Informazione

( Questa intervista a Daniele Ganser effettuata dalla coraggiosa giornalista svizzera italiana che vive in Palestina, Silvia Cattori, è disponibile sul sito Reseau Voltaire anche nelle lingue:

français : http://www.voltairenet.org/article144415.html

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Sul libro di Daniel Ganser "Gli eserciti segreti della Nato" (Fazi editore, 2005) si veda:

http://www.fazieditore.it/catalogo/categorie/scheda_libro.asp?id=598
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5121

Sul lavoro di questo studioso si vedano anche:





La strategia della tensione 

Il terrorismo non rivendicato della NATO

Daniele Ganser, professore di storia contemporanea all’università di Basilea e presidente dell’ Aspo-Svizzera, ha pubblicato un libro "sugli eserciti segreti della NATO". Secondo lui, gli Stati Uniti hanno organizzato in Europa dell’Ovest durante gli ultimi 50 anni attentati che sono stati attribuiti alla sinistra e alla sinistra estrema per screditarli agli occhi dei loro elettori. Questa strategia dura ancora oggi per suscitare il timore dell’islam e giustificare le guerre per il petrolio.

Silvia Cattori: Il suo lavoro dedicato agli eserciti segreti della NATO [1], spiega come la strategia della tensione [2] e le operazioni “False Flag” [3]- operazioni "false bandiere", è l’espressione usata per descrivere atti terroristici, portati avanti segretamente da governi o organizzazioni, per essere poi imputate ad altri) implicano dei grandi pericoli. Spiega come la NATO, durante la guerra fredda - in coordinamento con i servizi di informazioni dei paesi dell’Europa occidentale ed il Pentagono - si è servito di eserciti segreti, ha reclutato spie negli ambienti di estrema destra, ed ha organizzato atti terroristici attribuiti poi alla sinistra estrema. Apprendendo ciò, ci si può interrogare su quello che può passare a nostra insaputa.

Daniele Ganser: È molto importante comprendere ciò che la strategia della tensione rappresenta realmente e come ha funzionato durante questo periodo. Ciò può aiutarci ad illuminare il presente ed a vedere meglio in quale misura è sempre in azione. Poca gente sa ciò che l’espressione “strategia della tensione” vuole dire. È molto importante parlarne, spiegarlo. È una tattica che consiste nel commettere degli attentati criminali ed attribuirli a qualcuno di altro. Con il termine tensione ci si riferisce alla tensione emozionale, a ciò che crea una sensazione di timore, di paura. Con il termine strategia, ci si riferisce a chi alimenta le paure della gente riguardo ad un gruppo determinato. Queste strutture segrete della NATO erano state equipaggiate, finanziate e addestrate dalla CIA, in coordinamento con l’MI6 (i servizi segreti britannici), a combattere le forze armate dell’Unione sovietica in caso di guerra, ma anche, secondo le informazioni di cui disponiamo oggi, per commettere attentati terroristici in diversi paesi [4].
Così, fin dagli anni 70, i servizi segreti italiani hanno utilizzato queste armate segrete per fomentare attentati terroristici con lo scopo di causare la paura in seno alla popolazione e, in seguito, accusare i comunisti di essere gli autori. Era il periodo dove la parte comunista aveva un potere legislativo importante al Parlamento. La strategia della tensione doveva servire a screditarlo, indebolirlo, per impedirgli di accedere all’esecutivo.

Silvia Cattori: Apprendere quello che sta dicendo è una cosa. Ma resta difficile credere che i nostri governi abbiano potuto lasciare la NATO , i servizi d’intelligence d’Europa occidentale e la CIA ad agire in modo da minacciare la sicurezza dei loro cittadini!

Daniele Ganser: La NATO era il cuore di questa rete clandestina legata al terrore; il Clandestine Planning Committee (CCP) e l’Allied Clandestine Committee (ACC) erano sottostrutture clandestine dell’Alleanza atlantica, che sono chiaramente identificate oggi. Ma, ora che ciò è stabilito, è sempre difficile sapere chi faceva cosa. Non ci sono documenti per provare chi comandava, organizzava la strategia della tensione, e come la NATO , i servizi di informazioni dell’Europa occidentale, la CIA , il MI6, e i terroristi reclutati negli ambienti di estrema destra, si distribuivano i ruoli. La sola certezza che abbiamo è che c’erano, all’interno di queste strutture clandestine, elementi che hanno utilizzato la strategia della tensione. I terroristi di estrema destra hanno spiegato nelle loro deposizioni che erano i servizi segreti e la NATO che li avevano sostenuti in questa guerra clandestina. Ma quando si chiedono spiegazioni ai membri del CIA o della NATO - ciò che ho fatto durante molti anni - si limitano a dire che potrebbero esserci stati alcuni elementi criminali che sono sfuggiti al controllo.

Silvia Cattori: Questi eserciti segreti operavano in tutti i paesi dell’Europa occidentale?

Daniel Ganser: Con le mie ricerche, ho dimostrato che questi eserciti segreti esistevano, non soltanto in Italia, ma in tutta l’Europa dell’Ovest: in Francia, Belgio, Olanda, Norvegia, Danimarca, Svezia, Finlandia, Turchia, Spagna, Portogallo, Austria, Svizzera, Grecia, Lussemburgo, Germania. Inizialmente si pensava che ci fosse una struttura di guerriglia unica e che, quindi, questi eserciti segreti avevano tutti partecipato alla strategia della tensione, dunque ad attentati terroristici. Ma, è importante sapere che questi eserciti segreti non hanno tutti partecipato agli attentati. E comprendere ciò che li differenziava poiché avevano attività distinte. Quello che appare chiaramente oggi è che queste strutture clandestine della NATO, generalmente chiamate Stay Behind [5], erano concepite, in origine, per agire come una guerriglia in caso d’occupazione dell’Europa dell’Ovest da parte dell’Unione sovietica. Gli Stati Uniti dicevano che queste reti di guerriglia erano necessarie per superare l’impreparazione nella quale i paesi invasi dalla Germania si erano allora trovati.
Numerosi paesi che hanno conosciuto l’occupazione tedesca, come la Norvegia , volevano trarre le lezioni dalla loro incapacità di resistere all’occupante e si è detto, che in caso di nuova occupazione, dovevano essere meglio preparati, disporre di un’altra opzione e potere contare su un esercito segreto nel caso in cui l’esercito classico venisse distrutto. C’erano, all’interno di questi eserciti segreti, persone oneste, patrioti sinceri, che volevano soltanto difendere il loro paese in caso d’occupazione.

Silvia Cattori: Se comprendo bene, questo Stay behind il cui obiettivo iniziale era quello di prepararsi in caso di un’invasione sovietica, è stato deviato da questo scopo per combattere la sinistra. Di conseguenza, si è penato a comprendere perché i partiti di sinistra non hanno indagato, denunciato queste deviazioni prima?

Daniele Ganser: Se si prende il caso dell’Italia, appare che, ogni volta che la parte comunista ha sfidato il governo per ottenere spiegazioni sull’esercito segreto che operava in questo paese sotto il nome di codice Gladio [6], non ci sono state risposte con il pretesto di segreto di Stato. È soltanto nel 1990 che Giulio Andreotti [7] ha riconosciuto l’esistenza di Gladio ed i suoi legami diretti con la NATO , la CIA e il MI6 [8]. È in questo periodo che il giudice Felice Casson ha potuto provare che il vero autore dell’attentato di Peteano nel 1972, che aveva scosso l’Italia, e che era stato attribuito a militanti di estrema sinistra, era Vincenzo Vinciguerra, apparentato Ordine Nuovo, un gruppo di estrema destra. Vinciguerra ha riconosciuto di aver commesso l’attentato di Peteano con l’aiuto dei servizi segreti italiani. Vinciguerra ha anche parlato dell’esistenza di questo esercito segreto chiamato Gladio. E ha spiegato che, durante la guerra fredda, questi attentati clandestini avevano causato la morte di donne e di bambini [9].
Ha anche affermato che queste armate segrete controllate dalla NATO, avevano ramificazioni ovunque in Europa. Quando quest’informazione è uscita, ha provocato una crisi politica in Italia, ed è grazie alle indagini del giudice Felice Casson che siamo stati messi al corrente degli eserciti segreti della NATO. Nella Germania, quando i Socialisti del SPD hanno appreso, nel 1990, che esisteva nel loro paese - come in tutti gli altri paesi europei - un esercito segreto, e che questa struttura era legata ai servizi segreti tedeschi, hanno gridato allo scandalo ed incolpato la parte democristiana (CDU). Questi hanno reagito dicendo: se voi ci accusate, diremo pubblicamente che, anche voi, con Willy Brandt, avevate preso parte a questa cospirazione. Questo coincideva con le prime elezioni della Germania riunificata, che gli SPD speravano di vincere. I dirigenti del SPD hanno capito che non era un buono argomento elettorale; per finire hanno lasciato intendere che quest’eserciti segreti erano giustificabili. Al Parlamento europeo, nel novembre 1990, voci si sono alzate per dire che non si poteva tollerare l’esistenza di eserciti clandestini, né lasciare senza spiegazione degli atti di terrore la cui origine reale non era delucidata, e che occorreva indagare. Il Parlamento europeo ha dunque protestato per iscritto alla NATO ed il presidente George Bush senior. Ma nulla è stato fatto. Soltanto in Italia, in Svizzera ed in Belgio, che indagini pubbliche sono state iniziate. Sono del resto i tre soli paesi che hanno fatto un po’di ordine in quest’affare e che hanno pubblicato una relazione sui loro eserciti segreti.

Silvia Cattori: Cosa ne è oggi? Questi eserciti clandestini sarebbero ancora attivi?

Daniele Ganser: Per uno storico, è difficile rispondere a questa domanda. Non si dispone di un rapporto ufficiale paese per paese. Nei miei lavori, analizzo fatti che posso provare. Per quanto riguarda l’Italia, c’è una relazione che dice che l’esercito segreto Gladio è stato eliminato. Sull’esistenza dell’esercito segreto P 26 in Svizzera, esiste anche un rapporto del Parlamento, nel novembre 1990. Dunque, quest’eserciti clandestini, che avevano conservato esplosivi nei loro nascondigli ovunque in Svizzera, sono state sciolte. Ma, negli altri paesi, non si sa nulla. In Francia, mentre il presidente François Mitterrand aveva affermato che tutto ciò apparteneva al passato, si è appreso successivamente che queste strutture segrete erano sempre attive quando Giulio Andreotti ha lasciato intendere che il presidente francese mentiva: "Voi dite che gli eserciti segreti non esistono più; ma, nel corso della riunione segreta dell’autunno 1990, anche voi francesi eravate presenti; non avete detto che ciò non esiste più".
Mitterrand fu molto contrariato con Andreotti poiché, dopo questa rivelazione, egli dovette rettificare la sua dichiarazione. Più tardi l’ex direttore dei servizi segreti francesi, l’ammiraglio Pierre Lacoste, ha confermato che questi eserciti segreti esistevano anche in Francia, e che anche la Francia aveva avuto delle implicazioni in attentati terroristici [10].
È dunque difficile dire se tutto è passato. E, anche se le strutture Gladio sono state sciolte, potrebbero avere create delle nuove pur continuando a utilizzare la tecnica della strategia della tensione e del “False flag”.

Silvia Cattori: Si può pensare che, dopo il crollo dell’URSS, gli Stati Uniti e la NATO abbiano continuato a sviluppare la strategia della tensione e “False flag” su altri fronti?

Daniele Ganser: Le mie ricerche si sono concentrate sul periodo della guerra fredda in Europa. Ma si sa che ci sono state altrove delle “False flag” dove la responsabilità degli stati è stata provata. Esempio: gli attentati, nel 1953, in Iran, inizialmente attribuiti a comunisti iraniani. Ma, è risultato che la CIA e il MI6 si sono serviti di agenti provocatori per orchestrare la caduta del governo Mohammed Mossadeq, questo nel quadro della guerra per il controllo del petrolio. Altro esempio: gli attentati, nel 1954, in Egitto, che si erano inizialmente attribuiti ai musulmani. Si è provato successivamente che, nell’affare chiamato Lavon [11], sono stati agenti del Mossad gli autori. Qui, si trattava per Israele di ottenere che le truppe britanniche non lasciassero l’Egitto ma vi rimanessero, per garantire la protezione di Israele.
Così, abbiamo esempi storici che dimostrano che la strategia della tensione e la “False flag” sono state utilizzate dagli USA, la Gran Bretagna e Israele. Ci occorre ancora proseguire le ricerche in questi settori, poiché, nella loro storia, altri paesi hanno utilizzato la medesima strategia.

Silvia Cattori: Queste strutture clandestine della NATO, create dopo la Seconda Guerra Mondiale, sotto l’impulso degli Stati Uniti, per dotare i paesi europei di un esercito capace di resistere ad un’invasione sovietica, sono serviti soltanto per condurre operazioni criminali contro cittadini europei? Tutto porta a pensare che gli Stati Uniti guardavano a qualcosa d’altro!

Daniele Ganser: Avete ragione a sollevare la questione. Gli Stati Uniti erano interessati al controllo politico. Questo controllo politico è un elemento essenziale per la strategia di Washington e di Londra. Il generale Geraldo Serravalle, capo di Gladio, la rete italiana Stay-behind, lo spiega nel suo libro. Egli racconta che ha compreso che gli Stati Uniti non erano interessati dalla preparazione di una guerriglia in caso d’invasione sovietica, quando ha visto che, cosa che interessava agli agenti dell’CIA, che assistevano alle esercitazioni d’addestramento dell’esercito segreto che dirigeva, era di assicurarsi che questo esercito funzionasse in modo da controllare le azioni dei militanti comunisti.
Il loro timore era l’arrivo dei comunisti al potere in paesi come la Grecia , l’Italia, Francia. Ecco a cosa doveva servire la strategia della tensione: orientare ed influenzare la politica di alcuni paesi dell’Europa dell’Ovest.

Silvia Cattori: Avete parlato dell’elemento emozionale come fattore importante nella strategia della tensione. Dunque, il terrore, la cui origine resta sfocata, dubbia, la paura che provoca, serve a manipolare l’opinione pubblica. Non si assiste oggi agli stessi metodi? Ieri, si utilizzava la paura del comunismo, oggi non si utilizza la paura dell’islam?

Daniele Ganser: Sì, c’è un parallelo nettissimo. In occasione dei preparativi della guerra contro l’Iraq, si è detto che Saddam Hussein possedeva armi biologiche, che c’era un legame tra il Iraq e gli attentati dell’11 settembre, o che c’era un legame tra l’Iraq e i terroristi di Al Qaida. Ma tutto ciò non era vero. Con queste menzogne, si voleva fare credere al mondo che i musulmani volevano spargere il terrorismo ovunque, che questa guerra era necessaria per combattere il terrore. Ma, la vera ragione della guerra è il controllo delle risorse energetiche. A causa della geologia, le ricchezze di gas e petrolio si concentrano nei paesi musulmani. Quello che vogliono accaparrarsi, deve nascondersi dietro questo tipo di manipolazioni.
Ora non si può dire che non c’è più molto petrolio poiché il massimo della produzione globale - "picco di petrolio" [12] - si verificherà probabilmente prima del 2020 e che occorre dunque andare a prendere il petrolio in Iraq, perché la gente direbbe che non occorre uccidere bambini per questo. Ed hanno ragione. Non si può nemmeno dire che, nel Mar Caspio, ci sono riserve enormi e che si vuole creare una conduttura verso l’oceano indiano ma che, siccome non si può passare per l’Iran al sud, né passare per la Russia al nord, occorre passare per l’est, il Turkmenistan e l’Afghanistan, e dunque, occorre controllare questo paese.
È per questo che si definiscono i musulmani come "terroristi". Sono grandi menzogne, ma se si ripete mille volte che i musulmani sono "terroristi", la gente finirà per crederlo e per accettare che queste guerre antimusulmane sono utili; dimenticando che ci sono molte forme di terrorismo, che la violenza non è per forza una specialità musulmana.

Silvia Cattori: Insomma, queste strutture clandestine sono state sciolte, ma la strategia della tensione ha potuto continuare?

Daniele Ganser: È esatto. Possono avere sciolto le strutture, e averne formato delle nuove. È importante spiegare come, nella strategia della tensione, la tattica e la manipolazione funzionano. Tutto ciò non è legale. Ma, per gli Stati, è più facile manipolare persone che dire loro che si cerca di mettere le mani sul petrolio di altri. Tuttavia, tutti gli attentati non derivano dalla strategia della tensione. Ma è difficile sapere quali sono gli attentati manipolati. Anche coloro che sanno che la maggioranza deli attentati sono manipolati da Stati per screditare un nemico politico, possono scontrarsi con un ostacolo psicologico. Dopo ogni attentato, la gente ha paura, è confusa. È molto difficile farsi all’idea che la strategia della tensione, la strategia del “False flag”, è una realtà. È più semplice accettare la manipolazione e dirsi: "Da trenta anni mi tengo informato e non ho mai sentito parlare di questi eserciti criminali. I musulmani ci attaccano, è per questo che si combatte".

Silvia Cattori: Fin dal 2001, l ’Unione europea ha instaurato misure antiterroriste. È sembrato in seguito che queste misure hanno permesso alla CIA di rapire gente, di trasportarli in luoghi segreti per torturarli. Gli Stati europei non sono diventati un po’ ostaggi e sottomessi agli Stati Uniti?

Daniele Ganser: Gli stati europei hanno avuto un atteggiamento abbastanza debole in relazione agli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Dopo avere affermato che le prigioni segrete erano illegali, hanno lasciato fare. Stessa cosa con i prigionieri di Guantanamo. Delle voci si sono alzate in Europa per dire: "non si possono privare i prigionieri della difesa di un avvocato". Quando la signora Angela Merkel ha evocato la questione, gli Stati Uniti hanno chiaramente lasciato intendere che la Germania è stata un po’ implicata in Iraq, che i suoi servizi segreti avevano contribuito a preparare la guerra, dunque dovevano tacersi.

Silvia Cattori: In questo contesto, in cui ci sono ancora molte zone d’ombra, quale sicurezza può portare la NATO al popolo che presumibilmente dovrebbe proteggere se permette a servizi segreti di manipolare?

Daniele Ganser: Per quanto riguarda gli attentati terroristici manipolati dagli eserciti segreti della rete Gladio durante la guerra fredda, è importante potere determinare chiaramente qual è l’implicazione reale della NATO là dentro, di sapere ciò che è realmente avvenuto. Si trattava di atti isolati o di atti organizzati segretamente dalla NATO? Fino ad oggi, la NATO ha rifiutato di parlare della strategia della tensione e del terrorismo durante la guerra fredda, rifiuta ogni questione che riguarda Gladio. Oggi, ci si serve della NATO come un’una armata offensiva, mentre quest’organizzazione non è stata creata per svolgere questo ruolo. E’ stata attivato in questo senso, il 12 settembre 2001, immediatamente dopo gli attentati di New York. I dirigenti della NATO affermano che la ragione della loro partecipazione alla guerra contro gli Afgani è di combattere il terrorismo. Ma, la NATO rischia di perdere questa guerra. Ci sarà, allora, una grande crisi, dibattiti. Che permetterà allora di sapere se la NATO conduce, come afferma, una guerra contro il terrorismo, o se ci si trova in una situazione simile a quella che si è conosciuta durante la guerra fredda, con l’esercito segreto Gladio, dove c’era un legame con il terrorismo. Gli anni futuri diranno se la NATO ha agito esternamente alla missione per la quale è stata fondata: difendere i paesi europei e gli Stati Uniti in caso d’invasione sovietica, evento che non si è mai verificato. La NATO non è stata fondata per impadronirsi del petrolio o del gas dei paesi musulmani.

Silvia Cattori: Si potrebbe ancora comprendere come Israele, che ha interessi ad allargare i conflitti nei paesi arabi e musulmani, incoraggi gli Stati Uniti in questo senso. Ma non si vede quale può essere l’interesse degli stati europei ad impegnare truppe in guerre decise dal Pentagono, come in Afghanistan?

Daniele Ganser: Penso che l’Europa è confusa. Gli Stati Uniti sono in una posizione di forza, e gli europei hanno tendenza a pensare che la migliore cosa sia di collaborare con i più forti. Ma occorrerebbe riflettere un po’ di più. I parlamentari europei cedono facilmente alla pressione degli Stati Uniti che richiedono sempre più truppe su questo o quel fronte. Più i paesi europei cedono, più si sottomettono, e più si troveranno con problemi sempre più grandi. In Afghanistan, i tedeschi e i britannici sono sotto comando dell’esercito statunitense.
Strategicamente, non è una posizione interessante per questi paesi.
Ora, gli Stati Uniti hanno chiesto ai tedeschi di impegnare i loro soldati anche al sud dell’Afghanistan, nelle zone in cui la battaglia è più cruenta. Se i tedeschi accetteranno, rischiano di farsi massacrare dalle forze afgane che rifiutano la presenza di qualsiasi occupante. La Germania dovrebbe seriamente chiedersi se non fosse il caso di ritirare i suoi 3000 soldati di Afghanistan. Ma, per i tedeschi, disubbidire agli ordini degli Stati Uniti, di cui sono un po’ vassalli, è un passo difficile da fare.

Silvia Cattori: Cosa sanno le autorità che ci governano oggi della strategia della tensione? Possono continuare come ciò a lasciare guerrafondai fomentare colpi di Stato, rapire e torturare gente senza reagire? Hanno ancora i mezzi per impedire queste attività criminali?

Daniele Ganser: Non so. Come storico, osservo, prendo nota. Come consigliere politico, dico sempre che non occorre cedere alle manipolazioni che mirano a suscitare la paura e fare credere che i "terroristi" siano sempre i musulmani; dico che si tratta di una lotta per il controllo delle risorse energetiche; che occorre trovare mezzi per sopravvivere alla penuria energetica senza andare nel senso della militarizzazione. Non si possono risolvere i problemi in questo modo; li peggiorano.

Silvia Cattori: Quando si osserva la diabolizzazione degli Arabi e dei musulmani a partire dal conflitto israeliano-palestinese, ci si dice che ciò non ha nulla a che vedere con il petrolio.

Daniele Ganser: Sì, in questo caso sì. Ma, nella prospettiva degli Stati Uniti, si tratta di una lotta per prendere il controllo delle riserve energetiche del blocco eurasiatico che si situa in questa "ellisse strategico" che va dall’Azerbaigian passando per il Turkmenistan ed il Kazachistan, fino all’Arabia Saudita, Iraq, Kuwait e Golfo Persico.
È precisamente là, in questa regione in cui si svolgono le pretese guerre "contro il terrorismo", che si concentrano le importanti riserve in petrolio e gas. Secondo me, non si tratta di altra cosa che di una sfida geostrategica dentro la quale l’Unione europea può soltanto perdere. Poiché, se gli Stati Uniti prendono il controllo di quelle risorse, e la crisi energetica peggiora, diranno: "volete gas, volete petrolio, molto bene, in cambio vogliamo questo e quello". Gli Stati Uniti non daranno gratuitamente il petrolio ed il gas ai paesi europei. Poche persone sanno che il "picco del petrolio", il massimo della produzione, è stato già raggiunto nel mare del Nord e che, quindi, la produzione del petrolio in Europa - la produzione della Norvegia e della Gran Bretagna - è in declino. Il giorno che la gente si renderà conto che queste guerre "contro il terrorismo" sono manipolate, e che le accuse contro i musulmani sono, in parte, della propaganda, rimarranno sorpresi. Gli Stati europei devono svegliarsi e comprendere infine come la strategia della tensione funziona. E devono anche iniziare a dire no agli Stati Uniti. Inoltre, negli Stati Uniti anche, c’è molta gente che non vuole questa militarizzazione delle relazioni internazionali.

Silvia Cattori: Avete anche fatto ricerche sugli attentati dell’11 settembre 2001 e scritto un libro [13] con altri intellettuali che si preoccupano delle incoerenze e delle contraddizioni nella versione ufficiale di questi eventi come le conclusioni della Commissione d’indagine delegata da Mister Bush? Non temete di essere accusati di "teoria del complotto"?

Daniele Ganser: I miei studenti e altra persone mi hanno sempre chiesto: se questa "guerra contro il terrorismo" riguarda realmente il petrolio ed il gas, gli attentati dell’11 settembre non sono stati anch’essi manipolati? O è una coincidenza, che i musulmani di Osama bin Laden abbiano colpito esattamente nel momento in cui i paesi occidentali iniziavano a capire che una crisi del petrolio si annunciava? Ho dunque iniziato ad interessarmi a ciò che era stato scritto sull’11 settembre ed a studiare anche la relazione ufficiale che presentata nel giugno 2004. Quando ci si immerge in quest’argomento, ci si accorge di primo acchito che c’è un grande dibattito planetario attorno a ciò che è realmente avvenuto l’11 settembre 2001. L ’informazione che abbiamo non è precisa. Quello che chiede precisazione nel rapporto di 600 pagine è che la terzo torre che è crollata quel giorno, non è neppure citata. La Commissione parla soltanto del crollo delle due torri, "Twin Towers". Mentre c’è una terza torre, alta 170 metri , che è crollata; la torre si chiamava WTC 7. Si parla di un piccolo incendio in quel caso. Ho parlato con i professori che conoscono perfettamente la struttura degli edifici; dicono che un piccolo incendio non può distruggere una struttura di una simile dimensione. La storia ufficiale sull’11 settembre, le conclusioni della commissione, non sono credibili. Questa mancanza di chiarezza mette i ricercatori in una situazione molto difficile. La confusione regna anche su ciò che è realmente avvenuto al Pentagono. Sulle fotografie che abbiamo è difficile vedere un aereo. Non si vede come un aereo possa essere caduto là.

Silvia Cattori: Il Parlamento del Venezuela ha chiesto agli Stati Uniti di avanzare ulteriori spiegazioni per chiarire l’origine di quegli attentati. Ciò non dovrebbe essere un esempio da seguire?

Daniele Ganser: Ci sono molte incertezze sull’11 settembre. I parlamentari, gli universitari, i cittadini possono chiedere conto su ciò che è realmente avvenuto. Penso sia importante continuare ad interrogarsi. È un evento che nessuno può dimenticare; ciascuno si ricorda dove si trovava in quel momento preciso. È incredibile che, cinque anni più tardi, non si sia ancora arrivati a vedere chiaro.

Silvia Cattori: Si direbbe che nessuno voglia rimettere in discussione la versione ufficiale. Si sarebbero lasciati manipolare con la disinformazione organizzata da strateghi della tensione e False flag? Daniele Ganser: Si è manipolabile se si ha paura; paura di perdere il proprio lavoro, paura di perdere il rispetto della gente. Non si può uscire da questa spirale di violenza e di terrore se ci si lascia manipolare dalla paura. È normale avere paura, ma occorre parlare apertamente di questa paura e delle manipolazioni che la generano. Nessuno può sfuggire alle loro conseguenze. Ciò è tanto più grave in quanto i responsabili politici agiscono spesso sotto l’effetto di questa paura. Occorre trovare la forza di dire: "Sì ho paura di sapere che queste menzogne fanno soffrire la gente; sì ho paura di pensare che non ci sia più molto petrolio; sì ho paura di pensare che questo terrorismo di cui si parla è la conseguenza di manipolazioni, ma non mi lascerò intimidire".

Silvia Cattori: Fino a che punto paesi come la Svizzera partecipano, attualmente, alla strategia della tensione?

Daniele Ganser: Penso che non ci sia strategia della tensione in Svizzera. Questo paese non conosce attentati terroristici. Ma, la cosa vera è che, in Svizzera come altrove, è che i politici che temono gli Stati Uniti, le loro posizioni di forza, tendono a dire: sono buoni amici, non abbiamo interesse a batterci con loro.

Silvia Cattori: Questo modo di pensare e coprire le menzogne che derivano dalla strategia della tensione, non rendono tutti complici dei crimini che comporta? A cominciare dai giornalisti e partiti politici?

Daniele Ganser: Penso, personalmente, che tutti i giornalisti, universitari, politici devono riflettere sulle implicazioni della strategia della tensione e del “False flag”. Noi siamo evidentemente in presenza di fenomeni che sfuggono a qualsiasi comprensione. È per questo che, ogni volta che ci sono attentati terroristici, occorre interrogarsi e cercare di comprendere cosa si nasconde dietro. È soltanto il giorno in cui si ammetterà ufficialmente che le False flag sono una realtà, che si potrà stabilire una lista delle False flag che hanno avuto luogo nella storia e mettersi d’accordo su ciò che occorrerà fare.
La ricerca della pace è il tema che m’interessa. È importante aprire il dibattito sulla strategia della tensione e prendere atto che si tratta di un fenomeno reale. Fintantoché non si accetterà di riconoscere la sua esistenza, non si potrà agire. È per questo che è importante spiegare quello che la strategia della tensione significa realmente. E, una volta compreso, non di lasciarsi prendere dalla paura e odio contro un gruppo. _ Bisogno dire che non è soltanto un paese implicato; che non sono soltanto gli Stati Uniti, Italia, Israele o gli iraniani, ma che questo si produce ovunque, anche se alcuni paesi vi partecipano in modo più intenso di altri. Occorre comprendere, senza accusare tale paese o tale persona. Il timore e l’odio non aiutano ad avanzare ma paralizzano il dibattito. Vedo molti accuse contro gli Stati Uniti, contro Israele, la Gran Bretagna , o alternativamente, contro l’Iran, la Siria. Ma la ricerca della pace insegna che non occorre abbandonarsi a delle accuse basate sul nazionalismo, e che non serve né odio né paura; è più importante spiegare. Questa comprensione sarà benefica per noi tutti.

Silvia Cattori: Perché il vostro libro sugli eserciti segreti della NATO, pubblicato in inglese, tradotto in italiano, in turco, sloveno e presto in greco, non è pubblicato in francese?

Daniele Ganser: Non ho ancora trovato un editore in Francia. Se un editore è interessato a pubblicare il mio libro sarò felicissimo di vederlo tradotto in francese.


[1] Nato’s secret Armies : Terrorism in Western Europe par Daniele Gabnser, préface de John Prados. Frank Cass éd., 2005. ISBN 07146850032005

[2] C’est après l’attentat de Piazza Fontana à Milan en 1969 que l’expression stratégie de la tension a été entendue pour la première fois.

[3] False flag operations (opérations faux drapeaux) est l’expression utilisée pour désigner des actions terroristes, menées secrètement par des gouvernements ou des organisations, et que l’on fait apparaître comme ayant été menées par d’autres.

[4] « Stay-behind : les réseaux d’ingérence américains » par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 20 août 2001.

[5] Stay behind (qui veut dire : rester derrière en cas d’invasion soviétique) est le nom donné aux structures clandestines entraînées pour mener une guerre de partisans.

[6] Gladio désigne l’ensemble des armées secrètes européennes qui étaient sous la direction de la CIA.

[7] Président du Conseil des ministres, membre de la démocratie chrétienne.

[8] « Rapport Andreotti sur l’Opération Gladio » document du 26 février 1991, Bibliothèque du Réseau Voltaire.

[9] « 1980 : carnage à Bologne, 85 morts », Réseau Voltaire, 12 mars 2004.

[10] « La France autorise l’action des services US sur son territoire » par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 8 mars

[11] Affaire Lavon, du nom du ministre de la Défense israélien qui a dû démissionner quand le Mossad a été démasqué comme ayant trempé dans ces actes criminels

[12] Voir : « Odeurs de pétrole à la Maison-Blanche », Réseau Voltaire, 14 décembre 2001. « Les ombres du rapport Cheney » par Arthur Lepic, 30 mars 2004. « Le déplacement du pouvoir pétrolier » par Arthur Lepic, 10 mai 2004. « Dick Cheney, le pic pétrolier et le compte à rebours final » par Kjell Aleklett, 9 mars 2005.« L’adaptation économique à la raréfaction du pétrole » par Thierry Meyssan, 9 juin 2005.

[13] 9/11 American Empire : Intellectual speaks out, sous la direction de David Ray Griffin, Olive Branch Press, 2006

Da: http://www.voltairenet.org/article144711.html




NELLA UNIONE EUROPEA IL REVANSCISMO NAZISTA È "UN LEGITTIMO DIRITTO"


<< Barroso (...) ha commentato la decisione di Tallin di togliere un
monumento ai soldati sovietici della seconda guerra mondiale, che ha
fatto infuriare Mosca, come "un diritto di uno stato sovrano. Ma la
mia opinione è che certi provvedimenti, per quanto legittimi,
dovrebbero essere discussi". >>

( Repubblica online, 18 maggio 2007
http://www.repubblica.it/2007/05/sezioni/esteri/russia-ue-tensione/
putin-negoziati/putin-negoziati.html )


http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/7042/1/51/


Addio alle armi

14.05.2007    Da Tivat, Podgorica, scrive Andrea Rossini


L'Arsenale Sava Kovacevic, un tempo una delle più grandi basi della flotta jugoslava, chiude. E' stato acquistato da una società registrata alle Barbados che ne farà una baia per yacht di lusso. Il futuro della marina nel nuovo Montenegro: nostro reportage




All'ingresso della base il busto di pietra di Sava Kovacevic ha un'aria smarrita. Contadino del Montenegro, il 13 giugno del '43 morì nella gola della Sutjeska, portando inspiegabilmente alla vittoria i partigiani contro forze naziste dieci volte superiori. L'Arsenale di Tivat, nelle bocche di Cattaro, una delle più grandi basi della marina jugoslava, era dedicato a lui. Dal 3 giugno scorso però, proclamazione dell'indipendenza del Montenegro, molte cose stanno cambiando. La Serbia non ha più il mare e la piccola repubblica adriatica, che ha ereditato l'intera flotta jugoslava rimasta con Belgrado negli anni '90, ha deciso di mettere tutto in vendita. Compreso l'Arsenale Sava Kovacevic.
 

“A noi questa flotta non serve a niente”, mi confida in un perfetto italiano l'ambasciatore Ljubisa Perovic, vice ministro della Difesa del Montenegro. “La nostra intenzione strategica è il turismo. Ormai abbiamo ottimi rapporti con i nostri vicini. Sia noi che Croazia, Albania e Bosnia Erzegovina abbiamo un futuro comune nella Nato.” 

“Al momento dell'indipendenza avevamo oltre 60 navi” - continua il colonnello Cedomir Marinovic, dello Stato Maggiore delle Forze Armate. “Ci terremo solo un fregata, due cannoniere e le navi per la ricerca e il soccorso in mare. Una fregata l'abbiamo già venduta all'Egitto, ci sono negoziati con lo Sri Lanka... Ma i battelli più vecchi li distruggiamo, oppure li vendiamo ai privati, nelle aste pubbliche.”. 

Il gioiello di famiglia, l'Arsenale di Tivat, costruito dagli Asburgo nel 1889, se ne è già andato. L'ha comprato una società offshore registrata alle Barbados, la P.M. Securities, presieduta dal miliardario canadese Peter Munk. L'idea di Munk, sostenuta dall'ex premier Milo Djukanovic, che ha firmato il contratto con il miliardario, è quella di trasformare i 24 ettari della base in una marina per yacht di lusso. Insieme agli approdi per gli yacht nasceranno alberghi, campi da golf e infrastrutture per i super ricchi. La cifra totale degli investimenti previsti nell'area di Tivat dovrebbe raggiungere i 500 milioni nei prossimi 3 anni. Praticamente la metà del prodotto interno lordo del Montenegro. 

Per i lavoratori dell'Arsenale è iniziato il conto alla rovescia. Entro il mese di maggio saranno tutti licenziati. Sono rimasti in poco più di 400, degli oltre 2.000 che lavoravano qui negli anni '80. Ma non sembrano stracciarsi le vesti. Un alto ufficiale della Marina ci chiarisce informalmente i termini della questione: “Qui lavorano 476 persone. Dopo che la base passerà a Peter Munk, i lavoratori accederanno ad un programma sociale e avranno una liquidazione in denaro. 500 euro per ogni anno lavorato più 24 o 36 mensilità, e fondi per acquistare un appartamento”. 

Le liquidazioni non sono niente male per un paese il cui salario medio si aggira intorno ai 300 euro mensili. Quelli che sembrano meno entusiasti sono i militari. Anche loro, entro la fine di aprile, dovranno sgomberare il campo per gli yacht privati, e trasferire armi e bagagli nel porto di Bar. I tagli, per esercito e marina, sono consistenti: “Al momento dell'indipendenza avevamo 6.600 soldati, tra Brigata di Podgorica e Marina da Guerra”, ricorda ancora il colonnello Marinovic. “Dobbiamo ancora completare la nostra nuova strategia di difesa, ma in ogni caso contiamo di ridurre il numero delle truppe a circa 2.400 unità. La marina non avrà più di 400 uomini”. 

Il capitano di fregata Dragan Vujadinovic ci accompagna nell'Arsenale. Nato a Vukovar, è figlio di ufficiali. Il destino dei marinai in esubero ce lo spiega senza troppo entusiasmo: “Alcuni di noi hanno optato per entrare nell'esercito serbo. Altri, circa 800 persone, hanno perso il lavoro. Seguiranno un programma di riqualificazione per essere inseriti nel settore civile”. 

Saliamo sulla RF 33 “Kotor”. Delle 4 fregate lanciarazzi, questa è l'unica che resterà al Montenegro. “Però dobbiamo disarmare, sia i razzi antinave che quelli antisommergibile, è una decisione del governo. Dalle cannoniere invece rimuoviamo i grossi calibri. Continuiamo a diminuire e ridurre, non so cosa resterà della nostra Marina. Per il momento non c'è nulla di chiaro, siamo come sospesi a mezz'aria.” 

Accanto alla fregata c'è un vecchio yacht anni '70, di 35 metri. “Era lo yacht di Tito”, mi dice Dejan, il vicecomandante. “La Jadranka ha esattamente trent'anni, e Tito c'è salito 24 volte. Senza Jovanka [la moglie, ndr], nell'ultimo periodo non andavano molto d'accordo - ammicca. No, questo ce lo teniamo. E' per la ricerca e il soccorso in mare. E poi non c'è prezzo, era lo yacht del compagno Tito, capisci?” 

Sotto un grosso hangar c'è una delle motovedette lanciamissili che aspettano di essere consegnate alla marina egiziana. Ci lavorano operai e militari. “Dobbiamo finirla entro la fine di aprile”, mi spiega un lavoratore, “perché poi qui chiude tutto”. Al lavoro ci sono anche alcuni operai bosniaci. Erano lavoratori della Kosmos, di Banja Luka, una delle tante fabbriche d'armi della Bosnia Erzegovina. In Bosnia le cose non vanno molto bene, specie dopo che nel 2002 è emerso lo scandalo della vendita di armi all'Iraq in violazione dell'embargo, e la comunità internazionale ha bloccato tutte le fabbriche del settore. In attesa di tempi migliori, i lavoratori hanno ripreso a viaggiare nell'(ex) Paese, la loro competenza è sempre apprezzata. 

Vicino alla motovedetta c'è un sottomarino mezzo smontato: “Quelli li facciamo a pezzi e li rivendiamo come ferro vecchio”, mi dice Desimir, un marinaio croato. 

La Jugoslavia era uno dei pochi paesi al mondo a costruire sottomarini. Alla fonda ci sono due minisommergibili d'assalto e il gigantesco Sava 831, realizzato nei cantieri di Spalato alla fine degli anni '70. 830 tonnellate in superficie, 964 in immersione, è lungo più di 50 metri e scende a 300 metri di profondità. Il suo armamento comprende sei rampe lanciasiluri. Il portellone, sulla torretta, è chiuso con una catenella. In Italia non mi fiderei ad usarla per legarci la bici. Arriva un marinaio con la chiave, sale sullo scafo. Approfittando di un attimo di distrazione della nostra guida, mi avvicino timidamente: “Si può?”. Il militare mi squadra diffidente, poi fa segno di seguirlo: “Se ci tieni entra pure, tanto è in vendita pure questo. Occhio solo a dove metti i piedi”. 

Sasa si muove velocemente giù per la torretta del periscopio e nei corridoi del battello. Mentre accende e spegne i motori, racconta la vita di bordo mostrando le cuccette che accoglievano un turno di marinai mentre gli altri due erano al lavoro. Ciclo continuo. Lo spazio non è molto, e le brande sono dappertutto. Una proprio in mezzo ai lanciasiluri. C'è anche lo spazio per la pausa tabacco: “Quando eravamo sotto, questo era l'unico modo per fumare”, e mi fa il gesto della sigaretta accanto ai due polmoni che filtrano l'aria del diesel. Mi vien la claustrofobia solo a pensarci. Istriano, ha 45 anni. E' uno dei marinai croati che nel '91 avevano scelto di restare con la Jugoslavia. Per lui le prospettive non sono rosee. Une delle poche cose certe, infatti, è che la marina del Montenegro non avrà sommergibili. “Tra un mese e mezzo sono senza lavoro. Qui privatizzano tutto, questo diventa uno Stato privato. Ma di noi cosa ne sarà?” 

Al Ministero della Difesa, a Podgorica, mi confermano che i sommergibili sono tutti in vendita: “Li vendiamo per farli rottamare”, spiega il colonnello Marinovic. “Tre li abbiamo venduti alcune settimane fa, e in questo momento vengono smontati. Quelli che restano li mettiamo all'asta allo stesso modo. Il più caro è andato per 130.000 euro”. 

I sottomarini, in effetti, possono essere acquistati da chiunque. Anche da privati. Alla base mi dicono che uno dei tre, classe Sava, è stato portato via così com'era, con un rimorchiatore. L'acquirente sarebbe un cittadino turco. Il colonnello Marinovic ci tranquillizza: i tecnici dell'esercito provvederanno alla rottamazione in loco. Certo non deve essere stato facile per i marinai vederselo portare via così. Provo a chiedere al capitano Vujadinovic, ma non vuole commentare. Di fronte alle insistenze del giornalista ficcanaso (“Ma cosa se ne fa uno di un sommergibile?”) cede solo un attimo: “Quando l'abbiamo visto uscire ci siamo fatti il segno della croce”, mi dice tra i denti. E si segna. 

Nel nuovo Montenegro, che ha abolito la naja il 30 agosto scorso, ci sono solo militari professionisti. Dinanzi alla chiusura della base i sentimenti sono contrastanti. “Nostalgia, certo, per questo Arsenale – ci dice un alto ufficiale che preferisce restare anonimo. Qui c'è la tradizione, ma il nostro è un piccolo Stato, penso anch'io che il nostro futuro sia il turismo. Io ero un ufficiale dell'esercito della Jugoslavia, e ho un buon ricordo di quel paese. I miei amici e colleghi sono in Croazia, Slovenia, Bosnia, è chiaro che abbiamo nostalgia per quei tempi. Ma non posso cambiare niente, non posso cambiare la storia. Vorrei che quel grande paese esistesse ancora, ma non è andata così. Forse l'Europa ci aiuterà a fare in modo che di nuovo non ci siano confini tra di noi. Ma solo l'Europa può farlo, noi da soli non possiamo. Sono successe troppe cose”. 

Una delle cose è successa qui vicino. Il 6 dicembre del 1991 Dubrovnik, solo pochi chilometri a nord di Cattaro, è stata bombardata da navi che provenivano proprio dai porti montenegrini. Per quei fatti il Tribunale dell'Aja ha condannato a 7 anni di reclusione il generale serbo Miodrag Jokic. Ma il Montenegro ha sempre cercato di distanziarsi dalle responsabilità per la guerra con la Croazia, perché la piccola repubblica non aveva potere decisionale all'interno dell'Unione con la Serbia di Milosevic. Questa posizione sembra ormai essere stata definitivamente accettata dai politici di Zagabria, specie dopo la vittoria degli indipendentisti a Podgorica. Il presidente del parlamento croato, Vladimir Seks, si è appena recato in Montenegro con una nutrita schiera di imprenditori interessati a far decollare le relazioni commerciali tra i due paesi. Potrebbe essere proprio il mercato la chiave di volta per superare i dissapori degli anni passati. Meglio concentrarsi da subito sulle relazioni amichevoli. E sul business. Il futuro, da queste parti, assomiglia a Peter Munk. O all'oligarca russo del Chelsea, Roman Abramovic, che ha già comprato una specie di castello poco lontano dall'Arsenale. Chissà cosa sta pensando l'eroe di Sutjeska. 

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Autore: Fabio
Data e ora: 15.05.2007 09:20
Tutto in vendita

"Stavamo meglio prima". E' questo il commento che sento ormai molto spesso quando vado dai miei parenti in Croazia e in Bosnia Erzegovina. Prima c'era maggior assistenza sociale, sanitaria, scolastica. Prima anche chi non aveva grandi risorse poteva studiare all'università, fare carriera, crescere e lasciare qualcosa ai figli. Certo, non c'era l'indipendenza delle piccole patrie. C'era un partito unico. Ma il comunismo jugoslavo è sempre stato diverso da quello degli altri paesi dell'ex cortina di ferro e i suoi "sudditi" li faceva stare bene. Oltre a tenerli uniti e in pace. Chiaro che non erano tutte rose e fiori, ma era sicuramente meglio di quello che è successo con la guerra interetnica e dopo dieci anni di massacri e ruberie. Prima c'era almeno una specie di pudore dei soldi. Adesso non più. Adesso "l'imperativo categorico", come direbbe "er capoccione nostro", è arricchirsi. Soldi, soldi e ancora soldi. Questo è il pensiero della gente comune e anche degli Stati. Tutto comincia e finisce con quello. Normale, direte voi. Sarà, ma prima non era così. Adesso invece va bene tutto. E i gioielli di famiglia vengono sacrificati sull'altare del dio mercato. E non si parla solo della flotta del Montenegro. Ma anche delle industrie alimentari in Croazia, delle acque minerali in Bosnia Erzegovina e Serbia, degli hotel in Dalmazia e Montenegro. Arrivano i soldi. Evviva. Tutto si compra e si vende. Compresa la storia degli slavi del sud. Ma il prezzo è giusto?



LA VETRINA MIGLIORE


Di seguito alcune delle dichiarazioni rese dal Presidente della
Camera Fausto Bertinotti nel corso del suo viaggio in Libano/
Palestina/Israele, inizio di maggio 2007:


"E’ straordinario vedere un esercito che lavora per la pace, che crea
una cultura di pace e non fa solo la sua attività di interposizione"

"Parlare con i militari è una scuola che andrebbe fatta"

"Credo che tutti i politici, me compreso, prima di parlare dovrebbero
ascoltare i nostri militari perché capirebbero come si possono
portare la pace e la comprensione nel dialogo e nel rispetto di
situazioni e culture diverse" (in compagnia del Generale Graziano)

"Questa è la vetrina migliore del nostro Paese e il Paese dovrebbe
mettersi all’altezza di questa vetrina"

"E' importante ascoltare come questi militari siano capaci di parlare
di pace e di comprendere la situazione"

"Questo spiega come l'attività umanitaria sia intrecciata con la
presenza militare, che è una presenza di pace"

"Dopo Auschwitz l’esistenza di Israele è una realtà, ma anche un
luogo dello spirito" (davanti al Parlamento Palestinese)

"Il mondo ha bisogno di ponti su cui incontrarsi e non di muri che
impediscono di vedersi, ma non mi permetto di entrare nelle questioni
interne" (all’uscita dalla Chiesa della Natività di Betlemme)


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Afghanistan - 15.5.2007

Spese distruzione

Altri 25 milioni di euro per la guerra in Afghanistan.
Quanto i tagli alla scuola fatti da Prodi

Circa 25 milioni di euro. La stessa cifra che il governo Prodi ha
tagliato dai finanziamenti alla scuola pubblica per il corrente anno
scolastico, ora li investe per finanziare i rinforzi al contingente
militare italiano schierato in l’Afghanistan.
Il ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha annunciato davanti alle
commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato l’invio di otto carri
armati ‘Dardo’, cinque elicotteri da attacco A-129 ‘Mangusta’, dieci
blindati ‘Lince’ e 145 militari di equipaggio e supporto tecnico e
logistico. Costo complessivo, calcolato solo fino a fine anno: 25,9
milioni di euro. “La relativa copertura finanziaria – ha spiegato
Parisi – d’intesa con la Presidenza del Consiglio e con il ministero
dell’Economia e delle Finanze verrà apprestata in sede di adozione
del disegno di legge di assestamento del bilancio per l’anno 2007”.
I soldi per l’istruzione non ci sono, ma per la guerra si trovano.
Nonostante l’incontestabile natura bellica dei mezzi militari in
questione, Parisi ha rassicurato coloro che temono una deriva
belligerante della “missione di pace” italiana. “Gli equipaggiamenti
aggiuntivi – ha spiegato il ministro – non potrebbero consentire un
genere di missione differente da quella già adottata dal nostro
contingente in accordo con gli alleati della Nato. I nuovi mezzi
permetteranno però di migliorare le capacità di esplorazione, la
mobilità e la protezione, quindi la sicurezza attiva e passiva, delle
nostre truppe”.
Chi si ostina a pensare che carri armati, elicotteri da attacco e
blindati siano strumenti di guerra, si sbaglia. Parola di ministro.

Maso Notarianni

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=7950



www.resistenze.org - associazione e dintorni - forum di belgrado - italia - 15-05-07 

da Forum Belgrado - Italia
 

Manifesto Appello per i popoli del Kosovo Metohija, per una soluzione equa e conforme al Diritto Internazionale, contro i processi d’indipendenza e secessione unilaterali nel Kosovo Metohija
 
Verità e giustizia per dare un futuro di pace e progresso nella regione del Kosovo
 
Lanciamo questo manifesto appello facendo proprio l’invito giunto dal FORUM di Belgrado (che raccoglie eminenti personalità culturali e politiche della Serbia, ex Repubblica Federale Jugoslava) per informare e denunciare anche in Italia, circa i pericoli di nuove violente conflittualità e destabilizzazioni nei Balcani e in Europa, legate agli esiti dei negoziati a proposito della definizione dello Status futuro della provincia serba del Kosovo, cominciati a Vienna il 20 febbraio 2006. In particolare riguardo la rivendicazione, aperta e non negoziabile, dell’indipendenza e della formazione di un nuovo Stato da parte della leadership kosovara albanese, completamente dominata dalle forze secessioniste che già hanno avuto un ruolo primario nella martorizzazione di quella regione e dei popoli che la vivevano.
 
Dobbiamo ricordare i bombardamenti della Nato iniziati il 24 marzo 1999 e durati 78 giorni, la loro completa illegittimità ed illegalità (perché non solo violarono la Carta dell’ONU, ma anche gli stessi statuti fondativi dell’Alleanza Atlantica, oltre all’Art. 11 della Costituzione italiana) e la conseguente occupazione militare della regione dopo il 10 giugno, a seguito dell’evacuazione dell’esercito della Repubblica Federale Jugoslava.
 
Dobbiamo ricordare che quella che fu definita un’operazione “umanitaria”, ha prodotto dei risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti e ormai riscontrabili anche nelle più famose testate giornalistiche internazionali.
 
Nonostante lo scatenamento di una guerra (che in un contesto di civiltà dovrebbe essere soltanto una “estrema ratio”), lo stanziamento di quello che è stato il più imponente investimento economico dell’Unione Europea verso l’estero (fino ad oggi 4 miliardi e 800 milioni di euro), senza contare il mantenimento delle decine di migliaia di soldati della Nato avvicendatisi in questi anni (di cui 2.800 italiani) ed il lavoro delle più potenti diplomazie e lobbies economiche internazionali,
 
questi sono i risultati:
 
• quasi 300.000 mila profughi di tutte le etnie, ma nella stragrande maggioranza serbi e rom, scacciati dalla loro terra;
 
• più di 3.000 casi di desaparecidos (di cui 1.300 già dati per morti) denunciati all’ONU, rapiti e assassinati dal marzo ’99 ad oggi;
 
• quasi 100.000 persone che vivono in poche decine di enclavi, sopravvissute alle violenze e alla pulizia etnica dei secessionisti albanesi, veri e propri campi di concentramento a cielo aperto, di fatto, in un regime di apartheid in Europa;
 
• centinaia di migliaia di case bruciate e distrutte;
 
• 148 monasteri e luoghi di culto ortodosso, distrutti o danneggiati dalle forze criminali dell’UCK;
 
• il Kosovo è oggi indicato dalla stessa DEA (Agenzia Antidroga USA) come un narcostato nel cuore dell’Europa; questa regione è indicata da tutti gli esperti investigativi occidentali, come il crocevia e lo snodo internazionale di tutti i traffici criminali, dalla droga alle armi, dalla prostituzione al traffico di organi. Lo stesso ex premier albanese kosovaro B. Bukoshi ha dichiarato al giornale tedesco Der Spiegel nell’intervista del 1 agosto 2004: “.. il nostro governo si basa, di fatto, su strutture mafiose…”.
 
E’ una regione senza più apparati produttivi, dove la disoccupazione degli stessi albanesi kosovari comprende i due terzi della popolazione; una regione completamente uranizzata dai bombardamenti umanitari e dove i dati sulle nascite di neonati malformi o i decessi per linfomi di Hodgkin, sono assolutamente top secret, ma basta parlare con sanitari del luogo per farsi un’idea della situazione reale.
 
Di tutte le promesse e gli obiettivi che furono sbandierati quasi otto anni fa, la realtà quotidiana d’oggi è illegalità e criminalità dispiegate, violazione dei più elementari diritti umani e civili, una forma di razzismo pianificato mediante sistematiche violenze e discriminazioni etniche nei confronti delle minoranze; una situazione di vero e proprio apartheid testimoniato dalle enclavi, dove decine di migliaia di uomini, donne e bambini vivono in condizioni subumane e di mera sopravvivenza fisica, senza lavoro, sanità, educazione, diritti.
 
La verità storica sotto gli occhi di tutti è una sola: l’operazione Kosovo, ha raggiunto gli obiettivi politici, militari e geostrategici della Nato e della cosiddetta comunità internazionale, ma è stato un totale fallimento per i popoli della regione.
 
Oggi, a distanza di sette anni sono iniziate le trattative per la definizione del futuro status della regione serba, de facto ancora un protettorato internazionale. La rivendicazione delle forze secessioniste kosovare albanesi dell’indipendenza come unico obiettivo non trattabile, è foriero di nuovi scenari di tensioni e squilibri internazionali, e di rischi d’ulteriori destabilizzazioni non solo nel Kosovo e nella Serbia, ma anche in Macedonia, Bosnia, Montenegro, Bulgaria e nella stessa Grecia settentrionale.
 
Essendo stato stabilito che dal 2006 il Kosovo sarà una delle priorità del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, stante i pericoli insiti nel dispiegarsi dei negoziati e degli indirizzi che essi prenderanno, riteniamo di lanciare quest’Appello, a partire da alcune considerazioni e valutazioni generali di fondo e proponendo alcuni obiettivi generali da portare avanti nel nostro paese.
 
Italia, Maggio 2007
Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia

 

Considerando e ritenendo che:

 

- nel XXI secolo l’esistenza di “enclavi etniche” nel Kosovo, vera e propria forma di apartheid, dentro un territorio amministrato dall’Onu è inaccettabile e vergognosa;

 

- tutte le forme di ingerenza e ricatto sistematico, politico, economico e militare, sono inaccettabili e producono ostacoli e problemi ad un negoziato costruttivo e risolutivo

 

- l’avallo ad un’indipendenza unilaterale del Kosovo, va considerata un’ulteriore violazione del Diritto internazionale e che solo una soluzione pacifica e concordata tra le parti, può dare prospettive di un futuro di sviluppo positivo della regione

 

-  l’eventuale riconoscimento internazionale di un microstato indipendente come il Kosovo, costringerebbe il Parlamento della Serbia (come già sancito) a dichiarare la provincia come “territorio occupato”, con le prevedibili conseguenze a tutti i livelli, non potendo accettare la creazione e l’amputazione di una parte della propria territorialità, all’interno dei propri confini

 

Noi sottoscritti porteremo avanti in tutte le istanze politiche istituzionali e della società civile italiana ed europea, le seguenti sollecitazioni circa la situazione e le prospettive della provincia del Kosovo Metohija, Serbia, per:

 

- una impostazione del negoziato tra le parti, strettamente fondato sulle norme del Diritto Internazionale, come concepito dalla Carta dell’ONU 

 

- il rispetto e l’applicazione della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e della Dichiarazione di Parigi dell’OSCE

 

- il diritto al ritorno ed alla riacquisizione dei propri beni e proprietà, dei 300.000 profughi e rifugiati di tutte le etnie scappati dal 1999 ad oggi. Con l’impegno da parte delle forze internazionali alla garanzia della vita e della sicurezza, oltre ai loro diritti umani, civili, politici e religiosi, insieme al ritorno di contingenti limitati dell’esercito e della polizia serbi, come stabilito nella Risoluzione 1244

 

- i risultati del negoziato per lo Status definitivo della provincia siano ispirati e fondati sul rispetto e gli interessi legittimi e storici, di tutte le componenti etniche che da sempre hanno abitato lì, in modo paritario e reciproco

 

- siano considerati inalienabili l’inviolabilità delle frontiere e l’integrità territoriale, come rispetto della sovranità nazionale della Serbia, intesa come stato sovrano; in modo da salvaguardarne i suoi interessi nazionali, come stato facente parte a pieno titolo delle Nazioni Unite

 

- sia tenuto conto e rispettata la stessa Costituzione della Serbia, che recita l’inviolabilità e inalienabilità del territorio statale. E sia riconosciuta soltanto alla volontà popolare la ratifica di eventuali modifiche statutarie, accettando che solo un Referendum tra i cittadini della Serbia, possa eventualmente accettare la modifica dei confini statali

 

- il rispetto e l’utilizzo nei negoziati di principi unici ed universalisti, validi in qualsiasi area geografica per la risoluzione di conflitti interetnici, in modo che le decisioni siano conformi ed interne alle norme del Diritto Internazionale

 

- l’avvio di un processo di “ riconciliazione nazionale” tra i popoli del Kosovo, utilizzando strumenti culturali, sociali e civili

 

- l’obiettivo finale deve essere il ripristino di una situazione di multietnicità, multiculturalità e multireligiosità

 

- l’impegno a richiedere al governo ed alle istituzioni italiane di non riconoscere o instaurare relazioni diplomatiche con una entità estranea ai principi del Diritto Internazionale e della Carta dell’ONU, quale sarebbe un eventuale stato indipendente del Kosovo

 

Per adesioni, informazioni e contatti:  sosyugoslavia@...
 
Primi firmatari
(Cognome, Città, Funzione)

Accame Falco, Roma, Ex parlamentare e Presidente ass. A.N.A.V.A.F.A.F.
Arcidiaco Franco, Reggio Calabria, Direttore rivista Altra Reggio
Bernardini Aldo, Roma, Docente Università di Teramo
Bocca Giorgio, Milano, Giornalista
Bulgarelli Mauro, Roma, Senatore
Caralis Giorgio, La Spezia, Direttore rivista Italia Ortodossa
Cararo Sergio, Roma, Direttore rivista Contropiano
Catone Andrea, Bari, Presidente ass. Most Za Beograd
Cernigoi Claudia, Trieste, Giornalista e ricercatrice storica
Chiesa Giulietto, Roma, Europarlamentare e giornalista
Dinucci Manlio, Pisa, Analista di questioni internazionali
Don Andrea Gallo, Genova, Comunità di S. Benedetto
Don Carbone, Genova, Rettore Santuario Minianego
D'Orsi Angelo, Torino, Docente Università di Torino
Francone Carla, Firenze, Direttrice rivista Nuova Unità
Giannini Fosco, Ancona, Senatore
Kersevan Alessandra, Udine, Ricercatrice storica
Lano Angela, Torino, Giornalista
Lenzi Mauro, Colle Val d'Elsa (Si), Consigliere comunale
Leoni Alessandro, Firenze, Direttivo Istituto Storico della Resistenza Toscana
Lo Surdo Domenico, Urbino, Docente Università di Urbino
Manes Sergio, Napoli, Presidente ass. La Città del Sole
Manetti Aldo, Firenze, Consigliere regionale
Moiola Paolo, Torino, Giornalista
Padre Ambrogio, Torino, Chiesa Ortodossa Torino
Palù Giorgio, Pordenone, Presidente Consumatori Coop Sacile
Pegolo Gianluigi, Pordenone, Deputato
Rossi Ferdinando, Ferrara, Senatore
Santopadre Marco, Roma, Direttore Radio Città Aperta
Tarozzi Alberto, Bologna, Docente Università di Bologna
Teti Nicola, Milano, Direttore rivista Calendario del Popolo
Toschi Marazzani Visconti Jean, Milano, Giornalista
Vasapollo Luciano, Roma, Docente Università di Roma
Vielmini Fabrizio, Torino, Giornalista
Vigna Enrico, Torino, Portavoce Forum Belgrado Italia
Zanella Luana, Venezia, Deputata



(Pochi giorni fa a Belgrado è stata commemorata la strage compiuta dagli aerei NATO il 7 maggio 1999. Quel giorno, un bombardamento mirato sull'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese causò tre vittime)


http://news.xinhuanet.com/english/2007-05/07/content_6067026.htm

Xinhua News Agency
May 7, 2007

Chinese reporters killed in NATO bombing 8 years ago commemorated


BELGRADE - Three Chinese journalists killed in the
U.S. - led NATO bombing of the Chinese embassy in
Belgrade eight years ago were commemorated at a
special ceremony Monday.

Shao Yunhuan of Xinhua along with Xu Xinghu and his
wife ZhuYing from the Beijing-based Guangming Daily
newspaper were killed in the missile attack, which
inflicted serious damage to the embassy buildings on
the evening of May 7, 1999.

The ceremony was attended by the Chinese ambassador to
Serbia, Li Guobang, and members of staff from the
embassy.

There was also a number of Belgrade-based Chinese
journalists, scholars and students, as well as various
representatives of Chinese companies at the event.

The guests laid wreaths and flowers at the ruins of
the former Chinese embassy.

The bombing aroused indignation in China and
condemnation from the international community.

China recalled its ambassador from Washington in
protest against the attack. 



http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=45&ItemID=12823


Setting the Stage for Turmoil in Caracas


Washington’s New Imperial Strategy In Venezuela

by Chris Carlson
May 15, 2007
Venezuelanalysis.com


First used in Serbia in 2000, Washington has now perfected a new imperial strategy to maintain their supremacy around the globe. Whereas military invasions and installing dictatorships have traditionally been the way to control foreign populations and keep them out of the way of business, the U.S. government has now developed a new strategy that is not so messy or brutal, and much more sleek; so sleek, in fact, that it’s almost invisible.


It was so invisible in Serbia that no one seemed to notice in 2000 when a regime was toppled, the country was opened to massive privatization, and huge public-sector industries, businesses, and natural resources fell into the hands of U.S. and multinational corporations. Likewise, few have noticed as countries in the former Soviet-bloc have recently been victims of the same strategy, with the exact same results.

 

Nations that do not give in to the demands of the empire and the expansion of global capitalism are targeted by an undercover, well-designed plan to change the political situation in the country, and open it up to corporate investors. U.S.-supported groups inside the country overthrow the president, making it seem like there is no outside intervention. And now, Washington has turned toward its new biggest threat: Latin America, and more specifically, Venezuela.

 

The Rise of the New World Order

 

During the second half of the twentieth century, capitalists in the first world began to saturate domestic opportunities for investment and growth. Big business reached a point where possibilities for expansion within national borders were mostly exhausted, and the only option for growth was to look for new opportunities abroad. Growing corporate conglomerates looked to expand their operations throughout the world, investing, privatizing, and buying up everything they could get their hands on. National capital was looking to go international, and by the end of the century, capitalism had become truly global.

 

"Get big, or get eaten," was their new philosophy, and they decided to get big by eating whole nations. With the help of the World Bank and the International Monetary Fund, economies everywhere were opened up to privatization. The phone systems, electrical grids, water systems, and natural resources were bought up by wealthy capitalists in countries around the world. Free-market capitalism now ruled the day; a paradise for international capital as the world’s wealth became more and more concentrated in their hands. [1]

 

Some nations, however, were determined to not be eaten. Privatization was an unpopular idea among populations who had developed the crazy idea that their natural resources belonged to them, and not foreign corporations. Resistance developed in several areas of the world, and some nations would not consent to the logic of global capitalism. Washington, however, was determined to open the world up to corporate expansion. They would oblige those countries that didn’t comply, either by force or by cunning.

 

The Case of Yugoslavia: A Model for Regime Change

 

It was in Yugoslavia, and more specifically, in Serbia, where Washington’s new strategy would really take shape for the first time. From here they would carry it on to other countries in an attempt to repeat the tremendous success of the Serbian experience. And it’s not hard to see why. After the toppling of the Milosevic regime allowed for mass privatization, all that remained of the formerly socialist country, including some of Europe’s largest reserves of natural resources, soon fell into the hands of U.S. and international investors.

 

The strategy is a sophisticated one. With the intention of ousting an undesirable regime, the U.S. government dedicates itself to strengthening and uniting opposition to the government. This includes funding opposition political parties, and creating non-governmental organizations dedicated to toppling the regime in power. On top of this, the U.S. might contract political consultants and polling agencies to help their favored candidate win at the ballot box. But in the event they cannot win the election, fake polls cast doubt on the official electoral results, and the opposition claims fraud. Massive protests and media attention put pressure on the regime to step down, or to give in to opposition demands. [2]

 

As implausible as it might sound, it was exactly this strategy that toppled Slobodan Milosevic in Serbia in 2000. After the war in Kosovo and NATO bombing had failed to produce regime change, the United States worked to strengthen Milosevic’s internal opponents by uniting them behind one candidate, Vojislav Kostunica, and pumping about $40 million into his election campaign. [3] U.S.-funded NGO’s and electoral consultants helped create a propaganda campaign surrounding the elections, and worked behind the scenes to help organize mass resistance to the Milosevic regime. [4] U.S.-trained “election helpers” were deployed around the country on election day to monitor results. The U.S. even provided young activists with thousands of cans of spray paint and campaign stickers to cover the country with anti-Milosevic slogans. [5]

 

According to official results of the first round elections neither candidate had won a majority of the vote, and so it would require a second round run-off.  But U.S. consultants published their own “exit polls” giving Kostunica a huge victory and Milosevic refused to recognize them. [6] The opposition claimed fraud and U.S.-backed groups staged acts of non-violent resistance to put pressure on the government. Armed groups stormed the Federal Assembly and the state television headquarters. [7] Massive protests and rebellion forced Milosevic to step down. There would be no second round election, and Washington’s candidate Vojislav Kostunica took power. The strategy had worked.

 

But why had the U.S. targeted Serbia, and, even more specifically, the small province of Kosovo? The answer goes back to the Reagan administration and a 1984 secret document on “US Policy towards Yugoslavia.” A censored version was revealed in 1990 advocating “expanded efforts to promote a ‘quiet revolution’ to overthrow Communist government and parties.” [8]

 

The US government had worked on dismantling and dividing the socialist Yugoslavia for years, supporting any and all independence movements within the individual provinces, including the 1999 military intervention to help the province of Kosovo break away. What was once a relative economic success under the famous Josip Tito, the socialist economy, based on socially-owned, worker-controlled companies, did not allow for foreign investment or US capital. This was a mortal sin in modern global capitalism. As Michael Parenti put it:

 

“Yugoslavia was the only country in Eastern Europe that would not dismantle its welfare state and public sector economy.  It was the only one that did not beg for entry into NATO.  It was - and what's left of it, still is - charting an independent course not in keeping with the New World Order.” [9]

 

Breaking up the country into smaller, dependent states and destroying their public-sector economy was the ultimate goal, and Milosevic, an admirer of socialist Tito, was the only thing standing in their way.

 

The rewards for their work were substantial. Once Milosevic was gone, one of the first actions taken by the new government was the to repeal the 1997 privatization law and allow 70% of a company to be sold to foreign investors. [10] In 2004 the UN Mission in Kosovo announced the privatization of 500 enterprises, and U.S. corporations came out the big winners. Phillip Morris bought up a $580 million tobacco factory, U.S. Steel got a $250 million deal on a steel producer, Coca-Cola grabbed a bottled water producer for $21 million, and the list goes on. [11]

 

In addition, western investors now had access to what the New York Times called the “war’s glittering prize,” the second largest coal reserves in Europe and large reserves of lead, zinc, gold, silver, and, even petroleum. [12] And the real gem was located in the province of Kosovo; the huge Trepca mine complex, valued at over $5 billion, now open to the highest bidder. [13]

 

The success of the strategy in Serbia was an important lesson for the Washington policy makers. They would repeat it several more times throughout Eastern Europe in places like Georgia (2003), the Ukraine (2004) Kyrgyzstan (2005), and Belarus (unsuccessfully in 2001). In what became known as the “Color Revolutions,” each U.S.-aided movement would remove a regime in exchange for one more favorable to the “free-market” policies promoted by Washington. [14] The preferred strategy for regime change became this new sort of non-violent resistance, and now the empire turned its gaze on South America, where a new threat to global capitalism had suddenly emerged.

 

The Problem of Venezuela

 

If the Trepca mine in Kosovo was the jackpot of the Serbian intervention, in Venezuela it is the state-owned oil company, PDVSA. Venezuela has some of the largest oil reserves in the world, possibly passing Saudi Arabia in total reserves if all heavy crude deposits are included. And it is PDVSA that dominates in Venezuela with a total monopoly over the nation’s oil resources. With a production capacity of 4 billion barrels per day, and a $65 billion yearly revenue, the company also possesses a network of more than 15 thousand gas stations in the United States including several refineries in both the U.S. and Europe making it the second largest company in all of Latin America. [15]

 

You can be sure that corporate investors would love to get their hands on the PDVSA company, along with other public sector companies in Venezuela. In fact, they were doing just that throughout the 1990’s.  By 1998, multinational corporations had already bought up the national phone company, the largest electricity company, and PDVSA was going through what they called an “opening” to international capital; a prettier way of saying privatization. [16]

 

But that same year, Hugo Chavez was elected president on an anti-imperialist platform, and the auctioning-off of Venezuela came to an abrupt halt. In fact, Hugo Chavez has become a real problem for the corporate imperialists and their servants in Washington. Not only has he stopped privatization, but he is reversing it by re-nationalizing all that was once privatized. The privatization of the state oil company is now prohibited by law, and his government has taken complete control of it, using it to finance the country’s development.

 

But what is even more worrying for Washington and their corporate sponsors is how this trend is spreading through Latin America. The Chavez government has built close ties to many of his neighbors, and many are following in his footsteps. Countries like Bolivia and Ecuador are taking greater control of their huge gas and oil reserves, leaving less room for the huge corporations that hoped to one day own them.

 

And so, just as they did in Serbia, Georgia, Ukraine and others, Washington has deployed its forces in Venezuela with the intention of getting rid of the Chavez menace. After trying many things over the years including a short-lived coup, electoral manipulation, and mass protests, Washington has not been able to topple the popular leader. But they haven’t given up.  To the contrary, they’ve actually just continued to increase their level of involvement.

 

Repeating the East European experience in Venezuela

 

The new imperial strategy includes something called “American Corners.” These “corners” are small offices set up by Washington throughout the target country that basically serve as mini-embassies. It is not completely clear what exactly these “corners” do, but inside you will find an array of information about the United States, including study abroad opportunities, English classes, and pro-U.S. propaganda. On top of this, the mini-embassies also organize events, trainings, and lectures for young students.

 

Interestingly, they seem to be very abundant in countries that Washington seeks to destabilize. The former Yugoslavian countries have a total of 22 American Corners, including 7 in Serbia. The Ukraine has 24, Belarus 11, Russia 30, even Iraq, with 11. By far the highest concentration of the “corners” is in Eastern Europe, where Washington has focused its destabilization efforts in recent years. [17]

 

There are at least 4 “American Corners” in Venezuela, the most for any Latin American country, and the U.S. also finances literally hundreds of organizations throughout the country to the tune of more than $5 million a year. [18] Together, these U.S.-funded organizations are working to implant the Eastern European experience in Venezuela. As reported by Reuters, the Venezuelan opposition is already learning the Serbian tactics to overthrow a regime from a retired U.S. army colonel named Robert Helvey.

 

“Helvey, who has taught young activists in Myanmar and Serbian students who helped topple the former Yugoslav leader Slobodan Milosevic in 2000, is giving courses on non-violent opposition tactics this week at an east Caracas university,” said the article. “Neither Helvey nor the organizers of the Caracas seminar would give details of exactly what opposition tactics were being taught. But in his work in Serbia before Milosevic’s fall, Helvey briefed students on ways to organize a strike and on how to undermine the authority of a dictatorial regime,” reported Reuters. [19]

 

And more recently, in the university city of Mérida, history professor from Texas, Neil Foley, hosted an event sponsored by the U.S. embassy and the Venezuelan-American Center (Cevam), not an official “American Corner” but serving the same purpose. Foley, who has also spoken in various “American Corners” in Serbia, gave speeches in both Bolivia and Venezuela on “American values.” [20]

 

I attended one of Foley’s speeches and, as expected, it was a complete pro-U.S. propaganda campaign imposed upon the university students. The professor gave exactly the message that the U.S. Embassy had paid him to give, speaking wonders about American society and “American democracy.” According to Foley, the United States solves all of its problems by tolerance for others and an all-inclusive “dialogue,” between opposing parties. And sending a clear hint to the Venezuelan students, Foley implied that any government that does not live up to these standards “must be overthrown.” [21]

 

All of these efforts come together into a nationwide campaign to unite, strengthen, and mobilize opposition to the democratically elected Chavez government. The ultimate goal, of course, is to destabilize the government by organizing and directing opposition groups to commit acts of peaceful resistance and mass protests. Just like they did in 2002, when the Venezuelan opposition groups staged massive protests that turned violent, and eventually led to the temporary overthrow of the Chavez government, the U.S.-financed campaign seeks to destabilize the government in any way they can, perhaps provoking violence for which they will later blame the government. [22]

 

Now nearly every element of the strategy used in Serbia and other Eastern European countries has been implemented in Venezuela as Washington directs and controls the campaign of the Venezuelan opposition. The same “electoral consultants” that were used in Serbia, the Washington-based Penn, Schoen and Berland, have also been used in Venezuela to publish fake exit polls in an effort to cast doubt on Venezuelan elections. This strategy of electoral manipulation was used during the 2004 recall referendum when the U.S.-funded NGO Sumate and the Penn, Schoen and Berland firm released false exit polls claiming that Chavez had lost the referendum. They did the same thing before the 2006 elections, claiming that Chavez’ opponent “clearly has the momentum.” [23] Both in 2004 and 2006 the fake polls would give credence to the opposition’s claims of fraud with the hope of producing massive protests against the government. The strategy mostly failed, but it did cast doubt on the legitimacy of the Chavez government and weakened its image internationally.

 

The destabilization attempts are taking form in a concrete way in the coming weeks in the form of huge anti-government protests in Caracas to reject the government’s actions against the private TV channel RCTV. Opposition groups have organized around the government decision, claiming that it steps on their “freedom of expression,” and have organized a series of large protests in the capital leading up to a massive march on May 27th, the day RCTV’s broadcast license expires.

 

All the private media have played a role in advertising and calling on viewers to attend the march to protest against the government.  All expectations are that there will be a huge turnout by both pro-government and anti-government groups, and the government has already warned of the possibility that violence could be used during the march in an attempt to blame the government and destabilize the regime. In the last few days, government intelligence found 5 sniper rifles in the hands of opposition groups as well as 144 Molotov cocktails in what appears to be evidence that there are plans for some sort of violence. [24] [25]

 

It was exactly this kind of protest in 2002 that led to dozens of deaths, hundreds wounded, and the temporary overthrow of the Chavez government. Private media channels like RCTV manipulated video footage to blame deaths on Chavez supporters, and condemned the government for human rights abuses. So this time government officials have called on pro-government activists to monitor the opposition protests with photos and video on May 27th and May 28th in order to avoid a situation similar to the 2002 coup.

 

If it had not been for huge pro-government protests after Chavez had been overthrown in 2002, Washington’s strategy might have already gotten rid of the popular president. But the strategy failed, and so the empire keeps trying. Just as they did in the Ukraine, Serbia, Georgia and others, the strategy requires getting a large number of people into the streets to protest against the government. Regardless of whether the government is popularly-supported or not, or democratically-elected or not, the opposition groups attempt to impose their will on the government by putting on the pressure.

 

What most protesters probably do not know is that they are simply pawns in a larger strategy to open up the world to “free-market” global capitalism and corporate-dominated privatizations.  While huge multinational corporations carve up the world among themselves, small nations like Serbia and Venezuela are simply unfortunate obstacles to their objectives. In the worldwide scramble to see who will get bigger, and who will get eaten, the fact that some countries would prefer not to be eaten simply doesn’t matter to the bureaucrats in Washington.

 

______________

 

1.  To read more about how the World Bank and IMF force privatization on poor countries, Third World Traveler has a large section devoted to the topic. http://www.thirdworldtraveler.com/IMF_WB/IMF_WB.html

 

2. Michael Barker has a 4 part series of articles on Znet that explain this strategy in further detail. http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?ItemID=10987

 

3. Michael A. Cohen and Maria Figueroa Küpçü, Privatizing Foreign Policy, World Policy Journal, Volume xXII, No 3, Fall 2005 http://worldpolicy.org/journal/articles/wpj05-3/cohen.html

 

4. Chulia, Sreeram. Democratisation, Colour Revolutions and the Role of the NGO’s: Catalysts or Saboteurs?, Global Research, December 25, 2005, http://www.globalresearch.ca/index.php?context=viewArticle&code=20051225&articleId=1638

 

5. Michael Dobbs, ‘US advice guided Milosevic opposition: political consultants helped Yugoslav opposition topple authoritarian leader’, The Washington Post, 11 December 2000, http://www.washingtonpost.com/ac2/wp-dyn?pagename=article&contentId=A18395-2000Dec3¬Found=true

 

6. Ian Traynor explains how opposition “exit polls” have been strategically used to weaken or overthrow regimes in Eastern Europe in his November 2004 article in The Guardian. “US campaign behind the turmoil in Kiev,” http://www.guardian.co.uk/ukraine/story/0,15569,1360236,00.html

 

7. Chris Marsden, “How the West organised Milosevic's downfall,” World Socialist Web Site, 13 October 2000, http://www.wsws.org/articles/2000/oct2000/yugo-o13_prn.shtml

8. Finley, Brooke.  “Remembering Yugoslavia: Managed News and Weapons of Mass Destruction,” from the book Censored 2005, Project Censored, Seven Stories Press, 2004.

 

9. Michael Parenti, The Media and Their Atrocities, You Are Being Lied To, pg. 53 , The Disinformation Company Ltd., 2001

 

10. Neil Clark, “The Spoils of Another War – NATO’s Kosovo Privatizations,” Znet, September 21, 2004, http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?ItemID=6275

 

11. Elise Hugus, “Eight Years After NATO’s “Humanitarian War” – Serbia’s new “third way”, Z Magazine, April 2007, Volume 20 Number 4, http://zmagsite.zmag.org/Apr2007/hugus0407.html

 

12. Hedges, C., "Kosovo War's Glittering Prize Rests Underground," New York Times, 08/08/98

 

13. Michel Chossudovsky, “Dismantling Former Yugoslavia, Recolonizing Bosnia-Herzegovina,” Global Research February 19, 2002, Covert Action Quarterly, Spring 1996-06-18, http://www.globalresearch.ca/index.php?context=viewArticle&code=MIC20020219&articleId=370

 

14. Jonathan Mowat, “Coup d’État in Disguise: Washingtons’s New World Order “Democratization” Template,” Global Research, February 9, 2005, http://www.globalresearch.ca/articles/MOW502A.html

 

 

16. Steve Ellner, The Politics of Privatization, NACLA Report on the Americas, 30 April 1998, http://www.hartford-hwp.com/archives/42/170.html

 

 

18. Jim McIlroy & Coral Wynter, “Eva Golinger: Washington's 'three fronts of attack' on Venezuela,” Green Left Weekly, 17 November 2006, http://www.greenleft.org.au/2006/691/35882

 

19. Pascal Fletcher, ”US democracy expert teaches Venezuelan opposition,” Reuters, April 30, 2003, http://www.burmalibrary.org/TinKyi/archives/2003-05/msg00000.html

 

20. On the web page of the U.S. Embassy in Bolivia it shows that Neil Foley gave a speech in La Paz, Bolivia for “U.S. Culture Week” the week before he was in Venezuela. http://www.megalink.com/USEMBLAPAZ/english/Pressrel2007En/0404-USweek-eng.pdf

 

21. From my personal notes of Mr. Foley’s speech at the University of the Andes in Merida, Venezuela on April 16, 2007

 

22. For the best, most detailed, account in English of the 2002 coup, read Gregory Wilpert’s recent article, “The 47-Hour Coup That Changed Everything,” www.venezuelanalysis.com/articles.php?artno=2018

 

23. See my previous article “Coup d’État in Venezuela: Made in the U.S.A. – The U.S.-designed Plan to Overthrow Hugo Chavez in the Days Following the Election,” Venezuelanalysis.com, November 22, 2006 www.venezuelanalysis.com/articles.php?artno=1884

 

24. President Chavez announced that his intelligence had infiltrated opposition groups and found a man belonging to an opposition group with 5 sniper rifles with silencers and scopes. “Chávez anuncia incautación armas vinculadas a complot en su contra,” Milenio.com, May 6th, 2007,  http://www.milenio.com/index.php/2007/05/05/65937/

 

25. Police in Los Teques, near Caracas, found 144 Molotov cocktails all ready to be used to “take them out to the street next week with the intention of disturbing the public order and for direct confrontation with authorities,” Prensa Latina, May 9, 2007, http://www.prensalatina.com.mx/article.asp?ID=%7BEEAA37C7-DE27-48EB-A23B-CDC19EAD2ADA%7D)

 

 

Chris Carlson is a freelance journalist and activist living in Venezuela. See his personal blog at: www.gringoinvenezuela.com



riceviamo e volentieri giriamo

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From:   miraglia    @...
Subject: Comunicato sulla campagna razzista di Repubblica
Date: May 11, 2007 1:56:58 AM GMT+02:00


COMUNICATO STAMPA

 

Cara Repubblica, perché alteri  i dati  per sostenere una tesi politica?

 

Da giorni uno dei principali quotidiani italiani alimenta
una preoccupante campagna stampa contro i migranti
 
Dichiarazione di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci
 
Da alcuni giorni è in atto, da parte di uno dei principali quotidiani italiani, un’offensiva culturale davvero preoccupante sul tema dell’immigrazione, ancora una volta affrontato come strettamente connesso a quello della sicurezza e dell’ordine pubblico.

 

Questo avviene a pochi giorni dal varo, da parte del Consiglio dei Ministri, di un Disegno di legge sostitutivo della Bossi-Fini, che ribalta l’impianto culturale e politico della destra, mettendo al centro il migrante come persona, con la sua storia e il suo bagaglio di diritti, oltre che di doveri.

 

Ed avviene mentre si concretizza il progetto di partito democratico e si apre la discussione sui contenuti che dovrebbero caratterizzare questo nuovo contenitore, contenuti su cui forse anche Repubblica vorrebbe esercitare un’influenza.

 

Ci sembra utile sottolineare il contesto in cui viene mossa quest’offensiva culturale, perché in qualche modo la rende ancora più preoccupante.

 

I fatti. Si parte con il grande spazio dato alla nazionalità e all’attività della ragazza che ha ucciso la povera Vanessa nella metropolitana di Roma. Si prosegue con la lettera in prima pagina dell’ormai famoso dipendente del Quirinale che lamenta come la maleducazione, i furtarelli, i comportamenti fastidiosi di migranti e rom rischino di far diventare lui, persona perbene e di sinistra, un razzista. Angius gli risponde rassicurandolo: si può continuare ad essere perbene e di sinistra e sì, provare fastidio per questi teppistelli stranieri. Si prosegue il giorno dopo con una lettera, sempre in prima pagina, di Veltroni che con tono rassicurante  spiega ai lettori che legalità e  sicurezza sono valori in sé, né di destra né di sinistra, e che sì, oltre a godere di diritti (quali?) i migranti devono rispettare i doveri.

 

Infine oggi, titolo di prima: “un reato su tre commesso da immigrati”. Salvo poi leggere i dati dell’indagine conoscitiva del Ministero degli Interni cui si fa riferimento nell’articolo, per scoprire che gli immigrati hanno rappresentato nel 2005 il 33,41 % del totale delle persone denunciate, denunciate, non condannate. Chiunque abbia un minimo di cultura giuridica sa che la denuncia è solo il primo atto di un procedimento giudiziario che può concludersi con l’assoluzione, l’archiviazione o la condanna. Presumerne automaticamente, come fa Repubblica, la colpevolezza è un’operazione di disinformazione, tanto più grave in quanto utilizzata per sostenere una tesi politica: e cioè che in Italia i migranti rappresentano un grave problema di sicurezza. Il che alla fine ci riporta alla lettera da cui siamo partiti: si può diventare razzisti perché ci si sente insicuri.

 

Insomma, un’operazione culturale e politica regressiva che respingiamo. Tanto più preoccupante in quanto avviene nel contesto di cui prima dicevamo e da parte di una testata di cui fin’ora avevamo apprezzato il rigore e l’onestà intellettuale, pur non condividendone sempre le opinioni. Ma una cosa è la normale dialettica tra punti di vista diversi, una cosa è montare una campagna di stampa che altera, in questo caso, la verità dei dati.

 

Roma, 10 maggio 2007

 

 

 

Filippo Miraglia
Responsabile Immigrazione ARCI
Via dei monti di pietralata 16
00151 Roma+
tel. +39.3484410860
e mail miraglia @ arci.it

 


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Caro direttore, dottor Augias, 

se persone anche di sinistra come il signor Polverini, si sentono così esasperati, fino al punto di  “chiedere aiuto” nel tentativo di soffocare le pulsioni razziste non più contenibili nel suo addomesticato corpo, è anche la dimostrazione di quanto sia radicato il processo di banalizzazione  della xenofobia e del razzismo. 
Ovviamente non sta a me definire la linea editoriale di Repubblica, tuttavia, vorrei sottolineare quanto la scelta di dare spazio in prima pagina ad un così imponente concentrato di stereotipi, luoghi comuni e generalizzazioni, testimoni quanto i media, anche quelli progressisti, si prestino ad essere strumenti di amplificazione di pregiudizi basati su episodi ai quali vengano dati carattere generale e di conferma, megafono di sentimenti e reazioni che fanno completa astrazione di elementi di contesto e diventano sentenza, come appunto le esternazioni del signor in questione.
Sono una donna nera, proveniente da un paese del profondo terzo mondo che da 17 anni vive in Italia, sarei quindi tentata a sfoderare un elenco interminabile di episodi, atteggiamenti, frasi, dalle quali potrei desumere che gli italiani sono tutti xenofobi o ancora di più, razzisti. So che la questione è più complessa e non esistono dei  blocchi monolitici per nazionalità, né per provenienza, né per “razza”, né per religione, né per orientamento sessuale: ci sono italiani come ci sono persone e a maggior ragione, ci sono immigrati come ci sono persone, con tutte le loro diversità in quanto individui e in quanto componenti delle diverse collettività. E questo essere individui e allo stesso tempo parte di uno o più collettivi non è di per sé un valore né un disvalore.
É l'etnicizzazione delle persone, e ancor di più, l'etnicizzazione dei fatti deplorevoli, il percorso che porta alle cristallizzazione del pregiudizio e quindi al razzismo. La caratteristica rilevante diventa la nazionalità o i tratti  fenotipici e il fatto acquisisce una nazionalità. Siamo sicuri che i fatti elencati nello sfogo del autore siano compiuti soltanto o prevalentemente da stranieri? Oppure la colpa di essere stranieri rende più visibili e inaccettabili i fatti di devianza e maleducazione segnalati?
Fino ad arrivare all'ultimo paragrafo, si direbbe che secondo il signor polverini, prima dell'avvento degli immigrazione l'Italia fosse una specie di giardino dell'innocenza.
Ho fatto un'intera gravidanza viaggiando in autobus in Toscana e non ho mai trovato una persona che si fosse alzata per cedermi il posto; mi sono vista maggiorare i prezzi in un bar centrale con il chiaro messaggio di allontanarmi per sempre, e mi fermo quà.
La questione più sconcertante del discorso alla “io non sono razzista ma...” del quale il giornale si è fatto veicolo, è il riferimento alla violenza degli stranieri nei confronti di donne italiane e straniere; sembra curioso che sfugga a questo signore, che più del 90% degli episodi di violenza che subiscono le donne avvengono in ambito familiare, parentale e degli amici e, che le aggressioni avvengono trasversalmente e indipendentemente della nazionalità, classe sociale, livello di istruzione. Un anno fa in Veneto, un uomo seppellì viva una giovane donna di 20 anni incinta di 9 mesi dopo averle inflitto violente percorse; dovrei dedurre che gli italiani, o i veneti sono massacratori di donne? Poco dopo un altro gettò sua moglie in un cassonetto della spazzatura avvolta in un sacchetto di plastica, questo è un tratto culturale degli italiani? La lista sarebbe lunghissima.
Vi ricordo tre fatti di cronaca troppo sferrati per essere compiuti da italiani, che avevano già indotto le folle a manifestare contro i barbari della violenza inaudita: 
la suora uccisa a Chiavenna, presumibilmente da stranieri. Poi si è scoperto si è scoperto che erano state due italianissime ragazze di buona famiglia.
il massacro di Novi Ligure, era partita la fiaccolata contro gli albanesi, prima di scoprire che a uccidere era stata la figlia e sorella delle vittime;
Erba, per quello lascio a voi gli aggettivi.

Vi siete chiesti come mai una ragazzina di 12 anni simula uno stupro e accusa un cittadino marocchino? Sa di essere credibile se è straniero il mostro che costruisce. 
Per quando riguarda il discorso sulla legalità, considerare la condizione di migrante come un'attenuante per giustificare atti di devianza è buonismo e paternalismo pericoloso; considerare però tale condizione un aggravante, è razzismo senza aggettivi. Non occorre un codice penale speciale, basta applicare le leggi a tutti con le stesse modalità.
Leggi e legalità ci riconducono tutti e tutte ad un universo amplio che, semplificando potremmo definire di doveri e di diritti. E se è un dovere non compiere reati e rapportarsi civilmente agli altri, è un diritto per chi ha scelto di vivere in Italia non dover tremare ogni volta che da un giornale o da una televisione si rinnova l'allarme immigrazione?

Mercedes Frias



Solidarnost sa Kubom

Posted by: "jugoslavbr"
Date: Sun May 13, 2007 3:44 pm ((PDT))

Poštovani prijatelji Kube,

Dok je u ime borbe protiv terorizma stotine hiljada ljudi poginulo u
Iraku i Avganistanu, a drugi su – sporno zatvoreni – muèeni u Abu
Graibu i Gvantanamu, vlada SAD štiti najnotornijeg teroristu ove
hemisfere, nastoji da prevari javni mnjenje neprestanim pseudo-
zakonitim manevrima i odbija da mu sudi za istinske zloèine.
Luis Posada Kariles je bio optužen i podvrgnut nezavršenom suðenju u
Venecueli za atentat iz 1976 g. na jedan civilni avion u kome je
poginulo 73 ljudi. Posle bekstva iz venecuelanskog zatvora 1982 g.,
radio je u službi CIAe na operaciji poznatoj kao «Iran-Kontra» i na
primeni genocidnog «Plana Kondor». Zatim je 1997 g. pripremio seriju
teroristièkih napada na havanske hotele – u jednom od njih je
izgubio život mladi italijanski turista, Fabio di Selmo -, a 2000 g.
pokušaj atentata na predsednika Fidela Kastra na Univerzitetu u
Panami.
Marta 2005 g. ilegalno je ušao u SAD. Tek posle više javnih prijava
koje su otkrivale prisustvo tog kriminalca na njihovoj teritoriji,
vlada Džordža V. Buša je preduzela njegovo hapšenje i optužila ga za
migracione prestupe i lažno svedoèenje, bez i najmanje aluzije na
terorizam.
Tretmanom datim Posadi Karilesu, amerièke vlasti, pod pritiskom
ekstremnih kubanskih grupa sa juga Floride, apsolutno su pokazale
dvostruki moral svog rata protiv terorizma u ime èega torturišu,
kidnapuju i bombarduju. Istovremeno, kao što su objavili brojni
meðunarodni forumi i agencije Ujedinjenih Nacija, pet kubanskih
antiteroristièkih aktivista nepravedno borave u zatvorima SAD,
podvrgnuti, zajedno sa svojim porodicama, surovom i
diskriminatorskom tretmanu.
Svi pošteni ljudi koji u svetu dižu svoj glas protiv rata i protiv
terorizma imaju pred sobom neoborivi dokaz nedostatka etike na èemu
zasniva svoje delovanje sadašnja administracija uz Vašingtona. Mi
dole potpisani zahtevamo da vlada SAD, ispunjavajuæi svoje
meðunarodne obaveze, optuži Luisa Posadu Karilesa za sve njegove
zloèine ili ispuni zahtev za ekstradiciju koji je uputila Venecuela,
koja do sada nije dobila nikakav odgovor.
Ni u Srbiji javnost neæe biti mirna veæ priprema odgovor ovakvim
dvoliènim potezima SAD. Pozivamo sve da se mobilišu i na
dostojanstven i glasan naèin daju punu podrèku Kubi, porodicama
žrtava terorizma i stave do znanja Vladi SAD da ne postoji kutak na
planeti u kome se ne diže glas protiv onih koji licemerno vode rat
protiv “terorizma” ubijajuæi nevine civile, a sa druge strane štite
one koji su nedvosmisleni nosioci i izvršioci najgrubljih akata
terorizma.
Srpsko-kubansko društvo prijateljstva i drugi prijatelji Kube
pripremaju za petak, 18. maj u Beogradu okupljanje u znak protesta
zbog puštanja na slobodu Posade Karilesa. Protest æe biti održan u
12 èasova najverovatnije ispred ambasade SAD.
Detaljnije informacije o mestu održavanja biæe poznate u utorak, 15.
maja.

Venceremos!
http://www.cuba-si.co.nr//
http://www.slobodazapetoricu.org

(Source: http://groups.yahoo.com/group/gmlyu/ )

Segnaliamo il Dossier curato da Curzio Bettio, contenente:

# Effettivamente, siamo a “Euromissili-II”
# L'Italia, in gran segreto, si pone sotto lo scudo Usa
# Scudo Usa, il governo ammette
# Pochi minuti per colpire, e l'Italia acconsente
con traduzioni, elaborazione e commenti di Curzio Bettio di Soccorso
Popolare di Padova

scaricabile dal nostro sito:
https://www.cnj.it/documentazione/Euromissili.doc

Per tutte le informazioni sulle iniziative contro il progetto di
"Scudo missilistico" rimandiamo al sito:
http://www.disarmiamoli.org

ed alla nostra pagina:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/DISARMIAMOLI.htm


(LE SEGNALAZIONI CHE CI SONO PERVENUTE SONO QUI RIPORTATE IN ORDINE CRONOLOGICO INVERSO. CNJ)


---


SUL SITO www.disarmiamoli.org puoi trovare:

Mappa: ECCO IL TRAGITTO DELLE TRE CAROVANE CONTRO LA GUERRA, PER IL DISARMO E LA PACE  -  IL TRACCIATO VERRA' AGGIORNATO DI GIORNO IN GIORNO CON LE INDICAZIONI DELLE VARIE REALTA' INTERESSATE AD OSPITARE UNA TAPPA: info@...  338/4014989


 
CONTO CORRENTE CAROVANA 

L'INDIPENDENZA HA UN COSTO.

Il CONTO CORRENTE è intestato a Patrizia Creati -Carovana contro la guerra - BANCA POPOLARE ETICA .FILIALE DI FIRENZE VIA DELL'AGNOLO 73R
n. 00000121080
N(CIN)-05018(ABI)-02800(CAB)

INVIATE IL VOSTRO CONTRIBUTO PER FAR VIAGGIARE LA CAROVANA CONTRO LA GUERRA!


LE TRE CAROVANE

REPORT RIUNIONE OPERATIVA E TAPPE DA NORD EST - NORD OVEST E SUD

 

INIZIATIVE IN ITALIA DI SOSTEGNO ALLA CAROVANA


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sempre sul sito www.disarmiamoli.org :

DICHIARAZIONE FINALE DELLA CONFERENZA INTERNAZIONALE CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELL'EUROPA

DOSSIER INFORMATIVO SULL'ACCORDO ITALIA / USA PER INSTALLARE LO "SCUDO" SUI NOSTRI TERRITORI

TESTO PETIZIONE POPOLARE - Fermare la nuova "frontiera bellica" sottoscritta dal governo Prodi contro i nostri territori  

LA CAROVANA CONTRO LA GUERRA / VERSANTE NORD-OVEST PARTECIPERA' ALLA MANIFESTAZIONE DI NOVARA

TAPPA EMILIANA DELLA CAROVANA CONTRO LA GUERRA, PER IL DISARMO E LA PACE


=== 8/5 ===


From:   disarmiamoli.bologna  @...
Subject: carovana contro laguerra tappa emiliano romagnola
Date: May 8, 2007 1:37:00 PM GMT+02:00

La carovana contro la guerra, per la pace e il disarmo attraverserà dal 
19 maggio al 2 giugno diverse regioni italiane, promuovendo 
manifestazioni, presidi, assemblee, azioni di resistenza, in favore 
della pace e contro la presenza delle basi militari USA e Nato.
La carovana si concluderà a Roma il 2 giugno, in preparazione del 
“benvenuto” a Bush.

Carovana contro la guerra per la pace e il disarmo

Farà tappa in Emilia Romagna

FORLI 26 MAGGIO 2007

MANIFESTAZIONE 
CORTEO

Concentramento alle ore 15.00 P.zza Saffi, Forlì

Con arrivo 
davanti alla caserma militare De Gennaro, via Emilia

La caserma italiana De Gennaro è sede del 66° reggimento 
Trieste, forza di intervento rapido della Nato e impegnato 
in tutte le missioni di guerra dal 1983 a oggi.

- PER IL RITIRO DELLE TRUPPE ITALIANE DA TUTTI I 
FRONTI DI GUERRA 
- PER LA RIMOZIONE DAL TERRITORIO ITALIANO DI TUTTI 
GLI ORDIGNI NUCLEARI E DELLE ARMI DI DISTRUZIONE 
DI MASSA
- PER LA CHIUSURA, LO SMANTELLAMENTO, LA BONIFICA 
E LA RICONVERSIONE AD USO ESCLUSIVAMENTE CIVILE 
DELLE BASI MILITARI USA E NATO
- PER LA PETIZIONE POPOLARE CONTRO L’ACCORDO 
ITALIA USA PER LO SCUDO MISSILISTICO

Coordinamento Emilia Romagna per la
CAROVANA CONTRO LA GUERRA PER LA 
PACE E IL DISARMO

Info:disarmiamoli.bologna  @...


=== 4/5 ===


Una nostra delegazione e' presente in questo momento alla International Conference on Demilitarisation: 'No to the US missile defence shield/ No to US and NATO Military bases in Europe" a Praga.

Di seguito l'intervento della delegazione della Rete nazionale Disarmiamoli! al congresso internazionale contro la militarizzazione - Praga 5 maggio 2007

 


Cari compagni e care compagne, parlo a nome della Rete nazionale Disarmiamoli!

 

Il movimento contro la guerra nel nostro paese sta attraversando un processo di profonda trasformazione, a causa dei mutamenti politici avvenuti recentemente  in Italia.

 

Oggi, dopo la sconfitta del governo Berlusconi, siamo di fronte ad un esecutivo di centro sinistra che ha portato nel Parlamento italiano molti tra coloro che rappresentavano quel movimento pacifista ma, purtroppo, tutte le decisioni prese in questi mesi contraddicono in maniera clamorosa le istanze e gli obiettivi del pacifismo.

 

Le scelte fatte dall'esecutivo Prodi sono sotto gli occhi di tutto il mondo:
la Legge Finanziaria 2007 ha aumentato del 13% le spese militari mettendo al centro dello sviluppo economico le industrie belliche. L'aumento di spesa militare sacrifica pesantemente il Welfare State, a partire dalla sanità, la scuola, l'Università, la ricerca e i diritti dei lavoratori.

 

La decisione di mantenere le truppe in Afghanistan, l'invio di oltre 2.000 soldati in Sud Libano a protezione di Israele, la permanenza delle truppe in Kosovo ed in altri 24 paesi vede una presenza militare italiana all'estero senza precedenti per quantità di uomini e mezzi.

 

La decisione di accettare l'insediamento di una nuova base USA a Vicenza, nonostante le grandi mobilitazioni popolari, che continuano tutt'oggi.

 

L'impegno del governo nella costruzione del jet da combattimento europeo Eurofighter.

La ratifica di un ulteriore accordo per l'ingresso dell'Italia nel business per la costruzione del bombardiere nucleare statunitense F35. Contro questo progetto si svolgerà il prossimo 19 maggio una manifestazione nazionale a Novara.

 

Il Presidente del Consiglio Prodi nei suoi incontri diplomatici all'estero ha assunto il ruolo di ambasciatore delle industrie di armi nazionali, come avvenuto recentemente in Giappone.

 

Ultima gravissima decisione l'accordo per l'ingresso dell'Italia nel cosiddetto "scudo antimissilistico" USA, di cui l'opinione pubblica italiana è ancora poco informata, a causa della segretezza con la quale nel febbraio scorso un anonimo rappresentante del governo Prodi ha firmato al Pentagono questo vergognoso accordo.

 

Negli ultimi mesi, contro queste scelte profondamente sbagliate, abbiamo gettato le basi per la costruzione di un nuovo movimento contro la guerra, indipendente e libero da ogni ambiguità nel rapporto con un governo guerrafondaio in politica estera e bellicista in politica interna.
La prima grande manifestazione del nuovo movimento è stata quella del 17 marzo a Roma, con oltre 30.000 persone presenti contro le tutte occupazioni militari, al fianco delle Resistenze dei popoli, contro le basi militari USA NATO.

 

La Rete nazionale Disarmiamoli! è  parte integrante del nuovo movimento contro la guerra. Il nostro obiettivo è quello di unire tutte le forze che nel nostro paese si battono contro le basi militari USA e NATO,  la militarizzazione dei territori e la logica da guerra interna che sta progressivamente condizionando la vita politica nazionale.

 

Con il congresso di oggi l'ipotesi di Rete può assumere le necessarie dimensioni europee, di fronte alla sfida del cosiddetto "scudo antimissilistico" voluto dagli USA e accettato da governi sottomessi.

Ci avevano raccontato che con il crollo del muro di Berlino la storia si sarebbe fermata, donandoci un'era di pace e prosperità. Niente di più falso!

 

Oggi tutti i popoli europei sono di fronte alle politiche reali di un unico sistema economico, politico e militare, che ripropone modelli apertamente antipopolari:  concorrenza sfrenata, privatizzazioni, precarietà nella vita e nel lavoro, super sfruttamento, furto delle materie prime,  guerre di rapina.

Le mobilitazioni di questi giorni nel vostro paese, in Polonia, in Italia ed in altri paesi europei ci dicono che è possibile costruire un nuovo fronte comune in grado di dire NO a queste politiche, verso un modello sociale che sarà in grado di emanciparsi dalle guerre se sarà capace di emanciparsi dallo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura.

 

La prossima campagna nella quale saremo impegnati è la Carovana nazionale contro la guerra, per il disarmo e la pace e la Petizione popolare contro lo scudo antimissilistico. La campagna è promossa dalla Rete Disarmiamoli e da altre organizzazioni come "Fermiamo chi scherza con  il fuoco atomico" e da "Semprecontrolaguerra".

 

In questi giorni decine di realtà, comitati ed associazioni stanno aderendo a questa nostra iniziativa.

La Carovana partirà il prossimo 19 maggio da tre basi presenti agli estremi del nostro paese per convergere su Roma, in attesa del Presidente degli Stati Uniti il 9 giugno, per il quale preparando un rumoroso comitato d'accoglienza.

 

Colgo l'occasione per invitare tutte le organizzazioni presenti a questo congresso, tutti i delegati a partecipare alla Carovana italiana contro la Guerra ed alla manifestazione del 9 giugno a Roma, contro il cow boy dell'apocalisse George Bush.

 

Vi ringrazio a nome della Rete nazionale Disarmiamoli! per l'invito a questo congresso e vi porto i saluti antimilitaristi ed internazionalisti del movimento contro la guerra italiano.

 

Cinzia della Porta, della Rete nazionale Disarmiamoli! - Italia


=== 27/4 ===


Abbiamo aggiornato in queste ore il sito  www.disarmiamoli.org con le informazioni inviateci dagli antimilitaristi cechi e polacchi. Nei prossimi giorni tradurremo le parti in inglese dei messaggi e degli appelli.

Da quelle realta' ci giungono sollecitazioni all'unita' di azione, a partire dalla prossima conferenza internazionale per la smilitarizzazione che si terra' a Praga.

Attraverso questi contatti abbiamo saputo che anche in Polonia l'idea della petizione popolare contro lo scudo antimissilistico sta marciando, come vedrete dalle foto sul nostro sito 

Si stanno creando le condizioni per il rilancio di un movimento europeo contro le nuove scelte belliciste dei governi.

Saluti antimilitaristi

La Rete nazionale Disarmiamoli!

 
=== 22/4 ===
In allegato vi inviamo la PETIZIONE POPOLARE

CONTRO L'ACCORDO USA/ITALIA CHE PREVEDE
UN NUOVO "SCUDO MISSILISTICO" SUI NOSTRI TERRITORI
PER UN USO SOCIALE E DI PACE DELLE RISORSE PUBBLICHE

La Petizione e' stata proposta dalla Rete nazionale Disarmiamoli all'incontro dello scorso 15 aprile a Bologna, durante il quale e' stata emendata e recepita come strumento della CAROVANA CONTRO LA GUERRA, PER LA PACE E IL DISARMO che partira' da Aviano, Novara e Sigonella/Comiso nelle prossime settimane.

Il testo della Petizione e' uscito sabato 21 aprile a pag. 2 de "Il Manifesto",contribuendo cosi' a diffondere nel paese l'informazione sulla campagna.
Vi chiediamo di costituire in ogni realta' COMITATI PROMOTORI a sostegno della Petizione popolare, in modo che la campagna contro questa ennesima, gravissima decisione assunta dall'attuale governo possa vivere prima, durante e dopo la CAROVANA.

saluti antimilitaristi e buon lavoro

La Rete nazionale Disarmiamoli
www.disarmiamoli.org 
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IL MODULO PER LA RACCOLTA DELLE FIRME SI PUÒ SCARICARE ANCHE DA QUI:
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PETIZIONE POPOLARE
ai sensi dell’art. 109 del regolamento della Camera dei Deputati

CONTRO L’ACCORDO USA/ITALIA CHE PREVEDE 
UN NUOVO “SCUDO MISSILISTICO” SUI NOSTRI TERRITORI

PER UN USO SOCIALE E DI PACE DELLE RISORSE PUBBLICHE

AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA  GIORGIO NAPOLITANO

AL PRESIDENTE DEL SENATO FRANCO MARINI

AL PRESIDENTE DELLA CAMERA FAUSTO BERTINOTTI

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ROMANO PRODI

Noi sottoscritti, cittadine e cittadini italiani:

Ritenendo che l’Accordo quadro tra il Governo degli Stati Uniti e il Governo italiano inerente la creazione di uno “scudo antimissilistico”, firmato lo scorso febbraio 2007 al Pentagono, ponga l'Italia in prima linea in un sistema le cui reali finalità non sono difensive ma offensive.

Valutando che questa decisione si inserisce in un già inquietante contesto di militarizzazione dei nostri territori, come si evince dalla volontà di costruire una nuova base militare USA a Vicenza, dal memorandum d'intesa con cui l'Italia si assume ulteriori impegni nel programma del caccia statunitense F-35 Lightning (Joint Strike Fighter), dall’aumento delle spese militari previsto nella Legge Finanziaria del 2007.

Ritenendo che questo processo inserisca ancora di più il nostro paese in una dinamica che ci vede coinvolti direttamente su vari fronti di guerra con le cosiddette “missioni di pace”,  e alimenti nella stessa Europa nuove tensioni, esponendo così i nostri territori a possibili ritorsioni.

Chiediamo:

La REVOCA IMMEDIATA dell’Accordo quadro che stabilisce la partecipazione dell’Italia al progetto statunitense di “scudo” antimissilistico.  

Lo STORNO dei fondi previsti per missioni militari all’estero, industrie belliche o finalizzati alla produzione di aerei da guerra e altri programmi militari, VERSO FINI SOCIALI, come lo sviluppo della sanità pubblica, del sistema educativo nazionale, il rafforzamento del sistema previdenziale pubblico, la regolarizzazione del lavoro precario, una cooperazione allo sviluppo sulla base di modelli alternativi alle attuali politiche di “peacekeeping”.   


=== 15/4 ===


CAROVANA CONTRO LA GUERRA

PER IL DISARMO E LA PACE

Nella riunione convocata a Bologna, il 15 aprile 2007 è stato deciso di promuovere una iniziativa, la  "Carovana contro la guerra, per la pace e il disarmo", che prenderà l'avvio il giorno 19 maggio 2007; e si articolerà da tre direttrici (dal Nord ovest, dal Nord Est, dal Sud).

Lo scopo della "Carovana" è quello di sensibilizzare la popolazione e di mettere insieme i soggetti che intendono ampliare le lotte territoriali di questi anni su punti determinanti di un impegno pacifista coerente:

1- rimozione dal territorio italiano di tutti gli ordigni nucleari e delle armi di distruzione di massa; dissociazione e disobbedienza da ogni compromissione con l'apparato dello sterminio atomico;

2. Opposizione ad ogni forma di coinvolgimento dell'Italia nella guerra globale e ritiro delle truppe da tutti i fronti bellici;

3. Per la chiusura, lo smantellamento, la bonifica e la riconversione a scopo esclusivamente civile delle basi militari USA e NATO

4. Obiezione alle spese militari finalizzata ad un modello di difesa alternativo e alla costituzione di Corpi Civili di Pace

5. Per affermare i valori di pace dell'art. 11 della Costituzione italiana che ripudia la guerra. Per organizzare la resistenza sociale alle scelte politiche di riarmo e di interventismo militare del governo ed affermare il principio della sovranità popolare.

La Carovana giungerà a Roma entro il 2 giugno, giornata in cui, al posto delle parate militariste, occorre fare memoria della Costituzione e del suo ripudio della guerra (art.11). Il 2 giugno deve essere restituito alla società civile, per valorizzare l'intervento civile per la costruzione della Pace: nei luoghi teatro di conflitto vogliamo Ambasciate di Pace riconosciute dalla popolazione, non "democrazia" e "sviluppo" a suon di bombe contro la popolazione.

La Carovana, raccordando reti e realtà politico-culturali differenti, rilancia questi temi unitari attraverso una iniziativa diffusa di informazione e di mobilitazione, dalle comunità e dai territori dove le basi militari e di guerra sono presenti. Essa diffonde strumenti, iniziative e pratiche di lotta che esprimano l'opinione e la volontà dei cittadini i quali nella stragrande maggioranza credono nei valori della pace.

Essa deve servire a rilanciare la mobilitazione contro la guerra e la militarizzazione in tutti i settori sociali, sui posti di lavoro, nelle scuole, nei quartieri e nei luoghi di culto.

La Carovana ASSUME la Petizione Popolare contro l'accordo Italia -USA, che prevede un nuovo "scudo antimissilistico" sui nostri territori, come strumento della propria attività durante le sue tappe, stimolando le realtà locali a costituire comitati promotori per la raccolta delle firme.

Promuovono le reti che hanno convocato la riunione di Bologna:

Coordinamento "Fermiamo chi scherza col fuoco atomico" - email  locosm@... cell. 349-5211837

Rete nazionale Disarmiamoli – email  info@... cell. 338-1028120

Assemblea di "Semprecontrolaguerra" - email semprecontrolaguerra@...  cell.328-0339384

PER ADESIONI, PARTECIPAZIONI E COLLABORAZIONI ALLA CAROVANA CONTATTARE UNO DEI RECAPITI SU SCRITTI


=== 2/4 ===


19 MAGGIO A NOVARA CONTRO GLI F 35


Gli F 35 sono cacciabombardieri  stealth (cioè invisibili) di quinta generazione. Sono uno dei gioielli  più brillanti della moderna tecnologia militare. Sono perfette macchine d'attacco al suolo, che, se necessario, possono pure trasportare armi 
nucleari.
Tra qualche anno entreranno in produzione ad opera della statunitense Lockheed Martin. Saranno prodotti in migliaia di esemplari per le forze armate statunitensi (aviazione, marina e marines) e di altri paesi alleati. Si tratterà, a detta di politici ed esperti, della più grande impresa di costruzioni aeronautiche di tutti i tempi.
Anche l'Italia ha aderito al progetto. Lo ha fatto fin dal 1996 (primo governo Prodi). Lo ha poi confermato nel 1998 (governo D'Alema) e nel 2002 (governo Berlusconi).
Il 7 febbraio di quest'anno (governo Prodi) è stato firmato il testo dell'accordo definitivo, che prevede l'assemblaggio in Italia di centinaia di F 35 destinati al mercato europeo (e quindi anche all'Italia).
L'azienda capofila in questa alleanza con la Lockheed Martin è, nel nostro paese, l'Alenia Aeronautica, che guida nell'impresa decine di aziende italiane che si sono gettate a capofitto nell'affare 
Il sito per l'assemblaggio è  stato individuato nell'aeroporto militare di Cameri, che si trova a pochissimi chilometri da Novara.
Il sito è stato scelto con oculatezza:  si tratta di un territorio da sempre avvezzo alla frequentazione di militari d'ogni risma.
L'aeroporto militare di Cameri ha ospitato F 104 e Tornado. Da quando non è più un sito strettamente operativo ha comunque continuato a contribuire a diverse imprese militaresche dando, per esempio, ospitalità alle linee di manutenzione dei Tornado. Accade inoltre che dal medesimo aeroporto partano alcuni reparti di eroici militi utilizzati per le imprese estere, per esempio in Afghanistan.
Vicinissima all'aeroporto di Cameri, a Bellinzago Novarese, c'è la base guidata dalla Caserma Babini. Si tratta della seconda base terrestre italiana, per estensione di superficie, nella quale si effettuano esercitazioni di diversi tipi. Inoltre la medesima Caserma Babini offre i suoi militi per la logistica in diverse operazioni mil

(Message over 64 KB, truncated)

http://www.resistenze.org/sito/ma/di/cl/madcue.htm

Sulla parola d'ordine degli Stati Uniti d'Europa (1)

V. I. Lenin

Abbiamo scritto nel n. 40 del Sozial-Demokrat che la Conferenza delle
sezioni del nostro partito all'estero (2) aveva deliberato di
soprassedere alla questione della parola d'ordine: "Stati Uniti
d'Europa", finché non se ne fosse discusso sulla stampa il lato
economico.

La discussione di tale problema aveva preso, nella nostra conferenza,
un carattere politico unilaterale. In parte, ciò è forse dovuto al
fatto che, nel manifesto del Comitato Centrale, questa parola
d'ordine era stata espressamente formulata come parola d'ordine
politica ("la prossima parola d'ordine politica...", è detto nel
manifesto), e non solo si preconizzavano gli Stati Uniti repubblicani
d'Europa, ma si sottolineava specialmente che questa parola d'ordine
è assurda e bugiarda "senza l'abbattimento rivoluzionario delle
monarchie tedesca, austriaca e russa".

Opporsi, entro i limiti degli apprezzamenti politici di questa parola
d'ordine, a tale impostazione della questione mettendosi, per
esempio, dal punto di vista che essa offusca o indebolisce, ecc. la
parola d'ordine della rivoluzione socialista, sarebbe assolutamente
errato. Le trasformazioni politiche con tendenze effettivamente
democratiche e ancor più le rivoluzioni politiche, non possono in
nessun caso, mai, e a nessuna condizione, né offuscare né indebolire
la parola d'ordine della rivoluzione socialista. Al contrario, esse
avvicinano sempre più questa rivoluzione, ne allargano la base,
attirano alla lotta socialista nuovi strati della piccola borghesia e
delle masse semiproletarie. D'altra parte, le rivoluzioni politiche
sono inevitabili durante lo sviluppo della rivoluzione socialista, la
quale non deve essere considerata come un atto singolo, bensì come un
periodo di tempestose scosse politiche ed economiche, della più acuta
lotta di classe, di guerra civile, di rivoluzioni e di
controrivoluzioni.

Ma se la parola d'ordine degli Stati Uniti repubblicani d'Europa,
collegata all'abbattimento rivoluzionario delle tre monarchie europee
più reazionarie, con la monarchia russa alla testa, è assolutamente
inattaccabile come parola d'ordine politica, rimane pur sempre da
risolvere l'importantissima questione del suo contenuto e significato
economico. Dal punto di vista delle condizioni economiche
dell'imperialismo, ossia dell'esportazione del capitale e della
spartizione del mondo da parte delle potenze coloniali "progredite" e
"civili", gli Stati Uniti d'Europa in regime capitalistico sarebbero
o impossibili o reazionari.

Il capitale è divenuto internazionale e monopolistico. Il mondo è
diviso fra un piccolo numero di grandi potenze, vale a dire fra le
potenze che sono meglio riuscite a spogliare e ad asservire su grande
scala altre nazioni. Quattro grandi potenze europee: Inghilterra,
Francia, Russia e Germania, con una popolazione fra i 250 e i 300
milioni d'abitanti e con una superficie di circa 7 milioni di
chilometri quadrati, posseggono colonie con circa mezzo miliardo
(494,5 milioni) di abitanti e una superficie di 64,6 milioni di
chilometri quadrati, cioè circa la metà del globo terrestre (133
milioni di chilometri quadrati, senza le regioni polari). Aggiungete
a questo i tre Stati asiatici, la Cina, la Turchia e la Persia, i
quali sono ora fatti a pezzi dai briganti che conducono la guerra
"liberatrice", e cioè dal Giappone, dalla Russia, dall'Inghilterra e
dalla Francia. Quei tre Stati asiatici, i quali potrebbero essere
definiti semicolonie (in realtà oggi sono colonie per 9/10), hanno
una popolazione di 360 milioni e una superficie di 14,5 milioni di
chilometri quadrati (cioè circa una volta e mezza la superficie di
tutta l'Europa).

Inoltre, l'Inghilterra, la Francia e la Germania hanno investito
all'estero non meno di 70 miliardi di rubli di capitale. Per ricevere
un profitto "legale" da questa bella somma - un profitto di più di 3
miliardi di rubli all'anno - esistono dei comitati nazionali di
milionari, chiamati governi, provvisti di eserciti e di flotte da
guerra, i quali "installano" nelle colonie e semicolonie i figli ed i
fratelli del "signor miliardo", in qualità di viceré, consoli,
ambasciatori, funzionari di ogni sorta, preti e simili sanguisughe.

Così è organizzata, nel periodo del più alto sviluppo del
capitalismo, la spoliazione di circa un miliardo di uomini da parte
di un gruppetto di grandi potenze. E nessun'altra forma di
organizzazione è possibile in regime capitalistico. Rinunciare alle
colonie, alle "sfere di influenza", all'esportazione di capitali?
Pensare questo, significherebbe mettersi al livello del pretonzolo
che ogni domenica predica ai ricchi la grandezza del cristianesimo e
consiglia di fare dono ai poveri...se non di qualche miliardo, almeno
di qualche centinaio di rubli all'anno.

In regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa equivalgono ad un
accordo per la spartizione delle colonie. Ma in regime capitalistico
non è possibile altra base, altro principio di spartizione che la
forza. Il miliardario non può dividere con altri il "reddito
nazionale" di un paese capitalista se non secondo una determinata
proporzione: "secondo il capitale" (e con un supplemento, affinché il
grande capitale riceva più di quel che gli spetta). Il capitalismo è
la proprietà privata dei mezzi di produzione e l'anarchia della
produzione. Predicare una "giusta" divisione del reddito su tale base
è proudhonismo, ignoranza piccolo-borghese, filisteismo. Non si può
dividere se non "secondo la forza". È la forza che cambia nel corso
dello sviluppo economico. Dopo il 1871 la Germania si è rafforzata
tre o quattro volte più dell'Inghilterra e della Francia, e il
Giappone dieci volte più rapidamente della Russia. Per mettere a
prova la forza reale di uno Stato capitalista, non c'è e non può
esservi altro mezzo che la guerra. La guerra non è in contraddizione
con le basi della proprietà privata, ma è il risultato diretto e
inevitabile dello sviluppo di queste basi. In regime capitalistico
non è possibile un ritmo uniforme dello sviluppo economico, né delle
singole aziende, né dei singoli Stati. In regime capitalistico non
sono possibili altri mezzi per ristabilire di tanto in tanto
l'equilibrio spezzato, all'infuori della crisi nell'industria e della
guerra nella politica.

Certo, fra i capitalisti e fra le potenze sono possibili degli
accordi temporanei. In tal senso sono anche possibili gli Stati Uniti
d'Europa, come accordo fra i capitalisti europei... Ma a qual fine?
Soltanto al fine di schiacciare tutti insieme il socialismo in Europa
e per conservare tutti insieme le colonie accaparrate contro il
Giappone e l'America, che sono molto lesi dall'attuale spartizione
delle colonie e che, nell'ultimo cinquantennio, si sono rafforzati
con rapidità incomparabilmente maggiore dell'Europa arretrata,
monarchica, la quale incomincia a putrefarsi per senilità. In
confronto agli Stati Uniti d'America, l'Europa, nel suo insieme,
rappresenta la stasi economica. Sulla base economica attuale, ossia
in regime capitalistico, gli Stati Uniti d'Europa significherebbero
l'organizzazione della reazione per frenare lo sviluppo più rapido
dell'America. Il tempo in cui la causa della democrazia e del
socialismo concerneva soltanto l'Europa, è passato senza ritorno.

Gli Stati Uniti del mondo (e non d'Europa) rappresentano la forma
statale di unione e di libertà delle nazioni, che per noi è legata al
socialismo, fino a che la completa vittoria del comunismo non porterà
alla sparizione definitiva di qualsiasi Stato, compresi quelli
democratici. La parola d'ordine degli Stati Uniti del mondo, come
parola d'ordine indipendente, non sarebbe forse giusta, innanzitutto
perché essa coincide con il socialismo; in secondo luogo, perché
potrebbe ingenerare l'opinione errata dell'impossibilità della
vittoria del socialismo in un solo paese e una concezione errata dei
rapporti di tale paese con gli altri.

L'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge
assoluta del capitalismo. Ne risulta che è possibile il trionfo del
socialismo all'inizio in alcuni paesi o anche in un solo paese
capitalistico, preso separatamente. Il proletariato vittorioso di
questo paese, espropriati i capitalisti e organizzata nel proprio
paese la produzione socialista, si solleverebbe contro il resto del
mondo capitalista, attirando a sé le classi oppresse degli altri
paesi, spingendole ad insorgere contro i capitalisti, intervenendo,
in caso di necessità, anche con la forza armata contro le classi
sfruttatrici ed i loro Stati. La forma politica della società nella
quale il proletariato vince abbattendo la borghesia, sarà la
repubblica democratica che centralizzerà sempre più la forza del
proletariato di una nazione, o di più nazioni, per la lotta contro
gli Stati non ancora passati al socialismo. Impossibile è la
soppressione delle classi senza la dittatura della classe oppressa,
del proletariato. Impossibile la libera unione delle nazioni nel
socialismo senza una lotta ostinata, più o meno lunga, fra
repubbliche socialiste e Stati arretrati.

Ecco in forza di quali considerazioni, che sono il risultato di
ripetuti esami della questione nella Conferenza delle sezioni
all'estero del POSDR e dopo la conferenza, la redazione dell'Organo
centrale è giunta alla conclusione che la parola d'ordine degli Stati
Uniti d'Europa è sbagliata.


Note

1) Pubblicato sul Sozial-Demokrat, n. 44, 23 agosto 1915.

2) Questa conferenza si svolse a Berna dal 27 febbraio al 4 marzo
1915. Lenin vi intervenne come rappresentante del Comitato centrale e
dell'organo centrale del partito, il Sozial-Demokrat; vi tenne la
relazione sul punto principale all'ordine del giorno: la guerra e i
compiti del partito.

Tratto da Lenin - Opere scelte - Editori Riuniti, 1976
Trascrizione e conversione in html a cura del CCDP