Informazione

UNA CIVILTÀ SUPERIORE


«Immigrati, servono metodi da SS»
Treviso, battuta di un consigliere leghista. Ferrero: come i nazisti

http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/
newsattach1114_Corriere%20della%20sera%2005-12-2007%20a.pdf

Opposizione in silenzio: «Abbiamo deciso di non rispondere più alle
provocazioni del Carroccio»
«Metodi nazisti contro gli immigrati»
Treviso Un consigliere della Lega: «Punire dieci di loro per ogni
torto subito da un trevigiano»

http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/
newsattach1114_ilmanifesto051207b.pdf

Treviso, c’è chi vuole la rappresaglia nazista
Il consigliere Bettio: con gli immigrati facciamo come le SS.
Puniamone 10 per ogni torto fatto a noi

http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/
newsattach1114_lunita051207b.pdf

Treviso, attacco choc della Lega

http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/newsattach1114_La%
20Stampa%20%2005-12-07c.pdf

"Contro gli immigrati metodi da SS" proposta-scandalo della Lega a
Treviso
"Dieci puniti per ogni torto a italiani". L´Unione: aberrante

http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/newsattach1114_la%
20Repubblica%2005-12-2007%20a.pdf

Alcune brevi riflessioni sulle elezioni politiche in Russia


“Non bisogna farsi illusioni. Tutta quella gente (gli oligarchi e le
strutture politiche che li sostengono) non è uscita dalla scena
politica. I nomi li trovate tra i candidati e i sostenitori di alcuni
partiti. Vogliono una rivincita, tornare al potere, ad esercitare la
loro influenza. E restaurare il regime oligarchico, basato sulla
corruzione e sulla menzogna”. Forse queste parole pronunciate da
Vladimir Putin, durante una grande manifestazione di “Russia Unita”,
il partito di cui era capolista, servono a far comprendere le vere
ragioni dello straordinario successo della forza politica di governo
che – al di là dei suoi confusi e contraddittori programmi politici e
di un apparato in larga parte non distinguibile, per provenienza e
aspirazioni sociali, dall’opposizione “liberale” –, dai russi è stato
associato alla figura del presidente russo dopo la sua decisione di
diventarne il leader.

Troppo vivo è il ricordo del decennio di umiliazioni e di declino
della Russia, seguito alla dissoluzione della potenza sovietica, per
poter pensare ad una rivincita degli uomini e dei partiti che delle
disgrazie di quel periodo sono stati i responsabili, al seguito di
quella che oggi può considerarsi la figura più screditata della
storia contemporanea di questo grande paese: Boris Eltsin.
Lo striminzito 2% raccolto dai partiti “liberali”, osannati in
Occidente (“progressisti" li ha definiti anche “Liberazione”!), sta
lì a dimostrarlo eloquentemente.

Stupisce che una riflessione più ponderata di quanto sta accadendo in
Russia non sia passata per la testa neppure a molti commentatori
della cosiddetta sinistra radicale occidentale (i servizi su
“Liberazione” del 1 dicembre ne sono un esempio), che non hanno avuto
alcuna esitazione ad accettare in modo acritico tutti i cliché
propagandistici delle centrali di informazione occidentali.

Putin per i russi, spesso descritti nei giornali occidentali, con
veri e propri toni razzisti, come un popolo quasi geneticamente
“autoritario” (con tanto di interviste a “raffinati” intellettuali
russi che, ai tempi del secondo golpe di Eltsin nel 1993, non ebbero
dubbi a sostenere il massacro dei difensori del Parlamento russo) è
colui che, con i fatti, ha dato prova di voler voltare pagina.

I russi, che sicuramente non considerano il loro presidente perfetto,
gli riconoscono, a ragione, la determinazione dimostrata nel
riportare la Russia sulla scena mondiale, nel sottrarla al rischio di
essere condannata al ruolo di colonia delle potenze e delle
multinazionali occidentali e destinata a subire gli stessi processi
di frammentazione dell’URSS, di avere azzerato il pauroso deficit che
aveva portato il paese sull’orlo del precipizio finanziario, di avere
migliorato, pur in presenza ancora di grandi ingiustizie e
contraddizioni sociali, il tenore di vita di milioni di russi. Sono
fatti che nessuno può contestare credibilmente.

E, invece, per spiegare il 63% dei voti raccolto dal partito di Putin
nel contesto di un’alta partecipazione al voto (quanti, fino al
giorno prima avevano confidato in un grande astensionismo?), si è
scelta la strada suggerita dai propagandisti dell’amministrazione
americana, anche a “sinistra”. Invece di soffermarsi a riflettere su
come Putin vorrà o potrà proseguire sulla strada degli impegni di
riscatto sociale e nazionale presi con i suoi elettori (e che gli
elettori non dimenticheranno) e ripetuti in modo martellante in tutti
gli ultimi messaggi elettorali, e su come potrà vincere le resistenze
(di cui è pienamente consapevole) che provengono dagli apparati del
suo stesso partito, si preferisce evidentemente dare una mano a
questi ultimi, diffondendo la favola (non sostenibile alla prova dei
fatti) dell’esistenza in Russia di una dittatura.

La vittoria travolgente di Putin pone anche i comunisti russi di
fronte all’esigenza di aprire un serio dibattito sulla loro
collocazione nello scenario politico che si profila per i prossimi
anni. L’ulteriore, seppur lieve, ridimensionamento elettorale (dal
12,6% all’11,7%), che gela le speranze di una ripresa elettorale
coltivate nelle elezioni parziali del marzo scorso, non può essere
spiegato solo, in modo autoconsolatorio, con l’eventuale presenza di
brogli elettorali (del resto, sempre denunciati anche al termine di
ogni passata consultazione), per i quali chiedere l’intervento di
quegli organismi internazionali che, in altre occasioni, hanno
avviato campagne di criminalizzazione contro gli stessi comunisti
(Consiglio d’Europa).

Il PCFR, che resta comunque una forza politica di tutto rispetto,
sarà sicuramente costretto ad avviare una profonda analisi dei
mutamenti intervenuti nella società russa, durante i 7 anni di
amministrazione di Putin. E dovrà fare finalmente i conti con la
necessità di incidere realmente nelle contraddizioni degli attuali
assetti di potere russo, uscendo da una sorta di orgoglioso
isolamento e cogliendo in tutta la sua portata la cesura netta, sia
sul piano della politica estera che di quella interna, avvenuta in
questi anni rispetto alla precedente “era Eltsin”, grazie
all’iniziativa incalzante di Putin e del gruppo “patriottico” che si
raccoglie attorno a lui.

Se ciò avverrà, gli appelli a lavorare insieme nel prossimo
parlamento russo, lanciati subito dopo il voto dal partito “Russia
Giusta” (8% dei voti) (il partito filo-presidenziale, che si
definisce “socialista”) ai comunisti, forse, questa volta, non
saranno rispediti al mittente, permettendo così a quel 20% della
società russa che ancora si esprime con nettezza per una “scelta
socialista” di avere la possibilità di favorire una positiva
evoluzione dei processi politici, avviati con l’uscita dalla scena di
Eltsin e l’avvento di Putin, e che hanno permesso alla Russia di
ritrovare un ruolo dignitoso nella scena mondiale, sottraendola
sempre di più ai condizionamenti e ai ricatti dell’imperialismo.

Mauro Gemma




L’ASS. NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA - SEZIONE DI CIVIDALE DEL FRIULI
ORGANIZZA

 

 VENERDI 14 DICEMBRE 2007 ALLE ORE 20.00
 C/O LA SALA DELLA SOCIETA’ OPERAJA

 

 

A seguito del violento alluvione che ha colpito a metà Settembre di quest’anno la zona di Cerkno, nella vicina Repubblica di Slovenia, è andato quasi completamente distrutto l’Ospedale Partigiano “Franja”. L’ospedale, operò dal 1943 alla fine del conflitto, e si avvalse della qualificata opera anche di personale medico italiano.

 

Nelle baracche allestite nella gola Pasice a Dolenji Novaki presso Cerkno trovarono ricovero innumerevoli feriti e conforto, nelle ultime ore della loro agonia, diversi partigiani tra i quali il nostro concittadino Rino Blasigh “Franco” decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare dalla Repubblica Italiana.

 

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Cividale del Friuli, di concerto con l’ANPI Provinciale di Udine, ha organizzato una serata di solidarietà per raccogliere fondi da destinare alla ricostruzione dell’importante monumento.
Nel corso della serata saranno proiettate le immagini che documentano i gravi danni subiti dall’Ospedale commentate da personale del Museo della Città di Idria sotto la cui giurisdizione ricade il monumento. Saranno anche illustrate, per quanto possibile, le iniziative di recupero del manufatto e dei documenti presenti nel monumento. La perdita degli oggetti museali rappresenta un danno inestimabile. Nell’ospedale partigiano Franja erano esposti circa 800 oggetti originali. Oltre agli oggetti che si trovano nelle due baracche preservate (83 oggetti), tra le rovine e lungo i torrenti Cerinscica e Cerknica sono stati rinvenuti altri 60 oggetti, che hanno riportato danni lievi o parziali. Si sono preservati, dunque, 143 oggetti in totale e identificati i componenti di ulteriori 40 oggetti.

L’opera di restauro, di ripristino dei luoghi e di ricostruzione delle baracche, nel rispetto del monumento originale,  sarà quindi lunga e dispendiosa e riteniamo sia importante anche il nostro contributo.

A.N.P.I. – Sezione Cividale del Friuli


La locandina della iniziativa ed altre informazioni sul caso della "Bolnica Franja" si trovano alla pagina:


(italiano / english)

Pro-Americanism 'a must' in Kosovo 

1) "Per fortuna dobbiamo ricordare che ora ci sono in mezzo anche gli Stati Uniti..." Brindisi e festeggiamenti da Tirana a Pristina per la Grande Albania prossima ventura

2) Pro-Americanism 'a must' in Kosovo. The American flag with its stars and stripes decorates almost all office buildings across the province


Sulla propaganda irredentista pan-albanese a Radio Radicale vedi anche: 

Sulla diffusione del culto religioso per l'ex Presidente USA Bill Clinton, per la sua consorte, e per gli altri padroni stranieri in Kosovo vedi anche:


=== 1 ===



Gli Albanesi dei Balcani festeggiando l’Indipendenza dell’Albania

Dal blog di Nura Artur (163) - Sabato, 1 Dicembre 2007 - 1:44pm

Radio Radicale “Passaggio a Sud Est”

Un saluto a te Roberto e ai nostri ascoltatori. Come hai detto vorrei parlare del significato che per tutti gli albanesi della regione Balcanica ha il 28 novembre che è la data della proclamazione dell’indipendenza dell’Albania dall’Impero Ottomano.
Il 28 Novembre 1912, infatti, l’Albania proclamò la sua indipendenza dall’Impero Ottomano, ma la principale sfida che gli albanesi dell’epoca dovevano affrontare non era l’Impero Ottomano che stava ormai finendo, ma l’invasione dei popoli slavi della regione. Una situazione che si ripete anche oggi.
A quell’epoca i popoli slavo-ortodossi, ispirati dalla vittoria della Russia sulla Turchia, avevano già iniziato la loro invasione violenta contro i territori albanesi in cui la popolazione era principalmente mussulmana.
Gli albanesi dopo aver dichiarato l’indipendenza ed aver issato le loro bandiere dovettero affrontare una lunga e difficile lotta per ottenere il riconoscimento internazionale della loro patria che purtroppo, dopo invasioni sanguinose, uscì malconciato dalla lunga conferenza delle potenze dell’epoca a Londra.
I territori albanesi del Kosovo, di quelli che oggi sono la Macedonia, il Montenegro, la Grecia d’oggi ed altri territori furono lasciati fuori da questo nuovo stato dell’Albania, per dare via così ad un’altra lunga storia tumultuosa degli albanesi che ancora oggi rappresenta un grande problema e una sfida politica per i principi fondamentali dell’Europa.
All’epoca, a causa della posizione della Russia, che continua ancora oggi, il caso albanese rappresentò il vero significativo delle differenze della politica, storia e cultura tra l’Europa occidentale e la Russia ortodossa.
Se ora l’Europa cederà dai suoi principi fondamentali al confronto delle richieste russe che sono rimaste le stesse, saremo testimoni anche noi mentre la storia ci sta passando davanti, anche se per fortuna dobbiamo ricordare che ora ci sono in mezzo anche gli Stati Uniti che invece cento anni fa non aveva nessun ruolo nei Balcani.

D: Quest’anno la ricorrenza dell’indipendenza coincide con il fallimento dei negoziati per il Kosovo. Qual è l’atmosfera di questa settimana di festa nazionale in Albania...

Secondo il mio parere personale, l’atmosfera di festa e più intensa e vitale che negli anni precedenti e questo perché questa data storica dell’Albania ha un significato simbolico e politico per il Kosovo che sta facendo il possibile per arrivare alla sua indipendenza con 95 anni di ritardo.
Come nel 1912 a Valona, dove fu issata la bandiera albanese simbolizzando la proclamazione dell’indipendenza, il 28 novembre di quest’anno si sono radunati in tanti sia dalla capitale Tirana sia dagli altri territori albanesi dei Balcani.
Hanno partecipato in tanti anche dalla Macedonia, dal Kosovo e dal Montenegro insieme con tutte le personalità della politica di Tirana che per una volta hanno lasciato da parte le loro differenze politiche.
A Pristina e a Tetovo come a Tirana è stata festeggiata la festa nazionale e alle massime autorità dell’Albania sono arrivati molti messaggi di congratulazione in cui non mancavano gli auguri di una prossima simile festa per l’indipendenza del Kosovo.
Questa unità nazionale di tutti gli albanesi dei Balcani è stata accompagnata da due dimensioni particolari che hanno di certo a che fare con la storia dualista degli albanesi dei Balcani, una riguarda al futuro e l’altra riguarda al passato.
In tutti gli interventi dei partecipanti a questa celebrazione, cominciando dal presidente della repubblica Bamir Topi, nel brindare e nei festeggiamenti per l’indipendenza non è stato dimenticato l’obiettivo dell’integrazione euro-atlantica dell’Albania e dei Balcani che significa anche una certa limitazione dell’indipendenza nazionale delle nazioni e degli stati. (...)

(segnalato da Luca S.)



=== 2 ===

Agence France-Presse
November 16, 2007

Pro-Americanism 'a must' in Kosovo 

ISMET HAJDARI

DOBRATIN, Serbia - Pictures of beaming ethnic Albanian
leaders alongside senior U.S. figures feature
prominently in Kosovo, where sympathies for the United
States are high ahead of Saturday elections.

As the main supporter of Kosovo's push for
independence, the Western superpower is so popular in
the tiny Balkan territory that many young children and
major streets have names like "Clinton."

Four-year-old Clinton Bajgora plays in the yard of his
family home, more interested in the mud piles than the
inquiries put to his parents about their decision to
name him after former U.S. president Bill Clinton.

"According to our customs, one of my daughters is
named after my mum. Instead of naming my son after my
dad, I named him after Clinton because I consider him
as the father of our nation," said Hasan Bajgora.

The Albanian majority's adoration of the United States
is ever present in Kosovo.

American politicians are regarded as heroes for their
crucial backing of NATO's air war against Serbian
targets....

Kosovo, which has been run by the United Nations since
the end of the NATO bombing in mid-1999, is one of the
rare places around the world unaffected by
"anti-Americanism."

The faces of Clinton, his former secretary of state
Madeleine Albright and U.S. President George W. Bush
appear on numerous billboards and television ads in
campaigning for Saturday's general and local
elections.

Draped with stars and stripes:

The American flag with its stars and stripes decorates
almost all office buildings across the province,
including those of the Kosovo president and prime
minister.

Shkelzen Drenovci runs the "Wesley Clark" driving
school, named after the retired U.S. general who
headed NATO's three-and-a-half month military
operation against the Milosevic [government].

"It was my father's wish. He said that General Clark
was the one who pressed the button" for the bombing to
start, said the 31-year-old.

But the uncontested Kosovo favorite is Bill Clinton,
whose August 19 birthday is celebrated with much
fanfare across the province.

Pristina's main avenue is named after the former
president and features a huge mural bearing his image.
The city recently approved plans to erect a
three-meter (10-foot) statue in his honor.

Being pro-American has become "a dogma in Kosovo,"
said Valon Syla, the political editor of the newspaper
Express.

"Like Muslims who believe in God and Mohammad as his
messenger and prophet, the Albanians believe in
America," Syla said. "Politicians who are not
pro-American cannot even dream of victory here," he
added.


Source: R. Rozoff through Stop NATO - http://groups.yahoo.com/group/stopnato



www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - urss e rivoluzione di ottobre - 05-11-07 - n. 201

da Rebelion (originale nell'edizione 118 della Pravda del 25/10/2007)

 

Ventitre scalini più in basso
 
Sui morti del comunismo sovietico e su quelli del capitalismo russo
 
Víctor Trushkov - Pravda

 

26/10/2007

 

Nella storia, niente e nessuno entra in relazione reciproca attraverso le azioni, eccetto le persone. La popolazione è la principale risorsa di qualunque sviluppo sociale. È meraviglioso disporre di ricchezze naturali uniche, ma solo col lavoro delle persone queste si trasformeranno in ricchezze sociali. È l'ABC del marxismo, e quando si parla di valutazioni delle risorse del paese, la popolazione è quella che dovremmo considerare in primo luogo.

 

I furbi e malintenzionati che attualmente lavorano in questo campo della storia hanno dato origine ad una gran quantità di miti e leggende, che in certe occasioni degenerano in autentiche falsità.

 

I detrattori professionali del socialismo e del sistema sovietico sono coloro che profondono a tal fine l’impegno più grande.

 

È come se tra loro esistesse una sfida per vedere chi, nel modo più indecente ed intollerabile, osa inventare il numero maggiore di "vittime del potere sovietico" negli anni trenta. Sessanta milioni di persone... 80 milioni... 100 milioni... sottintendendo che ci si riferisce alla popolazione adulta, innanzi tutto uomini. Sembra addirittura che non siano sfiorati dal dubbio che tutte queste favole potrebbe ribatterle qualunque ragazzino di 5º elementare.

 

La popolazione dell'URSS, nell'anno in cui fu creato lo stato unitario, ammontava a 136,1 milioni di persone, delle quali, alla fine del 1922, 63 milioni erano uomini. Che cosa rimane sottraendo anche solo l’immaginario numero di 60 milioni di vittime? Chi lottò allora nella Grande guerra patriottica? Da dove uscirono allora, in una sola Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, 51 milioni di uomini nel 1939? In totale, in tutta l'Unione Sovietica, in quel momento si era vicino ai 93 milioni.

 

Operiamo un confronto in più, cosa che gli antisovietici si rifiutano sempre di fare. Mi riferisco ai tempi di crescita della RSFSR e degli Stati Uniti del Nordamerica (che era il nome ufficiale degli attuali USA fino alla seconda guerra mondiale). Perché della Federazione Russa e non di tutta l'Unione Sovietica? Perché negli anni trenta, il territorio della RSFSR non subì variazioni, mentre nell'URSS entrarono quattro nuove repubbliche - Moldavia, Lettonia, Lituania, Estonia – così come l’Ucraina occidentale e la Bielorussia occidentale. Nei 13 anni che passarono tra i censimenti della popolazione degli anni 1926 e 1939, il numero di abitanti della RSFSR crebbe del 13,5 %. Di sicuro questi non sono dati della Direzione Centrale di Statistica dell'URSS, le cui cifre tanto piace mettere in dubbio ai difensori del capitalismo, bensì dati che sono stati scrupolosamente verificati dagli studiosi dell'attuale Istituto di Investigazioni Scientifiche di Statistica, dipendente dell'Agenzia di Statistica della Federazione Russa (Rosstat).

 

La popolazione degli Stati Uniti del Nordamerica, che continuava a crescere grazie ai flussi migratori dall'Europa e da altre parti del mondo, nella decade tra 1930 e 1940, crebbe dell’8 %. Sono dati molto eloquenti.

 

Ma torniamo alla Russia. Negli anni ‘30 la popolazione aumentò di 13 milioni di persone. Paragoniamo questi dati con la crescita di popolazione nella Russia zarista in un'epoca abbastanza prospera, paragonata all'attuale, come fu la prima decade del XX secolo. Durante il periodo compreso tra il 1901 e il 1910, la popolazione della Russia crebbe di 13,37 milioni di persone.

 

Ritorniamo al dettagliato studio del direttore dell'IEC di statistica dell'Agenzia di Statistica della Federazione Russa, il professore Vasili Simchera: "Sviluppo dell'Economia in Russia nel corso di 100 anni. Successione storica" (ed. Nauka. 2006). In questo lavoro si analizza minuziosamente la dinamica della quantità di popolazione durante il XX secolo. Sono particolarmente interessanti i dati sulla crescita annuale della popolazione. Vediamo quali furono le variazioni nel periodo tra la Guerra civile e la Grande guerra patriottica.

 

Le conseguenze demografiche della Guerra civile furono molto visibili, perfino nel 1923, quando la crescita era ancora negativa per lo 0,2 %. Al contrario, nei tre anni seguenti, dal 1924 al 1926 inclusi, si ebbe una crescita record, che raggiunse l’1,9 % annuo. Dopo, negli 11 anni seguenti, si osservò una crescita stabile della popolazione.

 

Nella RSFSR, cresceva in ragione di un 1,1 % (qualcosa più di un milione l’anno). Ed improvvisamente, osserviamo un altro flusso. Di nuovo, e nell’arco di tre anni, si ha una notevole crescita demografica, per un valore dell’1,6 % annuo (1,7 milioni l'anno). Ma si presti attenzione agli anni di cui parliamo: 1938, 1939, 1940.

 

No, non ho la minima intenzione di negare, con tutto l'insieme di dati statistici affidabili comprovati e riveduti in più occasioni dall'Istituto di Investigazioni Scientifiche dell'Agenzia di Statistica della Federazione Russa, che ci siano state repressioni nella seconda metà degli anni 30. E sfortunatamente ebbero un carattere massiccio. Ma respingo categoricamente l'accusa che si lancia contro il Partito Comunista Bolscevico ed il potere sovietico, di aver portato a termine un genocidio contro il proprio paese. Il mito dell’ipotesi del genocidio è falso dal principio alla fine. Accusare di ciò il Partito Comunista e lo Stato Sovietico, è una perfida calunnia, come dimostra l'imparzialità della statistica.

 

Durante il XX secolo, la popolazione della Russia crebbe di 76,1 milioni di persone. Cioè più di due volte. Gli esperti hanno calcolato che la popolazione del paese avrebbe potuto moltiplicarsi per quattro rispetto al 1900. Ma, innanzi tutto, subì l’azione di tre "fosse demografiche" che lo impedirono.

 

La prima di esse riguarda la 1ª Guerra mondiale e la Guerra civile. Durante quegli anni, la popolazione si vide ridotta di 3,2 milioni di persone. Il potere sovietico fu in grado di riassorbire le perdite delle due guerre in appena due anni e, per quanto riguarda la popolazione, già nel 1925 fu superato il picco del periodo prebellico. In totale, negli anni della costruzione socialista, precedenti la 2ª Guerra mondiale, la popolazione della RSFSR aumentò di 20 milioni.

 

La seconda profonda fossa demografica fu "scavata" durante la Grande guerra patriottica. Occorre inoltre tenere conto che la guerra continuò a causare nuove vittime fino l’anno 1950 compreso. Il numero totale della popolazione, che non cessava di diminuire durante la decade 1941-1950, si stima in 8,6 milioni. La morte, con la sua ossuta mano, raggiunse 2,6 milioni di essi nei cinque anni che seguirono la Grande vittoria. Fu possibile riportare la popolazione ai livelli prebellici soltanto nel 1955.

 

La terza fossa demografica è, se possibile, la più tragica, giacché risulta impossibile trovare una giustificazione. Fu scavata negli anni di pace, durante quel periodo in cui, secondo le valutazioni comunemente accettate, non era oramai più diretta contro di noi alcuna "guerra fredda". La restaurazione del capitalismo "fucila" implacabilmente quasi un milione di persone l'anno. E così va facendo da 16 anni.

 

Oggi la Federazione Russa ha lo stesso numero di abitanti che la RSFSR nel 1984. In quanto ai livelli di popolazione, siamo tornati a cifre anteriori l'inizio della Perestroika. Non è forse simbolico tutto questo, oltre che amaro?

 

Ventitre anni cancellati nel corso demografico naturale della storia russa. Ventitre scalini più in basso. Non è forse sufficiente? La stessa cosa caratterizzò il regno dello zar Nicola II "il sanguinario", e portò come conseguenza la Grande rivoluzione socialista di Ottobre.

 

La propaganda della restaurazione capitalista si sforza di giustificare l'agonia del paese, attribuendola all'eco demografica della guerra. È certo che l'invasione fascista dell'Unione Sovietica genera quell'eco, ma attribuirle l'attuale genocidio, un genocidio autentico e non inventato da politici furbi e abili manipolatori, è impossibile.

 

La prima onda dell'eco demografica della Grande guerra patriottica arrivò fino a noi nella seconda metà degli anni 60, due decenni dopo la vittoria. Tra il 1968 e il 1971 la crescita della popolazione cadde quasi di metà e rimase ferma a 0,5 % l’anno. I quattro anni seguenti quest’indicatore non superò lo 0,6 %. Dopo, la curva di crescita si rialzò per avvicinarsi all’1 %.

 

La seconda onda è sempre più debole, meno percettibile. Ma non può essere ignorata. È assodato che mezzo secolo dopo l’inizio della Grande guerra, cioè gli anni 1990-1991, il tasso di crescita della popolazione paragonato agli anni precedenti, risultò ridotto alla metà, scendendo fino ad un 0,4 % annuo.

 

Ma successivamente cominciò l'estinzione. Dal 1994 la cifra totale della popolazione del paese è diminuita di 6,7 milioni di persone. Le reali perdite furono 1,5 volte di più, poiché bisogna contare che in quegli anni arrivarono nella Federazione Russa più di 3,5 milioni di persone provenienti dai "nuovi stati".

 

Quindi, la restaurazione capitalista ha "fucilato" non meno di 10 milioni di russi, più delle perdite di popolazione che patì la Russia tra 1941 e 1950.

 

Si deduce che il capitalismo, imposto al paese con la forza, non è meno inumano del fascismo hitleriano. Si sta distruggendo senza pietà la principale risorsa del paese. Di conseguenza, per la salvezza della Russia, questo capitalismo inumano deve essere vinto con risolutezza ed implacabilmente, come già i nostri genitori e nonni fecero con l'odiato nemico, offrendo al pianeta una Grande Vittoria.

 

In questa lotta odierna - la guerra è la guerra - la scelta dei mezzi è definita dalle circostanze. Una scheda elettorale, se sappiamo utilizzarla in modo razionale, può trasformarsi in una leggenda, come le "katiushe" a patto che, è chiaro, la potenza di fuoco della scheda sia appoggiata dall'offensiva di tutto il popolo lavoratore.

 


Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare



Parodia di S. Gennaro

 

II giornale radio di ieri, oggi e domani

 

1. Buongiorno, apriamo con la prima notizia. Questa mattina è stata dichiarata la secessione della Lombardia e del Veneto dalla Repubblica italiana. Il leader del movimento secessionista ha dichiarato "Meglio essere gli ultimi in Europa che i primi in Italia".

Le cancellerie europee si sono riunite per decidere la propria posizione. Ma la Germania non intende aspettare le indecisioni dei partner comunitari ed ha deciso di riconoscere unilateralmente le due repubbliche secessioniste. Già negli anni scorsi i contatti tra i leader tedeschi e quelli della Lombardia e del Veneto erano stati frequenti. La Germania si è già impegnata per 180 milioni di dollari in investimenti nelle due repubbliche secessioniste.

L'Unione Europea in un documento inviato al segretario dell'ONU ha chiesto che Lombardia e Veneto ottengano un seggio alle Nazioni Unite mentre la Repubblica italiana dovrà essere sospesa da ogni organizzazione internazionale.

I governi europei e gli Stati Uniti hanno altresì deciso l'embargo unilaterale per tutti i prodotti da e verso la Repubblica Italiana.

 

2. Buonasera, il nostro corrispondente da Bolzano, ci informa che la provincia dell'Alto Adige ha dichiarato oggi la sua indipendenza dal governo di Roma. La cancelleria austriaca ha già riconosciuto la secessione della repubblica tirolese dall'Italia.

 Gli osservatori dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea, in un loro rapporto riservato che giungerà a breve sul tavolo del Segretario delle Nazioni Unite, denunciano i ripetuti massacri e lo stato di oppressione degli italiani sulla popolazione altoatesina.

 La comunità internazionale ha mandato un chiaro messaggio al governo di Roma o fermate i massacri in Alto Adige e ritirate le truppe a sud del Po oppure la risposta delle democrazie occidentali sarà durissima.

 

3. Buonasera, apriamo il giornale radio con le notizie degli attacchi aerei della NATO diventati operativi dopo il fallimento dei negoziati dovuto all'intransigenza del governo di Roma.

Sono stati bombardate Roma, Firenze e Napoli. I ponti sul Tevere e sull'Arno, gli stabilimenti Fiat di Cassino e Termoli sono stati colpiti in quanto obiettivi strategici. Da alcune ore stanno bruciando gli stabilimenti petrolchimici di Gela e Sicuracusa. Al momento pare che le centrali dell'Enel di Civitavecchia e Terni siano state distrutte dai bombardamenti chirurgici. Due pullman di pellegrini che tornavano dal Giubileo sono stati colpiti dai missili lanciati da un aereo della NATO. Il comando NATO ha parlato di spiacevoli effetti collaterali.

 

 4. Buongiorno, ad anno dai bombardamenti si riscalda il clima per le prossime elezioni presidenziali e politiche nella repubblica italiana. Ieri sera il Dipartimento di Stato americano le cancellerie dell'Unione Europea hanno mandato un chiaro messaggio alla popolazione italiana: se voterete per I attuale presidente Inciampi, l'Italia continuerà ad essere sottoposta all'embargo totale. Nel documento è precisato che i prodotti energetici dall'estero potranno arrivare esclusivamente nelle città governate dall'opposizione.

 La VI flotta statuinitense ha inviato una portaerei nel Mar Tirreno mentre esercitazioni militari congiunte tra forze armate della Lombardia, del Veneto e della NATO sono in corso nell'oltrepò pavese.

 Il New York Times e le Monde rivelano che il Congresso USA e la Commissione Europea hanno stanziato rispettivamente 80 e 90 milioni di dollari per la campagna elettorale dell'opposizione guidata dal suo leader Bernasconi.

 

5. Buonasera, ancora teso il clima alla vigilia delle elezioni. I nostri corrispondenti riportano la notizia che nelle regioni amministrate dai partiti dell'opposizione non verranno allestiti i seggi elettorali.

 I sostenitori dell'attuale governo si stanno organizzando per allestire dei seggi di fortuna nei negozi o addirittura in case private.

 Gli osservatori internazionali rilevano che nonostante tutto ciò in queste regioni la situazione è tranquilla e tutto si svolgerà regolarmente mentre è più preoccupante nelle altre città dove esiste il pericolo dei brogli da parte dei sostenitori dell'attuale presidente Inciampi.

 

6. Buonasera per il giornale radio. Sono le ore 20.00. Tra due ore si chiuderanno i seggi ed inizierà lo spoglio delle schede per le elezioni politiche e presidenziali nella Repubblica Italiana, ma il leader dell'opposizione Bernasconi ancora prima delle chiusura dei seggi ha già dichiarato di aver vinto queste elezioni. Ha convocato già da ora i suoi sostenitori in Piazza Montecitorio per impedire che i brogli producano un risultato diverso da quello previsto e già annunciato in tutte le capitali europee.

 

7. Buongiorno, lo scrutinio delle schede elettorali si è concluso questa notte e i risultati non sembrano poter assegnare la vittoria al primo turno a nessuno dei due candidati. Si andrà dunque al ballottaggio.

Si registra però una dichiarazione rilasciata dal leader dell'opposizione nella conferenza stampa appena conclusa, secondo cui il risultato è chiaro e dimostra che è lui ad aver vinto e che non c'è bisogno di andare al ballottaggio. Intorno alle ore 15.00 i sostenitori di Bernasconi sono riusciti ad entrare in massa dentro Montecitorio vincendo la resistenza del cordone di carabinieri posti a presidio del Parlamento. I corrispondenti della CNN affermano che alcuni carabinieri hanno cominciato a fraternizzare con i manifestanti.

Il dipartimento di Stato americano e la Commissione Europea riconoscono il  risultato dichiarato dal leader dell'opposizione Bernasconi e affermano che l'attuale presidente Inciampi deve dare immediatamente le dimissioni.

In un documento approvato al vertice europeo in corso a Parigi, i ministri degli esteri dell'Unione Europea hanno dichiarato che nella Repubblica Italiana è tornata la democrazia.

 

8. Buongiorno per l'appuntamento del giornale radio. Il nuovo corso democratico nella Repubblica italiana comincia già a prendere le prime iniziative. L'ex leader dell'opposizione e attuale presidente ha invitato i Savoia a rientrare in Italia. Il paese ha bisogno di riconciliazione nazionale ha dichiarato alla stampa.

Ieri si erano riuniti gli economisti fino a pochi giorni fa costretti all'opposizione ed oggi nella nuova maggioranza di governo. Dalle indiscrezioni trapelate, i consiglieri economici della nuova presidenza affermano la necessità di una terapia d'urto per riportare l'Italia dentro la comunità internazionale e il mercato mondiale.

E' stata annunciata la vendita della Fiat alla Renault. Il piano d'impresa prevede la riduzione degli organici di almeno 23.000 dipendenti.

E' stata approvata la legge che consente l'apertura totale agli investimenti esteri, mentre in accordo con il Fondo Monetario Internazionale è stata decisa la privatizzazione degli ospizi, degli argini e dei ponti sul Tevere e delle scuole materne con meno di 800 bambini.

E' stato inoltre affidato alla banca d'affari Goldman Sachs l'incarico di trovare acquirenti per la gestione del Colosseo e del Foro Romano. Per gli scavi di Ostia Antica si è già fatta sotta una cordata internazionale guidata dalla banca d'affari Lehman Brothers in cui ha un peso rilevante il finanziere benefattore George Soros.

 

9. Buonasera per il giornale radio. Oggi sono passati dieci anni dalla svolta democratica della Repubblica Italiana avvenuta dopo anni di guerra e di isolamento da parte della comunità internazionale.

 Questa mattina a Parigi la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo ha reso noto un rapporto sull'andamento del PIL italiano negli ultimi dieci anni: la ricchezza prodotta dal paese è diminuita del 19%. Il numero di disoccupati è salito a circa 6 milioni mentre le organizzazioni del volontariato denunciano il boom dei bambini di strada che sfiorano ormai i 400.000 facendo la gioia dei pedofili in tutta Europa. In questi dieci anni quasi 4 milioni di italiani sono emigrati all'estero.

 In una nota aggiuntiva del Commissario europeo Pisher, si rileva come dieci anni fa in Europa ci fossero 28 stati ed ora ce ne siano 57 ma di cui solo 11 hanno una popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti.

 In una intervista al Wall Street Journal, il  presidente della multinazionale tedesca Bekembauer ha dichiarato "Oggi investire in questi nuovi paesi europei è molto più vantaggioso di dieci anni fa".

Per il giornale radio è tutto, buona notte a tutti.

 

TUTTO QUESTO E' VERAMENTE ACCADUTO; E' ACCADUTO IN QUESTI MESI A POCHE CENTINAIA DI CHILOMETRI DA NOI, SULL'ALTRA SPONDA DEL MAR ADRIATICO IN UN PAESE CHE SI CHIAMAVA REPUBBLICA FEDERALE DI JUGOSLAVIA.

 

II riferimento a fatti e personaggi è puramente casuale e frutto di fantasia.

(a cura del Coordinamento Romano per la Jugoslavia, aprile 1999)



From:   pschelle @ worldcom.ch
Subject: Statut final du Kosovo : quel message de la Suisse ?
Date: November 26, 2007 9:11:17 PM GMT+01:00


Lettre ouverte à Madame Calmy-Rey, Présidente de la Confédération

Statut final du Kosovo : quel message de la Suisse ?

Demande de clarification de la position de la Suisse 
en cas de déclaration unilatérale d'indépendance au Kosovo 

Madame la Présidente de la Confédération, 
Madame, 

Les soussignés sont très inquiets et préoccupés par l'évolution des négociations sur le statut final du Kosovo. Le 27 mai 2005, la Suisse s'engageait devant la communauté internationale à participer au règlement de cette question. Depuis cette date, des négociations très difficiles se sont succédées sous le regard de nos médias qui n'ont jamais cessé de prédire leur échec et d'annoncer l'indépendance inéluctable de ce territoire actuellement partie intégrante de la Serbie. 

La menace d'une déclaration d'indépendance unilatérale ayant été évoquée à plusieurs reprises, notre comité souhaite connaître la position officielle de l'administration fédérale sur cette question précise. 

Notre comité rappelle que la résolution 1244 du Conseil de sécurité avait mis fin à l'opération militaire de l'OTAN initiée le 24 mars 1999 en dehors de la légalité internationale en confirmant la souveraineté de la Serbie sur cette province. Depuis juin 1999, la présence des forces internationales ainsi que l'administration provisoire du Kosovo repose légalement sur cette résolution. 

Nous considérons que l'engagement pris par la Suisse devant le Conseil de sécurité de l'ONU en mai 2005 impose aujourd'hui une clarification (1). Notre avis est que la Suisse ne doit en aucun cas laisser croire qu'elle reconnaîtrait l'indépendance du Kosovo hors du cadre de la légalité internationale et sans compromis négociées et accepté par les populations concernées. Nous considérons que la reconnaissance d'une déclaration unilatérale d'indépendance reviendrait à reconnaître le droit de modifier des frontières par la violence et marquerait un retour en arrière dramatique pour le droit international. 

L'absence actuelle de prise de position suisse constitue clairement un soutien à la composante indépendantiste encouragée à ne rien négocier pour essayer d'imposer l'indépendance par une voie unilatérale. Une pression suisse sur les autorités multiformes qui administrent le Kosovo apporteraient un soutien précieux pour les populations minoritaires enclavées depuis plus de 8 ans dans des ghettos ethniques au coeur de l'Europe du 21e siècle. 

Dans l'attente d'une clarification de la position politique de la Suisse en cas de déclaration unilatérale d'indépendance au Kosovo, nous vous prions de croire, Madame la Présidente, à nos plus respectueuses salutations. 

Le Comité pour la paix en (ex-)Yougoslavie
En liaison avec de nombreuses associations 
culturelles et humanitaires serbes et roms de Suisse
Contact : pschelle@...

Copie pour information : Conseil national, Conseil des Etats, presse et médias

(1) Note réf.
Le statut du Kosovo en question.  [ Swissinfo 15 juin 2005 – 20:04 ]

.../ C'est le 27 mai dernier que le représentant permanent de la Suisse auprès des Nations Unies s'est prononcé sur le statut final du Kosovo. Devant le Conseil de sécurité de l'ONU, Peter Maurer a clairement dit qu'un retour de la province sous souveraineté serbe «n'est ni souhaitable, ni réaliste». Selon l'ambassadeur, le cheminement vers une indépendance formelle du Kosovo doit passer par une étroite surveillance internationale et des négociations avec les autorités serbes. Peter Maurer a aussi rappelé que la Suisse est prête à jouer «un rôle de facilitateur»./...


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Comité pour la paix en (ex)-Yougoslavie
CP 915 - 1264 St-Cergue
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Inscription - désinscription et historique des messages envoyés à la liste de diffusion  Damnés du Kosovo





Proslavimo Dan Republike!


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28-29 Novembre 1943: II Sessione plenaria dell'AVNOJ, fondazione della RFSJ
di Vladimir Dedijer (da "Tito: Prilozi za biografiju")

... La Seconda seduta plenaria dell'AVNOJ è stata per la Jugoslavia l’evento più significativo nella Seconda guerra mondiale. Essa ha, infatti, posto le fondamenta del nuovo Stato...



AVNOJ ponovo zasjeda u Jajcu

Tivat - Tivatska NVO "29. 11. 43", odnosno "Generalni konzulat SFRJ", u saradnji sa podgoričkom turističkom agencijom "Sky Tours" organizuje putovanje jugonostalgičara u Jajce gdje će 29. novembra biti otvoren obnovljeni Muzej AVNOJ-a...

http://komunisti.50webs.com/konzukatsfrj1.html


II. Sjedište AVNOJ-a
29.XI.1943. ... i danas

https://www.cnj.it/valori.htm#avnoj

2007: Obnova Muzeja II. Sjedište AVNOJ-a

2007: Il restauro dell'edificio dove si tenne la II Seduta dell'AVNOJ

Da un anno, volontari entusiasti appartenenti alla locale Associazione Josip Broz Tito hanno intrapreso il restauro della Casa-Memoriale della Seconda Seduta dell'AVNOJ (29.XI.1943) che proclamò la nascita della seconda Jugoslavia.
Dopo l'intervista ad uno di questi volontari, il video mostra immagini della Fortezza medievale di Jajce con il panorama della città.

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http://komunisti.50webs.com/jbtbihac3.html

65 godina 1. Zasedanja AVNOJ-a i Bihaćke republike

     U Bihacu je 26 - 27 novembra 2007.godine svecano proslavljenja 65 godisnjica AVNOJ i Bihacke republike u organizaciji Drustva J.B.Tito iz Bihaca. Proslavi su prisustvovali predstavnici svih republickih drustava koje nose Titovo ime i niz drugih drustvenih i politickih organizacija.Ucesnici proslave su prvo u svecanoj setnji prosli gradom i s paznjom posmatrali izlozbu slika i dokumenata iz tog perioda koje na panoima su bile postavljene na zidovima kuca i ograda na svim prometnim mestima u gradu. Zatim je izvrseno polaganje   venaca i cveca  zrtvama fasizma na partizanskom Spomen obelezju u Boricima. U Svecanoj sali Skupstine opstine odrzana je promocija treceg izdanja knjige istarskog prvoborca Vitomira Grbeca " U Titovoj pratnji". V.Grbac je celo vreme rata bio borac prateceg bataljona Vrhovnog staba NOV i POJ. Zavrsna svecanost odrzana je u prepunoj sali Doma kulture u Bihacu pod nazivom " Biscu budi nam kolevkom..."

    Clanovi republickih odbora drustava J.B.Tito su se tokom proslave dogovorili o narednim zajednickim akcijama. A prva je vec proslava AVNOJ u Jajcu gde je ,inace, zajednickim naporima Saveza boraca i udruzenja Tito svih republika obnovljen Muzej AVNOJ-a.

    Proslavi je prisustvovala i delegacija Drustva za istinu o NOB i Jugoslaviji i Centra Tito iz Srbije (S.Mirkovic i O.Kisic). Na svecanosti u Skupstini opstine domacine i goste pozdravio je kracim govorom u ime Drustva i Centra general Mirkovic.O.Kisic je odrzao niz razgovora sa ucesnicima proslave o zajednicom delovanju na polju kulture i knjizevnosti.

Pres sluzba Centra Tito


http://komunisti.50webs.com/bihac.html

Udruženje Josip Broz Tito – Naša Jugoslavija    Bihac

Poziv svim Antifašistima

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http://komunisti.50webs.com/centartito29.html

Saopštenje Centra Tito povodom 65 godišnjice formiranja AVNOJ


Srbija, svet i AVNOJ


Pre 65 godina u Bihaću je 26 – 27 novembra 1942. formiran AVNOJ ( antifašističko veće narodnog oslobođenja Jugoslavije) kao najviši organ narodne vlasti u okupiranoj Jugoslaviji . U njega  su ušli predstavnici svih jugoslovenskih naroda i narodnosti i socijalnih slojeva. U tom  trenutku Bihać je bio centar velike slobodne teritorije (veće nego današnja Švajcarska) i putokaz ka slobodi porobljenim narodima širom  Evrope i sveta.

AVNOJ je najviša politička i civilizacijska kota koju smo dosegli u našem uspinjanju ka vrhovima ljudske slobode, jednakosti i  bratstva, odakle  su nas SAD svrgle  l991 . i gurnule u podnožje gde smo bili 1941. Srbija i Srbi, kao prostorno najveća zemlja i najbrojniji narod u Jugoslaviji, dali su i najveći doprinos i žrtve u formiranju AVNOJ ali  stekli tom borbom i  najveca prava i slobode. Srbi su, valjda,  jedini narod na svetu koji 1945., ima status konstutivnog naroda u tri države: pored Srbije, jos i u Hrvatskoj i BiH.

         AVNOJ je na do tada najboji način u svetu uredio i međunacionalne i verske odnose sa nacionalnim manjinama (Albanci,Mađari itd.) čime je ogromna većina albanskog i mađarskog stanovništva bila zadovoljna. Zato je AVNOJ i danas aktuelan za nas. Ne treba nam primer Hongkonga ili Alandskih ostrva da rešimo pitanje Kosova i odnose sa nekadasnjim jugoslovenskim  republikama. Imamo za to primer AVNOJ.   

Bihać je jedna od civilizacijskih kota i celog čovecanstva. Tu je počelo rađanje jednog novog, boljeg  ljudskog društva čija je suština neposredna vlast naroda i jednakost i bratstvo svih ljudi na planeti. AVNOJ nije ništa izgubio od svoje političke aktuelnosti. Vec danas  mnoga rešenja i tekovine EU i drugih političkih integracija u svetu imaju koren u Bihacu i Jajcu.

 Porođajne muke tog novog, socijalističog drustva jos traju ali ono dolazi. Kada se rodi  u njegovoj krštenici kao mesto rođenja stajaće Bihać, Jugoslavija.

Stevan Mirković, predsednik centra Tito i general u penziji




From:   francesco
Subject: [SP] Joint Communiqué from Scientists On the UN Resolution Concerning Depleted Uranium Weapons
Date: November 28, 2007 11:59:04 PM GMT+01:00
To:   scienzaepace @ liste.comodino.org


carissim*
vi invio questo testo, che sta circolando per adesioni all'interno della comunita' scientifica, con il quale si vuole esprimere la posizione di esperti e scienziati di diverse discipline sull'uso di armi all'uranio impoverito, in visto dell'imminente votazione dell'assemblea generale delle Nazioni Unite, prevista per i primi di dicembre.
La risoluzione e' stata un po' "azzoppata" e ridotta di forza nella votazione del Primo Comitato, ma rappresenta comunque un passo significativo nel lungo e complicato percorso per mettere al bando questo tipo di armi.
Qualora vogliate aderire, vi prego di segnalarlo a

Katsumi Furitsu
f-katsumi @ titan.ocn.ne.jp

grazie
francesco

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Joint Communiqué from Scientists
On the UN Resolution Concerning Depleted Uranium Weapons

On November the 1st, the resolution entitled 'Effects of the use of armaments 
and ammunitions containing depleted uranium' was passed at the UN First 
Committee by an overwhelming majority. The resolution was drafted by the 
Movement of Non-Aligned States and submitted by Indonesia. We, the scientists 
who have been concerned about the harmful effects of depleted uranium (DU) 
weapons, welcome this resolution. 

The resolution was adopted, because the majority of the UN member states 
took 'into consideration the potential harmful effects of the use of 
armaments and ammunitions containing depleted uranium on human health and the 
environment' (Preparatory Paragraph: PP 4); 'convinced that as humankind is 
more aware of the need to take immediate measures to protect the environment, 
any event that could jeopardize such efforts requires urgent attention to 
implement the required measures' (PP 3). It was also 'guided by the purposes 
and principles enshrined in the Charter of the UN and the rules of 
Humanitarian International Law' (PP 1) and showed the determination 'to carry 
forward negotiations on arms regulation and disarmament' (PP 2) on the issue 
of DU weapons.

We are convinced that, and expect that, this resolution will be the first step 
to place the issue of DU weapons on the disarmament agenda, following the 
issues of Landmines and Cluster Munitions, and the beginning of a serious 
discussion about the deleterious nature of DU weapons and a possible ban, 
among the member nations of the UN.

We really respect and appreciate the effort of the leading countries on behalf 
of this resolution. We also appreciate the support from all the countries 
that voted for the resolution. We request and believe that these supportive 
countries will vote for the resolution again at the Plenary Session in 
December.

We strongly request the countries that abstained from the voting, to seriously 
reconsider the international meaning of the resolution stated in the PPs and 
to vote in support of it at the Plenary Session, based on the independent 
political will of each country.

There is mounting scientific research, including the studies reported in the 
most recently peer-reviewed papers, which clearly indicate 'the potential 
harmful effects of the use of armaments and ammunitions containing depleted 
uranium on human health and the environment'. We think that the previous 
reports from governmental bodies and international organizations have not yet 
fully reflected and referenced these scientific studies. They mainly focus on 
the radiological toxicity to the lung and the chemical toxicity to the 
kidneys. It is not right to vote against the resolution based on those 
previous reports, without considering these omissions.

The countries, which voted against the resolution, should seriously consider 
such circumstances, take account of the multilateralism and dialogue with 
many other countries which are concerned about the effect of these weapons 
and at least come to the table for discussion on the issue. Therefore, we 
strongly request these countries to change their previous stance and vote for 
supporting the resolution at the coming Plenary Session.

We, the scientists who have been working as specialists in different 
scientific fields including medicine, chemistry, biology, physics, 
environmental science and epidemiology, have been deeply concerned about the 
potentially harmful effects on the environment and human health, which might 
be caused by the radioactive and chemical toxicity of DU following the use of 
DU weapons. 

DU is 'nuclear waste' produced from the enrichment process and is mostly made 
up of the alpha emitting isotope Uranium 238 and is depleted in the 
fissionable isotope Uranium 235, compared to concentrated natural uranium 
(NU). DU is somewhat less radioactive than NU, yet has about 60% of the 
radioactivity of concentrated NU (NU in nature is a thousand times less 
concentrated).  DU is mostly an alpha emitter, a very damaging type of 
radioactivity inside the body. DU and NU are identical in terms of the 
chemical toxicity, which is also a source of potential damage to the body. 
With regard to DU's radioactivity, it is well known that concentrated DU is 
one of the radioactive materials, which is strictly controlled by laws in 
most of the countries of the world.

Uranium's high density gives DU shells increased range and penetrative power. 
This density, combined with uranium's pyrophoric nature, results in a 
high-energy kinetic weapon that can punch and burn through armour plating. 
Striking a hard target, DU munitions create extremely 
high temperatures of more than 3000oC. The uranium immediately burns and 
vaporizes into an aerosol, which is easily diffused in the environment, while 
the shell is penetrating the target. The uranium particles formed by this 
heat are unlike forms of naturally formed uranium in terms of their size (10 
to 100 times smaller).  These extremely small particle sizes are known to be 
much more toxic and more rapidly absorbed from the lungs than larger 
(micron-sized) particles. 

Aerosolized DU dust can easily spread over the battlefield, and can be 
re-suspended by winds especially where the climate is dry, spreading over 
civilian areas, sometimes even crossing international borders. Therefore, not 
only military personnel but also civilians, including children who are very 
sensitive to such a toxic substance, might inhale the fine DU particles and 
internalize them in their bodies. It was also recognized that DU weapons were 
actually used even in highly populated residential areas. The contamination 
continues even after the cessation of hostilities. DU particles will remain 
in the environment and will retain their radiation for decades and centuries 
if not longer. Taking these aspects of DU weapons into account, we consider 
that DU weapons are illegal under binding international humanitarian, human 
rights and environmental law and is one of the inhumane weapons 
of 'indiscriminate destruction'.

Uranium is a radioactive element naturally distributed in the environment. 
However, we repeat that the very fine particles of DU created at the 
extremely high temperatures that result from the impact of a DU shell on a 
tank are micron- and nano-sized and can travel in the body once inhaled. They 
have no analogue in history. In addition, the high temperatures at impact 
sublimate the metals in the tank around the penetrating holes and in the 
shell casing, adding tiny particles of these metals and their oxides to the 
aerosol which can be internalized if inhaled, like the uranium, and which are 
toxic to the body. We have been facing an entirely new type of contamination 
to humans and the environment through these weapons. 

It is true that we do not as yet understand the full impact of fine particles 
of DU oxide on the human body. However, there is considerable amount of basic 
scientific evidence from both animal and cellular studies (including studies 
of human lung cells) that suggest deleterious effects on human health from 
inhaled DU particles through both radiological action and chemical toxicity. 
These data clearly indicate that the internalized uranium (both soluble 
component and insoluble particles) has genotoxic effect (carcinogenic, 
mutagenic), for it affects directly and/or indirectly the DNA, which codes 
the genetic information of the cell. It has also been pointed out that the 
internalized uranium might affect the intracellular organelles and/or enzyme 
proteins and damage some of the repairing mechanisms of the cells. These 
harmful effects are possibly produced in the various tissues and organs of a 
body, including damaging effects on the immune and nervous systems. If 
genotoxic effects are produced in the germ line cells, it might lead to 
trans-generational effects. A teratogenic effect to the fetus was detected in 
the animal studies exposed to DU during the gestation period and a number of 
Gulf War veterans were found to have DU in their semen. We should also 
consider a possible synergistic effect of radio-toxicity and 
chemical-toxicity.

We think it critical to immediately launch a full-dress, long-lasting and 
independent environmental monitoring as well as health and medical research 
on possibly exposed populations, both military and civilian, in the areas 
where the DU weapons have been used. We should also pay serious attention to 
the contamination and possible harmful health effects through the 
manufacturing of DU weapons, for a recent study clearly indicates that the 
workers of the DU weapons producing factory as well as residents living 
nearby were contaminated by DU. However, we should also note that it may take 
many years, even decades, before we get statistically significant results on 
affected populations from epidemiological studies. 

In the Rio Declaration on Environment and Development, which was adapted at 
the 1992 UN Conference on Environment and Development (Earth Summit) in Rio 
de Janeiro, they stated: 'In order to protect the environment, the 
precautionary approach shall be widely applied by States according to their 
capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack 
of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing 
cost-effective measures to prevent environmental degradation; Principle 15.' 
This 'precautionary principle' has been confirmed repeatedly in the UN. It is 
also recognized widely in the international community as one of the most 
important principles concerning the international as well as the domestic 
policies for environmental and public health protection. It is also a 
valuable and logical principle for us, scientists, when we take 
responsibility for our society. The issue of DU weapons should be also 
discussed seriously based on the 'precautionary principle' among the UN 
member countries.

Considering the basic scientific evidence we already have, it is not right to 
continue using DU weapons making the excuse that 'no definitive conclusions 
had been reached' in the present limited risk assessments of the health and 
environmental impact of DU. We request all the UN member countries to discuss 
seriously what concrete measures are needed, including the immediate 
clearance of contaminated remnants, to protect the environment and the public 
health of contaminated populations following the use of DU weapons. We 
request the member nations of the UN to refrain from using DU weapons, unless 
they are proved to be completely safe. The burden of proof is on the users. 
Furthermore, we hope very much that the international community will go 
forward to ban DU weapons, one of the inhumane weapons of 'indiscriminate 
destruction'.


References:

Keith Baverstock,"Presentation to the Defence Committee of the Belgian House 
of Representatives, 20 November 2006", 

Rosalie Bertell, "Depleted Uranium: All the Questions about DU and Gulf War 
Syndrome are not yet Answered", International Journal of Health Services 36
(3), 503-520, 2006.

Wayne Briner and Jennifer Murray, "Effects of short-term and long-term 
depleted uranium exposure on open-field behavior and brain lipid oxidation in 
rats", Neurotoxicology and Teratology 27, 135-144, 2005.

Virginia Coryell and Diane Stearns, "Molecular analysis of s hprt mutations 
generated in Chinese hamster ovary EM9 cells by uranyl acetate, by hydrogen 
peroxide, and spontaneously", Molecular Carcinogenesis 45(1), 60-72, 2006.

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Proteins", Chem. Res. Toxicol. 20, 784-789, 2007.

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Multiple Exposure Environmental Health Standards to Protect Those Most at 
Risk", Institute for Energy and Environmental Research (IEER), October 19, 

Melissa A. McDiarmid et al, "Health Effects of Depleted Uranium on Exposed 
Gulf War Veterans", Environmental Research Section A 82, 168-180, 2002 (p. 
172 on DU in semen of Gulf War veterans).

J.L. Domingo, Reproductive and developmental toxicity of natural and depleted 
uranium: a review, Reproductive Toxicology 15, pp. 603-609, 2001.

Alexandra C. Miller (editor), Depleted Uranium: Properties, Uses, and Health 
Consequences, Boca Raton: CRC Press, Taylor and Francis Group, 2007. See 
Chapter 1 by David McClain and A.C. Miller and Chapter 4 by Wayne Briner 
(Neurotoxicology of depleted uranium in Adult and Developing Rodents), as 
well as other chapters.

A.C. Miller et al., "Observation of Radiation-Specific Damage in Human Cells 
Exposed to Depleted Uranium: Dicentric Frequency and Neoplastic 
Transformation as Endpoints", Radiation Protection Dosimetry 99, 275-278, 
2002.

Marjorie Monleau et al. "Genotoxic and Inflammatory Effects of Depleted 
Uranium Particles Inhaled by Rats", Toxicological Sciences 89(1), 287-295, 
2006.

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exposure and its detection after approximately 20 years: implications for 
human health assessment", Science of the Total Environment, 2007 October 30 
[E-pub ahead off print]

Adaikkappan Periyakarupan et al, "Uranium induces oxidative stress in lung 
epithelial cells", Arch. Toxicol. 8(16) 2007.

Diane M. Stearns et al., "Uranyl acetate induces hprt mutations and 
uranium-DNA adducts in Chinese hamster ovary EM9 cells", Mutagenesis 20(6), 
417-423, 2005.

Bin Wan et al. "In Vitro Immune Toxicity of Depleted Uranium: Effects on 
Murine Macrophages, CD+T Cells, and Gene Expression Profiles", Environmental 
Health Perspectives 114(1), 85-91, 2006.

Sandra S. Wise et al, "Particulate Depleted Uranium Is Cytotoxic and 
Clastogenic to Human Lung Cells", Chem. Res. Toxicol. 20(5), 815-820, 2007.

Chazel, V. et al, Characterisation anddissolution of depleted uranium aerosols 
produced during impacts of kinetic energy penetrators against a tank. Radiat. 
Prot. Dosim. 105, 163-166, 2003.

Cooper, J.R. et al. "The behaviour of uranium-233 oxide and uranyl-233 nitrate 
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Stradling, G.N. et al. "The metabolism of ceramic and nonceramic forms of 
uranium dioxide after deposition in the rat lung." Human Toxicol. 7, 133-139, 
1988.


(Originally drafted by Katsumi Furitsu M.D. Ph.D. and Gretel Munroe. Nov. 20. 2007)

To endorse this scientists' petition: 
Katsumi Furitsu
f-katsumi @ titan.ocn.ne.jp



Ma se l'uomo morde il cane non fa notizia? La torbida xenofobia dei media italiani

 


Cosa succederebbe in Italia se un pregiudicato romeno ubriaco investisse sulle strisce una signora italiana con due bambini e la riducesse in fin di vita? La risposta è facile, diverrebbe in un lampo prima notizia su tutti i media e molti sciacalli sarebbero pronti a organizzare fiaccolate, a chiedere mano dura, espulsioni e a fare passeggiate vestiti come Humphrey Bogart. Cosa succede se avviene il contrario? Questa settimana ne abbiamo avuto una ATROCE dimostrazione pratica. E i media italiani ne escono in maniera vergognosa.

di Gennaro Carotenuto


La storia, nella sua crudezza, è semplice. Il giorno 20 novembre in pieno giorno, nella città di Roma, la cittadina rumena Marinela Martiniuc, 28 anni, attraversava sulle strisce nei pressi di una scuola. Spingeva una carrozzina con suo figlio Elias di appena quattro mesi e teneva per mano sua nipote Adina di 12 anni.

Sono stati spazzati via da un'auto guidata da un cittadino italiano, in evidente stato di ebbrezza, e appena uscito di galera. Il neonato è stato sbalzato a 20 metri di distanza, la piccola Adina ha avuto multiple lesioni alle gambe. La signora Martiniuc è stata per 24 ore incosciente ed in pericolo di vita. Tutt'ora è ricoverata in condizioni critiche.

Nessun giornale o gr o tg ha ritenuto opportuno diffondere la notizia. Questa è stata diffusa oggi, cinque giorni dopo, solo in una lettera inviata da Anna Maffei, presidente dell'Unione cristiana evangelica battista italiana, pubblicata dal quotidiano Il Manifesto.

Maffei invita a una riflessione sul ruolo dei media nella costruzione del clima di insicurezza e di crescente intolleranza e xenofobia fra la gente comune. Ha ragione: i media mainstream oramai formano un compatto partito del pregiudizio e utilizzano il loro sterminato potere per diffonderlo ad arte. Per un'elementare regola giornalistica infatti, se i romeni e solo i rumeni (o i rom che per il giornalista medio è lo stesso) sono tutti stupratori, assassini, ladri, autisti ubriachi, l'ennesimo cane che morde l'uomo non deve far notizia. Ma se è l'uomo italiano (pregiudicato e ubriaco) a mordere la cagna rumena, questa non dovrebbe essere una notizia più del suo stereotipato opposto? Non dovrebbe causare scandalo e vergogna che un nostro connazionale abbia ridotto in fin di vita una donna straniera e due bambini?

Sarebbe un triste paradosso, ovviamente, se solo per questo i media facessero un buon servizio all'informazione. La Maffei centra perfettamente il punto. Oggi i media mainstream, manipolando e scegliendo le notizie in maniera intenzionale, rappresentano un generatore di insicurezza sociale, intolleranza e xenofobia. E i giornali italiani che strillano l'investimento (o lo stupro, o l'omicidio) di una cittadina italiana da parte di un cittadino straniero, ma nascondono il caso opposto e sminuiscono sistematicamente i crimini dei quali gli stranieri sono vittime, vanno definiti per quel che sono: razzisti.

Per turpi fini (politici o commerciali che siano) si stanno prestando a mettere in pericolo la convivenza civile in questo paese e stanno giocando con la nostra democrazia. E' tempo che chi ha a cuore la convivenza civile in questo paese chieda sistematicamente loro conto delle loro intenzioni e malintenzioni. Un altro giornalismo è possibile.






Dalla Rete Nazionale DISARMIAMOLI abbiamo ricevuto in questi giorni, e volentieri giriamo, quanto segue.
Per maggiori informazioni e per contatti:

Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org  info@...
3381028120  3384014989


--- 15 novembre ---

Afghanistan, l’esercito italiano attacca. Il governo Prodi acconsente.

Comunicato stampa della Rete nazionale disarmiamoli!
 
Nel silenzio complice di tutte le forze di governo, in queste settimane si sono susseguiti cruenti scontri armati che hanno visto partecipare direttamente, dal cielo e da terra, le truppe italiane presenti in Afghanistan.
Basta leggere la “voce del padrone”, cioè Il Sole24ore.
 
6.11.07 pag.7
Il giornalista Gianandrea Gaiani, in un articolo dal titolo “Le forze alleate perdono terreno”, rivela che “nella provincia occidentale di Farah, una delle quattro poste sotto il comando italiano di Herat...Le forze speciali e gli elicotteri da combattimento Mangusta verrebbero impiegati intensamente per contrastare i talebani, ma finora non sarebbe stata lanciata in battaglia la forza di intervento rapido italo – spagnola”
 
Quattro giorni dopo, il cosiddetto “intervento rapido” è stato lanciato.
 
Sempre Gianandrea Gaiani, il 10.11.07 a pag 10 del Sole24Ore nell’articolo dal titolo “Offensiva NATO in Afghanistan”, ci dice che “...le truppe afgane ed italiane hanno ripreso il controllo del distretto di Gulistan...uccidendo una ventina di talebani. Il contrattacco ( è stato) guidato dal comando NATO di Herat, retto dal generale Fausto Macor....I combattimenti a Gulistan sono durati diversi giorni coinvolgendo gli elicotteri da combattimento Mangusta e le forze speciali della Task force 45, ma secondo indiscrezioni sarebbero stati risolti con l’arrivo da Herat dei mezzi corazzati Dardo dei bersaglieri....indiscrezioni riferiscono di scontri di retroguardia tra le forze alleate e i talebani...”
 
Di fronte a queste notizie, sicuramente inserite nelle rassegne stampa di tutti i componenti il Parlamento, le recenti interrogazioni parlamentari di alcuni deputati della cosiddetta “sinistra radicale” sul ruolo dei militari italiani in Afghanistan, ci fanno fortemente sospettare un cinico gioco delle parti.
 
Il nostro paese è in guerra e la Legge Finanziaria 2008, in difficoltà solo per i giochi di potere di Dini e Mastella, rafforza lo stato di belligeranza dell’Italia in tutti i fronti sui quali i militi di ventura tricolori sono stati dispiegati.
 
L’uso massiccio delle “armi di distrazione di massa” è direttamente proporzionale alla gravità delle scelte fatte.
 
Quale spazio si meritano coloro i quali votano queste scelte? Certo non nelle piazze del movimento contro la guerra.
 
La rete nazionale Disarmiamoli!



--- 17 novembre ---

TRUPPE ITALIANE SOTTO ATTACCO: 
DALL’AFGHANISTAN  NOTIZIE  DIMEZZATE

 

Cinque razzi caduti sull'aeroporto di Herat, in Afghanistan, controllato dai militari italiani dell'Isaf. I Taliban rivendicano, aggiungendo che l'obiettivo erano i militari della Forza d’assistenza alla sicurezza (Isaf) della Nato, che nella provincia di Herat è sotto comando italiano. Il giorno prima le forze italiane erano sfuggite ad un attentato, nella provincia occidentale di Farah.
Questi i fatti descritti da stampa e tv in questi giorni.
I nostri “bravi ragazzi” sotto il fuoco dei talebani mentre, come sappiamo, sono in quel paese in missione di pace, a “ridurre il danno” portato da altre forze della coalizione, meno inclini alla soldatesca solidarietà italiana.

 

Nessuna parola sulle recentissime operazioni militari che, nella zona di Farah, hanno visto scendere in campo le truppe speciali italiane, gli elicotteri Mangusta ed i blindati Dardo, inviati a rafforzare l’esercito con il voto bipartisan di senatori e deputati. Nelle operazioni militari decine di afgani sono stati uccisi, per i dispacci d’agenzia rigorosamente talebani.

 

Nessun collegamento tra questi attacchi e l’elezione a Presidente del Comitato militare della NATO - massimo organo militare collegiale dell'Alleanza - dell'ammiraglio Giampaolo Di Paola, capo di Stato maggiore della Difesa italiana.
Il Comitato militare della NATO è l'interlocutore del Consiglio Atlantico, l'organo politico della Nato. Il suo compito è elaborare strategie militari e durante le crisi esprimersi sull'uso della forza, come nel caso dell’attuale guerra in Afghanistan.

 

La gestione oculata delle notizie dai fronti di guerra è parte integrante della guerra stessa. Gli avvenimenti descritti ne sono un esempio eclatante.

 

Dopo anni nei quali i “nostri” contingenti sono riusciti a mimetizzarsi nelle caserme di Herat e Kabul, l’offensiva della resistenza afgana costringe anche gli italiani ad uscire e combattere, con immaginabili conseguenze per il prossimo futuro, nel quale le campagne stampa deformanti potrebbero rivelarsi insufficienti a legittimare l’attività armata e i possibili nuovi lutti.
Ciò dipenderà anche dalla capacità del movimento contro la guerra nel produrre corretta informazione sui tragici e quotidiani combattimenti in Afghanistan.

 

Rilanciare sin da subito la mobilitazione contro la presenza delle truppe italiane all’estero deve essere uno degli obiettivi centrali del movimento, gettando così le basi per una nuova, grande mobilitazione contro il rifinanziamento delle missioni nel febbraio 2008, contro un governo che fa dell’interventismo estero l’elemento strategico per il rilancio della cosiddetta “azienda Italia”.

 

La Rete nazionale Disarmiamoli!


--- 23 novembre ---

Per coloro che ancora non lo avessero capito
L'ITALIA E' IN GUERRA
 
Un kamikaze si è fatto saltare in aria accanto a un ponte in costruzione a Kabul, uccidendo nove civili, tra i quali sei bambini e un militare italiano, il maresciallo capo Daniele Paladini. Ferite anche dodici persone, compresi tre militari italiani. I bimbi morti stavano uscendo da una scuola situata nei pressi, allorché sono stati investiti dall'esplosione. L'attentato è avvenuto nella Valle di Pagman, una località ad una ventina di chilometri a nord-ovest da Kabul, mentre era in corso l'inaugurazione di un ponte da parte dei militari del contingente italiano.
Recentissimi dati dicono che il territorio dell’Afghanistan, a sei anni dall’inizio dell’occupazione, è oggi in mano per il 54% alle varie realtà che lottano contro gli occupanti, talebane ma non solo.
In questo contesto le truppe italiane di stanza ad Herat ed a Kabul sono costrette sempre di più ad esporsi nel conflitto.
All’inizio di novembre nell’area di Farah e a Gulistan, forze speciali italiane, elicotteri da combattimento Mangusta mezzi corazzati Dardo dei bersaglieri sono stati impiegati intensamente contro gli insorti. Decine le vittime afgane in questi combattimenti.
DI QUESTO LA STAMPA E LA TV ITALIANE NON HANNO PARLATO.
Sono seguiti due tentativi di attacco diretto contro gli italiani, il primo con una bomba stradale, il secondo con lancio di razzi nell’aeroporto controllato dalle “nostre” truppe.
Omettendo le notizie della precedente offensiva italiana gli attacchi successivi appaiono come “a freddo”, verso truppe impegnate nella “costruzione della pace”.
Il governo Prodi persegue una strategia di guerra, mascherata da una retorica che ogni giorno suona come esercizio di nauseante ipocrisia, per i cittadini ed ora anche per i militari.
La guerra è guerra, e l’ulteriore aumento dell’11% di spesa per il comparto militare nella Legge Finanziaria 2008 chiarisce ancora di più le intenzioni di questo esecutivo per il futuro.
ULTIMA DOVEROSA NOTA:
L’attentato costato la vita al maresciallo capo Daniele Paladini è il terzo contro gli italiani in pochissimi giorni, e segue un massacro simile costato la vita ad oltre 40 bambini, avvenuto pochi giorni fa durante l’inaugurazione di uno zuccherificio, alla presenza delle autorità del governo fantoccio Karzai e delle truppe NATO.
Perché in questa situazione di guerra aperta le truppe italiane/NATO promuovono iniziative propagandistiche ad esclusivo uso e consumo della stampa occidentale, mettendo così a rischio la vita dei civili afgani, soprattutto bambini?
VIA SUBITO LE TRUPPE ITALIANE DALLA GUERRA AFGANA.
LE UNICHE SPESE DA SOSTENERE SONO QUELLE
PER IL CARBURANTE NECESSARIO AL RITORNO DELL’ESERCITO.
 
La Rete nazionale Disarmiamoli!

 



Kosovo: Die Lunte brennt

1) Juergen Elsaesser: Die Lunte brennt (16.11.2007)
2) GFP: Angelpunkt (20.11.2007)
3) GFP: Mit kreativen Tricks (05.11.2007)
4) IMI: Deutschland erwägt einseitige Anerkennung des Kosovo, NATO probt Balkan-Kriegseinsatz (25.10.2007)
5) GFP: Dayton II (09.10.2007)
6) Benjamin Schett: Die Zukunft des Kosovo (22.06.2007)



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www.jungewelt.de
Junge Welt, 16.11.2007

Die Lunte brennt

Vor dem Ende der Kosovo-Verhandlungen am 10. Dezember wachsen die Spannungen - auch im benachbarten Mazedonien

Von Jürgen Elsässer

Der Angriff der Albaner hat bereits begonnen. Am 7. November kam es zu einem stundenlangen Feuergefecht zwischen mazedonischen Sicherheitskräften und einer Rotte der skipetarischen Untergrundbewegung UCK in der Nähe der Stadt Tetovo. Dabei wurden acht UCK-Führer getötet, ein Hubschrauber der Polizei stürzte aus ungeklärten Gründen ab. Einige der UCK-Leute waren zuvor aus einem Gefängnis im Kosovo ausgebrochen, wo sie Haftstrafen wegen früherer Straftaten verbüßten. Nach der Schießerei riegelten Hunderte NATO-Soldaten die Grenze ab, die in der Nähe Mazedonien von der serbischen Provinz trennt.

In derselben Gegend rund um Tetovo begann die UCK im Frühjahr 2001 einen Krieg gegen den mazedonischen Staat, der bis zum September desselben Jahres dauerte und mit der von der EU erzwungenen Beteiligung der UCK-Führer an der Regierung in Skopje endete. Daß die Kämpfe jetzt nach sechs Jahren Pause wieder aufflackern, hat mit der angespannten Situation im Kosovo zu tun. Die dortige Provinzregierung hat angekündigt, nach dem absehbaren Scheitern der internationalen Verhandlungen - ihr Ende ist auf den 10. Dezember festgelegt - einseitig und ohne UN-Unterstützung einen eigenen Staat auszurufen. Ihr Argument: Die Bevölkerung - zwei Millionen Menschen, zu 9o Prozent Albaner - stehe hinter diesem Schritt. Doch mit diesem Argument könnte auch Westmazedonien die Eigenstaatlichkeit beanspruchen, denn dort ist die ethnische Situation ähnlich, und unter Berufung auf die »Selbstbestimmung« könnten sich schließlich beide Mini-Republiken mit dem Mutterland am Ende zu einem Großalbanien vereinigen.

Vielleicht läßt sich die jüngste Geschichte des Kosovo ganz gut mit dem Werdegang eines wichtigen UCK-Kommandeurs illustrieren. Dieser Xhezair Shaqiri, bekannter unter seinem Kriegsnamen Kommandeur Hoxha, kämpfte 1999 in der 171. UCK-Brigade zunächst gegen die Serben. Nachdem dieser Krieg mit Hilfe der NATO gewonnen war, wechselte Xhezair über die Grenze und nahm im Frühjahr 2001 in der 112. Brigade am UCK-Aufstand in Mazedonien teil. Dort war er Kommandant einer Einheit aus teilweise ausländischen Gotteskriegern im Raum Tetovo. Als diese Formation im Juni 2001 von der mazedonischen Armee bei Aracinovo eingekesselt war, wurde sie von der US-Armee ausgeflogen. Neben Xhezair und seinen Mudschahedin befanden sich auch 17 US-Militärberater des Pentagon unter den Geretteten.


UCK, CIA und BND

Im März 2004 war Xhezair zurück im Kosovo und führte ein antiserbischen Pogrom an. Drei Tage lang brandschatzte ein Mob von 50000 Aufrührern die Wohnstätten und religiösen Heiligtümer der serbischen Minderheit. Xhezair hatte nach eigenen Angaben die Leitung im Gebiet um Prizren und Urosevac inne. NATO-Dokumente bezeichnen ihn als Koordinator eines geheimen Netzes, das Angehörige der formell aufgelösten UCK geknüpft haben, die heute im Kosovo-Schutzkorps und in der Kosovo-Polizei ihren Dienst verrichten - in Formationen also, die von der UN-Verwaltung UNMIK und dem NATO-Besatzungskorps KFOR legalisiert worden sind. Daneben verdächtigt die NATO den Mann guter Kontakte zu Al Qaida und zur Hisbollah. Das hingegen dürfte eher eine Schutzbehauptung sein: Gegenüber dem heute-journal des ZDF brüstete sich der UCK-Kommandant nämlich im November 2004 damit, »auf der Gehaltsliste des BND, der CIA und eines österreichischen Geheimdienstes« zu stehen. Der BND gab den Sachverhalt zu, betonte jedoch, man habe Xhezair einige Wochen vor den Pogromen als Informanten »abgeschaltet«.

Dieser Xhezair hat sich nun zurückgemeldet. Am 28. August kündigte er an, er wolle in dem mazedonischen Dorf Tanusevci ein Referendum über den Anschluß an das Kosovo durchführen. Nach Medienberichten wagen sich Vertreter der Staatsmacht nicht mehr in diese Region, die Behörden bestreiten dies. Im gleichen Zeitraum begannen vermummte Kämpfer mit Überfällen in der Nähe der Grenze zum Kosovo, am 24. Oktober wurden dabei ein Polizist getötet und zwei verwundet. Am 10. November warnte Xhezair, die UCK habe mit den mazedonischen Sicherheitskräften noch »Rechnungen zu begleichen«. Und weiter: »Wir werden auf die Polizei warten, wo immer sie hinkommt«.

Terroristen wie Xhezair haben nach dem Abzug der jugoslawischen und serbischen Sicherheitskräfte am 10. Juni 1999 das Kosovo in eine Todeszone für alle Nicht-Albaner verwandelt. Die zunächst über 50000 Soldaten der NATO-geführten Schutztruppe KFOR waren nicht in der Lage, in der Region von der Größe Hessens für den Schutz von Menschenleben, geschweige denn für die Einhaltung der Menschenrechte zu sorgen - obwohl ihre Stationierung zu diesem Zweck vom UN-Sicherheitsrat mit der Resolution 1244 mandatiert worden war. Ende August 1999 erschien in Koha Ditore, einer der größten albanischen Tageszeitungen des Kosovo, ein Leitartikel ihres Herausgebers Veton Surroi. Er war Mitglied der kosovo-albanischen Delegation in Rambouillet gewesen und hatte dort die Führungsrolle des UCK-Chefs Hashim Thaci akzeptiert, ist also nicht gerade ein Gegner der Untergrundkämpfer. Unter der Überschrift »Kosovo-Faschismus - die Schande der Albaner« rechnete er mit den neuen Herren des Kosovo ab: »Die heutige Gewalt - mehr als zwei Monate nach der Ankunft der NATO-Truppen - ist mehr als nur eine emotionale Reaktion. Es ist die organisierte und systematische Einschüchterung aller Serben, weil sie Serben sind und deswegen kollektiv für das verantwortlich gemacht werden, was im Kosovo geschah. Diese Verhaltensweisen sind faschistisch.«


Terror lohnt sich

Im November 2003 bilanzierte der damalige serbische Ministerpräsident Zoran Zivkovic, ein durchaus NATO-freundlicher Politiker, beim Staatsbesuch in Berlin: »In den letzten vier Jahren sind trotz des Protektorats 2500 Serben und andere Nicht-Albaner ums Leben gekommen.«

Heute ist das Kosovo weitgehend ethnisch rein. Die Zahl der verjagten Serben und Roma gab das UN-Hochkommissariat für Flüchtlinge im Frühjahr 2004 mit 230000 an, die Regierung in Belgrad ging von mindestens 350000 aus. Nur noch zwischen 70000 und 120000 Angehörige von Minderheiten harren in der Provinz aus. Die Serben und Roma leben vor allem im Nordteil von Mitrovica sowie in von der NATO geschützten Ghettos und Enklaven.

Trotz dieser Gewalt förderte die westliche Politik in der Folge die Abspaltung der Provinz vom Gesamtstaat, das heißt, sie belohnte die Gewalttäter. Seit 2005 jagte ein tendenziöser Expertenbericht den nächsten. Den Anfang machte im Januar eine Studie der International Crisis Group (ICG), wonach es zu einer Eigenstaatlichkeit des Kosovos »keine akzeptable Alternative« gebe. Die ICG wird unter anderem vom US-amereikanischen Multimilliardär George Soros finanziert.

Ende April 2005 legte eine von der EU eingesetzte Balkan-Kommission ihren Kosovo-Bericht vor. Darin empfahlen eine Reihe ehemaliger europäischer Spitzenpolitiker wie der frühere italienische Premier Guiliano Amato, Exbundespräsident Richard von Weizsäcker, der Schwede Carl Bildt und der Exaußenminister Serbien-Montenegros, Goran Svilanovic, einen Fahrplan zur staatlichen Unabhängigkeit der Provinz. Demnach soll das Kosovo in etwa zehn Jahren EU-Mitglied werden, ohne vorher die volle Unabhängigkeit erlangt zu haben. In einer ersten Phase gehe die UN-Verwaltungshoheit der Provinz auf die Europäische Union über (eingeschränkte Unabhängigkeit). In einer zweiten Phase gebe die EU-Administration immer mehr Kompetenzen an die lokalen Behörden ab. In einer dritten Phase begännen Beitrittsverhandlungen zwischen dem Kosovo und der EU (gelenkte Souveränität), an deren Abschluß schließlich die volle EU-Mitgliedschaft stehe. Der Belgrader Widerstand soll ausgehebelt werden, indem auch Serbien selbst (wie allen anderen Staaten des Westbalkan) die Mitgliedschaft in der EU angeboten wird.

Auf diese Vorgaben stützte sich der Finne Martti Ahtisaari, unter dessen Ägide im Februar 2006 in Wien die sogenannten Endstatusgespräche für das Kosovo begannen. Der Diplomat war dafür vom UN-Sicherheitsrat beauftragt worden - ungeachtet der Tatsache, daß er als Mitglied der erwähnten International Crisis Group seine mangelnde Unparteilichkeit bereits unter Beweis gestellt hatte. Den Kurs der aggressivsten westlichen Kräfte für diese Verhandlungsrunde hatte die FAZ vorgegeben: »Unabhängigkeit notfalls gegen Serbien und Rußland. Das Völkerrecht steht auf dem Amselfeld im Konflikt mit der Wirklichkeit« - so der Aufmacher einer Sonderdoppelseite Mitte Dezember 2005. Wie sicher sich die Albaner der westlichen Unterstützung waren, zeigt ihre Personalpolitik: Ihr Delegationsleiter in Wien wurde Hashim Thaci - der frühere politische Chef der UCK. Ebenfalls im Frühjahr 2006 wurde Agim Ceku Ministerpräsident des Kosovo - er war im Krieg 1999 der UCK-Oberkommandierende gewesen.


Die Wiener Verhandlungen

Tatsächlich schien es zunächst so, als ob die Serben bei den Wiener Verhandlungen keine Chance hätten, weil sie im internationalen Macht-Ranking beständig nach unten rutschten: Ende April 2006 verfügte die Europäische Union ein Einfrieren der Assoziierungsgespräche mit Serbien unter dem Vorwand, daß der vom Haager Tribunal gesuchte bosnisch-serbische General Ratko Mladic nicht ausgeliefert wurde - was den internationalen Rückhalt der Regierung des demokratisch-konservativen Premiers Vojislav Kostunica weiter verminderte. Am 21. Mai beschloß Montenegro per Referendum den Austritt aus dem Staatenbund mit Serbien - zahlreiche Hinweise auf drastische Manipulationen blieben unberücksichtigt. Anfang September fuhren die Separatistenparteien bei der ersten Wahl im unabhängigen Montenegro einen überzeugenden Sieg ein - die proserbischen Parteien stürzten ab. Anfang Oktober verlor beim Urnengang in Bosnien-Herzegowina die Partei der serbischen Hardliner, die Serbische Demokratische Partei (SDS), ihre Spitzenstellung, und die für den Westen berechenbaren Sozialdemokraten übernahmen die Regierung.

Mit den Serben, so mochte es dem Westen scheinen, konnte man alles machen. Überheblich verkündete der UN-Chefunterhändler Ahtisaari im September 2006, daß er seinen Job als UN-Chefunterhändler für das Kosovo zum Jahresende aufgeben werde: Eine einvernehmliche Lösung sei nicht zu finden, da Belgrad - im Unterschied zu Pristina - jedes Entgegenkommen verweigere. Die Sezession schien beschlossene Sache.

Doch am 19. Oktober 2006 kam die Wende: Der Sicherheitsrat verlängerte das Mandat von Ahtisaari plötzlich um ein halbes Jahr, bis Ende Juni 2007. Was war geschehen? Zum einen hatte Kostunica die Zugehörigkeit des Kosovo zu Serbien Ende Oktober 2006 durch eine Volksabstimmung bestätigen lassen. Formal war es darin um eine neue Verfassung gegangen, die für Serbien nach der Trennung Montenegros notwendig war, aber der Kosovo-Passus in der Präambel hatte den Diskurs im Land dominiert. Die lebhafte Debatte und das klare Ergebnis errichteten für den Westen, der sich gerne auf Demokratie und Selbstbestimmung beruft, ein unübersehbares Stopsignal. Hätte er dieses überfahren, hätte er damit rechnen müssen, daß die Regierung in Belgrad gestürzt und die ­NATO-feindliche Radikale Partei (SRS) die Macht übernehmen würde. So blieb bei den Wahlen im Januar 2007 alles beim alten.

Noch wichtiger war, daß Rußland die slawischen Brüder dieses Mal ausnahmsweise nicht im Stich gelassen hat. Präsident Wladimir Putin machte mehrfach und unmißverständlich klar, daß es einer Unabhängigkeit des Kosovo in der UNO nicht zustimmen werde.


NATO-Staat Kosovo

Als Athisaari am 21. Februar 2007 seinen Plan präsentierte, versteifte sich der Widerstand Belgrads und Moskaus noch. Die »konditionierte Unabhängigkeit« nach Lesart des Finnen hätte die Abtrennung von 15 Prozent des serbischen Staatsgebietes bedeutet. Serbische Politiker warnten insbesondere vor dem Annex 11 des Dokuments, wonach die Rolle künftiger ziviler Beobachter in dem neuen Staat »begrenzt sein würde, so daß Kosovo unter der Autorität der NATO stünde« (Aleksandar Simic, einer der Sicherheitsberater der serbischen Regierung). Der serbische Erziehungsminister Zoran Loncar argumentierte ähnlich: »Die Frage der albanischen Minderheit diente der NATO nur als Rauchvorhang, um ihren ersten militärischen Marionettenstaat zu schaffen ... Die NATO hat Serbien zuerst bombardiert, dann ihre Truppen in die Provinz Kosovo gebracht und will jetzt, durch den gescheiterten Ahtisaari-Plan, ihren ersten Militärstsaat auf serbischem Territorium errichten.« Simics Schlußfolgerung: »Die Durchsetzung des Ahtisaari-Plans würde Bondsteel praktisch zur Hauptstadt eines unabhängigen Kosovo machen.« Mit Bondsteel ist der derzeit größte US-Stützpunkt in Südost- und Osteuropa gemeint, wo ständig bis zu 5000 GIs stationiert sind.

Ahtisaaris Vorstoß scheiterte schließlich. Die großmäulige Ankündigung der Kosovoalbaner, noch vor dem G-8-Gipfel Anfang Juni 2007 ihren Staat auszurufen, wurde nicht realisiert. Dazu trugen, neben dem unüberwindbaren Widerstand Rußlands im Sicherheitsrat, auch Widersprüche innerhalb der EU bei. Außer dem traditionell proserbischen Griechenland hatten auch die Regierungen in Bratislava, Bukarest und vor allem in Madrid aus ihrer Abneigung gegenüber der Gründung eines neuen Albanerstaates keinen Hehl gemacht, da sie einen Präzedenzfall für ihre eigenen Minderheiten fürchten. Zwar sind nach der Auflösung der Sowjetunion (1991) bzw. des sozialistischen Jugoslawien (1992) eine ganze Reihe neuer Staaten entstanden - aber dabei handelte es sich ausschließlich um frühere Teilrepubliken. Das Kosovo dagegen hatte nie diesen Status, sondern war immer nur eine untergeordnete Verwaltungseinheit Serbiens gewesen. Würde aus der Provinz Kosovo ein selbständiger Staat, so könnten auch Regionen wie Transnistrien (in Moldawien), Abchasien (in Georgien), Tsche­tschenien (in Rußland), aber auch das Baskenland (in Spanien) sowie die ungarischen Regionen in der Südslowakei und in Westrumänien dasselbe verlangen.

Am 20. Juli übertrug der UN-Sicherheitsrat das Verhandlungsmandat von Ahtisaari auf eine Troika. Seither bemühen sich der EU-Beauftragte Wolfgang Ischinger zusammen mit dem russischen Emissär Alexander Botsan-Chartschenko und dem US-Vertreter Frank Wisner um einen Kompromiß, mit dem beide Seiten leben können. Am 18. September faßte der britische Independent den Verhandlungsstand schon mit den Worten zusammen »Die Unabhängigkeit ist vom Tisch«. Tatsächlich enthält ein 14-Punkte-Plan der Troika für die heiße Phase der Gespräche das U-Wort gar nicht mehr und bewegt sich damit näher an den Belgrader Vorstellungen einer »konditionierten Autonomie« als an den Staatsgründungsphantasien in Pristina.

Alle gutgemeinten Ideen scheitern aber an der beinharten Haltung der Kosovo-Albaner, die sich durch die Unterstützung aus Washington bestärkt fühlen können. Bereits beim Staatsbesuch in Tirana Ende Mai 2007 hatte Präsident George W. Bush angekündigt, den neuen Staat mit der diplomatischen Anerkennung zu belohnen, auch wenn er völkerrechtswidrig - das heißt ohne UN-Beschluß - ausgerufen würde. Das Kalkül der US-Hardliner hat die FAZ im September 2007 ganz gut erkannt: »Jedenfalls ist die Zukunft des Kosovo ein Keil, der (einen Teil der) Europäer und Amerikaner auseinandertreibt, denn Washington steht im Verdacht, die Kosovo-Albaner in deren Unabhängigkeitsfuror noch anzufeuern. Und dieser Keil fährt zwischen die Europäer mit einer Wucht, die es, was die Außenpolitik betrifft, seit dem inneren Zerwürfnis wegen der amerikanischen Irak-Politik nicht mehr gegeben hat.« Um so verrückter, daß das Blatt der Bundesregierung empfiehlt, die Spaltungsstrategie der USA zu unterstützen und auch ohne Konsens in der EU den neuen Albanerstaat anzuerkennen. »Wenn nicht alle daran teilnehmen müssen, muß es eine Gruppe interessierter tun, eine >Koalition der Willigen<. (...) Frankreich, Großbritannien, Deutschland und Italien müssen, wenn es nicht anders geht, die Sache in die Hand nehmen.«


Eine Kettenreaktion

Folgt die Bundesregierung diesen Ratschlägen, so droht eine Kettenreaktion, zunächst auf dem Balkan.

-In Bosnien-Herzegowina hat die Führung der Republika Srpska angedroht, dem Beispiel der Kosovoalber zu folgen und ihre »Entität« aus dem Gesamtstaat zu lösen. Um dies zu verhindern, hat der internationale Hochkommissar am 19. Oktober die Vetorechte aufgehoben, die den Serben bisher in der Regierung zustanden. Im Gegenzug ist der serbische Ministerpräsident zurückgetreten, die serbischen Abgeordneten wollen künftig das Parlament blockieren. De facto ist damit das Land schon gespalten. Dagegen könnte die Besatzungsmacht EUFOR vorgehen - wenn ihr Mandat am 21. November durch den Sicherheitsrat verlängert wird. Rußland hat bereits mit dem Veto gedroht.
-Falls Belgrad, wie angekündigt, gegen ein unabhängiges Kosovo Sanktionen verhängt und die Grenzen sperrt, könnten die Kosovo-Albaner ihre Glaubensbrüder im Sandschak im Südwesten Serbiens mobilisieren. Nach der jüngsten Expertise der serbischen Staatssicherheit BIA hat sich dort ein terroristischer Fokus gebildet. Im Gegensatz zur gemäßigten moslemischen Mehrheit um Mufti Adem Zilkic ist es Saudi-finanzierten Wahabiten um Mufti Muamer Zukorlic gelungen, Anhänger um sich zu scharen. Unterstützt werden sie dabei vom US-Botschafter Cameron Munter.
-Im Kosovo selbst wird es im Falle der Unabhängigkeit zu Protestreaktionen der Serben in und um ihre Hochburg Nord-Mitrovica kommen, möglicherweise unter Beteiligung bewaffneter Freischärler. Vergeltungsaktionen könnten auf Südserbien (Presevo-Tal) und Mazedonien übergreifen, wo sich die Truppen von Kommandeur Hoxha bereithalten.

Die Bundeswehr befindet sich mitten in diesem Hexenkessel. Wäre es nicht das einfachste, die 3000 deutschen KFOR-Soldaten würden sich völkerrechtskonform verhalten - also gemäß der UN-Resolution 1244, auf deren Grundlage ihre Stationierung erfolgte? Dann müßte sie alle Personen verhaften, die die »Souveränität und territorialen Unversehrtheit der Bundesrepublik Jugoslawien« (beziehungsweise ihres Rechtsnachfolgers Serbien) verletzen. Wenn das rechtzeitig vor dem 10. Dezember geschieht, könnte man sich manchen Ärger hinterher ersparen.


=== 2 ===


Angelpunkt 

20.11.2007


BERLIN/PRISTINA (Eigener Bericht) - Vor der vorletzten Verhandlungsrunde über die Zukunft des Kosovo erklärt der künftige kosovarische Ministerpräsident Hashim Thaci die Gespräche in der deutschen Presse zur Farce und bestätigt die Sezession unmittelbar nach Verhandlungsende am 10. Dezember. Die Abspaltung wird Thaci zufolge in Abstimmung mit der EU und den USA erfolgen und ist trotz der Widerstände mehrerer EU-Mitglieder sowie Moskaus nicht mehr zu verhindern. Die bevorstehende Eigenstaatlichkeit des Kosovo, das binnen weniger Monate in den Internationalen Währungsfonds (IWF) und in die Weltbank aufgenommen werden soll, schürt neue Gewalt bewaffneter Separatisten in Mazedonien; sie streben den Anschluss ihrer Wohngebiete an das Kosovo an. In Bosnien-Herzegowina dagegen, wo die serbischen Bevölkerungsteile ein Sezessionsreferendum nach kosovarischem Vorbild für sich in Anspruch nehmen, bestehen Berlin, Brüssel und Washington auf der Bewahrung der staatlichen Integrität. Dies gilt als notwendig, um serbische Positionen nicht zu stärken. Auch hier drohen die Spannungen zu eskalieren. Mit der Sezession krönt die kosovarische Regierung jahrelange Vorbereitungsarbeiten Berlins. Umgekehrt dient Pristina - wie bereits in den 1940er Jahren - als Angelpunkt für die Schwächung Serbiens und die "Neuordnung" Südosteuropas.

Verhandlungs-Farce

Wie der künftige Ministerpräsident des Kosovo, Hashim Thaci, erklärt, dessen Partei bei den Wahlen am vergangenen Samstag stärkste Kraft in Pristina wurde, wird es bei den internationalen Gesprächen über die Zukunft des Kosovo keine Lösung mehr geben. Die Verhandlungen der sogenannten Troika (mit Politikern aus Deutschland, der USA und Russland) gehen am heutigen Dienstag in die vorletzte Runde. Thaci zufolge werden die Kosovo-Albaner "die Agenda der Troika" bis zum 10. Dezember "respektieren". "Danach wird das Kosovo aber seine eigene Agenda haben."[1] Thaci kündigt die Sezession in Abstimmung mit Washington und Brüssel an. Seinem Urteil zufolge werden auch Griechenland und Zypern schließlich einwilligen, um nicht ein "isolierter Teil der EU" zu werden. Die beiden Staaten weigern sich noch, die gegen internationales Recht verstoßende Abspaltung des Kosovo anzuerkennen. Auch Russland unterstützt weiter den Verbleib der Provinz im serbischen Staatsverbund. Der Vorsitzende des Auswärtigen Ausschusses der Duma, Konstantin Kosocev, sprach sich in der vergangenen Woche für zeitlich unbegrenzte Verhandlungen aus und erklärte, Moskau werde niemals eine einseitige Unabhängigkeit des Kosovo anerkennen.[2]

Willkür

Angesichts der bevorstehenden Sezession des Kosovo wachsen Separatismus und Kriegsgefahr auch in anderen Teilen des ehemaligen Jugoslawien. So nehmen in Bosnien-Herzegowina Bestrebungen zu, die Republik Srpska mit ihrer serbischen Bevölkerung von der bosnisch-kroatischen Föderation abzuspalten. Ursache der Krise ist die geplante Reform der Bundesorgane, welche die antiserbische Politik Berlins und der EU fortführt. Der mit Vollmachten der UNO ausgestattete Gouverneur Miroslav Lajcak will die Pflicht zur Einstimmigkeit im Ministerrat abschaffen und stattdessen das Mehrheitsprinzip einführen. Damit erhielten die bosnischen und kroatischen Vertreter die Möglichkeit, ihre serbischen Kollegen gegen deren Willen zu überstimmen. Angesichts seiner damit verbundenen Entmachtung drohte der Regierungschef der Republik Srpska, Milorad Dodik, mit dem Rückzug aller Serben aus den bosnischen Bundesorganen und warnte vor einer "Eliminierung der Republik Srpska". Für den Fall, dass die Abstimmungsregeln tatsächlich geändert werden, kündigte er ein Referendum über die Sezession der Republik Srpska aus dem bosnischen Staat an.[3] Sein Vorhaben ist dem Inhalt nach praktisch identisch mit den kosovarischen Abspaltungsplänen, wird aber von Berlin bekämpft, da es der Stärkung serbischer Positionen dient.

Gewalt

Neue, durch die Abspaltung des Kosovo motivierte separatistische Gewalt droht auch in Mazedonien. Dort kam es am 7. November in der Nähe von Tetovo erstmals seit 2001 zu einem stundenlangen Feuergefecht zwischen mazedonischen Sicherheitskräften und UCK-Einheiten. Dabei wurden acht UCK-Freischärler getötet, ein Hubschrauber der Polizei stürzte ab. Einige Freischärler waren zuvor aus einem Gefängnis im Kosovo ausgebrochen.[4] Nach der Schießerei riegelten hunderte NATO-Soldaten die nahe gelegene Grenze zwischen Mazedonien und dem Kosovo ab. In West-Mazedonien stellt die albanische Bevölkerungsgruppe ähnlich wie im Kosovo die Mehrheit, starke Kräfte streben die Sezession des Gebiets und seinen Anschluss an das Kosovo an. Ziel ist letztlich die Bildung eines großalbanischen Staates unter Einschluss aller albanischen Siedlungsgebiete.

Vorgänger

Damit knüpfen die albanischen Separatisten an die Politik an, die ihre Vorgänger gemeinsam mit dem nationalsozialistischen Deutschland verfolgten. Nach dem deutschen Angriffskrieg auf Jugoslawien im April 1941 wurde das Kosovo zwischen den Bündnispartnern der Hitler-Regierung aufgeteilt. Die Deutschen sicherten sich den Nordzipfel der Provinz mit dem für ihre Rüstungsindustrie kriegswichtigen Zink- und Bleiwerk Trepca bei Kosovska Mitrovica. Bulgarien annektierte die östlichen Distrikte. Das größte Gebiet kam unter italienische Kontrolle und wurde am 12. August 1941 mit dem von Rom beherrschten Königreich Albanien und mit Teilen des heutigen Mazedonien zu "Großalbanien" vereint - zum ersten Mal in der Geschichte und als Ergebnis der deutschen Aggression gegen Belgrad.

Deutschfreundlich

Probleme ergaben sich nach der italienischen Kapitulation im September 1943. Damals besetzten deutsche Truppen das Gebiet. Berlin wünschte sich ein unter deutscher Vorherrschaft stehendes, ethnisch homogenes "Großalbanien", scheiterte jedoch zunächst mit dem Versuch, eine deutschfreundliche Marionettenregierung in Tirana zu installieren. Von diesem Zeitpunkt an nutzte das Deutsche Reich das Kosovo als eigentlichen Angelpunkt seiner Albanienpolitik. Im Herbst 1943 rekrutierte die Wehrmacht ein aus rund 2.000 deutschfreundlichen Kosovo-Albanern bestehendes Bataillon, das als Eliteeinheit nach Tirana geschickt wurde; es half bei der Installierung eines albanischen Kollaborationsregimes und wurde vor allem zur Partisanenbekämpfung eingesetzt.

Vernichtungspolitik

Vom Kosovo aus beteiligten sich Albaner auch an der deutschen Vernichtungspolitik. Im Februar 1944 gab Hitler den Befehl, die SS-Division "Skanderbeg" aufzubauen. Ihre 6.500 Mann wurden aus den albanischen Einheiten der 13. SS-Bosniaken-Gebirgsdivision sowie aus albanischen Milizen zusammengestellt.[5] Ihr Standort war Prizren - dort ist heute die Bundeswehr stationiert -, sie operierte hauptsächlich im Kosovo und hatte den erklärten Auftrag, das "ethnisch-reinrassige Albanien" zu "schützen". Die SS-Division "Skanderbeg" zog plündernd, vergewaltigend und mordend durch die Wohngebiete der Serben, Juden und Roma im Kosovo und kämpfte gegen jugoslawische Partisanen, während die deutschen Besatzer Juden und Roma in die Konzentrations- und Vernichtungslager deportierten.

Kollaborateure

Wegen der intensiven Kollaboration der kosovo-albanischen Bevölkerung mit den Deutschen war es für Widerstandskämpfer fast unmöglich, im Kosovo Fuß zu fassen. Selbst als Ende 1944 die Partisanen die Wehrmacht in die Flucht getrieben und Albanien befreit hatten, blieb das Kosovo noch im deutschen Einflussbereich. Während die von Enver Hoxha geführten Partisanen im November 1944 Tirana eroberten, stützten die Deutschen eine antikommunistische Regierung im Kosovo unter Führung des langjährigen Kollaborateurs Xhafer Deva mit der Lieferung großer Mengen an Waffen, Munition und Lebensmitteln. Der Widerstand der Deva-Truppen gegen Titos Partisanen dauerte von November 1944 bis Mai 1945 und konnte erst durch den Einsatz von dreißigtausend Partisanen zerschlagen werden.



[1] "Einen Kompromiss mit Serbien erwarten wir nicht"; Frankfurter Allgemeine Zeitung 19.11.2007
[2] Russija nece dati Kosova; www.pressonline.co.yu 11.11.2007
[3] Bosnien-Herzegowina vor Zerfall?; St. Galler Tagblatt 31.10.2007
[4] Die Lunte brennt. Vor dem Ende der Kosovo-Verhandlungen am 10. Dezember wachsen die Spannungen auch im benachbarten Mazedonien; junge Welt 16.11.2007
[5] Matthias Küntzel: Der Weg in den Krieg. Deutschland, die NATO und das Kosovo, Berlin 2000


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Mit kreativen Tricks 

05.11.2007


BERLIN/BELGRAD/PRISTINA (Eigener Bericht) - Noch vor der heute beginnenden Verhandlungsrunde über die Zukunft des Kosovo drohen Berlin und Brüssel mit der Anerkennung einer baldigen Sezession. Wie bei der EU verlautet, widersetzen sich nur noch zwei Mitgliedstaaten dem seit Jahren von Berlin geförderten Ansinnen. Internationales Recht, das dem Vorhaben entgegensteht, könne man mit "Tricks" und "kreativen" Interpretationen geltender Rechtssätze aushebeln. Da Jugoslawien, dessen "Souveränität und territoriale Unversehrtheit" die Resolution 1244 des UN-Sicherheitsrates garantiert, nicht mehr existiere, mache die Abspaltung des Kosovo "keinen großen Unterschied mehr". Die Ankündigung erneuter Willkürmaßnahmen gegen Serbien, die wie der Krieg im Frühjahr 1999 trotz russischen Vetos durchgesetzt werden sollen, erinnert an die Ursprünge des Kosovo-Konfliktes im Jahr 1912. Bereits damals suchte Berlin mit allen Mitteln den Einfluss Belgrads und Moskaus in Südosteuropa einzuschränken. Paris und London gaben den deutschen Erpressungen nach, um Schlimmeres zu verhindern - vergeblich: Der Konflikt spitzte sich weiter zu.

Wie BRD und DDR

Bereits vor den aktuellen westlichen Drohungen haben serbische Politiker die Verhandlungspläne des deutschen Diplomaten Wolfgang Ischinger scharf kritisiert. Ischinger vertritt Brüssel im Rahmen der sogenannten Kosovo-Troika, der die EU, die USA und Russland angehören; er plädiert für eine Gestaltung des serbisch-kosovarischen Verhältnisses nach dem Modell der Beziehungen zwischen der BRD und der DDR.[1] Der serbische Außenminister Vuk Jeremic sprach schon vor mehreren Tagen von einem besonders schwierigen Verhandlungsauftakt. Der serbische Kosovo-Minister Slobodan Samardzic warnte davor, das Gesprächsthema von der Erörterung der Statusfrage zur Erörterung künftiger Beziehungen zwischen dem Kosovo und Serbien zu verschieben.[2] Belgrad weist dieses Ansinnen strikt zurück und fordert als Ausgangspunkt der Verhandlungen, dass beide Seiten auf einseitige Akte - etwa eine Sezessionserklärung - verzichten.

Präzedenzfall

Der Zeitplan für die letzten Gesprächsrunden ist klar terminiert. Auf das heutige Treffen in Wien soll am 20. November eine weitere Verhandlungssitzung in Brüssel fogen. Wenn auch dort keine Lösung erzielt wird, soll am 27. November eine mehrtägige Konferenz beginnen. Der Vertreter der EU in der Troika, der deutsche Botschafter in London und Kosovo-Beauftragte Wolfgang Ischinger, verlangt einen Abschluss der Verhandlungen zum 10. Dezember. Das Parlament in Pristina hat angekündigt, an diesem Tag einseitig die Unabhängigkeit zu erklären. Die USA haben dafür bereits ihre Unterstützung zugesagt. Angestrebt werde demnach eine streng kontrollierte Sezession, in deren Rahmen die im Kosovo verbleibende Mission von EU und NATO ermächtigt bleibe, Entscheidungen zu treffen. Die serbische Regierung warnt nach wie vor, ein solcher Schritt verstoße gegen das Völkerrecht, schaffe einen gefährlichen Präzedenzfall und stelle die Stabilität der gesamten Region in Frage.

Unklar

Medienberichte bestätigen nun, dass in Berlin die Entscheidung gefallen ist, einer Sezession des Kosovo unter westlicher Kontrolle zuzustimmen.[3] Demnach erklären sich inzwischen 25 der 27 EU-Staaten mit dieser Lösung einverstanden.[4] Auch Spanien und die Slowakei sind inzwischen dazu bereit, obwohl sie eine Zunahme separatistischer Aktivitäten im eigenen Land befürchten und auf lange Sicht um ihre eigene territoriale Integrität bangen müssen. Nur Griechenland und Zypern setzen sich noch zur Wehr [5]; ihr Widerstand gilt in Berlin jedoch als überwindbar. Unklar ist, wie Moskau auf die Abspaltung reagieren wird. Der Kreml unterstützt bislang seinen traditionellen serbischen Verbündeten - trotz des scharfen Gegensatzes zu Berlin, der in Südosteuropa eine lange Tradition aufweist.

Eigenständig

Bereits der Ursprung des Kosovo-Konflikts ist auf das Bemühen Berlins zurückzuführen, den deutschen Einfluss in Südosteuropa auf Kosten Moskaus auszuweiten. Am 13. März 1912 hatten Serbien und Bulgarien unter Mitwirkung Russlands einen "Balkanbund" gegründet, dem sich wenig später Griechenland und Montenegro anschlossen. Der Bund richtete sich primär gegen das Osmanische Reich und zielte darauf ab, die osmanische Herrschaft in Südosteuropa zurückzudrängen. Am 17. Oktober 1912 eröffneten die Staaten des Balkanbundes den Krieg gegen Konstantinopel. In wenigen Wochen war die osmanische Armee besiegt. Sie verlor die Kontrolle über Mazedonien, Thrakien, das Kosovo und Albanien. Die Partner des Balkanbundes sahen als Ergebnis des Krieges die Bildung eines größeren bulgarischen Staates und die Ausweitung Serbiens auf das Kosovo und Albanien vor. Damit hätten Belgrad und sein Bündnispartner Moskau erstmals eine Chance auf eine eigenständige Handelspolitik in Europa erhalten.

Deutscher Prinz

Die deutsche Regierung jedoch wollte sich damit unter keinen Umständen abfinden. Reichskanzler Bethmann-Hollweg erklärte am 2. Dezember 1912, das Deutsche Reich fühle sich berechtigt, "an der Neuregelung der Dinge, die die Folge des Krieges sein wird, mitzuwirken, denn an der künftigen Gestaltung der ökonomischen Dinge am Balkan sind wir sehr wesentlich interessiert".[6] Berlin drängte die übrigen europäischen Großmächte, eine Konferenz zur Grenzziehung in Südosteuropa einzuberufen, die im Dezember 1912 in London tatsächlich stattfand. Großbritannien und Frankreich ging es vor allem darum, einen Krieg Deutschlands und Österreichs gegen Serbien und Russland zu verhindern. Aufgrund des Berliner und Wiener Druckes wurde auf der Londoner Konferenz die Gründung des Staates Albanien beschlossen. Damit war ein serbischer Adriahafen verhindert worden. Zum ersten Herrscher Albaniens wurde der deutsche Prinz von Wied eingesetzt. Die Londoner Konferenz gestand Serbien lediglich das Kosovo zu, um Belgrad und Moskau nicht gänzlich zu verprellen.

Weltkrieg

Der Keim des heutigen Konfliktes war damit gelegt. Doch auch so ließ sich der deutsch-öst

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