Informazione
t=15116&sid=5c04fdf26d072c47ccef19edec819e6f
Amici, intellettuali, fermate Veltroni!
Il sindaco di Roma Walter Veltroni ha chiesto al ministro
dell'interno Amato, e al prefetto di Roma, di modificare le norme
sulle espulsioni dei cittadini comunitari, in modo da poter procedere
senza ostacoli all'espulsione dal nostro paese dei cittadini rumeni
che siano accusati di "danneggiamento di persone o cose". Veltroni ha
chiesto che il provvedimento di espulsione sia emanato dal prefetto.
In sostanza il sindaco di Roma ha chiesto ad Amato di compiere una
azione illegale, varando un provvedimento in contrasto con la nostra
Costituzione, che viola il principio dell'uguaglianza delle persone
davanti alle leggi, che stravolge gli accordi e le norme della
comunità europea (della quale la Romania è membro a pieno titolo),
che sottrae alla magistratura le sue competenze, cioè quelle di
indagare e giudicare. Veltroni vorrebbe una città dove la legge si
applica per via amministrativa e tutti i poteri sono unificati, sono
un solo potere "totale".
Il gesto di Veltroni (spero) non avrà conseguenze pratiche perché la
richiesta è giuridicamente inconsistente. Ha però un grande valore
simbolico. Rafforza il messaggio già inviato da Cofferati (da
Bologna) e dagli amministratori diessini di Firenze, che è molto
semplice: la xenofobia non è una prerogativa della Lega e il futuro
Partito democratico saprà dare rappresentanza politica anche a quei
settori un po' rozzi e razzisti della nostra società che finora hanno
trovato ascolto e ospitalità solo a destra.
La mossa xenofoba di Veltroni avviene alla vigilia della sua
proclamazione a leader del Partito democratico, e chiaramente è stata
studiata proprio in funzione di questo avvenimento. Veltroni vuole
che il Partito democratico nasca con l'ambizione di poter dare voce e
potere, e di riscuotere il consenso, di un settore abbastanza vasto e
anche reazionario della destra italiana. Veltroni guarda lontano, al
dopo- Berlusconi.
Le conseguenze di questa politica spregiudicata sono tre. La prima,
devastante, è l'aumento del razzismo in Italia. La irresponsabilità
di buona parte del nostro ceto dirigente sta spingendo in quella
direzione. La seconda conseguenza è più di tipo politico, forse
indigna di meno, ma è grave: la fine della sinistra riformista,
l'apertura di un enorme vuoto nei tradizionali schieramenti politici
italiani. E la scomparsa - cioè la fuga a destra - della sinistra
riformista pone un problema serio e complesso anche alla sinistra
radicale, che perde un interlocutore, una sponda.
La terza conseguenza è il manifestarsi di un vero e proprio rischio
di regime. Intorno al nuovo Partito democratico Veltroni sta
raggruppando forze notevoli, anche intellettuali, quasi tutto il
mondo dello spettacolo, della comunicazione. Possibile che tanti
intellettuali che hanno costruito la loro personalità, il loro lavoro
di molti anni, sui valori della sinistra, o del cristianesimo
sociale, non si accorgano di questa operazione? Solo loro possono
fermare la corsa a destra di Veltroni e del nuovo partito. Possono
battergli sulla spalla e dirgli: "Walter, adesso basta, Cambia strada
o noi ce ne andiamo". Lo facciano, è urgentissimo.
Piero Sansonetti
su Liberazione del 28/09/2007
From: francesco.pinerolo @...
Subject: PRIMARIE: IL CANDIDATO VELTRONI
Date: October 12, 2007 4:53:57 PM GMT+02:00
PRIMARIE: IL CANDIDATO VELTRONI
Il programma di Veltroni, illustrato al Lingotto a Torino, è quello
di un partito moderato e interclassista di centro. Il suo tentativo è
quello di costruire un quadro politico all'americana, con un partito
democratico e uno repubblicano tra loro intercambiabili, e di ciò ne
è testimonianza anche il piu' netto inseguimento a destra dei luoghi
comuni berlusconiani su tasse e immigrazione.
Veltroni immagina una legge elettorale di ispirazione fortemente
maggioritaria e non proporzionale e, anziché restituire piena
centralità al Parlamento delinea un sistema di fatto presidenzialista
con un ruolo del Parlamento ridotto a funzioni di controllo.
Mascherata di demagogia "buonista", la visione indicata da Walter
Veltroni prefigura una 'societa' di individui' che e' un vero
abbandono di campo per la sinistra. Nella sua analisi la socialita',
la comunita', ma anche il conflitto sono dati definitivamente per
persi. E poi come si fa a mettere gli operai e i pensionati contro i
precari? Non ci puo' essere contraddizione: i loro problemi di vita,
di salario, per la casa sono gli stessi.
Tra le priorità da perseguire egli ha indicato con piglio
decisionista, manco a dirlo, la Tav e gli inceneritori, secondo
quello che lui chiama l'"ambientalismo dei sì” (sic!)
L’amerikano Veltroni quando parla di politica estera, poi, la pensa
esclusivamente come rapporto con gli Stati Uniti. Mentre in politica
interna taccia gli altri di conservatorismo, ma l'innovazione lui la
fa solo a destra: ritirando fuori perfino il principio di autorita',
della societa' securitaria: i leader del Pd dichiarano infatti ogni
giorno che faranno piu' o meno le stesse politiche di Berlusconi,
magari depurate dalle esagerazioni leghiste.
Se poi qualcuno sperava di vedere almeno abrogate le leggi più odiose
del nero governo precedente, lui ci ha messo sopra una pietra tombale
dichiarando:”Non è possibile che tutto ciò che è stato fatto da chi
c'era prima di te, se era dello schieramento avverso, sia sempre
sbagliato", sperticandosi in elogi per il nuovo gabinetto Sarkozy
(che non si vergogna di considerare un suo modello).
E in quanto al Partito Democratico, Veltroni ha detto che
nell'ipotesi di un nuovo governo amerebbe avere nientemeno che
Montezemolo, Letizia Moratti e Casini; mentre Letta ha dichiarato che
per un nuovo governo vorrebbe addirittura Tremonti e suo zio Gianni!
Veltroni lo si ricorda anche per il recente attacco all'art.18 dello
"Statuto dei lavoratori" che vieta il licenziamento senza "giusta
causa". Berlusconi provò a cancellarlo nel 2003 nell'ambito della
legge delega n.30 sul "mercato del lavoro" ma la forte protesta
lavoratrice e popolare lo costrinse a tornare sui suoi passi. Ora ci
riprova lui, appoggiando la proposta del senatore della Margherita
nonché ex ministro del Lavoro del primo governo Prodi, Tiziano Treu.
Una proposta per introdurre il "contratto unico" di assunzione per i
giovani, avanzata il 18 settembre 2007 in un convegno dedicato,
paradossalmente, alla lotta alla precarietà. Tale proposta prevede un
contratto d'ingresso lungo tre anni nel corso dei quali sono sospese
le tutele previste nell'art.18.
Ma anche "svendopoli" ha avuto tra i super privilegiati il segretario
in pectore e sindaco di Roma Walter Veltroni che tramite sua moglie,
Flavia Prisco, si è accaparrato nel 2005 un prestigioso 190 metri
quadri di proprietà dell'Inpdai situato al primo piano di via
Velletri a due passi da via Veneto al prezzo di appena 373 mila euro.
Una sorta di "sconto fedeltà" in quanto Veltroni è nato e cresciuto
nelle case dell'ente previdenziale dei dirigenti pubblici. L'Inpdai
aveva affittato sin dal 1956 un appartamento al padre, dirigente Rai.
Poi nel 1994 i Veltroni restituirono all'ente i due alloggi nei quali
vivevano Walter e la mamma per averne in cambio uno più grande ora
accatastato nel patrimonio di famiglia ad un prezzo veramente irrisorio.
Nella Roma governata da lui, inoltre, molte criticita' sono ancora
presenti fra gli strati marginali della sua popolazione. Periferie,
emergenza abitativa, precarieta' diffusa e accoglienza agli
immigrati, politica di privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi
pubblici, emergenza sfratti, apertura ai fascisti con l'abbandono di
Roma alle loro sempre più proterve e impunite scorribande. Non per
nulla don Sardelli, il prete romano dei poveri, lo accusa di aver
abbandonato le periferie della capitale.
Veltroni ha pure recentemente proposto di eliminare il CdA della Rai
e sostituirlo con un amministratore unico, il che, oltre a prestare
il fianco a scorciatoie che sanno solo di antipolitica, porterebbe a
snaturare la funzione essenziale del servizio pubblico, favorendo
l'ulteriore processo di privatizzazione.
Se questo è il candidato Veltroni, in un Partito Democratico di
centro ormai lontano mille miglia dalla sinistra, forse più degna è
la candidatura di Rosy Bindi che, se non altro, almeno ha una storia
che più di ogni altra ricorda quella cattocomunista.
Black activists speak on Zimbabwe crisis
The Brooklyn-based December 12 International Secretariat held an emergency community forum in Harlem on April 5 on the current and ongoing crisis that the Robert Mugabe-led government in Zimbabwe faces from U.S.-British imperialist threats...
http://www.workers.org/2007/world/zimbabwe-0419/
Harlem march says: 'Hands off Zimbabwe!'
“Mugabe is right!” and “Bush and Blair are wrong!” were two slogans chanted repeatedly during a march in Harlem, N.Y., on April 14 to commemorate the 27th anniversary of the liberation of the southern Africa country of Zimbabwe from British colonialism in 1980...
http://www.workers.org/2007/world/zimbabwe-0426/
Cuba deplora il blocco anglo-americano allo Zimbabwe
Došao čovjek u Sarajevo, BiH, i traži u restoranu, vodeći računa
na pravilan izgovor, kako ne bi naišao na jezičke nesporazume:
- molim vas jednu kavu.
Konobar: nema kave.
- molim vas jednu kafu.
Konobar: nema kafe.
- molim vas onda, jednu kahvu.
Konobar: nema kahve, nema kafe, nema kave, čovječe! Već sam vam
triput rekao da je nemamo!
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Un uomo chiede una tazza di caffè nel bar a Sarajevo. Attento alle
varianti lessicali, dice all'oste:
- una KAVA, per favore...
l'oste: la KAVA non c'è.
L'uomo, preso dal timore che quello lo boicotta per via della sua
pronuncia, chiede:
- una KAFA, per favore...
l'oste: la KAFA non c'è.
L'uomo, sempre prudente, dice:
- una KAHVA, per favore.
l'oste: la KAHVA non c'è, la KAFA non c'è, la KAVA non c'è, per la
miseria! Ti ho già detto tre volte che non ce l'abbiamo !!!
(barzelletta segnalata da DK.
KAVA: "caffè", nella variante croata
KAFA: "caffè", nella variante serba
KAHVA: "caffè", nella variante bosgnacca-musulmana)
2007:11:32&log=invites
L’Union européenne survivra-t-elle au Kosovo ?
Georges Berghezan
Face à la menace de proclamation unilatérale de l’indépendance par
les autorités albanaises du Kosovo, l’unité de façade de l’Union
européenne est en train de s’effondrer. Entre l’indépendance promise
par Washington et les menaces de veto russe, Bruxelles n’a pas trouvé
de cap et son engagement dans les Balkans est remis en question.
Bulletin trimestriel du Comité de surveillance OTAN,
Numéro 27, juillet-septembre 2007
Alors que certains n’y voyaient qu’une simple formalité – une pilule
amère, une de plus, à faire avaler par la Serbie –, le processus de
détermination du statut futur du Kosovo s’est enlisé au plus haut
niveau. Après des discussions infructueuses entre Belgrade et
Pristina, l’émissaire de l’ONU Martti Ahtisaari a présenté en mars
dernier au Conseil de sécurité un rapport prônant l’« indépendance
supervisée » de la province serbe, une position qu’il avait
d’ailleurs exprimée avant même que les « négociations » ne débutent.
Le Kosovo serait doté des attributs d’un Etat indépendant, mais
continuerait à être occupé par des troupes de l’OTAN, tandis que
l’actuelle mission de l’ONU serait remplacée par une administration
de l’Union européenne qui exercerait des « fonctions d’encadrement,
de surveillance et de conseil » dans les matières civiles et
policières. Après six projets de résolution, tous rejetés par la
Russie qui défend le principe d’une solution agréée par toutes les
parties – et non imposée à Belgrade comme dans le plan Ahtisaari –,
le Conseil de sécurité a délégué la suite du processus à une troïka,
composée des Etats-Unis, de la Russie et de l’UE, chargée de relancer
d’« ultimes » négociations entre Belgrade et Pristina et de rendre un
rapport un Secrétaire général de l’ONU pour le 10 décembre.
Alors que Serbes et Albanais n’ont toujours pas repris leurs
pourparlers1 et qu’aucun signe n’indique le moindre assouplissement
de leurs positions – tout sauf l’indépendance pour les uns, rien
d’autre que l’indépendance pour les autres –, les leaders albanais du
Kosovo ont annoncé qu’ils proclameraient l’indépendance du territoire
avant la fin de l’année, avec ou sans la caution du Conseil de
sécurité. Récusée par l’UE et la Russie, la menace a reçu des
encouragements explicites de Washington où un représentant du
Département d’Etat a déclaré le 8 septembre que les Etats-Unis
reconnaîtraient l’indépendance du Kosovo. Même si, depuis de nombreux
mois, les responsables de Washington se sont faits les hérauts de
l’indépendance kosovare, jamais ils n’avaient encore aussi clairement
annoncé qu’ils étaient prêts à court-circuiter le Conseil de sécurité.
Le cauchemar de Solana
Une proclamation unilatérale d’indépendance suivie de sa
reconnaissance par les Etats-Unis provoquerait de grosses fissures,
non seulement au Conseil de sécurité, où plusieurs de 15 membres (la
Chine, qui dispose aussi du droit de veto, mais également l’Indonésie
ou l’Afrique du Sud) partagent l’opposition russe à une indépendance
du Kosovo imposée à la Serbie, mais aussi au sein de l’UE. Malgré les
craintes d’une « contagion sécessionniste », une certaine unanimité
prévalait pour accepter une indépendance reconnue « dans les règles
», c’est-à-dire avec l’aval du Conseil de sécurité de l’ONU. Comme
cette éventualité devient de plus en plus improbable, la question
d’une reconnaissance d’une indépendance autoproclamée divise
profondément le club européen, ainsi que celle de l’envoi de la
mission civilo-policière devant remplacer celle de l’ONU, en train de
plier bagages.
Lors d’un sommet les 7 et 8 septembre à Viana Do Castelo (Portugal),
les 27 ministres des Affaires étrangères n’ont pu accorder leurs
violons. Si la Grande-Bretagne et, singulièrement, la France se
rangent sur la position états-unienne, plusieurs pays ont exprimé de
nettes réserves ou leur opposition à une reconnaissance
d’indépendance sans accord du Conseil de sécurité. Parmi ces
derniers, on trouve l’Espagne, la Slovaquie, la Grèce, Chypre, la
Hongrie, la Roumanie et la Bulgarie. Davantage que l’attachement aux
principes du droit international ou le désir de ne pas s’aliéner
durablement la Serbie, c’est surtout la crainte d’un précédent qui
motive la plupart de ces Etats, confrontés aux revendications
indépendantistes de leurs propres minorités. Et même au-delà de ces
nations, dans divers milieux européens, grandit la crainte que les «
indépendances autoproclamées » deviennent la règle, alors que, du
Pays Basque au Nagorny Karabakh, le cas du Kosovo est suivi avec
intérêt. Mais, au cabinet de notre ministre belge De Gucht, c’est
l’allégeance au grand George qui semble prévaloir, bien que
l’actuelle « crise institutionnelle » belge devrait plutôt l’inciter
à la réflexion.
Si une position commune devait s’imposer, celle de l’Allemagne serait
déterminante. Berlin a eu, depuis plus de quinze ans, une influence
capitale sur les événements d’ex-Yougoslavie. Rappelons la
reconnaissance unilatérale, avec le Vatican, de l’indépendance de la
Croatie à la fin 1991, forçant le reste de la Communauté européenne,
puis les Etats-Unis, à la suivre sur un chemin qui précipita quelques
mois plus tard la Bosnie-Herzégovine dans une guerre sanglante. Dès
la paix revenue dans ce pays, les services de renseignement allemands
se lançaient dans un programme d’armement et d’entraînement des
indépendantistes kosovars de l’Armée de libération du Kosovo. Depuis,
aux yeux des Albanais, l’aura américaine a bien supplanté l’attrait
exercé par la patrie du Deutsche Mark, mais l’Allemagne n’en garde
pas moins des positions clé au Kosovo : avec 2.500 soldats, son
contingent est le principal au sein de la KFOR, la force sous
commandement OTAN déployée au Kosovo, et, surtout, le représentant
européen au sein de la troïka chargée de la reprise des pourparlers
serbo-albanais n’est autre que le diplomate allemand Wolfgang Ischinger.
Le tabou de la partition
Or, en 2007, l’Allemagne ne semble plus vouloir jouer le rôle de
boutefeu des Balkans, observant une position plutôt réservée dans les
déchirements euro-atlantiques et intra-européens. Certains attribuent
cette prudence à une autre caractéristique de la politique allemande
de ces dernières décennies, la nécessité de ménager un voisin russe
qui n’est plus disposé à être le laissé-pour-compte des arrangements
entre grandes puissances dans les Balkans. Aussi, tout en maintenant
d’étroits liens avec les Etats-Unis, Berlin ne peut ignorer sa
dépendance envers les approvisionnements énergétiques russes et doit
donc manifester un minimum de compréhension envers la position serbe.
Ischinger a provoqué une mini-tempête en déclarant, en août, qu’une
partition du Kosovo – le nord (majoritairement serbe) demeurant en
Serbie, le reste devenant indépendant – n’était pas exclue par la
troïka. Ecartée d’emblée avant le début des négociations2, cette
option a été à nouveau rejetée avec véhémence par Washington et le «
gouvernement intérimaire » de Pristina. Par contre, la diplomatie
russe emboîtait le pas à la proposition d’Ischinger, alors que
Belgrade répétait son opposition à toute amputation de la Serbie, que
ce soit de l’ensemble ou d’une partie de sa province du Kosovo.
Il n’empêche que la partition du territoire, bien qu’elle
entraînerait le sacrifice des enclaves serbes (et de nombre de chefs
d’œuvre de l’architecture religieuse byzantine qu’elles recèlent)
dans la partie majoritairement albanaise, pourrait être, dans la
situation actuelle, la seule possibilité de compromis entre Belgrade
et Pristina. Une telle voie entraînerait bien des marchandages et des
revendications. Ainsi, les Albanais kosovars exigeraient, en
compensation, le rattachement de la vallée de Presevo, une région de
Serbie centrale adjacente au Kosovo et majoritairement albanaise. En
Macédoine, alors que les réformes des dernières années ont
considérablement accru la décentralisation et les droits des Albanais
(un tiers de la population, concentrée dans le nord-ouest), certains
n’hésiteraient pas à demander un scénario similaire à celui du
Kosovo, soit la création d’un troisième Etat albanais dans les
Balkans. Ce qui rendrait beaucoup plus crédible le projet de « Grande
Albanie », voire d’autres recompositions sur base ethnique dans la
région ou au-delà.
Cependant, le scénario d’une partition du Kosovo, pour improbable
qu’il soit, serait moins risqué pour la stabilité de l’Europe et du
monde que celui de l’indépendance. Pour une simple raison : une
solution acceptée par les Etats et les peuples directement concernés
est plus durable qu’une solution imposée par les grandes puissances,
même avec l’assentiment de l’ONU. Et ensuite parce que, si le
principe d’une solution convenant aux deux parties était retenu, cela
devrait freiner les ardeurs sécessionnistes de bon nombre de
candidats à l’indépendance et favoriser la recherche de compromis.
Empêtrés, divisés et saisis de doutes, les leaders occidentaux sont
en train de payer leurs erreurs au Kosovo. D’une part, ils ont laissé
le territoire devenir un haut lieu du crime organisé et du nettoyage
ethnique, un contre-exemple parfait de la « bonne gouvernance » et
des « droits de l’homme » qu’ils prêchent aux quatre coins du globe.
D’autre part, ils ont largement sous-estimé à la fois l’opiniâtreté
russe, aiguillonnée par le bouclier antimissile des Etats-Unis et
l’élargissement continu de l’OTAN, et l’attachement des Serbes au
Kosovo, berceau de leur histoire. Les promesses d’adhésion, «
carottes » offertes par l’UE et l’OTAN, contre le Kosovo, n’ont pas
eu les effets escomptés. Huit ans après les bombardements,
l’organisation atlantique est plus impopulaire que jamais à Belgrade.
Quant à l’adhésion à l’UE, même le très pro-occidental président
Tadic a assuré qu’elle ne servirait pas de lot de consolation pour la
perte du Kosovo. Décidément, les mirages de la mondialisation ont
perdu beaucoup de leurs vertus anesthésiantes…
Georges Berghezan
1 La nouvelle série de négociations devait commencer le 28 septembre
à New York, dans le cadre de l’Assemblée générale de l’ONU
2 Les 3 « ni » d’Ahtisaari : ni retour à la situation d’avant 1999,
ni rattachement (à un autre pays), ni partition
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L’opposition à l’OTAN grandit à Belgrade
Comme dans la plupart des pays d’Europe centrale et orientale, le
sentiment prévalait en Serbie que l’adhésion à l’OTAN représentait
une étape de l’« intégration euro-atlantique », un préalable d’une
adhésion à l’UE, donc un pas vers la relative prospérité dont jouit
l’ouest du continent. Evidemment, la Serbie a la particularité
d’avoir subi, pendant près de dix ans, de sévères sanctions
économiques de la part de l’Occident et d’avoir été bombardée pendant
78 jours par l’aviation de l’OTAN. Ces souvenirs sont encore vivaces
dans la population.
Néanmoins, depuis le renversement de Milosevic en 2000, les divers
gouvernements successifs ont tous ardemment défendu l’adhésion à
l’OTAN et à l’UE auprès de leur population. Dans ce but, ils ont cédé
à la plupart des exigences de l’Occident, privatisant de larges pans
de leur économie et livrant au Tribunal de La Haye la plupart des
inculpés pour crimes de guerre réfugiés en Serbie. En récompense, le
pays a accédé fin 2006 au Partenariat pour la Paix, programme de
coopération militaire considéré comme une antichambre de l’OTAN. Avec
une profonde restructuration de son armée en cours et le
développement d’une coopération étroite avec les Etats-Unis (en
particulier avec la Garde nationale d’Ohio), la Serbie semblait bien
placée pour une adhésion accélérée à l’OTAN. Seul caillou dans la
chaussure, le cas du général Mladic, toujours en liberté, peut-être
en Serbie.
Notons qu’un processus similaire est en cours dans les relations avec
l’UE. Après une année d’interruption pour cause de mauvaise
coopération avec le Tribunal de La Haye, Bruxelles et Belgrade ont
repris leurs pourparlers et sont sur le point de conclure un Accord
de stabilisation et d’association, préalable à une candidature
officielle à l’Union. Entre-temps, Carla Del Ponte, procureure du
Tribunal de La Haye, avait remis des rapports – enfin positifs – sur
la coopération serbe avec son institution. Il est clair que tout cela
visait d’abord à amadouer Belgrade et à l’amener à adoucir son refus
de concéder l’indépendance au Kosovo. En vain, car la position serbe
ne s’est pas infléchie et semble même plus ferme que jamais.
En outre, l’objectif de l’adhésion à l’OTAN ne fait plus l’unanimité
dans la coalition gouvernementale. A partir du mois d’août, les
ministres du Parti démocratique serbe (DSS), puis le Premier ministre
Kostunica, ont fortement critiqué le soutien de l’OTAN au plan
Ahtisaari et, en particulier, l’annexe 11 du plan prévoyant
privilèges et immunité aux troupes de l’OTAN. Certains ministres y
ont vu la volonté de créer, autour de la méga-base de Camp Bondsteel,
un « Etat-OTAN », un « Etat fantoche militarisé ». Les bombardements
« illégaux » et « impitoyables » de 1999 ont été rappelés et,
finalement, le DSS décidait le 15 septembre de s’opposer à l’adhésion
du pays à l’OTAN et se contenter du Partenariat pour la Paix. Dix
jours plus tôt, le gouvernement avait retiré l’adhésion à
l’organisation euro-atlantique de la liste de ses objectifs dans le
cadre de ce programme. Un geste qui n’a pas la portée de celui de De
Gaulle en 1966, mais qui n’en demeure pas moins une première parmi
les Etats candidats.
Les deux autres partis gouvernementaux, nettement plus pro-
occidentaux, ont dénoncé la « rhétorique anti-OTAN » du DSS et
certaines rumeurs évoquent une coalition de rechange entre ce dernier
et la principale force de l’opposition, le Parti radical (SRS), dont
le chef croupit à La Haye, accusé d’avoir organisé des milices
pendant les guerres de Croatie et de Bosnie.
Si les motivations politiciennes sont loin d’être absentes et si
l’annexe 11 apparaît comme un prétexte (le DSS a commencé à protester
près de cinq mois après la publication du rapport d’Ahtisaari qui,
concernant la force de l’OTAN, ne faisait que confirmer les
conditions en vigueur depuis le début de l’occupation),
l’impopularité de l’OTAN est plus perceptible que jamais en Serbie.
Pour expliquer le choix de son parti, Kostunica a souligné
l’importance de la neutralité militaire et assuré que son pays ne
participerait jamais aux aventures de l’OTAN en Irak et Afghanistan.
Mais, avant tout, c’est le rôle néfaste joué par cette organisation
au Kosovo qui a été rappelé. Après tant d’humiliations, une telle
réaction peut apparaître bien naturelle. Mais elle laisse aussi
présager que la « bataille du Kosovo » est loin d’être terminée et
qu’elle marquera, quoi qu’il advienne, de profondes empreintes sur
l’avenir de l’Europe.
Georges Berghezan
«Seminò coscienza nel mondo»: Fidel ricorda il Che
di Fidel Castro Ruz *
su Il Manifesto del 09/10/2007
Il leader cubano celebra sul Granma «l'eccezionale combattente caduto un 8 ottobre di 40 anni fa», il «messaggero dell' internazionalismo militante» che «combatté con noi e per noi»
Mi fermo un istante nella mia lotta quotidiana per chinare la testa, con rispetto e gratitudine, davanti all'eccezionale combattente che cadde un 8 ottobre di 40 anni fa. Per l'esempio che ci ha lasciato con la sua Columna invasora che attraversò i terreni pantanosi a sud delle antiche province di Oriente e Camagüey inseguito dalle forze nemiche, liberatore della città di Santa Clara, creatore del lavoro volontario, protagonista di onorevoli missioni politiche all'estero, messaggero dell' internazionalismo militante nell'est del Congo e in Bolivia, seminatore di coscienze nella nostra America e nel mondo. Lo ringrazio per quello che cercò di fare e non poté fare nel suo paese natale, perché fu come un fiore strappato prematuramente dal suo stelo.
Ci ha lasciato il suo stile inconfondibile di scrivere, con eleganza, brevità e sincerità, ogni dettaglio di quello che gli passava per la mente. Era un predestinato, ma non lo sapeva.
Combatté con noi e per noi.
Ieri si è compiuto il trentunesimo anniversario della strage dei passeggeri e del personale dell'equipaggio dell'aereo cubano fatto saltare in pieno volo ed entriamo nel decimo anniversario della crudele e ingiusta incarcerazione dei cinque eroi anti-terroristi cubani. Anche davanti a tutti loro chiniamo la testa. Con grande emozione ho visto e ascoltato in televisione l'atto commemorativo.
*Dal Granma del 7 ottobre
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Qualsiasi cosa cerchi di scrivere *
di Italo Calvino
su Granma del 25/09/2007
Pensando a Che Guevara
Qualsiasi cosa io cerchi di scrivere per esprimere la mia ammirazione per Ernesto Che Guevara, per come visse e per come morì, mi pare fuori tono. Sento la sua risata che mi risponde, piena d'ironia e di commiserazione. Io sono qui, seduto nel mio studio, tra i miei libri, nella finta pace e finta prosperità dell'Europa, dedico un breve intervallo del mio lavoro a scrivere, senza alcun rischio, d'un uomo che ha voluto assumersi tutti i rischi, che non ha accettato la finzione d'una pace provvisoria, un uomo che chiedeva a sè e agli altri il massimo spirito di sacrificio, convinto che ogni risparmio di sacrifici oggi si pagherà domani con una somma di sacrifici ancor maggiori.
Guevara è per noi questo richiamo alla gravità assoluta di tutto ciò che riguarda la rivoluzione e l'avvenire del mondo, questa critica radicale a ogni gesto che serva soltanto a mettere a posto le nostre coscienze.
In questo senso egli resterà al centro delle nostre discussioni e dei nostri pensieri, così ieri da vivo come oggi da morto. E' una presenza che non chiede a noi né consensi superficiali né atti di omaggio formali; essi equivarrebbero a misconoscere, a minimizzare l'estremo rigore della sua lezione. La "linea del Che" esige molto dagli uomini; esige molto sia come metodo di lotta sia come prospettiva della società che deve nascere dalla lotta. Di fronte a tanta coerenza e coraggio nel portare alle ultime conseguenze un pensiero e una vita, mostriamoci innanzitutto modesti e sinceri, coscienti di quello che la "linea del Che" vuol dire -una trasformazione radicale non solo della società ma della "natura umana", a cominciare da noi stessi- e coscienti di che cosa ci separa dal metterla in pratica.
La discussione di Guevara con tutti quelli che lo avvicinarono, la lunga discussione che per la sua non lunga vita (discussione-azione, discussione senz'abbandonare mai il fucile), non sarà interrotta dalla morte, continuerà ad allargarsi. Anche per un interlocutore occasionale e sconosciuto (come potevo esser io, in un gruppo d'invitati, un pomeriggio del 1964, nel suo ufficio del Ministero dell'Industria) il suo incontro non poteva restare un episodio marginale. Le discussioni che contano sono quelle che continuano poi silenziosamente, nel pensiero. Nella mia mente la discussione col Che è continuata per tutti questi anni, e più il tempo passava più lui aveva ragione.
Anche adesso, morendo nel mettere in moto una lotta che non si fermerà, egli continua ad avere sempre ragione.
* ottobre 1967
http://www.esserecomunisti.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=18798
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Hasta siempre, Comandante!
Aprendimos a quererte,
Desde la histórica altura,
Donde el sol de tu bravura
Le puso cerco a la muerte.
Aquí se queda la clara,
La entrañable transparencia
De tu querida presencia,
Comandante Che Guevara.
Tu mano gloriosa y fuerte
Sobre la historia dispara,
Cuando todo Santa Clara
Se despierta para verte.
Aquí se queda la clara,
La entrañable transparencia
De tu querida presencia,
Comandante Che Guevara.
Vienes quemando la brisa
Con soles de primavera
Para plantar la bandera
Con la luz de tu sonrisa
Aquí se queda la clara,
La entrañable transparencia
De tu querida presencia,
Comandante Che Guevara.
Tu amor revolucionario
Te conduce a nueva empresa,
Donde esperan la firmeza
De tu brazo libertario.
Aquí se queda la clara,
La entrañable transparencia
De tu querida presencia,
Comandante Che Guevara.
Seguiremos adelante
Como junto a tí seguimos
Y con Fidel te decimos :
"¡hasta siempre comandante!"
Aquí se queda la clara,
La entrañable transparencia
De tu querida presencia,
Comandante Che Guevara.
(Carlos Puebla)
traduzione in italiano:
Arrivederci, Comandante!
Abbiamo imparato ad amarti
dalla storica altura
dove il sole del tuo coraggio
ha messo limite alla morte
Rimane qui la chiara,
l'affettuosa trasparenza
della tua amata presenza
Comandante Che Guevara.
La tua mano gloriosa e forte
spara sulla storia
quando tutta Santa Clara
si sveglia per vederti
Qui rimane la chiara,
l'affettuosa trasparenza
della tua amata presenza
Comandante Che Guevara.
Vieni bruciando la brina
con soli di primavera
per piantare la bandiera
con la luce del tuo sorriso
Qui rimane la chiara,
l'affettuosa trasparenza
della tua amata presenza
Comandante Che Guevara.
Il tuo amore rivoluzonario
riconduce a nuove imprese
dove aspettano la fermezza
del tuo braccio libertario
Qui rimane la chiara,
l'affettuosa trasparenza
della tua amata presenza
Comandante Che Guevara.
Andremo avanti
continueremo come insieme a te
e con Fidel ti diciamo
"Arrivederci, Comandante!"
Rimane qui la chiara,
l'affettuosa trasparenza
della tua amata presenza
Comandante Che Guevara.
La sconfinata e colpevole ignoranza di Walter Veltroni sulle
questioni internazionali si è palesata una volta di più nel corso di
un intervento pubblico tenuto pochi giorni orsono.
"Tra il 1991 e il 1992 - ha spiegato Veltroni - le speranze nate con
la caduta del muro di Berlino si sgretolarono: nel 1994 con il
genocidio in Ruanda, poi con i settemila musulmani massacrati a
Srebrenica e piu' tardi i Balcani."
Parlando di fronte alla lobby di Diplomatia, club esclusivo che
riunisce esponenti del mondo dell'imprenditoria e del ceto politico
attorno alle tematiche dei rapporti internazionali, Veltroni ha
nuovamente rivendicato la aggressione armata contro i popoli jugoslavi:
"In Kosovo abbiamo fatto nostro il principio che se uno stato viola i
diritti umani cio' non puo avvenire nell'indifferenza della comunita'
internazionale".
Se potesse, Veltroni tornerebbe a lanciare un "adeguato"
bombardamento "umanitario" anche in Myanmar: "un paese nel quale anni
ininterrotti di dittatura militare e la repressione delle
mobilitazioni di questi giorni hanno trovato una posizione della
comunita' internazionale assolutamente e totalmente inadeguata".
Se solo ci fossero grandi petrolchimici anche nei pressi di Rangoon,
ah! Che goduria che sarebbe, per Walter Veltroni!
(a cura di Italo Slavo. Fonte: AGI, 8 ottobre 2007)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Operazione-sciame-di-fuoco/1796788
Operazione sciame di fuoco
L'Italia combatte già
“Euroil. La borsa iraniana del petrolio e il declino dell’impero americano” di Paolo G. Conti e Elido Fazi (Fazi Editore)
Capire i meccanismi economici è capire scelte politiche, azioni di governo, manovre all’apparenza non chiare, notizie riportate dai media che, se analizzati sotto la lente delle relazioni economiche e valutarie, si contestualizzano e spiegano parecchie cose, creando collegamenti tra fatti che all’apparenza potrebbero non essere così vicini.
Che l’ostilità – per adesso solo diplomatica – degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran non avesse niente a che vedere con il nucleare lo sapevamo già, senza bisogno che Kissinger lo confermasse. Ma il fatto è che non ha a che fare solo con il petrolio. C’è un altro elemento – che al greggio è certamente legato – che gli U.S.A. hanno intenzione di difendere con ogni mezzo: il dollaro. Questo è ciò che ci spiega Euroil, libro appena uscito a firma di Paolo G. Conti ed Elido Fazi, e lo fa con molta chiarezza, anche per chi è digiuno di economia, riuscendo a sintetizzare i fatti della storia economica mondiale, gli accadimenti degli ultimi anni che ne stanno cambiando gli equilibri, e le prospettive future per uscirne senza arrivare al tracollo economico (e non solo) del pianeta.
Due le condizioni che minano la supremazia del dollaro nell’economia mondiale: la crescita dell’euro che si presenta sempre più stabile e forte e la diminuzione delle fonti energetiche non rinnovabili. Molti Paesi stanno passando parte delle loro riserve valutarie dal biglietto verde alla moneta europea, causando preoccupazione a Washington. Non solo. L’euro si sta affermando nel dibattito tra i membri dell’OPEC come possibile valuta alternativa per il petrolio. Questi due elementi insieme contribuiscono a rendere meno stabile l’economia americana, in posizione privilegiata dagli accordi di Bretton Woods in avanti, ma che presenta il disavanzo della bilancia dei pagamenti e il debito estero più alti del mondo.
In più c’è un altro fattore, di cui poco si è sentito sui media: l’Iran sta portando avanti un progetto per realizzare una borsa del petrolio sull’Isola di Kish nel Golfo Persico, in cui utilizzare l’euro come valuta, che si andrebbe ad aggiungere alle due già esistenti (New York e Londra): un colpo politico ed economico al cuore dell’impero americano, che non potrà rimanere indifferente.
Tanti gli altri elementi che entrano in questo quadro, a partire da Cina e Russia, e gli autori del libro prospettano un unico scenario per un futuro in cui dollaro e petrolio non saranno difesi solo dagli eserciti: un nuovo ordine monetario internazionale, gestito da organizzazioni realmente indipendenti (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale sono ormai parte della politica statunitense, e scambiano in dollari) che si basi su una valuta capace di maggiore sicurezza, democrazia e collegialità rispetto ai bigliettoni verdi; spinta al rinnovamento che potrebbe giungere probabilmente solo dall’Europa. Ma gli Stati Uniti saranno disposti ad abdicare alla supremazia economica senza rinunciare a combattere?
Euroil. La borsa iraniana del petrolio e il declino dell’impero americano
Paolo G. Conti, Elido Fazi
Fazi Editore
Pag. 154, Euro 14
Pernando Barrena, l'unico portavoce del partito indipendentista basco Batasuna rimasto in libertà, ha dichiarato oggi durante una conferenza stampa che l'ondata di arresti avvenuta nei Paesi Baschi contro la direzione collegiale della sua formazione politica non può che essere considerata come "una dichiarazione di guerra per chiudere la porta all'indipendentismo basco". Ed ha riaffermato che la sinistra basca continuerà senza tentennamenti a lottare per la difesa dei diritti del popolo basco, per "l'indipendenza e il socialismo". Durante l'incontro con la stampa, il leader basco ha inoltre fatto sapere che ritiene un "sequestro" la detenzione dei militanti della sinistra indipendentista.
Nella notte fra giovedì e venerdì, la polizia ha arrestato in una mega retata ben 23 dirigenti baschi fra cui buona parte della direzione di Batasuna. Barrena era attorniato da un centinaio di dirigenti e militanti di spicco della sinistra indipendentista, alcuni dei quali probabilmente componenti della nuova Direzione Collegiale che prenderà il posto di quella appena decapitata. Tra i presenti, oltre a vecchi dirigenti della sinistra basca, anche il segretario generale del sindacato LAB, Rafa Diez.
Intanto si sono svolte oggi numerose manifestazioni popolari contro la repressione: 5000 persone hanno sfilato nelle vie del centro di Bilbao, circa 3000 sono scese in piazza a Donostia, 400 a Hendaia (sul versante francese del Paese Basco). Anche a Gasteiz una marcia contro la repressione si è svolta nel tardo pomeriggio. A Irunea (Pamplona) la manifestazione, convocata nei pressi della stazione degli autobus, è stata proibita e dissolta violentemente dalla Polizia Nazionale Spagnola, che nelle cariche ha ferito seriamente un manifestante che è stato ricoverato in ospedale.
Per quanto riguarda la repressione l'organizzazione Askatasuna - la cui portavoce Ohiana Agirre è stata arrestata martedì insieme al responsabile esteri di Batasuna Joseba Alvarez - ha reso noto che una giovane di Bilbao, che aveva realizzato una scritta su un muro per esprimere solidarietà ai dirigenti di Batasuna arrestati giovedì, è stata fermata ed accusata di "incitamento al terrorismo".
Ma già oggi alcuni esponenti della sinistra basca hanno ribadito che le vertenze intraprese finora rimangono tutte aperte.
Nel pomeriggio numerosi sindaci e rappresentanti municipali - per lo più di Accion Nacionalista Vasca (sinistra patriottica), ma anche di altri partiti baschi di sinistra come Aralar, Ezker Batua e Zutik, hanno annunciato durante una assemblea tenutasi a Elorrio che utilizzeranno tutte le opzioni a propria disposizione per "paralizzare" il progetto dell'alta velocità nei loro territori. I rappresentanti istituzionali locali hanno in questo modo risposto all'appello della piattaforma popolare "AHT gelditu!" (Stop all'alta velocità) che da tempo si batte per fermare la distruzione del territorio basco e che definisce la TAV una "iniziativa antisociale ed antiecologica".
La repressione aumenta, ma la lotta - politica - non si ferma.
Baltasar Garzón, giudice dell’Audiencia Nacional, ha rilasciato oggi due abitanti di Segura (Gipuzkoa) arrestati nel corso della maxiretata di giovedì sera contro la sinistra patriottica basca, ma ha al tempo stesso chiesto l’ingresso in prigione per gli altri 21. La possibilità di poter evitare l’incarcerazione in cambio del pagamento di una cauzione di 10 mila euro sembra sussistere solo nei casi di Egoitz Apaolaza, dirigente del partito Accion Nacionalista Vasca, e di Haizpea Abrisketa e Jean Claude Agerre, i due componenti della direzione di Batasuna con passaporto francese.
Tutti e 23 gli arrestati di giovedì, tra i quali vi sono 16 membri della Mesa Nacional di Batasuna e due dirigenti di Azione Nazionalista, sono dovuti passare questa mattina per la Quinta sala dell’Audiencia Nacional, dove il giudice Garzon ha tentato di interrogarli – ma stando ad informazioni filtrate gli imputati si sarebbero rifiutati di rispondere – ed ha proceduto alla lettura dei capi d’accusa. In otto casi la Fiscalia parla di reiterazione del delitto nei confronti di altrettanti dirigenti di Batasuna che non hanno rispettato il divieto di svolgere attività politica nonostante fossero già sottoposti a procedimento penale dopo la messa fuori legge della propria organizzazione. Tra questi il coordinatore e il responsabile della comunicazione della formazione di sinistra, Joseba Permach e Juan José Petrikorena, già sotto processo perché considerati responsabili della subordinazione di Batasuna dell’ETA e del finanziamento dell’organizzazione armata attraverso gli introiti derivanti dalle “Herriko Tabernas”, le sedi sociali che il movimento possiede in tutto il territorio basco. Gli altri sono stati invece accusati direttamente di “collaborazione con organizzazione terroristica”, a causa della loro partecipazione alla riunione di Segura di giovedì e di riunioni simili svoltesi precedentemente.
Ibarretxe si smarca: “L’illegalizzazione delle idee non è il cammino giusto”
Questo sul fronte della persecuzione giudiziaria della sinistra basca. Per quanto riguarda invece la solidarietà con gli arrestati sono state indette anche per il pomeriggio di oggi nuove mobilitazioni dopo che ieri circa 15.000 baschi sono scesi in piazza nelle 4 principali città ed in altri comuni minori rispondendo ad un appello alla reazione immediata lanciato proprio da Batasuna. Mentre dalle fila del Partito socialista non si è levata una sola voce di critica nei confronti della strategia di violenta e brutale repressione intrapresa dall’esecutivo Zapatero, oggi il lehendakari (governatore) della Comunità Autonoma Basca Juan José Ibarretxe, del Partito Nazionalista Basco, si è detto contrario all’arresto della direzione di Batasuna. In visita alla diaspora basca in Argentina, Ibarretxe ha affermato: “L’illegalizzazione delle idee non è il cammino giusto. Avete per caso visto mai il governo britannico mettere fuori legge il Sinn Fein irlandese o mettere in carcere la sua direzione?”. Il lehendakari ha ribadito che la soluzione del conflitto può derivare esclusivamente dal dialogo, senza esclusioni, tra tutte le forze politiche, Batasuna compresa.
Solidarietà agli arrestati dai maggiori sindacati baschi.
Intanto il segretario generale del sindacato LAB, Rafa Díez, ha detto di giudicare gli arresti di giovedì “un passo ulteriore nella strategia di criminalizzazione dell’indipendentismo basco” e un tentativo di “condizionare la sinistra patriottica” per costringerla a rinunciare alle sue rivendicazioni. Durante una conferenza stampa Diez ha informato che il sindacato patriottico di cui è leader ha convocato per giovedì una giornata di sensibilizzazione con manifestazioni all’interno delle imprese accomunate dallo slogan “No alla repressione. La parola e la decisione al popolo basco”.
Ma segnali di netta critica nei confronti di Zapatero giungono anche dal principale sindacato basco. ELA, vicino al PNV, ha accusato il capo del governo di Madrid di continuare le politiche repressive del suo predecessore Josè Maria Aznar nel tentativo di eliminare la sinistra abertzale dalla società. ELA ha annunciato la convocazione per lunedì di una manifestazione a Bilbao con il fine di rigettare gli arresti che hanno colpito Batasuna.
Dopo gli attacchi di giovedì notte, si sono moltiplicati nelle ultime ore gli episodi di “kale borroka” (guerriglia urbana) da parte dei giovani indipendentisti. Un gruppo di incappucciati ha lanciato bottiglie molotov contro un autobus di linea nella località di Gorliz (Bizkaia) dopo aver obbligato il conducente a scendere. dall’incendio. Nell’attacco, avvenuto alle 15 di oggi, l’autobus è rimasto completamente distrutto. Due filiali bancarie, una del Banco de Vasconia e l’altra del Banco Gipuzkoano, sono invece state attaccate la scorsa notte con l’uso di bombe incendiarie nella località navarra di Alsasua. Altri artefatti sono stati lanciati, sempre ad Alsasua, contro la locale sede del sindacato socialista UGT. Alle prime ore della notte, nella località gipuzkoana di Orereta, un gruppo di giovani ha tentato di incendiare la porta del garage del sindaco socialista della cittadina. Nel centro antico di Bilbao un altro gruppo di incappucciati hanno costruito barricate di fuoco e poi danneggiato quattro casse automatiche nel quartiere di Santutxu. Barricate di fuoco sono state erette intorno alla mezzanotte nel comune di Abadiño, causando un forte rallentamento del traffico.
Nella località navarra di Beriain agenti della Guardia Civil hanno arrestato ieri due giovani, di cui uno minorenne, trovati in possesso di materiali definiti come “inneggianti al terrorismo”: in realtà si trattava solo di cartelli e adesivi di solidarietà con i dirigenti di Batasuna. I due giovani, poi denunciati per apologia del terrorismo, sono stati fermati durante un controllo effettuato dalla polizia militare spagnola nelle strade del piccolo centro.
(Source: R. Rozoff via stopnato @ yahoogroups.com
The previous parts can be read here:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5617
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5639
Il dossier in lingua italiana può essere letto qui:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5627
Vedi anche / see also: Pan-Albanian intellectuals call for Greater Albania
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5567 )
ADN Kronos International (Italy)
August 17, 2007
Macedonia: Ethnic Albanians urge Federal state
Skopje – An ethnic Albanian movement in Macedonia,
known as Ilyrida, has called for the country to be
federalised and has appealed to all ethnic Albanian
deputies to quit the Macedonian parliament and to form
their own.
Ethnic Albanians make about one-quarter of Macedonia’s
two million population and have 29 MPs in the 120-seat
parliament. But in a statement carried by Macedonian
media on Thursday, Ilyrida demanded that the country
be divided into two equal federal entities – one
Macedonian and the other Albanian.
Ilyrida recalled that 99 percent of ethnic Albanians
in Macedonia voted at a referendum in 1992 for the
creation of an autonomous Ilyrida in the western part
of the country.
The movement's statement called on ethnic Albanian MPs
to proclaim the Republic of Ilyrida in the western
city of Tetovo and to quit Macedonian institutions.
But Ilyrida president Nevzat Halili told the media he
saw nothing new in the statement “which has been sent
in our name,” and distanced himself from it.
Commenting on the controversy, government spokesman
Ivica Bocevski said tersely that “the state
institutions keenly follow the situation in
Macedonia."
Meanwhile, police refused to comment on Ilyrida’s
claim that its “armed members” controlled a part of
Macedonian territory.
Ethnic Albanians rebelled in 2001 [and] the dispute
was ended by the Ohrid peace accord, which met most of
ethnic Albanian demands.
Ohrid granted more rights and local self-rule to the
Albanians, providing for the redrawing of electoral
boundaries in some municipalities to give ethnic
Albanians a majority in these areas.
The accord also made Albanian the second official
language in several cities, including the capital,
Skopje. Acknowledgement of ethnic-Albanian rights was
formalised in amendments to the Macedonian
constitution approved by parliament in late 2001.
While historians differ on the origin and historic
role of Ilyrians, it is generally believed they
inhabited the western Balkans around 1,000 B.C.
Present day Albanians claim to be their
descendants....
With the breakup of the former of Yugoslavia during
the 1990s Balkan wars, the Ilyrian movement continued
to symbolise the striving for unification of ethnic
Albanians in several Balkan countries.
It has gained strength since Serbia’s breakaway Kosovo
province - with a 90 percent ethnic Albanian majority
- started to drift towards independence in 1999.
Belgrade, which opposes independence, has repeatedly
warned it would have a domino effect on Macedonia,
Montenegro and northern Greece, which have sizeable
ethnic Albanian populations.
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=82756&NrIssue=451&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
September 12, 2007
Police raise charges against three involved in
Vaksince incident
Skopje - Macedonian Police raised formal accusations
against three persons suspected of having killed the
Matejce police commander and injured two police
officers in Vaksince.
The accused are the brothers Zaim and Sqender Alili
from Kumanovo's nearby village of Vaksince and
Xheljadin Hiseni from the village of Lojane.
Right after the armed attack, Zaim managed to escape
to Kosovo with a gunshot wound and Macedonia has
requested his extradition.
As to Sqender, there are indications suggesting that
he was killed in the shootout; however, the
investigative authorities have not confirmed his death
as yet.
The three are suspected of having killed the commander
Fatmir Alili and injuring the police officers Jance
Kitanov and Slagjan Kostovski at the entrance of the
Vaksince village early on Monday.
The charge sheet counts include murder, two murder
attempts and attack on an official during conducting
duties of security nature.
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=82857&NrIssue=452&NrSection=10
MakFax (Macedonia)
September 13, 2007
Macedonia requests extradition of Alili
Skopje - Macedonian authorities formally requested
that the UN Mission in Kosovo (UNMIK) extradite Zaim
Alili in connection with the Vaksince shooting that
left one police officer dead and two others injured.
The Ministry of Justice said it has submitted a formal
extradition request to UNMIK on Wednesday. The request
contains the necessary documents in accordance with
provisions of Macedonia's criminal law.
Legal proceedings against Zaim Alili are underway in
the Kumanovo District Court in connection with
felonies committed beforehand. Alili has been charged
with murder, assault on a police officer, and
violence.
Fatmir Alili, the commander of the police station in
Matejce, was killed and two police officers Jance
Kitanov and Slagjan Kostovski were severely injured
when a group of gunmen led by Alili opened fire on a
police vehicle last Monday just outside Kumanovo's
village of Vaksince.
On Wednesday, the Interior Ministry filed charges
against Xheladin Hiseni of the village of Lojane and
Zaim's brother Skender Alili, who probably died in the
shooting. Nonetheless, the authorities have no
official information on his death.
http://www.focus-fen.net/index.php?id=n121858
Focus News Agency (Bulgaria)
September 12, 2007
Macedonia: Tanusevci Village still under Commander
Hoxha people’s control
Skopje - The Tanusevci Village, situated close to the
Kosovo border and north from the Macedonian capital of
Skopje is still under the control of the brigades of
Commander Hoxha, a correspondent of FOCUS News Agency
to the Macedonian capital reported.
Border checkpoints are checking all entrants.
Tanisevci was visited by some the members of the
Democratic Union for Integration of Ali Ahmeti. The
brigades of Commander Hoxha demand administrative
attachment of four villages around Tanusevci to Kosovo
and are ready to conduct a referendum with the local
Albanians.
FOCUS News Agency reminds:
The villages close to Tanusevci on the Kosovo border
have been the bone of contention between the federal
authorities in Skopje and the ethnic Albanians since
1991.
http://www.focus-fen.net/?id=n122550
Focus News Agency (Bulgaria)
September 20, 2007
Commander Hoxha’s fighters: offensive against
Tanusevci is invention of Serbian services
Tanusevci - The Macedonian offensive against Tanusevci
Village is a myth of the Serbian services [sic], one
of the fighters of Commander Hoxha announced to FOCUS
News Agency as a comment on the statements in
Macedonian newspapers that Macedonians attacked the
village Monday.
Tanusevci Village, which is close to the Kosovo
border, is still under the control of Commander
Hoxha’s brigades.
Statements of Skopje media about an attack and
two-hour defense are untrue, Albanians from Commander
Hoxha’s group say.
The target is independent Kosovo, one of the Albanians
in Tanusevci says to FOCUS News Agency.
http://www.adnkronos.com/AKI/English/Politics/?id=1.0.1331532297
ADN Kronos International
http://www.esserecomunisti.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=18709
Politiche securitarie: Chi è legale e chi illegale?
di A. A.
su redazione del 04/10/2007
Ieri a Porta a Porta, con l'intramontabile Vespa, ormai infinito quanto Pippo Baudo, a trattare il tema del giorno c'era il Ministro della Giustizia.
Dunque, tra le cento rapine del mese ce ne è una che casca a fagiolo per dare sostanza alla indecente politica securitaria che, stando alle anticipazioni, farà tabula rasa di buona parte degli articoli costituzionali in tema di giustizia penale. Il tema della puntata è la sciagurata rapina fallita di un ex della lotta armata degli anni "70 da anni in semilibertà. Un bel colpo per i fautori della tolleranza zero all'italiana: quella che a partire dai lavavetri per arrivare, c'è da giurarci, al dissenso sociale e politico, mira a far piazza pulita dei lacci e lacciuoli che erano sopravvissuti all'avvento delle leggi cosiddette "eccezionali" (in realtà mai sospese) varate sul finire degli anni "70. Si tratta di una politica mirata, costruita negli anni, volta a strumentalizzare un disagio in larga parte prodotto da scelte di politica estera e militare ben al di fuori dei dettami costituzionali, come le guerre a cui l'Italia si è prestata violando leggi, Costituzione e diritto internazionale: a proposito di legalità e di impunità (è il caso dei vicini Balcani).
Ma dietro questa campagna d'odio reazionaria, dove si affaccia lo spettro minaccioso di una nuova xenofobia, si nasconde dell'altro, qualcosa di ancora più torbido. Come mai infatti dietro la facciata ipocrita di una classe politica tutta orientata a esigere (dagli altri) un rigore legalitario inflessibile, calpestando in realtà la base dei nostri principii costituzionali esattamente come avviene in alcune dittature, si nascondono ben più loschi traffici capaci di condizionare, se non guidare, scelte di politica decisive per il futuro del nostro Paese e dei popoli mediterranei? Non è ormai un mistero per nessuno, anche se pochi si azzardano a pronunciarne il nome, il rapporto strettissimo che lega settori importanti della politica italiana, assolutamente trasversali, con la malavita kosovaro-albanese, con quella che autorevoli esponenti degli apparati di polizia (assolutamente inascoltati) definiscono la più potente e ramificata organizzazione criminale a livello europeo. Eppure è a questa mafia che si è consegnato il potere nel vicino Kosovo, ed è sempre a questa realtà criminale che il nostro governo, in continuità con i precedenti, vuole consegnare anche formalmente uno status di indipendenza territoriale violando le disposizioni ONU in materia e numerosi accordi internazionali. E' anche così che si darà nuova forza ai traffici, già ora egemoni, che da quella Regione si diramano nel resto d'Europa alimentando quel senso di insicurezza che ora si vorrebbe addebitare ai più deboli, e spesso alle vittime, di questo complesso criminale: i lavavetri, gli ultimi, i rom, i pària del nostro tempo insomma. E non solo: i dissidenti, i "sovversivi" per classificazione, quelli che non ci stanno e non rinunciano al loro NO!
E' una triste realtà quella di un Paese capace di andare avanti per emergenze successive, per strumentalizzazioni di episodi circoscritti finalizzate all'affermazione di concezioni liberticide, dove la legge diventa uno strumento differenziato e anche formalmente non uguale per tutti. Chi si può permettere mediatiche chiamate alle armi, chi si può permettere il terrore razzista e squadrista e chi non può opporsi a tutto questo. Come a Milano nel corso della protesta antifascista dello scorso anno, come in altre mille occasioni.
Tutto quello che è già una realtà strisciante sta per essere formalizzato e definito in misure di legge, il pacchetto sicurezza e quanto potrà seguire dopo. Sempre che questo governo non inciampi sulle sue stesse forzature, e cada in un nulla di fatto. Ciò che ha resistito fino ad ora rischia di soccombere, come dire che la "democrazia" formale nel nostro Paese è mai come adesso in pericolo. Poco importa se non c'è più il governo Berlusconi, il pacchetto Amato è sul piano delle garanzie assai peggio del precedente pacchetto Pisanu. Non c'è che dire. Un bel capolavoro specialmente considerando che la risicata vittoria elettorale avvenne anche puntando su una concezione della giustizia assai garantista, riformatrice in senso avanzato, dove la massima espansione del ricorso alle misure alternative, e ai criteri dell'Art.27 della Costituzione italiana, sarebbe stato il perno di un sistema penale rinnovato rispetto alla concezione del Codice Penale fascista tuttora in vigore. E' quell'art.27 della Costituzione che il Ministro della Giustizia Mastella ha tentato di spiegare ai telespettatori, chiarendo che il vero tema è proprio quello della sua sostanziale abrogazione, a partire dalla legge Gozzini che si inseriva nel meccanismo di questo articolo costituzionale mai applicato fino in fondo. Lo stesso articolo, questo molti non lo sanno, che vede nei fatti esclusi già da tempo migliaia di detenuti italiani, in particolare quelli condannati negli ultimi anni per reati di tipo associativo e di pericolo presunto, quei reati "originali" che non presuppongono il compimento di alcun atto illecito ma sono reati in sé, risiedono nel pensiero, nell'essere, nell'esistere di una persona che in quanto tale deve vedersi rinchiusa fino all'ultimo giorno della sua condanna; una condanna intesa come misura afflittiva fine a se stessa.
Certo, in Italia c'è sempre la possibilità discrezionale che in attesa di una sentenza definitiva un giudice intervenga per concedere misure di attenuazione. E' il caso degli arresti domiciliari, e delle misure di reinserimento in ambito lavorativo e familiare, ma non appena la sentenza si fa definitiva per questi imputati pesa sempre, in caso di condanna, contraddittoriamente e in maniera perversa ed illogica, l'esclusione dalle misure alternative, da quanto prevede la legge Simeone, la legge Gozzini ecc. e il ritorno a condizioni detentive a regime speciale (peraltro illegittime) per ogni minimo residuo pena, fosse anche di pochi giorni. Siamo sicuri ciò non toccherà quegli indagati eccellenti che proprio in questi giorni sono stati associati all'inchiesta per concorso nello stragismo fascista (o di Stato) degli anni "70.
Un sistema penale in mezzo al guado: ma, "tranquilli", a passare per intero dall'altra parte, abolendo pure le discrezionalità dovute all'autorità giudiziaria e abolendo ogni misura alternativa anche per i reati minori, ci sta pensando il Ministro dell'Interno. E il pragmatico e acuto politologo ospite del teatrino di Porta a Porta non poteva non chiudere segnalando una banale ovvietà: se le cose stanno così non rimane che costruire nuove carceri. Ma di questo passo forse occorreranno gli stadi.
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=6935
The Return of War with Serbia?
by Yelena Shesternina
Global Research, September 30, 2007
RIA Novosti - 2007-09-10
In a recent onslaught against the Kosovo Albanians, the Serbian authorities have gone over from strong albeit diplomatic statements to threats.
If Kosovo declares independence unilaterally, Belgrade will take extreme measures - seal the borders, impose a trade embargo and return its troops to the province to restore Serbia's territorial integrity.
Dusan Prorokovic, Serbia's state secretary for Kosovo, said this in an interview with the Serbian media, which was promptly re-printed by The New York Times. If he had made this statement at a regular session of the Serbian cabinet, it could have been passed for routine domestic debates, but now it may cause a major row not only between Belgrade and Pristina, but also between Russia and the West.
True, the Serbian officials were quick to refute this statement. First, Serbian Charge d'Affairs to Russia Jelica Kurjak said in Moscow that Serbia was not going to make war with anyone, and that both the president and the prime minister had expressed this position many times. Later, Serbian Foreign Minister Vuk Yeremic spoke much in the same vein.
It is obvious that Serbia is not going to fight with Kosovo. How can it return its troops to the territory, which is protected by the NATO-led 16,000-strong KFOR (Kosovo Force) contingent of peace monitors from 35 countries? It is also clear why this statement was made. Having no more pressure leverage on Pristina, whose independence is a resolved issue, the cornered Belgrade is resorting to threats in the hope they may produce the desired effect.
But Prorokovic has gone too far, and Serbian President Boris Tadic is not likely to be happy with his revelations. The head of state and other parties to the conflict are trying to save face but without much success. The Albanians have rejected compromise options like the Belgrade-proposed even greater degree of autonomy for Kosovo with the IMF membership and access to the World Bank. Making up more than 90% of Kosovo's population, they want independence for the province, and the sooner, the better.
In summer, it seemed that Kosovo would unilaterally secede from Serbia before the parliamentary elections in November. After all, the policymakers have to report on their performance to the voters - more than 90% of them favor independence. Moreover, they enjoy impressive support from Washington - both George W. Bush and Condoleezza Rice have said that there is no alternative to the Pristina-sought option.
Now the proclamation of independence has been suspended - everyone is waiting for December 10, when the contact group reports to the UN Secretary-General. There is no hope for progress at the talks until then. Pristina has already announced that after December 10, Kosovo will act as an independent state. An official from the Kosovo UN mission predicts that a week after the deadline about 60 states will recognize Kosovo's independence, among them the United States, Britain, France, Albania, Baltic nations, Switzerland and Muslim countries. Greece, Cyprus, Spain, Bulgaria, Hungary and Russia will definitely vote "no."
For its part, Serbia has pledged itself to sever diplomatic relations with all allies of the Albanian Kosovars, but this is hard to believe. This sounds similar to the recent threat about another armed invasion. Hoping to enter the European Union, Belgrade is not likely to have a big squabble with the West.
Surprisingly, Belgrade's threats tend to be much more effective than its diplomatic efforts in dealings with the West. The U.S. media are seriously painting apocalyptic scenarios for the province - the UN plan may lead to another nightmare; after the declaration of Kosovo's independence, the Serbian north will secede from the province; the Serbian police will don Serb uniforms; the Albanian militants will attack not only the northern hotbed of Serbian resistance but other vulnerable enclaves, which are still heavily populated by Kosovo Serbs.
The Wall Street Journal predicts that the UN peace monitors will not be able to stop this new wave of violence, just as they failed to do this in 2004. Judging by all, until mid-December we will hear quite a few threatening statements from Serbian officials, all the more so since they are falling on fertile soil.
Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media
Sun Sep 30, 2007 12:00pm EDT
By Marc Frank
HAVANA (Reuters) - Cuban leader Fidel Castro accused Spain's former prime minister on Sunday of recommending that Serbian media be bombed during the war in Kosovo, publishing what he said was a transcript of a talk Jose Maria Aznar had with a U.S. official at the time.
Aznar's conservative Popular Party was stung last week by publication of a compromising conversation Aznar had with U.S. President George W. Bush just before the Iraq war. Castro did not say how he obtained his transcript.
Castro remains in seclusion after abdominal surgeries over the last 14 months for an unknown ailment.
The now frail revolutionary, who is 81, occasionally appears in videos and photographs and has taken to writing essays for the state-run media as his younger brother Raul Castro runs the country.
In the official Juventud Rebelde newspaper on Sunday, Castro published what he said was a transcript of an Aznar conversation about strategy during NATO's bombing of Serbian forces in 1999 to force them to stop attacking ethnic Albanians in Kosovo.
Aznar also speaks disparagingly in the transcript about then French President Jacques Chirac. "When I want to have a good time with Chirac, I start by telling him those Americans are really horrible," he says in the transcript. Castro did not explain how or when he obtained the transcript and does not identify the U.S. official or publish the U.S. official's part of the conversation.
Castro had claimed previously to have a transcript of a conversation between former U.S. President Bill Clinton and Aznar.
He says Aznar in the new transcript discusses the possibility of a ground war if NATO's bombing campaign fails, urging a stepped-up air campaign. "My idea is that to win this war communications must be cut between the Belgrade government and the people. It's vital to cut all Serbian communications, radio, television and telephone," he is quoted as saying.
Spain's relations with Cuba reached a breaking point under Aznar. His Popular Party opposes the new Socialist government's efforts to improve relations with the Communist island.
Castro had accused Aznar before of wanting to bomb the media. He first made the charge after Aznar's conservative government led European Union protests over the jailing of 75 Cuban dissidents in 2003.
Castro introduced the transcript on Sunday by repeating his earlier accusation that Aznar told Clinton on April 13, 1999: "I do not understand why we still have not bombed Serbian radio and television." That was also based on an alleged transcript that Castro said he had.
Castro wrote in Sunday's article that he would publish more "public and confidential" materials in forthcoming essays.
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