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Un Nobel poco pacifista

Ad Al Gore, ex vice presidente degli Stati Uniti d'America nell'era
Clinton, è stato assegnato il Nobel per la Pace 2007 per le sue
attività... ambientaliste. Che c'entra? Poco, in effetti:
l'ambientalismo è di nuovo usato come surrogato, anzi come negazione
della pace - come per i Gruenen tedeschi, anch'essi in prima fila
nelle politiche neo-imperialiste della Grande Germania. Di Al Gore,
fervente sostenitore dei bombardamenti contro i treni, i ponti e le
piazze dei mercati della Serbia, si dice persino che abbia origini
albanesi-kosovare. In ogni caso, è questo l'ennesimo "Nobel per la
Pace" di cui a Stoccolma si dovrebbero solo vergognare. (a cura di
Italo Slavo)

1) Un Nobel poco pacifista (Christian Elia) / Ma Al Gore non è stato
la mente della guerra nel Kosovo? (Giuseppe De Bellis)

2) The Nobel Peace Prize 2007: A great misjudgement (Jan Oberg - TFF)


=== 1 ===

http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idart=9003

Un Nobel poco pacifista

Al Gore vince il Premio Nobel per la Pace 2007. Nonostante un passato
di guerra

Christian Elia

Il Nobel per la Pace 2007 è stato assegnato oggi ad Al Gore, l'ex
vice presidente degli Stati Uniti d'America nell'era
dell'amministrazione Clinton. Gore condividerà il prestigioso
riconoscimento con il il Comitato intergovernativo per i mutamenti
climatici dell'Onu (Ipcc).

Da politico cinico ad ambientalista. E' infatti nella sua nuova veste
di paladino dell'ambiente che Gore viene premiato, e non per la sua
passata carriera politica, che si concluse con la sconfitta
elettorale contro George W. Bush nel 2000.
Figlio del senatore democratico Albert Gore Sr., si è laureato ad
Harvard nel 1969, prima di partire per il Vietnam, dove lavorò come
giornalista, caratterizzandosi per una serie di reportage contro la
guerra. Posizioni pacifiste che, quando iniziò la carriera politica
nel1976, venendo eletto al Congresso, Al Gore mise ben presto da
parte, sacrificandole sull'altare della realpolitik. Nel 1992
infatti, Bill Clinton lo scelse come vice presidente e la coppia
vinse le elezioni, confermandosi quattro anni dopo per un secondo
mandato.
L'amministrazione Clinton si qualificò per un interventismo militare
all'estero che, dopo il fallimento del Vietnam, sembrava essere stato
consegnato agli archivi della storia dalla politica di Washington.

Le inique sanzioni. Dopo il primo attacco all'Iraq, nel 1991, e prima
dell'invasione del paese mediorientale nel 2003, il regime di Saddam
Hussein rimase un obiettivo fisso del governo Usa, nel quale Gore
aveva un posto di rilievo. Continui bombardamenti, nel silenzio
assordante dei media, continuarono a flagellare l'Iraq, la cui
popolazione era già ridotta allo stremo dalle sanzioni dell'Onu.
La linea della nuova amministrazione, nel 1993, rimase fedele a
quella precedente, restando in Somalia fino al 1993, per
quell'operazione Restor Hope, considerata ancora oggi una delle
pagine più nere delle missioni all'estero degli Stati Uniti.
Ma non di solo Iraq si è nutrita l'amministrazione Clinton,
intervenendo nel 1999 in Kosovo, per fermare il regime di Slobodan
Milosevic, accusato di pulizia etnica ai danni della minoranza
albanese. Sia il Kosovo che la Serbia vennero severamente bombardati,
con alte perdite tra i civili.
L'anno prima invece, due attentati colpirono le ambasciate Usa in
Kenya e Tanzania, e la coppia Clinton – Gore reagì brutalmente,
inviando i caccia Usa a bombardare presunte basi di terroristi in
Sudan e Afghanistan.

Un premio discusso. Un biglietto da visita molto poco pacifista. Ma
Gore oggi riceve il premio dedicato all'inventore svedese che con la
dinamite si era reso conto dell'elevato potere distruttivo che può
avere il progresso scientifico. Chissà quindi se oggi Alfred Nobel
sarebbe contento dell'onorificenza ad Al Gore, che però, come detto,
viene premiato come ambientalista.
Uscito di scena dalla grande politica, Gore ha riscoperto l'antico
amore per il giornalismo, girando An inconvenient Truth, un
lungometraggio che illustra i pericoli e le ripercussioni che il
riscaldamento globale causa alla Terra. Presentato al Festival di
Cannes, ha vinto quest'anno il Premio Oscar come migliore
documentario e miglior canzone. Quest'anno, seguito e sostenuto da un
nutrito codazzo di star di Hollywood, ha organizzato il concerto Live
Earth, per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema del 'global
warming'
Non è stato però questo il primo lavoro dedicato ai temi
ambientalisti. Gore infatti, nel 1992, scrisse il libro Earth in the
Balance ("Terra in equilibrio"), sulla conservazione ambientale. Il
tema gli è caro dunque, anche se sarebbe interessante interrogare
l'ex vice presidente degli Stati Uniti d'America sugli effetti dei
proiettili all'uranio impoverito, largamente utilizzati durante gli
attacchi avallati dallo stesso Gore, sull'ambiente e sulle persone.
Ma questa è un'altra storia.

http://www.loccidentale.it/node/7645


Ma Al Gore non è stato la mente della guerra nel Kosovo?

di Giuseppe De Bellis

Ecco: tra dieci anni possono sperare anche Dick Cheney e Donald
Rumfeld. Hanno letto i giornali e guardato le tv, hanno visto l’ex
vicepresidente Al Gore idolatrato come un messia del pacifismo
ecologista. Hanno pensato che c’è un futuro da santoni anche per
loro, che l’accademia del Nobel evidentemente passa sopra certe cose,
che non si ferma dietro alle squallide dicerie e ai biechi
retroscena. La sinistra globale che vede in Gore l’uomo del
cambiamento, s’è dimenticata che il Nobel per la pace è adesso nelle
mani di un signore che è stato la mente dell’intervento militare in
Kosovo. Umanitario, ovvio. Le campagne in mimetica e mitraglietta
sono sempre a fin di bene quando le fanno gli uomini giusti e sono
vigliacchi giochi da oppressori quando le fanno i cattivi
dell’attuale amministrazione americana.
Al Gore è quello che ha meno colpe in questo. La più grande è quella
di non parlare chiaramente del suo passato da falco. Non è passato
poi molto tempo da quando tutti i giornali americani raccontarono i
retroscena della campagna Nato nei Balcani: Bill Clinton era
abbastanza scettico, lo convinsero il segretario di Stato Madeleine
Albright e il suo vice Albert Gore. Nel 2000, in un documentato
racconto di “Time”, l’ex vicepresidente fu definito un crociato.
“Quando c’è da pretendere una posizione in una crisi internazionale,
il suo primo pensiero è quello di mandare in campo i marines, oppure
l’Air Force”, disse un funzionario anonimo al settimanale. D’altronde
Gore viene dall’ala dura dei democratici: da Senatore del Tennessee
ruppe con la frangia liberal del Congresso, quando votò a favore
della prima guerra del Golfo, nel 1991. L’anno dopo, durante la
campagna elettorale, fu scelto da Clinton proprio per la sua
esperienza in politica internazionale. Durante una tappa nel cammino
verso le elezioni, Gore diventò fondamentale per capire che tipo di
politica estera avrebbe avuto un’eventuale amministrazione Clinton.
L’aspirante presidente e il suo vice a St. Louis, a luglio, erano
insieme quando Bill parlò chiaramente di debolezza del presidente
Bush Senior nei confronti di Slobodan Milosevic agli albori delle
prime guerre dei Balcani. Invocarono pugno di ferro, parlarono di
bombe e di intervento deciso contro un dittatore. Clinton fino a quel
momento non aveva mai parlato di esteri, secondo la gran parte degli
analisti, dietro quel manifesto internazionale c’era proprio Al Gore.
Stavano preparando il terreno per i bombardamenti di sette anni dopo.
Quelli che nessuno si ricorda più, ma che Dick Cheney e Donald
Rumsfeld non dimenticano. Tra dieci anni, magari anche loro avranno
individuato un filone politicamente corretto, che li trasformi da
spauracchio a icone del neo-noglobalismo. Quelli dell’Accademia del
Nobel apprezzeranno e non potranno fare certo due pesi e due misure.

13 Ottobre 2007



=== 2 ===

-------- Original-Nachricht --------
Betreff: The Nobel Peace Prize 2007: A great misjudgement
Datum: Fri, 12 Oct 2007 22:21:36 +0900
Von: T F F PeaceTips <TFF @...>


Nagoya, Japan, October 12, 2007

The 2007 Nobel Peace Prize - particularly the
part to Al Gore - is a populist choice that
cannot but devalue the Prize itself.

Alfred Nobel wrote in his will that the Peace
Prize should be awarded to "the person who shall
have done the most or the best work for
fraternity between the nations, for the abolition
or reduction of standing armies and for the
holding and promotion of peace congresses."

Without diminishing the importance of global
warming and the work done by this year's
recipients - the Intergovernmental Panel on
Climate Changes (IPCC) and Al Gore Jr. - it is
highly disputable whether it qualifies as a PEACE
prize in the spirit of Alfred Nobel - even if
interpreted in the contemporary world situation
and not that of 1895 when Nobel formulated his
vision.

The concept and definition of peace should indeed
be broad. But neither of the recipients have made
contributions that can match thousands of other
individuals and NGOs who devote their lives to
fighting militarism, nuclearism, wars, reducing
violence, work for peacebuilding, tolerance,
reconciliation and co-existence - the core issues
of the Nobel Peace Prize.

It is also regrettable that the Prize rewards
government-related work, rather than civil
society - Non-Governmentals, making the implicit
point that governments rather than the people
make peace.

In particular, Al Gore - as vice-president under
Bill Clinton between 1993 and 2001 was never
heard or seen as a peace-maker. Clinton-Gore had
a crash program for building up US military
facilities and made military allies all around
Russia - and missed history's greatest
opportunity for a new world order.

In contravention of international law and without
a UN Security Council mandate, they bombed Serbia
and Kosovo, based on an extremely deficient
understanding of Yugoslavia and propaganda about
genocide that has caused the miserable situation
called Kosovo today (likely to blow up this year
or the next), and they bombed in Afghanistan and
Sudan.

The Prize would have been linked to the
environment if it has been awarded to someone who
struggles against military or other violent
influence on the global environment: military
pollution, thousands of bases and exercises
destroying nature, deliberate environmental
warfare, militarization of space and the oceans,
and - of course - nuclear weapons that, if used,
would create more heat than global warming.

The Norwegian Nobel Committee's consists of
members who have little background, if any, in
the theory and practise of peace. That however
can not be an excuse for making a mockery of
peace and the Prize itself.

The prestige of the Nobel Peace Prize has been
further reduced today - adding to the disgrace
that it never rewarded Gandhi but people like
Kissinger, Shimon Peres, and Arafat.


Kindly

Jan Oberg

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TFF
Transnational Foundation for Peace and Future Research
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(seconda ed ultima parte)
 
 
AGENTE SEGRETO VELTRONI
 
FILE n. 2
 
GLI ANNI OTTANTA
 
Mentre nel 1980 Massimo D’Alema viene spedito da Enrico Berlinguer in Puglia, a farsi le ossa tra le mille difficoltà del partito al sud, Veltroni nella tranquillità del suo ufficio alle Botteghe Oscure può dedicare il tempo libero alla scrittura.
Infatti, ad appena venticinque anni è stato nominato viceresponsabile nazionale della “Stampa e propaganda”. Il salto è compiuto: dalla federazione romana alla sede nazionale del partito.
Da allora abbandona per qualche tempo il generico presenzialismo politico e veleggia verso l’impegno soprattutto nel campo dell’industria culturale e delle comunicazioni di massa. È in questo settore che maturerà un approccio alla politica in cui i contenuti non sono più importanti, ma vale solo la ricerca di consenso da parte delle industrie culturali e del “pubblico” di massa.
Dal suo osservatorio massmediologico, Veltroni ha percepito che si sta delineando un revival degli anni ’60, e allora eccolo pubblicare un libro scritto con il suo collaboratore di allora Gregorio Paolini (oggi dirigente televisivo). Il sogno degli anni ’60 raccoglie i ricordi di svariati personaggi, da Gianni Morandi che rievoca il Cantagiro, a Giuliano Zincone e Giuliano Ferrara, fino ad Alessandro Curzi e Renato Nicolini. Una ghiotta occasione per intrecciare ulteriori legami con personalità della politica e dello spettacolo, oltre che per avere risalto sui media.
Il libro suscita le sferzanti ironie di Goffredo Fofi, ma Veltroni ha già pronta la seconda cartuccia: un altro libro con le stesse caratteristiche, dedicato questa volta al calcio. 
La scalata non si arresta: è eletto per la prima volta nel Comitato Centrale, a ventisette anni, al XVI congresso del PCI, che si svolge a Milano nel marzo 1983. È ancora il partito di Enrico Berlinguer, e con il beneplacito del segretario, Veltroni diventa il più giovane membro del CC (ma deve scontare una votazione tormentata, in cui riceve 26 voti contrari e 45 astensioni). Al congresso, però, non prende la parola, forse per non rivelare il suo disappunto e il suo orrore per la presenza, tra le delegazioni dei partiti esteri al congresso, non solo del Partito comunista dell’Unione Sovietica e del Partito comunista cinese (alla guida delle due grandi dittature comuniste nel mondo di allora), ma anche di innumerevoli organizzazioni dei vari regimi oppressivi dell’est europeo, dal Partito comunista bulgaro al Partito comunista cecoslovacco (per colpa del quale si immolò Ian Palach, l’eroe di Veltroni), del Partito operaio unificato di Polonia persecutore di Wojtyla, persino della terribile SED della Germania orientale (i cui vertici finiranno in prigione dopo la caduta del Muro), del Partito comunista romeno del boia Nicolae Ceausescu, del Partito del lavoro di Corea guidato dal tiranno Kim-Il-Sung. E di quei paesi erano state invitate, ed erano presenti, persino rappresentanze delle ambasciate! La coscienza anticomunista di Veltroni, evidentemente, ribolliva, soffriva: ma la sua missione (scalare i vertici del PCI) gli imponeva il mascheramento delle sue vere opinioni.
Come premio per il suo ossequioso silenzio, Veltroni ottiene anche la carica di responsabile della sezione “comunicazione di massa”: non è più un “vice”, finalmente.
Assolutamente allineato sulla linea di Enrico Berlinguer, il nostro si allineerà altrettanto tranquillamente ai suoi successori.
Dopo l’improvvisa morte di Berlinguer, infatti, il partito vive una duplice contraddizione. Ha perso il suo leader più carismatico e amato, e deve fare i conti con una crisi pluriennale della propria politica, segnalata anche da altalenanti risultati elettorali: se le elezioni europee a pochi giorni dalla scomparsa di Berlinguer sono un trionfo, il trend del PCI nelle elezioni nazionali e locali è in costante discesa. E il nuovo segretario del partito, Alessandro Natta, stenta a trovare un orientamento capace di invertire la tendenza e soprattutto di tenere in equilibrio le varie anime del PCI.
In tanta tempesta, però, Veltroni riesce a non prendere mai una posizione autonoma. Per lui, chi comanda il partito ha sempre ragione. E ora il nuovo capo del PCI è Alessandro Natta, un comunista senza pentimenti, che rimarrà tale anche dopo il futuro scioglimento del partito.
All’importante Comitato Centrale del maggio 1985, naturalmente il compagno Veltroni dichiara di condividere la relazione di Natta (il rito del consenso al leader non deve essere infranto). Certo, riappare l’ossessione veltroniana per gli USA, ma in chiave critica, come accadeva al Veltroni pre-DS. Questa volta l’obiettivo polemico sono i democratici americani, che presto diventeranno invece il suo faro-guida: «Vedo il rischio che la sinistra italiana compia lo stesso errore di Mondale e dei democratici americani: l’idea di un blocco sociale tradizionale, di un partito locomotiva al quale agganciare tutti i vagoni delle minoranze, senza sintesi, in pura giustapposizione». 
Tuttavia in questo periodo lo spirito filo-americano di Veltroni può ormai riaffiorare senza troppi freni. Aprendo un fascicolo speciale sui mass media del bimestrale Critica Marxista (testata che doveva apparirgli quantomai odiosa per il suo titolo retrò), Veltroni scrive che anche in Italia i giovani talenti devono trovare l’opportunità di esprimersi: «I sogni non si devono realizzare solo negli USA. Kevin Reynolds, un giovane studente americano, inviò un giorno una sua sceneggiatura a Steven Spielberg che la lesse e gli fece assegnare un budget di 7.000 dollari. Reynolds realizzò così il primo film della sua vita, Fandango». 
Un’America dei sogni, dove i giovani grazie al libero mercato possono diventare d’incanto ricchi e famosi.
Ma Veltroni paga ancora un pegno al vecchio PCI, tessendo le lodi, nello stesso saggio su Critica Marxista, di Enrico Berlinguer e «di quello straordinario manifesto di “modernità” rappresentato dalla sua intervista sul 1984». 
Forse Veltroni non aveva letto bene il testo di Berlinguer. L’allora segretario del PCI, infatti, in quell’intervista del 1993:
a) stigmatizzava l’uso che era stato fatto negli anni ’50 del 1984 di George Orwell («la reazione che ebbi allora fu probabilmente molto influenzata dall’utilizzazione che del libro si fece durante la guerra fredda: antisovietica e anticomunista»); 
b) negava che si fosse realizzata nel mondo una società simile a quella paventata da Orwell (grazie «ai nuovi traguardi raggiunti nel riscatto delle masse proletarie»);
c) contrapponeva a Orwell il Jack London del Tallone di ferro e se la prendeva con la presenza nel pensiero e nell’azione del movimento socialista in Italia «di una visione che non era propria di Marx»;
d) attaccava il presidente americano Ronald Reagan per avere usato, nei confronti dell’URSS, «un’espressione medioevale come “Impero del Male”»;
e) usava ripetutamente per descrivere le politiche dell’occidente la categoria di “imperialismo” e rivendicava «il coraggio di una Utopia che lavori sui “tempi lunghi”»;
f) si preoccupava di una guerra nucleare globale, «davvero possibile», e proponeva il «disarmo totale»;
g) negava che l’irruzione dell’elettronica nei nuovi processi industriali mettesse in discussione le teorie classiche dei comunisti: «Mi pare che sia assolutamente da respingere l’idea che questi nuovi processi costituiscano una confutazione del marxismo e del pensiero di Marx in particolare»;
h) riteneva ancora attuale il concetto di “sol dell’avvenire” della cultura socialista e comunista («se guardiamo alla realtà del mondo d’oggi chi potrebbe dire che quegli obiettivi non siano più validi?»).
All’epoca, per il Veltroni pubblico (perché in privato aveva di certo ben altre opinioni) non solo Togliatti, ma anche Berlinguer fa parte dell’empireo dei “buoni”, dei leader comunisti da citare con ammirazione.
Alla metà degli anni ’80 la sua attività, però, non gli offre molte chance per le riflessioni ideologico-politiche sulla storia del partito e del comunismo. Continua infatti ad essere concentrata sui mass media, dalle stanze dell’ufficio stampa del PCI, e in particolare si occupa del servizio pubblico radiotelevisivo, il luogo del “potere” nel settore delle comunicazioni e dell’informazione. Ed ecco che nel 1987 si rivela artefice della nuova spartizione delle reti televisive pubbliche tra le forze politiche. In base a quell’accordo la terza rete viene assegnata al PCI. Secondo Nello Ajello, «la terza rete nasce da un incontro fra Biagio Agnes, direttore generale, ed Enrico Manca, presidente dell’ente di viale Mazzini, con Walter Veltroni, plenipotenziario delle Botteghe Oscure per l’informazione». E sempre Ajello definisce Veltroni «autore dell’operazione per conto del PCI». 
Con questa manovra Veltroni cattura il consenso di Angelo Guglielmi, nominato direttore della rete, intellettuale dell’ex Gruppo ’63, da allora sempre più potente nelle scelte culturali non solo della televisione, ma anche dell’editoria italiana, e di Sandro Curzi, scelto per dirigere il Tg3 e legato all’anima continuista del vecchio PCI.
Il 1987 è un altro anno di successi nella gerarchia interna del partito. Al Comitato Centrale del luglio 1987 Veltroni è promosso all’unanimità capo della sezione “Stampa e propaganda”. E soprattutto è diventato deputato della X legislatura, e subito nominato componente della commissione speciale per il “Riordino del settore radiotelevisivo” (in seguito sarà membro anche della commissione Istruzione e di quella dei Trasporti).
Con tanti trionfi, non ci si stupisce se l’onorevole Veltroni nel 1987 viene definito «l’enfant prodige romano». Il suo talento è pronto per essere messo al servizio del successore di Natta, Achille Occhetto. Veltroni fa subito parte dei luogotenenti di Occhetto, detti gli “achillei” da Giampaolo Pansa, e nel 1988 entra finalmente nella segreteria nazionale del PCI.
Si avvicina il momento della svolta occhettiana, sotto i mattoni del Muro di Berlino prossimo al crollo. Ma non deve rivelare alcuna fretta innovatrice, il cauto Veltroni, per non inimicarsi nessuna “anima” del partito. Al diciottesimo congresso del PCI, nel marzo 1989, delegato di Roma, prende la parola. Il clima nel partito è incandescente, ma Veltroni smentisce con forza che le intenzioni del gruppo dirigente occhettiano, di cui lui stesso fa parte, siano di sciogliere il PCI.
La sua affermazione è esplicita, ancor più di quanto lo siano gli interventi di altri leader occhettiani: «La direzione che abbiamo preso non è quella dello scioglimento del PCI, è quella della sua ripresa. Così costruiamo il nuovo corso, la nuova sintonia del PCI con i mutamenti della società». 
Di più: «Sbaglieremmo se scegliessimo la via della chiusura settaria ma anche se pensassimo che la soluzione sia arrotolare, come fossimo al tramonto, bandiere e striscioni».
Dunque la bandiera rossa del PCI, con falce martello e stella (esattamente uguale a quella sovietica, se non fosse per l’aggiunta del tricolore sullo sfondo), non va arrotolata.
E con lo scopo di attirarsi (all’epoca) il consenso dell’anima antiamericana del partito, Veltroni non esita a parlare delle società occidentali come di «una realtà che non si riesce più a controllare», e che si presenta «in una forma allucinata» proprio negli Stati Uniti: «Non alla periferia del mondo ma al suo centro, a Washington, dopo le 23 non si può uscire».
Il PCI e il dirsi comunisti è forse un ostacolo all’avvenire della sinistra? Niente affatto. Proprio Veltroni, che nel 1999 dichiarerà che comunismo e libertà sono incompatibili e che respinge la stessa dizione di “ex-comunisti” per i diessini, al diciottesimo congresso conclude il suo intervento esclamando: «Oggi noi siamo una forza autonoma e unitaria. È finito il tempo in cui ci si poteva dividere in filo-socialisti e filo-DC. Siamo tutti filo-comunisti».
Al termine del congresso viene rieletto nel Comitato Centrale con 12 no e 12 astensioni (e L’Unità, che enfatizza «gli otto voti contrari a Ingrao», sottolinea invece che su Veltroni ci sono stati «applausi per quei soli 12 no e 12 astenuti»). 
Poco dopo sarà eletto anche nella direzione e nella segreteria, sempre incaricato di seguire la propaganda e l’informazione. Ora è arrivato nella stanza dei bottoni, e può concedersi qualche vezzo conversando con i giornalisti. A La Repubblica dichiara candidamente di amare papa Giovanni XXIII e di essere intento a scrivere un libro sui Kennedy («dedicato soprattutto alla figura di Bob, che ritengo massima espressione del pensiero liberal-democratico negli Stati Uniti»): finalmente può cominciare a togliersi la maschera del comunista e rivelare quello che il nostro dossier conferma, e cioè la sua vera identità.
Nella stessa occasione si lascia andare a qualche commento politico: «La situazione è brutta, sembra d’essere tornati agli anni ’50, con Andreotti e Martelli che siedono nello stesso governo». 
Veltroni non prevedeva, forse, che un decennio dopo il governo Prodi di cui sarebbe stato numero due e poi il governo D’Alema avrebbero visto insieme, tra gli altri, proprio ex-comunisti, andreottiani e socialisti. 
Ma veniamo al Comitato Centrale della svolta di Occhetto (20-24 novembre 1989). Ancora una volta Veltroni si dimostra tutt’altro che coraggioso nel sostenere la linea del segretario. Il suo è anzi uno degli interventi più moderati, senza accelerazioni che evidentemente ritiene rischiose per la sua immagine. Fino al punto di dimostrarsi quasi conservatore del “bene inestimabile” del PCI. Afferma nel suo intervento che la svolta di Occhetto prospetta «non la liquidazione di valori, ma il loro inveramento, come affermazione nel tempo che viviamo. Per questo riterrei il concetto di omologazione antitetico a questa idea politica». 
E ancora: «Se la proposta dell’unità socialista è la sollecitazione alla reductio ad unum, magari in forme e tempi praticabili, ciò che sarebbe in discussione non è solo la rinuncia al nome e al simbolo ma la rinuncia ai programmi e alle ragioni del PCI. L’esatto opposto della proposta che abbiamo avanzato». 
Dunque la proposta occhettiana non prevederebbe per Veltroni la rinuncia alle ragioni del PCI. Parole ben distanti da quelle con cui egli stesso argomenterà la nascita del PDS e poi dei DS.
Per altro, la firma di Veltroni appare sotto il documento Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica. Un documento che compie lo strappo definitivo con il PCI, ma che conserva un continuismo presumibilmente incompatibile con le idee di Veltroni per come le conosciamo nel 2000. Si legge: «Il PCI non è stato una variante nazionale dello stalinismo. Non è per doppiezza o per calcolo strumentale che fummo tra i fondatori della democrazia parlamentare, attori principali del suo rinnovamento, difensori delle libertà continuamente minacciate dalle vecchie classi dirigenti, attori di grandi processi di emancipazione e promozione sociale che hanno caratterizzato questo mezzo secolo dell’Italia repubblicana. Ciò deve essere detto con chiarezza, e non per ragioni di patriottismo di partito ma perché non farlo significherebbe imbiancare le pagine più importanti scritte in questi decenni dalla cultura riformatrice italiana». 
 
 
AGENTE SEGRETO VELTRONI
 
FILE n. 3
 
DAGLI ANNI NOVANTA AL DUEMILA
 
Agli esordi degli anni ’90, Veltroni continua a occuparsi soprattutto di radiotelevisione. Nel 1990, titola un suo libro sulla politica televisiva del PCI Io e Berlusconi. Poi lancia una grande campagna per proibire l’interruzione con spot pubblicitari dei film trasmessi in tv: «Non si interrompe un’emozione». Una campagna fallita e dimenticata, ma che serve come cassa di risonanza per Veltroni nel ceto intellettuale meno scaltro.
Lo stesso ceto intellettuale che Veltroni chiama a raccolta, il 10 febbraio 1990, al cinema Capranica di Roma. È la “Sinistra sommersa”, un’operazione di corto respiro (dalle sue ceneri nascerà l’effimera Alleanza Democratica di Ferdinando Adornato), ma che serve a Veltroni per schierare con sé e con Achille Occhetto molte “celebri firme”.
Si tratta di uno schieramento utilissimo, dato che si avvicina il diciannovesimo congresso del PCI, in un clima agitato e con una forte opposizione al progetto di scioglimento del partito. Per Veltroni, però, non è ancora giunto il tempo di prendere le distanze dalla storia del PCI. Tutt’altro. Per lui il PCI è una bandiera da difendere anche al congresso, che si tiene a Bologna nel marzo 1990. Veltroni enfatizza il fatto che «la svolta» ha un solo obiettivo: «Evitare il declino del PCI per costruire le condizioni perché le ragioni e gli ideali del nostro partito possano vivere e vincere nell’Italia degli anni ’90». 
Dunque l’obiettivo è evitare il declino del PCI, non sciogliere il partito. Del resto, nel gennaio del 1991, a Rimini, al ventesimo Congresso del PCI, quello in cui muore il PCI e nasce il PDS, Veltroni continua a rivendicare la sua appartenenza alla storia del PCI, distinguendo nettamente tra «i comunisti» (ai quali ancora sostiene di appartenere) e «gli esterni»: «Per tutti noi che portiamo la parte più viva della grande storia e della originalità politica dei comunisti italiani, per gli esterni che recano nuove culture e competenze è ora davvero un nuovo inizio». 
Veltroni al Congresso si schiera contro la Guerra del Golfo, richiamando Robert Kennedy e i suoi antichi dissensi per la guerra del Vietnam. Però non parla più di socialismo, non cita più Lenin e Togliatti, e riduce l’alternativa alla «riforma del sistema politico, dei meccanismi elettorali, degli strumenti di governo». Una logica, dunque, tutta istituzionale.
Tuttavia la sua firma appare in calce alla mozione presentata da Achille Occhetto per il Partito Democratico della Sinistra, dove i legami con la storia comunista sono ancora enfatizzati. Si legge nella mozione che il PDS si propone «il grande obiettivo del socialismo. La bandiera del nuovo partito sarà, pertanto, la bandiera rossa». 
E la mozione firmata da Veltroni aggiunge: «Non è il crollo del “socialismo reale” all’origine della nostra proposta. Da quando, abbattuto il fascismo, i comunisti italiani poterono sviluppare liberamente la loro azione non si sono mai proposti di imitare quei modelli. Hanno seguito, invece, una propria via, fondata sull’affermazione del legame inscindibile fra democrazia e socialismo. Noi, quindi, non dobbiamo rinnegare una storia e una tradizione per entrare a far parte di un’altra». 
E se Veltroni, nell’intervento al Congresso, mette «in primo luogo» i ritocchi istituzionali e la legge elettorale, nella mozione sotto cui appone la firma viene citato Marx e si parla (togliattianamente e con linguaggio cripto-marxista) di un «riformismo forte, capace di incidere non solo sui processi distributivi ma sulle strutture, di investire direttamente un meccanismo di accumulazione, la cui forza risiede oltre che nei rapporti economico-sociali nel modo di essere dello Stato». 
Che la continuità con il PCI (almeno di immagine) stesse a cuore al gruppo occhettiano di Veltroni lo dimostrava persino il simbolo scelto per la nuova formazione politica, dove il marchio del PCI (falce, martello e stella su bandiera rossa e tricolore) rimane ai piedi della quercia. Secondo Ajello, quel simbolo sarebbe proprio una creatura di Veltroni: «È stato Veltroni, “l’americano”, a curare, come responsabile della propaganda, la messa a punto del simbolo della quercia, disegnato dal grafico delle Botteghe Oscure, Bruno Magno». 
Con il nuovo partito, Veltroni ascende al trono di direttore dell’Unità, carica che mantiene dal maggio 1992 fino all’aprile 1996. La sua gestione si caratterizza per l’allontanamento o l’emarginazione dei giornalisti contrari alla svolta occhettiana, mentre acquistano spazio alcune vecchie conoscenze di Veltroni ai tempi della FGCI.
Ma quel che piace a Veltroni sono le “iniziative speciali” del suo giornale. Tra le più eclatanti, la sua trovata del 1994 di vendere gli album di figurine dei calciatori Panini allegate a L’Unità.
Accanto alle figurine, Veltroni sviluppa l’operazione delle videocassette. Un espediente che nasconde momentaneamente la drammatica crisi finanziaria del quotidiano: nei giorni in cui è allegata una cassetta di successo, le vendite risalgono, per poi precipitare di nuovo quando non c’è gadget. Con le videocassette Veltroni occulta il declino dell’Unità: il rialzo di vendite si rivela un’illusione ottica, si moltiplicano i consumatori che acquistano il giornale solo per avere la cassetta, senza maturare alcuna “fedeltà” al quotidiano.
Nel 1994 Veltroni decide di auto-candidarsi per la segreteria del PDS. Riesce a ottenere il consenso dei dirigenti locali del partito, nel corso di una sorta di referendum interno. Ma al Consiglio Nazionale del PDS perde il duello con D’Alema.
Ha inizio in quell’occasione una sfida tra Veltroni e D’Alema che non si è ancora conclusa. Obiettivo di Walter è quello di additare l’avversario come esponente di una vecchia sinistra tradizionalista, schematico, inviso ai moderati. Mentre lui si presenta come campione della «bella modernità» (una sua formula ricorrente) e del nuovo: «Noi vinceremo solo se saremo più moderni della destra», afferma al fatidico Consiglio Nazionale del giugno 1994.
L’appello al moderno non convince i suoi colleghi di partito, e Veltroni perde la corsa alla segreteria, pur avendo le redini del giornale del PDS.
Presto conierà le sue nuove definizioni della politica: dal «cammino delle persone» a «la bella politica», titolo del libro che scrive per Rizzoli nel 1995. Il suo La bella politica contiene una vibrante lettera alle sue due figlie, dove si legge: «Certe volte provo a immaginarlo, il loro futuro. Non so perché, quando chiudo gli occhi, penso a una notte di Natale. Penso che si incontreranno con le loro famiglie e ci saranno i loro bambini e la storia continuerà… ».
Nello stesso libro (aperto da un apologo del cardinal Martini, definito «biblista magnifico»), Veltroni afferma: «Ho dedicato tutta la mia vita politica a un obiettivo: far incontrare i democratici». Forse dimentica i suoi anni alla FGCI, quando, come abbiamo visto, aveva in mente soprattutto «l’egemonia» dei comunisti sulle altre forze politiche.
Ma Veltroni si vanta per la prima volta anche della sua passata ostilità verso i paesi del socialismo reale: un’ostilità che, abbiamo visto, a dire il vero non si è mai palesata. Dice nel suo libro: «Io non sono mai andato all’estero, nei paesi socialisti». Falso. Quantomeno, ha partecipato a meeting della gioventù comunista in Germania est.
Del resto, nel 1994 Veltroni comincia a rivelare le sue carte a lungo mascherate: «In questi giorni, da più parti, si è scritto del mio interesse per il kennedismo, o il clintonismo, o il rooseveltismo. Non ho detto, come di solito si fa, presunto. Perché il mio interesse è reale». 
Dunque, può liberarsi anche dell’ultima “copertura”. È uomo degli americani, e ora può dirlo: non deve più respingere le insinuazioni con un «presunto».
Abbiamo visto che Veltroni mai, neppure per un momento, si è distanziato pubblicamente dalle posizioni dominanti nel PCI. Non c’è la seppur minima traccia di “dissenso” nelle sue dichiarazioni, nei suoi comportamenti e nei suoi scritti. Eppure, a partire dalla metà degli anni ’90, ha iniziato un’opera di permanente manipolazione riguardo alla sua biografia politica. Ora deve accreditarsi come l’uomo che non ha mai condiviso le «pagine tragiche» del PCI o le contraddizioni del «più grande partito comunista d’occidente», arrivando a ridipingere sé stesso come un tenace avversario della linea prevalente nel vecchio PCI. È rivelatore di questa manipolazione uno scambio di battute tra Veltroni e l’ex segretario democristiano Ciriaco De Mita nei corridoi di Montecitorio, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera. A un Veltroni che lo aveva pesantemente criticato per alcune sue affermazioni, De Mita dice: «La verità è che siete solo degli opportunisti, non guardate in faccia a niente e a nessuno… ». E Walter replica: «Che cosa vuoi dire, che sono comunista? Io sono sempre andato controcorrente, anche nel mio partito». De Mita: «Ma fammi il piacere… ». 
L’allineamento totale di Veltroni alle tesi predominanti nel PCI è raccontato anche da un suo ex compagno di partito, Paolo Franchi, che lo conosce bene. Franchi anni fa ha scritto che la caratteristica di Veltroni, fin da ragazzo, è stata «la fedeltà assoluta ai gruppi dirigenti in carica», e ne delineava questo ritratto: «Scarso gusto per la lotta politica interna, modesto tasso di passione ideologica, attenzione estrema alle modificazioni anche minute dei rapporti di forza nel partito, sforzo costante di miscelare nelle giuste dosi modernità e attaccamento al “patrimonio storico del PCI”». 
E nel 1989 La Repubblica informava che Veltroni era soprannominato nel PCI “compagno Perfettini”, per la sua «miscela di fantasia e diligenza»: un vero modello, persino imbarazzante, di fedeltà ai vertici.
Ma torniamo agli anni ’90. La lotta con D’Alema, nel frattempo, ha relegato Veltroni a cercare la scalata di potere momentaneamente fuori dalle strettoie di partito, per navigare verso l’alleanza di centrosinistra. Non che gli manchino le cariche: è direttore dell’Unità, deputato, numero due del PDS e finanche critico cinematografico per il Venerdì di Repubblica. Ma la mancata nomina a segretario del partito gli brucia.
Le elezioni regionali del 1995, poi, abbastanza soddisfacenti per il PDS, fanno sfumare i suoi sogni di rivalsa su D’Alema. Dopo aver criticato la scelta di Romano Prodi come candidato del centrosinistra, perché sarebbe stata una concessione di D’Alema al PPI, ecco che diventa il numero due proprio dell’ex DC Prodi nella corsa per Palazzo Chigi. 
Certo, gli pesa il destino di eterno numero due (prima di D’Alema, ora di Prodi), ma se la coalizione di centrosinistra vincesse, per lui si aprirebbero finalmente le porte del Potere con la P maiuscola: il governo, vero oggetto del desiderio della covata di quarantenni dell’ex PCI.
Per raggiungere questo obiettivo, ora conta su appoggi a largo raggio. Con lui, da tempo, c’è La Repubblica. Ma anche “ceti sociali” molto, molto antichi. Non la classe operaia, però: l’aristocrazia.
Durante la campagna elettorale, infatti, Roma ospita una festa organizzata espressamente per lui dalla principessa Damietta Hercolani del Drago, a Palazzo del Drago, in via delle Quattro Fontane. È la nobiltà di Roma che si incontra con il leader ulivista, per celebrarlo. Una cena dell’aristocrazia, con alcune decine di invitati eccellenti. Piace ai nobili capitolini, il secondo di Prodi. Gente raffinata, che preferisce l’ex-leninista di buona famiglia Walter al parvenu Berlusconi. 
La campagna elettorale “a tutto campo” porta i suoi frutti, e il 21 aprile 1996 i risultati elettorali consentono a Veltroni di coronare il suo sogno governativista: è Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, e nel primo governo Prodi ricopre anche l’incarico di Ministro per i Beni Culturali. 
Incautamente, si lascia andare più volte ad affermazioni perentorie, dicendosi sicuro che il suo governo avrebbe superato la soglia del 2000. Invece Prodi deve capitolare molto presto, e Veltroni torna a impegnarsi nel suo partito. O meglio, nel terzo partito della sua vita. Dopo il PCI e il PDS, infatti, ora è il momento dei Democratici di Sinistra. Ma questa volta il comando è tutto suo. Mentre D’Alema assurge alla carica di Presidente del Consiglio, per Veltroni è pronto il passo conclusivo della sua antica missione segreta: conquistare il ruolo di segretario nazionale del partito. Dal 6 novembre 1998 è Segretario politico dei Democratici di Sinistra.
Ora che il suo compito è assolto, può rapidamente liberarsi di ogni infingimento, e scoprire le sue carte. Soprattutto può sostenere pubblicamente il suo odio per il comunismo.
Quando scoppia “l’affare Mitrokhin”, molti intellettuali, in particolare dalle colonne della Stampa, sollecitano Veltroni a dare una ulteriore dimostrazione di distacco dalla propria storia, recidendo l’ultimo filo. Dopo le bordate di Barbara Spinelli e Gianni Riotta, ecco che Veltroni coglie la palla al balzo: non ne può più di vedersi rimproverata la sua militanza ventennale nel PCI, è un ingombro che va tolto una volta per tutte.
È venuto il momento di riscrivere la storia, la sua storia in particolare. Gli mancava, infatti, l’abiura e lo “strappo” dall’intera vicenda comunista, con l’equiparazione del comunismo al nazismo e l’affermazione che comunismo e libertà sono stati «incompatibili». Per avvalorare la sua differenza da questo ritratto a colori cupi dell’esperienza comunista, e che finalmente Veltroni può esplicitare dopo tanto e lungo silenzio, il nostro cerca di sbiancare tutta la sua biografia dal totalitarismo rosso. Fino ad arrivare al punto di suggerire ciò che apparentemente è incredibile: lui non ha colpe perché non è mai stato comunista, giacché «si poteva stare nel PCI senza essere comunisti. Era possibile, è stato così». 
È quanto afferma nello “storico” articolo per La Stampa, il 16 ottobre 1999, dal titolo “Incompatibili comunismo e libertà”. Tra i primi apprezzamenti, quelli del capo di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini.
Una lode che sarà ricambiata, di lì a poco, da Veltroni. Il 17 febbraio 2000, infatti, Veltroni, a proposito delle valutazioni del cancelliere tedesco Schroeder, si affretta a spiegare che non si possono mettere sullo stesso piano AN e il partito austriaco di Joerg Haider.
Nell’articolo “Incompatibili comunismo e libertà” la demolizione del passato è globale, non risparmia nulla. C’è persino una frase che non compare nel testo pubblicato da La Stampa il 16 ottobre 1999, ma che lo stesso quotidiano torinese, due giorni dopo, riporta in un box riassuntivo: «Mi riconosco volentieri e sinceramente nell’affermazione secondo la quale la rivoluzione russa non fu un successo tradito ma lo stravolgimento di nobili ideali». 
Dunque anche il Lenin così positivamente citato dal giovane Veltroni, come leggevamo su Roma Giovani, ora è a sua volta relegato nel firmamento dei “cattivi”, giacché la rivoluzione d’Ottobre di per sé diventa «stravolgimento di nobili ideali» (mentre il PCI di Enrico Berlinguer condannava Stalin, ma salvava sempre Lenin).
Passano pochi giorni, e Veltroni ribadisce le sue tesi durante un dibattito al liceo classico Tasso di Roma, in occasione del convegno “L’ultimo Ottobre. Ragionamenti sul comunismo come problema irrisolto”.
Ancora una volta Veltroni critica duramente il PCI degli anni ’80, senza ricordare che, all’epoca, pur essendo un dirigente di quel partito lui stesso non osò mai esprimere pubblicamente un dissenso. Dice Veltroni che «occorre tagliare» quella che definisce «la parte tragica della storia del PCI», una parte che sarebbe durata «sino alla seconda metà degli anni ’80». Ebbene, come abbiamo visto, sono anni in cui Veltroni è di casa a Botteghe Oscure, ha incarichi di responsabilità, interviene a comitati centrali e congressi. Eppure mai, nemmeno una volta, il Veltroni di allora pensò di scoprire il suo vero pensiero, mai scrisse un articolo o dedicò un discorso a quella «parte tragica».
Adesso, invece, tutto ruota intorno all’ossessione del comunismo. Nel suo discorso alla Festa nazionale dell’Unità, così come nell’articolo su La Stampa, arriva a definire «il simbolo del migliore Novecento» quello di un individuo che si batte contro i carri armati di un regime comunista: «Se dovessi scegliere una immagine, una sola, della grandezza del Novecento, prenderei la foto di un ragazzo di cui nessuno sa il nome. È quel ragazzo cinese, con due buste di plastica in mano, che si parò da solo di fronte ad una colonna di carri armati che andavano a massacrare i suoi coetanei nella piazza Tien An Men. Sia quel ragazzo sconosciuto e coraggioso, sia la sua voglia di libertà il simbolo del migliore Novecento». 
Il Novecento è stato lungo, e di eroi e simboli forse ne ha avuti di più significativi. Ma l’individuo isolato che si erge contro il comunismo sembrava a Veltroni un’irresistibile metafora. Peccato che Veltroni, un tempo acuto conoscitore dei meccanismi massmediatici, abbia dimenticato i seri dubbi che esistono sulla genuinità di quell’episodio. Michele Tito, che non è certo un provocatore anti-liberale, scrive nel giugno 1999: «Dieci anni or sono la foto del ragazzo che va incontro ai carri armati e li immobilizza fece il giro del mondo e della protesta di Tien An Men fece un’epopea. Ma quel giovane era un agente degli organismi di sicurezza. Era un complice dei soldati dei carri armati e il suo improvviso sbucare dalla folla per attraversare l’immensa via della Lunga Pace e mettersi sull’attenti dinanzi alla colonna dei blindati era forse una messa in scena del potere. Il racconto, meticolosamente documentato da uno studioso americano di origine cinese ch’era in missione a Pechino e che si trovò ad assistere all’episodio, fu pubblicato da una rivista degli universitari vietnamiti di California nel ’93, porta la firma del professor Tung Jen, è stato ripreso da più parti e mai è stato smentito».
Ma quando Veltroni deve rimuovere «l’ombra del comunismo, che continuerà a pesare a lungo, come un’ipoteca, sulle sorti della sinistra italiana», la forza delle belle immagini non ha bisogno di riscontri reali. Del resto, nel mondo del Duemila, dov’è il confine tra fiction e reale, tra manipolazione e verità?
L’importante, ormai, è rendere indiscutibile l’assioma secondo cui il comunismo è «una delle più grandi tragedie del Novecento». Sicuro di avere riscritto la storia una volta per tutte, Veltroni può arrivare ad affermare in modo “totalitario”, nella relazione al Congresso dei DS, che gli argomenti da lui sostenuti nell’articolo su La Stampa sono «argomenti sui quali tra di noi non vi sono, non vi possono essere, non vi potrebbero essere differenze». Un vero capo, deciso e potente, che esclude qualsiasi differenziazione sulle proprie parole, proprio come avveniva ai leader dei partiti comunisti di un tempo. Del resto, sa che ormai la sinistra interna ed esterna ai DS è talmente anestetizzata e divisa da non avere nemmeno la forza di reagire. Della sua relazione al congresso parleranno tutti bene, dai Verdi (che non trovano niente da dire quando Veltroni mette le istanze ecologiste per la qualità non in contraddizione ma a «integrazione della cultura quantitativa dominante nella modernità») ai Comunisti Italiani, contenti di non aver subito attacchi diretti da parte del leader. Anche la sinistra democratica, laica e cattolica, ormai accetta il primato clintoniano di Veltroni. Tutto è relativo, anche la battaglia “politically correct” contro la pena di morte: se la pena di morte va contro i diritti umani, perché quando Veltroni dice che «nessun governante, nessuno Stato, in nessuna parte del mondo, può abusare dei diritti umani e rimanere impunito» non gli si ricorda che Bill Clinton è uno dei difensori più strenui della pena di morte?
E a segnalare con precisione la vuotezza del partito veltroniano, a parte gli avversari di sempre della sinistra, restano in pochi, come Il Sole-24 Ore, allarmato da un partito «sempre più gracile»: «Al venir meno del rigido ancoraggio ideologico non ha sopperito una forte elaborazione politica». 
Ma queste sono minuzie, sottigliezze, inutili chiose. Il punto importante è che la missione di Walter Veltroni, noto alla CIA con il nome in codice di “agente Icare”, si è conclusa con un trionfo. Gradino dopo gradino ha raggiunto la vetta del più grande partito comunista d’occidente, ha contribuito al suo scioglimento e, non pago, ha scalato anche le due formazioni politiche nate da quello scioglimento, prima il PDS e poi il partito dei DS, riuscendo a conquistarne la guida.
Ben fatto, agente Veltroni! Ora manca solo l’ultimo atto: riveli ufficialmente la sua identità di agente segreto e di infiltrato. Questa è la richiesta definitiva che le viene dall’opinione pubblica democratica, per cancellare ogni residuo dubbio sulla sua affidabilità, sulla sua coerenza, sulla sua limpida onestà intellettuale.


(fine)

tratto da: "Il compagno Veltroni, il più abile agente della Cia"
 
<< Dopo il dossier Mitrokhin, dagli archivi dello spionaggio internazionale arriva il dossier Kuriakhin, con una rivelazione sensazionale: Walter Veltroni fin da ragazzo è stato reclutato dalla CIA per infiltrarsi nel PCI e conquistarne la leadership. Secondo Kuriakhin solo così si spiegano le abissali differenze tra quanto afferma oggi e quanto sosteneva in passato. Il dossier analizza metodicamente i suoi scritti e i discorsi, dai primi passi nella FGCI a oggi. E scopre che mentre il Veltroni del 2000 dice di non essere mai stato comunista, di aver dissentito dalla linea del PCI e di aver sempre odiato l’URSS e amato gli USA, in precedenza affermava l’esatto contrario.
Tra il gioco della satira politica e il rigore del saggio documentato, il dossier Kuriakhin ci porta a una domanda cruciale: chi è il compagno Veltroni? Il suo è un fantastico caso di spionaggio oppure un esempio insuperabile di trasformismo?

Ovviamente, Ilya Kuriakhin non esiste, e il reclutamento di Walter Veltroni nella CIA è solo un espediente satirico. Ilya Kuriakhin, infatti, è il nome di un personaggio televisivo, un agente segreto che appariva nella celebre serie di telefilm The Man From U.N.C.L.E. (trasmessa dalla RAI anche in Italia), prodotta tra il 1964 e il 1967. Per Il compagno Veltroni sotto lo pseudonimo di Ilya Kuriakhin si nasconde in realtà un giornalista che ha militato a lungo nel PCI e che conosce bene, dall’interno, le vicende di quel partito. >>
 
MILLELIRE STAMPA ALTERNATIVA
Direzione editoriale Marcello Baraghini
Graphic designer Daisy Jacuzzi
Stampato per conto della Nuovi Equilibri srl
presso la tipografia Union Printing spa (Viterbo) nel mese di marzo 2000
 
 

Milano, 15-20 ottobre 2007: 

Settimana di iniziative culturali contro il razzismo nei confronti dei rom.

Tutte le serate si svolgono presso 

Le Pecore Pub

Via Fiori chiari 21 e iniziano alle ore 21.

Organizzata dalle Associazioni NAGA, Opera Nomadi, Aven Amenza, Sdl, Festa dei Popoli di Opera, Comitato Rom e Sinti insieme, Associazione Liberi e dalla Chiesa Evangelica Ministero Sabaoth.
 
Una settimana di musica, teatro, eventi per conoscere il popolo Rom.
Foto, documentari, favole, cucina, cultura e tradizioni.
Ospiti: Moni Ovadia, Dario Fo, Rapsodia Trio, Muzikanti e tanti altri


***********PROGRAMMA COMPLETO**********

Lunedì 15 Ottobre 2007

ore 21:00
AMOR ROM
Introduzione alla settimana rom; intervento di MONI OVADIA


Martedì 16 Ottobre 2007

ore 21:00
RHAPSODIJA TRIO, travolgente musica dall’est europa e dalle culture yiddish, tzigana, dall’ oriente all’oltremare… Ingresso libero. 

Mercoledì 17 Ottobre 2007

ore 20:30
proiezione del film OPERA GAGIA, cui seguirà un confronto aperto al pubblico
Il film di Antonio Bocola (2007, prodotto dalla Provincia di Milano/Settore cultura), introdurrà una discussione aperta ai cittadini, che potranno confrontarsi con alcuni rappresentanti delle comunità rom. Interverranno, oltre al regista, Tommaso Vitale, ricercatore dell'Università Bicocca, e rappresentanti delle Associazioni. Ingresso libero. 

Giovedì 18 Ottobre 2007

ore 17:00
Tocca ai bambini: insieme "gagi" e rom per condividere un tempo molto speciale!
Un pomeriggio diverso, per conoscersi e divertirsi insieme. Verranno lette alcune fiabe della tradizione rom davanti a un pubblico di giovani e giovanissimi.


Giovedì 18 Ottobre 2007

ore 21:00
I Muzikanti, un gruppo di giovani musicisti che propone musica popolare balcanica. Ingresso libero.  


Venerdì 19 Ottobre 2007

ore 21:00
ROM CABARET, con Dijana Pavlovic, Marta Pistocchi, Jovica Jovic. Per divertirsi con intelligenza! Ingresso libero. 


Sabato 20 Ottobre 2007

ore 21:00
Ultima serata con tanta musica, riflessioni, immagini, ma soprattutto un grande ospite: DARIO FO. Ingresso libero.  



http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2007-10-13%
2018:29:45&log=lautrehistoire

Ukraine : Iouchtchenko érige un monument au chef nazi Choukhevitch

Jean-Marie Chauvier


Le président ukrainien Viktor Iouchtchenko a publié ce 12 octobre un
Décret (Ukaz) sur la célébration des 65 ans de l’Armée d’Insurrection
Ukrainienne (UPA) issue de l’Organisation des Nationalistes
Ukrainiens. Il oblige toutes les administrations locales et
régionales à accorder leur soutien social et médical aux “anciens
combattants du mouvement de libération nationale”. Il invite à
prendre ou accélérer les mesures pour ériger à Lviv (Lvov) un
monument à l’ancien chef nazi puis commandant de l’UPA Roman
Choukhevitch* et pour aménager à Kiev un parc en l’honneur de l’UPA.


LE PRESIDENT IOUCHTCHENKO OFFICIALISE LA REHABILITATION DE L’UPA
GLOIRE AU “MOUVEMENT DE LIBERATION NATIONALE” des années 40

(qui avaient combattu contre l’URSS et les “ennemis” juifs, polonais,
russes, et ukrainiens de l’OUN-UPA )

C’est un tournant officiel décisif dans la voie de la reconnaissance
de l’UPA, qui reste à être entérinée par le Parlement (Rada) ce qui
est loin d’être acquis, vu l’opposition du Parti des Régions, des
communistes, des socialistes, des organisations d’anciens combattants
et des mouvements juifs. Mais le président Iouchtchenko bénéficie,
dans ces initiatives très controversées, de la bienveillance des
Etats-Unis et de l’Union Européenne, l’OUN et l’UPA faisant figure,
malgré leurs liens avec les nazis, de précurseurs de la lutte
anticommuniste (et indépendantiste actuelle contre la Russie.)

La Marche pour cette reconnaissance est prévue ce dimanche 14
octobre, à l’initiative du mouvement “Svoboda” (néonazi, ex Parti
social-national) rallié par d’autres organisations nationalistes.
Le PC et des groupes de gauche annoncent une contre-manifestation
“antifasciste”.
De nombreuses régions, surtout à l’Est et au Sud du pays, s’opposent
à la “réhabilitation des nazis”. Par contre, l’UPA bénéficie du
soutien des régions de l’Extrême-Ouest (Galicie, Volhynie, et dans
une moindre mesure Transcarpatie) où étaient implantées, dans les
années trente, l’Organisation des Nationalistes Ukrainiens (OUN,
fasciste) ainsi que l’UPA qui en est issue.

C’est dans ces régions également que les troupes allemandes avaient
été accueillies en “libératrices” en juin 1941 et que débutèrent les
grands massacres de Juifs, de communistes, de prisonniers de guerre,
de Tziganes, de malades mentaux, perpétrés par les Einzastgruppen SS
avec le concours des auxiliaires nationalistes ukrainiens.

D’importantes forces policières sont mobilisées pour protéger les
célébrations à Kiev. Des organes de presse favorables à la politique
du président accusent les communistes de vouloir “semer le désordre”.


* Egalement ancien commandant du bataillon ukrainien de la Wehrmacht
“Nachtigall” participant à ll‘invasion de l’URSS et aux pogromes de
l’été 1941, de la police auxiliaire nazie chargée de lutter contre
les Partisans... Des titres qui ne sont plus rappelés.


Begin forwarded message:

From: gilberto.vlaic @ elettra.trieste . it
Date: October 14, 2007 4:23:45 PM GMT+02:00
Subject: Relazione viaggio a Kragujevac

Care amiche, cari amici, vi invio la relazione del viaggio per la consegna degli affidi a distanza a Kragujevac effettuato due settimane fa.

La situazione generale e' peggiorata notevolmente a seguito del licenziamento di circa 4500 operai in cassa integrazione.

Il prossimo viaggio si svolgera' tra il 13 e il 16 dicembre.
Come vedrete dalla relazione i progetti in corso e quelli futuri, OLTRE gli affidi a distanza,  sono abbastanza onerosi. Al momento della tredicesima siate quindi generosi...

Un cordiale saluto

Gilberto Vlaic
Non bombe ma solo caramelle - ONLUS


### La relazione in formato Word, corredata di fotografie, si può scaricare al nostro sito:
così come le altre recenti relazioni del Gruppo Zastava:


RITORNO DALLA  ZASTAVA DI KRAGUJEVAC

Viaggio del 27-30 settembre 2007
(resoconto di viaggio  a cura di Gilberto Vlaic) 


Questa relazione e’ suddivisa in sette parti.

1 Introduzione
2 Un durissimo colpo alle condizioni di vita a Kragujevac
3 Almeno una buona notizia 
4 L’ultimo camion spedito a fine agosto
5 Cronaca del viaggio; i progetti in corso e quelli futuri
6 Informazioni generali sulla Serbia e sulla Zastava 
7 Conclusioni

1- Introduzione

Vi invio la relazione del viaggio svolto due settimane fa a Kragujevac per la consegna delle adozioni a distanza che fanno capo alla ONLUS Non Bombe ma solo Caramelle (Gruppo Zastava di Trieste e sezione del Veneto) e al Coordinamento Nazionale RSU CGIL e per la verifica dei progetti in corso a Kragujevac.
Vi ricordo  il sito del coordinamento RSU,  sul quale trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative
Trovate tutte le informazioni seguendo il link 
Solidarietà con i lavoratori della Jugoslavia:

I nostri resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:

Ricordo che molti dei progetti in corso a Kragujevac sono realizzati in collaborazione con altre associazioni: Fabio Sormanni di Milano, Zastava Brescia e ABC di Roma e Cooperazione Odontoiatrica Internazionale.
Questi sono gli indirizzi dei loro siti:


2 . Un durissimo colpo alle condizioni di vita a Kragujevac

Nota iniziale al paragrafo: ho ripreso qui intere frasi e concetti espressi  da un articolo di  Enrico Vigna, presidente della associazione SOS Yogoslavia di Torino, che agisce sia a Kragujevac che in Kosovo con le stesse motivazioni di Non bombe ma solo caramelle. 
Chi fosse intenzionato a leggere l’intero documento di Enrico Vigna lo puo’ trovare a questo indirizzo:

Consiglio anche la lettura del documenti sullo stesso argomento scritti da Riccardo Pilato, presidente della associazione Zastava Brescia per la solidarieta’ Internazionale - Onlus che potete trovare all’indirizzo:

Sullo stesso argomento consiglio di leggere anche la nota del Coordinamento RSU

Dopo un braccio di ferro durato molti mesi, tra i lavoratori Zastava guidati dal sindacato Samostalni ed il governo  della Serbia, culminato nelle ultime settimane di agosto scorso con scioperi, presidi, cortei, blocchi stradali e uno sciopero della fame di alcuni lavoratori, alla fine di agosto il governo ha sancito la chiusura dell’Ufficio di Collocamento Zastava (Zastava Zaposljavanja i Obrazovanja – ZZO) che fu istituito nel 2001 subito dopo la frammentazione della fabbrica in 38 unita’ produttive differenti, conseguenza diretta dei  bombardamenti della Nato del 1999.
Ricordo che nel 2001 17000 lavoratori restarono almeno nominalmente in produzione, 10000 vennero immediatamente licenziati e 9000 vennnero inseriti in questo Ufficio di Collocamento in attesa di “ricollocazione o reimpiego”, ovviamente mai avvenuti!
Nelle mie relazioni di questi anni questo ‘’Ufficio di collocamento’’ era stato chiamato ‘’cassa integrazione’’ per utilizzare un termine immediatamente comprensibile per un lettore Italiano.
All’inizio doveva restare in vigore quattro anni, ma attraverso scioperi e lotte del sindacato era stato progato per altri due anni.
Ultimamente erano rimasti iscritti al ZZO circa 4.500 lavoratori, che ricevevano un sussidio mensile medio di circa 100 euro. Potete trovare una descrizione precisa di questi ex-lavoratori per sesso e classe di eta’ nella mia relazione del giugno scorso.
Nonostante le lotte e la resistenza operaia, giunte anche ad assediare il Parlamento a Belgrado, da cui nessun esponente governativo era uscito per incontrare e confrontarsi con le migliaia di lavoratori che manifestavano, il governo  aveva lanciato un vero e proprio ultimatum di 48 ore: chi non avesse accettato la proposta governativa di auto-licenziarsi e un indennizzo di 250 euro per ogni anno lavorativo da dipendente, sarebbe stato licenziato senza alcun indennizzo.
Di fronte a questo vero e proprio ricatto, i lavoratori già sfiancati e umiliati da 15 anni di sanzioni, embarghi, guerre, bombardamenti, miseria e devastazioni sociali hanno ceduto e tra imprecazioni e pianti affranti (come si è potuto vedere in alcune TV locali), hanno formato una lunga coda per firmare la propria fine di lavoratori Zastava, ed andare cosi’ ad infoltire la gia’ enorme schiera dei disoccupati serbi.
La situazione diventerà ancora più critica per la Zastava Automobili e Camion alla fine di quest'anno, quando il Governo inizierà la procedura per la vendita  di questo complesso e la privatizzazione di altri reparti dell'impresa. In tale occasione si teme che saranno annunciati ulteriori esuberi con ulteriori licenziamenti, allo scopo di "snellire" ulteriormente la forza lavoro, prima della procedura di vendita.


3 . Almeno una buona notizia

Penso che vi ricorderete di Andreja P., il ragazzino serbo che il 2 giugno 2007 è stato sottoposto a Bergamo a trapianto di fegato. Dopo una serie di visite di controllo svolte alla fine di agosto e’ stato autorizzato a rientrare a casa: il 18 settembre scorso e’ finalmente partito! Tornerà in Italia per i controlli previsti a gennaio.
Noi siamo naturalmente felici per l’ esito positivo di questo intervento concreto di solidarietà che ha salvato la vita ad un bambino che in Serbia, a causa dello stato di arretratezza della sanità, non avrebbe avuto alcuna speranza di vita.
E’ dura dirlo così brutalmente ma è proprio così; quanti altri, bambini e adulti, si trovano in quella condizione e che non ce la faranno solo perché questo paese è stato isolato dal contesto delle nazioni e i suoi governanti fanno ben poco per affrontare i problemi della gente?


4 . L’ultimo camion spedito a fine agosto

Come sapete, periodicamente spediamo un camion di aiuti.
Il nono di questi camion e’ partito da Trieste il 27 agosto scorso, e conteneva le seguenti cose:
3 riuniti odontoiatrici usati ma perfettamente efficienti, due destinati al Centro medico della Zastava ed uno alla Scuola per infermiere ''Sestre Ninkovic’’; si tratta di materiale ricevuto in dono; 
2 aspiratori chirurgici (anche questi ricevuti in dono), uno per la Scuola Tecnica di Meccanica e l’altro per la Scuola infermiere 
40 chili materiale odontoiatrico di consumo, del valore di circa 5000 euro, acquistato con i fondi del progetto regionale FVG, per il Centro medico Zastava
1 autoclave per la Scuola infermiere 
1 vibra-amalgama, 1 autoclave e 7 mobili per laboratorio medico, destinati alla Scuola Tecnica
2 computers e 1 stampante
1 carrozzina per neonato 
1 televisore
2 biciclette
71 scatoloni di vestiario e scarpe usate
4 scatoloni di giocattoli
7 scatoloni di materiale scolastico (tra cui circa 550 quaderni formato A4 e 60 diari)


5 - Cronaca del viaggio; i progetti in corso e quelli futuri

Giovedi’ 27 settembre 2007

Alle 9 pronti alla partenza, con leggero ritardo rispetto al solito. 
La delegazione era formata da Giampiero, Gianni, Gilberto, Giuliano, Paolo e Lucia da Trieste e Corrado da Venezia. La nostra socia Slobodanka di Napoli era gia’ ad attenderci a Kragujevac. Erano arrivati da Milano anche Massimo e Federico della Associazione Fabio Sormanni.

Avevamo con noi 15180 euro per le 175 quote di affido da distribuire, di cui 1 nuova, per la maggior parte in quote trimestrali da 75 euro o da 85 euro.
Avevamo inoltre 4300 euro da consegnare al Comune di Kragujevac per il secondo e ultimo versamento per la realizzazione del centro di aggregazione giovanile di Zdraljica e  5000 euro da consegnare alla Scuola Tecnica per proseguire il progetto di un centro polivalente per gli studenti. 
1540 erano destinati al pagamento del materiale scolastico distribuito in assemblea ai nostri ragazzi in affido.
Infine 400 euro per pagare la trasformazione da benzina a gas dell’impianto di alimentazione dell’ambulanza che circa un anno fa era stata donata al centro medico della Zastava da parte della Misericordia della Bassa Friulana (che ha finanziato questo intervento).
Come sempre avevamo anche farmaci per il Centro Medico Zastava per circa 10.000 euro.
Inoltre 14 scatole di giocattoli e materiale scolastico da consegnare ad un asilo ed alla Scuola per sordi che ci avevano chiesto un incontro pochi giorni prima del nostro viaggio.
Infine 9 pacchi di regali da parte di altrettanti donatori italiani per le famiglie di ragazzi in affido.

Il viaggio si e’ svolto senza alcun intoppo; siamo arrivati alle 19 e 30 e, dopo la preparazione delle buste per la consegna da effettuare sabato 30, ottima cena serba con i nostri amici del Sindacato.
Da segnalare la grande sorpresa di incontrare Andreja P. e sua madre alla sede del Sindacato

(FOTO: Andreja P. e’ venuto a trovarci al Sindacato)


Venerdi’ 28 settembre

Alle 9 siamo stati ospiti di una scuola materna 
che aveva ricevuto, con il camion spedito a febbraio scorso, due computers e una decina di casse di giocattoli. Un computer era poi stato dato alla Scuola per ragazzi sordi della citta’.
E’ stato un incontro felicissimo, i bambini avevano organizzato uno spettacolo di canti e danze, ci hanno regalato loro disegni ed un aquilone, che e’ il simbolo della associazione ‘’Put u srecno odrastanja’’ (Viaggio della crescita felice); abbiamo consegnato le 6 scatole che avevamo con noi, piene di materiale scolastico e giocattoli.
La loro DIrettrice ci ha chiesto di aiutarli nella realizzazione di un piccolo parco giochi all’esterno dell’asilo. Cercheremo di continuare ad aiutarli con i limitati fondi a disposizione.

  

FOTO: La bandiera della pace nel salone dell'asilo
FOTO:I bambini durante la festa salone dell’asilo

Alle 10 grande festa per l’inaugurazione del centro di aggregazione giovanile a Zdraljica
(Collaborazione con il Comune di Kragujevac)
A marzo scorso avevamo firmato con il Comune di Kragujevac un accordo relativo alla ristrutturazione di un edificio degradato di proprieta’ pubblica nel quartiere operaio di Zdraljica. 
Si tratta di un edificio a un piano di 170 metri quadrati in uno dei quartieri operai periferici della citta’. Tra marzo e giugno avevamo consegnato 5600 euro per i lavori edili di recupero dei locali. Durante il viaggio di giugno scorso avevamo constatato che i lavori erano quasi conclusi (vedi le foto inserite nella relazione di giugno).
Durante l’estate abbiamo raggiunto l’accordo per le dotazioni iniziali: sala computers, videoproiettore, biblioteca, angolo soggiorno, un ping-pong. Inoltre era stato deciso un ulteriore intervento edile sui gradini di accesso e sulla veranda esterna.
Il denaro per gli acquisti e per coprire questa seconda parte di lavori, pari a circa 350.000 dinari (4300 euro) e’ stata consegnata alla signora Slavica Saveljic, assessore alle politiche sociali del Comune.
Abbiamo conosciuto in questa occasione cinque ragazzi che, a livello volontario, si occuperanno della gestione del centro.

FOTO: La consegna dei fondi, La sala computers, La biblioteca, Angolo proiezione (proiettore e schermo non sono visibili, ma CI SONO!), Il ping-pong


Questo Centro e’ stato realizzato in collaborazione con ABC, Associaazione Sormanni e Zastava Brescia.

Ore 12: Incontro al Centro medico della Zastava
(i progetti di odontoiatria sociale)
Come ricorderete questo progetto e’ nato nel 2005 in collaborazione con il presidio sanitario della Zastava (Zavod Za Zdravsvenu Zastitu Radnika, ZZZZR);  si e’ poi allargato a dicembre 2006 alla Scuola Tecnica di Meccanica e Trasporti, ed infine a giugno 2007 alla Scuola per infermiere ‘’Sestre Ninkovic’’, su loro specifica richiesta.
Insieme al COI (Cooperazione Odontoiatrica Internazionale) abbiamo iniziato il rinnovo della strumentazione degli ambulatori dentistici, con la donazione a luglio del 2005 di due poltrone dentistiche al ZZZZR; un’altra poltrona e la strumentazione accessoria (lampade, sterilizzatrici, polimerizzatrici, mobili) sono stati consegnati alla Scuola Tecnica; la strumentazione per la Scuola Infermiere e’ giunta a Kragujevac con il camion partito da Trieste e fine agosto scorso (vedi punto 4 di questa relazione) insieme ad altre due poltrone per il ZZZZR
Queste attivita’ vedono inoltre il convolgimento del Policlinico di Kragujevac, che distacchera’ presso questi ambulatori un medico ed un infermiere ogni 1500 utenti.
Il progetto che coinvolge ZZZZR per quest’anno riguarda gli anziani ospiti del locale gerontocomio; sono state approntate e compilate le schede paziente sia generiche che specialistiche, che hanno messo in evidenza la la necessita’ di intervento sul dolore, le patologie pretumorali e la rimozione del tartaro. 
Il ZZZZR entro la fine dell’anno dovra’ dunque distaccare un medico e un infermiere presso il gerontocomio; qualora si avranno le risorse umane ed economiche si interverra’ anche nella riparazione e nel rifacimento delle protesi.
 Questa nostra attivita’ e’ stata supportata nel 2006 e nel 2007 da due progetti di cooperazione internazionale cofinanziati dall’Assessorato all’istruzione, alla cultura, allo sport e al volontariato della Regione Friuli Venezia Giulia. 

Nel pomeriggio ci siamo divisi in due gruppi, per poter affrontare 
due incontri nello stesso orario.

Ore 16: Incontro con la Scuola per sordi
(un nuovo possibile progetto)
Questo incontro ci e’ stato chiesto dalla Scuola alcuni giorni prima della nostra partenza.
Si tratta di una scuola residenziale per ragazzi sordi provenienti da tutta la Serbia, fondata nel 1949, che ospita al momento 
8 bambini in eta’ prescolare (scuola materna)
42 bambini di scuola elementare (7-13 anni)
18 ragazzi di scuola superiore.
Sono presenti 32 operatori.
Il laboratorio audiologico attuale segue ovviamente i ragazzi ospitati, ma opera anche all’esterno, nella regione du Sumadjia, seguendo saltuariamente 1024 persone.
CI hanno presentato un ben articolato progetto redatto sia in Serbo che in Inglese per la realizzazione di un nuovo laboratorio otoacustico, che permetterebbe un intervento piu’ sistematico, specialmente sul territorio, e diagnosi precoci di problemi all’udito.
La nostra intenzione ora e’ di trovare qualche esperto che sia in grado di aiutarci a capire la reale portata anche economnica di questo progetto, che ci sembra comunque molto interessante.
La Scuola aveva ricevuto uno dei due computers usati che a febbraio scorso avevamo spedito agli asili della citta’. Questa volta abbiamo consegnato solo otto scatole di giocattoli e materiale scolastico.
La nostra visita si e’ aperta con uno spettacolo di danza dei ragazzi ospiti della Scuola e si e’ conclusa con un eccellente pasto. Peccato che avessimo finito di mangiare un’ora e mezzo prima...
Come sempre abbiamo lasciato in dono una bandiera della pace.

                          

FOTO: Un momento dello spettacoloUn gruppo dei bambini della Scuola

Ore 16: Incontro con la Scuola per infermiere ‘Sestre Ninkovic’
(progetto di odontoiatria sociale)
Si tratta di una Scuola fondata nel 1947, frequentata attualmente da 990 allievi. Sono attive le specializzazioni in chirurgia, ginecologia, pediatria, farmacia e stomatologia.
La strumentazione esistente per quest’ultima e’ valida anche se vecchia, ma manca una poltrona odontoiatrica.
Avevamo firmato a giugno scorso il verbale di accordo sulla fornitura di un laboratorio odontoiatrico completo, e definito le modalita’ del suo uso (il verbale e’ riportato nella relazione di giugno scorso).
Avevamo anche visitato i locali messi a disposizione per questo progetto: si trattava di un vecchio archivio dismesso e piuttosto in cattivo stato.
Abbiamo avuto la graditissima sorpresa di vederlo completamente trasformato: rifatto l’impianto elettrico e idraulico, il riscaldamento; il locale e’ stato anche completamente piastrellato fino al soffitto. Tutti questi lavori sono stati sostenuti dalla Scuola, che non ci ha chiesto alcun aiuto economico. E’ certamente il modo migliore di iniziare questo progetto!
Ci hanno fatto visitare anche un sottotetto appena restaurato (a loro spese) in cui vorrebbereo realizzare una sala computers per gli studenti.


LEGGI LA 
LETTERA DI AVNI ER AGLI ANTIFASCISTI ITALIANI:


Carcere turco.
Salviamo la vita di Avni Er

 

(Articolo pubblicato sul settimanale “La rinascita della sinistra”)

 

Di Marco Santopadre

 

Il 1° aprile del 2004 i ROS dei Carabinieri arrestano 5 persone - 3 italiani e 2 turchi - che ritengono militanti di una cellula che l’organizzazione della sinistra turca DHKPC avrebbe installato a Perugia. “Da notare che prima della riforma in senso restrittivo dell’art. 270 bis del Codice Penale  - afferma l’avvocato Flavio Rossi Albertini - non sarebbe stato giustificabile l’arresto di persone accusate di aver commesso dei reati associati al terrorismo non nel nostro territorio bensì in un paese terzo. La riforma del Codice e il rafforzamento a partire dal Governo Berlusconi della cooperazione giudiziaria con la Turchia hanno portato nel 2004 a questa operazione, presentata all’epoca come la prova concreta della disponibilità italiana nei confronti delle richieste insistenti del governo di Ankara di colpire le voci dell’opposizione di sinistra turca che operano in molti paese europei”.
Le accuse hanno trovato una sponda nella Procura della Repubblica e poi nella Corte d’Assise di Perugia che hanno ritenuto di dover procedere contro quella che è stata considerata una cellula di collegamento tra l’ala militare dell’organizzazione operante in Turchia e i vertici che, secondo la Magistratura, agivano invece in Olanda. Durante l’iter processuale gli imputati Avni Er e Zeynep Kiliç vengono ritenuti colpevoli di appartenenza ad un’organizzazione terroristica e quindi condannati il primo a sette anni di carcere e la seconda a cinque.
Nei loro confronti vengono applicate condizioni durissime di carcerazione. Nel luglio del 2006 Avni Er, nonostante sia processato a Perugia, dal Carcere romano di Rebibbia viene trasferito in quello di Nuoro, rendendo così estremamente difficile ai suoi avvocati realizzare i colloqui e garantirne la difesa.
Ricorda Rossi Albertini che “l’attività di Avni in Italia è sempre stata quella di divulgazione e di controinformazione rispetto alla dura repressione e persecuzione che la sinistra turca è costretta a subire: torture inflitte sistematicamente ai prigionieri politici, partiti e associazioni messe al bando, giornali chiusi e i loro redattori arrestati. Per non parlare del massacro di decine di prigionieri e di loro familiari realizzato dalle forze di sicurezza turche nel dicembre del 2000”.
Se la condanna di due cittadini turchi sulla base di prove indiziarie non fosse già cosa grave, il governo italiano potrebbe rendersi ora complice di un nuovo atto di ingiustizia, mettendo a rischio l’incolumità e la vita stessa di Avni Er. Ankara ha infatti inoltrato formale richiesta di estradizione alle autorità italiane ed entro poche settimane il suo omologo italiano Clemente Mastella dovrà rispondere. In nome dei reciproci e crescenti interessi economici tra i due paesi e della cosiddetta “lotta al terrorismo” Avni potrebbe essere consegnato alle istituzioni carcerarie di uno Stato che è in cima alle classifiche mondiali sulle violazioni dei diritti umani. Violazioni denunciate e documentate non solo da associazioni indipendenti come Human Rights Watch e Amnesty International, ma anche da organismi ufficiali come la Commissione ONU per i diritti umani e il Comitato Europeo per la prevenzione della Tortura. Considerando che Avni Er viene ritenuto da Ankara un “nemico dello Stato” si può immaginare a quale trattamento verrà sottoposto.
Gli avvocati chiedono alla Corte d’Appello di Sassari di rispettare la clausola che prevede il rifiuto dell’estradizione quando sussiste il concreto rischio che il prigioniero possa essere sottoposto a tortura o comunque a trattamenti inumani e degradanti. Anche nel caso di un ok da parte della Magistratura, l’ultima parola spetta comunque al Ministro Mastella, che purtroppo si è detto già disponibile nei confronti della richiesta del regime turco.
L’appello da parte di associazioni, giornalisti e organizzazioni politiche - alcuni parlamentari hanno già presentato delle interrogazioni in merito - è che la giustizia prevalga sul mero calcolo politico e sulla realpolitik.



Il compagno Veltroni, il più abile agente della Cia

 

Dopo il dossier Mitrokhin, dagli archivi dello spionaggio internazionale arriva il dossier Kuriakhin, con una rivelazione sensazionale: Walter Veltroni fin da ragazzo è stato reclutato dalla CIA per infiltrarsi nel PCI e conquistarne la leadership. Secondo Kuriakhin solo così si spiegano le abissali differenze tra quanto afferma oggi e quanto sosteneva in passato. Il dossier analizza metodicamente i suoi scritti e i discorsi, dai primi passi nella FGCI a oggi. E scopre che mentre il Veltroni del 2000 dice di non essere mai stato comunista, di aver dissentito dalla linea del PCI e di aver sempre odiato l’URSS e amato gli USA, in precedenza affermava l’esatto contrario.
Tra il gioco della satira politica e il rigore del saggio documentato, il dossier Kuriakhin ci porta a una domanda cruciale: chi è il compagno Veltroni? Il suo è un fantastico caso di spionaggio oppure un esempio insuperabile di trasformismo?
 
Ovviamente, Ilya Kuriakhin non esiste, e il reclutamento di Walter Veltroni nella CIA è solo un espediente satirico. Ilya Kuriakhin, infatti, è il nome di un personaggio televisivo, un agente segreto che appariva nella celebre serie di telefilm The Man From U.N.C.L.E. (trasmessa dalla RAI anche in Italia), prodotta tra il 1964 e il 1967. Per Il compagno Veltroni sotto lo pseudonimo di Ilya Kuriakhin si nasconde in realtà un giornalista che ha militato a lungo nel PCI e che conosce bene, dall’interno, le vicende di quel partito.

 

 

MILLELIRE STAMPA ALTERNATIVA
Direzione editoriale Marcello Baraghini
 
Graphic designer Daisy Jacuzzi
 
Stampato per conto della Nuovi Equilibri srl
presso la tipografia Union Printing spa (Viterbo) nel mese di marzo 2000
 
 
Premessa
 
La politica italiana è stata bersagliata sempre di dossier e rivelazioni a sorpresa. Da ultimo, ci ha pensato il dossier Mitrokhin a elencare i nomi di vere o presunte spie del KGB. Ma dopo il dossier Mitrokhin, ecco arrivare dai segreti archivi dello spionaggio internazionale il dossier Kuriakhin, che si annuncia ancor più esplosivo.
Secondo questo nuovo dossier, infatt i, il leader diessino Walter Veltroni sarebbe da anni un agente della CIA.
Le rivelazioni sono inquietanti e si basano su una metodica analisi delle dichiarazioni pubbliche di Veltroni nei decenni passati, mettendole a confronto con le sue tesi attuali. Altri ex-comunisti, come Enzo Bettiza nel lontano passato, o Giuliano Ferrara in tempi più vicini, hanno teorizzato e spiegato la loro scelta di cambiare opinione, ad un certo punto della vita e dell’esperienza politica. Walter Veltroni, invece, nel condannare la “tragedia” del comunismo ha cercato di accreditare un’immagine di sé “innocente” rispetto alle colpe attribuite alla vicenda comunista, ricostruendosi a ritroso una immacolata rispettabilità di dissenziente.
Ecco perché le recenti dichiarazioni di Veltroni sull’incompatibilità tra comunismo e libertà hanno involontariamente rivelato la vera identità del segretario diessino: non sarebbe mai stato comunista, pur professandosi tale e riuscendo a scalare la gerarchia del partito fino a diventarne un dirigente nazionale e poi a raccoglierne la guida, dopo la trasformazione in DS. Anzi, Veltroni afferma candidamente (ormai non ha più bisogno di copertura: la missione è compiuta, direbbe James Bond) di aver sempre preferito gli USA all’odiata URSS. E allora? Il dossier Kuriakhin svela la verità, l’unica possibile: Veltroni era (e forse è ancor oggi) un agente della CIA.
Veltroni afferma, oggi, di non essere mai stato comunista e di aver dissentito dalla linea prevalente nel suo partito, nonostante facesse parte sin da ragazzo dei gruppi dirigenti della FGCI e poi del PCI. Di più: Veltroni sostiene di aver sempre considerato l’URSS come il nemico e gli USA come gli amici principali dell’Italia e dell’Occidente. Eppure, le sue dichiarazioni pubbliche, i suoi articoli apparsi sulla stampa comunista a partire dagli anni ’70, i documenti politici da lui controfirmati, e raccolti dal dossier Kuriakhin, affermavano l’esatto contrario: gli USA come pericolosa potenza imperialista, i paesi socialisti come speranza per le nuove generazioni, lo stalinista Togliatti come esempio per i giovani, le scelte dei leader del PCI sempre giuste e coerenti.
Non può che esserci una spiegazione, per Kuriakhin: Veltroni fin da ragazzo è stato reclutato dalla CIA per infiltrarsi nel più grande partito comunista d’occidente e, agendo sotto copertura e simulando fedeltà e allineamento alle direttive del partito, effettuare una clamorosa scalata di potere fino a conquistarne la leadership. In confronto, i risultati del KGB e della Stasi, che riuscirono a mettere un loro uomo, la spia della Germania est Gunther Guillaume, come segretario personale di Willy Brandt, impallidiscono: Veltroni, infatti, è diventato addirittura segretario del partito. Nel caso di Veltroni abbiamo a che fare con un abilissimo agente segreto dalla doppia vita (in pubblico comunista inossidabile, ma nell’intimo, per sua stessa ammissione, anticomunista e filoamericano), in grado di adempiere la missione impossibile di raggiungere per conto degli americani il vertice di un partito avversario.
La scoperta che Walter Veltroni era un agente della CIA infiltrato nel PCI getta un’ombra clamorosa sulla storia recente della democrazia italiana. E il partito comunista di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer si rivela un organismo pullulante di spie: spie del KGB, certamente, ma ora sappiamo anche spie della CIA. Ecco perché il dossier Kuriakhin rischia di diventare più devastante, almeno in Italia, del dossier Mitrokhin.
Quella che leggerete, dunque, è una storia di spionaggio, nata quando ancora si ergeva il Muro di Berlino, e un giovanissimo italiano, Walter Veltroni, anticomunista e innamorato degli Stati Uniti, accettò di compiere una straordinaria missione per sgominare i “rossi” del suo paese. Aveva un nome in codice, apprendiamo ora: “agente Icare”. Del suo eroismo, della sua vittoria, parla il dossier Kuriakhin. Al termine della lettura, ognuno potrà decidere chi è il compagno Veltroni. Il suo è un fantastico caso di spionaggio, come afferma Kuriakhin, oppure è un esempio insuperabile di trasformismo e doppiezza? La parola ai lettori.
 
IL DOSSIER KURIAKHIN
Mi chiamo Ilya Kuriakhin. Per molti anni ho lavorato come agente del KGB, e ho seguito da vicino le vicende italiane. La scomparsa dell’URSS non mi ha turbato più di tanto, perché io sono sempre stato un uomo utile ai servizi segreti sia dell’est che dell’ovest. Il vento spesso cambia direzione, e io mi sono adeguato. Ma non è la mia biografia che voglio raccontarvi. Quel che conta è che oggi, finito il duello tra occidente e blocco sovietico, posso finalmente rivelare quanto mi è capitato di conoscere in tanti anni di attività.
Ho operato a lungo negli Stati Uniti, sotto varie coperture, ed è a Washington che sono riuscito a mettere le mani su molti documenti scottanti del servizio segreto americano. Tra questi, il file personale di un italiano, Walter Veltroni: nome in codice “agente Icare” (anche se, per depistare, Veltroni ha recentemente affermato che il suo nome in codice sarebbe “Punto”).
Ho ricopiato tutto il dossier Veltroni su alcuni kleenex e sulle confezioni del chewing gum, a caratteri microscopici, per settimane e settimane, rischiando la vita. Ma sono fiero, ora, di poter far conoscere a tutti la verità su Veltroni, l’agente segreto Veltroni, la cui missione era di infiltrarsi nel più grande partito comunista dell’occidente capitalistico e riuscire ad entrare nei suoi vertici.
Veltroni, rivelano quelle carte da me meticolosamente ricopiate, è stato un “illegale”, un uomo costretto a una doppia vita: nel suo intimo era un anticomunista viscerale, ma in pubblico doveva fingersi un “rosso”, doveva lodare Togliatti (il killer stalinista Togliatti), doveva scagliarsi contro la Democrazia Cristiana asservita agli USA, doveva dimostrarsi pienamente allineato con le scelte politiche di un partito che odiava. Uno stress psicologico che solo i migliori agenti segreti della storia sono riusciti a tollerare. Ma lui, l’agente Walter “Icare” Veltroni, c’è riuscito.
 
 
AGENTE SEGRETO VELTRONI
 
FILE n. 1
 
GLI ANNI SETTANTA
 
Walter Veltroni nasce a Roma il 3 luglio 1955. Il padre è Vittorio Veltroni, «pioniere delle radiocronache in RAI», secondo la sintetica definizione di Giuseppe Fiori, e direttore dei primi telegiornali; la madre è Ivanka, a sua volta funzionaria della RAI e scrittrice di romanzi rosa.
Walter abita in un buon quartiere della borghesia romana, in via Savoia. Seguendo le orme di famiglia, compie gli studi medi all’Istituto Cine-Tv, a due passi da viale Marconi, nella periferia di Roma.
Nel 1970 si iscrive alla FGCI, l’organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano. Cosa spinse quel ragazzo a entrare precocemente in un’organizzazione che, secondo le dichiarazioni dello stesso Veltroni del 1999, era pericolosa per la libertà, in quanto figlia di un partito, il PCI, legato al comunismo, «tragedia del Novecento»? 
Il nostro dossier, come vedremo, svela che già allora Veltroni era stato arruolato dai servizi segreti americani, e questo spiega tutto. E spiega anche perché la sua passione politica si trasformi subito in scalata di potere: in pochi mesi diventa segretario della cellula della sua scuola, e appena diplomato (nel 1973) è funzionario a tempo pieno della FGCI romana.
Nel suo nuovo ruolo di miniburocrate federale, il giovanissimo Veltroni prima dirige gli studenti comunisti della città, poi è eletto segretario della FGCI romana. Un incarico importante, nella capitale, in anni in cui l’organizzazione giovanile comunista cittadina contava ben cinquemila iscritti.
Non era certo un consesso di liberali critici verso la tragedia del comunismo, quella FGCI di cui Veltroni è dirigente fin da ragazzo. Lo Statuto della Federazione Giovanile Comunista Italiana (confermato ancora al XXI Congresso del 1978), infatti, esordisce con un preambolo in cui si afferma: «Gli iscritti e i militanti della FGCI lottano per costruire una società socialista che crei le condizioni e favorisca il processo di liberazione dell’uomo verso il comunismo». E all’articolo 1 si aggiunge: «La FGCI si riconosce nella strategia del Partito Comunista Italiano, contribuisce ad arricchirla, ed educa i suoi iscritti alla conoscenza del marxismo e del leninismo, nello spirito dell’antifascismo e dell’internazionalismo proletario».
Veltroni prese la tessera di quell’organizzazione giovanile, e ne divenne subito dirigente. Però oggi sostiene che «si poteva stare nel PCI senza essere comunisti. Era possibile, è stato così». Nell’organizzazione giovanile di Veltroni, tuttavia, si lottava per «il processo di liberazione dell’uomo verso il comunismo» e ci si educava al marxismo, al leninismo e all’internazionalismo proletario.
I suoi primi passi tra i giovani dirigenti della FGCI romana sono in una chiave che oggi si direbbe “veterocomunista”. È tra gli organizzatori, il 24 febbraio 1974, della manifestazione Togliatti con noi (Nel nome di Togliatti le lotte dei giovani per la pace, la libertà, il socialismo), arricchita da «filmati e documenti inediti sulla vita di Togliatti», come recitava il volantino promozionale. Una kermesse togliattiana che doveva essere costata molta sofferenza a Veltroni, da sempre seguace viceversa (abbiamo appreso di recente) della democrazia occidentale e tutt’al più del socialismo liberale dei fratelli Rosselli.
Ma c’è una miniera di documenti sul veltronipensiero degli anni settanta: è Roma Giovani, mensile della Federazione Giovanile Comunista Romana, come campeggia sulla copertina (e di cui era caporedattore Carlo Leoni, attuale responsabile giustizia dei DS). Fin dal 1974 il periodico ospita innumerevoli articoli e interventi del nostro, che rivelano come, già da ragazzo, fosse costretto a simulare una fede comunista e un’adesione incondizionata alla linea del PCI: oggi sappiamo che doveva occultare la sua missione segreta.
Per rendere credibile la sua scelta comunista, all’epoca, Veltroni doveva accentuare l’antiamericanismo, fugando così ogni possibile sospetto sul suo doppio gioco. Lo desumiamo da uno dei suoi primi articoli, “Una vita da cambiare: la droga”, che appare sul numero 1 di Roma Giovani, nel novembre 1974. Il giovane Walter respinge la riduzione del fenomeno droga «ad una presunta “Americanizzazione” del modo di vivere dei giovani e degli studenti delle grandi città». Le motivazioni dell’uso della droga, al contrario, starebbero in «una angosciosa situazione dove molti giovani sono stati cacciati dall’immoralità delle classi dominanti».
La soluzione, per il compagno Veltroni di allora, è semplice: «I giovani, tutti, sognano una società più giusta ed umana. Questa società per noi è il socialismo». 
Di lì a poco, ecco apparire un Veltroni “militante rivoluzionario”. Lo scopriamo mentre contende a Lotta Continua la leadership del mondo giovanile di sinistra: «Il nostro ruolo è nella capacità del movimento operaio di esercitare appieno la propria egemonia su quei settori dei giovani delusi dall’esperienza estremista. È necessario quindi per il movimento operaio ed il suo partito d’avanguardia rendere più esplicito il rapporto tra lotta quotidiana e prospettiva di trasformazione dello stato, far comprendere alle giovani generazioni il proprio patrimonio teorico ed esplicare alcune questioni centro della elaborazione del marxismo italiano». E conclude solennemente: «Solo così sarà possibile recuperare alla milizia rivoluzionaria i giovani delusi dall’estremismo». 
Presto il Veltroni “militante rivoluzionario” si dichiara anche leninista. È un testo chiave, quello che stiamo per leggere: I giovani, la libertà, il socialismo. Tra citazioni di Gramsci, Lenin e dei comunisti vietnamiti, Veltroni scrive che occorre «porsi concretamente oggi il problema di elevare ad un livello più alto la ribellione dei giovani dando ad essa la luce della coscienza politica e della necessità storica del socialismo». 
Per raggiungere questo ambizioso obiettivo c’è una ricetta magica: «Affondando nelle pieghe della linea del nostro partito fondata sull’analisi scientifica della diversità storica della rivoluzione è possibile trovare una risposta agli interrogativi che tutti i giovani agitano».
Veltroni sostiene che bisogna «operare con rigidità scientifica quella che Gramsci chiamava “una ricognizione nazionale”». E se afferma, secondo la liturgia del PCI di allora, «la necessaria diversità della rivoluzione italiana da quella dell’Ottobre», il giovane Veltroni non disdegna di difendere il concetto di “egemonia”, che di lì a poco diventerà una parolaccia impronunciabile dopo una dura polemica scatenata dal PSI di Bettino Craxi. Scrive infatti il compagno Walter: «Dalla elaborazione del concetto d’egemonia, del partito come forza rivoluzionaria e strumento dell’egemonia, nasce, negli anni difficili del dopoguerra, il nostro disegno di “Via Italiana al Socialismo”».
Non solo, dunque, la rivendicazione dell’egemonia, ma persino del partito «come forza rivoluzionaria».
Andiamo avanti nella lettura. Ecco apparire un riferimento all’artefice della rivoluzione bolscevica, l’uomo che ogni sincero liberale (come oggi Veltroni afferma di essere sempre stato) considera il primo responsabile dei gulag e di quella che lo stesso Veltroni, nel ’99, definirà «la tragedia del comunismo»: Vladimir Ilic Ulianov detto Lenin. Scrive, infatti, il nostro con prosa soviettista: «Si esalta nell’originale elaborazione italiana l’affermazione di Lenin secondo la quale la democrazia e il socialismo si saldano fortemente e la rivoluzione democratica apre la strada a quelle socialiste, mentre la soluzione socialista porta a compimento quella democratica».
Esattamente opposte alle tesi sostenute attualmente da Veltroni sono poi le sue critiche alle altre forze politiche italiane: «Ogni volta che tra i partiti politici si parla di socialismo alcuni di essi, in primo luogo la DC, partono in voli pindarici descrivendo a tinte fosche, come in un libro di Carolina Invernizio, il carattere dittatoriale e le soppressioni della libertà che a parere loro [corsivo mio, n.d.r.] vigerebbero nei paesi socialisti. Non abbiamo mai esitato a far sentire alta la nostra voce quando abbiamo ritenuto che in questo o quel paese un intervento esterno comprimesse la libertà di quel popolo, così come non abbiamo mai mancato di sviluppare un dibattito serrato sulle questioni della democrazia socialista. Ma sempre in questi dibattiti si è affermato il carattere franco e aperto che caratterizza le discussioni tra partiti fratelli».
Sì, avete letto bene: «partiti fratelli», e chi critica l’URSS e i paesi socialisti compie «voli pindarici», e il carattere dittatoriale di quei regimi sarebbe tale solo «a parere loro».
Queste righe svelano, più di ogni altra, il doppio volto di Veltroni: pubblicamente comunista ortodosso, in segreto anticomunista al soldo degli USA. Come spiegare altrimenti la contraddizione con quanto dichiarato nell’ormai celebre articolo su La Stampa nell’ottobre 1999, definito «l’anatema di Veltroni» contro il comunismo?
Afferma oggi Veltroni: «Io ero ragazzo, negli anni settanta, ma pensavo che avesse ragione Ian Palach e non i carri armati dell’invasione sovietica. Io ero ragazzo, allora, ma consideravo Breznev un avversario, la sua dittatura un nemico da abbattere». 
Ma come? Il partito di Breznev non era il primo tra i «partiti fratelli» evocati da Veltroni, proprio negli anni settanta? E perché Veltroni attaccava la DC, rea di dipingere «a tinte fosche» i paesi socialisti, quando ora scopriamo che già allora considerava quelle dittature «un nemico da abbattere»? Resta, di nuovo, una sola spiegazione possibile: Veltroni era un infiltrato, fin da ragazzo, nelle file del PCI.
Proseguiamo nella lettura del fondamentale testo veltroniano I giovani, la libertà, il socialismo. Walter denuncia «l’acquiescenza all’imperialismo» e aggiunge una serie di considerazioni sulle vicende internazionali del periodo. La prima riflessione è dedicata alla rivoluzione portoghese “dei garofani” (caduto il fascismo, il partito comunista-stalinista di Alvaro Cunhal era arrivato alla stanza dei bottoni): «Il Portogallo vive oggi la sua stagione di libertà ed ha iniziato un travagliato e contraddittorio processo di democratizzazione». Persino il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, era stato più coraggioso, prendendo le distanze dagli eccessi antidemocratici di Cunhal, che per Veltroni sono solo «un travagliato e contraddittorio processo di democratizzazione».
Ma andiamo avanti. Ora Veltroni si occupa del Vietnam, «il piccolo popolo che ha sconfitto il grande colosso americano». Incurante della caduta di un paese nelle mani dei tiranni comunisti, Veltroni afferma: «I compagni vietnamiti ci hanno detto: “La nostra lotta è giusta, uniti vinceremo”. Ed hanno sconfitto la grande potenza americana e sono entrati a Saigon dove lavorano per costruire un Vietnam pacifico e indipendente».
Veltroni esulta perché sui muri di Saigon «i soldati del GRP hanno scritto le parole che Ho Ci Min pronunciò nel ’68 prima dell’offensiva del TET: “Questa primavera sarà migliore di ogni altra; la notizia delle vittorie riempie di gioia tutto il paese, Nord e Sud, gareggiando in coraggio sconfiggono lo Yankee. Avanti, la vittoria è nelle nostre mani”. L’Indocina, l’Africa, l’America latina, la Cina, Cuba Socialista, il Portogallo, la Grecia, i paesi socialisti dell’Est europeo, tutto il mondo si colloca sulla strada della libertà e del progresso. Libertà, progresso, giustizia sociale, valori che si affermano in dimensioni sempre più ampie tra i giovani e che vanno tutte nella direzione del socialismo. Esso, lo sappiamo, non è dietro l’angolo. Coscienti di questo nel chiedere ai giovani il voto al PCI sentiamo di dover proporre qualcosa di più: un impegno coerente di coscienza e di lotta. Questa è la linea che prospettiamo ma non ne esistono, ne siamo convinti, altre».
Il compagno Veltroni conclude l’articolo con la retorica che non lo abbandonerà mai, nemmeno negli anni recenti “liberalsocialisti”: «No, non ci sono scorciatoie. Lenin diceva che “la via della Rivoluzione non è dritta e selciata come la prospettiva Newski”. I giovani questa via hanno già cominciato a percorrerla, andranno ancora avanti per gli ideali per i quali si sono battuti in questi anni. Gli ideali della pace, della democrazia, del socialismo».
Veltroni nel ’99 scrive: «Noi trentenni “finimmo” la storia del PCI, perché la contraddizione era diventata insostenibile. In primo luogo per noi, per una generazione che aveva l’URSS come avversario e la democrazia occidentale nel DNA, nel vissuto, nella formazione culturale». Come può essere lo stesso Veltroni che nel 1975 parlava di Rivoluzione (rigorosamente con la R maiuscola), citava Lenin, diceva che i paesi socialisti viaggiavano «sulla strada della libertà e del progresso», attaccava sprezzante «gli Yankee»?
Al fine di compiere perfettamente la sua infiltrazione, Veltroni continua a pubblicare articoli dal linguaggio ultra-comunista. Nell’estate del 1975, dopo le elezioni del 15 giugno che hanno visto un’avanzata clamorosa del PCI, declama: «Il nostro partito, con la sua linea ed il suo modo di essere, ha saputo mostrarsi come la grande forza in grado di superare la crisi della società capitalistica». E chiude: «Orientare la spesso generica aspirazione al rinnovamento che è presente tra i larghi settori delle nuove generazioni nella direzione dell’adesione all’ideale della società socialista è già un compito dei giorni successivi il 15 giugno». 
In quello stesso articolo Veltroni si auto-loda (un atteggiamento che non lo abbandonerà mai) per aver contribuito alla vittoria del PCI, a suo parere addirittura con «un peso storico», tramite la nascita dei Comitati Unitari, cioè il movimento studentesco di area PCI di cui a Roma era stato artefice. Teorizzazione che viene amplificata dallo stesso Veltroni poche pagine dopo, sullo stesso numero di Roma Giovani, in un articolo intitolato “Per un nuovo movimento degli studenti”.
Certo quel suo attivismo intorno ai Comitati Unitari (ritenuti dalle altre forze politiche giovanili il semplice tentativo di creare una “cinghia di trasmissione” tra PCI e studenti) aveva fatto crescere le quotazioni di Walter presso Massimo D’Alema, appena nominato segretario nazionale della FGCI: la conoscenza tra i due data da allora, quando partecipavano entrambi alle estenuanti riunioni nella sede della Federazione Giovanile Comunista di via della Vite.
A questo proposito, però, nel 1995 Veltroni farà una rivelazione che deve aver lasciato di stucco tutti i suoi compagni di allora. Nessuno aveva mai colto il seppur minimo dissenso del giovane Veltroni dai vertici della FGCI, e anzi era notorio il suo “appiattimento” su qualsiasi indicazione venisse dalle sedi direttive sia del PCI che dell’organizzazione giovanile. Invece no, la verità (ancora una volta segreta) era tutta diversa: «Quando D’Alema era segretario della FGCI non andavamo d’accordo, proprio non andavamo d’accordo. In maniera molto netta. Avevamo due visioni della politica diverse. Allora, le nostre diversità erano moltiplicate per cento. Eravamo più giovani, lui venne dal partito per dirigere più severamente una FGCI ribelle, io ero più attento ai movimenti. Quindi non ci prendevamo bene. A quei tempi ci fu un conflitto tra noi, un conflitto di quelli che, quando si è ragazzi, lasciano qualche segno. Per questo, per un certo numero di anni, ci siamo guardati con qualche reciproco sospetto». 
Peccato che questo “conflitto” non sia testimoniato da nessun intervento, nessun articolo, nessuna parola del Veltroni di allora. Mai, assolutamente mai il giovane Walter ha espresso pubblicamente questa sua visione politica “diversa”. Forse il centralismo democratico era così rigoroso nella FGCI che era impossibile esprimere un seppur timido dissenso? O forse la sua missione (fare carriera negli organigrammi comunisti) gli imponeva anche in quel caso il silenzio più totale?
Torniamo agli scritti dell’epoca. Agli inizi del 1976 Veltroni si occupa di centrosinistra e anticomunismo, due temi che saranno cruciali nella sua carriera politica futura. Ma negli anni ’70 erano per Veltroni solo oggetti di critica dura. Scrive: «Si è chiusa, non certo in gloria, la stagione decennale del centro-sinistra i cui cascami, dopo la storica rottura avvenuta nel corpo della società italiana per le lotte operaie e studentesche del ’68-69, si sono trascinati fino a questi ultimi mesi. Così, il centro-sinistra, inadeguato ed incapace, viziato dall’ambizione di molti, di comportare, con l’uso spregiudicato di questa formula, l’esaurimento nel ruolo di opposizione della funzione storica e della forza del PCI, chiude miseramente la sua intensa storia».
E Veltroni plaude alla sconfitta della contrapposizione frontale ai comunisti da parte della DC: «Occorrerebbe, per svolgere un’opera di reale rinnovamento, che la DC condannasse sé stessa per il suo passato, per l’espulsione dei comunisti dal governo dopo la guerra, per aver venduto agli americani il proprio partito, e il nostro paese, per aver giocato la carta della legge truffa». 
La DC un partito «venduto agli americani»? E l’espulsione dei comunisti dal governo un atto da condannare e non una scelta saggia? Se, come sostiene il Veltroni del 2000, il comunismo è incompatibile con la libertà, e l’occidente a guida americana ha tutelato l’Italia dalla dittatura, allora quelle posizioni della DC dovrebbero ritenersi sacrosante. Ci auguriamo che presto la storia sia riscritta definitivamente, dallo stesso Veltroni, fino a riabilitare coerentemente tutti i suoi avversari del passato.
Ma c’è dell’altro nell’articolo in questione. Veltroni dichiara di ritenere «positivo che si spengano le fiammelle dell’anticomunismo». E poi ecco il consueto appello alla rivoluzione: «La domanda di una società nuova si è fatta “senso comune” nell’animo della gioventù, spetta a noi tradurla nella lotta conseguente per la rivoluzione italiana».
Per il Veltroni rivoluzionario degli anni ’70, la DC e gli americani sono la bestia nera. Scrive, sempre nel 1976: «Nella fase immediatamente successiva alla guerra di Resistenza, noi siamo stati in presenza di alcune scelte della Democrazia Cristiana tese ad edificare un sistema di potere: penso ad esempio al viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti, e in sostanza l’asservimento del partito della Democrazia Cristiana e dell’Italia stessa al soldo ed al volere degli americani. È la storia recente della concessione delle basi Nato in Italia». 
Ritorna dunque il rimprovero alla DC in chiave antiamericana. E la stessa Democrazia Cristiana viene definita «strumento della borghesia capitalistica, e dalla borghesia capitalistica scelto e diretto».
Veltroni se la prende anche con “Comunione e Liberazione”, tirando in ballo Marx. Infatti, la convinzione di CL «che si debba cambiare i rapporti umani perché possano cambiare le strutture» è da contestare, secondo Veltroni, in quanto sarebbe «l’esatto opposto della intuizione teorica di Marx contenuta nella splendida prefazione a Per la critica dell’economia politica».
Ecco i consigli di lettura che dava ai suoi coetanei nel 1976: la «splendida prefazione» di Karl Marx. I “santini” del comunismo sono ancora dei fari luminosi, per Walter. Del resto, nel numero 13 (settembre 1976) sempre Roma Giovani pubblica un paginone centrale dedicato non a Ian Palach bensì a Mao, dove sotto una grande foto del leader cinese si legge (in un testo non firmato): «Ricordando il compagno Mao Tse Tung e quanto di positivo Egli è riuscito a realizzare anche nel nostro paese, a tante miglia di distanza dalla sua Cina, noi oggi auspichiamo il recupero di un nuovo clima di comprensione e di rispetto, di solidarietà internazionale fra i partiti comunisti e operai del mondo intero».
Una simile lettura avrebbe dovuto agghiacciare Walter, che disprezzava i regimi socialisti.
Mentre oggi apprendiamo che Veltroni fin da ragazzo riteneva l’URSS «un nemico da abbattere», nel 1976 deve fingere di credere esattamente il contrario, utilizzando una frase di Togliatti dove si additano come «nemici per l’Italia» i seguaci degli USA: «Per trent’anni siamo stati dipendenti economicamente e politicamente dagli Stati Uniti, la DC è stata connivente con la guerra nel Vietnam. Kissinger può indisturbato rivolgere apprezzamenti sulla situazione politica italiana, i ministri DC e chissà chi altro prendono i soldi dalle fabbriche di aerei americane. Alla faccia dell’indipendenza e dell’autonomia! Diceva Togliatti, parlando alla Federazione Romana nel ’44: “A coloro, agenti di questa politica antinazionale, che dicono: la nostra rovina sono i comunisti, sono i socialisti; cacciamo i socialisti e i comunisti dal potere, poi vedrete tutto quello che riceveremo, gli Stati Uniti ci manderanno i dollari, l’Inghilterra ci darà chissà quanti chilometri di sabbia nell’Africa sui quali potremmo ricostruire ancora una volta un nuovo e bellissimo impero… a costoro diciamo: voi siete dei nemici per l’Italia”». 
C’è un altro tassello da aggiungere al ritratto del giovane Veltroni. Al convegno della FGCI di Roma “Per il riscatto di questa generazione”, che si svolge il 7-8 aprile 1976, Veltroni è relatore e avrà poi il compito di aprire la manifestazione conclusiva dell’11 aprile, al cinema Metropolitan (a fianco di Massimo D’Alema).
Il documento preparatorio del convegno, stilato in gran parte dallo stesso Veltroni, è significativo. Vi si legge il consueto ritratto a fosche tinte della società americana. In America, recita il documento, «alla società giovane, ribelle e rissosa, seguì l’organizzazione della malavita, le grandi speculazioni, la tendenza alla guerra, la violenza della Polizia e dello Stato [notare le maiuscole, n.d.r.]. L’America che gli italiani conobbero di persona fu questa e questa America ha influenzato negativamente lo stato d’animo ed il modo di vita dei giovani». 
Il faro indicato dal documento è ancora quello di Palmiro Togliatti, per una sua risposta del 1962 alla lettera di un giovane. Una pagina e mezza del documento è dedicata al testo di Togliatti (definito «grande dirigente comunista»), con questa chiosa: «Ci vorremmo scusare per la lunghezza della citazione, ma crediamo che sia così significativa e chiara che, non solo non abbia annoiato, ma anzi ci permette di consigliare la lettura completa della lettera e della risposta di Palmiro Togliatti».
La retorica di scuola comunista cresce nelle ultime pagine: «Se la costruzione della società socialista vuole essere una grande esperienza creativa, allora diciamo che la rivoluzione deve vivere già oggi nella lotta e nella vita di questa generazione… Il socialismo ed il comunismo debbono essere così il progetto di più alta realizzazione della libertà, di più grande valorizzazione del lavoro come forza motrice della storia».
Il finale è un tripudio: «Occorre comprendere come oggi stesso “fare politica” significa edificare mattone per mattone una società nuova, significa partecipare al progetto ambizioso della vittoria della rivoluzione proletaria in occidente, di quella rivoluzione che noi portiamo avanti e che tutti i giovani debbono vivere e far vivere da oggi».
La terminologia è ben più rozza di quella usata dal PCI nello stesso periodo. Il Partito non avrebbe mai evocato la «rivoluzione proletaria» in un suo documento, ma Veltroni ha un chiodo fisso: far concorrenza ai «gruppi estremisti», che nelle scuole e nelle università hanno un consenso ben maggiore della FGCI. E allora diventa necessario appesantire il linguaggio con qualche parola gradita a un uditorio avvezzo ai proclami rivoluzionari. Il sostantivo rivoluzione e l’aggettivo rivoluzionario, infatti, sono ripetuti a ogni piè sospinto, persino nelle ultime righe: «Da questa volontà e da questo progetto, al quale vogliamo guardino gli studenti, le ragazze, i giovani operai, e disoccupati, nasce la possibilità per una intera generazione di dire no all’isolamento e alla sconfitta, e costruire con grande determinatezza e grande slancio rivoluzionario quella che noi vogliamo chiamare la “società del riscatto”».
La rivista Roma Giovani chiude quando la FGCI e il PCI sono presi alla sprovvista dall’improvvisa esplosione del cosiddetto “movimento del ’77”. Walter Veltroni è ancora segretario della FGCI romana quando scoppiano gli scontri all’Università di Roma che si concludono con la “cacciata di Lama”. Di certo è corresponsabile della sottovalutazione dei rapporti di forza nell’ateneo romano, almeno quanto il funzionario del PCI Gustavo Imbellone, su cui sarà fatta cadere la colpa per quella disfatta.
Per Walter il destino è meno severo. È costretto a difendere la giustezza di quella fallimentare prova di forza all’università anche in un’intervista a La Repubblica, ma dopo questo episodio la sua stella momentaneamente si opacizza. Secondo la regola del “promoveatur ut amoveatur”, fin dal maggio 1977 viene sollevato dalla guida della federazione giovanile e spostato al partito, dove gli si affida la responsabilità della propaganda. Contestualmente, come ogni ex-segretario provinciale della FGCI, viene nominato nella segreteria romana del partito. Delle vicende in cui è stato coinvolto fino a pochi mesi prima è meglio che non si occupi più, e al mega-convegno del PCI e della FGCI “La crisi della società italiana e gli orientamenti delle nuove generazioni”, organizzato nell’ottobre 1977 proprio per riflettere sulla grave situazione provocata dal movimento del ’77, Veltroni resta in disparte e non prende nemmeno la parola.
Ormai il capitolo FGCI è chiuso (suggellato anche dal suo primo libro, Il PCI e la questione giovanile), e il compagno Walter «è passato al partito». Nel PCI romano di via dei Frentani, il suo referente è Luigi Petroselli, segretario della federazione e comunista “tutto d’un pezzo”, all’antica.
Sull’onda delle vittorie elettorali del PCI, e con il consenso attivo di Petroselli, Veltroni già nel 1976 era diventato consigliere comunale di Roma (rimarrà in questa carica fino al 1981). È la fase in cui si rafforza quella che Stephen Gundle definisce «la troika dei giovani comunisti romani»: Ferdinando Adornato (da direttore della Città Futura a capo della sezione cultura dell’Espresso, poi animatore di Alleanza Democratica), Gianni Borgna (autore di saggi sul festival di Sanremo) e Walter Veltroni (ma si potrebbero aggiungere figure minori come Goffredo Bettini e Carlo Leoni).
Veltroni, poi, sceglie di legare, con acuta preveggenza, il suo nome a quello di un dirigente del PCI allora in ascesa, Achille Occhetto. È proprio Veltroni a firmare, nel 1978, un libro-intervista con Occhetto dedicato al ’68. Tuttavia, paga pegno alle velleità dell’Occhetto di allora, ancora comunista “doc” e vicino alla sinistra ingraiana. Così, nell’intervista Veltroni fa capire che il leninismo è ancora un bene prezioso, tanto che i gruppi estremisti vengono convenzionalmente tacciati di «deformazione caricaturale del leninismo».
 
(continua)
 

MEGLIO IL SUICIDIO DELLA "KOSOVA INDIPENDENTE"


Strana notizia, quella data oggi su "Repubblica": una famiglia
albanese-kosovara sfugge al "genocidio dei kosovari organizzato dal
regime serbo di Milosevic" (queste le parole, testuali, del
quotidiano antiserbo ed antijugoslavo); ciononostante dopo due anni
scappa e clandestinamente si stabilisce in Austria; e la figlia
giovanissima si rifiuta di essere nuovamente deportata nella
"Kosova", alla vigilia della proclamazione di quella "indipendenza"
che dovrebbe essere il coronamento della ottenuta "liberazione dal
giogo serbo".
In tutta questa storia, chiaramente, c'è qualcosa che non quadra.
"Repubblica" mente vigliaccamente sulla vera natura del conflitto e
dell'attuale staterello-banana in Kosovo.
(a cura di IS)


Repubblica, 12/10/2007 - Pagina 19

La kosovara che commuove il mondo

Video choc di una quindicenne in tv: "Fatemi restare in Austria o mi
suicido"

Il dramma di Arigona: la sua famiglia fuggita dalla guerra è stata
rimpatriata
Lei si è data alla clandestinità "Meglio la morte che l espulsione"
Il paese si spacca

ANDREA TARQUINI

dal nostro corrispondente
BERLINO - «Non cacciatemi, non condannatemi all espulsione e alla
miseria. Se non potrò restare qui mi toglierò la vita. Vivo e studio
da voi, i miei amici sono austriaci, vi chiedo solo quello che vi
chiederebbe ogni mio coetaneo: una vita normale qui in Austria dove
sono cresciuta». Dal video spedito dalla clandestinità a tutte le tv,
il bel volto sorridente della 15enne Arigona Zogaj racconta il dramma
di una famiglia di profughi illegali spezzata dalla linea dura dell
Europa ricca sull asilo.
L Austria si spacca: il video in tv commuove il paese, i Verdi
portano la gente in piazza, il capo dello Stato Heinz Fischer si
schiera con Arigona e chiede un amnistia per i clandestini. Ma il
governo di Grande coalizione (socialdemocratici del cancelliere
Alfred Gusenbauer e democristiani) non cede: con gli extracomunitari
vuole fermezza ad ogni costo.
Il dramma di Arigona ha fatto a pezzi in poche settimane l ossessiva
voglia di tranquillità della prospera Austria Felix. La famiglia
Zogaj viveva in Austria da anni. Il padre vi era arrivato
illegalmente nel 2001, due anni dopo la fine della guerra con cui la
Nato pose fine al genocidio dei kosovari organizzato dal regime serbo
di Milosevic. La sua richiesta di asilo era stata respinta, ma senza
decreto di espulsione: di fatto egli era tollerato. E illegalmente il
signor Zogaj aveva fatto arrivare la moglie, la primogenita Arigona e
gli altri quattro figli.
Per anni gli Zogaj hanno vissuto nella placida Frankenburg, nell
alta Austria. Arigona è cresciuta, ha studiato, è diventata
adolescente e quasi adulta qui nel Mitteleuropa: jeans e moda casual,
cd, discoteca, primi flirt e libri di Harry Potter come i suoi
coetanei. A settembre è arrivato il decreto di espulsione. Papà e i
quattro fratelli sono stati rimpatriati a forza. Lei no: è fuggita,
si è data alla clandestinità aiutata dalla Chiesa cattolica. Il
parroco di Ungenach, un paesino dell Alta Austria, le ha dato il
rifugio che lo Stato le rifiutava. E dalla clandestinità, ha girato
il video che ha scosso il paese. Immagini girate in un modesto
interno con una videocamera amatoriale. Arigona, i grandi occhi
bruni, i capelli castani sciolti, fa il segno di "V" della vittoria
con le dita, sorride. Ma dice parole terribili. «Avete cacciato la
mia famiglia, avete distrutto delle vite. Vogliamo solo vivere
onestamente e lavorare qui, come gente normale. Qui sono cresciuta,
qui sono i miei amici, i miei affetti, la mia vita. Vi prego,
lasciatemi restare in Austria. Non vi illudete, se riusciranno a
prendermi non subirò il destino. Mi toglierò la vita, meglio la morte
dell espulsione».
Il video è stato recapitato alle tv pubbliche e private, e dal
piccolo schermo è entrato in ogni casa. La mamma di Arigona, che non
era stata ancora espulsa, alla notizia della minaccia di uccidersi
della figlia ha avuto un collasso ed è stata ricoverata in ospedale.
Lo choc del paese intero è stato grande, i Verdi, il più vivace
partito d opposizione, hanno portato la gente in piazza, davanti al
Parlamento e ai ministeri. «La politica delle espulsioni facili è
senza cuore, è disumana, antisociale, anticristiana», ha tuonato il
loro leader Alexander Van der Bellen. Ed è anche inefficiente: anche
gli extracomunitari cui l asilo viene rifiutato restano per anni in
attesa di decisioni finali sul loro conto. Nel frattempo lavorano, si
integrano, i loro figli crescono. «È assurdo chiedere agli stranieri,
specie ai musulmani, di integrarsi, e poi dopo anni buttare fuori
famiglie intere», denunciano i Verdi.
Ieri sera, il presidente della Repubblica in persona - il
socialdemocratico Heinz Fischer, il politico più popolare - ha rotto
il silenzio. Occorre pensare a un amnistia per i clandestini, ha
detto. Il governo è in grave imbarazzo: ufficialmente respinge ogni
richiesta di clemenza, ma l opinione pubblica preme.
Protetta dal parroco di Ungenach, Arigona continua la sua campagna:
l altro giorno il governatore dell Alta Austria, Joseph Puehringer,
democristiano, ha accettato di incontrarla. Senza rivelare dove fosse
il suo nascondiglio, senza farla arrestare. L ha ascoltata, ha
promesso di studiare il dramma della sua famiglia. Dramma che non è
un caso isolato: su 34mila clandestini o profughi tollerati in
Austria, almeno millecinquecento famiglie vivono a rischio di
espulsione immediata.

http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/
newsattach1080_Repubblica%2012-10.pdf

Segnaliamo il sito (plurilingue, soprattutto con articoli in inglese
ma anche con testi in italiano) di questa organizzazione creata dalla
lobby di Soros per condizionare la politica internazionale della
Unione Europea:

http://ecfr.eu/

<< The European Council on Foreign Relations was launched in October
2007 to promote a more integrated European foreign policy in support
of shared European interests and values. With its unique structure,
ECFR brings a genuinely pan-European perspective on Europe’s role in
the world:
ECFR was founded by a council whose members include serving and
former ministers and parliamentarians, business leaders,
distinguished academics, journalists and public intellectuals. Their
aim is to promote a new strategic culture at the heart of European
foreign policy.
With offices in seven countries, ECFR’s in-house policy team brings
together some of Europe’s most distinguished analysts and policy
entrepreneurs to provide advice and proposals on the EU’s big global
challenges.
ECFR’s pan-European advocacy and campaigns will work through the
internet and the media to make the necessary connections between
innovative thinking, policy-making and civic action.
ECFR is backed by the Soros Foundations Network, Sigrid Rausing,
FRIDE (La Fundación para las Relaciones Internacionales y el Diálogo
Exterior), the Communitas Foundation and Dr. Hannes Androsch. ECFR
works in partnerships with other organisations but does not make
grants to individuals or institutions. >>

http://ecfr.eu/content/entry/about/


Begin forwarded message:

> From: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
> Date: October 3, 2007 10:49:00 PM GMT+02:00
> Subject: [JUGOINFO] Conseil sorosien anti-européen des relations
> étrangères
>
>
> http://www.voltairenet.org/article151889.html
>
> 3 OCTOBRE 2007
>
> Création accélérée d’un Conseil européen des relations étrangères
>
> Un Conseil européen des relations étrangères (European Council on
> Foreign Relations - ECFR), équivalent du CFR états-unien, sera
> lancé en grande pompe le 9 novembre 2007, à l’occasion du 18e
> anniversaire de la chute du Mur de Berlin.
>
> Selon nos informations, les réunions préparatoires ont été
> organisées par George Soros à New York. L’ECFR a immédiatement
> engagé vingt employés et ouvert des bureaux dans sept capitales
> Berlin, Londres, Madrid, Paris, Rome, Sofia et Varsovie, mais pas
> Bruxelles. Il est principalement financé par la Fondation George
> Soros, par le Fundación para las Relaciones Internacionales y el
> Diálogo Exterior (liée à El Pais), et par la Communitas Foundation
> (c’est-à-dire la banque bulgare BRIB).
>
> Les adhésions se font par cooptation pour une durée de 5 ans. Les
> 50 premiers membres sont :
> Urban Ahlin - Martti Ahtisaari - Giuliano Amato - Hannes Androsch -
> Marek Belka - Svetoslav Bojilov - Emma Bonino - Robert Cooper -
> Marta Dassu - Gijs de Vries - Jean-Luc Dehaene - Gianfranco
> Dell’Alba - Andrew Duff - Sarmite Elerte - Brian Eno - Joschka
> Fischer - Timothy Garton Ash - Bronislaw Geremek - Diego Hidalgo -
> Mary Kaldor - Gerald Knaus - Caio Koch-Weser - Rem Koolhaas - Ivan
> Krastev - Mart Laar - Mark Leonard - Adam Lury - Alain Minc -
> Christine Ockrent - Leoluca Orlando - Cem Özdemir - Simon Panek -
> Teresa Patricio Gouveia - Chris Patten - Diana Pinto - Andrew
> Puddephatt - Sigrid Rausing - Albert Rohan - Pierre Schori - Narcís
> Serra - Elif Shafak - Aleksander Smolar - George Soros - Dominique
> Strauss-Kahn - Helle Thorning Schmidt - Michiel Van Hulten - Mabel
> Van Oranje - Antonio Vitorino - Stephen Wall - Andre Wilkens.
>
> Trois co-président sont été désignés : Martti Ahtisaari, Joschka
> Fischer, et Mabel van Oranje (représentant George Soros).
>
> Au menu des travaux immédiats : l’indépendance du Kosovo et
> l’intégration des Balkans —Turquie incluse— dans l’Union. À moyen
> terme, le Conseil devra pallier au rejet du projet de Traité
> constitutionnel par les peuples français et néerlandais en
> favorisant, d’une manière ou d’une autre, la fusion des fonctions
> de Haut Représentant et de Commissaire chargé des relations
> extérieures. Enfin, à long terme, le Conseil favorisera
> l’intégration complète des politiques étrangères des États membres
> dans l’Union « afin qu’elle ne parle que d’une seule voix ».
>
> La création de l’ECFR reprend le projet de l’ambassadeur George
> Kennan en 1947, mais va au-delà encore pour assurer la perennité du
> système américaniste. Au moment où les États-Unis montrent des
> signes de faiblesse, il s’agit de créer une Europe unie qui fasse
> le pendant des États-Unis et constitue avec eux un vaste ensemble
> transatlantique.

(deutsch / francais / castellano / english)


Fidel Castro: The world cannot forget the Yugoslav war


1) Fidel Castro: A Silent Complicity

2) 1999: DIE BOTSCHAFTEN 2 UND 3 AN MILOSEVIC UND SEINE ANTWORT / MENSAJES 2 Y 3 A MILOSEVIC Y SU RESPUESTA / MESSAGES 2 ET 3 À MILOSEVIČ, ET RÉPONSE DE SA PART


Sul carteggio tra Fidel Castro e Slobodan Milosevic nel 1999 si veda anche:

la lettera di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999

IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA (1999)

Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media /
Fidel Castro reveals: SECOND AND THIRD MESSAGES TO MILOSEVIC AND HIS REPLY (1999)


=== 1 ===

Source: R. Rozoff via stopnato @ yahoogroups.com


Prensa Latina
October 11, 2007

Fidel Castro: A Silent Complicity

[Edited for minor inaccuracies]

Havana - Cuban President Fidel Castro states that the
world cannot afford to let the tragedy of NATO's war
against Yugoslavia be forgotten due to the silence of
those who were actors and accomplices of that brutal
genocide.

In his Thursday's article entitled "A Silent
Complicity," the Cuban Revolution leader reveals new
details of that conflict and includes an assessment of
those happenings.

Prensa Latina issues below the text published on
reflections by the Cuban president: 

A SILENT COMPLICITY 

The world cannot afford to let the tragedy of NATO's
war against Yugoslavia be forgotten due to the silence
of those who were actors and accomplices of that
brutal genocide.

President Clinton, National Security Advisor Sandy
Berger, Secretary of State Madeleine Albright and
other close collaborators of the President, including
the person who was ordered by Berger not to take notes
when Cuba was discussed, were at the meeting Clinton
held with [Spain's Jose] Aznar in the White House on
April 13, 1999, where the decision to intensify the
bombings was made, and Aznar suggested that Serbian
television, radio and other facilities be bombed, in
actions that would take the lives of innumerable
defenseless civilians.

Some of them, through press statements or in a book or
memoir, may have individually written about the
adventure, but none focused on the real danger and
suicidal wars that the United States is leading the
world to. 

The publication of the existing secret documents could
be the legacy of a President in 200 years from now,
when, judging by the pace we're going at, there will
no longer be any publicity or readers.

Less than ten years have since gone by.

In Europe and elsewhere there are many accomplices
keeping silence.

After my third message was sent to Milosevic, Italy's
Minister of Transportation visited Cuba. I met with
him on March 30, 1999 and directly discussed the issue
of the war against Yugoslavia.

What follows is a summary of what I said to him,
according to the notes taken during our conversation,
in the presence of my Office staff and officials from
the Ministry of Foreign Affairs: 

"I began by asking why they had attacked Serbia and
how they were going to reach a settlement. I told him
that, in my opinion, it had been a great mistake and
that, were the Serbs to offer resistance, they would
run into a cul-de-sac. 

"Why did Europe need to dismantle Yugoslavia, which
had implemented many reforms and which, strictly
speaking - the Cold War having ended - could not be
labeled a communist state and, much less, an enemy of
Europe? 

I explained that, in order to satisfy the German
government's demand, Europe had encouraged and
supported the separation of Croatia, where, during
World War II, Nazi Germany organized the fearful
ustasha groups which perpetrated countless crimes and
massacres against the Serbs and the liberation
movement headed by Tito.

"Due to this complacency and lack of political
foresight, in the prevailing euphoria of the days when
the socialist bloc and the Soviet Union were in a
crisis, Europe dismantled Yugoslavia. 

"This resulted in bloody episodes and, especially, in
the long and violent war in Bosnia and, ultimately, in
NATO"s current war against Serbia. By then,
Macedonia"s separation had also taken place, which
meant the mutilation of the greater part of the
Yugoslav Federation. Only Serbia, Montenegro and [the
Serbian province] Kosovo remained.

"As everyone knows, for decades Kosovo's population of
Albanian descent grew uninterruptedly until it became
the broad majority. In Tito"s lifetime, long before
his death, many Serbian families left Kosovo seeking
safety faced with the numerous acts of violence that
extremist groups from Kosovo committed against them.
At that time, in Kosovo, the Serbs were subjected to
what today is called ethnic cleansing.

"Yugoslavia's unnecessary and bloody disintegration
encouraged and unleashed the underlying conflicts
between the majority, of Albanian descent, and
Kosovo"s Serbian minority, conflicts which are at the
root of the current problem.

"The Serbian people are the essential core of what
remains of the former Yugoslavia. They are a combative
and courageous people who have been profoundly
humiliated. I was convinced that, offered ample
autonomy, Serbia would have accepted an honorable and
peaceful settlement of the conflicts in Kosovo.

"Kosovo's moderate groups, acting in an intelligent
and constructive fashion, supported this settlement,
as the presence of a broad majority of Albanian
descent would, sooner or later, make the peaceful
emergence of an independent state possible. Europe
knows perfectly well that Kosovo's extremist groups
did not want this settlement; they demanded immediate
independence and, because of this, wanted the
intervention of NATO forces.

"It is unfair to lay all of the responsibility on
Serbia. Serbia has not invaded any sovereign country.
What it has done, in essence, is oppose the military
presence of foreign troops in its territory. 

"For months, in recent weeks particularly, it has
known nothing but constant threats. Its unconditional
surrender was urged. No country can be treated like
that, let alone the people who, in the days of
Europe's occupation, fought most heroically against
the Nazis and have ample experience in irregular
warfare.

"If the Serbs resist - and I am convinced that they
will resist - NATO will have no other option but to
commit genocide, but such an action would fail, for
two reasons: Firstly: they would be unable to defeat
the Serbian people if the latter applied all of its
experience and irregular warfare doctrine.

"Secondly: Public opinion in NATO member countries
themselves would not allow such an action.

"Armored divisions, stealth bombers, Tomahawk cruise
missiles or any other so-called intelligent weapon
would not suffice. A missile or bomb would have to be
launched for every person capable of carrying a rifle,
a bazooka or a portable anti-aircraft weapon. All of
NATO"s power would, in this case, be useless. There
are star wars and there are ground wars. All high-tech
equipment notwithstanding, individual combatants would
be the most important element in this type of war.

"Beyond Kosovo, a much more serious problem is
emerging, to the detriment of Europe's and the world's
interests. 

"Russia has been humiliated terribly. NATO has already
advanced to the borders of what was once the Soviet
Union and it is promising to include other states of
the former socialist bloc, and even Baltic countries
that were part of the Soviet Union. 

"Russians have every reason to think they will not
stop until they reach the walls of the Kremlin.

"Like the Serbs, the Russians are a Slavic people and
this sense of identity is very strong among these
peoples. The attacks on Serbia are profoundly
humiliating for them and, more than any other action,
they have produced deep and justified feelings of
insecurity, not only among the Russians but in India
and China as well, and these countries will
undoubtedly attempt to ally themselves to Russia to
guarantee their security. I doubt the Russians would
cease to do whatever is necessary to retain a response
capability which would be their sole guarantee in this
situation.

"Neither Europe nor the world, with their current and
overwhelming economic problems, would gain anything
through such a course of action.

"A few days ago, in the early morning of March 26,
while returning from Colombia to Russia before
schedule, the President of the Russian Federation"s
State DUMA, Gennady Seleznev, made a stopover at
Havanas airport. I took up these issues with him of my
own initiative. I told him no military solution was
possible, that, without a doubt, any effort to offer
Serbia military aid would inevitably lead to a general
war, as the only means available to wage such a war
today are not conventional. I said also that the
battle was of a political, not military, nature.

"Seleznev publicly expressed this point of view I
shared with him.

"Both Europe and the world are duty-bound to find such
a settlement, which, though difficult and complex, is
perfectly possible. 

"If, rather than devoting all their efforts to
threatening Serbia with terrible bombings, they had
brought pressures to bear on extremists in Kosovo,

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(srpskohrvatski / italiano)

Torino 17-19 ottobre 2007

La memoria rimossa -
l'occupazione italiana della Jugoslavia (1941 - 1943)

PROGRAMMA DEFINITIVO

Il tema dell'occupazione italiana in Jugoslavia è rimasto largamente sottovalutato in Italia e certamente in quella che si configura come una sorta di rimozione ha avuto un peso decisivo il mito degli “italiani brava gente”, che è stato a lungo, per molti storici e anche nella cultura di massa, un nucleo portante della rilettura e della costruzione dell'immagine nazionale della seconda guerra mondiale. Con l'iniziativa “La memoria rimossa - l'occupazione italiana della Jugoslavia (1941-1943)” si vuole valorizzare quanto nella prospettiva di una ricostruzione di quell'occupazione in tutti i suoi aspetti e senza strumentali censure è stato detto, scritto o filmato.
L'iniziativa è organizzata dal Consiglio della Provincia di Torino e da quello del Comune di Torino, con la collaborazione dell'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, dell'Anpi di Torino, dell'Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, dell'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea e del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia.




Iniziativa realizzata 
dall'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza
in collaborazione con
Anpi provinciale di Torino,
Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione,
Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea,
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia
Gruppi consiliari dei partiti della sinistra
della Provincia di Torino - del Comune di Torino - della Regione Piemonte


L'occupazione italiana della Jugoslavia (1941 – 1943)
LA MEMORIA RIMOSSA

Mercoledì 17 ottobre 2007
Sala proiezioni del Museo Diffuso della Resistenza

- ore 10: presentazione della manifestazione a cura dei Gruppi Consiliari
- ore 10,30: Occupazione in 26 immagini, film di Lordan Zafranovic (1978, 112'), introduce l'autore
- ore 16: La caduta dell'Italia, film di Lordan Zafranovic (1981, 114'), introduce l'autore
- ore 20: materiali filmici inediti sulla Resistenza jugoslava, presentati da Lordan Zafranovic

Giovedì 18 ottobre 2007
Sala proiezioni del Museo Diffuso della Resistenza

- ore 16: Fascist Legacy (edizione italiana) di Ken Kirby e Massimo Sani (1989, 100'), introduce Massimo Sani
- ore 18: Quell'Italia del '43, programma televisivo di Massimo Sani (1993, 70')
- ore 20: Fascist Legacy (replica), introduce Massimo Sani

Venerdì 19 ottobre 2007
Sala dei Consiglieri della Provincia di Torino

- ore 9,15: Saluti a cura dei Gruppi consiliari e di Gino Cattaneo (Anpi, Torino)
- ore 9,30: Introduzione di Angelo Del Boca che coordina i lavori
- ore10: Alberto Buvoli: il fascismo al confine orientale d'Italia - politica di snazionalizzazione e persecuzione antislava in Istria e nella Venezia Giulia. 1920 -1943
- ore 11: Alessandra Kersevan: il campo di Gonars, simbolo della memoria italiana perduta
- ore 12: The Gonars memorial 1941- 1943: il simbolo della memoria italiana perduta, video di Alessandra Kersevan e Stefano Raspa (2005, 57')
- Pausa 
- ore 14,30: Eric Gobetti: il mito della "occupazione allegra" italiana in Jugoslavia
- ore 15,30: Lordan Zafranovic e Massimo Sani intervengono sull'immagine cinematografica della occupazione italiana della Jugoslavia
- ore16,30: Riccardo Marchis: approcci didattici alle vicende del confine orientale nell'ambito della storia dell'Italia nel Novecento
- ore 17,30: Conclusione dei lavori
- ore 18: Presentazione di materiali filmici sulla Resistenza jugoslava. Replica di The Gonars memorial 1941- 1943: il simbolo della memoria italiana perduta. Introduce l'autrice


- - -  DOVE  - - -

Museo Diffuso della Resistenza: Corso Valdocco 4/A, Torino 

Sala dei Consiglieri della Provincia di Torino: Via Maria Vittoria 12,Torino

- -  Info: 011 4380111  - -


Konferencija u Torinu, 17.-19. oktobra 2007. s naslovom:

"Uklonjeni dio povjesti -
Talijanska okupacija Jugoslavije 1941 – 1943"

Organizatori konferencije su:
Provincija i Opcina Torino
u suradnji s
Filmskog arhiva Pokreta otpora (ANCR),
ANPI-Nacionalnim udruženjem partizana,
Institutom za povjest pokreta za oslobodenje iz regije Friuli,
Institutom za izucavanje povjesti Pokreta otpora regije Piemonte,
Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju (CNJ)

link na sajtu Filmskog arhiva Pokreta otpora (ANCR):


--- LINK ---



presentato in Italia in anteprima nel 2002 a cura del CNJ



Fondo Luigi Gasparotto
materiali della Commissione d'inchiesta per i presunti criminali di guerra italiani
Documenti inerenti il perseguimento dei criminali di guerra italiani (1946 - 1949)
Documenti italiani tratti dai testi pubblicati dallo storico sloveno Tone Ferenc
Altri documenti e testimonianze







(english / italiano)

Nato–games in Adriatico

1) NATO games in Adriatico / CROAZIA: MANOVRA NATO, IL PAESE ALLE PORTE DELL'ALLEANZA
2) Croatia hosts major Nato exercise 
3) NATO Holds Military Exercises in Albania
4) Italian soldier wounded in NATO exercise in Croatia / MARINA MILITARE: FUCILIERE PUGLIESE FERITO IN CROAZIA, BUONE CONDIZIONI
5) LARGEST MILITARY MANOEUVRE IN CROATIA
 


=== 1 === 


Nato–games in Adriatico


Duemila militari e 50 civili, oltre 30 navi e sottomarini e 20 aerei dell'Alleanza Atlantica e delle forze armate croate simuleranno un intervento di pace su mandato Onu dal 27 settembre al 12 ottobre presso Spalato (Croazia)


NAPOLI – Duemila militari e 50 civili, oltre 30 navi e sottomarini e 20 aerei della Nato e delle forze armate croate si addestreranno in uno scenario operativo che simula la risposta ad una situazione di crisi politica ed umanitaria in un Paese fittizio, dove l’Alleanza atlantica, su incarico dell’Onu, debba attuare «una reazione immediata volta alla stabilizzazione di un Paese sull'orlo della guerra civile». È quanto prevede l’esercitazione navale “Noble Midas 07”, che si svolgerà dal 27 settembre al 12 ottobre nelle acque davanti Spalato, in Croazia. 
L'esercitazione vedrà coinvolte forze navali, anfibie ed aeree di dodici Paesi Nato (Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Norvegia, Romania, Spagna, Turchia, Gran Bretagna e Stati Uniti) e di Albania e Croazia, appartenenti al Partenariato per la pace. L’obiettivo è migliorare gli standard di collaborazione operativa e di verificare le procedure tra i Paesi partecipanti. Servirà inoltre – si legge in una nota – «a facilitare la certificazione del gruppo successivo di forze impegnate nella Nrf, la Forza dell’Alleanza ad elevata prontezza operativa. La pianificazione e l’attività di cooperazione tra enti civili e militari (Cimic) svolgerà un ruolo significativo nell’esercitazione». 
La “Noble Midas 07” sarà condotta dal Comando della Componente marittima alleata di Napoli (Cc-Mar Naples). 

25/9/2007

---

CROAZIA: MANOVRA NATO, IL PAESE ALLE PORTE DELL'ALLEANZA

(ANSA) - ZAGABRIA, 12 OTT - Con l'impiego di 40 navi da guerra, tra le quali anche la portaerei italiana 'Garibaldi', 30 caccia aerei e 8.000 soldati di 40 Paesi presenti dal primo ottobre fino a oggi nell'Adriatico croato in un'ingente esercitazione militare il Patto Atlantico ha dato alla Croazia un chiaro segnale del suo imminente ingresso nella famiglia della Nato. Parallelamente alla manovra Nobile Midas 07, conclusasi oggi a Spalato, la delegazione parlamentare della Nato ha consigliato ai Paesi membri di invitare all'adesione al prossimo summit di aprile, la Croazia, la Macedonia e l'Albania. La Croazia sta facendo notevoli sforzi per raggiungere gli standard richiesti dell'Alleanza, sia sul piano politico, come la democratizzazione della societa', sia su quello militare, quale il dimezzamento del personale, che ora conta 25.000 soldati, per liberare fondi da destinare alla modernizzazione delle armi. Pare pero' che, a differenza dei vertici politici, i cittadini croati non siano tanto entusiasti dell'imminente adesione. Secondo recenti sondaggi il 47% dei croati sarebbe contraria, mentre solo il 41% si dice a favore: il Patto Atlantico, secondo gli esperti, viene infatti collegato alla ''sanguinosa avventura americana in Iraq''. ''La Nato e' un'alleanza di Paesi sovrani, uno Stato rinuncia addirittura a piu' della propria sovranita' se membro dell'Onu, e per questo non c'e' alcun bisogno di indire il referendum'', ha spiegato all'ANSA la posizione del governo il ministro degli esteri Kolinda Grabar-Kitarovic. Di simile vedute e' anche il capo dell'opposizione di centrosinistra, Zoran Milanovic. ''L'opzione di non aderire non esiste'', ha spiegato Milanovic all'ANSA. ''Questa e' un' alleanza dei Paesi piu' democratici e piu' ricchi del mondo ha aggiunto - ed e' ovvio che anche noi vogliamo farne parte''. (ANSA). COR-GV
12/10/2007 14:55 


=== 2 ===


BBC News
October 10, 2007

Croatia hosts major Nato exercise 

For the first time, Nato is holding a major military
exercise in a non-member country, Croatia. The BBC's
Nick Hawton has been given access to the Noble Midas
07 exercise. 

A Spanish fighter pilot emerges from his cockpit after
his warplane touches down on the UK aircraft carrier,
HMS Illustrious. 

He takes his helmet off and joins several Italian
fighter pilots who have already gone below decks. The
French air traffic controller who brought them in is
on the bridge talking to his British colleagues. 

This is a sign of how Nato is changing. With the
military forces of Western nations stretched,
particularly those of the US and UK, flexibility and
adaptability are becoming increasingly important. 

"It's a great experience because right now all these
countries are working together. You realise you can
operate as a joint force community. Its a very nice
experience," says Spanish pilot Lt Eduardo Lopez. 

'Kosovo scenario' 

In the operations room on HMS Illustrious, Cmdr Tom
Cunningham, says integrating forces at this level has
simply not happened before. 

"I think it indicates both the way we must go and the
willingness we have to go that way," he says. 
....
The exercise, being conducted by Nato's Response
Force, is based on the scenario of a military conflict
in a breakaway province in the Balkans. 

It appears to be a thinly disguised reference to
current events in nearby Kosovo where its majority
ethnic Albanian population are seeking independence
from Serbia. 

But any direct links are denied by French Rear Adm
Alain Hinden, who is in charge of the Noble Midas. 

"This exercise has been designed for years. The UN and
Nato are training for this type of real intervention,
of humanitarian assistance be it in this region or
anywhere else in the world," he says. 

Mixed feelings 

A dozen of Nato nations are taking part, including new
members Romania and Bulgaria. Would-be members Croatia
and Albania are also represented. 
....


=== 3 ===


Balkan Investigative Reporting Network (Serbia)
October 10, 2007

NATO Holds Military Exercises in Albania


Tirana - Over 1,000 soldiers from NATO and members of
its Partnership for Peace, PfP, initiative started two
military exercises on Tuesday on the outskirts of
Tirana.

The aim of the exercises, codenamed “Cooperative
Longbow 2007” and “Cooperative Lancer 2007”, is to
strengthen collaboration between the North Atlantic
Alliance and PfP countries in a bid to reinforce
stability and peace in the event of a crisis.

The exercises, under the command of General Roland
Kather, former chief of the NATO-led KFOR peacekeepers
in Kosovo, will last until October 30.

A total of 22 countries are taking part in the
manoeuvres. Six of these are NATO members, and the
rest come from the PfP initiative which promotes
cooperation between the Alliance and other nations.

General Kather described the exercises as important to
the stability of the region and also a step forward in
Albania’s integration with NATO. 

“In their broadest sense, these exercises are linked
to the stability of the Balkan region. They are also a
way for us to oversee Albania’s bid to join NATO”,
said Kather.

The Albanian Defence Minister, Fatmir Mediu, expressed
appreciation for the trust placed in Albania by the
Alliance.

“As the biggest exercise ever held in Albania by NATO,
and one of the major exercises of the Alliance in
2007, this is important for Albania as a country
aspiring to join the Alliance as a full member
following NATO's summit [next year]”, Mediu said at
the opening ceremony of the exercises.

Meanwhile in Iceland, NATO’s Parliamentary Assembly
approved a resolution which endorses the possible
issuing, at next year’s Bucharest summit, of
invitations to Albania, Croatia and Macedonia to join
the Alliance.

The resolution calls on these three candidates, known
as the Adriatic Charter countries, to push through the
necessary reforms, while urging NATO members to
initiate discussions on the candidate countries’
accession.

In a speech to the NATO Assembly, Albanian Prime
Minister Sali Berisha thanked member countries for
their support, while promising that Albania would
continue to be a factor of stability in the region.

“Our cooperation with NATO is reaching new heights,
and for this I want to thank member-countries, but
especially their taxpayers, for the support given to
Albania.

“We will continue to support NATO operations in the
region and elsewhere”, Berisha said. 


=== 4 ===

"Italian soldier wounded in NATO exercise in Croatia" 

BBC Monitoring Europe - Political Supplied by BBC Worldwide Monitoring, October 2, 2007
Source: HINA news agency, Zagreb

Text of report in English by Croatian news agency HINA:

Zagreb, 2 October: An Italian Marine suffered gunshot injuries to the lower legs in an accident that occurred on Monday afternoon during mobile target practice as part of the NATO exercise "Noble Midas 07" on the Croatian Army training ground at Slunj, Hina learned at the "Noble Midas 07" press centre on Tuesday.

The Italian had been transferred in a Croatian Army helicopter to the Dubrava Clinical Hospital in Zagreb, where doctors said today that he was in a stable condition and that the injury would most likely have no permanent consequences.

An investigation was under way.

(C) 2007, BBC Monitoring * Reprinted for Fair Use Only

Source: http://tenc.net/a/oct10.htm#wound

---

http://www.telenorba.it/home/news_det.php?nid=3296

MARINA MILITARE: FUCILIERE PUGLIESE FERITO IN CROAZIA, BUONE CONDIZIONI

UN FUCILIERE DI MARINA PUGLIESE E' RIMASTO FERITO, IERI SERA, NEL POLIGONO CROATO DI SLUNJ, DOVE SI STA SVOLGENDO L'ESERCITAZIONE NATO 'NOBLE MIDAS 2007'.
LE SUE CONDIZIONI SONO BUONE.
IL MILITARE DI TRUPPA DEL REGGIMENTO SAN MARCO STAVA MANEGGIANDO LA PROPRIA ARMA, QUANDO UN COLPO E' PARTITO ACCIDENTALMENTE FERENDOLO ALLE GAMBE.
E' RICOVERATO ALL'OSPEDALE CIVILE DI ZAGABRIA.
02/10/07


=== 5 ===


NACIONAL

Piše: Eduard Šoštarić, 09.05.2007. | br. 599

LARGEST MILITARY MANOEUVRE IN CROATIA

9,000 NATO Commandos In Adriatic Operation

NACIONAL REVEALS the details of a mass military exercise involving the NATO Response Force, to be held in cooperation with the Croatian Army from 1 to 12 October of this year in central and northern Dalmatia and Istria


NACIONAL REVEALS the details of a mass military exercise involving the NATO Response Force, to be held in cooperation with the Croatian Army from 1 to 12 October of this year in central and northern Dalmatia and Istria
From 1 to 12 October 2007 Croatia will be the scene of Noble Midas 07, the largest and most important international military manoeuvre to be held in Croatia since its independence. Some 9,000 soldiers from NATO's Response Force and marine commandos, 50 warships, an aircraft carrier, amphibious vehicles, frigates, cruisers, submarines and some 60 NATO member aircraft will stage the largest NATO military exercise of the year in the northern and central Adriatic Sea.

Effectively, this manoeuvre is the last obstacle, but also the ticket to Croatia's NATO accession, given that the spring 2008 Bucharest session of NATO is expected to invite Croatia to accede to full membership. A successfully implemented exercise, its organisation, the reception of this number of NATO troops from over ten member states, the ability of the Croatian Armed Forces and the capability of its military hardware to operate with NATO special forces during the manoeuvres will to a large extent define the position towards Croatia in anticipation of an invitation to full membership.

A two-thirds majority of MPs in Croatian Parliament approved the Noble Midas 07 exercise on 8 December 2006, but the complexity and scale of the military exercise was not then known. At the political level the most important role in bringing the exercise to Croatia was played by Croatian ambassador to NATO Davor Bozinovic, while military preparations for the exercise scenario were entrusted to Captain Robert Hranj, serving as the head of the Office for NATO at the Croatian Ministry of Defence. Indicative of just how important this exercise is the fact that it will, for the first time in NATO history, be held in a non-member country, a precedent for the alliance, and which on the other hand speaks volumes of how strategically vital Croatia's maritime position is and of its future role in preserving security on the Mediterranean. To show a form of gratitude for the efforts Croatia is making in approaching NATO, and in the war on terror in Afghanistan, NATO officials have decided that the alliance's highly specialised forces, which, after four years of organisation and training, only became fully operational last year a

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