Informazione



Pornografia e chiesa cattolica: lo scandalo T2

11.01.2008    scrive Franco Juri


TV via cavo, internet e telefonia. La società T-2 sta sbaragliando la concorrenza. Anche grazie all'offerta di canali dal contenuto pornografico. Niente di strano, se non che proprietaria della T-2 è la chiesa cattolica slovena


Mentre la Slovenia, in qualità di presidente di turno dell'UE, inaugura alla grande il suo semestre ospitando a Lubiana la Commissione europea e tanti accademici europei per parlare di »Dialogo interculturale«, dietro alle quinte della composita realtà slovena e dei suoi poteri forti, quelli che in questo momento di più condizionano le scelte a lunga gittata del governo in carica, si consuma una paradossale storia di ipocrisia e „doppia morale“. 

Protagonista è questa volta il vertice stesso della Chiesa cattolico-romana slovena, in particolare la Conferenza episcopale di Maribor. 

Lo scandalo si chiama T-2, attualmente forse la più popolare società di servizi di telecomunicazione (TV via cavo, internet e telefonia) in Slovenia. La popolarità di T-2, che da più di due anni sta facendo incetta di utenti anche per i suoi prezzi concorrenziali e sin dal 2005 per un'offerta innovativa in internet (sistema VDSL) , è dovuta anche alle sue proposte particolarmente »liberali« dei suoi pacchetti TV. 

Tra i programmi cui hanno accesso i clienti di T-2 ce ne sono vari di contenuto decisamente pornografico. Pornografia? Niente di strano, niente di particolare; un optional, messo a disposizione dei telespettatori da vari servizi di telecomunicazione. T-2 è semplicemente quello che in Slovenia offre più pornografia. E allora? 

Non ci sarebbe nulla da obiettare se la triple play T-2 non fosse di proprietà della Conferenza episcopale di Maribor. Proprio così; con una quota di azioni di maggioranza assoluta che la Chiesa cattolica detiene mediante la società finanziaria Zvon Ena, fondatrice e proprietaria di T-2. 

L'holding Zvon Ena, che ha importanti quote di capitale in diverse e importanti imprese slovene ( Sava Kranj, Helios, Lesnina, Hoteli Bernardin, la Banca di Celje, l'holding Inford, la Krekova družba, l'industria di zinco di Celje ecc.) è per il 52%, con azioni acquistate alla fine del 2005 per un valore di 50 milioni di euro, ma oggi notevolmente lievitate, di proprietà della società »Gospodarstvo Rast« fondata direttamente dalla Conferenza episcopale di Maribor e affidata a Mirko Krašovec, un influente uomo d'affari al servizio del vertice ecclesiastico per promuovere gli interessi economici e finanziari della potente chiesa slovena. 

Prima dell' offerta di Krašovec la Zvon Ena era di proprietà della Krekova Banka, un'istituzione originariamente legata anch'essa alla chiesa cattolica di Maribor ( Krašovec ne è stato il principale ispiratore). Più tardi la Krekova Banka è stata acquistata dall'austriaca Raiffeisen Zentralbank, ma Mirko Krašovec ha mantenuto il posto di membro del comitato di controllo nella nuova Raiffeisen Krekova, gestendo con particolare destrezza gli interessi della Conferenza episcopale che rappresenta. 

Dopo due anni di ottimi affari la T-2 e la Zvon Ena sono ora al centro dello scandalo forse più dolente per i vertici della chiesa slovena. L'opinione pubblica è venuta pian piano a sapere che il servizio di telecomunicazioni più popolare e »pornografico« della Slovenia è in mano alla Chiesa cattolica, quella stessa Chiesa che nel paese rimane il principale baluardo della morale cristiana e della famiglia; un baluardo che dai suoi pulpiti lancia strali e anatemi contro decadenza, immoralità e costumi lascivi. Una chiesa decisamente schierata con il conservatorismo di Papa Ratzinger. 

Ostentando sorpresa – dopo che la prorietà di T-2 era ormai un segreto di Pulcinella – è corso a Maribor persino il cardinale Franc Rode, l'uomo del Papa, il primo cardinale sloveno nella storia, vicinissimo all'Opus Dei, e protagonista tempo fa di una storia di raccomandazioni a favore della società italiana di costruzioni Grassetto in un contenzioso di questa con lo stato sloveno. Il favore glielo chiese allora il cardinale Tarcisio Bertone, oggi Segretario di Stato del Vaticano. 

Rode è volato a Maribor per raccomandare ai suoi vescovi una soluzione che tolga la chiesa dal pasticcio, magari salvando capra e cavoli. Evidente l' imbarazzo dei prelati sloveni che in due anni »non si erano accorti« che il proprio servizio di telecomunicazioni offriva ai fedeli sei programmi pornografici. E Rode esige che i vescovi si tirino fuori dall'affare e ripuliscano l'immagine della chiesa immacolata. La curia prende qualche giorno di tempo e poi decide di uscire da T-2, ma cercando di salvare per vie traverse i suoi affari, magari pensando a prestanomi e società by-pass che riducano la visibilità del legame tra il vertice cattolico e i programmi pornografici della famosa »triple play«. Insomma, niente più benedizioni dirette al sesso sfrenato in TV.

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Quando i monsignori diventano lobbisti

25.05.2006    scrive Franco Juri


Il neocardinale sloveno Franc Rode intercede su richiesta di un collega per un'impresa di costruzione italiana. Ma non è abbastanza discreto, e la notizia trapela suscitando interrogativi imbarazzanti. Quali sono i legami tra governo, chiesa e imprese in Slovenia?


Erano passati solo cinque giorni dalla nomina cardinalizia di Franc Rode, il primo prelato sloveno a guadagnarsi la berretta scarlatta e a poter finalmente partecipare a pieno titolo ai concistori. Per la Slovenia, secondo la sua chiesa ed il governo, si trattava di un evento storico: Franc Rode avrebbe finalmente affermato, dal prestigioso pulpito cardinalizio in Vaticano, “gli interessi sloveni” anche lì, a Roma, aveva sottolineato nell'occasione con particolare enfasi il premier Janez Janša. 

La Chiesa slovena sta diventando, giorno dopo giorno, un protagonista particolarmente attivo e presente nelle diverse sfere sociali del paese. Il suo pieno appoggio alle riforme neoliberali del governo Janša ne fa uno degli alleati strategici più importanti della coalizione attualmente alla guida del paese. Scuole private, denazionalizzazione, banche e istituzioni finanziarie, organizzazioni umanitarie, una forte presenza nei media, sempre più controllati dal governo, e due forti “reti” paraecclesiastiche presenti sul territorio: l'Ordine dei Cavalieri di Malta, con influenti adepti tra i ministri e nella diplomazia, e l'Opus Dei, coadiuvato dal nunzio apostolico a Lubiana, lo spagnolo Santos Abril y Castillo, in cerca anch'essa di un suo ruolo attivo nell'opera di sistematica desecolarizzazione in corso nella Slovenia membro dell' Unione Europea. 

Ma cinque giorni dopo la sua “storica” promozione Rode viene abbordato dal ben navigato cardinale genovese Tarcisio Bertone che di punto in bianco gli chiede un favore né sacro, né liturgico, bensì molto profano e legato agli appalti italiani in Slovenia. E così lo convince ad intervenire presso il governo di Lubiana per sbloccare l'impasse venutasi a creare nel contenzioso tra l'impresa di costruzione italiana Grassetto e la DARS, l'agenzia statale slovena per le autostrade. 

Una vecchia storia di soldi che si trascina dal 1999, da quando cioè la Grassetto ottenne l'appalto per il traforo della galleria di Trojane, tra Lubiana e Celje, esibendo al bando di concorso un preventivo estremamente competitivo, un “prezzo stracciato” pari a 14 miliardi di talleri sloveni (circa 60 milioni di euro) che gli altri concorrenti giudicarono, a ragione, irreale, in quanto non considerava la difficile struttura geomorfologica del monte da perforare. 

La Grassetto ottenne l'appalto, ma poi, nel corso dei lavori che procedettero tra mille intoppi, aumentò i costi fino a raggiungere e a ottenere un prezzo molto più elevato di quello preventivato. Ma le spese per l'impresa italiana continuarono ulteriormente a lievitare, e - saldato il conto pattuito - la Grassetto richiese altri 54 milioni di euro “per danni”, il che avrebbe praticamente raddoppiato la spesa iniziale. Visto il categorico rifiuto della DARS, l'impresa Grassetto si rivolse al tribunale dove la causa si è impantanata, non essendoci gli estremi per un'interpretazione plausibile delle clausule del contratto. 

Ma ecco che l'occasione di smuovere il tutto si presenta con l'apparizione di un cardinale sloveno a Roma. Che i cardinali fossero importanti mediatori e lobbisti di grossi interessi economici e finanziari in Italia e altrove, è cosa più che risaputa. Il dettaglio trascurato da Rode è stato però che il lobbing cardinalizio si fa seguendo regole precise; prima di tutto quella di non lasciare tracce dei propri “favori”. Franc Rode invece, seguendo un'etica un tantino teutonica, le cose le fa in regola, rispettoso dell' ufficialità e nella piena fiducia nel destinatario del suo intervento. E il 3 aprile scrive a Janez Janša su lettera intestata, con tanto di firma orgogliosamente completa: Franc Kard. Rode, C.M. prefekt. 

Nella missiva si richiama alla richiesta del cardinale Bertone che propone, in nome della Grassetto, un patteggiamento che eviti ulteriori lungaggini giudiziarie. Rode sposa la causa di Bertone e della Grassetto e consiglia al premier di far accettare alla DARS il pagamento di un risarcimento pari alla metà della somma richiesta. 

Passa un mese e la lettera viene integralmente pubblicata sulle pagine di Mladina. Chi l'ha spedita alla redazione del settimanale sloveno più “disobbediente”? Una talpa? Qualche imbronciato funzionario della DARS? C' è chi sostiene che una lettera di questo calibro possa uscire dall' ufficio di Janša solo con il consenso dello stesso. Che l'astuto Janša sia interessato a ridimensionare nella coalizione il peso ingombrante dei clericali? Troppo complicato. E così il mistero s'infittisce e l'imbarazzo monta. Un cardinale che porta la zucchetta color porpora da soli cinque giorni fa già il lobbista? E per giunta senza rispettare le sacre regole della discrezione? 

La TV di stato e il quotidiano Delo, controllati ormai dal governo e dalla chiesa, censurano o “ignorano” la notizia. A scriverne sono solo le due testate slovene ancora indipendenti: Mladina e Dnevnik. L'inviato a Roma di quest'ultimo cerca inutilmente di strappare a monsignor Tarcisio Bertone una risposta, un commento. È stato veramente lui a chiedere a Rode il favore per la Grassetto? Bertone non si espone e il suo ufficio risponde laconico; il cardinale non ha scritto o firmato alcun documento. L'ingenuo novizio sloveno si arrangi. Nel frattempo però le cose si sono mosse e dal gabinetto di Janša è già partita una lettera che induce gli organi competenti a risolvere il caso, informando in merito sia il premier che il cardinal Rode.



Non perdete la trasmissione del GAMADI

su TeleAmbiente (canale 68 a Roma e nel Lazio)

Sabato 12/01/2008 ore 22
Domenica 13/01/2008 ore 07

KOSOVO - IL LUOGO DEL DELITTO

stralci del film documentario: 
KOSOVO - MESTO ZLOCINA 
di Bane Milosevic (2000)
basato su filmati APTN e Reuters
con le immagini censurate dalle nostre reti televisive
sui pogrom scatenati contro i serbi e le altre nazionalità non albanesi in Kosovo subito dopo l'arrivo delle truppe di occupazione (1999-2000).

Commentano in studio:
Miriam Pellegrini Ferri (GAMADI)
Ivan Pavicevac (CNJ)


La trasmissione andrà in onda, in differita in orari diversi, anche sulle seguenti emittenti:

TeleDonna (martedi ore 22), TelePerugia, TV1 Sulmona, RTE Ercolano, RTV Acquesio,  TeleOrvieto 2.

Per informazioni sulle attività del GAMADI: http://www.gamadilavoce.it/

Per informazioni sulle attività del CNJ: https://www.cnj.it

Per richiederci copia del video "Kosovo - mesto zlocina": jugocoord @ tiscali.it




Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea
nelle province di Biella e Vercelli "Cino Moscatelli"
Aderente all'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia "Ferruccio Parri"
13019 Varallo - via D'Adda, 6 - tel. 0163-52005 - fax 0163-562289


Per l'ottava edizione del Giorno della Memoria (27 gennaio 2008) l'Istituto realizzerà a Biella, con la compartecipazione del Comitato della Regione Piemonte per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana e con il patrocinio della Provincia di Biella e della Città di Biella, una serie di iniziative nell'ambito del progetto Persecuzione razziale, deportazione e sterminio di rom e sinti
Programma delle iniziative: 
18 gennaio 2008, Teatro sociale: spettacolo teatrale Zingari: l'Olocausto dimenticato. Ore 10.30 rappresentazione per gli studenti. Ore 21 rappresentazione per la cittadinanza 
19 gennaio - 3 febbraio 2008, Museo del Territorio: mostra Porrajmos: altre tracce sul sentiero per Auschwitz. Inaugurazione sabato 19 gennaio, ore 17.30. Orari di apertura: da martedì a giovedì ore 15-19; venerdì ore 15-22; sabato e domenica ore 10-19; da martedì a venerdì al mattino visite scolastiche su prenotazione; chiuso il lunedì. 
24 gennaio 2008, Teatro sociale, ore 21: Concerto per il Porrajmos: il genocidio dimenticato dei Rom e Sinti. Canti e poesie della memoria in lingua romaní 
25 gennaio 2008, Città Studi, ore 9-13: convegno La persecuzione di rom e sinti: storia e memoria dello sterminio 




Il Giorno della Memoria

dello sterminio, delle persecuzioni del popolo ebraico 
e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti

Persecuzione razziale, deportazione e sterminio di rom e sinti


 
# Spettacolo teatrale Zingari: l'Olocausto dimenticato, prodotto da Centro Teatro Ipotesi (Genova), in collaborazione con il Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Interpretazione, testo e regia di Pino Petruzzelli. 
Un'orazione civile di Pino Petruzzelli, una fiaba tragica che racconta la storia di una giovane zingara, che a trent'anni sposa un fornaio tedesco da cui avrà due figli. I due vivono felici fino a quando lui non viene richiamato alle armi e muore sul fronte russo. Subito dopo comincia la persecuzione anche degli zingari. Hansa viene portata ad Auschwitz con i suoi due figli, ma le viene riconosciuto lo status di vedova di guerra di un tedesco. Verrà graziata, ma prima deve accettare di essere sterilizzata. Sarà l'ultima zingara ad uscire viva dal lager nazista. 
# Mostra Porrajmos: altre tracce sul sentiero per Auschwitz, realizzata dallíIstituto di Cultura Sinta di Mantova e dall'Associazione Nevo Drom di Bolzano. È prevista anche la proiezione del documentario Hugo, realizzato da Giovanna Boursier e inserito nel doppio dvd A forza di essere vento. Lo sterminio nazista degli Zingari, e una mostra bibliografica.
# Concerto per il Porrajmos: il genocidio dimenticato dei Rom e Sinti. Canti e poesie della memoria in lingua romanì: concerto di Alexian group, gruppo di Santino Spinelli, in arte Alexian, rom italiano residente a Lanciano, in Abruzzo.
# Programma del convegno
presiede Roberto Placido, vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte; introduce Gustavo Buratti, consigliere scientifico dell'Istituto; intervengono: Luca Bravi, dottore di ricerca all'Università di Firenze, con la relazione Rom e non-zingari. Storia, memoria e cittadinanze; Rosa Corbelletto, ricercatrice storica, con la relazione Rom e sinti perseguitati nell'Italia fascista; Carlo Berini, ricercatore dell'Istituto di Cultura Sinta di Mantova, con la relazione Il porrajmos e l'elaborazione del lutto in Italia. In conclusione testimonianza di Mirko Levak.




IO NON COMPRO "LIBERAZIONE"


Videoinchiesta del CDR/Roma che smonta, utilizzando l'arma dell'ironia, la campagna diffamatoria del quotidiano Liberazione contro Cuba e la sua rivoluzione:




The Destabilization of Pakistan

by Prof. Michel Chossudovsky

Global Research, December 30, 2007

The assassination of Benazir Bhutto has created conditions which contribute to the ongoing destabilization and fragmentation of Pakistan as a Nation. 

The process of US sponsored "regime change", which normally consists in the re-formation of a fresh proxy government under new leaders has been broken. Discredited in the eyes of Pakistani public opinion, General Pervez Musharaf cannot remain in the seat of political power. But at the same time, the fake elections supported by the "international community" scheduled for January 2008, even if they were to be carried out, would not be accepted as legitimate, thereby creating a political impasse. 

There are indications that the assassination of Benazir Bhutto was anticipated by US officials: 

"It has been known for months that the Bush-Cheney administration and its allies have been maneuvering to strengthen their political control of Pakistan, paving the way for the expansion and deepening of the “war on terrorism” across the region. 

Various American destabilization plans, known for months by officials and analysts, proposed the toppling of Pakistan's military... 

The assassination of Bhutto appears to have been anticipated. There were even reports of “chatter” among US officials about the possible assassinations of either Pervez Musharraf or Benazir Bhutto, well before the actual attempts took place. (Larry Chin, Global Research, 29 December 2007)


Political Impasse

"Regime change" with a view to ensuring continuity under military rule is no longer the main thrust of US foreign policy. The regime of Pervez Musharraf cannot prevail. Washington's foreign policy course is to actively promote the political fragmentation and balkanization of Pakistan as a nation. 

A new political leadership is anticipated but in all likelihood it will take on a very different shape, in relation to previous US sponsored regimes. One can expect that Washington will push for a compliant political leadership, with no commitment to the national interest, a leadership which will serve US imperial interests, while concurrently contributing under the disguise of "decentralization", to the weakening of the central government and the fracture of Pakistan's fragile federal structure. 

The political impasse is deliberate. It is part of an evolving US foreign policy agenda, which favors disruption and disarray in the structures of the Pakistani State. Indirect rule by the Pakistani military and intelligence apparatus is to be replaced by more direct forms of US interference, including an expanded US military presence inside Pakistan.

This expanded military presence is also dictated by the Middle East-Central Asia geopolitical situation and Washington's ongoing plans to extend the Middle East war to a much broader area. 

The US has several military bases in Pakistan. It controls the country's air space. According to a recent report: "U.S. Special Forces are expected to vastly expand their presence in Pakistan, as part of an effort to train and support indigenous counter-insurgency forces and clandestine counterterrorism units" (William Arkin, Washington Post, December 2007). 

The official justification and pretext for an increased military presence in Pakistan is to extend the "war on terrorism". Concurrently, to justify its counterrorism program, Washington is also beefing up its covert support to the "terrorists."


The Balkanization of Pakistan

Already in 2005, a report by the US National Intelligence Council and the CIA forecast a "Yugoslav-like fate" for Pakistan "in a decade with the country riven by civil war, bloodshed and inter-provincial rivalries, as seen recently in Balochistan." (Energy Compass, 2 March 2005). According to the NIC-CIA,  Pakistan is slated to become a "failed state" by 2015, "as it would be affected by civil war, complete Talibanisation and struggle for control of its nuclear weapons". (Quoted by former Pakistan High Commissioner to UK, Wajid Shamsul Hasan, Times of India, 13 February 2005): 

"Nascent democratic reforms will produce little change in the face of opposition from an entrenched political elite and radical Islamic parties. In a climate of continuing domestic turmoil, the Central government's control probably will be reduced to the Punjabi heartland and the economic hub of Karachi," the former diplomat quoted the NIC-CIA report as saying.

Expressing apprehension, Hasan asked, "are our military rulers working on a similar agenda or something that has been laid out for them in the various assessment reports over the years by the National Intelligence Council in joint collaboration with CIA?" (Ibid)

Continuity, characterized by the dominant role of the Pakistani military and intelligence has been scrapped in favor of political breakup and balkanization.

According to the NIC-CIA scenario, which Washington intends to carry out: "Pakistan will not recover easily from decades of political and economic mismanagement, divisive policies, lawlessness, corruption and ethnic friction," (Ibid) .  

The US course consists in  fomenting social, ethnic and factional divisions and political fragmentation, including the territorial breakup of Pakistan. This course of action is also dictated by US war plans in relation to both Afghanistan and Iran. 

This US agenda for Pakistan is similar to that applied throughout the broader Middle East Central Asian region. US strategy, supported by covert intelligence operations, consists in triggering ethnic and religious strife, abetting and financing secessionist movements while also weakening the institutions of the central government. 

The broader objective is to fracture the Nation State and redraw the borders of Iraq, Iran, Syria, Afghanistan and Pakistan. 


Pakistan's Oil and Gas reserves

Pakistan's extensive oil and gas reserves, largely located in Balochistan province, as well as its pipeline corridors are considered strategic by the Anglo-American alliance, requiring the concurrent militarization of Pakistani territory. 

Balochistan comprises more than 40 percent of Pakistan's land mass, possesses important reserves of oil and natural gas as well as extensive mineral resources. 

The Iran-India pipeline corridor is slated to transit through Balochistan. Balochistan also possesses a deap sea port largely financed by China located at Gwadar, on the Arabian Sea, not far from the Straits of Hormuz where 30 % of the world's daily oil supply moves by ship or pipeline. (Asia News.it, 29 December 2007) 

Pakistan has an estimated 25.1 trillion cubic feet (Tcf) of proven gas reserves of which 19 trillion are located in Balochistan. Among foreign oil and gas contractors in Balochistan are BP, Italy's ENI, Austria's OMV, and Australia's BHP. It is worth noting that Pakistan's State oil and gas companies, including PPL which has the largest stake in the Sui oil fields of Balochistan are up for privatization under IMF-World Bank supervision. 

According to the Oil and Gas Journal (OGJ), Pakistan had proven oil reserves of 300 million barrels, most of which are located in Balochistan. Other estimates place Balochistan oil reserves at an estimated six trillion barrels of oil reserves both on-shore and off-shore (Environment News Service, 27 October 2006) .


Covert Support to Balochistan Separatists

Balochistan's strategic energy reserves have a bearing on the separatist agenda. Following a familiar pattern, there are indications that the Baloch insurgency is being supported and abetted by Britain and the US. 

The Baloch national resistance movement dates back to the late 1940s, when Balochistan was invaded by Pakistan. In the current geopolitical context, the separatist movement is in the process of being hijacked by foreign powers. 

British intelligence is allegedly providing covert support to Balochistan separatists (which from the outset have been repressed by Pakistan's military). In June 2006, Pakistan's Senate Committee on Defence accused British intelligence of "abetting the insurgency in the province bordering Iran" [Balochistan]..(Press Trust of India, 9 August 2006). Ten British MPs were involved in a closed door session of the Senate Committee on  Defence regarding the alleged support of Britain's Secret Service to Baloch separatists  (Ibid). Also of relevance are reports of  CIA and Mossad support to Baloch rebels in Iran and Southern Afghanistan.

It would appear that Britain and the US are supporting both sides. The US is providing American F-16 jets to the Pakistani military, which are being used to bomb Baloch villages in Balochistan. Meanwhile, British alleged covert support to the separatist movement (according to the Pakistani Senate Committee) contributes to weakening the central government.

The stated purpose of US counter-terrorism is to provide covert support as well as as training to "Liberation Armies" ultimately with a view to destabilizing sovereign governments. In Kosovo, the training of the Kosovo Liberation Army (KLA) in the 1990s had been entrusted to a private mercenary company, Military Professional Resources Inc (MPRI), on contract to the Pentagon.  

The BLA bears a canny resemblance to Kosovo's KLA, which was financed by the drug trade and supported by the CIA and Germany's Bundes Nachrichten Dienst (BND).

The BLA emerged shortly after the 1999 military coup. It has no tangible links to the Baloch resistance movement, which developed since the late 1940s. An aura of mystery surrounds the leadership of the BLA. 


Baloch population in Pink: In Iran, Pakistan and Southern Afghanistan: http://en.wikipedia.org/wiki/Image:Major_ethnic_groups_of_Pakistan_in_1980.jpg


Washington favors the creation of a "Greater Balochistan" which would integrate the Baloch areas of Pakistan with those of Iran and possibly the Southern tip of Afghanistan (See Map above), thereby leading to a process of political fracturing in both Iran and Pakistan. 

"The US is using Balochi nationalism for staging an insurgency inside Iran's Sistan-Balochistan province. The 'war on terror' in Afghanistan gives a useful political backdrop for the ascendancy of Balochi militancy" (See Global Research, 6 March 2007)

Military scholar Lieutenant Colonel Ralph Peters writing in the June 2006 issue of The Armed Forces Journal, suggests, in no uncertain terms that Pakistan should be broken up, leading to the formation of  a separate country: "Greater Balochistan" or "Free Balochistan" (see Map below). The latter would incorporate the Pakistani and Iranian Baloch  provinces into a single political entity. 

In turn, according to Peters, Pakistan's North West Frontier Province (NWFP) should be incorporated into Afghanistan "because of its linguistic and ethnic affinity". This proposed fragmentation, which broadly reflects US foreign policy, would reduce Pakistani territory to approximately 50 percent of its present land area. (See map). Pakistan would also loose a large part of its coastline on the Arabian Sea.      

Although the map does not officially reflect Pentagon doctrine, it has been used in a training program at NATO's Defense College for senior military officers. This map, as well as other similar maps, have  most probably been used at the National War Academy as well as in military planning circles. (See Mahdi D. Nazemroaya, Global Research, 18 November 2006

"Lieutenant-Colonel Peters was last posted, before he retired to the Office of the Deputy Chief of Staff for Intelligence, within the U.S. Defence Department, and has been one of the Pentagon’s foremost authors with numerous essays on strategy for military journals and U.S. foreign policy." (Ibid)


Map: click to enlarge: http://www.globalresearch.ca/images/harita_b.jpeg


It is worth noting that secessionist tendencies are not limited to Balochistan. There are separatist groups in Sindh province, which are largely based on opposition to the Punjabi-dominated military regime of General Pervez Musharraf (For Further details see Selig Harrisson, Le Monde diplomatique, October 2006)


"Strong Economic Medicine": Weakening Pakistan's Central Government

Pakistan has a federal structure based on federal provincial transfers. Under a federal fiscal structure, the central government transfers financial resources to the provinces, with a view to supporting provincial based programs. When these transfers are frozen as occurred in Yugoslavia in January 1990, on orders of the IMF, the federal fiscal structure collapses:

"State revenues that should have gone as transfer payments to the republics [of the Yugoslav federation] went instead to service Belgrade's debt ... . The republics were largely left to their own devices. ... The budget cuts requiring the redirection of federal revenues towards debt servicing, were conducive to the suspension of transfer payments by Belgrade to the governments of the Republics and Autonomous Provinces.

In one fell swoop, the reformers had engineered the final collapse of Yugoslavia's federal fiscal structure and mortally wounded its federal political institutions. By cutting the financial arteries between Belgrade and the republics, the reforms fueled secessionist tendencies that fed on economic factors as well as ethnic divisions, virtually ensuring the de facto secession of the republics. (Michel Chossudovsky, The Globalization of Poverty and the New World Order, Second Edition, Global Research, Montreal, 2003, Chapter 17.)

It is by no means accidental that the 2005 National Intelligence Council- CIA report had predicted a "Yugoslav-like fate" for Pakistan pointing to the impacts of "economic mismanagement" as one of the causes of political break-up and balkanization.

"Economic mismanagement" is a term used by the Washington based international financial institutions to describe the chaos which results from not fully abiding by the IMF's Structural Adjustment Program. In actual fact, the "economic mismanagement" and chaos is the outcome of IMF-World Bank prescriptions, which invariably trigger hyperinflation and precipitate indebted countries into extreme poverty.  

Pakistan has been subjected to the same deadly IMF "economic medicine" as Yugoslavia: In 1999, in the immediate wake of the coup d'Etat which brought General Pervez Musharaf to the helm of the military government, an IMF economic package, which included currency devaluation and drastic austerity measures, was imposed on Pakistan. Pakistan's external debt is of the order of US$40 billion. The IMF's  "debt reduction" under the package was conditional upon the sell-off to foreign capital of the most profitable State owned enterprises (including the oil and gas facilities in Balochistan) at rockbottom prices . 

Musharaf's Finance Minister was chosen by Wall Street, which is not an unusual practice. The military rulers appointed at Wall Street's behest, a vice-president of Citigroup, Shaukat Aziz, who at the time was head of CitiGroup's Global Private Banking. (See WSWS.org, 30 October 1999). CitiGroup is among the largest commercial foreign banking institutions in Pakistan.

There are obvious similarities in the nature of US covert intelligence operations applied in country after country in different parts of the so-called "developing World".  These covert operation, including the organisation of military coups, are often synchronized with the imposition of IMF-World Bank macro-economic reforms. In this regard, Yugoslavia's federal fiscal structure collapsed in 1990 leading to mass poverty and heightened ethnic and social divisions. The US and NATO sponsored "civil war" launched in mid-1991 consisted in coveting Islamic groups as well as channeling covert support to separatist paramilitary armies in Bosnia, Kosovo and Macedonia.

A similar "civil war" scenario has been envisaged for Pakistan by the National Intelligence Council and the CIA:  From the point of view of US intelligence, which has a longstanding experience in abetting separatist "liberation armies", "Greater Albania" is to Kosovo what "Greater Balochistan" is to Pakistan's Southeastern Balochistan province. Similarly, the KLA is Washington's chosen model, to be replicated in Balochistan province.


The Assassination of Benazir Bhutto

Benazir Bhutto was assassinated in Rawalpindi, no ordinary city. Rawalpindi is a military city host to the headquarters of the Pakistani Armed Forces and Military Intelligence (ISI). Ironically Bhutto was assassinated in an urban area tightly controlled and guarded by the military police and the country's elite forces. Rawalpindi  is swarming with ISI intelligence officials, which invariably infiltrate political rallies. Her assassination was not a haphazard event. 

Without evidence, quoting Pakistan government sources, the Western media in chorus has highlighted the role of Al-Qaeda, while also focusing on the the possible involvement of the ISI. 

What these interpretations do not mention is that the ISI continues to play a key role in overseeing Al Qaeda on behalf of US intelligence. The press reports fail to mention two important and well documented facts: 

1) the ISI maintains close ties to the CIA. The ISI  is virtually an appendage of the CIA. 

2) Al Qaeda is a creation of the CIA. The ISI provides covert support to Al Qaeda, acting on behalf of US intelligence.  

The involvement of either Al Qaeda and/or the ISI would suggest that US intelligence was cognizant and/or implicated in the assassination plot.



Michel Chossudovsky is the author of the international bestseller America’s "War on Terrorism"  Global Research, 2005. He is Professor of Economics at the University of Ottawa and Director of the Center for Research on Globalization. 

To order Chossudovsky's book  America's "War on Terrorism", click here 


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Historical parallels show EU’s Kosovo policy is insane

By: Jiří Hanák, 07. 01. 2008, More by this author 

The new year begins under the sign of the infamy that the U.S. and the European Union are committing against Serbia by supporting independence for the Serbian province of Kosovo. In this relation, I cannot help but reach for a historical comparison. When, in October 1938, British Prime Minister Neville Chamberlain defended the Munich Agreement with Hitler as offering “peace in our time”, Winston Churchill said, “The nation had to choose between shame and war. We have chosen shame. We shall get the war as well.” To paraphrase— Washington and the EU have chosen between a restless Balkans and dishonesty. They have chosen dishonesty and will have troubles with more than the Balkans.

But let us leave Serbia aside, injured and demeaned as it is. In its current state of mind, it is imaginable that Serbia will turn its back on the EU and the West and will seek a safe harbor in Moscow. The idea that Serbia may permit Russia to establish a base on its territory is not as fantastic as it may seem. Desperate states do desperate things.
When discussing Kosovo’s independence, we cannot apply a nation’s right to self-determination. The Albanian nation already has its state. The Kosovo Albanians are thus merely a minority in Serbia, as the Czech Germans were in pre-war Czechoslovakia. But there are further points. If the Euro-Atlantic alliance grants independence to the Albanians in Kosovo, will it be able to consistently deny it to Albanians in the Republic of Macedonia, where they form a high percentage minority? And what about Republika Srpska in Bosnia-Herzegovina? Would it not have the right to untangle itself from the (nonfunctioning) Bosnian double state and declare its own independence as well? I am almost certain that an independent Kosovo and an independent Republika Srpska in Bosnia would fuse with their “mother” states in the foreseeable future, resulting in an entirely new map of the region.
These matters are but a trifle, however, compared to the whole extent of what may come spilling out of the Pandora’s box of Kosovo’s independence. If the Albanian minority in Serbia can become independent, why not the Hungarian minority in Slovakia? And in Romania? And what about Chechnya? And the Turks in Cyprus? And what about the 40-million strong Kurdish nation, with its own language and culture? Only because fate cast them into a cursedly sensitive area—one by the way that has billions of barrels of oil?
And look at the icing on the cake: the KLA, supposedly the Kosovo Albanians’ liberation army, was as recently as 1998 listed on the U.S.’s list of terrorist organizations. Only thanks to the magic wand of the U.S. State Department, then headed by Madeleine Albright, did the terrorists and narco-barons change into respectable freedom fighters. I cannot judge how much a role was played by the charm of KLA political leader Hashim Thaçi (also known as “the Snake”). What is certain is the fact that we will be witnesses to a unique event—with the declaration of an independent Kosovo, the narco-mafia will gain its own state.
The states of the EU will probably recognize Kosovo’s independence; only Cyprus is holding out. In the case of Slovakia or Romania, the approval will be either hypocritical or suicidal. For the Czech Republic, it will be a living example of forgetting one’s own history. I am sorry that, as a convinced backer of the EU, I have to say that in the case of Kosovo, the EU has apparently gone insane.



(francais / italiano.

À lire aussi:
Statut du Kosovo : indépendance le 6 février et « plan secret » slovène ?

Alors que certaines sources affirment que le Kosovo pourrait proclamer son indépendance le 6 février prochain, la Slovénie disposerait d'un plan qui octroierait à la zone serbe du nord du Kosovo « un statut temporaire particulier ». Pour résoudre la quadrature du cercle, Ljubljana ferait circuler un document secret qui « cumulerait » les trois approches envisageables : indépendance, partition et maintien d'un relatif statu quo... 




Per l'indipendenza di Pristina è pronto il «Piano di Lubjiana»

di Giulietto Chiesa

su Il Manifesto del 06/01/2008

«Herald Tribune» Dopo il voto a Belgrado, via all'iniziativa voluta dall'Ue

Ecco un esempio che più chiaro non si potrebbe di come l'Europa sia sdraiata sulla linea degli Stati Uniti d'America, esecutrice della loro volontà, prona e succube. Sovranità patria addio. Si annuncia infatti un accordo semi-segreto di Pulcinella che consentirà al Kosovo di proclamare unilateralmente l'indipendenza e di essere poi riconosciuto dagli stati europei, singoli e collettivamente, secondo un piano accuratamente programmato. Naturalmente tutti quelli che devono sapere già sanno, ma sono i serbi che non devono sapere. L'inganno viene cucinato espressamente per loro.
Il piano deve scattare infatti «nei primi due mesi del 2008» (lo ha scritto International Herald Tribune il 13-12-2007), cioè subito dopo le prossime elezioni serbe del 20 gennaio e del ballottaggio del 3 febbraio. «Dopo». perché in tal modo si spera di evitare una esplosione di rimostranze nazionali in Serbia. Magari, pensano a Bruxelles, si riuscirà perfino a far vincere i filo-occidentali (cosa non impossibile dati i mezzi di pressione e di ricatto di cui Europa e Usa dispongono; ma improbabile, visti i sondaggi elettorali a Belgrado) e poi si potrà più comodamente ridurre «alla ragione» dei più forti, euroccidentale, i nuovi leader della Serbia. 
La pensata non è nuova e potrebbe andare male, ma non importa poi molto. I serbi sono collettivamente colpevoli e dunque si può andare giù pesanti, ben certi che li si potrà schiacciare comunque, con il consenso di tutte le cancellerie. In fondo li si è bombardati nel 1999, dunque si proceda. Ma le piccole furbizie di cui è condito il progetto sono diverse e numerose e descrivono, di per sé, la statura di questi attuali governanti europei. Infatti fortuna vuole che dal 1 gennaio la presidenza dell'Ue tocchi alla Slovenia, il primo degli stati che si staccò dalla Federazione jugoslava. Quindi, con rara perfidia, sarà alla Slovenia che toccherà di fare il primo gesto di riconoscimento formale dell'indipendenza del Kosovo. Non in nome proprio ma collettivo. 
Non appena Hashim Thaqi (il mercenario armato dagli Usa, tagliagole dell'Uck costruito per tirare in trappola l'Europa nella guerra contro l'ex Jugoslavia) proclamerà l'indipendenza, la Slovenia avrà l'incarico di convocare in fretta i ministri degli esteri europei e di formulare il primo benvenuto corale delle nazioni civili a un nuovo stato monoetnico che diventa indipendente (si fa per dire). In tal modo l'Unione Europea potrà subentrare all'Onu nella amministrazione delle funzioni internazionali di controllo. Questo - secondo il giornale citato - dovrebbe avvenire tra luglio e agosto 2008. 
Il piano dovrebbe apparire come opera del governo sloveno, in modo da farlo apparire come iniziativa «dal basso», anche per alleggerire delle loro responsabilità i governi europei maggiori, minimizzando così - come sperano - i rischi di una «nuova crisi balcanica». Sanno bene, dunque, che in questo modo gli europei si stanno creando in casa le premesse di grossi guai dalle conseguenze imprevedibili, sia nel breve che nel medio e lungo periodo. Probabilmente qualcuno di loro ha perfino letto Il ponte sulla Drina di Ivo Andric, e qualche sospetto dovrebbe averlo. Ma procedono ugualmente, guidati da Washington, dove sicuramente Andric nessuno lo conosce, sulla strada più pericolosa. 
L'argomento per mettere a tacere i critici è già pronto, ed è stato usato ripetutamente dal «negoziatore del fallimento», Martti Ahtisaari: «Se non accontentiamo Pristina succederà il finimondo» (traduci: le milizie mai sciolte dell'Uck ammazzeranno un certo numero di serbi, com'è avvenuto del resto in questi sette anni di occupazione Nato). Che equivale ad affermare - dopo aver creato Frankenstein - che non si è più in grado di fermarlo. Il che è anche una plateale bugia perchè non c'è ascesa più resistibile di quella di Thaqi, il cui ascensore ha funzionato solo perchè Stati Uniti ed Europa gli hanno dato corrrente. 
Ma procediamo nell'illustrazione del «piano di Lubjiana». Dopo la dichiarazione slovena infatti, è prevista una salva dei grossi cannoni, che vogliono essere comunque registrati nel libro paga come i veri protagonisti. E, quindi, senza lasciar passare un minuto di più, «nelle 48 ore successive», ecco arrivare alle agenzie i riconoscimenti di Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania. Vedremo se l'ordine sarà rispettato o ci saranno scavalcamenti servilistici dell'ultim'ora. Poi arriverà la «cascata di riconoscimenti», scrive estasiato il giornalista Usa. Ecco il riconoscimento americano, in quinta posizione ma primo degli extraeuropei. I simboli devono avere la loro parte. In ultimo ecco la fila dei vassalli, dei valvassori e dei valvassini: la Svizzera, l'Islanda (prima i piccoli), la Norvegia, la Turchia - che capitanerà il gruppo di Macedonia, Albania, Montenegro, Croazia, tutti aspiranti all'ingresso in Europa. Il tutto bene impacchettato per introdurre il riconoscimento in massa da parte dei 54 membri della Conferenza Islamica.
Insomma assisteremo a una vera e propria messa in scena teatrale, con tutte le parti già assegnate con largo anticipo. L'unica a non avere un ruolo è l'Onu, cui non si nega mai un inchino, salvo poi lasciarla da parte. Anche perchè là dentro c'è la Russia, che non è d'accordo. 
Ma anche a questo serve l'operazione Kosovo indipendente: a fare infuriare la Russia di Putin, non più amica e nemmeno simpatizzante. Atto intenzionale per moltiplicare il contenzioso con Mosca? Secondo ogni evidenza è proprio questo lo scopo. L'accelerazione sul Kosovo non era affatto necessaria, dunque perché provocarla? Neanche tutti gli europei ne erano e ne sono entusiasti. Perchè metterli in difficoltà? La risposta viene quasi automatica: perchè Washington ha tutto l'interesse a dividere e indebolire l'Europa, e a contrapporla alla Russia. 
L'idea dello scudo stellare americano da impiantare nella Polonia antieuropea dei fratelli Kaszinki, con dépendance del radar ceco, non ha forse lo stesso marchio di qualità? Si può fare torto ai dirigenti americani e alla loro intelligenza fino al punto di pensare che non ci avessero pensato? Impossibile. Dunque hanno deciso di fare quel gesto sapendo che avrebbe provocato a Mosca un reazione molto vivace e - cosa non meno importante- che avrebbe provocato altre lacerazioni in Europa. 
Classico doppio piccione con una sola fava. Un'Europa che si trova a fianco una Russia irritata è incline ad averne paura, per evidenti riflessi storici. E poichè non tutti gli europei hanno uguale paura della Russia, ecco apparire fenditure tra gli europei. Una parte dei quali sta facendo i conti energetici e non ha molta voglia di trovarsi senza gas e petrolio per avere ecceduto nella polemica sui diritti umani in Russia, seguendo gli Usa nella linea dei due pesi e due misure su cui hanno sempre menato il can per l'aia. Tanto meglio, infine, per una tale strategia, se la Russia, invece di reagire in modo differenziato e graduato a ogni mossa americana, si metterà a ringhiare indifferentemente a Europa e America facendo il gioco di Washington.
Detto e pesato tutto ciò, francamente risulta sbalorditivo che gli europei non si rendano conto che non solo questa è una rotta di collisione tra Russia e Usa, ma che anch'essi finiscono per esservi trascinati senza scampo. In verità alcuni capiscono, ma temono che, reagendo, finirebbero male le loro carriere. Gli altri eseguono come fedeli e silenziosi valletti. Ma gli uni e gli altri non sono capaci di tenere insieme tutte le incognite dell'equazione. Se fossero all'altezza dei loro compiti capirebbero che nel calcolo globale entra l'indebitamento spaventoso dell'America; entra il dollaro che cade; entra il fatto che questa America non firmerà niente nel dopo Kyoto e nel dopo Bali. Non lo farà Bush e nemmeno Hillary Clinton, se dovesse toccare a lei, perchè significherebbe mettere in causa l'"American Way of Life". 
Entra nel conto tutto, per cui la somma finale dovrebbe dire loro che su questa china si va in guerra, mentre l'Europa potrebbe almeno frenare. Ma per fare questo occorre una statura morale, oltre che politica, e qui mancano l'una e l'altra. E ci si riduce a sperare nella modesta rivolta dei «Servizi Segreti Americani Riuniti» (SSAR) per bloccare l'attacco contro l'Iran. Già stato deciso nel silenzio degli europei, rotto solo dalla trombetta enfatica di Sarkozi, povera Francia. La Cina e la Russia stanno a guardare e, quando capiranno che l'Europa non è una sponda, faranno da sole.


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http://www.voltairenet.org/article154207.html

Dernier acte de la conquête du Kosovo

Pristina : le « plan de Ljubljana est prêt »

par Giulietto Chiesa*


L’OTAN se prépare à faire tomber le masque et à admettre avoir conduit une guerre de conquête en ex-Yougoslavie : selon l’International Herald Tribune, l’indépendance du Kosovo et sa reconnaissance internationale sont imminentes. Pourtant, cette décision, orchestrée par Washington et jouée par les États membres de l’Union européenne, ne servira qu’à diviser les Européens et à les éloigner de la Russie, déplore le député européen italien, Giulietto Chiesa.

9 JANVIER 2008

Depuis
Rome (Italie)


Voici un exemple qui ne pourrait être plus limpide de la façon dont l’Europe s’est couchée devant la ligne des États-Unis d’Amérique, exécutante de leur volonté, courbée et succube. Souveraineté de la patrie, adieu. On annonce en effet un accord à moitié secret de Polichinelle qui permettra au Kosovo de proclamer unilatéralement son indépendance et d’être ensuite reconnu par les États européens, individuellement et collectivement, selon un plan soigneusement programmé. Naturellement tous ceux qui doivent savoir savent déjà, mais ce sont les Serbes qui ne doivent pas savoir. La magouille a été cuisinée expressément contre eux.

Le plan doit sortir en fait « dans les deux premiers mois de 2008 » (c’est l’ International Herald Tribune qui l’écrit le 13-12-2007), c’est-à-dire imédiatement après les élections serbes du 20 janvier et le ballottage du 3 février. « Après ». Parce qu’on espère de cette manière éviter une explosion de protestations nationales en Serbie. Peut-être, pense-t-on à Bruxelles, arrivera-t-on même à faire gagner les pro-occidentaux ; chose possible étant donnés les moyens de pression et de chantage dont l’Union européenne et la Russie disposent ; mais improbable, étant donnés les sondages électoraux à Belgrade) et l’on pourra ensuite plus aisément « réduire à la raison » des plus forts, euro-occidentale, les nouveaux leaders de la Serbie.

L’idée n’est pas neuve et pourrait mal finir, mais ça n’a pas beaucoup d’importance. Les Serbes sont collectivement coupables et donc on peut y aller grossièrement, bien certains qu’on pourra de toutes façons les écraser, avec l’accord de toutes les chancelleries. Après tout, on les a bombardés en 1999, donc on continue. Mais les petites fourberies dont le projet est agrémenté sont diverses et nombreuses, et décrivent, par elles même, la stature de ces gouvernants européens actuels. De fait la chance veut que depuis le 1er janvier la présidence de l’UE revienne à la Slovénie, le premier des États qui se soit détaché de la Fédération yougoslave. Donc, avec une perfidie rare, ce sera à la Slovénie de faire le premier geste de reconnaissance formelle de l’indépendance du Kosovo. Pas en son nom propre mais collectivement.

Dès que Hashim Thaçi (le mercenaire-égorgeur de l’UCK, armé par les USA, fabriqué pour attirer l’Europe dans le piège de la guerre contre l’ex-Yougoslavie) proclamera l’indépendance, la Slovénie aura la charge de convoquer en hâte les ministres des Affaires étrangères européens et de formuler le premier message de bienvenue choral des nations civilisées à un nouvel État mono-ethnique qui devient indépendant (si on peut dire). De cette façon l’Union Européenne pourra succéder à l’ONU dans l’administration des fonctions internationales de contrôle. Ceci —selon le journal déjà cité— devrait arriver entre juillet et août 2008.

Le plan devrait apparaître comme œuvre du gouvernement slovène, de façon à le faire apparaître comme une initiative « du bas », pour, aussi, alléger de leurs responsabilités les gouvernements européens majeurs, en minimisant ainsi – comme ils l’espèrent- les risques d’une « nouvelle crise des Balkans ». Ils savent donc bien, que ce faisant, les Européens sont en train de se fabriquer chez eux les prémices de gros ennuis aux conséquences imprévisibles, que ce soit à brève, comme à moyenne et à longue échéance. Probablement quelqu’un d’entre eux aura-t-il même lu Il ponte sulla Drina (Le pont sur la Drina) d’Ivo Andric, et devrait avoir quelque soupçon. Mais ils continuent de façon identique, conduits par Washington —où à coup sûr personne ne connaît Andric— sur la voie la plus périlleuse.

L’argument pour faire taire les critiques est déjà prêt, et a été utilisé de façon répétée par le « négociateur de l’échec », Martti Ahtisaari : « Si nous ne contentons pas Pristina ce sera la fin du monde » (traduire : les milices jamais dissoutes de l’UCK massacreront un certain nombre de Serbes, comme c’est du reste arrivé pendant ces sept années d’occupation OTAN).Ce qui revient à affirmer —après avoir créé Frankenstein— qu’on n’est plus en mesure de l’arrêter. Grossier mensonge, car il n’y a pas d’ascension plus résistible que celle de Thaçi, dont l’ascenseur n’a fonctionné que parce que les États-Unis et l’Europe lui ont fourni le courant.

Mais poursuivons dans l’illustration du « plan de Ljubljana ». Après la déclaration slovène, en fait, est prévue une salve des gros canons qui veulent être enregistrés de toutes façons sur le livre de paye par les vrais protagonistes. Et donc, sans perdre une minute, « dans les 48 heures qui suivent » voilà qu’arrivent aux agences les reconnaissances de la Grande-Bretagne, de la France, de l’Italie et de l’Allemagne. Nous verrons si l’ordre est respecté ou s’il y aura des bousculades serviles de dernière heure. Ensuite arrivera la « cascade de reconnaissances », écrit extasié le journaliste étasunien. Voici la reconnaissance US, en cinquième position mais première des extra-européens. Les symboles ont leur rôle à jouer. En dernier, la file des vassaux, vasseurs et vavasseurs : la Suisse, l’Islande (première des petits) la Norvège, la Turquie – qui chapeautera le groupe de Macédoine, Albanie, Monténégro, Croatie, tous aspirants à l’entrée dans l’Europe. Le tout bien emballé pour introduire la reconnaissance en masse de la part des 54 membres de la Conférence Islamique.

Nous assisterons, en somme, à une véritable mise en scène de théâtre, où tous les rôles sont déjà attribués de façon largement anticipée. La seule à ne pas avoir de rôle est l’ONU, à qui on ne refuse jamais une courbette, à condition de la laisser de côté. Parce que, il y a là-dedans la Russie, qui n’est pas d’accord.

Mais c’est à cela aussi que sert l’opération Kosovo indépendant : à faire enrager la Russie de Poutine, qui n’est plus amie et pas même sympathisante. Acte international pour multiplier le contentieux avec Moscou ? Selon toute évidence c’est justement là l’objectif. L’accélération sur le Kosovo n’était pas du tout nécessaire, donc pourquoi la provoquer ? Tous les Européens n’étaient pas et ne sont pas enthousiastes. Pourquoi les mettre en difficulté ? La réponse vient presque automatiquement : parce que Washington a tout intérêt à diviser et affaiblir l’Europe, et à l’opposer à la Russie.

L’idée du bouclier de missiles états-uniens à implanter dans la Pologne anti-européenne des frères Kaszinski, avec dépendance du radar tchèque, n’a-t-elle peut-être pas la même marque de qualité ? Peut-on faire injure aux dirigeants étasuniens et à leur intelligence au point de penser qu’ils n’y auraient pas pensé ? Impossible. Donc, ils ont décidé de faire ce geste en sachant qu’il aurait provoqué à Moscou une réaction très vive et —chose non moins importante— qu’il aurait provoqué d’autres lacérations en Europe.

Une pierre deux coups. Classique. Une Europe qui se retrouve avec une Russie irritée à côté d’elle est encline à en avoir peur, par d’évidents réflexes historiques. Et comme tous les Européens n’ont pas une peur égale de la Russie, voilà qu’apparaissent des lézardes entre eux. Dont une part d’entre eux est en train de faire ses comptes énergétiques, et n’a pas une grosse envie de se retrouver sans gaz et pétrole pour en avoir un peu trop fait dans la polémique sur les Droits de l’homme en Russie : suivant en cela les USA dans la ligne des deux poids deux mesures pour laquelle ils ont toujours joué les prolongations. Bonne affaire, finalement, pour cette stratégie, si la Russie, au lieu de réagir de façon différenciée et graduelle à chaque coup, se met à grogner indifféremment contre Europe et les USA en faisant le jeu de Washington.

Tout ceci étant dit, on reste franchement abasourdi que les Européens ne se rendent pas compte que non seulement cette voie est celle de l’affrontement entre Russie et USA, mais qu’eux aussi finissent par y être entraînés sans issue. En vérité certains comprennent, mais craignent que, s’ils réagissent, ils ne finissent mal leurs carrières. Les autres poursuivent en valets fidèles et silencieux. Mais les uns et les autres sont incapables d’envisager l’ensemble des inconnues de la situation. S’ils étaient à la hauteur de leur tâche ils comprendraient que, dans le calcul global, entre en ligne de compte l’endettement épouvantable des USA ; le dollar qui est en chute ; le fait que cette Amérique ne signera rien dans l’après Kyoto et dans l’après Bali. Bush ne le fera pas, et Hillary Clinton non plus, si ce devait être son tour, parce que cela signifierait mettre en question l’ « American Way of Life ».

Tout entre en ligne de compte ; en quoi la somme finale devrait leur dire que sur cette pente on part à la guerre, alors que l’Europe pourrait au moins freiner. Mais pour ce faire il faut une stature morale, en plus de politique, et l’une et l’autre manquent, ici.

Et on en est réduit à espérer dans la modeste révolte des « Services Secrets États-uniens Réunis » (SSER) pour bloquer l’attaque contre l’Iran. Déjà décidé dans le silence des Européens, seulement rompu par la petite trompette emphatique de Sarkozy, pauvre France. La Chine et la Russie regardent et, quand elles comprendront que l’Europe n’est pas un garde-fou, elles se débrouilleront toutes seules.



Parlamentario europeo y periodista. Italia



L'UNICO AGENTE DELLA C.I.A. CHE PAGA PER ESSERLO, ANZICHE' ESSERE PAGATO


(su Giuliano Ferrara agente della CIA si veda:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2555 )


http://www.megachip.info/modules.php?
name=Sections&op=viewarticle&artid=5562

Ferrara è molto intelligente solo in Italia. In Francia viene
condannato per violazione del diritto d'autore - 8-1-08
di Marco Travaglio - da l'Unità

Con tutte le baggianate che dice, sempre comunque accreditate di
grande intelligenza, vien da chiedersi che ne sarebbe di Giuliano
Ferrara in un paese serio, cioè diverso dall'Italia. Una risposta
giunge dalla Francia, dove il Molto Intelligente è stato appena
condannato in appello (e dunque in via definitiva) dal Tribunal de
Grande Instance di Parigi per contraffazione di opera d'ingegno e
violazione del diritto d'autore ai danni di Antonio Tabucchi.

Il fatto risale all'ottobre 2003, quando Tabucchi inviò un articolo a
Le Monde, ma se lo vide pubblicato, in anteprima e
senz'autorizzazione, sul Foglio (un correttore di bozze del
quotidiano parigino l'aveva inviato per amicizia a Ferrara, senza
prevedere che questi l'avrebbe fregato e messo in pagina).

Ora Ferrara dovrà sborsare 34mila euro in tutto: 10mila di multa allo
Stato francese, più 3mila per aver appellato temerariamente la
condanna di primo grado; 12mila di danni a Tabucchi; 9mila per
finanziare la pubblicazione della sentenza su Le Monde, Le Figaro e
Libération. Naturalmente, se Ferrara avesse vinto la causa, la
notizia sarebbe uscita su tutti i giornali. Invece l'ha persa, dunque
silenzio di tomba. Ma l'aspetto più interessante del processo non è
la sentenza. È l'incredulità dei francesi - giudici, avvocati e
giornalisti - di fronte a quel che dice Ferrara. Anzi, di fronte a
Ferrara tout court, che al di là del Monginevro è visto come un
fenomeno da baraccone. Il suo interrogatorio in tribunale è uno
spettacolo da far pagare il biglietto.

Nell'articolo rubato, Tabucchi ricordava i trascorsi di Ferrara come
informatore prezzolato della Cia. Il giudice domanda all'interessato
se la cosa sia vera. Ferrara risponde che sì, fu lui stesso a
rivelarlo sul Foglio. Ma era una balla, che lui chiama
«provocazione»: tant'è che ¬ aggiunge ¬ non ci sono le prove. La
nuova frontiera del giornalismo da lui inaugurata - spiega -
prescinde dalla verità. Figurarsi la faccia dei giudici parigini
dinanzi a questo «giornalista» ed ex ministro italiano che si vanta
di raccontare frottole sulla propria vita e aggiunge: trovate le
prove di quel che scrivo, se ne siete capaci.

Lo condannano su due piedi. Lui ricorre in appello, eccependo fra
l'altro sulla competenza territoriale del Tribunale parigino, manco
fosse Previti o Berlusconi al Tribunale di Milano. Eccezione respinta
con perdite. Quanto al merito, ricordano i giudici di seconda
istanza, il Molto Intelligente è colpevole per definizione: «Il 4
novembre 2006 Ferrara veniva interrogato e sosteneva che in Italia è
usanza giornalistica pubblicare documenti senza autorizzazione per
rispondere a essi senza che la cosa comporti una contraffazione».

Dopo aver finito di ridere, i giudici ribattono che pubblicare sul
Foglio un articolo destinato a Le Monde «senza il consenso
dell'autore né di Le Monde costituisce a pieno titolo contraffazione»
e «non è seriamente sostenibile che un delitto di contraffazione sia
legittimato da una sorta di diritto di replica preventivo rispetto
alla pubblicazione».

Ferrara, se voleva replicare a Tabucchi, doveva attendere che
l'articolo uscisse su Le Monde. Il Tribunale aggiunge sarcastico che
una diversa «eventuale usanza italiana, ammesso che esista, non si
applicherebbe comunque al diritto francese». E conclude sottolineando
«la piena consapevolezza che l'imputato (Ferrara, ndr) aveva del suo
delitto e del cinismo con cui l'ha commesso», ergo «va dichiarato
colpevole dei fatti a lui addebitati». Insomma: certi sofismi,
furbate e corbellerie Ferrara li vada a raccontare agli italiani, che
hanno smarrito il senso del pudore, della decenza e della vergogna.

In Francia non attaccano. Infatti, riportando la sentenza, il Nouvel
Observateur descrive Ferrara come nemmeno un giornale di estrema
sinistra oserebbe dipingerlo. Cioè per quello che è: «maschera della
tv trash», «specializzato nella denigrazione di chi si oppone a
Berlusconi» e nel «servilismo giornalistico» che gli è valso la
direzione di Panorama e del Foglio, sempre «indipendente come si può
essere quando l'editore è la moglie di Berlusconi».

Nessun accenno alla sua grande intelligenza. In controtendenza con la
fuga dei cervelli dall'Italia, quello di Ferrara all'estero non lo
nota nessuno. Non pervenuto.


JUGOSLAVENSKI GLAS (Svakog drugog utorka na Radio Citta' Aperta)

Emisija je u direktnom prijenosu. Moze se pratiti  i preko  Interneta: 

Kratke intervencije na telefon +39-06-4393512.
Pisite nam na jugocoord@tiscali .it, ili fax  +39-06-4828957.
Trazimo zainteresirane za usvajanje djece na daljinu, t.j. djacke stipendije za djecu prognanika.Podrzavajte ovaj slobodni glas "Od Triglava do Vardara....",kupovanjem knjiga, brosura, video kazeta koje imamo na raspolaganju. ;

                            


VOCE JUGOSLAVA  (Ogni secondo martedi')

su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio. Si può seguire, come del resto anche le altre trasmissioni della Radio,  via Internet:

La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità) ed in diretta. Brevi interventi telefonico allo 06-4393512.
Sostenete questa voce libera e indipendente acquistando video cassette, libri, bollettini a nostra disposizione; In difesa della Jugoslavia, Il dossier nascosto del "genocidio" di SREBRENICA, cd "Partigiani", video cassette; Kosovo 2005, Fascist legacy.....

Scriveteci all'indirizzo email: jugocoor@tiscali .it, tel/fax 06-4828957. 

U studiju sa Eleonorom                                    Con Eleonora in studio

Program                             8. I. 2008              Programma

Datumi da se ne zaborave                                         Date da non dimenticare

 

"Od Triglava do Vardara..."                              "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."                                                        

 

O Kosmetu da ti pojem...                                 Del Kosmet (Kosovo e Metohija 

                                                                   

Apel Talijanskoj vladi, potpisan od                     Appello - L' Italia non legittimi azioni
predstavnika talijanskog Senata                        unilaterali in Kosovo

 

"Skupstina robova" - Kritika                             "L' Assemblea degli schiavi" di S.
S. Mirkovica Srpskoj vladi                                Mirkovic. Critica al Governo serbo



Celebrato il 15esimo anniversario del massacro di 49 civili serbi a
Kravice

www.glassrbije.org
Notizie Radioyu
05. gennaio 2008. 17:46

Con il parastos, la messa funebre in suffragio dei defunti, nella
chiesa dei Santi apostoli Pietro e Paolo a Kravice vicino Bratunac
nella Repubblica serba e’ stato celebrato il 15esimo anniversario del
massacro di 49 civili serbi che sono stati uccisi al Natale ortodosso
il 7 gennaio del 1993 dalle forze musulmane. In questo attacco 86
civili sono stati feriti. L’attacco contro Kravica e’ stato eseguito
dalla 28esima divisione dei musulmani guidata da Naser Oric, la quale
nel maggio del 1992 ha cominciato a massacrare i civili serbi. Nelle
zone centrali intorno al fiume Drina sul confine con la Serbia in due
anni sono stati uccisi piu’ di 3.500 civili serbi, ha ricordato nel
suo discorso il presidente dell’Associazione dei militari della
Repubblica serba Pantelija Curguz. Al parastos a Kravice non
presenziava nessuno dei rappresentanti della comunita’ internazionale.


AUSTRIA TO RECOGNIZE ETHNIC SECESSION ONCE MORE


(Il cancelliere austriaco Gusenbauer annuncia che l'Austria sarà tra i primi paesi a riconoscere la "indipendenza" del Kosovo.
Che novità!! L'Austria fu tra i primissimi paesi a benedire i secessionismi su base etnica con i quali, nel 1991, si volle massacrare la Jugoslavia; ma la vendetta per l'assassinio di Franz Ferdinand evidentemente non è ancora completa...
Articolo segnalato da Rick Rozoff su yugoslaviainfo @yahoogroups.com)



Tanjug News Agency (Serbia) - January 4, 2008

Gusenbauer brushes off Serbian criticism 


VIENNA, BELGRADE - Austrian Chancellor Alfred
Gusenbauer has rejected Serbia’s criticism for his
views on Kosovo independence.

Belgrade submitted an official protest following
Gusenbauer’s announcement that Austria would be among
the first countries to recognize Kosovo independence. 

The Austrian chancellor said that the reaction was
merely part and parcel of the ongoing Serbian election
campaign. 

He reiterated that Austria would not wait for other
countries to recognize the province’s independence,
but underlined that "as far as Kosovo is concerned,
the ball is still in the UN Security Council’s court."

Speaking in the town of Hirschwang, where his Social
Democratic Party of Austria is holding a conference,
Gusenbauer stressed that Austria would monitor the
process, and take a decision in a timely manner and
"not wait for other countries to act." 

"Austria once again aspires to redraw borders in
Balkans"

“Judging by Chancellor Gusebauer’s statement, we may
conclude that Austria once again aspires to interfere
and redraw borders in the Balkans. However, those days
are long gone and cannot be repeated,” read a
statement given to Tanjug by Prime Minister Vojislav
Koštunica’s office. 

"It is true that superpowers, such as the United
States, have announced that they will recognize
unilateral independence, but the Austria of today can
only state that it will do so under pressure from this
super power. That is Austria’s realistic position
today," it continued. 

“Chancellor Gusenbauer’s statement confirms that
Austria openly and directly supports the undermining
of Serbia’s sovereignty and territorial integrity by
changing its internationally recognized borders,” the
statement concluded. 




Thought Leader (South Africa)

December 8, 2007

No independence for Kosovo

Grant Wallisher


The imminent independence of the province of Kosovo
from Serbia is at present the topic of hot debate and
flaring tempers up north. 

The United States and many European nations are
solidly backing the call for an independent Kosovo,
while Serbia and her long-time ally Russia are
vociferously against such a move. The pro-independence
faction cites democracy and an end to ethnic and
religious tensions as the main reason for taking its
stance, and views Russia’s opposing view as
muscle-flexing and backing a long-time friend and ally
in Serbia.

While there is much to be said for the merits of a
fluffy democracy being patched together from a
war-ravaged region, the motives of the
pro-independence lobby do not appear to be any more
sincere than they were when it invaded Iraq to
liberate its people and find those weapons of mass
destruction to save us all from certain doom. To push
Serbia into accepting the loss of a sizeable chunk of
its sovereign territory without actually being
sensitive to the history and the implications would be
to create another Israeli-Palestinian conflict right
on Europe’s doorstep.

The history of Kosovo, and the Balkans in general, is
complex, bloody, much manipulated and a subject often
devolving into fierce argument. However, the generally
agreed facts are:

Slavic tribes comprising the nucleus of people that
became the modern Serbs moved south and settled the
lands of present-day Serbia and Kosovo during the
fifth and sixth centuries BC. That means that Serbs
have been present there for more than 1,400 years. 
Albanians as a collective people were first recorded
in 1043, in Greece and not Kosovo, roughly 500 years
after the Serbs had settled the area. Efforts to place
them as a people in Kosovo using linguistic techniques
before this time have ended in pure speculation. 

Roughly speaking, Serbs controlled Kosovo for the next
800 years before losing a major battle in 1389 on
Kosovo soil to the Turks of the Ottoman Empire, a
solemnly infamous battle in Serbian history. 

There is some record of Albanians fighting on the
Serbian side in the battle, but whether they came from
present-day Albania or Kosovo is not known. At this
time fewer than 2% of the farms and homesteads in
Kosovo were Albanian by census. 

During Ottoman rule, the majority of Albanians and a
few Serbs converted to Islam to avoid paying
oppressive taxes, but most Serbs were driven wholesale
from Kosovo and by the end of the 19th century, the
Albanian population eventually outnumbered the Serbian
population in the region for the first time. 

During the Balkan wars of 1912, Serbia again gained
control over its long-lost province of Kosovo, then
promptly lost it when the Albanians in the region
sided with the central powers in World War I and drove
it out again. The Serbs then took control after the
war and were promptly driven out by Albanian fascist
forces that sided with Germany and Italy in World War
II. During the war, thousands of Serbs were killed by
the Albanian army — more than 100,000 were driven out
of Kosovo and actively replaced by ethnic Albanians
from Albania as part of that government’s policy to
dominate Kosovo ethnically. 

That is an event that happened in living memory for
many older Serbs in the 1990s. After the war, Kosovo
became a Serbian province yet again and part of
Yugoslavia. 

Under Tito, Kosovo was given federal autonomy in order
to weaken Serbia and thus strengthen Yugoslavia.
Albanian numbers increased rapidly to the point where
today they represent 90% of the population. Albanians
used various tactics, including violence and protests,
to push constantly for an independent,
Albanian-controlled state. 
....
European negotiators actually brokered a ceasefire
during the Kosovo war that was promptly broken by the
Albanian KLA (Kosovo Liberation Army) while Serbian
forces were retreating. 

That brought new Serbian reprisals. 

Nato began bombing Serbian positions in Kosovo and
eventually key strategic targets in Serbia and
Montenegro, one of the most famous of which was a
“stray” bomb that flattened the Chinese embassy on the
outskirts of Belgrade, the shell and rubble of which
can still be seen today among apartment blocks. 

Since the end of the war, the UN has administered
Kosovo. 

Hundreds of thousands of Kosovo Serbs have fled Kosovo
for Serbia after Albanian ethnic violence against them
and the burning of Serbian Orthodox churches and
homes. 

The UN is largely impotent in containing regular
Albanian reprisals against the Serbian population
living in Kosovo today. 

While this is a much-summarised history, I think it
presents a few interesting points for debate. 

Firstly, one should perhaps modify the view of the
much-maligned Serbs being the only bad boys in this
nasty spat....

It would seem that the Nato bombing campaign needed a
“baddie” to appear justified, and the Serbs fitted the
bill nicely at the time. 

The Western media played ball and what was actually a
simple decisive strategic action to end war being
waged too close for comfort to European borders became
the usual good-versus-evil Star Wars fodder dished up
to us by US broadcasters. 

This has placed the Serbs on to the moral low ground
during the current negotiations for Kosovo. How
differently we would have looked at this if the
snapshot were taken during World War II when the
Albanians were bedfellows of the Germans and Italians
and engaged in their own campaign of ethnic cleansing
just 60 years ago.

Within that argument lies embedded the deeper issue:
Should Kosovo be granted its independence and on what
grounds? 

Anyone on the ground knows that independence means
Albanian control, a probable coalition with Albania
itself and hellish reprisals against the last 100,000
Serbs living in the region as soon as Nato moves out. 

Of course it is an extremely attractive proposition
for the Nato countries patrolling the area. They could
extricate themselves from the mess into which they
bombed themselves, claim to have installed a
democracy, stop paying aid and separate the Serbs and
Albanians for good. It’s attractive too for the
Albanian majority who get control of territory they
have been fighting over for hundreds of years. 

What of the Serbs, though? They clearly have a strong
legitimate historical claim to the territory, the
territory is still a province of Serbia, the Nato
invasion and occupation of sovereign territory was a
breach of international law and external powers are
now deciding that Serbia’s national and religious
homeland will be removed regardless of their thoughts
on the matter. 

It would appear they have a right to be concerned
about the events in progress when you review the
facts. 

Enter Russia. It is looking past the emotive issues
and is worried about precedent. If Kosovo is
successful in its independence struggle, it will set a
precedent and give hope to regional minorities the
world over that they too can win their autonomy and
govern themselves. Russia is up to its eyeballs in
candidates there! It would seem it is thinking further
ahead than Europe and the US are.

Notable exceptions to the Nato voice include Spain. 

The Spanish are concerned about independence claims in
its Basque region. What about Sri Lanka, the Congo,
Sudan, Indonesia, India (Oranje?) and countless other
regions with minority groups pushing for independence?
All have the same potential problem and that does not
even begin to address the growing issue of rapidly
increasing minority populations in parts of Western
Europe and the US. 

How would the US react, for example, if Florida
declared its independence in 2020 because it had a
majority Spanish-speaking population that aligned
itself more with Castro than Bush? No different to the
Serbian situation in theory, perhaps, but would it
apply the same precedent and allow the independence it
is pushing so hard for in Kosovo? I somehow think not.

Independence for Kosovo is looking like a hasty Nato
patch-job for a prickly problem, and rather than fix
the mess it could create a whole new era of
instability, not just in Kosovo but also the world in
general. There must be a possible compromise, perhaps
involving a partition of Kosovo that includes
important religious and historical sites being
incorporated into Serbia and similar concessions made
for the Albanians. 

Alternatively, federal autonomous control but not
independence has already been extended by Serbia to
Kosovo but rejected outright as a solution by the
Albanians, who sense that they can gobble up the whole
cake so why accept a slice? 

It seems reasonable, given the history and the
investment by both sides, to revisit this idea. This
proposal also has merit when you consider that
Kosovo’s economy is largely dependent on Serbian
consumption for its survival and the reality for
Kosovo, should it break away, could be economic
collapse.

Whatever the final outcome, it is sure to set minds
and wheels in motion around the world. The turbulent
Balkans might even hold the key to future European and
global stability as they so often have in the past.
It’s not the time for a Band-Aid when stitches are
required.