuovo un'assemblea di movimento, e sabato alle 17 un presidio davanti alla prefettura

Venerdì 15 giugno

Si è svolta a Palazzo Nuovo un'assemblea di movimento molto partecipata, che ha discusso la situazione e articolato le critiche del movimento contro l'Università di Torino, che ancora poche ore fa, con una nota del rettore Pellizzetti, ha assunto una posizione ponziopilatesca rispetto a ciò che è avvenuto sia il 14 maggio, giorno degli scontri tra studenti e polizia dentro l'università, sia il 14 giugno, giorno degli arresti dei tre compagni. All'assemblea hanno partecipato anche due partigiani che parteciparono alla liberazione di Torino durante la Resistenza, che hanno portato la loro solidarietà agli arrestati e invitato tutte le antifasciste e gli antifascisti a cercare la più vasta unità contro i tentativi della destra veterofascista di conquistare spazi politici e culturali nel nostro paese.

Sabato 16 giugno
comunicato del network antagonista torinese
Oggi a Torino più di trecento persone hanno idealmente abbracciato Davide, Fabio e Marco, i nostri tre compagni arrestati in seguito ad un’iniziativa antifascista che si tenne il 14 maggio scorso all’interno di Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche dell’università.
A partire dalle ore 17.00 si è formato in Piazza Castello un presidio in loro solidarietà che ne ha chiesto l’immediata liberazione e ha annunciato il lancio di una campagna di raccolta firme a cui tutte e tutti siamo invitati a partecipare.
Nell’appello, oltre alla richiesta di liberazione dei tre compagni, si denuncia l’inconsistenza dell’impianto accusatorio messo in piedi dalla magistratura torinese e l’uso politico e strumentale delle forze dell’ordine chiamate a militarizzare i locali universitari per proteggere e difendere un gruppo neofascista.
La magistratura, che ha accusato i nostri compagni non tanto di aver commesso concretamente dei reati, ma per la loro militanza antifascista quotidiana, per la loro internità nelle lotte sociali, è nell’appello ritenuta responsabile di voler colpire ed intimidire, attraverso questi arresti, chi a Torino continua a difendere e perseguire i valori dell’antifascismo.
Questi stessi concetti sono stati ribaditi anche all’interno dei numerosi interventi che sono stati fatti oggi in piazza. I compagni e le compagne di Davide, Fabio e Marco, i loro amici e le loro amiche, i loro colleghi di lavoro e di università, le loro famiglie, insieme alle altre persone presenti, hanno voluto, attraverso questo presidio, far sentire la loro voce, ora rinchiusa tra le mura di casa, e così sensibilizzare la cittadinanza di Torino su questo gravissimo episodio di repressione.
Numerosi gli attestati di solidarietà giunti in piazza, e variegate le voci che si sono levate a sostegno dei compagni detenuti. Oltre ai Comunisti Italiani, anche loro colpiti da una serie di denunce in seguito ai fatti occorsi il 14 maggio, hanno partecipato, tra gli altri, una delegazione No Tav della Val di Susa, i compagni e le compagne del centro sociale Gabrio, i collettivi studenteschi ed universitari della nostra città, vari esponenti della sinistra istituzionale, rappresentanti dei sindacati di base, realtà dell’antagonismo torinese, e poi tanti tanti altri...
E anche oggi al nostro fianco, alcuni partigiani della sezione Anpi Martiri del Martinetto, sezione alla quale sono iscritti Davide, Fabio e Marco, che hanno voluto, con la loro presenza, esprimere non solo la loro solidarietà, ma anche ribadire i valori della Resistenza e l’importanza di continuare a praticare l’antifascismo.
La campagna di liberazione continuerà nei prossimi giorni con altre iniziative, nella speranza che i nostri tre compagni possano presto tornare a lottare al nostro fianco.

Davide, Fabio e Marco liberi subito!
L’antifascismo non si arresta.


di seguito il comunicato del collettivo universitario autonomo



ARRESTATI STUDENTI ANTIFASCISTI


Oggi 14 giugno 2007, verso le 7 del mattino, tre compagni del Network
Antagonista Torinese sono stati raggiunti da notifica di arresti
domiciliari. Dopo la perquisizione delle rispettive abitazioni, per
volere del pm Tatangelo, sono stati portati in questura. I reati
contestati (minacce, resistenza, aggressione e lesioni in concorso con
le aggravanti) sono inerenti alla giornata del 14 maggio 2007, quando<

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Quelli che esportano i "diritti umani" all'estero / 2


PRIMO FLASHBACK:

DOPO 25 ANNI ROMPE IL SILENZIO SALVATORE GENOVA, 
UNO DEI LIBERATORI DEL GENERALE JAMES LEE DOZIER

«Nella polizia sono sempre esistite le squadre di tortura»


SECONDO FLASHBACK:

TRENTA ANNI DOPO L'ASSASSINIO DI GIORGIANA MASI

I video - il testo sulla lapide - la manifestazione del 12/5/2007 - scheda e ricostruzione storica



=== PRIMO FLASHBACK ===

«Nella polizia sono sempre esistite le squadre di tortura»

DOPO 25 ANNI ROMPE IL SILENZIO SALVATORE GENOVA, 
UNO DEI LIBERATORI DEL GENERALE JAMES LEE DOZIER

I concetti di Stato di diritto, di Stato democratico, postulano che anche
la lotta contro il terrorismo sia fatta con le armi della legalità:
proprio con l'uso di tali armi lo Stato si pone in antitesi con il suo
nemico. Fu questo il paradigma alla radice del processo ai liberatori del
generale James Lee Dozier, accusati di avere seviziato i brigatisti
catturati nel covo-prigione di via Pindemonte la mattina del 28 gennaio
1982. Alcuni uomini del Nocs, il neonato nucleo operativo centrale di
sicurezza, se da un lato inflissero alle Brigate Rosse la più importante
sconfitta militare sul campo, dall'altro si macchiarono di un delitto
intollerabile per la democrazia, sottoponendo gli arrestati a violenze
morali e fisiche mentre erano temporaneamente custoditi nella caserma
"Ilardi" di via Acquapendente, sede del Reparto Celere.

Oggi, a distanza di un quarto di secolo, rompe il silenzio Salvatore
Genova, ora dirigente della Polfer ma all'epoca commissario agli ordini
del quale agì la "squadretta punitiva". Genova era in servizio anche nei
giorni del G8 nel capoluogo ligure, «dove i superiori ci hanno lasciato in
cinquanta davanti a ventimila». In un'intervista rilasciata ad un
quotidiano genovese ha dichiarato che «fin dai tempi delle Br sono
esistiti nella polizia corpi speciali che hanno esercitato torture e
sevizie sugli arrestati». Erano soprannominati "i vendicatori della notte"
piuttosto che "i cinque dell'Ave Maria". E, guarda la coincidenza, ha
detto di avere più volte denunciato ai suoi superiori questi «mali
profondi della polizia».

Un tuffo nel passato. Alla sbarra per le torture ai brigatisti finirono,
oltre a Salvatore Genova, il maresciallo Danilo Amore, gli agenti Carmelo
Di Janni e Fabio Laurenzi, nonchè il tenente Giancarlo Aralla, in servizio
al reparto, cui era stato demandato il compito di vigilare sulle guardie
preposte alla custodia dei detenuti. Parte civile nel processo, dentro la
gabbia, l'"irriducibile" Cesare Di Lenardo, codroipese, che sta scontando
l'ergastolo. Di Lenardo fu tenuto bendato, ammanettato, a piedi nudi. Fu
sottoposto all'"algerina". «Mi portarono nelle docce. Sono stato disteso
su un tavolo di legno, legato mani e braccia, la testa penzoloni. Mi
riempirono la bocca di sale grosso e mentre uno mi teneva il naso tappato
facendo pressione sulle guance, cominciarono a versarmi acqua in bocca con
getti violenti, colpendomi con pugni allo stomaco in modo da costringermi
ad inspirare». Il brigatista tossiva per non soffocare. Un colpo di tosse
più forte degli altri gli provocò una lesione permanente al timpano. Non
solo. Lo infilarono nel bagagliaio di una Giulia e lo portarono fuori
dalla caserma. Fu il commissario Genova a dare l'ordine. A guidarli per le
vie della città c'era il tenente Aralla. Lo portarono in mezzo ad un
campo. Lo tirarono fuori dal bagagliaio. «Adesso ti spariamo», gli
dissero. E spararono per davvero. Una pistolettata in aria. Alle medesime
sevizie, appena più blande, furono sottoposti anche gli altri brigatisti
della colonna veneta comandata da Antonio Savasta. «Adesso t'ammazzo, mi
dicevano, e mi infilavano la canna della pistola in bocca. Perdevo
continuamente conoscenza. Ho ceduto quasi subito. Mi pareva di sentire
piangere Savasta...», fu la deposizione di Giovanni Ciucci. «Mi hanno
spogliata, tirato giù le mutande, strappato i peli del pube, torto i
capezzoli. Mi hanno spinta contro un tavolo minacciando di violentarmi con
un bastone. Ho risposto ad una domanda. E hanno smesso», dichiarò Emanuela
Frascella, la "vivandiera". Avrebbero parlato lo stesso. Savasta si era
"pentito" subito, appena steso sul pianerottolo della "prigione del
popolo".

Tutti colpevoli, sia pure con l'attenuante di avere agito per motivi di
"particolare valore morale e sociale". Condannati ad un anno di
reclusione, saranno poi amnistiati in Cassazione. Escluso Salvatore
Genova, nei confronti del quale il processo venne sospeso per essere stato
nel frattempo eletto deputato al Parlamento nelle file del Psdi. Proprio
colui che impartì gli ordini non fu mai processato.

Gabriele Coltro



=== SECONDO FLASHBACK ===

12 maggio 1977 - 12 maggio 2007

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IL VIDEO: 1977, L'UCCISIONE DI GIORGIANA MASI A ROMA


I FUNERALI DI GIORGIANA MASI


GIORGIANA MASI


12 MAGGIO 1977 - la polizia uccide Giorgiana Masi 




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Le foto della manifestazione per il 12 maggio


DISCORSO DI ORESTE SCALZONE PER GIORGIANA MASI


UN FIORE PER GIORGIANA MASI. 12 maggio 2007



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Se la rivoluzione d'ottobre

Fosse stata di maggio

Se tu vivessi ancora

Se io non fossi impotente di fronte al tuo assassinio

Se la mia penna fosse un'arma vincente

Se la mia paura esplodesse nelle piazze

Coraggio nato dalla rabbia strozzata in gola

Se l'averti conosciuta diventasse la nostra forza

Se i fiori che abbiamo regalato

Alla tua coraggiosa vita nella nostra morte

Almeno diventassero ghirlande

Della lotta di noi tutte donne

Se?.

 Non sarebbero le parole a cercare di affermare la vita

Ma la vita stessa, senza aggiungere altro

 
A Giorgiana Masi uccisa il 12 maggio 1977 dalla violenza del regime


Lapide sul luogo dell'uccisione a Ponte Garibaldi (Giovanna Sicari)



Se la rivoluzione d'ottobre

ritornasse ad ottobre ........


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12/05/2007

Giorgiana Masi

Scheda a cura di Paola Staccioli

Il 12 maggio 1977, nell'anniversario della vittoria referendaria sul divorzio, i radicali decidono di tenere un sit-in in piazza Navona, nonostante l'assoluto divieto di manifestare in vigore a Roma dopo la morte, il 21 aprile, dell'agente Passamonti nel corso di scontri di piazza. Il movimento e i gruppi della nuova sinistra aderiscono all'iniziativa, per protestare contro il restringimento degli spazi di agibilità politica e il pesante clima repressivo, favorito dall'appoggio esterno del PCI al cosiddetto "governo delle astensioni", il monocolore democristiano guidato da Andreotti. Per far rispettare, a qualsiasi costo, il divieto, il Ministro dell'Interno Francesco Cossiga schiera migliaia di poliziotti e carabinieri in assetto di guerra, affiancati da agenti in borghese delle squadre speciali, in alcuni casi travestiti da "autonomi". Fin dal primo pomeriggio la tensione è molto alta. A quanti difendono il diritto di manifestare con brevi cortei e fortunose barricate, le forze di polizia rispondono sparando candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Anche numerosi fotografi, giornalisti, passanti e il deputato Mimmo Pinto sono picchiati e maltrattati. Con il passare delle ore la resistenza della piazza si fa più decisa, e vengono lanciate le prime molotov. Mentre nelle strade sono in corso gli scontri, i parlamentari radicali protestano alla Camera contro le aggressioni e le violenze della polizia, fra gli insulti di quasi tutte le forze politiche. Mancano pochi minuti alle 20 quando, durante una carica, due ragazze sono raggiunte da proiettili sparati da Ponte Garibaldi, dove erano attestati poliziotti e carabinieri. Elena Ascione rimane ferita a una gamba. Giorgiana Masi, 19 anni, studentessa del liceo Pasteur, viene centrata alla schiena. Muore durante il trasporto in ospedale.
Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell'Interno, porteranno il governo a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Cossiga, dopo aver elogiato il 13 maggio in Parlamento "il grande senso di prudenza e moderazione" delle forze dell'ordine, modificherà più volte la propria versione dei fatti. Costretto dall'evidenza ad ammettere la presenza delle squadre speciali - tra gli uomini in borghese armati furono riconosciuti il commissario Gianni Carnevale e l'agente della squadra mobile Giovanni Santone - continuerà però a negare che la polizia abbia sparato, pur se smentito da vari testimoni e dalle inequivocabili immagini di foto e filmati. L'inchiesta per l'omicidio si concluse nel 1981 con una sentenza di archiviazione del giudice istruttore Claudio D'Angelo "per essere rimasti ignoti i responsabili del reato". Successive indagini hanno tentato, senza risultati significativi, di individuare gli autori dello sparo mortale in un "autonomo" deceduto da tempo, oppure nel latitante Andrea Ghira, uno dei tre fascisti condannati per il massacro del Circeo.

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www.lestintorecheamleto.net

Manifestazione per gli 8 referendum radicali: a piazza Navona il palco per la manifestazione è pronto (ore 13), poco dopo su di esso si abbatte la furia delle forze dell'ordine e alle 13,30 si ha la protesta in Parlamento di Pannella: alle 13,40 la protesta di Balzamo e alle 13,45 quella della triplice sindacale. Alle 13,55 Cossiga si rifiuta di incontrarsi con una delegazione di parlamentari PSI, DP e PR in merito al divieto della manifestazione. 

Alle 14 Polizia e Carabinieri intensificano il blocco alle strade di accesso a Piazza Navona; alle 14,15 Cossiga afferma che piazza Navona non gode di alcuna forma di extraterritorialità che impedisca la presenza di forze dell'ordine. Il blocco è totale alle 14,15.

Alle 15 davanti palazzo Madama un primo pestaggio ha come vittime un gruppo di giovani radicali che portavano un tavolo per la raccolta delle firme; fra i picchiati il deputato Mimmo Pinto di LC. Poi la prima carica condotta da una trentina di carabinieri armati di fucile. Tre giovani sono duramente picchiati, ammanettati, caricati su un cellulare e condotti via. Vengono spintonati e picchiati anche giornalisti e fotografi: a questi ultimi si impone di consegnare i rullini impressionati.

Alle 15,30 Pannella giunge davanti a Palazzo Madama, poi telefona a Ingrao (presidente della Camera).

Alle 15,45 un funzionario di P.S. avvicina un gruppo di dimostranti (in corso Vittorio), dopo uno scambio di improperi ordina il primo lancio di candelotti. La gente fugge. Il cronista del Messaggero scrive: "Contro giovani che sostano sotto un arco avanza un altro reparto di P.S. partono slogans e il solito grido di "scemi, scemi,". La polizia risponde con sette-otto candelotti sparati ad altezza d'uomo. I manifestanti si ritirano, poi torneranno indietro e la scena si ripeterà. Fino a questo momento nella zona dei disordini non si sono visti "sampietrini" ne molotov". 

Ore 16: vengono notati (piazza della Cancelleria) per la prima volta uomini in borghese armati di pistola o pistola mitragliatrice, apparentemente in buoni rapporti con i poliziotti. Vengono sparati lacrimogeni a decine. La polizia ora carica di nuovo, violentemente: una quindicina di persone, tra cui molte ragazze e una donna anziana vengono travolte, cadono. Gli agenti circondano i caduti e colpiscono indiscriminatamente tutti con calci e manganellate. Viene colpita anche una donna anziana. Alcuni candelotti vengono sparati ad altezza d'uomo, altri contro le finestre e la gente che vi si affaccia: due centrano due finestre, in via dei Baulari e in vicolo dell'Aquila. Un candelotto sparato ad altezza d'uomo ha colpito (ore 18,30) la vetrina di un bar in Corso Vittorio, 248, ho chiesto al proprietario: "chi ha sparato? " "La polizia" mi è stato risposto. All'angolo di via dei Baulari c'è un giovane che sta camminando: dall'ultima camionetta parte un candelotto che lo colpisce in pieno, alle spalle, e lo fa finire tramortito a terra. Cinque agenti scendono, infuriano a calci sul giovane, poi risalgono sulla camionetta. In piazza della Cancelleria la polizia lancia una serie di cariche: è in questa occasione che si sentono i primi colpi di pistola (vedi film sul 12 maggio). Un agente sferra una manganellata alla nuca al fotografo Rino Barillari, de "II Tempo". Barillari cade, viene portato in ospedale: guarirà in dieci giorni. Un altro fotografo, Sandro Mannelli, del "Messaggero", viene colpito da un sasso alla nuca; sei giorni di prognosi.

Ore 16,20: in via Sant'Agostino un reparto di carabinieri risponde al grido di "scemi, scemi" con un lancio di candelotti ad altezza d'uomo. Un giovane viene colpito e rimane atterra.

Ore 16,30: Largo Argentina viene coinvolta nella "guerriglia"; l'aria è irrespirabile per il fumo dei candelotti: dieci persone a bordo di un autobus della linea 87 vengono colte da malore; vengono trasportate all'ospedale, gli si diagnostica un'intossicazione.

Ore 17: dimostranti cominciano ad affluire in Viale Trastevere (caricati a Piazza Navona e Campo dei Fiori).

Ore 17-17,30: nella zona di Piazza Navona e adiacenze ancora lancio di candelotti e blocco degli accessi in dette zone.

Ore 17,45: in Piazza della Cancelleria "ci sono agenti in borghese, sparano ad altezza d'uomo". In quattro o cinque portano via un ragazzo ferito a una mano. Un giovane riceve un candelotto in pieno viso, sull'occhio sinistro. Un altro ancora è ferito a una gamba. Fra gli agenti di Ps che aprono il fuoco viene ritratto in una foto Giovanni Santone, in forza alla squadra mobile.

Ore 18,15: compaiono le prime molotov (zona di Piazza Navona): due o tre al massimo. Ma sono in molti che urlano: "fermi siete pazzi". La situazione si fa sempre più tesa.

Ore 18,50: divergenze fra i dimostranti sui metodi con cui proseguire la "manifestazione". in realtà mai iniziata.

Ore 19,00: la violenza degli .scontri sembra diminuire. Poi verso le 19 l'allievo sottufficiale carabiniere Francesco Ruggieri, di 25 anni, viene ferito (ponte Garibaldi, lato  via Arenula) a un polso: la natura della ferita non è affatto chiara. Il fotografo di "Panorama". Rudy Frei, viene malmenato dalla polizia, che lo costringe a consegnare il rullino impressionato.

Ore 19,10: primi interventi in Parlamento: Pannella (PR), Corvisieri (DP), Ligheri (DC) Pinto (DP), Costa, Giovanardi, Magnani Noya Maria. In questa occasione Pinto denuncia l'aggressione subita e Pannella sferra un violento attacco al governo (latitante) .

Ore 19,45: due grosse motociclette dei vigili urbani arrivano sul lungotevere degli Anguillara, all'angolo con piazza Belli. Le montano tre vigili in divisa e un uomo in borghese, un vigile scende, impugna la pistola e spara ad altezza d'uomo, in direzione dei dimostranti in piazza Belli.

Ore 19,55: Parte, improvviso e preceduta da un fitto lancio di lacrimogeni, una carica da parte dei carabinieri e poliziotti attestati su via Arenula. Giorgiana Masi ed Elena Ascione vengono colpite quasi contemporaneamente, la Masi (accanto a cui era il suo ragazzo, Gianfranco Rapini) al centro di piazza Belli, la Ascione mentre fuggiva verso piazza Sonnino. Le testimonianze sono concordi: i colpi sono stati sparati da ponte Garibaldi, dove in quel momento, al centro, si trovavano carabinieri e poliziotti appoggiati ad una o due autoblindo. Le vittime vengono accompagnate all'ospedale: Giorgiana arriva già morta. Il bilancio finale della giornata: da parte civile si hanno un morto (Giorgiana Masi), 10 feriti da arma da fuoco e varie decine da corpi contundenti vari; da parte militare si ha un carabiniere (Francesco Ruggieri) ferito (non si sa da che cosa) ad un polso. Nei giorni seguenti viene arrestato Raul Tavani, condannato poi a circa 2 anni e 4 mesi per detenzione di materiale esplosivo.

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Storia di un processo mai svolto 

Millenovecentosettantasette


Riappropriarsi della storia, una storia vissuta in prima persona, è un modo per documentare stati d’animo e pensieri, per informare le generazioni future di un possibile verità su un periodo della nostra giovinezza vissuta con tanto ardore ed entusiasmo soffocati da eventi forse più grandi di noi.

Di fronte a tale obiettivo non dobbiamo lasciarci prendere da sentimentalismi o ricordi fini a se stessi, ma prendere atto con scientifica crudezza ciò che veramente sono stati gli anni cosiddetti  di “piombo”, in particolar modo l’anno 1977.

Le istituzioni 

In quell’anno ci furono grossi mutamenti in atto nello stato e nei partiti “statalizzati”. La politica era gestita da un governo delle astensioni, cioè il monocolore democristiano a guida Andreotti , sorretto dall’astensione di tutti i partiti di quello che allora si definiva l’arco costituzionale. Un governo nato dalle elezioni del 20 giugno 1976, il primo governo dopo il 1948, con il PCI non all’opposizione. 

Un sistema di democrazia “conflittuale” controllata, dovuta proprio all’ingresso del PCI nel governo. Cosicché i dirigenti e i singoli militanti del PCI si sono distinti per la difesa di ogni istituzione statale, per la volontà di repressione di molte lotte, per la asfissiante sollecitazione ai “sacrifici” rivolta ai lavoratori.

Il culmine del processo involutivo del PCI sarebbe stato rappresentato dalla legislazione di emergenza che nel ’77 diventa la base dell’accordo fra i partiti dell’arco costituzionale ed è stata la condizione per la cooptazione del PCI nell’area democratica e di governo: per la prima volta nella sua storia il PCI si è dichiarato favorevole a un massiccio restringimento delle libertà e delle garanzie costituzionali e si è impegnato in campagne ideologiche – ultima quella del referendum sulla legge Reale – dirette ad alimentare consenso popolare nei confronti del processo di restaurazione autoritaria.

ANDREOTTI G .         Presidente del Consiglio 

COSSIGA F .              Ministro degli Interni 

FANFANI A .             Presidente del Senato 

INGRAO P.                 Presidente della Camera 

MALFATTI                 Ministro Pubblica Istruzione 

L’appoggio comunista alla politica del  governo fa si che il conflitto si concentra verso il PCI oltre che verso la DC e lo stato. Tale scontro, nella sua applicazione concreta, ha prodotto centinaia di morti e feriti e nella stragrande maggioranza dei casi decisamente innocenti. E’ chiaro che si da alle forze di polizia l’impressione dell’impunità, si legittima l’uso dispiegato delle armi.

La gestione dell’ordine pubblico si fa pressante ed univoco verso la repressione di ogni contrapposizione al sistema. La legge Reale (1975) è la prima legge eccezionale per la tutela dell’ordine pubblico, chiamandola ordine pubblico costituzionale. Ciò significa ordine gerarchico di una società pacificata nelle sue contraddizioni di classe, attraverso militarizzazione e repressione feroce, portando di fatto alla trasformazione dello stato di diritto in stato di polizia.

Per i poliziotti e carabinieri che uccidono non solo immunità della pena, ma addirittura immunità dal processo. 

Ci sono grosse restrizioni contro chi manifesta il dissenso a tale sistema, ad esempio: 

articolo 5 riguardante i manifestanti 

Legge Reale  firmata da Leone , Moro, Gui.

Nel febbraio del ’76 viene nominato ministro dell’interno Cossiga  dal governo presieduto da Andreotti . A Roma il 2 febbraio ’77 vi è la prima apparizione dei poliziotti in borghese delle squadre speciali di Cossiga . 

Il quadro politico istituzionale si complica per effetto di un importante elemento di scontro fra stato e studenti: alla camera la commissione pubblica istruzione impegna Malfatti  a sospendere a tempi indeterminato la circolare sui piani di studio. La circolare vietava agli studenti di fare più esami nella stessa materia, e smantellava di fatto la liberalizzazione dei piani di studio in vigore dal ’68. Il progetto prevedeva l’introduzione di due livelli di laurea; la suddivisione dei docenti in due ruoli distinti (ordinari e associati); la creazione di una gerarchia piramidali di organi di gestione, dove ai professori ordinari era garantita la maggioranza; il controllo rigido sui piani di studio da parte dei docenti, l’abolizione degli appelli mensili e il raggruppamento degli esami in due sessioni estiva e autunnale; l’aumento delle tasse di frequenza, restando inalterato il fondo per gli assegni di studio. 

5 febbraio ’77 primo divieto di manifestare.

15 aprile ’77 il progetto di riforma Malfatti  viene approvato dal consiglio dei ministri. 

La vita politica e soprattutto sociale si configurava per opposte fazioni le quali necessariamente dovevano entrare in conflitto e quindi non vi era possibilità di crescita se non ad un caro prezzo. 

La Piazza 

La contestazione studentesca inizia sostanzialmente con il ferimento di Guido Bellachioma , studente del collettivo di Lettere dell’università di Roma, durante un’incursione nella città universitaria da parte dei fascisti del Fuan. A Lettere si discuteva della circolare Malfatti  e delle iniziative da intraprendere fra le quali l’abrogazione della stessa , l’autogestione dei seminari, garanzie per il no intervento della polizia nell’Università e creazione di un servizio d’ordine contro le provocazioni. 

Intanto si alza il livello di scontro ed aumentano le aggressioni in varie parti della città, vi sono le prime avvisaglie della copertura delle forze dell’ordine in fatti delittuosi da parte dei fascisti.

Un pomeriggio si tiene un presidio antifascista davanti all’istituto Fermi, contro il comizio di Almirante a Monte Mario. Alcuni fascisti della sezione del MSI di via Assarotti sparano contro i militanti di sinistra sotto gli occhi della polizia che presidia la sede missina. Verso le 17,30 alcune centinaia di giovani assaltano la sede del MSI. La polizia spara ed alcuni giovani e dei passanti vengono feriti. Sul posto vengono  ritrovati 200 bossoli di pistola.

Intanto la protesta contro la circolare Malfatti  si estende alle scuole medie e molti istituti vengono occupati dagli studenti che praticano l’autogestione. Le autogestioni impongono una presenza costante negli istituti e ciò favorisce la vulnerabilità degli occupanti di fronte alle incursioni dei fascisti. 

Si registrano i primi assalti alle scuole; davanti al Mamiani due giovani vengono feriti dai colpi di pistola di un commando fascista, uno in modo grave; al liceo Augusto un gruppo di missini della vicina sezione di via Noto aggredisce gli studenti con una fitta sassaiola. 

Gli studenti di sinistra sono bersaglio continuo da parte dei fascisti anche lontano dalle sedi scolastiche. Infatti a Roma, il 29 marzo, una squadra di fascisti delle sezioni missine di via Ottaviano e Balduina, va all’assalto di un ristorante frequentato da militanti si sinistra, all’arrivo della polizia i fascisti si coprono la fuga sparando raffiche di mitra, provocando il ferimento di un agente e di un giovane di passaggio. Altri intanto trovano riparo in una chiesa di via della Conciliazione, dal tetto sparano raffiche di mitra contro le volanti della polizia. Vengono arrestati undici fascisti, tra cui il figlio del giudice Alibrandi , che saranno rilasciati dopo pochi giorni. 

Nel frattempo il ministro dell’interno Cossiga  inasprisce i provvedimenti sull’ordine pubblico fino a vietare a Roma le manifestazioni per tutto il mese di maggio. 

Il 12 maggio, nella ricorrenza della vittoria referendaria sul divorzio, i radicali indicono una festa a piazza Navona a cui aderisce anche l’assemblea dell’università e i gruppi della nuova sinistra. Scoppiano gravi incidenti tra i partecipanti e la polizia, rinforzata nell’occasione da squadre “speciali” di poliziotti camuffate da manifestanti. La manifestazione viene attaccata a piazza Navona e a Campo di Fiori. A ponte Garibaldi le squadre speciali cossighiane uccidono Giorgiana Masi , studentessa di 19 anni del liceo Pasteur di Monte Mario. Gli scontri durano fino a tarda notte, almeno quattro manifestanti e un carabiniere vengono feriti da colpi di arma da fuoco. 

Il 16 maggio Cossiga  rivendica la legittimità delle squadre speciali e nega che i poliziotti abbiano fatto usa delle armi, viene smentito vergognosamente dalle foto e dai filmati che testimoniano l’uso massiccio delle armi da parte sia dei poliziotti in divisa che da quelli in borghese, quest’ultimi significativamente abbigliati come i manifestanti; il questore stesso conferma la presenza di almeno trenta agenti in borghese durante gli scontri.