Informazione


UN EMIRATO... ANGLOSASSONE SUL CAUCASO


Chechnya: US Continues To Promote 'Emirate Of Ichkeria'


Posted by: "Rick Rozoff" 

Thu Nov 15, 2007 6:43 pm (PST)


Radio Free Europe/Radio Liberty
November 15, 2007

PRO-MOSCOW CHECHEN LEADER CALLS ON UMAROV TO SURRENDER

[Chechen President Ramzan Kadyrov is here
characterized as "pro-Moscow head," while the self-
proclaimed "emir" of the London-based "Republic of
Ichkeria" is honored with the title of president.]

In an interview with a Chechen television channel,
pro-Moscow Chechen Republic ***head*** Ramzan Kadyrov
has called on ***Chechen Republic Ichkeria (ChRI)
president and resistance commander*** Doku Umarov to
surrender, kavkaz-uzel.ru reported on November 14.

Kadyrov said that Umarov should stop ruining innocent
lives. 

He characterized Umarov's proclamation of a North
Caucasus emirate that he purportedly heads as "the
empty talk of a man who seeks to create unnecessary
problems for the people whose interests he claims to
defend." LF


Source: Stop NATO
http://groups.yahoo.com/group/stopnato


Begin forwarded message:

From: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" 
Date: November 4, 2007 9:20:22 PM GMT+01:00
Subject: [JUGOINFO] Visnjica broj 691


AMICHETTI DEGLI USA PROCLAMANO UN "EMIRATO" IN CECENIA


Radio Free Europe On Chechnya

Posted by: "Rick Rozoff"

Tue Oct 30, 2007 7:21 pm (PST)

http://www.rferl.org/newsline/1-rus.asp

[For anyone who can still doubt Washington's role in
destabilizing the Caucasus, North and South]

Radio Free Europe/Radio Liberty
October 30, 2007

CHECHEN PRESIDENT DECLARES SELF NORTH CAUCASUS AMIR

The website chechenews.com posted on October 28 a
statement it received by e-mail, signed by Chechen
***President*** and ***resistance commander*** Doku
Umarov, in which Umarov confirms that he has
proclaimed himself amir of a North Caucasus Islamic
state, the precise extent of which he declines to
specify. 

London-based ChRI ***Foreign Minister*** Akhmed
Zakayev expressed concern one week earlier that Umarov
would issue such a proclamation under pressure from
radical elements within the resistance who, Zakayev
claimed, have been suborned by the FSB, which intends
to retaliate with harsh reprisals across the North
Caucasus. [That is, London-based 'political refugee'
Zakayev is blaming the Russian Federal Security
Bureau, etc.]

The prospect that Umarov would declare a North
Caucasus emirate has elicited concern among
***representatives of the ChRI government in exile***,
who warned that doing so would violate the
***constitution*** and undermine the ***legal status
of the ChRI***. 

Two prominent Chechen field commanders, Isa Munayev
and Sultan Arsayev, have issued statements publicly
siding with Zakayev, thereby implicitly distancing
themselves from Umarov. LF




(EN FRANCAIS : 
Comment le parti de la guerre mondiale embrigade les ONG pour la guerre
ONG : De l’aide à la collaboration 
par German Foreign Policy - 27 JUILLET 2007
AUF DEUTSCH:
Von Helfern zu Kollaborateuren 
GFP - 01.07.2007




www.resistenze.org - osservatorio - europa - politica e società - 08-11-07 - n. 202

da Voltairenet

  

ONG: dall’aiuto alla collaborazione

   


Come il partito della guerra arruola le organizzazioni non governative

 

German Foreign Policy

 

Il governo di Berlino ha utilizzato la sua presidenza del Consiglio d’Europa, che è scaduta il 30 giugno, per integrare le ONG nella politica militare europea. Ciò emerge dai documenti di lavoro del ministero degli Affari Esteri e della Fondazione Bertelsmann. Le ONG (organizzazioni non governative) sono associate ai servizi dello Stato da sovvenzioni; l’obiettivo è quello di far accompagnare le operazioni militari all’estero dall’aiuto civile e umanitario. Il risultato è che la distinzione tra le forze militari di occupazione e i membri delle organizzazioni di soccorso viene cancellata. Ciò si giustificherebbe con gli attacchi crescenti contro i collaboratori delle ONG umanitarie nei territori occupati, che si concludono sempre più spesso con dei morti: 83 volte l’anno scorso. Berlino e Bruxelles utilizzano il pericolo crescente corso dalle ONG, per farle partecipare a un “sistema mondiale di informazione sulla sicurezza”. Esso servirebbe a mettere a disposizione dell’esercito, in modo sistematico, le informazioni captate tra i civili. I rappresentanti di grandi ONG hanno criticato aspramente questa strumentalizzazione da parte dei governi.

 

La priorità

 

L’integrazione delle ONG nella politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) è di primaria importanza per Berlino, come apprendiamo da un documento del ministero degli Affari Esteri che informa sulle conferenze, sulla cooperazione tra le istituzioni dell’UE e le organizzazioni non governative. Durante la presidenza tedesca, hanno avuto luogo a Bruxelles cinque incontri, nel corso dei quali alcuni servizi dell’UE hanno discusso con collaboratori superiori delle ONG (“field experts”) su come le loro organizzazioni potrebbero essere integrate nel più breve tempo possibile nella pianificazione e nella realizzazione di missioni PESD. Da tempo, Bruxelles dispone di un comitato speciale per il ricongiungimento alle istituzioni delle ONG (“Committee for the Civilian Aspects of Crisis Management – Civ-Com”). Esso ha il compito di analizzare gli “aspetti civili” della “gestione delle crisi” militari [1].

 

Gli strumenti

 

Un ruolo decisivo è affidato alle ONG europee nella creazione e trasformazione della polizia e della giustizia nei territori attuali e futuri oggetto di intervento dell’UE. In quanto “Global player” Bruxelles disporrebbe di una molteplicità di strumenti in materia di politica, di sviluppo e di sicurezza (“political, developmental and security tools”) per “riformare i settori della sicurezza” in seno agli stati coinvolti, come si è potuto apprendere durante un congresso organizzato dal ministero degli Affari esteri e dalla Fondazione Bertelsmann (“Partners in Conflict Prevention and Crisis Management: EU and NGO Cooperation”). Le ONG devono cooperare alle misure per la formazione del personale (“training”) e la formazione della coscienza pubblica (“awareness-raising”); perché è unicamente in questo modo che possono essere create autorità giudiziarie e di polizia “affidabili” (“Transitional Justice”) [2].

 

L’esperienza

 

Tra le questioni principali trattate nel corso di questo congresso di Berlino, troviamo anche le missioni di polizia e dell’UE in Afghanistan, in Kosovo, nella Repubblica Democratica del Congo, in Palestina e in Bosnia-Erzegovina. Le ONG partecipanti, tra cui Swisspeace e Amnesty International sono state per prima cosa “informate” in merito all’ “utilità” degli interventi dell’UE da rappresentanti del ministero degli Affari Esteri e del European Peacebuilding Liaison Office (EPLO), una piattaforma europea di ONG. In seguito, i rappresentanti delle ONG hanno avuto la possibilità di trasmettere agli organizzatori del congresso la loro conoscenza degli stati oggetto della discussione e delle situazioni specifiche dei conflitti che vi si svolgono (“conflict settings”). Secondo gli organizzatori - ai fini della selezione mirata e della preparazione dei rappresentanti delle ONG – viene attribuita la massima importanza alle informazioni trasmesse [3]. L’utilizzo delle conoscenze delle ONG, che possono contare sulla confidenza delle popolazione dei territori occupati, è uno degli elementi più importanti di questa collaborazione. Ecco perché i rappresentanti delle ONG sono stati invitati ad un’altra conferenza internazionale (dal titolo “Pace e Giustizia”) che il ministero degli Affari Esteri ha organizzato nei primi giorni di luglio, per discutere in particolare della “riforma del settore della sicurezza”. Il criterio per la selezione delle ONG è stato “l’importanza delle loro conoscenze”.

 

Gli informatori

 

Già oggi, numerose ONG sono informatori diretti per le operazioni militari. Trasmettono dati sulla situazione attuale della sicurezza, raccolti nelle regioni straniere in cui si interviene, al sistema elettronico “Safety Information Reporting Service” (SIRS). La banca dati è stata elaborata dai gruppi leader dell’informatica (Microsoft, Yahoo) su richiesta della “Crisis Management Iniziative” (CMI) dell’emissario speciale dell’ONU per il Kosovo., Martti Ahtisaari. A questa banca dati hanno accesso dal 2005 le ONG e i militari [4].

 

Utilizzo a lungo termine

 

Il ministero degli Affari Esteri e la Fondazione Bertelsmann esigono che l’UE predisponga strumenti utilizzabili nel lungo periodo presso quelle ONG che godono dei suoi finanziamenti più importanti. Occorrerebbe allora nominare degli “ufficiali di collegamento per le ONG” in seno alla Commissione Europea, per essere in grado – durante le operazioni militari – di approfittare in ogni momento delle conoscenze degli informatori non governativi. Inoltre, le ONG dovrebbero essere censite e giudicate in base a criteri di utilità per il governo (“mapping and ranking”), per garantire in ogni possibile scenario di intervento, la scelta del “partner migliore” [5].

 

Complementari all’esercito

 

A parere di Pierre Micheletti, direttore dell’organizzazione umanitaria internazionale “Médecins du Monde”, la dipendenza dai mezzi finanziari dell’UE spinge già attualmente molte ONG a “partecipare a programmi che le trasformano in autentici prestatori di servizi per così dire strategicamente complementari all’esercito”. Di conseguenza, le ONG vengono identificate con le truppe di intervento dei loro paesi di origine e dichiarate obiettivo militare legittimo da parte degli oppositori dell’occupazione. Nel 2006 ciò è costato la vita a 83 umanitari e, secondo Micheletti, tale cifra corrisponde “al triplo del numero dei soldati uccisi nel corso di missioni di pace dell’ONU”. Il direttore di “Médecins du Monde” mette in guardia contro la “costante apparizione insieme di soldati e umanitari” che trasforma in modo definitivo e irreversibile l’immagine delle ONG. “Se l’accostamento [...] tra interessi e apparenze si radicasse nel senso comune, tutta la logica dell’aiuto “senza frontiere” sarebbe messa in discussione” [6]: gli umanitari diverrebbero dei collaborazionisti.

 

German Foreign Policy

 


[1] European Peacebuilding Liaison Office/Crisis Management Iniziative/Bertelsmann Stiftung: Partners in Conflict Prevention and Crisis Management. EU and NGO Cooperation, Federal Foreign Office, Berlin 20 – 21/6/07. Conference Backround Papers
[2] Ibid.
[3] International Conference “Building a Future on Peace and Justice”, Nuremberg 25 – 27/6/07; www.peace-justice-conference.info
[4] Crisis Management Initiative ; Launching SIRS : The Safety Information Reporting Service.

[5] European Peacebuilding Liaison Office/Crisis Management Initiative/Bertelsmann Stiftung, loc. cit.

[6] Pierre Micheletti : Schutzlose Helfer ; Le Monde diplomatique du 8/6/07

 

Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

 



G.A.MA.DI. La VOCE
C.I.S.I.S.

a TeleAmbiente (canale 68 a Roma e nel Lazio)

Sabato 17/11/2007 ore 22
Domenica 18/11/2007 ore 07

OPERAZIONE BALCANI
Privatizzazione della propaganda e degli eserciti

con

IVAN PAVICEVAC
del Direttivo del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS

In studio
Miriam Pellegrini Ferri

---

sul testo di Jörg Becker e Mira Beham
"Operation Balkan - Werbung für Krieg und Tod"
Baden-Baden 2006 (Nomos Verlag) - 130 Seiten - 17,90 Euro - ISBN
3-8329-1900-7
si veda la sintesi in lingua italiana:

« Operazione Balcani» :
privatizzazione della propaganda e degli eserciti

(Traduzione dal francese di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di
Padova)

alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/beckerbeham.htm



Capitalism brought misery, not freedom

Mass protests shake former Soviet republic

By Heather Cottin 
Published Nov 15, 2007 9:01 PM


In Georgia, a former republic of the Soviet Union, President Mikheil Saakashvili sent riot police to shut down the main television stations in the capital city of Tbilisi on Nov. 7. On the following day, he imposed a state of emergency.

This came after days of protests against the regime. Tens of thousands gathered throughout the capital to protest the abysmal social and economic conditions that are destroying their country. Acting as a dictator, Saakashvili issued an emergency decree abolishing all civil liberties. His ruling restricted dissemination of information, demonstrations and strikes.

With clubs, water cannons, rubber bullets and tear gas, riot police bloodied and jailed hundreds for violating the emergency decree. “These people are fascists,” one protester said. (London Times, Nov. 7)

However, the Bush administration considers Georgia a great democracy. When Saakashvili clamped down there, Washington merely raised its eyebrows. Saakashvili assured his friends that the restrictions would last only a fortnight, but then changed his mind and decided to extend the repression as long as “the Georgian government deemed it necessary.” Saakashvili blamed the protests on Russians, extending the emergency decree indefinitely.

Georgia is Washington’s closest ally in the Caucasus, a mountainous region south of Russia that has enormous economic resources. Four years ago, the United States helped create what was called the “Rose Revolution” in Georgia. Intelligence assets, including the National Endowment for Democracy, funded a takeover of the nation that mirrored the pro-U.S., pro-NATO governments these same forces had helped establish in Yugoslavia in 2002 and the Ukraine in 2003. When Saakashvili took power, his great revolutionary act was to enable the complete privatization of the Georgian economy and bring it more rapidly into the U.S. and Western sphere.

Georgia’s geographical situation made it a perfect conduit for the pipelines that Western corporations require to transport the oil and natural gas of the Caspian basin through Georgia to Western Europe.

British Petroleum, Chevron and Atlantic Richfield are developing oil fields near Baku in the Caspian Sea. They helped build the Baku-Tbilisi-Ceyhan pipeline from the Caspian through Georgia to Turkey. It has been moving thousands of gallons of oil per day since it opened in 2006. The World Bank helped build an oil terminus on the Black Sea in Georgia. The Baku-Tbilisi-Erzurum gas pipeline is under construction, at the cost of the beautiful environment and national parks near the Black Sea, which have been ruined.

Since the end of the Soviet Republic of Georgia, conditions for ordinary people have deteriorated. In the last decade, over one-fifth of the 4 million Georgians have emigrated, mostly to Russia, and are sending home remittances to poor relatives remaining in their homeland. Even the CIA World Factbook says that 54 percent of the people lived below the poverty line in 2001. Life expectancy has fallen precipitously, partly because health care has been privatized. (Mzia Shelia, Tbilisi State University)

Georgia’s industrial output has significantly declined. In 2001, 48 percent of the GDP came from industrial production; today it is only 12 percent. Unemployment immobilizes 50 percent to 65 percent of the able-bodied population. The authorities have dismissed masses of employees in the system of education, closing free schools and kindergartens and firing more than 800 Tbilisi University professors and lecturers. (Aleksander B. Krylov, Strategic Culture Foundation, Nov. 11)

George W. Bush calls Georgia a democracy, but its parliament rubber stamps whatever Saakashvili proposes, while the courts act to quash opposition and dissidents.

When socialism was abolished in Georgia, factories that had formerly employed hundreds of thousands were closed. What the “rose revolutionaries” called “liberal reforms” boiled down to predictable sell-offs of state property. Some became millionaires and corruption and graft flourished while the social and economic conditions of the majority of the population declined.

On the day before Saakashvili announced the state of emergency, the Georgian parliament voted to allocate two-thirds of its budget for military spending (Civil Georgia, Nov. 6), something the people could ill afford. Saakashvili’s government is a willing market for U.S. weapons manufacturers.

This is why the population is so angry.

Georgia, not yet in NATO, is sending hundreds of soldiers into the NATO armies in Afghanistan and into the Iraq War. In the past 10 years Washington has paid for the training and equipping of Georgian frontier guards and the setting up of “anti-terror” units, some of which have been dispatched to Iraq and Afghanistan. (Krylov)

There is widespread opposition to these wars among Georgians. Georgia once fed, housed, clothed, educated and cared for its citizens. Now homeless children beg in the streets of Tbilisi and thousands of impoverished women are lured into the international sex trade. (BBC News, March 29, 2002)

Saakashvili has stopped all agricultural commerce with Russia, causing farm failures and widespread migration. While Georgia was once called the breadbasket of the Soviet Union, its farmers now suffer the worst poverty in the country.

Now that the Soviet Union is out of the way, U.S. corporations have their sights set on the fabulous natural resources of Eurasia. This does not sit well with Iran, Russia or China. NATO militarism is encircling the region and Washington needs Saakashvili. NATO and the U.S. won’t desert him unless they have some other puppet ready to follow their program.



Articles copyright 1995-2007 Workers World. Verbatim copying and distribution of this entire article is permitted in any medium without royalty provided this notice is preserved. 

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Democratici xenofobi eccezionali

di Maurizio Donato*

su Contropiano del 16/11/2007

* docente dell'università di Teramo da www.contropiano.org


Il decreto presidenziale del 1 novembre 2007 sull’allontanamento dal territorio nazionale di soggetti la cui presenza contrasti con esigenze imperative di pubblica sicurezza è l’ennesimo provvedimento di emergenza firmato in questi anni da un presidente della repubblica e dal capo del governo con i suoi ministri. La genericità del contenuto del decreto, e quindi il pericoloso arbitrio che ne deriva, è evidente da una semplice lettura del testo: “i motivi di pubblica sicurezza [che giustificherebbero l’allontanamento] sono imperativi quando il cittadino dell’Unione o un suo familiare [sottolineatura mia] abbia tenuto comportamenti che compromettono la tutela della dignità umana o dei diritti fondamentali della persona umana ovvero l’incolumità pubblica, rendendo la sua permanenza sul territorio nazionale incompatibile con l’ordinaria convivenza”. La violazione del divieto di reingresso viene trasformata da contravvenzione in delitto e punita con la reclusione fino a tre anni. La ragione della trasformazione di un disegno di legge in decreto sta nella “straordinaria necessità ed urgenza di introdurre disposizioni volte a consentire l’allontanamento dal territorio nazionale di soggetti la cui presenza contrasti con esigenze imperative di pubblica sicurezza”

I rumeni. I rom.

Ancora una volta, stiamo assistendo alla costruzione di un capro espiatorio utile a placare l’ossessione securitaria alimentata da campagne politiche e di stampa irresponsabili e xenofobe. Da quando la Romania è entrata ufficialmente nell’UE migliaia di romeni sono entrati in Italia. Da quando la Romania è entrata in Europa migliaia di lavoratori rumeni sono minacciati di licenziamento da imprenditori italiani perché il salario rumeno è arrivato a duecento cinquanta euro al mese. Delocalizzano la produzione in Moldavia, adesso, dove si lavora per settantacinque euro al mese, ma anche quaranta. 

E’ la libertà di movimento ad essere messa in discussione, uno dei pilastri del pensiero liberale, una libertà sempre garantita per i capitali, un po’ meno per le merci, solo a condizioni illegali o comunque restrittive per le persone. E qui non si tratta “nemmeno” di “extracomunitari” ma proprio di cittadini europei, evidentemente di serie B. L’Europa non solo fortezza ma pure attraversata al suo interno da nuovi e vecchi confini.

L’Europa ci campa sugli immigrati. Gli industriali e i banchieri in primo luogo, come è ovvio, ma non solo loro. Sul loro lavoro, a partire dai cantieri edili fino ai lavori di cura, sul loro salario inferiore a quello già basso dei lavoratori italiani.

Non fanno paura gli immigrati quando lavorano a bassi salari, fanno comodo.

La paura è un virus che qualcuno sta spargendo a piene mani tra i soggetti e i suoi sintomi si chiamano separazione, atomizzazione, individualismo. La paura del futuro si trasforma facilmente in paura dei propri compagni di classe vissuti come potenziali concorrenti. Diventa mito l’illusione di una mobilità sociale che si riduce a identificazione, ad ammirazione del comportamento e degli stili di vita di ricchi sempre più costretti a loro volta a rinchiudersi in ghetti per sfuggire all’imitazione e all’onda dei barbari che preme ai confini e dentro le cittadelle blindate del benessere per pochi.

Se è vero che il rapporto di un soggetto con il suo Altro e il desiderio di quest’ultimo è determinante per l’ identità del soggetto, si capisce l’insistenza e la pervasività della battaglia ideologica continua per scardinare l’identità di classe di chi vive del proprio lavoro e dislocare altrove il senso di malessere dei soggetti che pur di non reprimere l’odio lo delocalizzano, come accade al loro lavoro. Così la paura diventa odio e violenza, in primo luogo, come sempre nei periodi bui, contro le donne. 

Il salario è sempre meno in grado di assicurare un livello di vita dignitosa alle persone che vivono di lavoro. E’ questo l’elemento materiale di base della paura, ma se questo è vero in Italia, lo è ancor più nei paesi meno ricchi dell’Italia. E sono la maggioranza questi ultimi. Per la prima volta l’attuale generazione dei giovani sta peggio di quella dei propri genitori. Soprattutto, una quota via via maggiore di forza-lavoro è esuberante, inutile, in eccesso rispetto alle esigenze e alle possibilità di valorizzazione del capitale in circolazione. Ergo, questa forza-lavoro in eccesso deve essere svalorizzata e distrutta. Questa la posta in gioco.

E’ colpa dei lavoratori? O è colpa dei romeni? E’ colpa delle pensioni dei nonni? O è diventata una colpa sopravvivere?

È’ dalla profondità della crisi, dall’impossibilità non solo di assicurare ma nemmeno più di promettere (credibilmente) miglioramenti significativi nelle condizioni di vita delle persone, che ha origine lo slittamento dell’informazione e della politica ufficiali verso una deriva al tempo stesso realmente reazionaria e virtuale in cui temi come il lavoro, la guerra, la salute o scompaiono o vengono giocati per attivare processi di identificazione totalmente scollegati dalle dimensioni reali da cui hanno origine e che attivano pulsioni che hanno a che fare piuttosto con l’immaginario, in cui l’elemento culturale e simbolico diventa decisivo. 

Il ciclo drogato terrorismo – panico – falsa rassicurazione è la modalità normale di funzionamento della comunicazione ufficiale che produce la pubblica opinione. Prima ti terrorizzo, ti spavento a morte con i militanti islamici che si fanno esplodere, con l’orrore dei bambini massacrati, con l’aviaria, con i serial killer, con i rumeni. Quando ne hai abbastanza, ho raggiunto l’effetto di farti desiderare una qualsiasi soluzione purché sia d’emergenza, che dovrebbe significare più efficace di quelle normali. Ovviamente la falsa soluzione non sortisce alcun effetto reale proprio perché l’emergenza non esisteva e tu sei portato a chiedere soluzioni ancora più radicali e così via all’infinito in un circuito emergenziale senza fine e soprattutto senza un senso che non sia la sua stessa alimentazione. Droga pesante.

Lo stato di emergenza, l’eccezione, come preferisce Giorgio Agamben[1], tende a presentarsi come il paradigma di governo dominante nella politica contemporanea, finendo per costituire la regola attorno a cui si costruisce il discorso giuridico e si definisce lo stesso orizzonte della comunicazione. 

Uno stato di emergenza permanente rende col tempo evanescente ogni differenza sostanziale tra democrazia e dittatura. Questa nuova versione della democrazia da esportare con le armi non si sa bene dove ha bisogno, per legittimarsi agli occhi dei sudditi, di pretesti continui da invocare a giustificazione dell’ecce­zione e di capri espiatori utili a scaricare le tensioni accumulate nei periodi di alta instabilità sociale. Fino a ieri il pretesto era il terrorismo che minaccia i diritti uma­ni, i capri espiatori erano i militanti islamici, oggi si scatena una irresponsabile e xenofoba campagna contro i rom. Poi sarà la volta, chissà, dei cinesi. O dei marziani.

Ha detto Walter che a un politico che rilascia dichiarazioni contro i romeni bisognerebbe arrestarlo. Ha detto bene Walter. Zenga.



Care amiche, cari amici
vi allego l'invito ad assistere ad una proiezione di un reportage sul
Kosovo, che si terra' nella sala adiacente alla chiesa serbo-
ortodossa di San Spiridione a Trieste il 29 novembre prossimo alle
ore 19.
Sara' presente Enrico Vigna, presidente della associazione SOS
Yugoslavia di Torino.
Un cordiale saluto
Gilberto Vlaic
Non bombe ma solo caramelle

---

KOSOVO BUCO NERO D’EUROPA
A sette anni dai bombardamenti “umanitari” della NATO in Kosovo
regnano il caos, la corruzione e la violenza.


Comunità Religiosa Serbo-Ortodossa di Trieste
Associazione Non bombe ma solo caramelle di Trieste
Associazione SOS Yugoslavia di Torino

VI INVITANO

ad assistere alla proiezione del documentario

KOSOVO 2005
Viaggio nell’apartheid di Europa
Quello che non vogliono che si veda
Quello che non vogliono che si sappia
Reportage di un viaggio di solidarietà nelle enclavi serbe assediate
a cura di E. Vigna – SOS Yugoslavia e Sindacato Samostalni - Kragujevac


Giovedì 29 novembre 2007 alle ore 19
presso la “Sala Risto Skuljevic”
Via Genova 12 Trieste


Most za Beograd – Un ponte per Belgrado in terra di Bari
Associazione culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava
 via Abbrescia 97, 70121 BARI - mostzabeograd@... 
CF 93242490725 - conto corrente postale 13087754  - IBAN: IT 86 K 07601 04000 000013087754


L’associazione opera per la diffusione di una cultura critica della guerra e il riavvicinamento tra i popoli con culture, etnie, religioni ed usanze diverse al fine di una equa e pacifica convivenza. Si impegna per la diffusione di un forte senso di solidarietà nei confronti della popolazione jugoslava e degli altri popoli vittime della guerra. Ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
In particolare l’associazione:
- promuove, attraverso raccolte di fondi e donazioni iniziative di solidarietà nei confronti delle vittime della guerra nel campo sanitario, scolastico, alimentare e in ogni altro campo.
- promuove iniziative di sostegno a distanza di bambini jugoslavi
- promuove iniziative di gemellaggio tra enti locali italiani e jugoslavi, tra scuole italiane e jugoslave
- promuove scambi culturali e di amicizia verso il popolo jugoslavo
- promuove iniziative di conoscenza della storia e della cultura jugoslave

------------

 


Università degli studi di Bari

Facoltà di lingue e letterature straniere / Facoltà di Scienze politiche


Nell’ambito del corso di Storia dell’Europa orientale
Andrea Catone
presidente dell’associazione Most za Beograd
terrà un seminario sul tema

La Jugoslavia nel XX secolo
 
Facoltà di Lingue
Via Garruba 6
21 e 22 novembre
Ore 17.00, aula A





terza puntata delle presentazioni delle repubbliche jugoslave in collaborazione con Cafevoyage e Chiamamilano: il 27 novembre tocca alla Bosnia!

Quindi, al
Negozio Civico CHIAMAMILANO, Corsia dei Servi 11, MM Duomo-San Babila:
27 Novembre 2007 - ore 18:30
BOSNIA-ERZEGOVINA: dove Oriente e Occidente si incontrano

Moderatore: Ivana KERECKI - Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - Milano
Musica dal vivo - Jovica JOVIC alla fisarmonica
 
STRUTTURA DELL'INCONTRO

18.30   Musica tradizionale dei Balcani e immagini proiettate

18:45   Introduzione della serata e dei relatori da parte del Moderatore

18:50   Saluto da parte del Consolato Generale di Bosnia-Erzegovina
        Dragoljub LJEPOJA - Console Generale della Federazione di Bosnia ed Erzegovina

19.00   "L'immagine della Bosnia-Erzegovina"
        Elena DELL'AGNESE - Università degli Studi Milano Bicocca
           
19.20   "Alla scoperta delle meraviglie della Bosnia-Erzegovina"
        Roberto SABATINI - CAFEVOYAGE

19.40   "La Bosnia-Erzegovina tra passato e futuro"
        Alessandro VITALE - Università degli Studi di Milano

20:00   interventi dal pubblico e dibattito tra i relatori

Al termine del dibattito:
- degustazione di vini della Bosnia-Erzegovina accompagnata da stuzzichini tipici
- musica dal vivo
- illustrazione di stampe antiche raffiguranti le più belle città e i villaggi della Bosnia-Erzegovina






UNABOMBER S'È FATTO LA BUA


(riceviamo e giriamo questa sconvolgente notizia, sostanzialmente censurata dai grandi media italiani come tutte le notizie significative e "scomode".
Sui recenti incidenti occorsi alle truppe di occupazione statunitensi su territorio italiano si veda anche:


"GIOCO PERICOLOSO" DI TRE AVIERI U.S.A.F. A POCHI METRI DA UN CENTRO ABITATO. DUE DI LORO IN GRAVISSIME CONDIZIONI 

 

Polcenigo (PN)
Bomba carta, gravi due avieri americani
Per gioco l’hanno fatta esplodere ieri sera. Uno ha perso una mano, l’altro si è maciullato una gamba - di Susanna Salvador

Due avieri, di 21 e 22 anni, in servizio alla base Usaf di Aviano sono rimasti gravemente feriti ieri sera a Coltura di Polcenigo, a causa dell'esplosione di un ordigno rudimentale. Uno di loro ha perso una mano e rischia l'amputazione anche di parte del braccio. L'altro si è spappolato una gamba. Sono stati ricoverati all'ospedale di Pordenone e le loro condizioni sono considerate gravi. L'incidente è accaduto all'aperto, in un campo di fronte alla chiesa della frazione, vicino alla casa dove i due feriti abitano. Tre militari americani hanno deciso di chiudere la serata facendo esplodere una sorta di bomba carta. Ma quella decisione è costata loro cara. Potrebbero essere stati gli stessi avieri ad aver fabbricato l'ordigno, e ieri notte i carabinieri, giunti sul posto, stavano cercando in un prato - l'area è stata transennata - una borsa che un terzo militare, rimasto illeso, avrebbe gettato al loro arrivo. Spetterà ai carabinieri ora capire cosa sia successo in quella serata durante la quale quella che doveva essere una ragazzata si è trasformata in tragedia”.

La cosiddetta bomba carta evidentemente di “carta” aveva ben poco.

Dopo i “giochi di guerra” dell’8 novembre scorso, costati la vita a sei marines ospiti dell’elicottero Black Hawk UH60 precipitato a 200 metri dall’autostrada A27, il “gioco pericoloso” dei tre avieri U.S.A., i quali evidentemente hanno scambiato il territorio pubblico vicino casa in un poligono di tiro.

Vedremo se l’Arma farà luce sulla borsa gettata via dal terzo aviere illeso o se tutto, come sempre, finirà nel nulla.

Sappiamo bene come spesso vadano a finire i “giochi” di questi militi noti. Fortunatamente nessun abitante del luogo passava in prossimità dell’esplosione.

Siamo sicuri poi che si trattasse di un gioco e non di una esercitazione, come quella nella quale era impegnato l’elicottero caduto rovinosamente sul greto del fiume Piave? Le tattiche di controguerriglia si apprendono meglio se realizzate in reali contesti urbani.

Per quanto ancora dovremo subire l’onta di questi “giochi” di guerra dell’esercito U.S.A. sui nostri territori?

La Rete nazionale Disarmiamoli!

www.disarmiamoli.org  info@...

3381028120  3384014989

 



TRASH-PHILOSOPHIE


(aka: What do two slavs in Warsaw do?
They speak in english with each other)

Lo sloveno Slavoj Žižek a spasso con un polacco per le vie di
Varsavia - video in lingua inglese:

Slavoj Žižek in Warsaw / Slavoj Žižek w Warszawie

http://www.youtube.com/watch?v=pFW1uLgz0d4

...Ecco che cosa fanno dai paesi "slavi". Ci si parla in un pessimo
inglese.
Avessero parlato insieme in sloveno e polacco, si sarebbero capiti
meglio.

Segnaliamo anche:

Slavoj Žižek on toilets and ideology

http://www.youtube.com/watch?v=AwTJXHNP0bg

Sempre Zizek, sulle tipologie di water e di ideologie...


(segnalazioni di DK e AM)

USA E GETTA


Arruolato come spia per conto dell'MI5 britannico, il signor Stankovic, serbo di Croazia, è adesso sotto processo in Inghilterra per non aver ottemperato all'ordine di interrompere qualsiasi contatto con i rappresentanti del suo popolo. Rischia di dover pagare una multa di 500mila sterline.


Former major faces huge bill for failed action


Posted by: "Tim Fenton" 

Sun Nov 11, 2007 7:54 pm (PST)

Some might argue that having acted against the interests of his 
ancestral people he deserves little sympathy. But I prefer to see him 
(as so many of the Serbian diaspora I have met) as fiercely loyal and 
honourable to his adopted home despite their ingratitude, ignorance 
and perfidious sympathies. He is the victim of anti-Serbian hysteria 
which still retains its grip in Britain as well as elsewhere...

If you need reminding of the details, they were given in the House of 
vo990714/debtext/90714-15.htm

http://www.guardian.co.uk/military/story/0,,2208719,00.html

Former major faces huge bill for failed action

Richard Norton-Taylor
Saturday November 10, 2007
The Guardian

A decorated former army officer hailed as a hero for his humanitarian 
work in Bosnia faces a huge legal bill after losing an action for 
damages over his arrest for spying.

Milos Stankovic, who conducted secret talks with Bosnian Serb leaders 
on behalf of Britain and the UN, sued the Ministry of Defence police 
for misconduct, malice, false imprisonment, and negligence. High 
court judge Mr Justice Saunders yesterday described Mr Stankovic as a 
"courageous and resourceful" man who had "suffered the effects of his 
time there more than most". He called the case "very tragic".

Article continues

The judge added: "On a number of occasions, Major Stankovic showed 
considerable heroism in carrying out humanitarian acts in Bosnia 
which had to be conducted in secrecy. These included the rescue of a 
Muslim woman at considerable risk to himself and he was involved in 
an operation called 'Schindler's List' which re-united Bosnians with 
their families."

However, the judge said that though Mr Stankovic was innocent, it was 
understandable that he aroused the suspicions of MI5 and then the 
police. He had brought back confidential papers about his dealings 
with Bosnian Serbs and had maintained informal contact with them, 
despite being told not to.

The judge dismissed his claim against the MoD and police for damages, 
though he said the only thing the army officer had been proved to 
have done wrong was to disobey one direct order.

Mr Stankovic, 44, from Surrey, was a Serbo-Croat interpreter and 
liaison officer with the Bosnian Serbs for senior British army 
officers. He had talks with General Ratko Mladic, commander of the 
Bosnian Serb army, and with aides to Radovan Karadzic, the Bosnian 
Serb leader, both now indicted for war crimes.

The former officer now faces a legal bill unofficially estimated at 
up to £500,000. He had earlier refused an offer of £100,000 to settle 
the case.



CLEPTOCRAZIA


(sulle fortune personali dei boss "politici" kosovaro-albanesi)


MakFax (Macedonia)
October 16, 2007

Pacoli has €420 worth of assets in Kosovo alone

Pristina - The wealthiest candidate for deputy at the parliamentary elections in Kosovo is Bexhet Pacoli, the President of the Alliance for Kosovo, who reported €420 worth of assets in Kosovo alone.

On the other hand, the least wealthy is the Kosovo's President Fatmir Sejdiu, whose assets are estimated at €250.000, Zeri daily reported.

Veton Suroi, the leader of the Reformists, reported €2.5 million worth of assets, while Ramus Haradinaj, the President of the Alliance for Future of Kosovo, has €1.3 million worth of assets.