Informazione


Invito con preghiera di far girare il comunicato. Grazie.

 

MARTEDÌ 12 GIUGNO
ORE 18.30
ALLA CASA DEL POPOLO DI SOTTOLONGERA
VIA MASACCIO 24
(CAPOLINEA AUTOBUS 35/)

 

PROIEZIONE DEL FILM “TRST” 
SULL’INSURREZIONE DI TRIESTE

 

Si tratta di un film (oggi difficilmente reperibile) girato nel 1950 sulla base di una sceneggiatura stesa dal famoso scrittore France Bevk, una sorta di “fiction” che, parlando di fatti e personaggi realmente esistiti, dà una visione inedita di alcuni aspetti della lotta di liberazione dal nazifascismo a Trieste .
In uno stile scarno e privo di retorica vengono presentati partigiani, nazisti, poliziotti e spie che si muovevano nella Trieste di fine guerra.
Nel corso del film possiamo vedere anche interessanti scorci di una Trieste che non esiste più, oggi invasa dalla cementificazione.
Quando uscì, questo film fu contestato in Jugoslavia: ma di questo parleremo nel corso del dibattito seguente alla proiezione.
Sarà presente lo storico professor Samo Pahor.

 

La proiezione è organizzata dal Circolo Primo Maggio di Rifondazione Comunista in collaborazione con la redazione del periodico La Nuova Alabarda di Trieste.

 

per la Redazione il Direttore
Claudia Cernigoi

per contatti: nuovaalabarda @ yahoo . it






FOIBE E MAMMONA

Come i nostri lettori bene sanno, noi siamo di quelli a cui piacciono le sensazioni forti. Perciò quando abbiamo visto che era stata annunciata la presenza di Mario Borghezio (il parlamentare europeo che a suo tempo propose di prendere le impronte dei piedi degli immigrati) ad una commemorazione organizzata da Padania cristiana sulla “foiba” di Basovizza, proprio nella data del 1° maggio scorso, non abbiamo potuto fare a meno di andarci.
Borghezio in realtà è venuto in anticipo, stile “mordi e fuggi” e ce lo siamo perso; abbiamo però avuto modo di vedere il monumento “decorato” con due bandiere: una con la croce di Vandea ed una con la croce celtica. Fatto presente alla Digos di servizio che la seconda ci sembrava fuori luogo, i funzionari ci hanno spiegato che, contattati gli organizzatori, essi avevano detto che si trattava di simboli religiosi tradizionali, infatti la croce celtica è quella che si trova in quasi tutte le chiese d’Irlanda. Vero, abbiamo risposto, solo che una cosa è la croce celtica che si trova sulle chiese ed altra quella nera in campo bianco e rosso, che è quella nazista: ed oltretutto se le celtiche sono vietate negli stadi non vediamo il motivo per cui possano essere esposte sui monumenti nazionali.
La cerimonia si è svolta con l’intervento di un rappresentante del circolo culturale Christus rex, che ha parlato della “grave crisi” che è iniziata con l’illuminismo, proseguita con la rivoluzione francese e poi con il comunismo, e che vede oggi la “sovversione della legge naturale” a causa del divorzio e dell’aborto e del tentativo di instaurare i Dico; e che la cerimonia sulla foiba è per tenere viva la memoria di coloro che “in nome di Cristo” hanno sacrificato la propria vita, che difesero la nostra nazione dal nemico e per ricordare l’idea che non morirà mai, cioè che Cristo è vivo e regna in noi.
Ha poi parlato di commemorare i morti della pulizia etnica comunista, caduti in odio e a difesa del comunismo, dimenticati dalla nostra classe dirigente governata da poteri forti “giudaico-massonici” ed ha ribadito che le “nostre” (cioè le loro, perché noi ci dissociamo) radici sono “cristiano romane” e non “giudaico cristiane”.
È stato poi il turno di una rappresentante di AN del Veneto, l’architetta Elena Ballini, che ha ribadito la solita bufala che “di foibe non si è mai parlato” e che è tanto preparata sui fatti da pronunciare il nome della località “Bassoviza” (con due esse e una zeta) invece di Basovizza; ha poi toccato l’argomento di Goli otok che non c’entra per niente, ha ricordato i “giovani, preti e militari” morti a Basovizza “solo per essere italiani” ed ha concluso asserendo che il “pensiero criminale” di non onorare questi morti non va avanti tanto per ignoranza, quanto per “volontà politico-criminale” di distruggere la loro memoria. La cosa da fare, infine, è creare consapevolezza che la storia non è scritta ma che “iniziamo” (loro, perché noi è da anni che la scriviamo) a scriverla solo oggi.
Il clou dell’iniziativa è stato l’intervento (sermone?) del sacerdote “tradizionale”, don Floriano Abramowicz, che ha detto che i “martiri” (militari, civili e religiosi ) non sono stati uccisi per la fede ma perché erano italiani. Don Floriano ha poi spiegato che fino alla rivoluzione francese le guerre venivano combattute per desiderio di espansione, di vendetta o per odio, mentre dopo s’è inserito un nuovo connotato: l’ideologia. E l’ideologia alla base delle due guerre mondiali, secondo il prete, è il fatto che l’umanità, avendo “dimenticato” Dio, su suggerimento di Satana, mette al centro di tutto l’uomo. Perché “l’ideologia di Satana” suggerisce all’uomo il paradiso in terra e quindi il desiderio di ricchezza genera una catena di vizi alla fine della quale c’è il crimine. Le due guerre mondiali furono combattute nell’ideologia di Mammona, la prima per distruggere il baluardo della cristianità che era l’impero austroungarico, la seconda come prosecuzione della prima. In esse il blocco occidentale e quello comunista avevano lo stesso odio per Gesù Cristo, lo stesso desiderio satanico per i beni terreni.
Riguardo agli “infoibati” di Basovizza, don Floriano ha parlato di “corpi vivi gettati qua dentro e morti lentamente” che risorgeranno; sono stati “spiritualmente infoibati nell’ideologia totalitaria”, ma la stessa Chiesa cattolica romana sarebbe stata “martirizzata”, vittima di un “infoibamento spirituale” causato dell’ideologia democratica.
A suggello di tutto questo, la cerimonia si è conclusa con il richiamo del primo relatore ai presenti, appellati “fedeli cattolici, amici, camerati” ad onorare i “martiri” in questo modo: al grido “per i caduti delle foibe!” gli astanti hanno risposto in coro “presente!” con tanto di saluto romano, il tutto ripetuto tre volte.
In ultimo prendiamo nota della presenza ufficiale dell’Associazione Novecento, con il consigliere comunale di AN Angelo Lippi in persona. 
Cosa dovremmo concludere dopo avere assistito a tutto questo? Che solo il fascismo (anzi il nazismo?) è il referente della Chiesa cattolica romana, visto che capitalismo, comunismo e democrazia sono tutti ispirati da Mammona? Che neppure tra di loro i relatori si sono accordati sul motivo degli infoibamenti, uno diceva per la fede, un altro per l’italianità? Che parlando di “infoibati” sono partiti da falsità belle e buone, perché neppure coloro che sostengono che a Basovizza sono stati commessi degli eccidi (cosa che noi abbiamo dimostrato non avere fondamento reale) hanno mai parlato di uccisione di sacerdoti?
Ma a parte le valutazioni di tipo storico e politico che si possono fare di fronte a certo tipo di interventi, osiamo pensare che il vero cristianesimo non è rappresentato da queste persone, perché Cristo predicava l’amore e non l’odio, il bisogno di verità e non la mistificazione. 

maggio 2007



(Sulle iniziative di cui si parla qui si veda anche:

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/appellokosmet07.htm



E' arrivato il momento di riaprire il "caso Kosovo"

Ricominciamo a discutere della natura e della necessità della missione militare italiana in quelle terre 

di Fosco Giannini - senatore Prc-Se da Liberazione del 30/05/2007

 

«In quale momento - si chiede  il filosofo sloveno Zizek ( "Centro per i diritti umani", 2006) - i Balcani, da regione sud orientale dell'Europa, diventano "i Balcani", con tutto ciò che significa oggi per l'immaginario ideologico europeo? E' questa la risposta : a metà del XIX secolo, quando i Balcani vengono investiti dagli effetti della modernizzazione europea... Da dove hanno avuto origine, dunque, i tratti fondamentalisti - l'intolleranza religiosa, la violenza etnica, la fissazione di un trauma storico - che ora l'Occidente associa alla propria idea de "i Balcani"? Evidentemente dall'Occidente stesso».
Potrebbe essere questo un punto di partenza per ricostruire i drammi recenti di questi popoli, che hanno sperimentato la brutalità dei piani di espansione della NATO e i piani egemonici degli Usa e delle diverse potenze europee, abili a sfruttare con cinismo quelle contraddizioni che erano, sì, riemerse alla fine degli anni '80, ma che avrebbero potuto essere governate con ben altri strumenti. I Balcani, da potenziale minaccia, dovevano essere "normalizzati", diventare terra di conquista : così è stato, con ogni mezzo e senza badare a spese. Nel delirio di una propaganda a senso unico, in Italia sono diventati eroi i nipoti degli ustascia croati e i mujaheddin fondamentalisti di Izetbegovic prima, e una organizzazione di criminali  fascisti, successivamente, in Kosovo. Improvvisamente, poi, almeno nel nostro paese, dopo la "guerra umanitaria" (78 giorni di bombardamenti contro ciò che rimaneva della Jugoslavia, con l'Italia di centro-sinistra protagonista e l'orrenda disseminazione dell'uranio impoverito) e dopo il golpe di Belgrado dell'ottobre 2000, sui Balcani e sul Kosovo è calato un assordante silenzio, durato più di un lustro. Con il solo, breve squarcio mediatico della morte di Milosevic.
Che cosa è accaduto in questi anni nella provincia serba a maggioranza albanese, militarmente occupata dalla NATO (Kfor) e amministrata da una delle missioni Onu (Unmik) più scandalosamente e ottusamente di parte che la storia, recente e non, ricordi? In estrema sintesi: 300.000 serbi, rom e albanesi non irredentisti cacciati dalle loro terre; 3.000 desaparecidos (1.300 dei quali dati per morti); un regime di vero e proprio apartheid con le minoranze costrette a vivere in enclavi circondate dal filo spinato; un intero patrimonio culturale distrutto e dato alle fiamme; testimoni scomodi eliminati. E' questo il Kosovo dell'Uçk, quel Kosovo che il "mediatore" Ahtisaari vorrebbe indipendente (con tanto di Costituzione e bandiera), stracciando la stessa risoluzione Onu 1.244 con la quale si era posto fine ai bombardamenti e rendendo così concreta la nascita dell'ennesimo narcostato nella regione, passaggio obbligato per armi, droga, esseri ed organi umani come nuove e orrende fonti di lucro.
Era questo, evidentemente, l'obiettivo vero della "guerra umanitaria", che basandosi sulla crisi dell'autogestione "titina" e sull' iniziale diaspora - su basi neo capitalistiche - jugoslava, puntava a portare a termine il processo di divisione dell'intera regione (tanto perseguito dall' Occidente e dal Vaticano), mettendogli una sola maschera: quella etnica e confessionale.
Se gli obiettivi fossero stati altri, in questi anni non sarebbe calato il silenzio: di fronte a una falsa strage come quella di Racak (riconosciuta tale dalla Commissione Onu) si è gridato al genocidio e ad Hitlerosevic, mentre di fronte a migliaia di morti e torturati è sceso il sipario.
La guerra della NATO e del governo D'Alema ha prodotto un quadro nefasto: oggi siamo di fronte sia al dramma sociale serbo che al vastissimo disagio della grande maggioranza della popolazione albanese e delle minoranze.
Il quadro internazionale attuale, però, non è quello della fine degli anni '90 del secolo scorso e per Usa e Ue la partita sarà più difficile. Le avvisaglie si sono già viste al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. La Russia di Putin - realtà ben diversa da quella di allora, quando Eltsin liquidò a inizio bombardamenti il governo progressista di Primakov con dentro i comunisti del Pcfr - non ha solo fatto emergere la propria contrarietà, ma ha fatto sapere che potrebbe applicare gli stessi principi alla Georgia, dove due regioni a maggioranza russa rivendicano la secessione da Tbilisi. Anche i cinesi - meno isolati certamente oggi di allora - hanno chiaramente manifestato la loro contrarietà ad un Kosovo indipendente.
Nonostante il piano di Ahtisaari sia stato intenzionalmente presentato dopo le elezioni politiche in Serbia per ovvie ragioni tattiche, il clima a Belgrado è teso, tanto che persino il presidente Tadic, di comprovata fede filo occidentale, è costretto a fare la voce grossa. I radicali, che hanno vinto di nuovo le elezioni - pur senza una chiara maggioranza - e possono contare sul Presidente del Parlamento, si dichiarano pronti a sostenere lo scontro. Kostunica, che incarna la parte meno compromessa di quello che è stato il fronte di opposizione a Milosevic, si è da tempo schierato contro, tanto da non aver neanche voluto incontrare Ahtisaari. Stessa cosa hanno fatto i socialisti e i frammenti di ciò che resta della sinistra comunista o "jugoslava". Tutti, anche a Belgrado, giocano le proprie carte, a partire, ovviamente, dallo stesso Tadic, ma tutti, anche nell'ormai separato Montenegro, hanno potuto vedere la condizione e ascoltare i racconti di quei profughi kosovari che vivono come fantasmi nei campi alla periferia di Belgrado o Podgorica, o nel sud della Serbia. Quella condizione che l'Occidente vuole nascondere, quei racconti che l'Occidente non vuole si conoscano.
E' ora che in tutte le sedi - politiche, sociali, istituzionali - si riapra il "caso Kosovo". Ricominciando anche a discutere della natura e della necessità, senza darla più per scontata, della missione militare italiana in quelle terre.

  


«Verità e giustizia per i popoli del Kosovo Metohija».
           
Conferenza stampa al Senato della Repubblica
 

 

«Verità e giustizia per i popoli del Kosovo Metohija». Con queste parole d’ordine, giovedì 31 maggio, nella sala conferenze stampa di palazzo Madama, il senatore Fosco Giannini, con il contributo di autorevoli rappresentanti parlamentari e della società civile, del calibro di Mauro Bulgarelli, Lidia Menapace, Franca Rame, Heidi Giuliani, Luana Zanelli, Don Andrea Gallo, fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, ed Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado-Italia, ha riacceso i riflettori su un conflitto “umanitario” ormai passato in sordina: la guerra dei Balcani. «Abbiamo voluto fare questa conferenza stampa - ha spiegato il senatore comunista, Fosco Giannini – perché su quel conflitto è calato un sipario che tenteremo di rialzare. Quello che attualmente rimane è la vittoria della Nato e la sofferenza dei popoli, ma le notizie che arrivano preannunciano la possibilità di un nuovo conflitto civile. Condizione che l’Occidente vuole nascondere, racconti che l’Occidente non vuole si conoscano. E’ ora che in tutte le sedi politiche, sociali, istituzionali, si riapra il “caso Kosovo”. Ricominciando anche a discutere della natura e della necessità, senza darla più per scontata, della missione italiana in quelle terre. In questo – ha aggiunto il senatore Giannini – ma anche per le altre operazioni militari italiane, spero che tutta la sinistra riesca, con l’unità, a spostare l’asse attuale del governo Prodi». Nulla si è risolto, quindi, dopo che le forze Nato, il 24 marzo del ‘99, anche con l’appoggio dell’Italia, con l’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, sono intervenuti per risolvere un conflitto etnico che ha interessato tutta l’area dei Balcani. Oggi, il Forum di Belgrado, che raccoglie eminenti personalità culturali e politiche della Serbia, denuncia i pericoli di nuove, violente, conflittualità e destabilizazioni, legate agli esiti dei negoziati a proposito della definizione dello status futuro della provincia serba del Kosovo. La denuncia, che viene resa pubblica nel corso della conferenza stampa, tramite un manifesto appello, è quella che, nella vittoria militare e nel raggiungimento degli obbiettivi politici e geostrategici della Nato e della comunità internazionale, vuole sottolineare il totale fallimento per i popoli della regione. «Il risultati di quell’impegno militare - ha affermato Enrico Vigna – sono tutt’altro che rassicuranti: quasi 300mila profughi di tutte le etnie, in maggioranza serbi e rom, scacciati dalla propria terra; più di 3000 casi di desaparesidos, di cui 1300 gia dati per morti, rapiti dal marzo ’99 ad oggi; quasi 100mila persone che vivono rifugiati in poche decine di enclavi, sopravvissute alle violenze e alla pulizia etnica dei secessionisti albanesi, veri e propri campi di concentramento a cielo aperto; centinaia di migliaia di case bruciate e distrutte; 148 monasteri e luoghi di culto ortodosso distrutti o danneggiati dalle forze criminali dell’Uck». In altre parole, una regione senza più apparati produttivi, con altissimo tasso di disoccupazione, completamente uranizzata dai bombardamenti e dove i dati sulle nascite malformi o i decessi sono top secret, «ma basta parlare con i sanitari del posto – ha sostenuto lo stesso Vigna - per farsi un’idea della situazione reale». Di tutte le promesse e gli obbiettivi che furono annunciati dall’inizio del conflitto, insomma, nulla è stato mantenuto e raggiunto; la realtà quotidiana di oggi, stando a quanto denunciato nel corso della conferenza stampa, è un alto tasso di illegalità e criminalità diffusa, la violazione di ogni elementare diritto umano e civile, dove migliaia di uomini, donne e bambini vivono in condizioni disumane, senza lavoro, sanità, educazione, diritti. Tutto ciò mentre iniziano le trattative per la definizione del futuro status della regione serba, ancora sotto il protettorato internazionale. Le spinte delle forze secessioniste kosovare albanesi vanno in direzione dell’indipendenza come unico obbiettivo non trattabile, cosa che aprirebbe sicuramente nuovi scenari di tensioni internazionali, con in più i rischi di ulteriori destabilizzazioni non solo nel Kosovo e nella Serbia, ma anche in Macedonia, Bosnia, Montenegro, Bulgaria e nella stessa Grecia settentrionale, stando alle previsioni fatte. La seconda ipotesi, invece, caldeggiata dal Forum, che si contrappone alla prima, la quale potrebbe rappresentare un precedente pericoloso, sarebbe, invece, quella di raggiungere l’autonomia della regione sotto una diretta osservazione, secondo i principi dell’Onu e del diritto internazionale. L’unica certezza, come quella che rimane in tutte le guerre di massa, dirette eredi delle guerre del secolo scorso, è che sarà più facile ricostruire gli edifici distrutti che le vite dei sopravvissuti. In particolare quelle di donne e bambini, come ha fatto emergere la parlamentare Franca Rame: «50.000 è il numero delle donne violentate. Queste sono le prime vittime, insieme ai bambini, della guerra». In particolar modo delle guerre mascherate dal carettere etnico. Guerre che sembra non riguardino l’Europa. Ma ciò di cui stiamo parlando, ha ammonito la senatrice Lidia Menapace, «è Europa, il più cruento di tutti i continenti. Noi siamo un continente che non ha molto di cui vantarsi. Ciò che succede è lasua storia. In più – ha aggiunto – bisognerebbe fare delle censure culturali: la porola etnia va cancellata. Bisogna mutare questo atteggiamento, chiarendo che non c’è niente di assoluto per quello per cui ci ammazziamo». Anche Don Andrea Gallo non ha risparmiato qualche bordata, in particolare al suo ambiente, circa il disinteresse che oscura i fatti del Kosovo: «Il cardinal Bertone è stato abbondante di commenti sul Family Day, ma nulla ha detto sui 148 monasteri ortodossi distrutti», arrivando anche a definire l’amministrazione Bush «terrorista». Ma resta, comunque, il problema di come intervenire per evitare ogni possibile nuova tragedia su un popolo ed un paese già fortemente provati da un’intensa guerra tra la sua stessa genta. Così come invita a fare al governo italiano Z. Jovanovic, ex ministro degli Esteri della Jugoslavia e presidente del Forum Belgrado, intervenuto in collegamento telefonico nel corso della conferenza stampa: «Diciamo no ad un altro stato albanese. La situazione reale è molto lontana dall’obbiettivo di una società multi etnica e multireligiosa. Rispettiamo la posizione dell’Italia, membro influente del G8 e dell’Europa, ma siamo sconcertati nell’apprendere che la sua posizione è cambiata. Per questo, invitiamo a riflettere su una soluzione che si basi sui principi dell’Onu e del Diritto Internazionale».

 

Di Antonio Callà




(sulla vicenda dell'attacco anticubano di "Liberazione" si vedano i testi raccolti alla URL:


----- Original Message ----- 
From: "Gabry" 
Sent: Monday, June 04, 2007 2:09 PM
Subject: mart 5 giu ore 16.30 sit in di protesta sotto Liberazione


Perché anche Liberazione ha sentito il bisogno di calunniare Cuba?


Le associazioni di solidarietà con Cuba, i militanti e gli attivisti che da anni seguono con impegno e attenzione i processi in corso nell'isola e nel resto dell'America Latina, intendono esprimere la propria indignazione per la campagna stampa contro Cuba avviata dal quotidiano Liberazione che per molti tra noi è il giornale di riferimento quotidiano.

Non ne capiamo né condividiamo le ragioni. Le corrispondenze di Angela Nocioni, pubblicate con ampio risalto sul giornale, presentano la realtà cubana come una situazione ormai disperata, resa ancora più disperata dalla retorica e dal controllo del regime socialista.

Che la situazione a Cuba non sia quella del " paese delle meraviglie" lo sanno e lo riconoscono tutti coloro che ci vivono, che l'hanno visitaao o che sono solidali con la più importante e duratura rivoluzione dell'America Latina, ma di fronte a quello che Cuba ha rappresentato e continua a rappresentare per tutte le forze progressiste, lo schematismo e le cialtroneria delle corrispondenze che abbiamo letto questi giorni su Liberazione sono inaccettabili verso un paese che merita piuttosto il rispetto di tutti.

Nelle corrispondenze su Liberazione si ridicolizza la vicenda dei cinque patrioti cubani ancora detenuti nelle carceri degli Stati Uniti, si dileggia la figura di Giustino Di Celmo e si ridicolizza la vicenda dell'assassinio di suo figlio Fabio, si liquida come dettaglio insignificante un fattore rilevante come il blocco economico, commerciale, diplomatico e militare degli USA contro Cuba, si minimizza la rognosa questione dei due soldati arrestati per aver ucciso un ostaggio e tentato di dirottare un aereo e che rischiano per questo la pena capitale, si omette che gran parte delle difficoltà emigratorie per i giovani cubani dipendono dalle regole draconiane e dagli ostacoli imposti dalle ambasciate europee a Cuba per i cittadini extracomunitari (e cubani soprattutto).

Si può e si deve parlare, resocontare, discutere delle contraddizioni tuttora vigenti a Cuba, ma lo si può fare con un senso critico, di lealtà e rispetto di questa esperienza che è totalmente assente nelle corrispondenze di Liberazione. Altri lo hanno fatto e continuano a farlo in tutti questi anni, perché non dovrebbe farlo anche il quotidiano del PRC?

Con la nostra manifestazione di protesta e di indignazione esprimiamo anche una preoccupazione per il futuro.

Gli Stati Uniti hanno avviato una nuova escalation della destabilizzazione contro Cuba e il Venezuela cercando di cooptare i governi europei e il Vaticano (vedi l'intervista di Bush alla Stampa). Questo progetto di destabilizzazione ha molti sostenitori bipartizan sia nel governo che nell'opposizione in Italia.

Non desideriamo né consentiremo che anche i nostri giornali o i partiti della sinistra italiana facilitino il lavoro a questo progetto statunitense contro Cuba o il Venezuela o gli altri paesi progressisti e rivoluzionari dell'America Latina.


Martedì 5 giugno, ore 16.30

SIT IN  di protesta sottola sede di Liberazione in via del Policlinico


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LETTERA APERTA PER ANGELA NOCIONI

 

I giorni del nostro sconforto

 

• “Avvisa quella signora che io voglio solo che si realizzino i sogni di Fabio”, ha detto Giustino

 

di GIOIA MINUTI

 

Il padre diventa il figlio assassinato
studia
sfida i suoi occhi
che vedono sempre meno
 e cresce di nuovo  
come in Italia
mezzo secolo fa
salvando i bambini
di un treno nazista
che andava a un crematorio...

 

Questi versi sono un frammento di una poesia di Raúl Valdés Vivó, scritta per Giustino di Celmo, un uomo anziano, un uomo del sud, colto e lavoratore, un compagno che vive a Cuba stabilmente da quando suo figlio Fabio è stato ucciso da una bomba posta da un mercenario di El Salvador, per 1500 dollari pagati da Luis Posada Carriles e forniti dalla mafia di Miami e dalla CIA.
Una giornalista che si chiama Angela Nocioni ha scritto, e Piero Sansonetti il direttore di Liberazione, noto giornale della detta “sinistra italiana” (“sinistra” è una parola con due significati), che Giustino ha patteggiato il suo comportamento verso il “regime di Fidel” in cambio di una pizzeria che si chiama Fabio.  
Cinismo? Desiderio di fare scandalo per vendere di più? Smania di protagonismo ad ogni costo?   
“Mi hanno ammazzato un figlio in due minuti e adesso hanno liberato quell’assassino...” ha sussurrato piangendo Giustino poco tempo fa, sapendo che Posada era tornato uccel di bosco... e adesso Giustino ha letto le infamità che Liberazione ha pubblicato su di lui, infangando il suo dolore e il suo amore di padre, proprio nel giorno del compleanno di Fabio.   

“Far trasparire di aver permesso a Giustino Di Celmo di aprire una pizzeria all’Avana in cambio di un appoggio acritico al Governo cubano, anzi come lo ha chiamato l’inviata Nocioni, “al regime”, appare davvero una cosa inaudita. Un affronto intollerabile al dolore di un padre che, più che ottantenne, si batte ancora contro il terrorismo internazionale che gli ha ucciso il figlio e per la stessa memoria di Fabio. Il tentativo dell’inviata di Liberazione di mercificare il dolore e la vita del figlio di Giustino, in cambio di una “Pizza Fabio, 4 dollari e 65", è una vergogna che si giudica da sola” scrivono indignati i compagni dell’Associazione di Amicizia Italia Cuba e come loro molte altre persone che hanno inviato forti proteste, persone che  conoscono Cuba e cubani e che non accettano questa visione cinica e vuota di contenuti, ma piena di bugie che la Nocioni dà dell’Isola.
Giustino mi ha telefonato per dire: “Avvisa quella signora che io sono il gerente senza compenso della pizzeria Fabio, e lo faccio perchè il Comandante Fidel mi aveva chiesto quali erano i sogni di Fabio e io gli avevo confessato che erano aprire una pizzeria italiana nel Vedado e far venire la squadra del Cogoleto a giocare a Cuba... e li abbiamo realizzati tutti e due, senza Fabio però. Non è detto che io non agisca contro questa donna e questo giornale”, ha aggiunto Giustino molto addolorato.
“Il terrorismo manovrato dagli Stati Uniti contro Cuba è una realtà e basta avere una conoscenza superficiale degli ultimi decenni di storia della regione per saperlo; tale terrorismo ha provocato oltre tremila vittime e danni materiali ingenti, che si sommano all'embargo e al boicottaggio  tentato attraverso tutti i mezzi, non ultimi quelli di informazione, fra i quali ci rattrista trovare oggi Liberazione.I Cinque cubani, che da oltre otto anni sono rinchiusi nelle carceri statunitensi non sono "spie", come banalmente definite dall'articolo e come sostiene il governo Bush, ma agenti infiltrati nelle organizzazioni terroristiche aventi sede a Miami per prevenire ulteriori attacchi contro il popolo cubano. Ci sentiamo fortemente impegnati per la loro immediata liberazione e per la condanna del terrorista Posada Carriles, recentemente liberato, su richiesta governo degli Stati Uniti in segno di gratitudine per i servizi resi e per evitare che faccia rivelazioni imbarazzanti per molti personaggi oggi al potere a Washington. Dipingere le loro mogli, che da oltre otto anni sono costrette a fare a meno dei loro compagni, e Giustino Di Celmo, che ha perso un figlio nel fiore degli anni, come opportunisti che trarrebbero un qualsivoglia beneficio da tale situazione, ci sembra un'operazione veramente indegna, specie per un giornale come Liberazione che reca tuttora sulla sua testata la dicitura "quotidiano del Partito della Rifondazione Comunista" e che, perlomeno in quanto tale, dovrebbe ispirarsi a ben altra etica e visione dei rapporti fra le persone, si legge in una lettera inviata a Liberazione da Fabio de Nardis, José Luiz Del Roio, Fabio Marcelli, Rita Martufi, Barbara Spinelli e Luciano Vasapollo.
“I 5 patrioti cubani, per Liberazione sono Cinque Eroi che di mestiere facevano le spie”, scrive la Nocioni, un'accusa ormai decaduta anche per i generali dell'Esercito statunitense (testimonianza del generale James R. Clapper) e per gli alti dirigenti dell’FBI che hanno affermato, al processo di Miami, che i 5 cubani non possono essere considerati spie perché non si sono mai impossessati, né hanno mai tentato di farlo, di documenti degli Stati Uniti classificati come segreti, né hanno mai lavorato contro la sicurezza degli USA.
I 5 controllavano l'attività terroristica dei gruppi anti-cubani che da Miami, con il beneplacito e il sostegno del Governo degli Stati Uniti, organizzavano attentati contro il popolo cubano.
Forse questa signora dovrebbe parlare cinque minuti con una madre di uno dei Cinque, sapere della disperazione per ottenere un visto, dell’orgoglio che sentono per questi figli, mariti, padri che hanno difeso e difendono a un prezzo così alto la vita dei cubani e anche dei nordamericani...
La Nocioni ben si guarda dal dire che gli Stati Uniti usano la concessione dei visti come arma di ricatto per i familiari... le mogli di due dei Cinque non vedono i mariti da quasi nove anni, ma questo ai compagni di Liberazione evidentemente non importa. L’importante è scrivere atrocità  come quella che: “Le mogli dei Cinque, con i mariti reclusi negli Stati Uniti hanno vinto la lotteria viaggiano e mangiano...”   
La Nocioni ha una fantasia davvero perversa e non sa che nessuno a Cuba farebbe mai apprezzamenti del genere, non per paura ma per rispetto del dolore degli altri.
Negli articoli dell’inviata di Liberazione non si parla mai del blocco statunitense contro Cuba che dall'inizio degli anni Sessanta ha prodotto un danno economico complessivo di 86.108 milioni di dollari all’economia della Repubblica di Cuba (4.108 milioni di dollari solamente nel 2006).
A questi occorre aggiungere altri 54.000 milioni di dollari, come danni materiali causati sia da azioni di guerra del Governo degli Stati Uniti con una serie innumerevole di attentati messi in atto dai suddetti gruppi terroristici, organizzati, finanziati e addestrati dal Governo statunitense. Dei 3.478 morti e dei 2.099 invalidi permanenti per colpa di quelle azioni neppure se ne parla.
Premesso questo, forse si capirebbe meglio il perché della presenza dei 5 in Florida, dove non era necessario essere presenti e fare le dette "spie", poiché in questo luogo le organizzazioni terroristiche nemiche di Cuba  operano alla luce del sole.
Forse la Nocioni avrebbe anche dovuto consultare e confrontare i dati forniti dalle maggiori organizzazioni delle Nazioni Unite (UNESCO per la cultura, UNICEF per l'infanzia, FAO per l'alimentazione, OMS per la sanità) e di altre istituzioni internazionali che indicano Cuba, per gli eccellenti risultati raggiunti in questi campi, come  modello per i paesi del Terzo Mondo e non solo.
Poco tempo fa un articolo insultante sul Che e su Jorge Ricardo Masetti portava la stessa firma della stessa giornalista. Non è facile comprendere il perchè di questi attacchi violenti e falsi a tutto ciò ha solo profumo di comunismo da parte dell’inviata di un giornale di sinistra... cose da buttarla dal giornale in tre giorni... o forse invece le aumenteranno lo stipendio? 
Nel corso del mese di agosto del 2006 il Venezuela era stato oggetto di alcuni articoli su Liberazione e una rapida lettura era stata sufficiente per collocare le corrispondenze dell’inviata Angela Nocioni nella categoria della strisciante propaganda che da anni si propone di seminare scetticismo, cinismo e sfiducia nel processo in atto con la rivoluzione bolivariana.
“Caracas vive gonfia di petrodollari, apparentemente tranquilla. Retorica  rivoluzionaria grondante, populismo da quattro soldi e militari dappertutto”: questa la cornice di un quadro dai colori assai inquietanti: “C’è un’invasione  di cubani in Venezuela. Dodicimila solo i medici”. Ma, assicurava la Nocioni, “gli ospedali fanno schifo come prima (...). Della rivoluzione culturale promessa qualche tempo fa, poi non c’è traccia. Ma la campagna di alfabetizzazione  funziona (bontà sua! - ndr)”. “Chávez non ha collaboratori di livello”, tanto che deve pescare nei “movimenti alternativi”,  fino al punto che “chi faceva le TV di strada adesso dirige la TV di Stato” e non si capisce se ai critici occhi della compagna Nocioni ciò costituisca un reato. Ci sono pure, pensate, “un paio di rapper... Non finisce qui, “il presidente  ha cacciato dal paese la Dea, l’antidroga statunitense, accusandola di coprire in  realtà operazioni di intelligence per conto di Washington”.
Forse Angela Nocioni non sa che la “guerra alla droga” è la copertura usata dagli USA per giustificare le loro operazioni di guerra sporca in tutto il continente e in particolare nella confinante Colombia; forse non sa neppure che precisamente  dall’intreccio fra la mafia nemica di Fidel Castro  di Miami, l’oligarchia colombiana e le  “operazioni” CIA nella regione sono nati i vari piani per assassinare Chávez ; ma se non lo sa, faccia il piacere di informarsi e dedichi la sua scadente ironia a temi a lei più familiari.
Perchè tutto questo?  I deputati radicali sono venuti a fare una provocazione  all’Avana e si sono fermati - guarda caso - a dare una conferenza stampa a Miami. Perchè? Era forse la via più breve per tornare in Italia?   
Non si spiega con quale coraggio questa giornalista possa definire la genocida "Ley de Ajuste cubano" un "compromesso raggiunto nel braccio di ferro tra l'Avana, che brandisce i suoi potenziali profughi come un'arma diplomatica e Washington che non vuole le coste della Florida assaltate dai "balseros".
“Una legge che ogni anno fomenta l'espatrio illegale verso gli Stati Uniti con la promessa di un tornaconto economico per chi viola la legge, sarebbe un compromesso voluto dal Governo Cubano? E perchè allora non dire che le zattere sono fornite dallo stesso governo?”, scrive Francesco Guastarazze, uno studente di Perugia amico di Cuba, molto amareggiato perchè proprio Liberazione ha pubblicato tante menzogne. 

Siamo tutti molto amareggiati, noi che amiamo Giustino, le madri, le mogli e i figli dei Cinque, le Madri di Piazza di Maggio - che sicuramente non possono piacere alla Nocioni perchè sono amiche del “regime di Fidel”, noi che viviamo qui nell’Isola e che ci stringiamo attorno alle vittime del terrorismo, che abbiamo marciato e gridato per il ritorno di Elián e adesso lo facciamo per la liberazione dei Cinque e non ci stanchiamo di scendere in piazza, alla faccia di quel che ha scritto questa donna, i cui problemi più evidenti sono la mancanza di cultura, d’educazione e d’amore.
E siamo molto amareggiati perchè Liberazione le offre tutto questo spazio,  mentre potrebbe essere una voce dalla parte del popolo, delle sue necessità vere, degli italiani degni. 


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Lettera aperta a Piero Sansonetti
2 giugno 2007

Gentile Piero Sansonetti,
direttore di Liberazione.


Ho letto l'articolo "Cuba, si salvi chi può…" del 30 maggio scorso scritto dalla presunta inviata all'Avana, Angela Noccioni e non posso dissimulare che sono rimasto inorridito a lettura finita ponendomi la seguente domanda: è possibile che in Italia un giornale, pur piccolo ma di tiratura nazionale, possa pubblicare un'intera pagina di notizie infondate, calunniose, offensive, grottesche e che lo faccia come se nulla fosse?

Mi scusi, Direttore. Dopo di aver riletto il citato articolo mi sono ricordato della notizia riportata dalla
Cnn lo scorso 8 settembre riprendendola da Miami, (AP) "Dieci giornalisti del sud della Florida sono stati pagati migliaia di dollari dal Governo Federale per trasmissioni che avevano lo scopo di danneggiare il presidente cubano Fidel Castro" (solo per citare un caso su tanti noti a tutti). Tra questi figura l'editorialista e conduttore di programmi di Radio Martí, Pablo Alfonso, che ha incassato dal 2001 al 2006 la bella cifra di 175 mila dollari solo per produrre notizie anticastriste, oppure la giornalista freelance Olga Condor, che ricevette 71 mila dollari per simili servizi giornalistici.

Pure mi sono ricordato di Reporters Sans Frontières, -inseriti tra le Organizzazioni Non Governative- e dei loro consistenti finanziamenti  percepiti dallo Stato francese, dai grandi gruppi economici e finanziari capitalisti, dall'estrema destra cubana della Florida e dal Dipartimento di Stato nordamericano (attraverso la famigerata NED, creata da Ronald Reagan). Un finanziamento che lo stesso Robert Ménard, presidente a vita di Rsf, ha dichiarato di avere ricevuto, asserendo nel mese di novembre del 2004 durante un Forum su Internet organizzato per il settimanale "Le Nouvel Observateur":  " la mia organizzazione percepisce annualmente finanziamenti per 4 milioni di dollari".

Suppongo che Lei sia al corrente, vista la sua professione, del finanziamento di 80 milioni di dollari per il biennio 2007-2008 elargito dal governo degli Stati Uniti tramite la famigerata Commissione per l'Assistenza a una Cuba Libera (Commission for Assistence to a Free Cuba). Un finanziamento firmato dalla stessa Condoleezza Rice il 10 luglio del 2006 anche per onorare giornali e giornalisti in ogni angolo al mondo che collaborano con le politiche di diffamazione nei confronti del governo di Cuba e del popolo cubano.

Visto la non indifferente cifra messa a disposizione dall'Amministrazione Bush, come riferito sopra, e visto lo sforzo economico di Liberazione, certamente non diversa a molte altre testate giornalistiche della carta stampata in Italia, mi sorge spontaneamente un'altra domanda (lecito porsi delle domande davanti a un dubbio in un paese democratico come quello italiano, vero?): avete forse pensato di poter attingere anche voi da quella fonte di finanziamento per rilanciare il quotidiano Liberazione?

Qualora il mio dubbio risulti infondato e me lo auguro anche per il bene della libertà di stampa italiana (soprattutto in un quotidiano di orientamento comunista come dovrebbe essere Liberazione), rimane sempre un'altra domanda: perché inviare una giornalista a Cuba per scrivere quello che altri già hanno scritto in tutte le salse pur di usufruire di quei finanziamenti? Non le pare che sarebbe stato sufficiente aver fatto un "copia-incolla" direttamente dalla redazione, riprendendo vecchie notizie spazzatura?

Signor Direttore, consideri che personalmente escludo a priori ogni forma di ingenuità giornalistica in un ambito professionale come il suo, altrimenti non avrei parole in merito.

Cordiali saluti,
Sabatino Annecchiarico
sabalatino @...


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LA VILLETTA anche per conto di tutte le altre VILLETTE italiane ed altre associazioni pro-Cuba, PROTESTA contro l'indecente articolo apparso il 30 maggio 2007 sul quotidiano LIBERAZIONE che infanga l'operato delle associazioni che si battono per CUBA, per la liberazione dei 5 patrioti cubani incarcerati negli USA e contro il terrorismo che ha ucciso il nostro connazionale Fabio Di Celmo. Ricordiamo, che oltre 28000 cartoline hanno raggiunto i cinque eroi attraverso la ns. iniziativa atta a dimostrare che anche in Italia lottiamo per la loro libertà.

 E' inammissibile che un giornale comunista sposi teorie disinformative neppure dovesse copiare una velina scritta dalla CIA. Esigiamo che la linea editoriale di LIBERAZIONE garantisca il pieno appoggio alla causa cubana e rettifichi gli articoli apparsi sulle sue colonne.

PROTESTIAMO PER QUANTO ACCADUTO ED INVITIAMO TUTTI I COMPAGNI ALLO SCIOPERO, A NON COMPRARE "LIBERAZIONE" PER 15 GIORNI A TESTIMONIANZA DEL NOSTRO TOTALE RISENTIMENTO.


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PERCHE'  BISOGNA  INSISTERE  NEL  DIRE  VIVA CUBA !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 

 

Perché questa notte, nel mondo, 100 milioni di bambini dormiranno per strada, ma nessuno di loro è cubano.

 

Perché ogni giorno 250 milioni di bambini sono costretti a lavorare, ma nessuno di loro è cubano.

 

Perché ogni sette secondi, nel mondo, muore di fame un bambino, ma nessuno di questi è cubano.

 

Perché nonostante un’infame blocco economico Cuba ha una mortalità infantile inferiore a quella degli USA, e una aspettativa di vita molto superiore agli USA.

 

Perché l’esercito rivoluzionario cubano non ha mai invaso, bombardato, assassinato, torturato o avvelenato la popolazione di altri paesi.

 

Perché l’esercito rivoluzionario cubano non ha mai sparato contro il proprio popolo.

 

Perché non ne possiamo più di una certa sinistra sempre pronta ad attaccare Cuba, ma colpevolmente imbelle, se non complice, di fronte alle guerre “umanitarie”.

 

Perché Cuba non rappresenta l’ultimo baluardo di un mondo che è stato,  ma è il primo avamposto di un mondo in costruzione <<<

 

 

<<<< fonte mauro collina <<<<<<<  passaparola <<<<<< ciao da gin <<<<<< bologna <<<<< 4-6-07 <<<<<<<





La Yougoslavie en point de mire de l’OTAN

Le rôle des Allemands dans les Balkans

par Ralph Hartmann

Mondialisation.ca, Le 1 juin 2007


Parmi nos amis, nous comptons nombre de Yougoslaves. C’est à eux que je m’adresse particulièrement. Ils sont non seulement nos concitoyens, mais aussi les victimes directes de l’agression de l’OTAN, qui ont droit, aujourd’hui encore, à notre affection et à notre solidarité.

Le 24 mars [2000], le premier anniversaire de l’attaque de l’OTAN contre la Yougoslavie a eu lieu. On a dressé le bilan, chacun à sa manière. Les principaux responsables du conflit ont tenté, une fois de plus, de justifier la guerre, même si cette justification a résonné encore plus misérablement et mensongèrement qu’il y a un an, en raison de la situation réelle au Kosovo et dans la Metohija ainsi que des nombreux mensonges définitivement dévoilés, tels le soi-disant massacre de Raçak ou le prétendu plan du «fer à cheval».

Nous, les adversaires de la guerre, avons dénoncé une nouvelle fois les crimes de l’OTAN, avons attiré l’attention sur les conséquences catastrophiques de l’agression non seulement pour la Yougoslavie, mais aussi pour l’ordre juridique international et la paix mondiale. Nous avons constaté que la guerre contre les peuples de Yougoslavie se poursuivait sous d’autres formes, plus cachées, et avons prévenu des actions qui exacerbent les passions qui peuvent très rapidement réanimer le flambeau de la guerre. Nous avons exigé ce que nous exigeons de nouveau, ici et maintenant: l’arrêt immédiat des sanctions contraires au droit international public, la mise d’un terme à l’immixtion dans les affaires intérieures et le respect de la souveraineté ainsi que de l’intégrité territoriale de la Yougoslavie, la justice, le dédommagement et la paix des peuples yougoslaves.


Destruction de la plus grande partie de l’infrastructure yougoslave

Les actions que nous avons réalisées lors de cet anniversaire ont été larges, multiples et n’ont été vaines en aucun cas. Leur efficacité aurait été accrue si, à Berlin par exemple, toutes les forces organisées opposées à la guerre les avaient soutenues, si une sorte de fatigue succédant à la guerre, d’engourdissement et d’habitude ne s’était pas manifestée dans de larges milieux. Dans le bilan général de la guerre dressé le 24 mars, les détails effroyables de la guerre de l’OTAN passent forcément à l’arrière-plan et le danger augmente que soit oublié ce qui ne saurait l’être. Or chaque jour est un anniversaire, depuis le 24 mars et pendant 78 jours.

Aujourd’hui il y a un an, le 24e jour de la guerre a eu lieu. Il y a aujourd’hui un an qu’il a été communiqué à Belgrade que l’OTAN avait détruit une grande partie de l’infrastructure yougoslave, dont 17 ponts, 20 voies de chemin de fer ou gares, 39 fabriques, 13 raffineries et dépôts de produits énergétiques et 12 émetteurs de télévision. Pour la première fois, les agresseurs ont attaqué aussi des quartiers d’habitation de la ville de Yougoslavie la plus au nord du pays, Subotica. Des témoins oculaires ont décrit la destruction complète de la gare centrale des bus de Pristina, l’une des plus modernes de toute la Serbie, et ont indiqué que des bombes de l’OTAN avaient dévasté pour la troisième fois le cimetière serbe de la capitale du Kosovo. Shea, porte-parole de l’OTAN, a parlé d’une des meilleures nuits de l’alliance depuis le début des attaques aériennes. Les médias allemands ont informé de manière très détaillée d’une séance du Bundestag au cours de laquelle le chancelier Schröder a justifié la guerre, et le chef de la fraction démocrate-chrétienne Schäuble a nommé l’action de l’OTAN un «gain de civilisation». Il y a un an également, le ministre de la défense Scharping a ajouté à son atroce propagande anti-serbe une nouvelle histoire horrible, inoubliable, en racontant en public que des Serbes auraient joué au football avec les têtes tranchées de footballeurs. 


Une nouvelle guerre à partir du sol allemand

Scharping, son chef de gouvernement et son collègue du ministère des affaires étrangères ont justifié la guerre avec une véhémence particulière. Ils avaient de bonnes raisons de le faire, la République fédérale d’Allemagne ayant pris une place particulière à côté des Etats-Unis, parmi les 19 Etats agresseurs. Souligner la faute de la République fédérale ne signifie pas réduire celle des autres agresseurs. Toutefois, l’Allemagne est le seul Etat à avoir sévi contre la Serbie et la Yougoslavie à plusieurs reprises. Au cours d’un siècle, elle a participé pour la troisième fois à une agression contre le pays et ses peuples. Elle a violé de la façon la plus flagrante, outre la Charte des Nations Unies et d’autres documents fondamentaux du droit des gens, la convention par laquelle les principales puissances de la coalition opposée à Hitler ont accepté la renaissance d’un Etat allemand unifié. Par le Traité deux-plus-quatre, qui a la portée d’un traité de paix, elle avait déclaré solennellement «que le sol allemand ne générerait que la paix» et «que l’Allemagne unifiée ne recourrait plus jamais aux armes si ce n’est conformément à sa Constitution et à la Charte des Nations Unies».1 Et cette même République fédérale d’Allemagne a violé comme aucun autre Etat sa propre constitution qui, tirant la leçon de la guerre fasciste d’agression, prévoit sans ambiguïté à son article 26: «Les actes susceptibles de troubler la coexistence pacifique des peuples et accomplis dans cette intention, notamment en vue de préparer une guerre d’agression, sont inconstitutionnels. Ils doivent être réprimés pénalement.»2


La Yougoslavie détruite par la politique allemande de grande puissance

Des agressions répétées, une violation flagrante de ce qui est pratiquement un traité de paix, une transgression patente de sa constitution, telle est la faute supplémentaire que l’Allemagne a commise en participant à la guerre de l’OTAN contre la Yougoslavie. Mais elle ne s’y limite pas. La dette accumulée envers la Yougoslavie durant les dix dernières années, décennie de politique continuelle de grande puissance contre la Yougoslavie, contre la Serbie, est encore plus accablante. Sans prétendre à l’exhaustivité, elle peut être résumée ainsi:

Premièrement: Faisant fi de tous les avertissements du Secrétaire général des Nations Unies de l’époque, Javier Perez de Cuellar, et du président de la Conférence sur la Yougoslavie, Lord Peter Carrington, ainsi que de la résistance de la France, du Royaume-Uni, des Pays-Bas et d’autres Etats, la politique extérieure allemande a fait reconnaître en 1991 de manière précipitée, par des pressions et du chantage, la Slovénie et la Croatie à un moment où la CSCE, la CE et l’ONU déployaient les plus grands efforts pour résoudre le conflit pacifiquement. Les conséquences sont connues: la Yougoslavie s’est effondrée définitivement, le conflit s’est exacerbé; l’énorme responsabilité allemande est presque incontestée: en 1993, les ministres des affaires étrangères des Etats-Unis et de France, Warren Christopher et Roland Dumas, l’ont soulignée alors.3

Deuxièmement: La République fédérale d’Allemagne a contribué dans une mesure déterminante à pousser la Bosnie-Herzégovine, cette splendide «Yougoslavie en petit», dans une guerre civile effroyable. Trois étapes funestes – la reconnaissance précipitée et irresponsable de la Slovénie et de la Croatie, l’exigence d’un référendum qui a placé la population serbe, soit un tiers de la population totale, en situation de minorité, et la décision de reconnaître la république partielle – ont marqué ce chemin vers l’abîme. Le 6 avril 1992, anniversaire de l’invasion de la Yougoslavie par la Wehrmacht, la CE a reconnu la Bosnie et l’Herzégovine, mesure pour laquelle, selon l’agence dpa, le ministre des affaires étrangères Genscher […] avait plaidé avec vigueur et convaincu progressivement ses partenaires de la CE.4

Parmi les nombreuses personnes qui témoignent de la responsabilité allemande, mentionnons-en deux: dès 1991, Lord Carrington avait averti les Allemands qu’une reconnaissance anticipée de la Slovénie et de la Croatie «pourrait être l’étincelle qui met le feu à la Bosnie-Herzégovine»5, et Henry Kissinger de constater en 1996: «La reconnaissance [de la Bosnie R.H.] a fait naître non un pays, mais une guerre civile.»6


D’abord des sanctions, puis des bombes

Troisièmement: Ce sont des politiciens allemands qui, les premiers, ont réclamé des sanctions contre la Yougoslavie, contre la Serbie, pays dont l’économie et les hommes souffrent depuis une décennie, avec de courtes interruptions et quelques modifications. Quand les sanctions ont été prises pour la première fois, le chancelier Kohl a déclaré triomphalement le 6 novembre 1991, en séance plénière du Bundestag: «Je me félicite que les ministres des affaires étrangères aient pris des sanctions économiques le 4 novembre 1991 […]. Cette décision n’est pas étrangère à nos efforts obstinés de persuasion [souligné par R.H.], déployés aussi envers nos partenaires de la CE.»7 Et après que les sanctions eurent été considérablement accentuées une demi-année plus tard, Klaus Kinkel, ministre des affaires étrangères, a annoncé fièrement au Parlement, le 27 juillet 1992, que «l’ONU avait pris des sanctions contre la Serbie et le Monténégro, en particulier à notre instigation» [souligné par R.H.].8 Le déferlement des attaques aériennes pendant 78 jours a massivement accru les effets des sanctions et multiplié les souffrances des hommes. Jusqu’à aujourd’hui toutefois, Berlin ignore les innombrables appels à lever les sanctions, en particulier la demande récente, passionnée, presque suppliante, du Conseil de la diaspora yougoslave, «de mettre fin au chantage politique et aux pressions inacceptables […] ainsi qu’au blocage économique, qui diabolisent tout un peuple et le maintiennent dans un ghetto».9 Cet appel mérite le soutien de tous!
Quatrièmement: Des politiciens et journalistes allemands ont été parmi les premiers à exiger une intervention militaire de l’étranger dans le conflit tragique qui a éclaté à l’intérieur de la Yougoslavie. Au début de novembre 1991, le politicien démocrate-chrétien Wolfgang Schäuble, alors ministre de l’intérieur, a ouvert la ronde en déclarant que la CE devait «en cas de nécessité intervenir militairement»10 en Yougoslavie.

Au cours des ans, le premier danseur démocrate-chrétien a été suivi par une lignée toujours plus longue de partisans de l’intervention, dont faisait partie le chancelier actuel, Gerhard Schröder. Le 16 août 1998, alors qu’il était encore candidat à la chancellerie, celui-ci a déclaré qu’«il pouvait s’imaginer une intervention de l’OTAN au Kosovo sans mandat de l’ONU, donc une agression»11. Cependant, un général allemand – ce que l’on oublie souvent de mentionner – avait déjà invité en 1994 à commettre cette violation très grave de la Charte de l’ONU et du droit international public en général. Le soldat du rang le plus élevé des forces armées allemandes, Klaus Naumann, que le professeur de la Budeswehr Wolffsolm a proclamé «étoile brillant au ciel politico-militaire de notre pays»12, a déclaré à la «Frankfurter Allgemeine Zeitung» que l’OTAN devait rester en mesure, dans sa gestion des crises, «d’agir de manière autonome, donc indépendamment d’un mandat des Nations Unies».13 En mars 1999, le fait condamnable a suivi l’invitation à violer le droit.


Tribunal pénal international financé par l’OTAN

Cinquièmement: Ce fut – et on l’oublie trop souvent – sur l’initiative de la politique extérieure allemande qu’un Tribunal pénal international a été fondé. Parmi les spécialistes du droit international public, il est contesté et a constitué dès ses débuts un instrument consacré à la propagande et à l’exercice de pressions. Le «déligimitateur» éprouvé qu’est Klaus Kinkel a fortement contribué à la création du tribunal. Il y a des années déjà, le ministre allemand des affaires étrangères de l’époque s’était vanté: «A la Conférence de la paix tenue à Londres en août 1992, ma proposition d’établir un tribunal pénal international a suscité, pour la première fois, une large approbation. Par la suite, je suis parvenu à obtenir une décision des Européens.»14 Le Tribunal est financé par l’OTAN, comme le porte-parole de celle-ci, Jamie Shea, l’a communiqué.15 S’il porte le nom de «Tribunal pénal international poursuivant les crimes de guerre commis dans l’ancienne Yougoslavie», ceux qui ont été commis par ses fondateurs et financiers en Yougoslavie et contre ce pays sont marqués d’un tabou jusqu’à aujourd’hui. Les promoteurs et financiers de ce tribunal défendent – comme ils l’ont fait récemment – les captures sauvages d’accusés en prétendant qu’il s’agit de déceler et de condamner des crimes de guerre et des violations de droits de l’homme. Après la guerre contre la Yougoslavie, cet argument sonne creux et faux. Il est à peu près aussi crédible que si le marchand d’armes Schreiber exigeait la condamnation d’exportations d’armes, que si monsieur Kohl vitupérait les caisses noires des partis et qu’un meurtrier belge en séries bien connu se faisait passer pour le saint patron des enfants et jeunes gens en péril.


L’Allemagne, stimulateur cardiaque de la guerre du Kosovo

Sixièmement: Comme déjà lors du déchaînement de la guerre civile en Bosnie et en Herzé­govine, la République fédérale d’Allemagne a longtemps joué le rôle du stimulateur cardiaque en attisant le grave conflit du Kosovo et de la Metohija ainsi qu’en créant le prétexte de la guerre d’agression de l’OTAN. Dans ce cas, elle a certes tiré les leçons de la forte critique internationale qu’avait suscitée son action précipitée dans la reconnaissance de la Slovénie et de la Croatie et s’était tenue davantage à couvert, mais les faits parlent une langue très claire: Dès le début, la politique extérieure allemande a poursuivi ses prises de position unilatérales anti-serbe et soutenu les forces séparatrices des Albanais du Kosovo, elle a hébergé le gouvernement en exil de la prétendue République du Kosovo, a stimulé l’internationalisation du conflit à l’intérieur de l’Etat et fait parvenir une aide multiple à l’UÇK depuis 1996. Violant des résolutions des Nations Unies, le gouvernement allemand a toléré que des millions soient recueillis sur son territoire pour acheter des armes à l’UÇK et quand l’OTAN, au milieu de 1998, a envisagé le stationnement de troupes à la frontière albanaise pour interrompre les flux d’armes destinés à l’UÇK, il a protesté vivement et marqué énergiquement son opposition. Ce gouvernement, devenu le gouvernement rose-vert, a contribué à aviver l’hystérie relative au soi-disant massacre de Raçak, a fait que le rapport finlandais de médecine légale fût tenu secret et a incité ses partenaires de l’OTAN, comme il ressort des déclarations du Secrétaire d’Etat Ludger Vollmer, «à organiser le processus de négociations de Rambouillet»16, qui a servi finalement à fournir, grâce à un ultimatum inacceptable, le dernier prétexte pour la guerre d’agression déjà préparée depuis longtemps. 


Les Tornados allemands dans la première escadrille

Septièmement: Quand, au soir du 24 mars, l’attaque aérienne de l’OTAN a commencé, les Tornados allemands faisaient partie de la première escadrille, ainsi que quelques journaux berlinois l’ont annoncé en caractères gras. L’incompréhensible a eu lieu: l’Allemagne menait une guerre d’agression contre la Yougoslavie, pour la troisième fois au XXe siècle; les Tornados allemands sont «heureusement» rentrés 450 fois «sains et saufs» de leurs incursions terroristes. Quelles villes et villages ils ont attaqué – Belgrade, Novi Sad ou Kragujevac –, quelles cibles ils ont atteintes, quels dommages collatéraux ils ont causés, c’est le secret de l’OTAN et de la Bundeswehr jusqu’à maintenant. Les pilotes ont été décorés à profusion, leurs noms et exploits n’ont pas été communiqués. En revanche, ceux qui ont préparé la guerre et donné les ordres sur les plans de la politique et de la diplomatie, de la conception militaire et de la propagande sont connus. ce sont ceux qui tentent, jusqu’à aujourd’hui, de justifier l’injustifiable. Parmi ceux-ci figurent:
Joseph Fischer, le propagandiste aux trucs multiples, qui a répandu les nouvelles effroyables du déchaînement d’un «fascisme barbare» dans les «abattoirs du Kosovo»;

Rudolf Scharping, l’inventeur des camps de concentration serbes au Kosovo et du prétendu plan serbe du «fer à cheval» au nom croate et dont les services bulgares de renseignements sont à l’origine et, naturellement, Gerhard Schröder, le père de la phrase absurde tendant à justifier la guerre, qui a déclaré immédiatement après l’invasion: «Nous ne faisons pas la guerre, mais sommes amenés à imposer une solution pacifique au Kosovo par des moyens militaires également.»17

Des missiles, des ogives d’uranium et des bombes à fragmentation, comme moyens de résoudre pacifiquement un conflit, cela, le monde ne l’avait encore jamais vu! On peut voir dans de nombreuses localités de Yougoslavie à quoi ressemble la «solution pacifique»: dans les destructions de ponts, d’usines chimiques et autres exploitations industrielles, d’écoles et de jardins d’enfants, dans les inscriptions sur les tombes du Kosovo et de toute la Serbie, dans les hôpitaux et homes, dans les villes et villages du Kosovo et de la Metohija exemptes de Serbes, de gitans et de juifs.

Il convient de faire assumer leurs responsabilités à ceux qui, en recourant aux moyens militaires, ont abouti à cette sorte de solution pacifique des conflits. Tel est le cas de tous les gouvernants d’Etats agresseurs de l’OTAN, parmi lesquels les Allemands se sont particulièrement distingués ces dix dernières années.  


Traduction Horizons et débats

Source: Die Deutsche Verantwortung für den Nato-Krieg gegen Jugoslawien, Wolfgang Richter, Elmar Schmähling et Eckart Spoo éditeurs, Schkeuditz 2000, ISBN 3-9806705-6-2, pages 13–19

1 Texte zur Deutschlandpolitik, série III, volume 8b – 1990, Bonn 1991, p. 674.
2 Loi fondamentale de la République fédérale d’Allemagne, Berlin 1990.
3 Voir Ralph Hartmann: Die ehrlichen Makler. Die deutsche Aussenpolitik und der Bürgerkrieg in Jugoslawien, Berlin 1998, p. 13 s.
4 dpa, 6.4.1992.
5 Dokumentation zum Krieg auf dem Balkan, dans: Versöhnung, revue du «Versöhnungsbundes», mai 1996.
6 Henry A. Kissinger: Ein multiethnisches Bosnien kann nur mit militärischer Gewalt erzwungen werden. Dans: Welt am Sonntag, 8.9.1996.
7 Procès-verbal sténographique, 12e Bundestag,
53e séance du 6.11.1991, p. 4367.
8 Procès-verbal sténographique, 12e Bundestag,
101e séance du 22.7.1992, p. 8609.
9 Information des Rates der Jugoslawischen Diaspora, Francfort-sur-le-Main, 26.2.2000.
10 dpa, 2.11.1991.
11 ADN, 16.4.1998.
12 Voir Horst Schneider: Kritische Anmerkungen zur Nato-Aggression gegen Jugoslawien, Stuttgart 1999, p. 18.
13 Entretien de Klaus Naumann avec la FAZ, 2.3.1994.
14 Interview de Klaus Kinkel, Generalanzeiger, 27.2.1993.
15 AFP, 16.5.1999.
16 Ludger Volmer: Krieg in Jugoslawien – Hintergründe einer grünen Entscheidung, Bonn 26.3.1999. Citation d’après Matthias Küntzel: Der Weg in den Krieg, Berlin 2000, p. 162.
17 dpa, 24.3.1999.


Ralph Hartmann a été ambassadeur de la République démocratique allemande en Yougoslavie. En mars 2000, il a présenté cet exposé sous la forme d’une conférence, tenue lors de la rencontre du comité préparant le Tribunal européen sur la guerre de l’OTAN contre la Yougoslavie. 



BERTINOTTI E PRODI PASSANO IN RASSEGNA LA BRIGATA FALLUJA


Il Manifesto 03-06-07

E ai Fori Imperiali sfila la brigata Falluja

In corteo un battaglione aviotrasportato Usa di stanza a Vicenza e
impiegato nel 2004 nell'attacco a Falluja
Manlio Dinucci

Tra i reparti che hanno aperto la parata militare del 2 giugno ai
Fori Imperiali ce n'era uno speciale: il 1° battaglione del 503°
reggimento da assalto aereo appartenente alla 173a brigata Usa
aviotrasportata di Vicenza. Un reparto distintosi nel 2004 in Iraq
nell'attacco a Fallujah, nel quale sono state usate anche bombe al
fosforo provocando una strage di civili. Non poteva essere scelto un
simbolo migliore per mostrare che tra Stati uniti e Italia, come ha
ribadito il presidente Bush nell'intervista a La Stampa, esistono
«legami molto stretti».
Il 1° battaglione è stato trasferito da Camp Casey (Corea del sud)
alla caserma Ederle di Vicenza nel giugno 2006. Esso è stato così
riunito al reparto gemello, il 2° battaglione del 503° reggimento,
inviato da Vicenza a combattere in Iraq e Afghanistan. Insieme ad
altri reparti riattivati, ha contribuito alla trasformazione della
173a brigata di Vicenza in Squadra di combattimento 173a brigata
aviotrasportata.
Il fatto che la Squadra di combattimento sia stata creata nel
settembre 2006, per la maggior parte con nuovi reparti riattivati o
trasferiti in giugno, dimostra che l'esercito Usa dava per sicuro di
ottenere dal governo Prodi quella che il vicepremier Rutelli aveva
già definito «un'idonea sistemazione logistica della 173a Airborne
Brigade nella sua nuova configurazione».
Così è stato: nel gennaio 2007 Prodi ha annunciato il nullaosta del
governo al raddoppio della base Usa di Vicenza. La Squadra di
combattimento ha infatti bisogno di più spazio.
Essa è l'unica unità aviotrasportata e forza di risposta rapida del
Comando europeo degli Stati uniti, la cui area di responsabilità
comprende l'Europa, gran parte dell'Africa e parti del Medio Oriente.
Per di più il comando Setaf da cui dipende la Squadra di
combattimento, il cui quartier generale è anch'esso a Vicenza, è
stato trasformato da comando di appoggio logistico in comando di
teatro, responsabile «del ricevimento, della preparazione al
combattimento e del movimento avanzato delle forze che entrano nella
regione meridionale per una guerra». La base allargata di Vicenza,
collegata alle basi aeree di Aviano e Sigonella e a quella logistica
di Camp Darby, sarà quindi trasformata sempre più in trampolino di
lancio delle operazioni militari statunitensi. Contrariamente a
quanto sostiene Prodi, che «per l'ampliamento di una base militare
non si pone certo un problema politico», il raddoppio della base Usa
di Vicenza ha riportato quindi in primo piano il problema politico
nodale: il fatto che né il parlamento né il governo italiano hanno
alcun potere decisionale sulle operazioni militari statunitensi che,
partendo dal nostro territorio, coinvolgono il nostro paese nelle
guerre condotte dagli Stati uniti.
Chissà se qualcuno nella coalizione governativa si ricorderà di tutto
questo, quando oggi il presidio permanente No Dal Molin di Vicenza
manifesterà a Trento, dove si trova il presidente del consiglio
Prodi, per ricordargli che, dopo aver più volte ripetuto di voler
dialogare con le comunità locali, ha scavalcato tutti dando il
nullaosta al raddoppio della base.

---

Sulla strage compiuta a Falluja dalle truppe angloamericane si vedano
ad esempio:

La strage nascosta - di Sigfrido Ranucci
http://www.rainews24.rai.it/ran24/inchiesta/default_02112005.asp

"Fosforo bianco contro i civili". Così gli Usa hanno preso Falluja
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4616
IL VIDEO: http://www.rainews24.it/ran24/clips/Video
\fallujah_Rainews24.wmv

Ricordando Srebrenica, pensando a Fallujah - di Ghali Hassan
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4505

Falluja: il peggior massacro americano in Iraq (LINKS)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4482

Guai a occuparsi di Falluja
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4227

IRAQ = JUGOSLAVIJA / 12: Cronache da Falluja
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3486

IRAQ = JUGOSLAVIJA / 9: FALLUJA COME ORADOUR, LIDICE, KRAGUJEVAC...
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3466

IRAQ = JUGOSLAVIJA / 1: Eyewitness Report from Falluja
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3432

Rainews. Recapitato un proiettile in redazione
http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsID=61977 oppure
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4973


-------- Original Message --------
Subject: [No Dal Molin] Trento: Prodi contestato
Date: Sun, 03 Jun 2007 16:25:39 +0200
From: "NoDalMolin" <comunicazione @...>
To: vialebasi @...

Comunicato stampa
CARO PRODI, LA BASE NON SI FARA'

La manifestazione dei No Dal Molin a Trento è andata benissimo; in
circa 300 hanno manifestato, all'esterno, al suono di pentole e
tamburi mentre all'interno una quarantina di persone, dopo l'inizio
dell'intervento del Presidente del Consiglio, si sono alzate
esponendo le bandiere No Dal Molin e gridando "vergogna, vergogna,
Vicenza non si vende".
L'intervento di Prodi è stato interrotto e il moderatore ha offerto
il microfono ad una rappresentante del Presidio - Cinzia Bottene -
che ha elencato al Premier le tante ragioni della battaglia
vicentina. Prodi, naturalmente, non si è degnato di rispondere.
Al termine della conferenza, poi, centinaia di persone hanno bloccato
pacificamente le uscite dell'Università e sono state spostate di peso
- senza tante delicatezze - dalle forze dell'ordine per far uscire
l'auto del Presidente del Consiglio.

Un Presidente del Consiglio che, di fronte ad una platea di centinaia
di persone, non ha il coraggio di rispondere alle richieste di una
cittadina, evidentemente, ha la coda di paglia; un Presidente del
Consiglio che, di fronte alla manifestazione civile di centinaia di
persone, risponde che "la decisione è già presa", dimostra di non
avere la capacità di ascoltare quei cittadini che dovrebbe
rappresentare.

Romano Prodi se ne va da Trento dimostrando, ancora una volta, la
propria incapacità di rapportarsi con la comunità locale vicentina.
Dice, il Presidente del Consiglio, che "queste manifestazioni fanno
male all'immagine del Paese"; evidentemente il dissenso - che è il
sale della democrazia - non è ben visto da chi oggi governa l'Italia
e che, invece, dovrebbe chiedersi quanto male sta facendo ai
cittadini, al territorio, al nostro futuro con le posizioni assunte
in questi mesi. Prodi sostiene di amare Vicenza? Spieghi, allora, per
quale ragione da un anno a questa parte il Presidente o un qualsiasi
membro del suo Governo non hanno pensato di venire nella nostra città
per rendersi conto, con i propri occhi, della situazione e
dell'ubicazione della nuova struttura militare.

Per il premier non si torna indietro su decisioni già prese? Il
Presidente può anche non cambiare idea, ma noi proseguiremo la nostra
battaglia. Se necessario, fermeremo le ruspe come oggi abbiamo
fermato la macchina del Presidente del Consiglio.

Trento, 3 giugno 2007

***************************
Presidio Permanente NO Dal Molin
Via Ponte Marchese - Vicenza
www.nodalmolin.it
www.altravicenza.it

IL FUTURO è NELLE NOSTRE MANI
Difendiamo la terra per un domani
senza basi di guerra
************************

MASSIMO D'ALEMA E LUNA ROSSA


D'Alema-yachtman 2007:
http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1149

D'Alema-yachtman 2002:
https://www.cnj.it/immagini/dalema.jpg



CounterPunch - Weekend Edition - June 2 / 3, 2007


How to Make a Bad Situation Impossible

Great Power Meddling in Kosovo

By DIANA JOHNSTONE


After nearly eight years of uneasy occupation of the province of Kosovo that NATO wrested from Serbian control by 78 days of bombing in 1999, the U.S.-led "International Community" is eager to shift responsibility for the intractable situation to someone else. This may be done by imposing a false "solution" that provokes either Serbs or Albanians, or both, into reacting in ways that can be blamed for the impending disaster.

The "International Community", the contemporary equivalent of the nineteenth century Great Powers that carved up the Balkans in ways that led to World War I, appointed former Finnish president Marrti Ahtisaari to be "special envoy of the Secretary-General of the United Nations for the future status process for Kosovo". Ahtisaari's task was to come up with something that would sound good to Western media and human rights NGOs. Neither international law nor mere reality on the ground were serious considerations.
Ahtisaari's "Kosovo Status Settlement" defines the future Kosovo according to the IC wish list. Kosovo, it announces, "shall be a multi-ethnic society, governing itself democratically and with full respect for the rule of law, the highest level of internationally recognized human rights and fundamental freedoms, and which promotes the peaceful and prosperous existence of all its inhabitants."_Kosovo "shall be..." Not is. Because that description is about the exact opposite of what Kosovo is now: a poverty-stricken cauldron of discontent characterized by violent ethnic hatred, a political system manipulated by armed clans, a corrupt judicial system, and terrified minorities (notably Serbs and Roma) deprived of the most basic freedoms, such as being able to venture out of their besieged homes in order to shop, go to school or work their fields.

Not to mention broken down public services, an economy totally dependent on foreign aid and criminal trafficking (drugs and sex slaves), and massive unemployment affecting a youthful population easily aroused to violence.
Turning water into wine is nothing compared to transforming this failed province into a model democratic multi-ethnic State. But that is the miracle Ahtisaari is announcing.

And how is this miracle to be achieved?_Albanian separatists seem to be convinced that total independence is all that is needed to turn their ramshackle province into a second Luxembourg. But total independence is not exactly what Ahtisaari is proposing. Kosovo is to have the trappings of independence -- things to play with like "its own distinct flag, seal and anthem" (on the condition that they reflect the "multiethnic" nature of the place). It can join the International Monetary Fund and the World Bank -- not exactly the key criteria of independence.

But according to the Status Settlement plan, Kosovo will remain under strict international supervision. Control will be exercised by an international bureaucracy run by the European Union and a military presence led by NATO, in three parts:

1. An "International Civilian Representative (ICR), double-hatted as the EU Special Representative", appointed by an "International Steering Group (ISG) comprising key international stakeholders", will have the power to "ensure successful implementation of the Settlement", to "annul decisions or laws adopted by Kosovo authorities and sanction or remove public officials whose actions are determined by the ICR to be inconsistent with the letter or spirit of the Settlement". So much for political "independence".

These "key international stakeholders" are, incidentally, self-appointed and do not include the country with the greatest stake in Kosovo: Serbia. Rather, they are a reincarnation of the nineteenth century Great Powers.

2. "A European Security and Defence Policy (ESDP) Mission will monitor, mentor and advise on all areas related to the rule of law."

3. A "NATO-led International Military Presence will provide a safe and secure environment throughout Kosovo" until Kosovo's institutions are able to do so -- which could conceivably be many years, or 24 hours, depending on how the "key stakeholders" choose to interpret events.

With some name changes, this is the same sort of international supervision that has so far failed to combat crime, provide real security to minorities or develop the economy.


Bureaucracy in the New World Order

Government by international bureaucracy seems to be a trend in the New World Order. Since the Dayton Accords that ended the Bosnia war in late 1995, Bosnia-Herzegovina has been ruled by a similar combination: a complicated set of local authorities under the strict supervision of a "High Representative" (contemporary version of Proconsul or Viceroy) who can, and does, annul laws adopted by the local democratic institutions or dismiss democratically chosen officials who fail to tow the IC line. The declared purpose of this benevolent dictatorship is to foster "multiculturalism", but the result is that nationalist antagonism between Muslims, Serbs and Croats in Bosnia-Herzegovina is as strong as ever, if not stronger. This eleven-year-old failure is to serve as model for the Kosovo success story.

But the trend is deeper and broader than the administration of the European Union's new protectorates. It applies to the European Union itself. A number of astute observers note that the complex double-tiered ruling structure of the Balkan colonies is essentially the same as that of the European Union, with its Member States progressively giving up their democratic decision-making power to the EU Commission, only very marginally controlled by a European Parliament with none of the powers or popular legitimacy of traditional national parliaments.

Even more striking, the "Settlement" spells out in advance a whole range of policies and measures for Kosovo, just as the EU draft "Constitution", rejected by voters in France and the Netherlands in referendums held in 2005, spells out in advance not only structures but policies. Basic economic policies are left to the "free market", or its institutions such as the IMF, the World Bank and the EU Commission. Deprived of its economic policy-making, the State justifies its existence by defending "human rights", especially rights of minorities. This focus on minority identities keeps populations distracted and divided. There is no chance that they will come together to form a majority challenging the right of foreign decision-makers to dictate economic policy.

Despite its unique features, Kosovo illustrates the inextricable mess created by this current imposed version of Western "democracy".


Creating Rights Violations

The post-Cold War capitalist West, needed to drape itself in a noble cause. "Human rights" did the trick. To preserve and expand the U.S.-led Cold War military machine after the dismantling of its official adversary, the Warsaw Pact, NATO was endowed with the new mission of "humanitarian intervention". The 1999 "Kosovo war" was the trial run for this new mission.

The background of the centuries-old Kosovo conflict was dismissed as irrelevant by U.S. policy makers in their search for "new Hitlers" on one side and "victims" on the other -- the cast of characters required for staging "humanitarian intervention"._Encouraged by the prospect of getting to play the "rescued victim" role, the armed separatist group calling itself the Kosovo Liberation Army (KLA) provoked reprisals by shooting policemen and other persons loyal to the existing government. Violent repression predictably ensued. NATO then chose to interpret the reprisals as part of a deliberate plan of "ethnic cleansing" and perhaps even genocide. Thanks to ignorant and biased media coverage, NATO enjoyed overwhelming popular support for its bombing campaign and subsequent occupation of Kosovo. Henceforth, NATO has had to maintain its Manichean interpretation in order to justify its intervention. The main instrument for this purpose is the International Criminal Tribunal for former Yugoslavia (ICTY) in The Hague, which, although formally a "United Nations tribunal", is essentially staffed, funded and provided with "evidence" by NATO governments.

The main human problem in Kosovo today is psychological: the terrible hatred between communities stirred and aggravated by one-sided foreign intervention. This outside support by Great Powers encourages Albanian nationalists to seek more and more: more concessions, more territory, more indulgence toward their mistreatment of non-Albanians, who, according to the official NATO narrative, pretty much deserve what they get. At the same time it leaves Serbs to nurse a bitter sense of grievance and unjust humiliation.

Instead of a punitive approach manipulated by NATO powers, what was needed to bring lasting peace to the Balkans was some sort of Truth Commission that would investigate events, motives, grievances and misdeeds on all sides in an effort to bring about reconciliation. Reconciliation can only be based on a sense of common humanity, which is destroyed by constant identification of "guilty" and "victim" ethnic groups.

But an unbiased investigation of the whole Kosovo drama would risk revealing the fatally negative role of foreign powers: the United States, Germany and NATO.

Thus hatred and prejudice must be perpetuated.


Designing the Zoo

The basic attitude of the "International Community decision-makers is that they alone are qualified to make decisions. They are better qualified than the people directly affected by their decisions. Lesser peoples must be treated like unruly children, or rowdy animals in a zoo, kept in cages designed by those who know best what is good for them. This attitude is perfectly illustrated by a gaming exercize conducted by and for U.S. officials in the fall and winter of 2001 and 2002 intended as preparation for final Kosovo status negotiations. [1]_In these simulations, participants -- mostly American officials -- played the roles of Serbs, Albanians, Americans and other international players. The report notes that : "Both simulated 'Serbs' and 'Albanians' looked to the 'U.S.' as the power broker, ignoring other elements in the international community like the 'UN', which lacked credibility with both sides."

The conclusions were drawn in a report by two main operators of U.S. Balkan policy, James Hooper, executive director of the influential Balkan Action Council, and Paul Williams, who served as advisor both to the Bosnian Muslim delegation at the 1995 Dayton talks and to the Kosovo Albanian delegation at the 1999 Rambouillet talks that set the diplomatic stage for NATO bombing of Yugoslavia. Incidentally, Williams heads the International Law and Politics group that carried out the exercise and has already undertaken to write the Constitution of a future independent State of Kosovo.

Their most remarkable conclusion: " -- When left to their own devices, the 'Albanian' and 'Serbian' delegations were ready to engage in division and reallocation of territory, exchanging land in northern Kosovo for land in southern Serbia and ignoring the consequences for Macedonia and Bosnia."

If redistributing territory to promote ethnic homogeneity is to be avoided, the international community, led by the United States, will have to prevent it." Leaving aside the dubious reliability of such simulations, what is truly remarkable here is the arrogance of U.S. officials, their absolute certainty that they have the right and the capacity to judge what is best for the peoples directly concerned, who must not be allowed to work out a possible solution by themselves. This has been U.S. policy all along. It is generally forgotten, because largely ignored at the time, that in 1998, Belgrade attempted to start negotiations with Kosovo Albanians.

Kosovo Albanian leaders rejected talks in favor of the implicit promise of NATO intervention on their behalf if the situation deteriorated. Then to save diplomatic appearances before launching NATO's assault, the U.S. stage-managed last minute "negotiations" in Rambouillet chateau in France during which Serbian and Kosovo Albanian delegations were kept apart, as both were presented with "take it or leave it" proposals drafted by U.S. diplomats. These proposals were crafted to obtain Albanian acceptance and Serbian rejection, in order to justify bombing with the claim that "the Serbs refuse to negotiate" -- which was not true. Official Serbian compromise proposals were simply ignored.

Adding insult to injury, the Americans at Rambouillet abruptly promoted Hashim Thaqi, a young rebel leaders with alleged criminal connections, as head of the Albanian delegation, shoving aside the better-known respected Albanian intellectuals who had also come to Rambouillet.

This illustrates a typical feature of U.S. imperial behavior abroad: select, listen to and promote only the worst elements in the foreign society you want to influence. Yes, there are, in any society, better and worse elements.

On the one hand, there are shameless opportunists, flatterers and outright criminals. Their advantage is that they are relatively easy to manipulate, at least in the short run. But not forever. There comes a time when they demand payment for their services. The Albanian secessionists in Kosovo are out of patience, and since they are still armed, the foreign occupiers are getting very nervous.

If the International Community itself is afraid of them, which is an urgent motive for giving them what they want before they start shooting, then what of the defenseless inhabitants? The remaining non-Albanian inhabitants of Kosovo, notably Serb-speaking or Roma, live in terror of these "liberators". And what of the welfare of the majority of Albanians of Kosovo, who have been delivered to the control of gangsters, or of feuding clan leaders such as Ramush Haradinaj, a favorite of the United States? Haradinaj was given the post of provisional prime minister of Kosovo despite a pending indictment for war crimes by The Hague Tribunal. After his arrest, while awaiting trial, Haradinaj was indulgently released to pursue his political activity. It is constantly repeated that "all Albanians in Kosovo want independence from Serbia", but in these circumstances, any Albanian who thought otherwise would be ill-advised to say so.

On the other hand there are honorable men and women who are concerned about the welfare of their country and their people. In any society, there are likely to be a few intelligent and selfless people who could be described with the outdated adjective "wise". They are systematically ignored... or worse.


The Alternative

One such man is unquestionably Dobrica Cosic, Serbia's geatest living writer, who for a brief period as president of Yugoslavia in 1993 vainly tried to promote peace. Since it was unthinkable to qualify a Serb's concern for the future of his country as "patriotism", much less "wisdom", he was stigmatized as "nationalist" and ignored. Nevertheless, he has continued patiently to advocate the search for a genuine compromise agreement on Kosovo which might be sufficiently acceptable to all sides to serve as a basis for reconciliation and peace. In any genuine effort to bring about mutual reconciliation, his ideas would at least be taken into consideration.

In September 2004, Cosic renewed his proposal "for the Coexistence of the Albanian and the Serbian People" in an eight-page document sent to all interested governments. It includes a detailed reflection on the background of the Kosovo conflict and its context. While naturally and inevitably speaking from a Serbian viewpoint, Cosic takes Albanian views into account and observes a certain symmetry in their national ideologies. The "national ideologies of the Albanian and Serbian peoples", he writes, include anachronistic political perceptions based on their past misfortunes: lengthy national subordinations and crushing defeats.

The products of these ideologies --"greater Albania" on the one hand and "the Serbian sacred land" of Kosovo on the other -- are myths that "cannot serve as a basis for a reasonable and just resolution of contemporary national and state problems of the Albanian and Serbian people, determined by complete interdependence of the peoples in the Balkans, Europe and the world in modern civilization." Cosic observes that radical changes in the ethnic composition of Kosovo, to the advantage of the Albanians, have compelled Serbia to review its policy, implying a compromise between Serbia's historical rights to the province and the Albanians' demographic rights. Keeping Kosovo within the Serbian state "would be a demographic, economic and political burden too heavy for Serbia, and hampering its normal development."

While the same U.S. representatives who have exacerbated ethnic hatred between Serbs and Albanians now insist that they must live together in a "multi-ethnic Kosovo" with unalterable borders, Cosic acknowledges that "ethnic Albanians do not want to live together with the Serbs" in Kosovo and "Serbs cannot live under Albanians; Serbs and Albanians can live freely only next to each other". He therefore argues that a territorial division worked out between the parties themselves could provide the basis for a genuine settlement allowing future generations to free themselves from this centuries-old conflict. Contrary to the U.S. approved Ahtisaari "Settlement", which prohibits Kosovo from uniting with neighboring Albania, Cosic sees such unification as a possible outcome of an overall settlement.


Mutual Respect, or Mutual Hatred

Whether or not Serbs and Albanians could work out a "peace of the brave", in mutual respect, along the lines suggested by Cosic, has been reduced to an academic question by U.S. meddling. Some ten years ago, a few people in Europe were ready to try that peaceful method. Danielle Mitterrand, the wife of the French President, sponsored round table talks in Paris between respected Albanian and Serb intellectuals. Such initiatives never enjoyed the support of the United States, which preferred to take the side of Albanian secessionists against the government in Belgrade, on supposedly "humanitarian" grounds. The result was to rule out compromise and to promote Albanian gangsters who posed as "victims" into the leadership role in Kosovo

The United States and its "International Community" have done everything to preclude an accord based on mutual respect. The inevitable result is mutual hatred.

It used to be that conquerors grabbed the top spots but left certain essential structures in place, such as police and courts, so as to keep order.

The humanitarian conquerors are different: in Kosovo as in Iraq, they abolish the police and courts as tainted by whoever it is they overthrew, and attempt to start from scratch. The result is chaos: large-scale chaos in Iraq and small-scale chaos in Kosovo.

The province is now known throughout Europe as a hub of drug trafficking, transit for prostitutes bought and sold from desperately poor Eastern European areas (notably Moldova), and various other forms of illegal trade. Industrial production has plummeted. Trash accumulates uncollected. A plethora of gas stations serve as money laundering facilities. The landscape is dotted with huge buildings serving no noticeable purpose, other than to absorb foreign subsidies for "reconstruction". The local police and courts are described as corrupt and indulgent toward the criminal activities of fellow Albanians, and neither NATO nor the United Nations Mission in Kosovo (UNMIK) have dared to try seriously to enforce respect for the law.

In the midst of this mess, the United States operates the huge, self-contained strategic military base, Camp Bondsteel, that it built the moment U.S. forces entered Kosovo -- the very symbol of the autistic empire. Revolution could happen in Cuba, but the U.S. military hung onto Guantanamo. Never mind what happens in Kosovo, Bondsteel can remain.

Other, less protected occupiers are more nervous. Already, in March 2004, some of them clashed with huge Albanian mobs that went on a rampage against Serbs and Serbian churches. Everyone knows that this could easily happen again, on a larger scale, and it will be very embarrassing to have to shoot at "the victims" in NATO's Manichean reality show. Emissaries of the "International Community" have announced that Serbia "lost its right to govern Kosovo" because of Milosevic's treatment of the province. This substitutes highly selective moralizing for international law. And what gave the United States and its satellites the right to dispose of a Serbian province as they see fit? The answer: 78 days of NATO bombing of Serbian bridges, homes, factories, schools and hospitals, brought to an end when the faithful emissary Ahtisaari conveyed to Milosevic the message that if he did not give in, Belgrade would be razed to the ground.

Many Serbs might agree with Cosic that the burden of trying to govern a violently hostile Albanian population would be too much for Serbia. Perhaps more than Kosovo, Serbs want to keep their sense of honor. Their whole nation has been slandered for close to twenty years by enemies intent on grabbing off pieces of the former Yugoslavia for themselves, on the pretext that they were "oppressed" by the Serbs. In their (successful) effort to curry favor with Western Great Powers, a number of Serbian politicians and journalists have eagerly spread lies about their own country in order to demonstrate that "we are better than Milosevic". The most significant of these lies is that the Albanians of Kosovo had to be rescued by NATO because they were "threatened with genocide" -- a "genocide" no more real than the "weapons of mass destruction" that served as pretext for the U.S. invasion of Iraq.

The Kosovo issue has been used to punish and humiliate Serbia in a way that no nation could be expected to accept. Serbia cannot resist Great Power dictates, but it can refuse to endorse them. This is not "nationalism" but elementary dignity.


The Russians and "Plan B"

The Ahtisaari plan was accepted by the provisional prime minister Agim Ceku, who as a senior officer in the Croatian army commanded troops who "ethnically cleansed" Serbs from the Krajina region of Croatia, before taking command of Kosovo rebels. This man, considered by Serbs a war criminal, is the "International Community" choice to ensure the safety of Serbs in "multi-ethnic Kosovo". The plan has been rejected by the Serbian government, which states its readiness to grant full autonomy to Kosovo but not to give up part of Serbia's historic territory. The Russians have said they will not give UN Security Council approval to a plan Serbia rejects. Independence for Kosovo is also opposed by European Union Member States Spain, Slovakia, Rumania, Greece and Cyprus.

The danger of the precedent set by rewarding an armed secessionist movement with independent statehood is of concern to much of the world, since it would almost certainly encourage armed insurrections by ethnic minority leaders hoping to win Great Power support as "victims" of the repression they would provoke.

After the death of the non-violent Kosovo Albanian leader Ibrahim Rugova, who was denounced in his time for being willing to negotiate with Milosevic, Kosovo has fallen into the hands of militia and clan leaders quite plausibly accused of various crimes. Serbia on the other hand is run by what the IC describes as "pro-Western democrats". This makes no difference to the U.S. tilt toward the Albanians. After all, there is nothing to fear from "pro-Western democrats", whereas the Albanian nationalists risk running amok, as they did in March 2004, if they don't get what they consider was promised them by NATO's war.

Kosovo Albanian leaders have long announced that they intend to declare independence, regardless of the UN Security Council. According to Fred Abrahams of Human Rights Watch, "If the UN Security Council fails to approve the plan, then Washington could turn to Plan B: unilateral recognition by the United States, the United Kingdom, and then other states." [2]

This could lead to armed conflict if an "independent" Albanian nationalist Kosovo government undertook to extend its rule to Serbian enclaves, especially the solidly Serb northern part of the province whose inhabitants will surely wish to remain part of Serbia. Even Serbs who might want to forget about Kosovo cannot easily abandon their compatriots besieged in Kosovo by fanaticized mobs. The United States will of course blame the Serbs for whatever goes wrong. And meanwhile NATO has made contingency plans to evacuate the remaining Serbs from their ancestral homes in Kosovo -- all to avoid partition, which is ruled out by the doctrine of imposed "multiculturalism".*


Notes

1. See the United States Institute of Peace Special Report No. 95, November 2002, "Simulating Kosovo: Lessons for Final Status Negotiations". The government-financed gaming exercises were conducted by the Public International Law and Policy Group on September 28 and November 2, 2001, and February 15, 2002 at American University in Washington, D.C.

2. Fred Abrahams, "Kosovo's Tricky Waltz", Foreign Policy In Focus, February 7, 2007.

Diana Johnstone is the author of Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions



Il devastante declino di "Liberazione"

Lo scorso 30/5 il quotidiano "Liberazione" ha dato grande spazio ad
un "reportage" da Cuba, a firma di Angela Nocioni. Un "reportage" non
solo estremamente duro contro quel paese ed il suo governo, ma
persino carico di volgari allusioni ed insulti contro Giustino Di
Celmo - padre di Fabio, l'italiano morto in un attentato anticubano
della CIA - e contro le mogli dei Cinque eroi prigionieri negli USA.
Non si tratta del primo attacco contro la Cuba di Fidel dalle pagine
di "Liberazione". A ripetizione, in passato sono state regalate
intere pagine ad esempio alla penna di Antonio Moscato, durissimo
critico del socialismo cubano e di Fidel Castro. Ma stavolta, di
fronte a questo torbido esempio di giornalismo di servizio (cioè, al
servizio dei nemici di Cuba), si è levato subito un coro di proteste
rivolte alla giornalista, al quotidiano, al suo direttore Sansonetti.
Poichè la campagna di diffamazioni, guerra psicologica e
disinformazione strategica attuata oggi contro Cuba assomiglia
tragicamente alla tempesta mediatica che da quasi 20 anni è stata
scatenata contro la Jugoslavia, e che ha colpito a morte quel paese
assieme ad alcuni dei suoi rappresentanti politici, pensiamo sia
doveroso riportare gran parte dei testi relativi a quest'ultimo caso,
assieme agli articoli della stessa Nocioni, per affidarli "ai
posteri" in quanto paradigmatici di quel giornalismo disonesto e di
guerra che sta segnando cupamente la nostra epoca.
(a cura di IS)


1) LIBERAZION-EX (Redazione di Nuestra América)

2) CUBA E “LIBERAZIONE”: COSA DOBBIAMO ASPETTARCI DAL QUOTIDIANO
DEL PRC? (Redazione di Radio Città Aperta)

3) Lettera a liberazione (Fabio de Nardis, José Luiz Del Roio, Fabio
Marcelli, Rita Martufi, Barbara Spinelli, Luciano Vasapollo, Raul
Mordenti, Matteo Carbonelli)

4) Cuba, si salvi chi può... (Matteo Rossignoli)

5) RISPOSTA AL DIRETTORE DI LIBERAZIONE (Associazione Nazionale di
Amicizia Italia-Cuba)

6) DOVE VA “LIBERAZIONE”? (Claudia Cernigoi)

7) Angela Nocioni e l'America Latina su Liberazione (di Gennaro
Carotenuto)

8) Angela Nocioni su Liberazione del 30 maggio 2007:
- Cuba, i giovani sognano la fuga !?
- Giustino Di Celmo, star del regime !?

VEDI ANCHE:

Angela Nocioni, giornalista in carriera
http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1145


=== 1 ===

LIBERAZION-EX

Come voce fuori dal coro vogliamo ringraziare la signora Angela
Nocioni che, con i suoi puntuali reportages da Cuba, ha finalmente
messo in atto una sorta di outing che una certa sinistra (o
presunta tale) non riusciva a partorire ed a rendere visibile. Brava
signora Nocioni per il suo gesto di coraggio e di libertà: gliene
siamo e gliene saremo eternamente grati, perché ci ha risolto, in
pochi giorni, i tanti dubbi che ci assillavano da tempo, ultimo dei
quali quello di una nostra lettrice cubana, Isabel, che trovandosi in
Italia e non appartenendo a quella “maggioranza silenziosa e
nascosta che vuole salvarsi fuggendo” visibile solo a lei ed a pochi
altri eletti recatisi nel tempo sul suolo cubano, che ci ha chiesto
insistentemente del perché il 9 giugno prossimo si svolgeranno due
manifestazioni contro la visita di Bush ed a quale delle due fosse
più opportuno partecipare.
Il suo atto di coraggio e di libertà, reiterato dallo scorso 22
maggio anche il 30, ci ha, d’incanto, aperto gli occhi e fatto
giungere alla conclusione che alla cara compagna Isabel potremo
dare una risposta esauriente e senza tema d’errore.
Lo sappiamo, il coraggio e la libertà sono cosa rara
nell’universo giornalistico, specie in questi ultimi tempi quando
anche un istituto come la Freedom House, che “merita tutto il
rispetto” per essere un ente di sicura matrice democratica, non
foss’altro perché nato e cresciuto nella patria delle democrazie,
gli Stati Uniti, classifica l’informazione italiana al 79° posto nel
mondo a pari merito con il grande modello di democrazia del Botswana
ed all’ultimo posto tra i paesi dell’Europa. I suoi articoli su Cuba
non le faranno vincere il premio Pulitzer, ma sicuramente
contribuiranno a migliorare la posizione in classifica dell’Italia,
anche se poi si dovrà spiegare all’istituto stesso che purtroppo
tale coraggio e tale libertà sono stati “apprezzati” solo dai
pochissimi lettori del giornale sul quale scrive ma che sicuramente
nei prossimi giorni qualche toilette di qualche autogrill in
scarsità di carta igienica troverà il modo di prestarsi ad essere
involontario diffusore dei suoi brillanti reportages.
Il giornalismo si fa così e se continuerà su questa strada
migliorerà certamente la qualità dell’informazione italiana, al
fianco dei portabandiera della libertà come Emilio Fede, Bruno Vespa
e Giuliano Ferrara potremo, con orgoglio, aggiungere, anche per pari
opportunità e rispetto alla diversità di genere, il nome di Angela
Nocioni.
Un mondo di ex del resto si sta affermando velocemente, perché
non estenderlo a quanti sono in vena di trasformismo e, con fatica ma
con orgoglio, cominciano a rivendicare la propria nuova
appartenenza? Avanti popolo, suggeriva una vecchia canzone che,
almeno di default le dovrebbe essere nota, perché no avanti verso
nuovi e più tranquilli approdi?
Leggendo i suoi reportages, signora Nocioni ci è anche
sopraggiunto il dubbio che lei fosse la giornalista giusta nel
giornale sbagliato. Ci siamo chiesti come potesse aderire alla
realtà che un giornale comunista scrivesse delle enormi cattiverie
su Cuba e sul socialismo. Ma poi, ripercorrendo la storia di questi
ultimi due anni (ci par di capire da un congresso a Venezia, “come è
triste Venezia...”) ci siamo detti che no, era possibile, non era la
giornalista ad aver sbagliato giornale, era il giornale ad aver
sbagliato partito e collocazione. Magari un suggerimento gratuito:
che dire di un “Liberazion-ex” tanto per restare a pieno titolo
dalla parte degli attuali vincenti?
Ai complimenti di cui sopra tuttavia ci sentiamo anche di farle
un rimbrotto, minimo per carità, ma necessario perché impari a
limitare la sua cattiva educazione. Non ci appaiono molto educati i
suoi insulti nei confronti di un anziano che ha perso un figlio
barbaramente assassinato da uno che, come lei, con la sostenibile
leggerezza che il mondo di oggi richiede per essere alla moda,
liquida la morte di un ragazzo con battutacce di pessimo gusto. Né
ci sono apparsi educati i suoi sproloqui nei confronti di 5 donne
che, vivendo ogni giorno una impari lotta per la richiesta legittima
di poter condividere la propria vita con la persona che si ama,
ricevono da parte del loro governo l’appoggio più incondizionato, lo
stesso appoggio che molti di noi avrebbero voluto avere, per
esempio, da un governo di centro sinistra su alcune questioni chiave
come il rifiuto della guerra, il ripristino di sane regole nel mondo
del lavoro ed un’attenzione particolare per i
problemi della previdenza che ci stanno per cadere addosso.
Pazienza, dovremo abituarci, perché se dovessimo ottenere una
qualche attenzione da qualcuno, rischieremmo anche noi gli strali
della signora Nocioni che ci dirà, giustamente, che saremmo strumenti
nelle mani del “regime”. Un ultimo eccesso di maleducazione sempre
nei confronti di chi soffre ci pare essere stato messo in atto nei
confronti di 5 agenti dell’antiterrorismo (rientranti semmai in
attività di controspionaggio, signora, non spionaggio, altrimenti
antiterrorismo sarebbe equivalente di terrorismo, no global si
potrebbe definire global, controrivoluzione rivoluzione e via
discorrendo, che sbadataggine!) la cui detenzione, aldilà delle
futili argomentazioni imperialiste, è comunque una tortura
quotidiana: senza visite, isolamento in buchi di due metri per due,
eccetera.
Potrà obiettare che il codice deontologico dei giornalisti non è
molto ricco di richiami all’educazione e questo è vero, ma è anche
vero che esso dà per scontato il fatto che alla buona educazione
debbano rifarsi tutti e non solo i giornalisti. Ma, del resto,
l’educazione è un po’ come il coraggio di don Abbondio “se uno non
ce l’ha, non se lo può dare” e lei credo che ricada in questo caso,
visto il cattivo gusto di prendersela in sequenza, con gli affetti
privati di ben undici persone (escludendo figli, parenti ed amici
degli stessi che, glielo possiamo garantire, sono davvero tanti).
Alla buona educazione sono tenuti tutti coloro che in una società
civile hanno diritto di manifestare le proprie idee anche scrivendole
sui giornali, alla buona educazione se non è in grado di provvedere
la famiglia, deve provvedere lo Stato: le sarà sfuggito questo
aspetto nel suo soggiorno caraibico, ossia che a Cuba il ministero
che sovrintende alla formazione culturale delle giovani generazioni
non si chiama, come in Italia, “dell’istruzione” bensì
“dell’educazione”, proprio perché una buona istruzione senza una
buona educazione non va molto lontano, tant’è vero che lei è rimasta
nei ranghi di un giornale piccolo piccolo e probabilmente inutile
come il suo Liberazion-ex. Per aspirare ad un Tg di Rete 4 o Italia
1, o ad una poltrona da editorialista al Foglio di Ferrara che
sicuramente le si addicono per affinità culturali, deve ricominciare
da quella materia che una volta si chiamava educazione civica: non è
mai troppo tardi...
Tuttavia ancora una volta vogliamo ringraziarla, signora Nocioni,
per averci dato la possibilità di poter rispondere ad Isabel che il
9 giugno ci saranno due manifestazioni sì ma ad una ci sarà
sicuramente lei, “sincera democratica e nemica dei ‘regimi’”,
insieme a tanti suoi amici anch’essi nemici di Cuba; all’altra ci
saranno solo compagni che di Cuba, del suo governo e, soprattutto,
del suo popolo sono amici con tutte le diverse sensibilità
soggettive. Grazie per averci solertemente indicato dove si trovi in
realtà il 9 giugno il posto di ogni sincero pacifista, di ogni
sincero nemico di Bush e di quanti, a cominciare da lei, signora
Nocioni, gli danno una mano anche inconsapevolmente.

1 giugno 2007
La redazione di Nuestra
América


=== 2 ===

CUBA E “LIBERAZIONE”: COSA DOBBIAMO
ASPETTARCI DAL QUOTIDIANO DEL PRC?

a cura della redazione di Radio Città Aperta

Cuba: da decenni la spina nel fianco degli Stati Uniti. Un blocco
economico che dura ormai da quasi 50 anni, terrorismo, tentativi di
invasione, propaganda sovversiva, protezione dei terroristi, soldi,
tanti soldi, per comprare chiunque sia possibile comprare. Una spina
nel fianco che gli USA proprio non riescono a togliersi. Ma perché
una spina? E perché nel fianco? Di cosa hanno paura i signori del
mondo? Che Cuba li invada? Beh, francamente, neanche il più
fantasioso autore di fantasy arriverebbe a tanto! Ah certo, è
l’amore per la Democrazia! E l’appoggio alla dittatura di Batista? E
il Cile di Pinochet? E tutte le dittature militari? E le torture?
Insomma, i conti non tornano. Forse è più probabile che il problema
sia l’esempio; Cuba, questa piccola isola di 11 milioni di abitanti,
sta lì e continua ad urlare: Sì, si può! E allora ecco il Venezuela
e poi la Bolivia e nasce Telesur e l’Ecuador espelle il
rappresentante della Banca Mondiale (deve essere
rimasto annichilito che un governo, certo un governo sovrano, ma
pur sempre un governo latinoamericano, osasse tanto, invece di
limitarsi ad inchinarsi e ringraziare) e poi si progetta la Banca
del Sud e poi gli scambi petrolio-risorse umane (petrolio-risorse
umane? e i dollari?) e l’Alca non decolla e nasce l’Alba; insomma
l’incubo si sta avverando e allora ecco fiumi di inchiostro,
televisioni e radio: tutti a difendere la Democrazia.
Fin qui niente di nuovo. E’ normale che gli Stati Uniti perseguano
i loro interessi. Che l’Unione Europea difenda i propri. E’ normale
che la stampa di destra scriva sciocchezze e faccia disinformazione,
non vale neanche la pena di starne a discutere. Chi si mette al
servizio dei padroni, come si diceva una volta, quello deve fare. Ma
quando è la sinistra a fare queste operazioni la cosa è più
inquietante. E allora sì ci viene voglia di discuterne.
In pochi giorni sono usciti, sul quotidiano Liberazione, tre lunghi
articoli di Angela Nocioni su Cuba. Quello che salta agli occhi
immediatamente è il non detto che poi si trasforma in una vera e
propria campagna di diffamazione.
Nell’articolo del 22 maggio, ben otto colonne, la giornalista non
cita mai il blocco economico statunitense, scrive soltanto che le
ristrettezze “sono attribuite al solito vecchio nemico
imperialista”, come se si trattasse di una sciocchezza e di una
fissazione ideologica.
50 anni di blocco economico esteso a tutte le imprese del mondo
liquidato così, in una riga, il solito vecchio nemico imperialista,
una stupidaggine. Non possiamo credere che una giornalista esperta
che conosce a fondo l’America Latina non sappia cosa significhi. Per
tutte le otto lunghe colonne, descrizioni della difficile vita
quotidiana, senza analisi, contestualizzazione, senza uno straccio
di confronto con la vita nei paesi dell’area. Ma poi il 30 maggio
Angela Nocioni diventa più pesante: “Cuba, si salvi chi può: i
giovani sognano la fuga”. Questo il titolo. L’articolo inizia in
prima pagina e prosegue poi a pag. 9, sempre su otto colonne. E via
con storie d’amore distrutte dalla voglia di partire: Lui lascia Lei
per sposare una straniera e andarsene all’estero. Storie d’amore? Ma
di che parla? E poi la difficoltà per ottenere i visti per l’estero:
le fideiussioni bancarie, le assicurazioni, il biglietto di andata e
ritorno, magari avrebbe dovuto
specificare che sono le ambasciate straniere a richiederli.
L’ultima colonna dell’articolo è tutta dedicata ad una tomba nel
cimitero de L’Avana a cui si va per chiedere una grazia. Ma non ha
mai girato per le nostre città? Non ha mai visto gli altarini con
gli ex voto attaccati ai muri? Probabilmente quello che voleva era
chiudere con quella frase: “Amelia, vergine miracolosa, grazie per
il visto”.
L’articolo che ci ha più colpito è sempre del 30 maggio e sempre
della nostra inviata come scrive Liberazione: La propaganda ai tempi
di Raul, la pizza Fabio e i Cinque Eroi. Inizia parlando
dell’informazione e di come la gente voglia sapere “come è andata a
finire con i due soldatini presi mentre tentavano di dirottare un
aereo per andarsene”. I due soldatini? Il 29 aprile un gruppo di
uomini ha ucciso una sentinella presso un’unità delle Forze Armate,
ha ferito un altro soldato e si è impossessato di fucili, parte del
gruppo è stato arrestato tranne due che hanno sequestrato un autobus
del trasporto urbano, preso in ostaggio i passeggeri per poi
irrompere nell’aeroporto de L’Avana, saliti su un aereo hanno ucciso
uno degli ostaggi; due soldatini?
Poi si parla di Internet: “neanche a Internet ci si può affidare.
Solo gli stranieri possono. I cubani no.” E neanche una parola sul
fatto che nel 1996 la Legge Helms-Burton , statunitense, ha
impedito la creazione di una rete di cavi in fibra ottica per la
trasmissione di dati. Neanche una parola sul fatto che il blocco
obbliga alla connessione solo via satellite, lenta e molto più
costosa. Poi la Nocioni se la prende anche con i 5 cubani
ingiustamente detenuti negli Stati Uniti con processi, come lei
stessa ammette, contro cui si è pronunciata la Corte di Atlanta, ma
non la turba affatto che siano ancora in carcere. La turba invece
che Cuba non si stanchi di denunciarlo.
E così torniamo a quanto dicevamo all’inizio. Cuba dà fastidio
perché non cede, non si adegua, non si inchina. Su quanto viene
scritto su Fabio Di Celmo, il giovane italiano ucciso da una bomba
piazzata dal terrorismo anticubano, francamente preferiamo tacere
per rispetto suo e di suo padre.
Un giornalista dovrebbe dare informazioni quanto più possibile
complete ed un giornalista di un quotidiano di partito dovrebbe
esplicitare una posizione politica. Qual è quella della Nocioni?
Quella di Liberazione? Qual è la posizione del Partito della
Rifondazione Comunista nei confronti della Rivoluzione Cubana?
Si avvicina l’estate e si avvicinano le Feste di “Liberazione”. Lo
stand cubano ci sarà? Ma sì, il rum è buono, la musica è allegra e
poi una maglietta del Che non si nega a nessuno. Ernesto Che Guevara
è morto e si può continuare ad usarlo, tanto non dà più fastidio a
nessuno. Ma ne siete sicuri?


=== 3 ===

Lettera a liberazione di: Fabio de Nardis, José Luiz Del Roio, Fabio
Marcelli, Rita Martufi, Barbara Spinelli, Luciano Vasapollo, Raul
Mordenti, Matteo Carbonelli


Abbiamo seguito, con crescente sconcerto, le corrispondenze di
Angela Nocioni da Cuba, tutte volte ad accreditare un'immagine di
sfascio che è in oggettiva contraddizione con la realtà che alcuni di
noi hanno potuto constatare di persona; Cuba non è un paradiso, ma
una realtà in movimento che, tra mille problemi di vario ordine,
tenta oggi con qualche successo la via di consolidamento di un'altra
società, attenta ai bisogni degli esseri umani e che serve per tanti
versi da modello agli altri Paesi latinoamericani e al resto del
mondo, che ha ottenuto il riconoscimento di importanti
organizzazioni internazionali, fra le altre l'OMS e l'UNESCO e che
svolge, attraverso i suoi medici internazionalisti, una fondamentale
opera di soccorso umanitario nelle situazioni più disparate.

Ma là dove tali corrispondenze violano non solo i dettami della
professionalità giornalistica e della correttezza politica, ma anche
i più elementari sentimenti di umanità e il buon gusto, è con
l'articolo "dedicato" ai cinque cubani e a Fabio Di Celmo, apparso
su Liberazione del 30 maggio u.s.
Il terrorismo manovrato dagli Stati Uniti contro Cuba è una realtà
e basta avere una conoscenza superficiale degli ultimi decenni di
storia della regione per saperlo; tale terrorismo ha provocato oltre
tremila vittime e danni materiali ingenti, che si sommano all'embargo
e al boicottaggio tentato attraverso tutti i mezzi, non ultimi
quelli di informazione, fra i quali ci rattrista trovare oggi
Liberazione.
I Cinque cubani, che da oltre otto anni sono rinchiusi nelle carceri
statunitensi non sono "spie", come banalmente definite dall'articolo
e come sostiene il governo Bush, ma agenti infiltrati nelle
organizzazioni terroristiche aventi sede a Miami per prevenire
ulteriori attacchi contro il popolo cubano. Ci sentiamo fortemente
impegnati per la loro immediata liberazione e per la condanna del
terrorista Posada Carriles, recentemente liberato, su richiesta
governo degli Stati Uniti in segno di gratitudine per i servizi resi
e per evitare che faccia rivelazioni imbarazzanti per molti
personaggi oggi al potere a Washington.
Dipingere le loro mogli, che da oltre otto anni sono costrette a
fare a meno dei loro compagni, e Giustino Di Celmo, che ha perso un
figlio nel fiore degli anni, come opportunisti che trarrebbero un
qualsivoglia beneficio da tale situazione, ci sembra un'operazione
veramente indegna, specie per un giornale come Liberazione che reca
tuttora sulla sua testata la dicitura "quotidiano del Partito della
rifondazione comunista" e che, perlomeno in quanto tale, dovrebbe
ispirarsi a ben altra etica e visione dei rapporti fra le persone.

Fabio de Nardis, José Luiz Del Roio, Fabio Marcelli,
Rita Martufi, Barbara Spinelli, Luciano Vasapollo


=== 4 ===

Cuba, si salvi chi può... lettera a Liberazione

Se lo lasci dire, caro direttore, che con un giornale al minimo
della fogliazione, con tirature paragonabili ai giornalini di
quartiere e con notizie spesso in ritardo rispetto anche al tam tam
della rete, permettersi il lusso di mandare un’inviata a La Habana
per un reportage di una intera pagina, dove si rimarca che Cuba non
è il paradiso, ma invece un paese dove esistono più ragioni per non
credere più alla società socialista che quelle per cui crederci
ancora, per disilludere i nostri giovani sul mito dell’uomo nuovo
proposto dal Che e per troncare ogni possibile idea che un altro
mondo è possibile...
Non è certamente una grande iniziativa politica e anche non mi
sembra, giornalisticamente parlando una grande idea, visto e
considerato che già lo fanno, e da parecchio tempo, il 98% dei
giornali e delle agenzie italiane.
Di come sia difficile vivere a Cuba lo sappiamo tutti, amici e
nemici di Cuba, non lo nascondono nemmeno i cubani, che con la loro
espressione “es una lucha” lo continuano a testimoniare
giornalmente, nel fare la spesa, nel cercare di sistemare il loro
alloggio, nel trasporto per andare al lavoro, per la carenza di mille
cose, la voglia di partire, ecc.
Non c’è bisogno di inviare nessuno, lo hanno già raccontato in
tutte le salse e lo riscontriamo in molti altri paesi dove non esiste
il socialismo.
Invece di raccontarci, ancora una volta, scelte e idee personali
di alcuni giovani cubani, non sarebbe meglio far conoscere ai
lettori di come un paese affronta le problematiche dettate dal
neoliberismo e da un embargo economico da più di 45 anni?
Non sarebbe meglio raccontare che i giovani tagliatori di canna,
con il riordino della produzione di zucchero e la chiusura del 50%
delle Centrali (zuccherifici), invece di essere cacciati sulla
strada hanno trovato un salario frequentando scuole di
specializzazione agraria e tecniche sulla lavorazione dei surrogati
dello zucchero (cose da pazzi!) e che alla fine la resa produttiva è
aumentata sia in temine di zucchero che di energia?
O raccontare di quei giovani che abbandonato lo studio, sono stati
avvicinati da altri giovani, operatori sociali, e stimolati a
riprendere gli studi con un salario quasi pari ad un professore? E
di quelle migliaia di giovani che partono per missioni
internazionaliste e, udite udite, ritornano a fronte di qualcuno che
invece "evade" e che l'inviata non riesce a trovarne stime?(basta
chiedere a Miami).
Perchè trattare con superficialità indegna il tema dei cinque
agenti cubani (si parla di terrorismo, di vittime...).
Davvero si vuole raccontare che la vera causa del problema casa a
Cuba sono i soppalchi? (mostriamo invece il nuovo piano delle
costruzioni rilanciato dopo aver ripreso la produzione di cemento e
del materiale edilizio, con grande ricerca nella bioedilizia e
nell'energia pulita), Parliamo dell’emigrazione dei giovani,
foraggiato attraverso le scandalose politiche migratorie degli USA,
(con conseguente furto di specialisti e atleti quasi a costo zero) e
del mito del consumismo..
Persino sulla “vergine miracolosa”, credenza pre rivoluzionaria
sul modello “Giulietta e Romeo”, la nostra Angela riesce a trovarne
punti di dissenso e critica alla rivoluzione.
Tra le molte imprecisioni dell’articolo quella che più mi ferisce
è l’affermazione su Giustino Di Celmo, che conosco personalmente. Lui
non è andato ad abitare a Cuba, ci abitava già da molto tempo, non è
un testimonial del regime, ha solamente giurato di battersi fino
alla morte per ottenere giustizia per suo figlio, e Cuba, a
differenza dell'Italia, gli ha dato spazio in questa battaglia
comune, ma sembra che questo dia fastidio al nostro giornale e alla
sua inviata. Che senso ha denigrarlo, invece di appoggiarlo nella
sua sacrosanta richiesta di estradizione di Posada Carriles.
Per ultimo e per la precisione, a Cuba si possono aprire i
ristoranti privati, alcuni sono gestiti dalla comunità cinese (nel
barrio cino), altri dalle varie associazioni di origine spagnole
(galleghi, valenciani, ecc.) o da centri culturali. Molti altri sono
a gestione familiare denominati “paladar”, se ne trovano ovunque e,
cara Angela, da brava inviata dovresti saperlo, questi paladar non
possono avere più di 12 posti (limitazione del regime). Avrai quindi
notato che la Pizzeria Fabio è molto più grande: nemmeno al nostro
caro Giustino è stato permesso trasgredire una legge cubana, infatti
e un locale della catena Rumbos, a partecipazione minoritaria
straniera, e nel caso della pizzeria il socio minoritario è proprio
Giustino.
Censuratela pure se volete, io comunque la invio a tutti i nostri
parlamentari, senatori, circoli e associazioni.

Paolo Rossignoli
Editore (Verona)


=== 5 ===

RISPOSTA AL DIRETTORE DI LIBERAZIONE

Segreteria Nazionale - Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba

Gentile Direttore,
abbiamo letto sul numero di mercoledì 30 maggio due nuovi articoli
pubblicati da Liberazione che sono apertamente e decisamente critici
contro il Governo cubano. Niente di male, il suo non è il primo
giornale italiano che attacca fortemente Cuba, anzi su questo
argomento è pienamente nello spirito della stragrande maggioranza
dei mass-media del nostro Paese.
Quello che, invece, contestiamo fortemente degli articoli è la loro
assoluta parzialità contro il Governo cubano. Giudizi trancianti e
una forte dose di non conoscenza dei processi in atto oggi a Cuba da
parte dell’inviata di Liberazione sono un cocktail di estrema
gravità per la realtà delle cose. Un primo esempio concreto di
questa disinformazione riguarda i 5 patrioti cubani, che per
Liberazione sono “cinque eroi che di mestiere facevano le spie”, ma
questa è un'accusa ormai decaduta anche per i generali dell'Esercito
statunitense (testimonianza del generale James R. Clapper) e per gli
alti dirigenti dell’FBI che hanno affermato, al processo di Miami,
che i 5 cubani non possono essere considerati spie perché non si
sono mai impossessati, né hanno mai tentato di farlo, di documenti
degli Stati Uniti classificati come segreti, né hanno mai lavorato
contro la sicurezza degli USA. Semplicemente, i 5 controllavano
l'attività terroristica dei gruppi anti-cubani che
da Miami, con il beneplacito e il sostegno del Governo degli Stati
Uniti, organizzavano attentati contro il popolo cubano. Dunque
Liberazione più filo-statunitense dell’FBI, verrebbe da dire se la
cosa non fosse di assoluta gravità.
Seconda questione. Negli articoli dell’inviata di Liberazione non
si parla mai del blocco statunitense contro Cuba che dall'inizio
degli anni Sessanta ha prodotto un danno economico complessivo di
86.108 milioni di dollari all’economia della Repubblica di Cuba
(4.108 milioni di dollari solamente nell'anno 2006). A questi
occorre aggiungere altri 54.000 milioni di dollari, come danni
materiali causati sia da azioni di guerra del Governo degli Stati
Uniti sia da una serie di innumerevoli attentati messi in atto dai
suddetti gruppi terroristici, organizzati, finanziati e addestrati
dal Governo statunitense. Dei 3.478 morti e dei 2.099 invalidi
permanenti causati da tali attività neppure se ne parla perché,
evidentemente, alla vostra giornalista non interessano. Premesso
questo, forse si capisce meglio il perché della presenza dei 5 in
Florida, dove non era necessario essere "spie", poiché in questo
luogo le organizzazioni terroristiche operano alla luce del sole.
Se l’inviata avesse saputo di questo danno enorme provocato dal
blocco, probabilmente non avrebbe così fortemente imputato al
Governo cubano i problemi economici dell’Isola che, in ogni caso, non
hanno impedito ai cubani di proseguire con un'assistenza gratuita
per tutti e con servizi sociali di alto livello per tutta la
popolazione, in un contesto come quello latino-americano dove il
neoliberismo ha assassinato milioni di persone per fame e per
sfruttamento.
Noi non vogliamo dire che a Cuba tutto va bene, non siamo così
sciocchi e privi della capacità di discernere i fatti come qualcuno
vorrebbe disegnarci. Certamente occorre discutere con i compagni
cubani, ma partendo dal fatto che i cubani sono persone in carne e
ossa come noi, e che a differenza di noi sono riusciti a fare una
vera Rivoluzione che ha cambiato in meglio la vita di milioni di
essere umani e che, ancor oggi, rappresenta un punto di riferimento
per tutta la sinistra latino-americana e non solo, vivendo a poche
miglia dalla superpotenza statunitense che fin dal 1959 ha
dichiarato loro una guerra infinita.
E' sufficiente consultare e confrontare i dati forniti dalle
maggiori organizzazioni delle Nazioni Unite (UNESCO per la cultura,
UNICEF per l'infanzia, FAO per l'alimentazione, OMS per la sanità) e
di altre istituzioni internazionali che molto spesso indicano Cuba,
per i risultati raggiunti in questi campi, come un modello per i
paesi del Terzo Mondo.
Terza questione. La parzialità dell’inviata di Liberazione è
palesemente sfacciata quando si afferma, addirittura nel titolo:
“Cuba, si salvi chi può... i giovani sognano la fuga”. Sicuramente,
come in ogni paese, specie in latino-america vi è una fascia di
persone, anche giovani, che vogliono lasciare il paese con
argomentazioni politiche o più semplicemente economiche, visto che
il blocco è ancora un pesante macigno sull’autodeterminazione della
Repubblica cubana e ne ostacola la piena realizzazione in economia.
Ma cercare di a, addirittura nel titolo: “Cunuperpotenza statunitense
che dal 1061 gli ha dichiarato guerra.ni e che, ancor oggi,
rappresentafar intendere ai lettori che i giovani cubani in generale
sono al “si salvi chi può” è un evidente tentativo di disinformare
sulla realtà di Cuba. Per noi, che questo attacco provenga da altri
quotidiani è quasi normale, ma da Liberazione ci pare una cosa
gravissima.
Quarta questione. Di Celmo. Far trasparire di aver permesso a
Giustino Di Celmo - padre del giovane Fabio assassinato in un hotel
di La Habana dai terroristi organizzati da Posada Carriles - di
aprire una pizzeria a La Habana in cambio di un appoggio acritico al
Governo cubano, anzi come lo ha chiamato la vostra inviata, “al
regime”, ci pare davvero una cosa inaudita. Un affronto
intollerabile al dolore di un padre che, più che ottantenne, si
batte ancora contro il terrorismo internazionale che gli ha ucciso
il figlio e per la stessa memoria di Fabio. Il tentativo della
vostra inviata di mercificare il dolore e la vita del figlio in
cambio di una “pizza Fabio, 4 dollari e 65", è una vergogna che si
giudica da sola.
Quinta questione. Perché l’inviata di Liberazione non tenta di
fare chiarezza sulla questione Internet che, “grazie” agli Stati
Uniti, vede l’isola completamente tagliata fuori dalla possibilità
di un collegamento veloce e funzionale, visto che i cavi in fibra
ottica aggirano totalmente l’isola, e costringono i cubani a
servirsi di un servizio vecchio, carente e, soprattutto, lentissimo?
Perché non ci parla degli oltre 600 Joven Club de Computación in
tutta l'Isola dove i giovani, totalmente gratis, imparano a
utilizzare a proprio piacimento l'informatica?
E poi, perché non dire che i flussi migratori illegali sono
funzionali agli Stati Uniti che hanno disatteso completamente gli
accordi di 20.000 visti all’anno in uscita da Cuba verso gli USA?
Perché nel fare polemica non si ragiona anche su dati reali che
forse, diciamo forse, possono inficiare la verità inoppugnabile
della vostra inviata ma renderebbero un servizio ai vostri lettori
che potrebbero ragionare al meglio sulle questioni?
Con la speranza che il quotidiano da Lei diretto pubblichi per
dovere di replica questa nostra lettera e rimanendo a sua completa
disposizione per aprire un confronto su Cuba, la salutiamo fraternamente



=== 6 ===

DOVE VA “LIBERAZIONE”?

Quando ho visto pubblicato su "Liberazione" un articolo di Giampiero
Mughini, che secondo me avrebbe dovuto essere espulso dall'Ordine dei
giornalisti non tanto per quello che ha fatto quanto perché il suo
modo di scrivere, incompatibile con sintassi e grammatica italiana è
diseducativo per i giovani lettori, pensavo che il giornale avesse
toccato il fondo. Mi sono ricreduta quando ho letto un orrendo
articolo nell’inserto culturale (?) domenicale, “Queer”, che
proponeva il sesso orale come antidoto all’eccitazione che si prova
vedendo le immagini di Abu Ghraib, cose che ritenevo di non dover mai
leggere su un giornale che si dice comunista (non tanto per il sesso
orale, che è cosa che certo non mi scandalizza, quanto per il fatto
che ritengo che se qualcuno prova eccitazione sessuale invece di
orrore e disgusto di fronte ad immagini di torture dovrebbe ricorrere
allo psicanalista e, quantomeno per rispetto alle vittime, evitare di
farne un’icona).
Che non ci sia limite al fondo l’ho capito leggendo la risposta del
direttore Sansonetti alle varie lettere di critica al reportage (?)
di Angela Nocioni su Cuba. Nocioni, che ogni volta che parla di
America Latina, di Venezuela come di Cuba, lo fa con la tipica
spocchia della borghese pseudoilluminata europea che vede le cose con
l'occhio dell'occidentale che non ha mai patito fame, non sa cosa sia
desaparecire o non avere casa, non potere studiare, dovere fuggire
per sopravvivere, mi ricorda un po' la Oriana Fallaci di "Intervista
con la storia", che s'era permessa persino di trattare con
sufficienza dom Helder Camara, il vescovo di Recife cui gli squadroni
della morte del Brasile dei generali continuavano a mitragliare la
casa perché era "comunista"... e preciso che paragonare Nocioni a
Fallaci per me non è un complimento.
Non ho risposto all'articolo su Cuba di Nocioni perché non ho trovato
risposta: una sequela di banalità, falsità, omissioni, propaganda
allo stato puro, come si può leggere su un qualunque giornale
anticomunista. Mi ha invece profondamente scandalizzato l'editoriale
del direttore Sansonetti, che ha parlato di Cuba come di un "regime
di sinistra non democratico che oggi è illiberale, repressivo,
autocratico" e aggiunge, bontà sua, "non feroce come le dittature che
negli anni 70 e 80 hanno insanguinato l'America latina".
I parenti dei desaparecidos cileni, argentini (compreso Jorge Julio
Lopez, che avrebbe dovuto testimoniare contro i suoi aguzzini ma è
"scomparso" nuovamente nel settembre scorso, nell'Argentina
democratica e non "illiberale" come Cuba), dei massacrati dagli
squadroni della morte brasiliani, delle vittime delle repressioni
feroci di Bolivia, Ecuador, Colombia, Uruguay, Paraguay, del
Venezuela pre-Chavez, di tutto il centro America, ringraziano per
questa doverosa distinzione.
In effetti, l’unica risposta possibile ad articoli come quelli di
Nocioni o gli editoriali di Sansonetti l’ha data Flavio Amato in una
lettera pubblicata su “Liberazione” il 3 giugno nella quale cita le
parole di Frei Betto (che nel Brasile dei generali ha più volte
conosciuto le patrie galere): “come faccio a parlare di diritti umani
a Cuba quando in America Latina milioni di persone non hanno
conquistato ancora i diritti animali, quelli di avere un tetto, uno
straccio per ripararsi dalla pioggia o dal sole, il cibo di tutti i
giorni da dare ai propri figli e ai più deboli?”.
Cari Nocioni e Sansonetti, l’accesso ad Internet è comunque cosa che
viene dopo tutto questo.

Saluti comunisti
Claudia Cernigoi
Trieste


=== 7 ===

Angela Nocioni e l'America Latina su Liberazione, lettera a Piero
Sansonetti

Gentile Piero Sansonetti, direttore di Liberazione,

da due giorni il mio sito, che si occupa prevalentemente di
informazione e America Latina, è inondato di messaggi di lettori del
suo quotidiano, indignati per la pagina intera (pp. 1 e 9) pubblicata
a firma Angela Nocioni, presunta inviata a L'Avana per il suo
giornale, il giorno 30 maggio.

di Gennaro Carotenuto

Molti lettori, suoi e miei, mi chiedono di fare qualcosa,
attribuendomi un potere che evidentemente non ho. Non sono un lettore
di Liberazione, non ho alcun rapporto di lavoro con il suo giornale,
non sono mai stato militante né del PRC né di alcun partito di
sinistra. Sono solo un docente di Storia del Giornalismo e un attento
osservatore delle cose latinoamericane e del giornalismo italiano.

Se ho ricevuto una ventina di messaggi io, lei ne avrà ricevuti mille
e mi auguro li abbia letti. Non entrerò pertanto nel merito e
qualunque persona mediamente informata è in grado di farsi un'idea.
Non scandalizza certo il criticare Cuba e la Rivoluzione cubana
quando questa merita di essere criticata. E possiamo anche pensare
che forse, molti lettori di Liberazione non siano preparati a
sentirsi dire verità scomode su Cuba. Ma non è questo il caso. Il
caso è l'attacco volgare, la vulgata disinformata e disinformante, il
pregiudizio, la semplificazione arbitraria, l'intenzionalità
fuorviante, le menzogne, la denigrazione malintenzionata, il
sicariato informativo che traspare in ogni parola dei pezzi della
Nocioni.

Negli articoli della vostra redattrice c'è la beceraggine destrorsa
del Giornale o di Libero, c'è il pregiudizio rabbioso di Pierluigi
Battista sul Corriere, c'è l'ignoranza crassa di Omero Ciai di
Repubblica, che offende i suoi lettori ammannendo loro la realtà
latinoamericana da un caffé di Miami. Quegli articoli né informano,
né commentano, né spiegano. Solo offendono.

Con una superficialità disarmante, la Nocioni offende Giustino di
Celmo, padre di Fabio, cittadino italiano assassinato da Luís Posada
Carriles, e i familiari dei cinque cubani in carcere negli Stati
Uniti. E' evidente che il governo cubano fa di questi casi simbolo
anche un elemento di propaganda.

Ma come si permette la Nocioni la volgarità di dire che l'avere un
figlio morto, o un padre o un marito incarcerato in un paese
straniero ed ostile, sia la grande fortuna di queste persone,
convertite in star dal regime?

Anche le Madri di Plaza de Mayo ricevono inviti a iosa e sono amate e
rispettate in tutto il mondo per la tragedia della quale sono state
vittime. La Nocioni è troppo superficiale per saperlo, ma esiste da
vent'anni un dibattito nelle società latinoamericane su questo tema.
Rigoberta Menchù è più fortunata perché ha vinto il premio Nobel o
più sfortunata perché gli squadroni della morte le fecero a pezzi il
padre e non so più quanti familiari? Come si comporterebbe la Nocioni
al posto di Hebe de Bonafini o di Giustino di Celmo?

Angela Nocioni è recidiva. Lo scorso 3 gennaio, nel suo antichavismo
viscerale e aggressivo, riuscì a farsi bacchettare da sinistra da
Massimo D'Alema. Definì il processo redistributivo in Venezuela -cito
testualmente- come "elemosina" (sic!) e il ministro degli esteri
trovò l'occasione per darle una bella e meritata lezioncina. La
Nocioni è impresentabile in tutta la sua carriera di sicario
informativo antilatinoamericano. Ma sia onesto, Sansonetti. Una
pagina come quella della Nocioni non può sfuggire al direttore.
Liberazione è un piccolo giornale di partito e al partito risponde.
Non può non essere stata avallata da lei o da qualcuno che gode della
sua piena fiducia.

Tutto l'ambiente giornalistico sa che la Nocioni è sul punto del
grande salto da Liberazione a La Repubblica. Ma perché Liberazione le
dà lo spazio per uscirne immacolata e cancellare il suo peccato
originale di aver lavorato per un quotidiano "comunista", prima di
approdare definitivamente alla grande stampa?

Soprattutto, la disinformatia di quegli articoli, riguarda solo la
Nocioni o coinvolge Liberazione e il PRC?

E' solo il carrierismo della Nocioni a condizionare Liberazione, o
c'è invece una linea antilatinoamericana del PRC ad ispirare la Nocioni?

Le ricordo che il 24 marzo 1976 l'Unità, e con questa il PCI, evitò
di condannare il colpo di stato genocida del generale Videla in
Argentina. Era quella la linea che veniva da Mosca rispetto alla
dittatura dei 30.000 desaparecidos. Forse, se il PCI fosse stato più
deciso nel condannare quel colpo di stato, la diplomazia italiana
avrebbe salvato qualche vita in più. Ma la ragion di stato sovietica
veniva prima e quella resta una macchia indelebile sulla storia del PCI.

Nel condiscendere alla linea anticubana e antivenezuelana della
Nocioni, non si possono non vedere calcoli di bottega locali. E'
facile fare i comunistoni a parole in casa e ridicolizzare il
riformismo venezuelano in politica estera. La Nocioni smania per far
carriera, il PRC avrà altre mete, e mi piacerebbe conoscerle. Per
questo mentono e disinformano sull'America Latina né più né meno come
la Repubblica. Mi tolga una curiosità, Sansonetti. Da che parte
starebbe il PRC se domani ci fosse un golpe in Venezuela o una nuova
baia dei porci o l'aggressione contro uno qualsiasi dei paesi
latinoamericani?


=== 8 ===

Da "Liberazione - giornale comunista" - 30/5/2007

pag. 9, con richiamo da prima pagina:

---

La via più semplice per andarsene dall'isola degli «uomini nuovi»,
a parte il matrimonio, è ancora la carta d'invito all'estero.
Ma il governo ha cambiato le norme in senso restrittivo

Cuba, si salvi chi può...
I giovani sognano la fuga

Angela Nocioni
L'Avana nostra inviata

Fino a due anni fa erano in sei, poi sono arrivati gli zii dall'Oriente.
«Abbiamo costruito un soppalco e li abbiamo messi lì, cosa dovevamo
fare?»,
racconta Manolo stringendo le spalle.
Marco, cooperante di Grosseto, nel quartiere ha progetti di restauro
finanziati dall'Arci, l'unico grande accordo di cooperazione
sopravvissuto
al gelo diplomatico con la Ue con cui Cuba reagì alle proteste
europee per
la fucilazione di tre cittadini cubani del 2003. Spiega: «La ragione
per cui
il Centro Habana rischia di crollare ha molto a che fare con questa
storia
dei soppalchi. C'è un grande problema abitativo in città, gli edifici
coloniali del centro hanno soffitti di sei metri ma sono fatiscenti.
Nessuno
li ripara. Non ci sono i soldi e manca il materiale. Gli inquilini
costruiscono un soppalco nel mezzo, il "barabacoa". Lo caricano di
gente e
vanno avanti così finché non viene giù tutto».
La ricerca di un'organizzazione internazionale registra nel Centro
Habana
una media di 1,4 crolli quotidiani. Crolli interni, non vuol dire che
viene
giù un palazzo al giorno, ma se li metti insieme all'acqua da portare
con le
autobotti, al cibo che non basta e a tutti i problemi relativi al
sovraffollamento, il paradiso tropicale si tinge di toni foschi.
Eccezion fatta per il perfetto restauro conservativo di buona parte
dell'Avana vecchia, dichiarata dall'Unesco patrimonio culturale
dell'umanità
e affidata da Castro al fedelissimo Eusebio Leal, nel centro della
capitale
il 15% degli edifici è destinato al crollo. «Bisogna aggiungere un
35% di
palazzi in equilibrio miracoloso. Prima o poi crollano pure quelli»
prevede
Marco, ottimo conoscitore delle strade senza ombra che si spalancano
come la
bocca di una grotta oltre il muretto del lungomare.
Su quel muro eternamente bagnato dalle onde Manolo è cresciuto. Ha
trent'anni, da dieci pensa di andarsene. Ma non vuole imbarcarsi
verso la
Florida. «Voglio uno di quei bei passaporti rosso scuro che avete voi
- dice
senza sorridere - quella scritta d'oro "Unione europea" con cui ti muovi
tranquillo per il mondo».
Il passaporto a Cuba non è un diritto, non lo è mai stato. Per ottenerlo
devi avere un motivo considerato plausibile dal governo. Se sei un
«soggetto
con tendenze asociali» te lo scordi. Per essere considerato tale basta
rifiutarsi di lavorare per lo Stato (un insegnante guadagna 500
pesos, 20
euro, il costo di due pacchi di assorbenti igienici e un succo di
frutta).
Se poi, alle tendenze asociali si accompagnano comportamenti
controrivoluzionari, non se ne parla nemmeno. I comportamenti
controrivoluzionari possono andare dalla frequentazione con i figli
di un
diplomatico straniero (sospetti di intelligenza col nemico) alla
mancanza di
rispetto al lìder maximo (grandissime complicazioni).
La separatezza tra cubani e stranieri, con qualche tolleranza
riservata a
periodi alterni al turismo sessuale, è un valore della rivoluzione.
Impossibile iscrivere un bambino straniero, figlio di uno straniero
residente, a un asilo cubano. Deve andare alla scuola internazionale
insieme
ai figli dei non cubani.
Quel passaporto che non si può avere è l'oggetto del desiderio per
chiunque
abbia meno di quarant'anni. I giovani se ne vogliono andare quasi tutti:
quelli che lo dicono (pochi), quelli che lo ammettono a mezza bocca e
quelli
che alzano gli occhi al cielo e poi, rapidissimi, colgono la prima
occasione
per prendere il volo. Negli intervalli delle lezioni all'università
dell'Avana, la Gloriosa collina, non si parla d'altro.
«E' il principale problema di questi tempi incerti - racconta uno
scrittore
cubano di successo, uno di quelli che vuole vivere all'Avana, ogni
volta che
l'invitano all'estero va e ogni volta torna - è la grande crisi di
valori
della rivoluzione, i giovani colti, laureati, sono disposti a tutto
pur di
andarsene. Non c'è modo di fermarli, qui non vedono possibilità di
futuro».
Fino agli anni Novanta era sostanzialmente impossibile uscire
dall'isola.
Chi fuggiva perdeva tutto. Si poteva solo con un permesso di studio
all'estero, quasi sempre nei Paesi del blocco sovietico. O con
un'autorizzazione speciale per ragioni professionali, riservata agli
obbedienti del partito (il partito comunista, l'unico permesso
sull'isola).
Poi con la grave crisi economica seguita al crollo di Mosca e la
conseguente
apertura al turismo sono spuntate le carte di invito.
La carta d'invito è da anni la principale via per andarsene. Ci si fa
invitare da uno straniero che si prende la briga di farsi responsabile
dell'invitato e di pagargli biglietto, assicurazione, una fideiussione
bancaria e balzelli vari. Si può restare fino a un massimo di undici
mesi.
La norma è stata cambiata a fine aprile. In senso restrittivo.
La risoluzione 87/2007 del ministero degli esteri prevede che la lettera
d'invito si formalizzi nella sede consolare cubana all'estero. «I
tempi così
diventano più lunghi e c'è la possibilità che il console rifiuti
l'autorizzazione» si lamenta un diplomatico straniero. Un impiegato
di un
consolato del Nord Europa spiega: «I cubani che stanno organizzandosi
per
andar via sono preoccupati perché prima era possibile presentare la
lettera
d'invito alla Consultoria juridico-internacional dell'Avana. La
legalizzavano qui, con tutte le scappatoie possibili in una città dove i
dollari fanno gola a molti. Ora invece tutto deve avvenire davanti al
console cubano del Paese che invita. Così Cuba evita le lettere false,
obbliga chi invita a prendersi un impegno formale davanti all'autorità
consolare e si riserva l'ultima parola». Le ambasciate dei Paesi del
Nord
Europa sono ora molto più frequentate che negli anni ‘90 dai cubani, che
aggirano così l'inasprimento della prassi spagnola per i visti.
Entrano da
un aeroporto del Nord Europa e poi si trasferiscono a Madrid.
In ogni caso per uscire ci si deve muovere in difficile equilibrio
tra due
diverse burocrazie per avere due diversi documenti: il visto del Paese
straniero per entrare e il permesso di Cuba per uscire. Nessuno dei
due vale
senza l'altro. Se uno dei due scade è come se fosse scaduto anche
l'altro. E
ricomincia la peregrinazione per uffici, a partire dal temibile
Dipartimento
per l'Immigrazione la cui principale utenza è costituita da aspiranti
emigranti. La strada più sicura per andarsene rimane il matrimonio. I
tempi
sono lunghi, il percorso costoso, ma l'esito sicuro. Nell'ultimo anno ci
sono stati mille matrimoni tra cittadini italiani e cubani.
I cubani all'estero sono una fonte di valuta per il governo
dell'isola. Una
volta fuori chiedere qualsiasi documento all'Avana diventa
un'impresa. Per
avere un certificato di nascita o di matrimonio bisogna pagare alla
rappresentanza consolare cubana 20 dollari all'atto della richiesta, 80
quando arriva il documento, 60 per la legalizzazione in ambasciata. Per
rinnovare il passaporto: 200 dollari. Il permesso di viaggio
all'estero è
prorogabile per dieci mesi, oltre al mese concesso all'inizio, con un
pagamento di 40 dollari ogni trenta giorni.
Per le carte d'invito, i matrimoni e il cambiamento di categoria dei
permessi (dal Pvt, il permesso di viaggio temporaneo,
all'irraggiungibile
Pre, permesso di residenza all'estero) diventa una jungla di cifre.
Complicato, ma sempre meglio che imbarcarsi su un motoscafo diretto a
Miami.
Costo: fino a diecimila dollari a testa. Se si è intercettati in mare
dalle
autorità cubane o dalla guardia costiera statunitense (che in questa
materia
collaborano) si è rispediti indietro. Se si tocca territorio americano,
invece, si hanno ottime possibilità di essere accolti a braccia
aperte. E'
la legge del "pié mojado" e del "pié seco", (del piede bagnato e
dell'asciutto) il compromesso raggiunto nel braccio di ferro tra
l'Avana,
che brandisce i suoi potenziali profughi come un'arma diplomatica e
Washington che non vuole le coste della Florida assaltate dai
"balseros".
Secondo dati diffusi la settimana scorsa dall' Associated press che ha
incrociato dichiarazioni della guardia costiera di Miami con
documenti sui
soccorsi in mare, dall'ottobre del 2002 all'ottobre del 2006 si è
duplicato
il numero dei cubani che hanno tentato di raggiungere la Florida e
Puerto
Rico. L'anno scorso la cifra è stata di 7mila e 27 persone. Più della
metà è
riuscita nell'intento.
Introvabili i dati sui medici cubani che si sono rifiutati di tornare
indietro alla fine delle missioni internazionaliste. Tanti. Ne sa
qualcosa
il Venezuela che si è ritrovato a dover accogliere migliaia di medici
della
missione "Barrio adentro", l'accordo tra Hugo Chavez e Fidel Castro
per la
sanità gratuita per tutti. Molti medici hanno compiuto il lavoro, ma
poi a
casa non sono voluti tornare.
La versione ufficiale racconta che da Cuba nessuno se ne vuole andare, a
parte gli asociali. E' una di quelle verità che non si discutono. E'
così e
basta.
Il silenzio del cimitero Colon, però, il monumentale cimitero
dell'Avana,
racconta un'altra storia. Nei suoi viali si schiude la realtà
parallela che
sfugge alle statistiche. Oltre il grande cancello d'ingresso,
all'incrocio
tra la strada 12 e la calle Zapata, si apre una strada bianca che va
dritta
fino alla chiesa. Quasi in fondo, a sinistra, in una stradina
laterale, c'è
una tomba coperta di fiori. E' la tomba più visitata dell'Avana: lì
giace
Amelia, morta giovanissima nel 1901. Il poliziotto di guardia dice
che fu
sepolta insieme al bimbo, appena nato. Il corpo del figlio, creduto
morto,
fu appoggiato ai piedi della madre. Quando riaprirono la tomba per
l'esumazione le trovarono il bimbo in braccio. «Si erano sbagliati,
capito? - dice lui accorato asciugandosi il sudore col fazzoletto - il
bambino ha risalito il corpo della madre e le si è messo in braccio». La
leggenda narra invece la storia di una giovane donna incinta morta in
circostanze tragiche.
Fatto sta che Amelia fa miracoli. Bisogna percorrere il perimetro della
tomba in senso antiorario, chiederle la grazia offrendo fiori freschi e
allontanarsi fissando lo sguardo della statua col bimbo in braccio.
C'è la fila. Quasi tutte donne.
Biglietti a matita, un tappeto di gladioli e la verità semplice degli ex
voto incisa sulla pietra: «Grazie per aver concesso il viaggio a mia
figlia». Sotto le due fioriere più belle, ricoperte di rose rosse e
orchidee, c'è scritto: «Amelia, vergine miracolosa, grazie per il
visto».

---

L'irresistibile ascesa di Giustino Di Celmo, da padre della vittima
d'una
bomba a star del regime

La propaganda ai tempi di Raul,
la Pizza Fabio e i Cinque Eroi

L'Avana nostra inviata

«La verità, una volta risvegliata, non torna a dormire» sta scritto sul
bianco accecante di un monumento a José Martì, nel quartiere Vedado.
Sarà
per questo che al chiosco all'angolo vendono solo Granma e Juventud
rebelde,
il mondo secondo Castro. Un cittadino habanero vuol sapere cosa è
successo
dopo la sparatoria all'aeroporto di qualche giorno fa, come è andata a
finire con i due soldatini presi mentre tentavano di dirottare un
aereo per
fuggire dall'isola - hanno ucciso, rischiano la pena di morte - e in
prima
pagina su ‘
Granma trova una foto di Raul che riceve il ministro della Difesa
cinese e
un'illuminante "lettera di José Martì alla madre". Per carità. E' il
giorno
della mamma. Festa grande a Cuba. Ma le ipotesi sulla fuga dei
soldati di
leva dalla caserma circolano solo sul porta a porta di "Radio Bemba", il
passaparola, il pettegolezzo del vicinato, l'unico mezzo di
comunicazione
dell'Avana che racconta i brandelli, assai fantasiosi, di ciò che la
verità
di Stato nasconde. La stampa estera è introvabile.
Neanche a Internet ci si può affidare. Solo gli stranieri possono. I
cubani
no. Hanno una rete loro, Intranet. Una rete interna con un servizio di
messaggeria e un accesso limitato ai siti. Si entra in Cubasì , si legge
Granma online , si trova Telesur . Il Miami herald non si apre. La Bbc
nemmeno.
Internet vera esiste in alcuni centri postali e negli alberghi per
turisti,
dove i cubani non possono entrare (qualche impiegato, dietro lauta
mancia,
chiude un occhio). Tariffe fino a dodici dollari l'ora. Per averla a
casa
bisogna avere un permesso speciale, per ragioni di lavoro. Costa
comunque
molto: 80 dollari, 60 ore mensili. E il collegamento è lentissimo.
Chi può
risolve con gli allacci in nero, installati per lo più dagli stessi
operai
Entel (proprietà Telecom) che durante il giorno si occupano delle
connessioni legali e nel fuoriorario notturno del resto, ricompensati in
dollari. Se la polizia si accorge sono dolori.
L'informazione è lacunosa, la comunicazione complicata, la propaganda
invece
gode di ottima salute. E di lauti finanziamenti. Prendiamo i cinque
eroi. Li
chiamano così. Sono Antonio Guerrero, Fernando Gonzales, Gerardo
Hernandez,
Ramon Labanino e René Gonzales, sorpresi in territorio statunitense
mentre
lavoravano per i servizi segreti cubani e condannati a lunghe
detenzioni con
processi contro cui si è pronunciata la Corte di Atlanta.
Come ai tempi di Elian, il bambino cubano conteso tra Cuba e i
parenti di
Miami, rispedito all'Avana e trasformato nella mascotte del regime, i
cinque
eroi sono diventati pane quotidiano per la propaganda castrista. Fanno
capolino alle fermate degli autobus, alle stazioni della radio,
all'entrata
della gelateria. Gli dedicano letture, serate, concerti. «Che sei
stato a
vedere l'atto per i cinque eroi?», «Bisogna andare al presidio per i
cinque
eroi» si ascolta all'uscita di una scuola secondaria.
I cinque eroi di mestiere facevano le spie. Da quando sono famosi, però,
sono scrittori, poeti, caricaturisti. A Gerardo Hernandez gli pubblicano
libri di vignette. E' uscito anche un libro di corrispondenze. "El dulce
abismo" si chiama, "il dolce abisso". «Cartas de amor y de esperanza de
cinco familias cubanas».
All'Uneac, l'unione degli artisti e degli scrittori cubani, c'è chi
mastica
amaro. Uno degli iscritti più anziani si rigira il libro tra le mani:
«Non
abbiamo carta. Per pubblicare racconti bisogna raccomandarsi a tutti
i santi
e se va bene ti fanno duemila copie e un'unica edizione. Quando è
finita,
chiuso. Nessuna ristampa. Ai cinque eroi invece li pubblicano come
fossero
Garcia Marquez ».
Così come ai tempi del piccolo Elian, dopo l'emozione iniziale, c'era
chi
avrebbe volentieri fatto a meno di vedere quel bambino portato a
spasso per
tutta l'isola sulle ginocchia di Fidel, la solidarietà con i cinque
eroi va
scemando, sopraffatta dall'onnipresenza dei cinque faccioni eternamente
sorridenti.
«Le mogli hanno vinto alla lotteria - commentano acidi al mercato
agropecuario - viaggiano, scrivono, vanno in tv. C'è da sperare per
loro che
non li rilascino mai. Obiettivamente, ma chi l'ha mai vista la moglie
di un
agente che fa la vita di quelle lì?».
Nella propaganda ai tempi di Raul il posto d'onore tocca a un italiano.
Giustino Di Celmo. Padre di Fabio, ucciso da un attentato in un hotel di
lusso organizzato da Posada Carriles, il Bin Laden dei Carabi
scarcerato con
una decisione scandalosa da una giudice statunitense e al momento
libero a
Miami.
Di Celmo, addolorato, è andato a vivere all'Avana. Il regime ne ha
fatto un
testimonial. Se lo portano dappertutto. In tv, ai comizi, anche sul
palco
del primo maggio. Gli hanno dato una laurea honoris causa. Lui,
grato, parla
di Cuba come se fosse il migliore dei paradisi possibili. Si è anche
candidato alle ultime elezioni politiche in Italia. Nella lista dei
Comunisti italiani per la Camera dei deputati. Di mestiere fa
l'imprenditore.
A Cuba è vietato aprire ristoranti privati. Ma Di Celmo ha una
pizzeria nel
miglior quartiere dell'Avana. Si chiama Fabio, come il figlio morto e
come
la pizza della casa, con cipolla e olive. Pizza Fabio, quattro dollari e
sessantacinque.
A.N.

GIAMPAOLO PANSA HA FATTO OUTING


Giampaolo Pansa finalmente ha fatto outing: sono di destra

... quando uscirà la prossima pansata saremmo finalmente liberi di
considerarlo per quel che è: un vecchio reazionario, degno sodale dei
Mirko Tremaglia di turno ...

http://www.gennarocarotenuto.it/dblog/articolo.asp?articolo=1141

Lo strappo di Pansa: non sono più di sinistra

... Mi diranno che sono qualunquista. Mi viene da rispondere: evviva
il qualunquismo. Evviva l'antipolitica ... dall'età di ventun anni
sono sempre andato a votare, e ho sempre votato o a sinistra o per il
centrosinistra. A volte penso che sono troppo anziano e capita anche
a me di cominciare ad avere idee che non condivido ...

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2007/05_Maggio/27/
pansa_strappo_sinistra.shtml


Sull'anti-antifascismo di Pansa si veda: Male di Pansa
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5138


https://www.cnj.it/INIZIATIVE/JASMIL/jasmil_resoconto.htm  (a questa URL anche alcune FOTOGRAFIE della serata; segnaliamo inoltre la INTERVISTA RADIOFONICA sulla mostra ad I. Kerecki del CNJ, che sarà trasmessa oggi 2/6/2007 attorno alle 13:45 su RadioPopolare)


Aperta a Milano la mostra
 “Jasenovac – tomba di 19432 bambine e bambini”

Nonostante la pioggia, l’orario (alle 18), la posizione semiperiferica della Casa della Pace, e le elezioni nei comuni dell’hinterland milanese, l’inaugurazione della mostra sui bambini di Jasenovac (lunedì, 28 maggio 2007) è andata molto bene e tutti gli organizzatori sono piuttosto soddisfatti della serata.
C’erano una sessantina di persone, alcuni sono andati via prima della fine ed altri sono arrivati tardi.

Presenti tra il pubblico molti della comunità serba di Milano, alcuni appartenenti al CNJ e ad altre associazioni che si occupano dei Balcani, Piero Maestri, il console generale bosniaco, alcuni giovani (forse hanno visto le nostre locandine nelle università)... insomma, qualche persona nuova, rispetto ad altre iniziative di questo tipo.

All’inizio della serata, come previsto, ci sono stati l’introduzione della coordinatrice Jasmina Radivojevic di “Un ponte per...”, i saluti della Provincia (presente l’assessora Dioli) e della console serba Aleksandra Jovanovic.
È seguito l’ottimo intervento di Andrea Catone che, da curatore della mostra e da italiano, ha potuto dire di più, contestualizzando e collegando gli eventi del passato con quelli del presente, e ricordando anche la situazione del Kosovo e Metohija.
L’intervento centrale, del rappresentante del Museo delle vittime del genocidio di Belgrado, Jovan Mirkovic, è stato molto interessante, con molti dati (anche se per la lunghezza della serata ha tralasciato quegli degli ultimi anni, ma abbiamo tutto il materiale) e con l’aiuto di immagini proiettate. Mirkovic è una persona veramente straordinaria e con una storia personale incredibile. Ex direttore del complesso memoriale di Jasenovac, è vivo per miracolo, dopo i tragici eventi in Croazia e in Bosnia. Ha “sopportato” eroicamente e con il sorriso tutti i giri e gli spostamenti a cui l’abbiamo sottoposto nei 3 giorni in cui è stato nostro ospite, ed è tornato a Belgrado contentissimo del soggiorno milanese.

Maurizio Pagani dell’Opera nomadi ha poi ricordato la posizione particolare dei Rom nella Seconda guerra mondiale, la loro persecuzione ed il porrajmos (genocidio).
Il giornalista Giuseppe Zaccaria non ha potuto essere presente, essendo stato inviato lo stesso giorno in Ucraina da “La Stampa”.
Dopo gli interventi, la bravissima attrice Rom jugoslava Dijana Pavlovic, accompagnata dalla fisarmonica struggente di Jovica Jovic, ha letto dei brani del poema “Jama” (“La fossa”) di Ivan Goran Kovacic, strappando perfino lacrime ai presenti.

All’inizio, a metà e alla fine della serata ci sono stati altri interventi musicali, molto apprezzati, di un gruppo di suonatori di musiche balcaniche: oltre ai Muzikanti - Jovica, Marta (violino), Davide (sax soprano) e Matteo (basso) -, hanno partecipato anche Kristina Mirkovic (violino e voce) e Raffaele dei Trimuzike (tromba).
La serata si è chiusa con la visita alla mostra; alcuni ospiti hanno scritto le loro impressioni nel quaderno che abbiamo messo a disposizione. Non c’è stato assolutamente tempo per la discussione: è un po’ un peccato, perché si vedeva che il pubblico avrebbe fatto volentieri delle domande (che infatti ha posto ad alcuni di noi durante la visita all’esposizione), ma il tutto è durato così a lungo che è stato impossibile trattenerci oltre.


Speriamo ora di ottenere una buona affluenza alla mostra, che in effetti è aperta in orari poco convenienti per molti (si veda al sito http://www.unponteper.it/Jasenovac/ lo schema comprendente le aperture serali; per i giorni festivi occorre prenotare al numero 02 847477233). È stata fatta un po' di pubblicità alla radio, i comunicati stampa sono stati mandati a tutti, ed i cataloghi ad alcuni giornalisti. Qualche giornale ha pubblicato l’annuncio il giorno dell’inaugurazione; oggi, 1 giugno 2007, si è recata in visita una scolaresca del vicino liceo “Allende”, mentre domani (2 giugno 2007, verso le 13,45) andrà in onda l’intervista con la sottoscritta, rilasciata alla Radio Popolare.
Durante l’inaugurazione ci siamo fatti tutti i ringraziamenti a vicenda. Oltre a quelli già fatti in pubblico e in privato (a tutti gli organizzatori e partecipanti), ci tengo ad aggiungere GRAZIE anche a Rade Golic, che si è occupato della grafica, ad Ana Cetkovic, che ha fatto miracoli sfrecciando sulla sua bicicletta sotto il sole cocente o la pioggia scrosciante, attaccando locandine, consegnando inviti a praticamente tutta la Milano che conta, procurando ospiti e appuntamenti importanti al professore (es. al Centro di documentazione ebraica), alla nostra giovane Natalija Popovic, che ha fatto da autista al prof. tutti i giorni, a Natasa Karanovic e la sua famiglia, che l’hanno accolto il giorno del suo arrivo con certi manicaretti... e soprattutto un enorme GRAZIE ad Antonio Furlan e a sua moglie Mariella per la loro fantastica, indescrivibile ospitalità.

Ivana Kerecki, 1 giugno 2007



Jasenovac

Tomba di 19.432 bambini e bambine

Mostra fotografica dal 28 Maggio all' 8 Giugno

Casa della pace della Provincia di Milano

Via Ulisse Dini, 7 Milano


La mostra è visitabile tutti i giorni dalle 10 alle 17; per i giorni festivi occorre prenotare al numero 02 847477233. 
Per le aperture serali si veda al sito: http://www.unponteper.it/Jasenovac . 

# La pagina dedicata sul sito del CNJ: 

# Le precedenti esposizioni di questa mostra:
a Bari:
a Napoli:



(english / italiano / srpskohrvatski)

1) PRVOMAJSKI PROGLAS NOVE KOMUNISTIČKE PARTIJE JUGOSLAVIJE I SAVEZA KOMUNISTIČKE OMLADINE JUGOSLAVIJE
PROCLAMA PER IL PRIMO MAGGIO del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia e della Lega della Gioventù Comunista Jugoslava
MAY DAY STATEMENT of the New Communist Party of Yugoslavia and the League of the Communist Youth of Yugoslavia

2) Protest za Kubu ispred ambasade SAD u Beogradu
PROTESTA PER CUBA DI FRONTE ALL'AMBASCIATA USA A BELGRADO
PROTEST FOR CUBA IN FRONT OF THE USA EMBASSY IN BELGRADE


=== 1 ===

PRVOMAJSKI PROGLAS NOVE KOMUNISTIČKE PARTIJE JUGOSLAVIJE I SAVEZA KOMUNISTIČKE OMLADINE JUGOSLAVIJE
 
Radničkoj klasi, inteligenciiji, poljoprivrednicima, penzionerima, ženama, studentima, učenicima, pripadnicima vojske i policije, srdačno čestitamo Prvi maj - dan međunarodne solidarnosti trudbenika sveta!
Prvi maj 2007. naš narod dočekuje u veoma teškim i sudbonosnim okolnostima za našu otadžbinu.
Pre 16 godina imperijalisti SAD i Evropske unije, u saradnji sa separatistima i petom kolonom, razbili su SFRJ i izazvali krvavi građanski rat koji je odneo stotine hiljada života, izazvao strahovita razaranja i doveo do proterivanja sa svojih ognjišta milona ljudi.
Pre osam godina soldateska NATO izvršila je zločinačku agresiju na SR Jugoslaviju, usmrtila više hiljada naših građana i desetine hiljada trajno obogaljila, uništila mnoge zdravstvene, kulturne, verske, školske ustanove, mostove, aerodrome, železničke pruge i preduzeća, nanevši našoj zemlji materijalne gubitke od preko 100 milijardi dolara.
U sprezi sa albanskim teroristima NATO zločinici su okupirali Kosovo i Metohiju, pobili na hiljade i proterali preko 250 hiljada Srba, Roma i drugih nealbanaca.
Za najistaknutije branioce integriteta i suvereniteta SFRJ i SRJ i nosioce otpora NATO agresiji Vašington, London, Brisel i Berlin, stvorili su inkvizicioni tzv. Haški tribunal u kojem se surovo obračunavaju sa herojima odbrane. Taj "sud" je na podmukao način ubio Slobodana Miloševića.
NATO države su ognjem i mačem, i uz stotine miliona dolara, ustoličile na vlast u bivšim republikama SFRJ svoje vazale.
NATO je u sprezi sa separatistima iz Crne Gore u proleće 2006. razbio SR Jugoslaviju.
Za sedam proteklih godina od kontrarevolucije Srbija je postala najsiromašnija zemlja u Evropi.
Rasprodata je u bescenje stranom kapitalu i domaćoj mafiji gotovo celokupna privreda koju su krvlju i znojem decenijama gradili naši dedovi, očevi, majke i mi sami. Na doboš se prodaju naša prirodna bogatstva. Ogromna većina stanovništva pretvara se u faktičke najamne radnike i bezemljaše stranih i domaćih kapitalista. Oko 40 hiljada firmi je u stečaju. Preko 50 odsto radno sposobnog stanovništva ne radi. Zatvoreno je više od 60 odsto industrijskih i rudarskih kapaciteta.
Vojska je svedena na simboličan broj i najvećim delom je uništena njena borbena tehnika. Najviši državni rukovodioci i ministar odbrane izjavljuju da neće braniti integritet države, ali da će slati vojsku na Bliski i Srednji istok, u gudure Avganistana i u pustinje Afrike, da ratuje za agresivne ciljeve NATO. Ko ne hrani našu vojsku-hraniće tuđu.
Ukinute su ili se suštinski revidiraju sve tekovine NOB-a i socijalizma.
Nastavlja se vrtoglavo zaduživanje zemlje u inostranstvu. Danas državni dug prevazilazi 20 milijardi dolara, što iznosi oko 75 odsto nacionalnog dohotka. Uništene su domaće banke.
Primena Bolonjske deklaracije razorila je naš školski sistem.
Sistematski se uništavaju društvena poljoprivredna gazdinstva, seoske zadruge i mali seoski posedi. Stvaraju se ogromne poljoprivredne latifundije od više desetina hiljada hektara, na kojima novopečeni zemljoposednici pretvaraju seljake u svoje najamne radnike.
Gotovo sva informativna sredstva su direktno ili indirektno u rukama stranaca. Vrši se sistematsko zatiranje našeg identiteta, nameće nam se kolonijalna "kultura", grubo se prekraja i falsifikuje naša istorija.
NATO države-ne birajući sredstva, pokušavaju da Kosmet otmu Srbiji i da na toj teritoriji stvore drugu albansku državu na Balkanu. Tzv. Ahtisarijev plannapravljen je u Vašingtonu, Briselu, Berlinu i Londonu.
I pored svega, državno rukovodstvo izjavljuje da su njegovi strateški ciljevi uključenje u evro-atlanske integracije, odnosno prelazak u dobrovoljno ropstvo pod onima koji su razbili SFRJ, SRJ i okupirali Kosmet.
Glavni neprijatelji našeg naroda i naše otadžbine su danas čelnici SAD, Velike Britanije, Nemačke i Francuske. Oni svim silama nastoje da razbiju Srbiju, nagoveštavajući da im je namera da iz nje izdvoje Vojvodinu, Rašku oblast i tri opštine na jugu Srbije-Preševo, Bujanovac i Medveđu.
Zar nije van svake pameti nastojanje vladajućih krugova u Srbiji da našu zemlju priključe NATO-u i EU, žmureći pred svim zločinima koje su nam te organizacije učinile i pred njihovim bestidnim pokušajima da nam otmu Kosmet?
Naš istorijski prijatelj bila je i ostala bratska Rusija, čiji su vojnici mnogo puta ratovali i ginuli, zajedno sa nama, za našu slobodu, nezavisnost i integritet. Naša glavna orijentacija trebalo bi da bude oslanjanje na Rusiju, Kinu, Belorusiju, Kubu, Grčku, Indiju, Ukrajinu, Vijetnam, DNR Koreju, na Latinsku Ameriku, druge slobodoljubive zemlje Azije i Afrike, na progresivne zemlje arapskog sveta.
NATO JE NAŠ NEPRIJATELJ, EU PRETI DA NAS PRETVORI U KOLONIJU.
Srbija bi trebalo da sarađuje sa svima onima koji je priznaju kao ravnopravnog partnera, koji uvažavaju našu nezavisnost, suverenost i integritet.
Sadašnja kontrarevolucija je prolazna i sramna etapa u istoriji naše zemlje.
Dok god u svetu postoje siti i gladni, bogati i siromašni, slobodni i porobljeni, živeće ideja o socijalnoj pravdi. A socijalne pravde nema bez socijalizma!
 
XXI VEK BIĆE VEK TRIJUMFA SOCIJALIZMA!
PROLETERI SVIH ZEMALJA UJEDINITE SE!
ŽIVEO 1. MAJ PRAZNIK TRUDBENIKA SVETA! 


- italiano -

PROCLAMA PER IL PRIMO MAGGIO
del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia e della Lega della Gioventù Comunista Jugoslava

Alla  classe operaia, all’intellighenzia, ai lavoratori agrari, ai pensionati, agli studenti, agli scolari, agli appartenenti alle forze dell’esercito e della polizia  porgiamo gli auguri del Primo maggio – il giorno della solidarietà di tutti i lavoratori del mondo!

Il Primo Maggio 2007 il nostro popolo sta vivendo circostanze difficilissime e piene di significati gravosi per la nostra patria.
Gia 16 anni fa gli imperialisti USA e dell’Unione Europea in collaborazione con la quinta colonna e i separatisti sono riusciti a disgregare la Jugoslavia ed hanno provocato una guerra civile sanguinosa che portato via tantissime vite umane, ha provocato distruzioni spaventose e causato la cacciata di milioni di cittadini dalle loro case.
Otto anni fa la soldataglia della NATO ha eseguito un'aggressione delinquenziale contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, ammazzando parecchie migliaia di nostri cittadini, causando l’infermità permanente di decine di migliaia di persone, distruggendo moltissimi centri di assistenza sanitaria, luoghi di culto, istituti  scolastici, ponti, strade ferrate, nonchè moltissime industrie, portando al nostro paese dei danni che oltrepassano i 100 miliardi di dollari.
Alleata con i terroristi albanesi la NATO  ha occupato il Kosovo e Metohija in modo scellerato, ha ammazzato migliaia di persone, ha scacciato 250mila serbi, rom ed altra gente non appartenente all’etnia albanese.
Per i principali difensori dell’integrità e della sovranità della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia e della Repubblica Federale di Jugoslavia, e per i resistenti alla NATO, Washington, Londra, Bruxelles e Berlino hanno creato un tribunale d’inquisizione denominato Tribunale dell’Aja con il quale in modo crudele fanno ripagare i conti agli eroici difensori. Questo tribunale in maniera subdola ha ammazzato Slobodan Milosevic. Gli Stati della NATO hanno forgiato il nuovo potere nelle repubbliche ex jugoslave con il ferro ed il fuoco ed impiegando centinaia di milioni di dollari.
La NATO, con i separatisti del Montenegro, nel 2006 ha distrutto la federazione fra Serbia e Montenegro, ultimo residuo della Jugoslavia. 
Nei sette anni trascorsi dalla controrivoluzione che ha avuto luogo in Serbia, essa è diventata il paese più povero d’Europa.
Nella sua quasi totalità  è stata svenduta sottocosto al capitale straniero ed alle mafie domestiche l'economia che i nostri nonni, i nostri genitori e noi stessi abbiamo cercato di promuovere per interi decenni. Le nostre ricchezze naturali sono svendute all’asta. La stragrande maggioranza dei cittadini sta diventando di fatto classe operaia sfruttata  e forza lavoro nullatenente e deve cercare il lavoro dai capitalisti, stranieri e di casa nostra. Più di quarantamila ditte stanno fallendo. Più del 50 per cento delle persone in età da lavoro è disoccupata. Sono state chiuse più del 60 per cento delle industrie e delle miniere.
L’esercito è stato ridotto ad un numero simbolico e le capacità tecniche di esso sono state in gran parte distrutte. I più alti dirigenti dello Stato, nonchè il Ministro della Difesa, dichiarano che non difenderanno l’integrità dello Stato, ma che manderanno l’esercito in Medio Oriente, fra i dirupi dell’Afghanistan,  per guerreggiare  per le mire imperialiste della NATO. Chi non è per un esercito veramente nostro darà una mano alla guerra.
Tutte le conquiste della nostra Lotta di Liberazione sono state annientate sistematicamente come pure tutti i frutti del socialismo.
L’indebitamento precipitoso del paese verso l’estero continua. Già oggi l’indebitamento dello Stato ha oltrepassato i 20 milioni di dollari, che rappresentano il 75 % del prodotto nazionale. Le Banche di casa nostra sono distrutte.
L’applicazione della Dichiarazione di Bologna ha distrutto il nostro sistema scolastico.
Sistematicamente si rovinano le imprese agricole pubbliche e private, le cooperative come i contadini con piccoli appezzamenti di terra. Si crea il latifondo, composto da molte decine di migliaia di ettari dove i possidenti dell'ultimora trasformano i contadini in braccianti.
Quasi tutti i mezzi d’informazione sono direttamente  o indirettamente controllati dagli stranieri.
Siamo sottoposti ad una distruzione sistematica della nostra identità; ci viene imposta una cultura "da colonia", la nostra storia è stata barbaramente rivista e corretta.
I paesi NATO con ogni mezzo vogliono sottrarre il Kosmet  alla Serbia e creare su questo territorio un secondo Stato albanese nei Balcani.
E nonostante tutto questo i dirigenti dello Stato dichiarano che i loro obiettivi strategici sarebbero di integrarsi nei patti euro-atlantici - il che vuol dire acconsentire di propria volontà alla servitù e alla dominazione di quelli che hanno distrutto la Jugoslavia socialista nonchè la Jugoslavia federale, e che hanno occupato il Kosmet.
Il nemico principale del nostro popolo e della nostra patria sono i dirigenti degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Germania e della Francia. Questi con tutta la loro forza tentano di disgregare Serbia, annunciando che è nelle loro intenzioni di appoggiare la secessione della Vojvodina, del circondario di Raska (Sangiaccato, ndt) e delle province nel sud della Serbia come Presevo, Bujanovac e Medvedja.
Non è assurda l'inclinazione dell’area governativa in Serbia di far avvicinare il nostro paese alla NATO, all’Unione Europea, chiudendo gli occhi davanti a tutte le malefatte che queste organizzazioni ci hanno causato e dinanzi al loro sfacciato tentativo di strapparci il Kosmet?
Il nostro amico storico era ed è rimasta la Russia fraterna, il cui soldati a diverse riprese hanno versato il sangue e dato le loro vite insieme a noi, per nostra libertà, indipendenza ed integrità. Il nostro orientamento preponderante dovrebbe essere la richiesta di aiuto dalla Russia, dalla Cina, dalla Bielorussia, da Cuba, dalla Grecia, dall’India, dall’Ucraina, dal Viet-Nam, dalla Corea del Nord, nonchè dall’America Latina e dagli altri paesi amanti della libertà dell’Asia e dell’Africa, e dai paesi progressisti del mondo arabo.
LA NATO E' IL NOSTRO NEMICO, L'UNIONE EUROPEA MINACCIA DI FARCI DIVENTARE TUTTI SERVI.
La Serbia dovrebbe collaborare con tutti quelli che la stimano e la trattano come un partner alla pari, con coloro che rispettano la sua indipendenza, la sua sovranità e l’integrità del paese.
Finchè in questo mondo esisteranno sazi ed affamati, ricchi e poveri, liberi ed asserviti, sarà viva anche l’idea della giustizia sociale. La giustizia sociale non esiste senza il socialismo!

CHE IL XXI SECOLO SIA IL SECOLO DEL TRIONFO DEL SOCIALISMO!
PROLETARI DI TUTTI I PAESI UNITEVI!
VIVA IL PRIMO MAGGIO, FESTA DEI LAVORATORI DEL MONDO INTERO!
    

- english -

MAY DAY STATEMENT
of the New Communist Party of Yugoslavia and the League of the Communist Youth of Yugoslavia
 
To the working class, the intellectuals, the agrarian workers, to retired people, to the students, the scholars, those belonging to the armed forces and the police - to all of them we convey our best wishes on the occasion of 1st May - the day of the solidarity of all the workers of the world!

1st May 2007 our people are living in the most difficult circumstances, full of onerous meanings for our native land.
Already 16 years ago, the USA and European Union imperialists in collaboration with the fifth column and separatists resolved to disintegrate Yugoslavia and provoked a bloody civil war that cancelled so many human lives, caused frightful destructions and haunted millions of citizens away from their houses.
Eight years ago, NATO soldiery performed a delinquent aggression against the Federal Republic of Yugoslavia, killing several thousands of our citizens, causing permanent illnesses in tens of thousands of persons, destroying many sanitary institutions and centers, religious places, schools, bridges, railways, let alone many  industries, causing to our country damages that amount to more than 100 billions of dollars.
Allied with the Albanian terrorists, NATO occupied Kosovo and Metohija in a criminal way, killing thousands, driving out 250000 serbs, gypsies and other non-albanians.
For the main defenders of the integrity and the sovereignty of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia and the Federal Republic of Yugoslavia, as well as for those who resisted to NATO, Washington, London, Brussels and Berlin created an inquisition called the Hague Tribunal, which is aimed to make the heroic defenders pay the bills back in a cruel way. This court killed Slobodan Milosevic in a subtle way. NATO countries forged with the iron and fire and hundred thousands of dollars a new power in the former yugoslav republics.
The NATO, with the Montenegro separatists, in 2006 destroyed the federation between Serbia and Montenegro, what remained of Yugoslavia. 
In the past seven years since the counter-revolution took place in Serbia, this has become the poorest country in Europe.
The economy that our grandfathers, our parents and we ourselves tried to promote for entire decades has been sold out almost completely to foreign capital and domestic Mafias. Our natural resources are put up for auction. The overwhelming majority of the citizens is indeed becoming exploited working class and poor labor force, and must ask the capitalists - both foreigners or our own - for a job. More than 40 thousand companies are bankrupting. More than 50 per cent of the people in working age are unemployed. More than 60 per cent of the industries and mines have been closed.
The army is being reduced to a symbolic number and its technical abilities have been mainly destroyed. The highest State managers, let alone the Minister of the Defense, declare that they will not defend the integrity of the State, and will send the army to the Middle East instead, in the middle the Afghanistan cliffs, to combat for the sake of the imperialist aims of NATO. Those who do not support the army to be truly ours, they themselves will help making war.
All the conquests of our Liberation Struggle have been destroyed systematically, and all the fruits of the Socialism too.
The hasty running into debts of our country towards the exterior goes on. Already today, State debt has exceeded 20 million dollars, that represent 75% of the national product. Domestic Banks have been suppressed.
The application of the Bologna Declaration has destroyed our scholastic system.
Public and private agricultural enterprises, cooperative firms as well as peasants owning small ground-pieces are systematically ruined. A latifundium (large estate) system is being created, made of many tens of thousands hectares where the new owners transform peasants in laborers.
Nearly all the media are directly or indirectly under foreign control.
We are going through the systematic destruction of our identity; a “colonial” culture is being imposed to us, our history is being barbarically reviewed and rewritten.
With every mean, NATO countries want to steal Kosmet from Serbia and create on this territory another Albanian State in the Balkans.
And, in spite of all this, State leaders still declare that their strategic objectives consist in the integration in the euro-Atlantic pacts - that is, to agree to become servants and to be dominated by those who destroyed the socialist Yugoslavia as well as the federal Yugoslavia and occupied Kosmet.
The main enemy of our people and our native land are the leaders of the United States, England, Germany and France. These are trying with all their force to disintegrate Serbia, announcing that it is in their intentions to support the secession of Vojvodina, Raska region, and provinces in the south of Serbia like Presevo, Bujanovac and Medvedja.
Isn't it absurd the inclination of the governmental circles in Serbia to make our country approach NATO, the European Union, closing the eyes in front of all the misfortunes that these organizations have caused to us as well as in front of their brazen attempt to tear up Kosmet from us?
Our historical friend was and still is fraternal Russia, whose soldiers repeatedly poured blood and lives, together with us, for our freedom, independence and integrity. Our main guideline should be the demand for aid from Russia, China, Belarus, from Cuba, from Greece, India, the Ukraine, Vietnam, North Korea, as well as from Latin America and the other freedom-loving countries of Asia and Africa, and from the progressive countries in the Arabic world.
NATO IS OUR ENEMY, THE EUROPEAN UNION WANTS US TO BECOME ALL SERVANTS.
Serbia should work together with all those that respect it and deal with it like a partner, those who respect its independence, its sovereignty and the integrity of the country.
Until well-nourished and starving individuals will exist on this world, rich and poor, free and enslaved - also the idea of social justice will stay alive. And social justice does not exist without Socialism!

THAT XXI CENTURY BE THE CENTURY OF THE TRIUMPH OF THE SOCIALISM!
PROLETARIANS OF ALL COUNTRIES, UNITE!
LONG LIVE MAY DAY, THE FESTIVITY OF THE WORKERS OF THE ENTIRE WORLD!


=== 2 ===

Protest ispred ambasade SAD u Beogradu

Više od 100 aktivista Nove komunističke partije Jugoslavije(NKPJ), Saveza komunističke omladine Jugoslavije(SKOJ), Srpsko-kubanskog društva prijateljstva Ivo Lola Ribar-Ernesto Gevara (SKDP) i drugih prijatelja Kube, u petak 18.maja, uprkos jakoj kiši, održalo je protest ispred ambasade Sjedinjenih Američkih Država u Beogradu zbog toga što je američki sud pustio na slobodu ozloglašenog teroristu i saradnika agencije CIA Posadu Karilesa.Protestni miting je održan u okviru kampanje "Posadi Karilesu treba da se sudi za njegove zločine" koja nesmanjenom žestinom traje širom planete.Kariles je učestvovao u uništenju kubanskog aviona prilikom čega je poginulo 73 ljudi (zbog čega ga očekuje suđenje u Venecueli koja traži ekstradiciju od SAD koje to ne dozvoljavaju), ali  je i dugi niz godina organizovao desetine planova atentata na najviše rukovodioce kubanske revolucije i preduzimao dela terorizma protiv Kube u kojima je desetine lica izgubilo život. Sa protestnog mitinga je poručeno da je za kubanski narod i progresivne ljude širom sveta neprihvatljivo da se danas oslobodi najpoznatiji terorista koji je ikad postojao na američkoj hemisferi, dok se u zatvoru u surovim uslovima nepravedno drže petorica mladih Kubanaca čiji je jedini zločin što su se borili protiv terorizma (u pitanju su kubanski patrioti koji su razotkrili terorističku mrežu u kubanskoj antikomunističkoj emigraciji na Floridi, a američke vlasti su ih sasvim neopravdano optužili i osudili zbog navodne špijunaže iako je istraga pokazala da oni nisu praktikovali nikakve antiameričke akcije već samo razotkrivanje kubanske terorističke emigracije).
Demonstranti su ispred američke ambasade, noseći zastave NKPJ, Kube i transparente sa likom Ernesta Ce Gevare skandirali: "Yenkies Go Home"(protiv američke vojne baze Gvantanamo na kubanskoj teritoriji ali i zbog američke i NATO imperijalističke okupacije Kosova,Bosne i Hercegovine,Iraka,Avganistana...) i "Fidel,Fidel". Službenici američke ambasade su odbili da prime protestno pismo koje su demonstranti hteli da im uruče pa će Majklu Poltu, ambasadoru SAD u Beogradu ono biti poslato redovnom poštom.
 
Zatvor za teroristu Karilesa!
Sloboda za petoricu kubanskih heroja!
Dole sa američkim imperijalizmom!   


- italiano -

PROTESTA DI FRONTE ALL'AMBASCIATA USA A BELGRADO

Più di cento attivisti del Nuovo Partito Comunista della Jugoslavia (NKPJ) e della Lega della Gioventù Comunista (SKOJ) nonchè dell’Associazione di amicizia serbo-cubana Ivo Lola Ribar  – Ernesto Che Guevara,  ed altri amici di Cuba, giovedì 18 maggio, nonostante un forte acquazzone, hanno protestato davanti all’Ambasciata degli USA a Belgrado a causa della decisione del tribunale americano di lasciare in libertà il famigerato terrorista e collaboratore della CIA Posada Carriles. Il meeting di protesta è stato tenuto per sostenere l’azione intitolata “Posada Carriles deve essere giudicato per i suoi delitti". La campagna è forte ed interessa il globo intero. Carriles ha preso parte alla distruzione di aerei cubani e in quelle occasioni si sono perse 73 vite umane (per questo delitto è richiesto dal Venezuela, ma gli USA non ne permettono l'estradizione); per decenni egli ha organizzato i piani per gli attentati contro dirigenti cubani ed esponenti della rivoluzione cubana ed ha messo in atto diversi atti terroristici contro Cuba  facendo perire decine di cubani. 
Da questo meeting di protesta è stato inviato il messaggio che per il popolo cubano come per tutti i progressisti è inaccettabile la liberazione di uno dei più noti terroristi che sia mai esistito sull’emisfero americano, mentre rimangono imprigionati in condizioni barbare i cinque giovani cubani il cui unico crimine è la loro lotta contro il terrorismo (si tratta dei patrioti cubani che hanno smascherato la rete terrorista dell’emigrazione anticomunista  cubana in Florida, e che il governo americano senza alcuna ragione ha accusato di spionaggio, anche se è stato provato che non hanno commesso nessun atto anti-americano, ma si sono occupati solo di scoprire l’emigrazione terrorista cubana).
I dimostranti radunati davanti all’ambasciata americana portavano la bandiera del NKPJ e di Cuba nonchè le immagini di Ernesto Che Guevara, scandendo “Yankees Go Home” (per protesta contro la base americana di Guantanamo su territorio cubano, ma anche contro l’occupazione imperialistica della NATO in Kosovo, Bosnia ed Erzegovina, Irak ed Afganistan...) ed urlando: "Fidel, Fidel”. Gli impiegati dell’ambasciata americano hanno rifiutato di ricevere la lettera di protesta che i dimostranti volevano dare loro, e perciò questa lettera è stata spedita per posta a Michael Polt, ambasciatore USA a Belgrado.

Carcere per il terrorista Carriles!
Libertà per cinque eroi cubani! 
Abbasso l’imperialismo americano!


- english -

PROTEST IN FRONT OF THE USA EMBASSY IN BELGRADE
 
More than one hundred activists of New Communist Party of Yugoslavia (NKPJ) and the League of the Communist Youth (SKOJ) together with members of the Serb-Cuban Friendship Association Ivo Lola Ribar - Ernesto Che Guevara, and other friends of Cuba, on Thursday 18 May, in spite of a heavy shower, protested in front of the Embassy of the USA in Belgrade against the decision of a US Court to let the terrorist and notorious CIA collaborator Posada Carriles free.
The protest meeting was held in order to support the action entitled “Posada Carriles must be judged for his crimes”. The campaign is going on vehemently all over the world. Carriles took part to the destruction of Cuban airplanes, and in those occasions 73 human beings lost their lives (for this crime, extradition is demanded by Venezuela, but the USA do not allow it); for decades he organized the plans for the attacks against Cuban leaders and exponents of the Cuban revolution, and realized several terroristic actions against Cuba which caused tens of Cubans to perish. 
From this protest meeting, the message has been sent that for Cubans as well as for all progressive persons it is unacceptable that one of the best-known terrorists who ever existed on the American hemisphere is liberated, while the five young Cubans whose only crime is their fight against terrorism are remaining in jail under barbaric conditions  (this is about the Cuban patriots who unmasked the terrorist net of the Cuban anti-communist emigration in Florida, and that the US government without any reason accused of espionage, even if it has been proved that they didn't commit any anti-American action, but only cared of discovering the Cuban terrorist emigration net).
The demonstrators gathered in front of the US embassy carried the flags of the NKPJ and Cuba together with images of Ernesto Che Guevara, shouting “Yankees Go Home” (to protest against the US base at Guantanamo, on Cuban territory, but also against the imperialist occupation of Kosovo, Bosnia and Erzegovina, Irak and Afghanistan by NATO) and calling “Fidel, Fidel”. The employees of the US embassy refused to take a protest letter that the demonstrators wanted to give them, and therefore this letter has been sent per mail to Michael Polt, US ambassador to Belgrade.

Jail for the terrorist Carriles!
Freedom for the five Cuban heroes! 
Down with US imperialism!


(traduzioni a cura del CNJ)