Informazione



www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 20-12-07 - n. 208


Kosovo: Un’altra guerra nei Balcani?


Dall’indipendenza tutelata alla violenza senza tutela

Andrej Grubacic - Znet
18/12/2007

Recentemente ho ricevuto parecchia corrispondenza che mi chiedeva se ci sarà un’altra guerra nel Kosovo. Quest’articolo vuole rispondere a quelle domande.

Quali sono gli ultimi fatti circa il futuro del Kosovo? Secondo la BBC i mediatori fra Kosovo e Serbia sono giunti alla conclusione che non ci può essere un accordo sullo status finale del Kosovo.

Quali sono questi mediatori? I media dominanti li chiamano “la troica” : UE, USA e Russia.

La “troica” dopo 120 giorni di lavori passati a decidere della sorte di serbi, albanesi e rom che vivono in Kosovo, non è riuscita ad imporre un “accordo” per risolvere l’imminente crisi di quella regione. Ricordo ai lettori che il Kosovo è ancora una provincia serba, per lo meno secondo il diritto internazionale. E’ stato “liberato” nel 1999 durante la prima guerra della Nato, un intervento umanitario con l’obiettivo di promuovere la democrazia in quella parte semi - barbara del mondo, quella a cui i vicini europei occidentali si riferiscono, a volte, come all’Europa Selvaggia.

La democrazia stabilitasi recentemente è un protettorato coloniale che ospita basi militari statunitensi e prigioni simili a quella di Guantanamo, utilizzate per interrogatori nella “guerra contro il terrore”. I serbi e rom che rimangono sono periodicamente sottoposti a “pulizia etnica” o rinchiusi in remote enclavi. I rom vivono per lo più in campi eretti su terreni contaminati. Il governo coloniale ha scacciato i rom da tre campi per sfollati costruiti su siti tossici per piazzarli in un campo al nord di Mitrovica, abbandonato dai francesi a causa della contaminazione da piombo. Vivono terrorizzati, aspettando la prossima azione del governo albanese.

Il governo albanese di Hashim Tachi, famoso criminale di guerra dell’UCK (ELA) ed uno dei dirigenti del cartello criminale del Kosovo, ha minacciato di dichiarare in modo unilaterale l’indipendenza dopo l’intervento dell’ONU. Le sue minacce sono appoggiate dalle dichiarazioni dei governi di USA, Regni Unito, Germania, Francia e Italia, che insistono perché la comunità internazionale (e questa comunità è davvero internazionale, personifica gente internazionale estranea al Kosovo che decide sulla vita della gente del Kosovo) “deve onorare le sue responsabilità nei confronti del Kosovo” Il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, ha accusato d’impazienza i suoi soci di negoziato: “Sfortunatamente, i nostri soci occidentali bloccano i negoziati dicendo che l’indipendenza del Kosovo è inevitabile”. Il portavoce della Nato, James Appathurai, è stanco di parlare: Il punto di vista della Nato è che “il processo dovrebbe muoversi ora, e .. dovrebbe essere un movimento di soluzione.” Il tenente colonnello Grossmann della K- FOR dice che “la Nato rimarrà qui il tempo necessario, fino a quando la comunità internazionale lo ritenga necessario per risolvere questo conflitto.” La Nato come rimedio a questo conflitto? Nella sua reazione a questo “mezzo adeguato” Aleksandar Simic, consigliere del primo ministro Vojislav Kostunica, ha detto ai media che la Serbia ha il diritto legale di usare la guerra come mezzo per difendere il suo territorio se il Kosovo dichiara l’indipendenza. Questo ha molto contrariato Sua Eccellenza Wolfgang Ischinger, membro europeo della troica ..”Come si permette Simic! Sua Eccellenza ha dichiarato ai giornalisti “E’ inammissibile e intollerabile che di fronte alla troica una delle parti si esprima in questo modo” Ma è interessante che non consideri inammissibile e intollerabile che gli inviati della comunità internazionale e della Nato dicano che l’indipendenza del Kosovo è “imminente”.

E non parla nemmeno di Thaci, che ha assicurato alla UE e a Washington che lui, impulsivo com’è, ha cambiato opinione e attenderà ancora qualche riunione della comunità internazionale, ma dichiarerà l’indipendenza, al più tardi, all’inizio del nuovo anno.

Il presidente albanese del Kosovo, Fatmir Sejdiu, ha detto anche lui che l’indipendenza del Kosovo sarà una cosa che avverrà in modo molto rapido, ma non ha fornito una data precisa.

Il governatore coloniale del Kosovo, Joachim Rucker, è sicuro che il popolo della regione è maturo a sufficienza per lasciare che lavorino i meccanismi internazionali. Probabilmente si riferisce alla prossima conferenza della UE a Bruxelles, il 14 dicembre, da cui si aspetta un segnale di appoggio dalla maggioranza di Stati. E’ anche probabile che alla Serbia venga offerto un “incentivo”, una promessa circa l’ingresso nell’Unione Europea.

Si può anche dire, senza paura di sbagliarsi, che attaccheranno i serbi ed i rom del “nord serbo” del Kosovo, così come capiterà alle enclavi al centro e al sud della regione. Seguirà un nuovo ciclo di violenza etnica, ed il Kosovo, “il crogiolo del conflitto che più divide l’Europa nella storia recente” farà scoppiare un conflitto regionale vero e proprio. Il Gruppo Internazionale di crisi, che è totalmente a favore dell’indipendenza del Kosovo, ha espresso la sua preoccupazione di fronte ad un possibile “processo di indipendenza senza supervisione, probabilmente violento”. E’ importante segnalare che l’indipendenza che promettono agli albanesi del Kosovo è una “indipendenza tutelata”. Questo significa che l’indipendenza degli albanesi sarà tutelata e limitata da un cosiddetto Rappresentante Civile Internazionale, e appoggiata su di una forte presenza militare internazionale (ciò che in tempi di maggiore onestà si chiama: occupazione).

La mia risposta, l’unica che posso dare, alla domanda se ci sarà un’altra guerra tra la Nato e la Serbia e tra gli albanesi del Kosovo e le minoranze, è sì. Ci sarà un’altra guerra. Se la “comunità internazionale” con il suo esercito e il suo apparato coloniale, non permette che albanesi, serbi e rom decidano da soli il loro futuro, la guerra, o per lo meno, la “violenza localizzata” (e internazionalmente supervisionata) e un’altra ondata di pulizia etnica di serbi e rom, saranno inevitabili. L’unica possibilità per la pace nei Balcani è la fine dell’occupazione dei Balcani. In Kosovo come in Bosnia, i signori europei e statunitensi, le ONG “umanitarie” internazionali, i benamati membri della comunità internazionale, facciano il favore di andarsene! E non si dimentichino di portare con sé i giornalisti della BBC!

*Andrej Grubacic è uno storico anarchico e scrive per Znet sui Balcanes. Fa parte del collettivo post - yugoslavo “Lotta per la a libertà”, della rete "Global Balkan" e del consiglio editoriale della rivista Balkan Z. Per contatti: zapata@... http://www.zmag.org/sustainers/content/2007-12/10grubacic.cfm

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org di FR



(english / deutsch / français / italiano)


Dal Kosovo al Belgio. La dissezione (germanica) dell'Europa (1/2)


1) Anschlusspläne / Accession Plans
"... The ongoing current government crisis in Brussels is provoking discussions of
secession projects in Belgium's Germanophonic eastern cantons (...) The Germanophonic
community (DG), an administrative conglomeration, representing the 70.000
Germanophonic minority around Eupen and St. Vith (...) It has its own parliament and its
own government. Questions are being raised about the DG's future - if Flanders separates
from Wallonia. (...) "If Belgium splits, we, of course, have to keep all options open" ..."
(GFP 2007/12/11)

2) Das Ende von Belgien?
Kleinstaaten für das internationale Kapitalmonopol: Wie die »Zeitung für Deutschland« die
Landkarte Europas neu zeichnet
Von Andreas Wehr (junge Welt - 31.12.2007)

3) La Vallonia è preoccupata per le conseguenze dell'indipendenza kosovara
(Radio Serbia 13 dicembre 2007)

4) Hotbeds of separatism in modern Europe
Experts have calculated that in the 21st century more than 10 new states may emerge in
Europe
Russian Information Agency Novosti - December 19, 2007

5) Opponents of Kosovo Independence Fear Separatist Reaction
Will an independent Kosovo give rise to separatist movements elsewhere?
Deutsche Welle - December 11, 2007

6) Kosovo independence seen fueling nationalist movements in EU
EU Business - December 11, 2007


VEDI ANCHE / SEE ALSO:

Le foto della manifestazione per l'unità del Belgio /
Manifestation pour l'unité de la Belgique à Bruxelles, 18 novembre 2007
http://www.ptb.be/fr/nouvelles/article/manifestation-pour-lunite-de-la-belgique-a-
bruxelles.html

E' la fine del Belgio?
Un drammatico ma significativo allarme sui progetti di destrutturazione sociale e statuale
della borghesia nel cuore dell'Europa
di Herwig Lerouge
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5705

The End of Belgium?
Door Herwig Lerouge
http://www.pvda.be/nl/nieuws/article/the-end-of-belgium.html

Belgique - Transferts Flandre-Wallonie: mythes et vérités
« Séparer le pays ? Non, mais il faut arrêter les transferts d'argent de la Flandre vers la
Wallonie», entend-on souvent au Nord du pays. Enquête sur les chiffres.
David Pestieau & Herwig Lerouge - http://www.solidaire.org/ mardi, 4 septembre 2007
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2007-09-
09%2015:51:02&log=invites

An uncertain future
The year that was: As an enlarged EU searched for a raison d'etre, Belgium spent much of
this year struggling with its own identity crisis
Khaled Diab, The Guardian, December 26, 2007
http://commentisfree.guardian.co.uk/khaled_diab/2007/12/an_uncertain_future.html

German "Imperium" Europe
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56041
http://www.freenations.freeuk.com/gc-63.html
Deutsches Imperium Europa
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56679
L'Europe, empire allemand
http://www.german-foreign-policy.com/fr/fulltext/55940


=== 1 ===

(Der folgende Artikel ist auch auf Deutsch zu lesen:

Anschlusspläne
11.12.2007 - Angesichts der anhaltenden Regierungskrise in Brüssel werden
Sezessionspläne für die deutschsprachigen Ostkantone Belgiens diskutiert...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57099 )


http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/56118

Accession Plans

2007/12/11


BRUSSELS/EUPEN/DUESSELDORF/BERLIN (Own report) - The ongoing current government
crisis in Brussels is provoking discussions of secession projects in Belgium's
Germanophonic eastern cantons. If the two large regions in Belgium, Flanders and
Wallonia, really separate, why should the Eupen and St. Vith region not reorient itself - is
a question being raised among the 70.000 Germanophones in eastern Belgium, who are
also discussing their region's possible accession to Luxemburg or Germany. Intensive
preparations by Germany's North Rhine-Westphalia, in close cooperation with the
Germanophonic administration in eastern Belgium, point toward the German option. The
two regions initiated new forms of cooperation last summer. Flemish separatism is at the
root of Belgium's current government crisis and could, eventually, lead to a breakup of the
country. In the past, Flemish separatism was strongly influenced by an anti-French
alliance with a westward spreading German hegemonic policy. Berlin's objective was
always to roll back French influence on its western neighbor.

Government Crisis

Belgium's current government crisis which has persisted for several months began during
coalition negotiations following the June 10, 2007 legislative elections, that were won by
Yves Leterme, from the conservative Partei Christen Democratisch en Vlaams (CD en V).
His efforts to form a government alliance failed because of demands advanced by Dutch
speaking Flanders. For years Flemish forces, demanding a halt to the flow of tax money
from this wealthier northern region to the poorer French-speaking region, Wallonia, have
been gaining strength. Included among them are also those seeking the secession of
Flanders from Belgium. Flemish separatism has its base in influential milieus. This year -
with the aid of the Nieuw-Vlaamse Alliantie (N-VA) political party - it was able to enter an
electoral alliance with the conservatives (CD en V), and play an important role in the
coalition negotiations. But the Wallonian partners in the negotiations refuse to meet the
demands to transfer powers from the central government in Brussels to regional
governments, as raised by the CD en V and N-VA - because of their well-founded fear of
the breakup of Belgium, as a nation.

Options

The persistent dispute around the formation of a government in Brussels has provoked
debates about Belgium's future, including its eastern cantons. The Germanophonic
community (DG), an administrative conglomeration, representing the 70.000
Germanophonic minority around Eupen and St. Vith, has been granted numerous
autonomous rights over the past decades. It has its own parliament and its own
government. Questions are being raised about the DG's future - if Flanders separates from
Wallonia. As Karl-Heinz Lambertz, the social-democrat prime minister in Eupen declared:
"If Belgium splits, we, of course, have to keep all options open." According to Lambertz,
several scenarios are currently on the table - ranging from sovereignty to unifying with
Luxemburg to the south or accession to Germany to the east.[1] In the DG one hears that
Luxemburg's prosperity is to its advantage, "salaries are excellent and pensions not
bad".[2] The long preparatory political work speaks in favor of Germany.

Project Promotion

For a long time, German influence in eastern Belgium was centered on cultural affairs,
through subsidies for Germanophonic Belgians paid, among others, by the Hermann-
Niermann-Foundation (Duesseldorf / North Rhine-Westphalia). In the late 1980s, this
foundation was heavily criticized because some of its personnel came from the extreme-
rightist milieu and because of contacts to terrorist circles in South Tyrol, which persisted
up to 1987.[3] At the end of 1994 the Hermann-Niermann-Foundation ceased financial
support for eastern Belgium, but successfully won lawsuits against east Belgian critics,
strongly protesting German financial interference in east Belgian cultural affairs. At the
time the suits was filed, an undersecretary of the German interior ministry, in charge of
the promotion of Germanophonic minorities abroad, was board chairman of the
foundation.[4] The critics resistance against Germany's interference collapsed with their
defeat in court. Today there is little protest heard against DG's close collaboration with the
Federal Union of European Nationalities, FUEN. FUEN, subsidized with German taxes, has
built a network connecting Germanophonic minorities all over Europe with officials of the
German interior ministry.[5]

Cooperation Treaty

The cultural lobbying, with financial aid for selected projects, was replaced by a
cooperation treaty between the DG in Eupen and the administration of North Rhine-
Westphalia. On March 4, 2004, the respective prime ministers signed a "common
Declaration" aimed at establishing "a close linkage between the two regions," including the
fields of "the educational system, art and culture, the media, recreation, sports and
tourism, youth, social security and health, professional training and employment, Europe
and regional structural policies as well as general administrative affairs." In all of these
areas, the DG has autonomous authority independent of the central government in
Brussels.[6] Too small to have their own sovereign policy, the east Belgian cantons are now
transferring these responsibilities to the German state of North Rhine-Westphalia. Just last
summer, ministries from eastern Belgium and North Rhine-Westphalia intensified their
cooperation in the fields of education and research. But independently from that, German
and Belgian communes are intensifying their cross border collaboration, mainly within the
so-called "Euregio Maas-Rhein" framework.[7]

Opposing Interests

If Flanders separates from Wallonia, Flemish separatism would release and irretrievably
detach the DG from Brussels. Throughout its history, Flemish separatism, especially its
radical variation, has been also influenced by Germany. When, in the course of World War I,
the government of the German Reich realized that its chances to win were fading away and
was preparing for a compromise peace, it intensified its so-called Flemish policy.
Strengthening Flemish collaborators, Germany was hoping to keep Belgium under its
influence after a peace accord. In 1917, to the advantage of Flemish nationalists, the
German occupying power divided Belgium into two administrative regions - Flanders and
Wallonia. This collaboration "gave birth to the notion of contradictory vital interests
between `Flanders' and `Belgium', which had been largely unknown to the Flemish
movement before the war," according to an analysis of the German-Flemish
relationship.[8] Flemish separatism is today still based on this notion.

Knowledge and Support

Following its defeat in 1918, the German Reich considered Flemish nationalism to be a
guarantee against France becoming stronger. As assumed by the historian Robert Paul
Oszwald (Potsdam) in 1927, Paris was struggling "with all its intellectual, economic and
military means to win influence in northwestern Europe, to take control over the German
lifeline, the estuary of the Rhine." Only the nationalist and radically Anti-French Flemish
came into question as a counteracting force.[9] Oszwald, who was "the key figure in the
relationship between German and Flemish nationalists during the Weimar epoch" [10]
served as advisor to the German foreign ministry in the 1920s. He functioned as a broker
between the German Reich and the "niederlaendischen Kulturkreis" (Dutch cultural circle)
"with the knowledge and support of the foreign ministry, up to 1932, when government
policy changed course" wrote Oszwald in a "report on the situation of the neutral western
states Belgium and Holland,"[11] in early February 1940 - just three months before the
German invasion of its western neighbors. But already in 1933, he was able to continue his
work - on behalf of Division VII of the Reich's Propaganda Ministry.

Against Paris

The anti-French posture is still an element of Flemish separatism. When the winner of the
June 10, elections, Yves Leterme, was asked by a TV reporter to sing the Belgian national
anthem, he chimed in the wrong melody. Rather than the Belgian national anthem,
Leterme, the known promoter of a greater autonomy for Flanders, began to sing the
Marseillaise. The candidate for the prime minister's office thereby underlined an important
element of his policy. It is directed against French influence in Belgium, thus favoring
Berlin.


Please read also: Autonomy for "German" Belgium, "Dissolve frontiers like a sugar lump in
tea", Anschluss an Deutschland: "Kein Fehlverhalten", German pressure group in East
Belgium, Brückenkopf im Westen, Identitätsfindung, Baldiger Anschluss, Gemeinsam mehr
erreichen! and Ethno-Netzwerk.

[1] Ostbelgier sehen die Regierungskrise noch gelassen; Aachener Zeitung 08.11.2007
[2] Eine Nation gerät ins Wanken; Südwest Presse 15.11.2007
[3] see also Baldiger Anschluss and Ethno-Netzwerk
[4] see also "Conspiracy against Belgium" and Fliehkräfte
[5] see also Aktionseinheiten
[6] Ministerpräsident Peer Steinbrück: "Zusammenarbeit zwischen NRW und der
Deutschsprachigen Gemeinschaft Belgiens vorbildhaft"; Landespresse- und
Informationsamt Nordrhein-Westfalen 04.03.2004. See also Ostbelgien im deutschen Netz
[7] see also "Die Potenziale des Nachbarn nutzen", "Raumordnung" um Aachen herum and
Stilles Wachstum
[8] Winfried Dolderer: Der flämische Nationalismus und Deutschland zwischen den
Weltkriegen, in: Burkhard Dietz, Helmut Gabel, Ulrich Tiedau (Hg.): Griff nach dem Westen,
Münster 2003
[9] Robert Paul Oszwald: Nordwesteuropa, in: Volk und Reich Jahrgang 3 Nummer 12,
Dezember 1927
[10] Winfried Dolderer: Der flämische Nationalismus und Deutschland zwischen den
Weltkriegen, in: Burkhard Dietz, Helmut Gabel, Ulrich Tiedau (Hg.): Griff nach dem Westen,
Münster 2003
[11] Stephan Laux: Flandern im Spiegel der "wirklichen Volksgeschichte", in: Burkhard
Dietz, Helmut Gabel, Ulrich Tiedau (Hg.): Griff nach dem Westen, Münster 2003



=== 2 ===

http://www.jungewelt.de/2007/12-31/052.php

31.12.2007 / Schwerpunkt / Seite 3
Das Ende von Belgien?

Kleinstaaten für das internationale Kapitalmonopol: Wie die »Zeitung für Deutschland« die
Landkarte Europas neu zeichnet

Von Andreas Wehr


Nun also Belgien! Die Frankfurter Allgemeine Zeitung, die sich in ihren bisherigen
Berichten über das Auf und Ab in der sich nun schon seit einem halben Jahr hinziehenden
belgischen Regierungskrise mal belustigt, mal mäßig besorgt zeigte, sprach jetzt ihr
Verdikt: »Das Ende von Belgien«, ausdrücklich ohne ein Fragezeichen versehen, lautete die
Überschrift eines Zweispalters von Dirk Schümer im Feuilleton der »Zeitung für
Deutschland« Mitte Dezember (siehe auszugsweise Dokumentation unten). Ganz so, als sei
dieses Ende bereits eingetreten. Und genau so ist es auch gemeint. Zwar wird dem
Gesamtstaat eine Gnadenfrist eingeräumt, da diesmal »der landestypische Kompromiß«
wohl noch mal erzielt werde. Doch der kann nach Schümer nur »der letzte sein«. Und so
macht sich der Autor bereits Gedanken darüber, was aus Brüssel, dem Königshaus und der
»maroden Wallonie« anschließend werden soll.

Daß tatsächlich nur wenige im Land, bei aller Gereiztheit und Ratlosigkeit über die nicht
endenwollende Regierungskrise, ernsthaft über eine Scheidung nachdenken, ist für
Schümer nebensächlich: »Zwar spricht sich nur eine Minderheit von weniger als zwanzig
Prozent der Belgier für eine sofortige Teilung aus, doch dürfte die Spaltung auf mittlere
Sicht gar nicht mehr zu verhindern sein (...)«. Daß die in Europa einflußreiche Frankfurter
Allgemeine mit Sympathie über eine Auflösung des Nachbarstaats schreibt, wird von den
flämischen Separatisten aufmerksam registriert und als Ermutigung verstanden werden.

Wie bereits zuvor bei der Zerstörung Jugoslawiens, der Auflösung der Sowjet union und
der Teilung der Tschechoslowakei ist auch jetzt wieder die Rede von einem »Kunststaat«,
der zu Recht untergehe. Laut FAZ soll auch »Belgien als lukratives Kunstprodukt
erschaffen« worden sein und »zwar von einem kleinen Kreis reicher Kulturfranzosen«. Da
kann man nur staunen! Nicht etwa das von oben zusammengezimmerte, auf
mittelalterlichen Dynastien errichtete und mit Hilfe eines Krieges aus der Taufe gehobene
Bismarcksche Deutsche Reich war ein Kunststaat, nein, dies soll vielmehr das 40 Jahre
zuvor gegründete Belgien sein. Und so zählen die seinerzeit beispiellose liberale und mo
derne Verfassung und die dort gelebten Freiheitsrechte des 1830 gegründeten, ersten
wirklich bürgerlichen Staates Europas nichts. Ein natürlicher und eben nicht »künstlicher«
Staat ist nach Meinung Schümers offensichtlich nur einer, der sich durch einheitliche
Sprache, ethnische Geschlossenheit und auch Blutsverwandtschaft der Stämme
auszeichnet. Dies ist klassisch romantisch, durch und durch reaktionär und leider auch
sehr deutsch. Wir wissen, wohin das bei uns geführt hat. Erst nach dem Zusammenbruch
des Wilhelminischen Reiches konnte Deutschland – gut 90 (!) Jahre nach Gründung
Belgiens – an jene dort vorweggenommene Entwicklung endlich anknüpfen.

»Kunststaaten« wären nach diesem Maßstab übrigens die meisten Länder der Welt. Und so
ist das herbeigeschriebene Schicksal Belgiens denn auch nur ein Menetekel für
Kommendes. In der Ankündigung des FAZ-Artikels heißt es: »Ein Staat zerfällt. Dieses
Szenario werden wir bald noch häufiger erleben, bei den Schotten, den Kosovaren, auch
den Südtirolern.«

Was zerreißt nun auch westeuropäi sche Staaten in einem historischen Augenblick, in dem
sich doch Europa angeblich gerade vereint? Es ist genau jener europäische
Einigungsprozeß, der ja nichts anderes ist als ein Ein- und Unterordnungsprozeß in das
System der Globalisierung, der die Nationalstaaten sprengt. Lange war angenommen
worden, daß die Grundfreiheiten der EU, der freie Waren-, Personen-, Dienstleitungs- und
Kapitalverkehr allein die Mitgliedsstaaten in einen erbarmungslosen Standortnationalismus
treibt. Nun machen sich auch die reichen Regionen dieser Länder auf, die innerstaatliche
Solidarität aufzukündigen und notleidende Gebiete abzuschütteln. Im erbarmungslosen
Kampf der Regionen jede gegen jede wird innerstaatliche Solidarität zu einem Luxus. In
Belgien ist es Flandern, das dem »maroden Wallonien« angeblich »die Renten- und
Sozialkassen alimentiert«. Die Schotten wollen die Einnahmen aus dem Nordseeöl nicht
länger teilen, die Anhänger der italienischen Lega Nord nicht für den armen Süden zahlen,
und die reichen Katalanen fühlen sich eh als ein eigenständiges Mittelmeervolk. Die Liste
ließe sich um einige Kandidaten verlängern, auch um deutsche. »Aus deutscher
Perspektive zeigt der Verfall Belgiens, daß eine Nation mit eingebautem Wohlstandsgefälle
nur schwer überlebt«, resümiert Dirk Schümer. Und die FAZ weist schon mal den Weg:
»Diese wohlhabenden Entitäten, denen der Nationalstaat des vorigen Jahrhunderts zu eng
wird, eint der Wille, nach dem Loswerden der Zentralmacht und einer angepeilten
›Unabhängigkeit‹ schnellstmöglich der EU beizutreten.« Und so könnten statt der heute 27
bald 40 oder gar 50 Staaten diese Union bilden. Das internationale Monopolkapital wird es
freuen, sind doch solche Kleinstaaten Wachs in ihren Händen.

Der Kapitalismus neoliberalen Zuschnitts macht sich auf, die Landkarte Europas neu zu
zeichnen. Die nationalen Bourgeoisien sind an großen und einheitlichen Territorien immer
weniger interessiert, spielen doch Grenzen dank der EU-Binnenmarktfreiheiten für den
ungehinderten Kapital- und Warenfluß keine Rolle mehr. Doch Nationalstaaten sind nach
dem Ende des Zweiten Weltkrieges in harten Klassenauseinandersetzungen und unter dem
Eindruck des Vorbilds des Ostens auch Sozialstaaten geworden. In ihnen wird Solidarität
durch den Transfer erheblicher Mittel zugunsten notleidender Regionen geübt. Dafür ist
die EU kein Ersatz. Der Kampf für den Erhalt des Nationalstaats ist daher in erster Linie
eine soziale Auseinandersetzung. Traditionelle und liebgewordene antietaistische
Sichtweisen trüben in diesem Kampf nur den Blick auf die wirklichen Gefahren.

Der Autor lebt und arbeitet in Brüssel


MEHR AUS DER RUBRIK SCHWERPUNKT (31.12.2007)


Ein Nationalstaat zerfällt – Das Ende von Belgien

Auszüge aus dem FAZ-Artikel vom 14.12.07



=== 3 ===

www.radioserbia

La Vallonia è preoccupata per le conseguenze dell'indipendenza kosovara
13 dicembre 2007 15:24

I deputati di tutti i partiti politici della Vallonia, regione meridionale belga in cui si parla il
francese, hanno espresso una seria preoccupazione per la possibile indipendenza del
Kosovo, valutando che questo potrebbe avere un effetto-domino sul Belgio, di cui la parte
settentrionale, Flandria, in cui si parla la lingua olandese, tende a secedere. Dobbiamo
fermare la nascita di nuovi, artificiali stati in Europa, ha dichiarato il deputato del
principale partito di Vallonia, Movimento riformista, Francois Xavier de Donneas. Il
deputato del partito ecologista Josie Dubier ha dichiarato di temere che, come ha detto, si
stia accendendo una macchina infernale separatista, e il socialista Patrick Morieau ha
avvisato che esiste il pericolo del separatismo nel cuore dell'Europa. Il Belgio si trova in
una delle più profonde crisi politiche nella sua storia, perché i partiti politici della Vallonia
e della Flandria, a causa di insuperabili divergenze nelle posizioni sul futuro ordinamento
del paese, non riescono già da sei mesi a formare il governo.


=== 4 ===

http://en.rian.ru/analysis/20071219/93261437.html

Russian Information Agency Novosti

December 19, 2007

Hotbeds of separatism in modern Europe


MOSCOW - The Kosovo issue has been forwarded to the UN
Security Council. The Russian Foreign Ministry
suggests that Belgrade and Pristina should have
another chance to come to terms. A decision on
Kosovo's cessation from Serbia will create a precedent
and violate international law.

Today, Europe is the venue of both integration and
separatist processes. Experts have calculated that in
the 21st century more than 10 new states may emerge in
Europe.

The Basque Country is the most traditional example of
European separatism.

In Spain, about two million Basques live in three
provinces of what is called the Basque Country.

It has broader powers than other Spanish regions; the
living standards are above the average; and Basque is
recognized as an official language. But despite this
devolution deal, the advocates of secession from Spain
(to be merged with the Basque-populated part of
France) are not going to stop at that.

Francisco Franco was responsible for the growth of
separatism - the Basques were not allowed to publish
books and newspapers; conduct instruction in Basque
(native name - euskara); give children Basque names or
put out their national flag.

Euskadi Ta Askatasuna or ETA (Basque for "Basque
Homeland and Freedom") was set up in 1959 as an
anti-Franco party. Franco has long been dead and the
Basque country has received autonomous status, but
this does not prevent the Basque terrorists from
fighting. More than 900 people have fallen victim to
the struggle for "independence."

Catalonia, an autonomous province in the northeast of
Spain, is also a headache for Madrid.

Having their own language and culture, the Catalans
have always stressed their separate identity in Spain.

Their province enjoys extensive autonomy in Spain, a
constitutional monarchy.

Relations with the central government in Madrid are
being regulated by a separate charter. In 2005, the
new version of the charter said that the Catalans are
a separate nation.

However, there are dozens of parties and public
organizations in the region, mostly left-wing, which
are advocating cessation from Spain. Their goal is to
hold a referendum on independence until 2014.

Another Spanish province, Valencia, received new
autonomous status in July 2007.

France has long-standing experience of resisting
separatism and extremism on its territory, above all
in the Mediterranean island of Corsica.

Corsican national groups clashed with the French army
in the middle 1970s.

The Corsican Nationalist Union and the Movement for
Self-Determination are the biggest and most
influential among these groups.

Both have combat units.

In the last 25 years, the island's status was upgraded
twice - in 1982 and 1990 the local authorities were
given increasingly broad powers in the economy,
agriculture, energy industry, transportation,
education, and culture.

Several years ago, the French parliament recognized
the existence of the Corsican nation. This decision
was later cancelled as contradicting the Constitution
of the French Republic.

The Breton Revolutionary Army (BRA) has operated in
Bretagne, a north-western French province, since the
early 1970s.

The descendants of the Celts, who once came from the
British Isles, do not identify themselves fully with
the French, or consider themselves special among other
French citizens.

During censuses, many of them call themselves Bretons
although put French as their native tongue. The BRA
(apparently named by analogy with the Irish Republican
Army - IRA) belongs to the extremist wing of the
nationalist movement Emgann, which is fighting against
the "French oppressors."

In Italy, separatist attitudes are strong in the
industrially advanced northern regions. The
influential League of the North has so far given up
its demand of secession and insists on Italy becoming
a federation. There are also people wishing to see
South Tirol [Tyrol], which Italy received after WWI,
reunited with Austria.

Belgium may separate into northern Flanders (whose
residents speak Dutch and are leaning towards the
Netherlands) and southern French-speaking Wallonia.

This confrontation between Belgium's two linguistic
communities is rooted in the beginning of Belgium's
independent history when the Walloons and the Flemish
formed a union against the Netherlands.

Having once united in the name of freedom, they have
been trying to break apart for almost two centuries.

Appeals for independence are growing stronger and
stronger - the economically advanced Flanders does not
want to "feed" the Walloon Region. Polls show that
more than 60% of the Flemish and over 40% of the
Walloons believe that Belgium may disintegrate.

In Britain, the separatist attitudes have moved from
Ulster [Northern Ireland] to Scotland.

The recent Scottish parliamentary elections were won
by the supporters of the formation of a new
independent state from the Scottish National Party
(SNP).

The head of the Scottish government Alex Salmond
declared that Scotland may become independent within a
decade.

So far, only 23% of Scots support the idea of their
independence (as compared with 30% a year ago).

However, the then Chancellor of the Exchequer Gordon
Brown (the current British Prime Minister) warned in
the press that Britain would be threatened with
"Balkanization" if the 300 year-long union between
England and Scotland continued weakening.

Denmark's Faroe Islands are a semi-autonomous
territory, living on the government's subsidies of
almost $170 million a year. This fact is a restraint
for the local separatists, although five years ago
they tried to conduct a referendum on independence.

Quiet Switzerland also has its own separatists. The
Front for the Liberation of Yura has been demanding
this canton's independence from the confederation for
over 30 years.

At one time, Yura, inhabited by French-speaking
Catholics, was transferred to the canton of Bern with
its predominantly German-speaking Protestant
population. The Front's leaders admit that their
chances of success are minimal.

Vojvodina is a Serbian autonomous region located some
35 km (22 miles) away from Belgrade.

The Alliance of Vojvodina's Magyars, whose
representatives control almost 70% of the region's
territory, demand a republican status for the region,
a referendum on secession from Serbia and a
confederation with Hungary.

Late last March, the Association asked the European
Union to send a mission to study the situation.

Hungarians now account for more than 40% of the
region's population.

A similar scenario is developing in Romanian
Transylvania (in 1940-1945 it belonged to Hungary; in
1919-1939 to Romania; and before that to
Austria-Hungary).

The percentage of Hungarians there already exceeds
45%.

The Union for the Revival of Hungarian Transylvania,
set up under Ceausescu, has already held referendums
on territorial autonomy in three Transylvanian
districts late last March. The local Hungarians
expressed themselves for the maximal autonomy from
Bucharest and independent relations with Budapest.

"Anti-colonial" raids have become more frequent in
Italian Sardinia, and in the Austrian provinces of
Stiria and particularly Carinthia, mostly populated by
Croatians and Slovenians.

The South Albanian Greeks and residents of the
Portuguese Azores have also become increasingly active
in demanding autonomy.


=== 5 ===

http://www.dw-world.de/dw/article/0,2144,2998982,00.html

Deutsche Welle - December 11, 2007

Opponents of Kosovo Independence Fear Separatist Reaction

Will an independent Kosovo give rise to separatist movements elsewhere?


The expected declaration of independence by Kosovo has
a number of nations on edge. Those who oppose Kosovo's
autonomy harbor separatists of their own. A free
Kosovo could be just the rallying call these movements
need.

With all the signs pointing towards a declaration of
independence from Kosovo after the UN-set deadline for
reaching a settlement passes on Monday, the European
Union is bracing itself for a wave of renewed calls
for autonomy from separatist movements across Europe.

If Kosovo declares independence from Serbia, it will
set a powerful precedent for movements from Spain to
Scotland, all wanting to rewrite the map of Europe and
form their own independent states, according to
experts.

"There is a real risk that the quasi-dogma of the
intangibility of borders which has existed since the
end of the World War II will fall," French political
scientist Jean-Yves Camus of the Paris-based IRIS
institute told AFP. "This would benefit movements
which seek to rewrite the map of Europe based on
ethnic, linguistic or cultural criteria," added Camus,
a specialist on separatist movements in Europe.

The emergence of similar lifestyles and English as a
common language in Europe, combined with the
disappearance of borders and the lack of democratic
legitimacy of EU bodies, had fueled "the development
of micro-distinctive identities," said Camus.

While Kosovo's ethnic majority leaders have vowed not
to unilaterally declare independence from Serbia
without US and European Union approval, they are
expected to announce their intentions to form a new
state in early 2008.

Opposition includes fear of own breakaway states

Many of the countries which oppose the creation of an
independent state of Kosovo have at least one
separatist movement working towards autonomy within
their own borders.

Serbia's ally Russia, which leads the opposition, has
problems with separatists in Chechnya and the Caucasus
region while Spain has had a long-running dispute with
the armed ETA movement. Other countries against
Kosovo's independence such as Cyprus and Greece have
ethnic minorities which demand more power.

"In the West, this [Kosovo] solution will set off
separatists in Europe," Russian President Vladimir
Putin said in an interview published in French
newspaper Le Figaro earlier this year. "Look at
Scotland, Catalonia and the Basque Country."

Spain is currently experiencing a period of unease as
its northern Basque Country and its wealthy
northeastern region of Catalonia have stepped up their
demands for more autonomy.

Last year Catalan voters overwhelmingly backed a new
charter which recognized the region as a "nation"
within Spain and grants it enhanced powers in taxation
and judicial matters.

Separatists claim EU structure makes autonomy possible

As in other separatist regions of Europe like
Flanders, the Dutch-speaking northern part of Belgium,
and northern Italy, supporters said Catalonia deserved
extra powers because it makes a bigger contribution to
the economy.

The armed Basque separatist group ETA ended a 15-month
ceasefire in June while the Scottish National Party,
which came to power in May, plans to hold a referendum
on independence in 2010.

Belgium meanwhile has been without a government for
six months after a general election on June 10
highlighted deep divisions between the nation's
majority Dutch-speakers and Francophones.

For many nationalists, membership in the 27-nation
European Union has only served to make separation seem
more viable.

"Europe can regulate our functionings and transfer
payments. Why must we maintain this intermediate roof
we call Belgium," the leader of the Flemish
nationalist party, Bart De Wever, told French daily Le
Monde last month.

Russia to block independence at UN level

Meanwhile, Russia stepped up its opposition Tuesday by
announcing that it would demand that the UN Security
Council annul any unilateral declaration of
independence by Kosovo.

"Russia will of course demand the annulment of such a
decision. We will demand a meeting of the Security
Council because it would be a violation of a Council
resolution," Russia's Interfax news agency quoted the
country's chief Kosovo negotiator Alexander
Botsan-Kharchenko as saying.


=== 6 ===

http://www.eubusiness.com/news-eu/1197337627.56

EU Business - December 11, 2007

Kosovo independence seen fueling nationalist movements in EU


MADRID - If Kosovo declares independence from Serbia
after Monday's UN-set deadline for reaching a
settlement has passed, a powerful precedent will be
set for separatist movements across Europe, from Spain
to Scotland, observers say.

"There is a real risk that the quasi-dogma of the
intangibility of borders which has existed since the
end of the Second World War will fall," French
political scientist Jean-Yves Camus of the Paris-based
IRIS institute told AFP.

"This would benefit movements which seek to rewrite
the map of Europe based on ethnic, linguistic or
cultural criteria," added Camus, a specialist on
separatist movements in Europe.

Kosovo's ethnic majority leaders are widely expected
to unilaterally declare independence from Serbia in
early 2008 but have vowed not to do so without US and
European Union approval.

Although the province formally remains part of Serbia,
Kosovo has been run by the United Nations and NATO
since 1999, when NATO airstrikes ended a Serbian
crackdown on ethnic Albanian separatists.

Serbia, backed by its ally Russia, opposes Kosovo's
plan and at least four EU nations - Cyprus, Greece,
Slovakia and Spain - are reluctant to recognise a
unilateral declaration of independence, in part
because of the precedent it might set for separatists
nearer to home.

"In the West, this solution will set off separatists
in Europe. Look at Scotland, Catalonia, the Basque
Country," Russian President Vladimir Putin said in an
interview published in French newspaper Le Figaro
earlier this year.

Kosovo's expected declaration of independence comes at
a time when Spain's northern Basque Country and its
wealthy northeastern region of Catalonia have stepped
up their demands for more authonomy.

Last year Catalan voters overwhelmingly backed a new
charter which recognized the region as a "nation"
within Spain and grants it enhanced powers in taxation
and judicial matters.

As in other separatist regions of Europe like
Flanders, the Dutch-speaking northern part of Belgium,
and northern Italy, supporters said Catalonia deserved
extra powers because it makes a bigger contribution to
the economy.

The armed Basque separatist group ETA ended a 15-month
ceasefire in June while the Scottish National Party,
which came to power in May, plans to hold a referendum
on independence in 2010.

Belgium meanwhile has been without a government for
six months after a general election on June 10
highlighted deep divisions between the nation's
majority Dutch-speakers and Francophones.

For many nationalists, membership in the 27-nation
European Union has only served to make separation seem
more viable.

"Europe can regulate our functionings and transfer
payments. Why must we maintain this intermediate roof
we call Belgium," the leader of the Flemish
nationalist party, Bart De Wever, told French daily Le
Monde last month.

The emergence of similar lifestyles and English as a
common language in Europe, combined with the
disappearance of borders and the lack of democratic
legitimacy of EU bodies, had fueled "the development
of microdistinctive identities," said Camus.

(english)


Dal Kosovo al Belgio. La dissezione (germanica) dell'Europa (2/2)


1) Independence for Flanders: Good for Democracy, Good for Europe
"... Powerful countries in the West worked actively for the break-up of Yugoslavia and the Soviet Union, and of course their efforts were successful. This is in spite of the fact that those states, unlike Belgium, were essentially united by a common language. Now, indeed, the European Union is actively supporting a sixteenth secession, that of Kosovo..." 
John Laughland (29/11/2007)

2) Brussels' End 
The Balkanization of Europe
by Nebojsa Malic (27/9/2007)


=== 1 ===


Brussels Journal
November 29, 2007

Independence for Flanders: Good for Democracy, Good for Europe

John Laughland

From the desk of John Laughland on Thu, 2007-11-29 13:40



The question of the break-up of Belgium is no longer taboo in the Western European press. On the contrary, it is discussed openly as a possible, even likely future event. Most recently in The Guardian on 13th November 2007, Jon Henley wrote that the break-up seemed inevitable (even though he personally opposes it) while of course The Economist had written a similar thing in September.

The independence of Flanders has therefore become a matter of mainstream political debate.
What will the attitude of the rest of Europe be to the break-up of Belgium? As one surveys the geopolitics of post Cold War Europe, one can say only that one is struck by the double standards with which the EU and the US treat the question of national independence.
On the one hand, since 1991, no fewer than fifteen new states have emerged on the European continent as a result of secessionist movements (Latvia, Estonia, Lithuania, Belarus, Ukraine, Moldova, Russia, the Czech Republic, Slovakia, Serbia, Montenegro, Croatia, Slovenia, Bosnia-Herzegovina, Macedonia). Powerful countries in the West worked actively for the break-up of Yugoslavia and the Soviet Union, and of course their efforts were successful. This is in spite of the fact that those states, unlike Belgium, were essentially united by a common language.
Now, indeed, the European Union is actively supporting a sixteenth secession, that of Kosovo. Following the election victory of the PDK in Kosovo’s parliamentary elections on Sunday 18th November – a party led by the former head of the Kosovo Liberation Army, Hashim Thaci – it is inevitable now that Kosovo will declare independence at some point between 10th December, when the deadline expires for the talks with Belgrade at the UN, and the end of the year.
The West has egged the Kosovo Albanians on, saying that it will recognise an independent Kosovo if the Albanians do indeed proclaim their independence. Such a move will represent a flagrant breach of international law, since the status of Kosovo as part of Serbia is governed by a U.N. Resolution passed in 1999.
The independence of Kosovo of course follows the secession of Montenegro from Serbia-Montenegro in June 2006, even though Serbs and Montenegrins are one and the same people, speaking the same language and sharing the same religion and history.
On the other hand, the West opposes secessions when they do not suit it geo-politically. Bosnia-Herzegovina is a case in point. When the Prime Minister of Republika Srpska called in September 2006 for a referendum to be held on the secession of Republiak Srpska from Bosnia-Herzegovina, the international community’s “High Representative” said that he would sack him unless he backed down. He did, but there is even now a crisis in Bosnia, as the new High Representative is trying to abrogate important parts of RS’ autonomy. Bosnia is an EU colony – the 16,000 soldiers still stationed there (twelve years after the end of the war) are part of an EU military force – and the EU clearly does not want its territory to be divided.
The same goes for Transnistria in Moldova. Even though that territory voted by a massive majority in September 2006 for continued independence from Moldova, the West refused to recognise the results of that referendum. Indeed, Europe’s main election-monitoring body, the OSCE, refused even to observe the poll saying that “The OSCE does not support a unilateral referendum questioning Moldova's territorial integrity.” The author of that quotation is none other than the then OSCE chairman, the Belgian Foreign Minister Karel de Gucht. This is in spite of the fact that the legal reason why Moldova seceded from the USSR is that it revoked the Molotov-Ribbentrop Pact of September 1939, by means of which Bessarabia was annexed to the USSR. But that annexation also involved the annexation of Transnistria to what became the Moldovan Soviet Socialist Republic, to which it had never previously belonged.
Further afield, the West also opposes independence movements in Georgia (South Ossetia and Abkhazia) and Azerbaijan (Nagorno-Karabakh) even though these territories, like Transnistria, have been independent for well over a decade.
So where does Belgium stand?
The reasons why the West opposes secession in Moldova, Bosnia and elsewhere are geopolitical and ideological. The EU wants to extend its writ deep into historic Russian territory and that is why it is not prepared to see Moldova divided. In the case of Bosnia, that artificial state was elevated, during the Yugoslav war, to an icon of multiculturalism (even though Yugoslavia itself had of course been a multi-ethnic state, as Serbia is today).
In my view, Europe will oppose the break-up of Belgium for the same reasons.
Of course there is no question that an independent Flanders could be a viable state. In terms of population, Flanders is bigger than the historic nation-states Denmark, Norway and Ireland, as well as than the more recently created states Slovakia, Slovenia, Estonia, Latvia, Lithuania, Bosnia-Herzegovina, Croatia, Macedonia, Cyprus, Malta – and obviously Luxembourg.
There is no question that Flanders has the requisite historic identity to constitute a sovereign state. It certainly has more claim to historical existence than Bosnia, an artificial state being held together as a last experiment in multi-nationalism. Flanders has exactly the same historic basis for a claim to independence as Slovakia, Cyprus or Croatia (and, as I say, it is bigger than all three states). The English often joke and say “Name ten famous Belgians” and the list usually peters out after the fictional characters Tintin and Hercule Poirot. But it is obvious that you would have difficulty keeping the list to ten if you were asked to name famous Flemings - Rubens, Van Eyck, Memling and Hieronymous Bosch, for starters. Compare this to the thin or non-existent historical background of Estonia or Slovenia.
The reason why the break-up of Belgium will be opposed by Europe is that it will not serve the cause of European integration. With the partial exception of Czechoslovakia, the break-up of multi-ethnic states in Eastern Europe has helped Europe integration – on the basis of “divide and rule”. Small bogus states with no real political existence provide good “lobby fodder” in the Council of Ministers – they take the EU’s money and vote how they are told. It is obvious that very few of the secessions in Europe since 1991 have occurred as a result of a desire for real independence, or else the new states would not immediately have joined the EU and NATO. You can see this very clearly in the case of Montenegro, which will apply to join the EU within less than two years after becoming independent. Having adopted the euro in 2002, Montenegro has just signed a “Stabilisation Agreement” with the European Union. This Stabilisation Agreement is itself 680 pages long - quite a lot of legislation for a country of barely 600,000 people (Montenegro is just one and half times the size of the city of Antwerp) but of course nothing in comparison to the 80,000 pages of primary EU legislation which Montenegro will have to adopt when it joins the EU, which it hopes to do very soon.
On the contrary, the break-up of Belgium would show that the fault-line which is at the heart of the European project runs right through the EU’s very capital. That fault-line is the contradiction between democracy and supranationalism. Flemings of course understand that a supranational state is inimical to democracy, and that it destroys it. The larger nations of Europe do not understand this because they are relatively influential within the EU and because the prominence of their national political life obscures the fact that they are, in fact, governed by the EU, which is a totally undemocratic and even anti-democratic organisation.
There is not time in a short speech to rehearse the arguments about why the EU is undemocratic. Everyone knows that the main decisions are taken in secret by the unelected Commission and the unaccountable Council of Ministers. National parliaments are systematically emasculated by the EU, which gives governments the right to make laws, in secret. The fact that the defunct European Constitution is even now being re-introduced, having been rejected in referendums in France and the Netherlands in 2005 (two founder member states of the EU) shows that the EU is prepared to override the results of democratic direct polls in order to achieve its aims. Democracy is actively suppressed by European integration.
The break-up of Belgium would be a highly symbolic of this fatal flaw. The EU is of course based on the historic reconciliation between the old countries of the original Holy Roman Empire – France, Germany, Italy and the Low Countries. The specifically Franco-German aspect of this reconciliation is mirrored in microcosm in the coexistence of the Flemings and Walloons within Belgium. Many Belgian leaders including the late King Baudoin indeed said that the EU was a sort of Greater Belgium. The collapse of the Belgian model would be an event of immense significance and would, in my view, deliver a further blow to the already faltering project of European integration.
It would be essential, in my view, that an independent Flanders do not, therefore, immediately apply to re-join the EU, but that instead it negotiate its own terms of association, confining the ultimate deal to the obvious things which people like about the EU – free travel without passports, freedom of trade – and refusing to sign up to any of the EU treaties themselves. All of these treaties, starting with the Treaty of Rome, provide for the vast majority of legislative power to be transferred to the EU. All new member states have to adopt the totality of the so-called acquis communautaire (more than 80,000 pages of primary legislation) and therefore any state which signs such a treaty is no longer independent in any real sense. Of course the centralisation of power will increase only further with the reform treaty, in which states will lose further powers including over immigration. That treaty, indeed, contains a “enabling clause” which allows the EU to increase its own powers indefinitely and so further centralisation is inevitable.
There is therefore no point Flanders being independent of Belgium if it is not independent of the EU too, for otherwise it would only exchange the rule of Brussels for the rule of Brussels. The “Europe of the regions” model is a trap which would only make Flanders into a sort of Wallonia, the recipient of EU aid in return for political compliance in everything.
There are plenty of precedents in Europe for such a free association with the EU. For free travel, Norway and Iceland (neither of which belongs to the EU) both belong to the Schengen system which allows free travel without passports. Switzerland has signed extensive bilateral trade treaties with the EU which do not compromise its national sovereignty. As far as the currency is concerned, there are countries which belong to the EU which do not use the euro (the UK, Denmark and Sweden, plus the new member states except Slovenia which adopted it this year) and there are non-EU states which do, like Montenegro.
The European Union now displays all the worst characteristics of Belgium itself: an impossibly complicated institutional structure which is kept that way deliberately in order to serve vested interests; an opaque and deliberately undemocratic decision-making process; a vast system of internal financing which is used to pervert the political process by buying off certain powerful interest groups; and of course rampant corruption. By showing up the Belgian model itself as a lie, the independence of Flanders would provide a great service to democracy and to the whole of Europe. Flanders, indeed, could show the way for other countries whose people would also like to leave the EU.


===  2 ===

 

September 27, 2007
Brussels' End 

The Balkanization of Europe

by Nebojsa Malic

"The hour of Europe has dawned," declared pompously Luxembourg's foreign minister Jacques Poos in May 1991, as he led the negotiations that would begin the dismemberment of Yugoslavia. Sixteen years hence, Yugoslavia's mutilated corpse is still haunting Europe, this time in Mr. Poos' front yard.

Luxembourg's neighbor to the west, Belgium, has been without a government for over 100 days. Tensions between the majority Flemings and minority Walloons have reached an impasse, and there is open talk of the country's dissolution. Politically, Belgium is beginning to look like Bosnia in 1991, before it plunged into brutal civil war.

The irony, of course, is that Belgium is the headquarters of both the European Union (Brussels), and NATO (Mons). Thus the fountainhead of "Euro-Atlantic integrations," pitched to post-Communist countries as the panacea for all their ills, can hardly keep itself integrated any more. If Belgium, a model for artificial states everywhere for over 170 years, cannot stay together, what fate does that portend for the EU? Most assuredly a grim one.

One Land, Two Peoples

Belgium was established in 1831 by the British, following a Francophone rebellion in what was then southern Netherlands. The Dutch-speaking Flemings and the French-speaking Walloons have been ruled by a German dynasty (cousins of the British royals) ever since, but their cohabitation has always been restive at best.

The most recent Belgian crisis began in June, when following the general elections no party was able to form a government. According to the country's constitution, a government must be composed of equal parts Flemings and Walloons; since the Flemings are some 60% of the population, and French-speaking Walloons make up 30%, it is clear that no government can be established without Walloon approval. The gap in policies and beliefs between the major Fleming and Walloon parties is so wide, however, they have been unable to reach any sort of agreement for over three months now.

Flemish politicians are riding the wave of popular discontent with what most Flemings perceive as Francophone oppression. Flanders contributes 70% of the country's GDP, but the Walloons consume 60% of it in welfare and subsidies. While Fleming parties are largely conservative, Francophone politicians are mostly left-liberal, and often make alliances with Muslim immigrants – which is another bone of contention in Belgium.

A protest against the Islamization of Europe, scheduled for September 11, was the only political demonstration in recent history actually banned by Brussels mayor Freddy Thielemans. Brussels police savagely attacked the protesters. Many of the demonstrators were from Flanders, and were set upon by Francophone riot police. Arguably, the brutality with which the Brussels authorities treated the protesters has further inflamed ethnic tensions in Belgium.

All this has led to Flemish politicians openly considering the dissolution of Belgium. Maps have already been drawn, covering just about every possibility, from two independent states to Flanders joining the Netherlands while Wallonia joins France.

Troubles on the Horizon

Belgium is not the only Western European country dealing with ethnic/regional issues. Spain has had a particularly rough time as well, with the Basques and the Catalans in particular demanding more cultural, political and linguistic autonomy. Recent disputes about the proper display of the Spanish national flag (in relation to regional flags) and the lyrics to the national anthem has once again elevated tensions between the government in Madrid and the autonomy-demanding regions.

Things are not going so well on the British isles either. The current Prime Minister, Gordon Brown, is Scottish, as are many other Labor cabinet members. His predecessor, Tony Blair, established parliaments in Scotland, Wales and Northern Ireland; England, however, has no parliament of its own. The one at Westminster has members from all over the UK – meaning that Scottish MPs have direct input in decisions affecting England, but English MPs have limited or no influence in Scottish affairs.

As Scottish nationalists lobby for independence from the UK, English nationalists are increasingly resentful of this situation, also known as the "West Lothian Question."

It is a situation most resembling that of Serbia in 1987, when Slobodan Milosevic rose to power on the wave of popular discontent with the constitution that gave Serbian provinces of Vojvodina and Kosovo power over Serbian affairs, while making them virtually independent of Belgrade.

The Balkans Threat

It is therefore ironic that the government in London supports the separatists in Kosovo, most likely the first to follow the U.S. in recognizing their unilateral declaration of independence. That Washington intends to do so was announced by the New York Times this week, quoting U.S. Secretary of State Condoleezza Rice and an unnamed "European diplomat."

According to the anonymous diplomat, once the arbitrary deadline of December 10 arrives, the U.S. will recognize an independent Kosovo and "the Europeans, as far as they can remain united, will follow, too" The Albanian separatists don't need to negotiate, only run out the clock.

But how united can Europe remain? Formerly championed only by Washington and London, the independence cause has now been taken up by France's Sarkozy, and his foreign minister (and onetime viceroy of Kosovo) Bernard Kouchner. Several European countries – Greece, Cyprus, Romania and Slovakia in particular – have been opposed to the independence of Kosovo, mindful of possible conflicts of their own. Although dissenting voices inside the EU were suppressed earlier this year by threats from Brussels and Washington, the failure of the Empire to impose Kosovo's independence through the UN may have changed things.

She's Annoyed, He's Broke

France's cozying up to the U.S. is also causing troubles with Germany. Ever since the Treaty of Paris established the Coal and Steel Community in 1951, Western Europe has revolved around a Franco-German axis. However, with the election of Nicolas Sarkozy to French presidency, relations between Paris and Berlin have become significantly cooler. In mid-September, German magazine Der Spiegel reported on a series of surprises Sarkozy has thrown at the German leadership, claiming that the "hyperactive" president "has the tendency to approach sensitive diplomatic issues with all the finesse of an Energizer bunny," which flusters his German counterparts.

"Merkel, [Foreign Minister Frank-Walter] Steinmeier and German Finance Minister Peer Steinbrück have all been surprised, stymied, annoyed and flabbergasted time and time again by his proposals," says Der Spiegel, citing as the most recent Sarkozy's offer of nuclear weapons to Germany, which the Germans rejected straight away. From style to substance, disagreements between Paris and Berlin are multiplying.

Meanwhile, French Prime Minister Francois Fillon declared this week during a visit to Corsica that he was "at the head of a state that is in a position of bankruptcy." He was responding to a demand by Corsican farmers for more government subsidies. The exasperated PM explained that France hasn't had a balanced budget in 25 years, and is about to present a 2008 budget with a €41.5billion deficit.

Leaving the Sinking Ship

Weighed down by welfare statism, cultural Marxism, decline of traditional culture and the tides of Muslim immigrants, Europe is imploding. With the slow death of old identities such as British or French, communities that consider themselves distinct – Flemings, Basques, Catalans, Corsicans and Scots, to name just a few – are seeking statehood.

This may not happen for a while yet, or it might happen tomorrow. It is hard to tell. But all things remaining equal, it is inevitable. If Washington does go ahead and force the recognition of Kosovo, that will provide a precedent for any who wish to follow; then all there is left is the threshold at which separatism will move from speculation to reality.

There are many possible scenarios from there, two of which are very likely. One would be a "Sovietization" of the EU, with the newly separated states remaining inside the Union, much as ethnic "republics" were established by the Communists in the Soviet Union. The bureaucracy would stay in Brussels, bloat some more, and continue to attempt managing the continent until the EU eventually follows its Soviet exemplar. (Ironically, the introduction of the Euro may actually be promoting political Balkanization!) The second option is potentially more violent, with the new states refusing to join the Union and prompting its wholesale breakup. Attempting to preserve the Union by force will most likely fail, and be exceptionally bloody.

It is unwise to ignore or deny these possibilities, just as it was to ignore the 1990 portents of impending bloodshed in Yugoslavia, or the 2003 warnings concerning Iraq. The fate of Belgium may yet decide whether Europe can find a path of peace and liberty, or descend into the darkness of war.





Buon anno a tutti, la guerra continua


documentazione in ordine cronologico inverso:

1) Buon anno a tutti, la guerra continua
Italia su più fronti. Dal conflitto afghano al Libano, dallo scudo antimissile di Bush ai nuovi cacciabombardieri iper-tecnologici. La finanziaria del 2007 fissa la spesa militare a 21 miliardi di euro, il doppio di quanto spetta ad atenei e ricerca
TOMMASO DI FRANCESCO - il manifesto

2) Finanziaria in divisa
Ventun miliardi alla Difesa, Natale ricco per le aziende belliche italiane
di Luca Galassi - www.peacereporter.net

3) FINANZIARIA, ARMI, POLITICA: CHE VERGOGNA !
Alex Zanotelli

4) FLASHBACK: La Legge Finanziaria 2008 sarà targata N.A.T.O.?
Comunicato Stampa della Rete nazionale Disarmiamoli! Settembre 2007
 

--- 1 ---


IL MANIFESTO
30 DICEMBRE 2007

La Costituzione : «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»

Buon anno a tutti, la guerra continua

Italia su più fronti. Dal conflitto afghano al Libano, dallo scudo antimissile di Bush ai nuovi cacciabombardieri iper-tecnologici. La finanziaria del 2007 fissa la spesa militare a 21 miliardi di euro, il doppio di quanto spetta ad atenei e ricerca

TOMMASO DI FRANCESCO

Buon anno, la guerra continua. La finanziaria del 2007 attribuisce alla spesa militare italiana 21 miliardi di euro: è il doppio del bilancio di competenza per l'università e la ricerca ma ci colloca al settimo posto mondiale come spesa militare. Partecipiamo alla mutazione genetica della Nato che, dopo la guerra umanitaria contro l'ex Jugoslavia, è diventata forza d'intervento in tutto il mondo, dove ha dislocato 50 mila uomini, dai Balcani all'Afghanistan al Mediterraneo. E i nostri soldati, recitano i documenti strategici delle Forze Armate, sono pronti non a difendere il paese secondo il dettame costituzionale (artt. 11 e 52), ma anche «aree di interesse nazionale» in tutto il mondo al fine di salvaguardare i nostri interessi, se necessario con interventi «di prevenzione anche lontano dalla madrepatria» (con buona approssimazione alla guerra preventiva), anche in difesa del Muro di Shengen dall'«invasione» degli immigrati. 
Così, di fronte al fallimento in Iraq, siamo venuti via da quella guerra fatta contro l'Onu e contro il popolo iracheno, ma esattamente pochi giorni fa nel Consiglio di sicurezza abbiamo votato a favore della continuazione della missione militare d'occupazione portata avanti dalla coalizione dei volenterosi capitanata dagli Stati uniti. E partecipiamo a una guerra, quella in Afghanistan, «con orgoglio», ha dichiarato a Kabul un inedito mascelluto Romano Prodi, nonostante la missione Onu abbia cambiato di segno da quattro anni e mezzo e sia diventata a tutti gli effetti della Nato. Ma c'è la svolta lessicale. Infatti non la chiamiamo guerra, pur partecipando ai comandi integrati che indicano all'aviazione Usa e Nato gli obiettivi «talebani» sul campo, con un numero così pesante di stragi fra i civili che quella guerra aerea, dalla quale dipende la fortuna delle truppe occidentali e quella del presidente Karzai, ha indebolito il governo afgano e allargato il seguito e l'influenza dei talebani che controllano più del 50% del territorio operando ormai dentro la cosiddetta «zona italiana» da sempre raccontata - chissà perché - come immune dal conflitto. Se dopo l'11 settembre l'obiettivo era fermare il terrorismo, di Al Qaeda o quant'altro ectoplasma, ora nell'area ad essere destabilizzato è addirittura il Pakistan - a partire dalle aeree tribali - dove i talebani sono stati inventati. Una destabilizzazione iniziata ben prima dell'estremo tentativo di Benazir Bhutto.
Siamo schierati in Libano dopo la guerra criminale di bombardamenti aerei israeliani dell'estate 2006, a seguito del rapimento sul confine di un militare israeliano. Avremmo dovuto schierarci alla frontiera, invece siamo dentro il territorio libanese con il dichiarato compito di tenere a bada la forza di Hezbollah e di influire positivamente sul processo democratico libanese. Hezbollah resta forte, il Libano è sempre nel caos. 
Ma il fatto più grave di tutti è che le chiacchiere sull'impegno verso la questione palestinese, quella sì bisognosa di una «forza di interposizione» per liberare i Territori occupati ancora dal 1967, chiacchiere erano e chiacchiere sono rimaste. Anzi se ne ricava l'impressione che, alla fine, ad avvantaggiarsi realmente della nostra missione in Libano sia stata proprio la leadership israeliana con la quale abbiamo continuato a gestire un Trattato militare che sostiene da anni le sue Forze armate: ha infatti ottenuto l'isolamento politico ma soprattutto materiale dei palestinesi, che nell'angolo e affamati, si sono divisi ormai in un conflitto intestino tra Hamas e Fatah. Ora i palestinesi, tutti i palestinesi, attraversati dal Muro, dispersi in milioni di profughi nelle baraccopoli del Medio Oriente impediti nel movimento e in ogni diritto elementare e sempre più frazionati dagli insediamenti israeliani, vedono la prospettiva dello Stato di Palestina come una favola. La favola raccontata al recente vertice di Annapolis che rimanda a data indefinita il destino di milioni di disperati. È questo il risultato, il 2007 è stato l'anno della scomparsa della questione palestinese nel silenzio quotidiano che non conta nemmeno più lo stillicidio di «uccisioni mirate» causate ogni giorno da parte dell'esercito israeliano.
Infine siamo con migliaia di uomini in Kosovo - dove dopo la guerra è andata in onda una feroce contropulizia etnica contro le minoranze serbe e rom, a garantire il rispetto degli accordi di pace di Kumanovo che posero fine alla guerra «umanitaria» contro l'ex Jugoslavia - fatta contro il parere delle Nazioni unite - assunti poi nella Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell'Onu con cui si riconosceva il diritto alla Nato di occupare il territorio ma salvaguardando la sovranità della Serbia. Ora stiamo per costringere gli stessi militari a fare il contrario, vale a dire ad andare contro il quadro di legalità che ha istituito la missione dell'Alleanza atlantica. Perché arriverà la nuova missione «civile e di polizia» dell'Unione europea, con la quale si rileva l'amministrazione fallimentare dell'Unmik-Onu e si avvia la gestione «indolore» dell'indipendenza etnica del Kosovo - contro il Consiglio di sicurezza Onu, la Serbia e la Russia (e la Cina). Incuranti del fatto che la polveriera balcanica può riaccendersi subito.
Serviranno questi preparativi sui fronti di guerra, non chiamata tale ma così diventata in itinere, cambiando le carte in tavola, a «fermare il terrorismo« e a «difendere la democrazia»? 
In realtà accade il contrario. Nessuna guerra riesce a fermare il terrorismo. E accade che tutte queste missioni militari all'estero siano state in questi giorni «prorogate» d'ufficio dal governo senza discussione. E accade che il nostro parlamento non sappia nulla di come e perché l'Italia si sia avventurata in uno spregiudicato mercato di armi sofisticate e abbia allargato, invece che restringere come da promesse elettorali, le sue servitù militari. Così con il Pentagono abbiamo firmato il memorandum d'intesa nel programma, costosissimo, degli F-35 Lightning, il cacciabombardiere Usa Joint Strike Fighter avviando nientemeno che «il più grande e tecnologicamente più evoluto programma della storia dell'aviazione», secondo le parole del sottosegretario alla difesa Forcieri. Lo stesso vale per le basi americane. Chiudiamo la Maddalena ma, manco fossimo al supermercato, cash&carry, allarghiamo la base di Vicenza ben sapendo che diventerà per gli Stati uniti il trampolino di lancio per operazioni militari di proiezione in tutto il mondo, e ristrutturiamo quella strategica di Sigonella. E, dulcis in fundo, il 2007 è stato l'anno dello scudo antimissile che Bush a tutti i costi vuole disporre subito in Europa, nella Repubblica ceca e in Polonia, alla frontiera russa, con la motivazione, insensata perfino per l'Intelligence americana, del pericolo dell'atomica iraniana. 
Abbiamo apprezzato l'interrogativo del ministro degli esteri Massimo D'Alema, preoccupato delle reazioni russe all'imposizione dell'indipendenza del Kosovo: «Ma era davvero questo il momento di andare a piantare missili qui e là in Europa?». Sante parole. Ma allora perché, di nascosto dal parlamento, il ministro della difesa Parisi nel febbraio di quest'anno che muore è corso a Washington a firmare l'accordo quadro che dice sì allo scudo antimissile in Europa, in Italia e nel mondo? Perfino il presidente Napolitano dichiara che è ora che «ne parlino le Camere». Buon anno, la guerra continua.


--- 2 ---


www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 13-12-07 - n. 207

Finanziaria in divisa
 
Ventun miliardi alla Difesa, Natale ricco per le aziende belliche italiane
 
di Luca Galassi - www.peacereporter.net

 

Le minacce del Ventunesimo secolo, evocate con forza sempre maggiore, dopo l'11 settembre, ad ogni vertice annuale della Nato, si chiamano terrorismo e armi di distruzione di massa. Entrambe hanno fatto della paura un elemento di strategia politica. E per contrastare la paura si affinano e si consolidano i sistemi di difesa. Ovvero: ci si arma. Secondo il Sipri (Istituto di studi per la pace di Stoccolma), nel mondo le spese militari sono cresciute nel 2006 del 3,5 percento rispetto all'anno precedente, superando i mille miliardi di dollari (quasi 680 milioni di euro). Nella classifica dei Paesi produttori di armi, l'Italia è al settimo posto, con 20 miliardi di euro. Il nostro Paese destina al settore difesa l'1,5 percento del proprio prodotto interno lordo.

 

Risorse sparse. Le spese militari rappresentano una delle voci più onerose nel bilancio del nostro Paese. Grazie alla Finanziaria, passata a fine estate al Senato per un pugno di voti e in attesa della votazione alla Camera, sono previsti stanziamenti per 23 miliardi e 352 milioni di euro (21 miliardi nel bilancio preventivo della Difesa, 2.424 aggiunti dalla Finanziaria). L'aumento rispetto al 2007 (la misura allora ammontava a 21 miliardi e 11 milioni) è dell'11,1 percento. Le previsioni di spesa per il comparto militare, invece di far capo solo al ministero della Difesa, sono disseminate nelle più disparate allocazioni: oltre alla Finanziaria e al bilancio della Difesa, come detto, i contributi spaziano dal ministero per l'Economia a quello dello Sviluppo economico. Essendo sparse in vari bilanci, le risorse rendono opaca la loro interpretazione. Vediamo di cominciare a far luce sulla loro allocazione, andando a verificare, punto per punto, dove e a cosa sono destinate le risorse stanziate nella Legge Finanziaria.

 

L'articolo 5, comma 12, stanzia un fondo di 107 milioni di euro per il pagamento dell'accisa (imposta) sui prodotti energetici delle Forze Armate.

 

All'articolo 21 del Disegno di Legge, il comma 1 cita: "Per l'organizzazione del vertice G8 previsto per l'anno 2009 è stanziata la somma di euro 30 milioni per l'anno 2008." Il vertice si terrà alla Maddalena, in Sardegna, da dove il mese scorso sono partiti 1.500 soldati Usa, nell'ambito della dismissione della base militare, che verrà definitivamente lasciata dalla Marina statunitense nel febbraio 2008.

 

L'articolo 22 integra con 30 milioni di euro il taglio del 15 percento della scorsa Finanziaria per la 'professionalizzazione' delle Forze Armate; stanzia inoltre 140 milioni di euro per 'garantire la capacità operativa' delle stesse. Venti milioni di euro vanno poi all'arsenale della Marina militare di Taranto e 40 per il funzionamento dell'Arma dei Carabinieri.

 

Nell'articolo 31 si propone l'allocazione di risorse per: 15 velivoli addestratori Aermacchi M346; 12 elicotteri Agusta Westland EH101; sistema di comunicazioni Sicote per i Carabinieri in funzione anti-terrorismo; progetto Soldato futuro; partecipazione, con la Francia, alla costruzione del satellite di comunicazioni Sicral 2. Per l'attuazione di tale piano sono autorizzati contributi quindicennali per un totale di 1 miliardo e 50 milioni di euro.

 

All'articolo 31, comma 2, figurano, per la partecipazione al programma del Caccia Eurofighter: 318 milioni di euro per il 2008, 468 per il 2009, 918 per il 2010, 1.100 per il 2011 e 1.100 per il 2012. Aggiunti a quelli già previsti dalla Tabella F della Finanziaria (importi da iscrivere in bilancio alle autorizzazioni di spesa delle leggi pluriennali), si raggiungono, per 5 anni, 4.884 milioni di euro. Al comma 3, si dispone l'erogazione di ulteriori fondi per il programma di sviluppo delle fregate multiruolo Fremm, in cooperazione con la Francia. Il totale è di un miliardo e 50 milioni in 15 anni. Sempre nella Tabella F della Finanziaria vi sono fondi aggiuntivi per le fregate Fremm di circa 800 milioni di euro.

 

Nell'articolo 93, per esigenze legate alla tutela dell'ordine pubblico, è previsto, per un piano di assunzioni, uno stanziamento di 50 milioni di euro per il 2008, di 120 per il 2009 e di 140 per il 2010. Risorse, queste, destinate all'Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza, alla Polizia penitenziaria e al Corpo forestale.

 

L'articolo 95 destina 200 milioni di euro in più per 2008, 2009 e 2010 ciascuno per i rinnovi contrattuali e la 'valorizzazione delle specifiche funzioni svolte nella tutela dell'ordine pubblico e della difesa nazionale. Destinatari il corpo di Polizia e le Forze Armate. Nella tabella del ministero per l'Economia è inoltre iscritto oltre un miliardo di euro per il finanziamento delle missioni italiane all'estero.

 

In conclusione, le spese militari aumentano, a dispetto delle promesse del governo Prodi. Che nel programma pre-elettorale si era impegnato, "nell’ambito della cooperazione europea, a sostenere una politica che consenta la riduzione delle spese per armamenti". Promesse da marinaio.


--- 3 ---

FINANZIARIA, ARMI, POLITICA: CHE VERGOGNA !

Napoli,16 novembre 2007

Rimango esterrefatto che la Sinistra Radicale (la cosiddetta Cosa Rossa)
abbia votato, il 12 novembre, con il Pd e tutta la destra, per finanziare i
CPT, le missioni militari e il riarmo del nostro paese. Questo nel silenzio
generale di tutta la stampa e i media .Ma anche nel quasi totale silenzio del
"mondo della pace ".

Ero venuto a conoscenza di tutto questo poche ore prima del voto. Ho lanciato
subito un appello in internet: era già troppo tardi. La "frittata" era già
fatta. Ne sono rimasto talmente male, da non avere neanche voglia di
riprendere la penna. Oggi sento che devo esternare la mia delusione, la mia
rabbia. Delusione profonda verso la Sinistra Radicale che in piazza chiede la
chiusura dei "lager per gli immigrati", parla contro le guerre e
l'mperialismo e poi vota con la destra per rifinanziarli.

E sono fior di quattrini! Non ne troviamo per la scuola, per i servizi
sociali, ma per le armi SI'! E tanti!!

Infatti la Difesa per il 2008 avrà a disposizione 23,5 miliardi di euro: un
aumento di risorse dell'11 rispetto alla finanziaria del 2007, che già aveva
aumentato il bilancio militare del 13%. Il governo Prodi in due anni ha già
aumentato le spese militari del 24%!!

Ancora più grave per me è il fatto dei soldi investiti in armi pesanti. Due
esempi sono gli F35 e le fregate FREMM. Gli F35 (i cosiddetti Joint Strike
Fighter) sono i nuovi aerei da combattimento (costano circa 110 milioni di
Euro cadauno). Il sottosegretario alla Difesa Forcieri ne aveva sottoscritto,
a Washington, lo scorso febbraio, il protocollo di intesa.

In Senato, alcuni (solo 33) hanno votato a favore dell' emendamento
Turigliatto contro il finanziamento degli Eurofighters, ma subito dopo hanno
tutti votato a favore dell' articolo 31 che prevede anche il finanziamento ai
satelliti spia militari e le fregate da combattimento FREMM.

Per gli Eurofighters sono stati stanziati 318 milioni di Euro per il 2008,
468 per il 2009, 918 milioni per il 2010, 1.100 milioni per ciascuno degli
anni 2011 e 2012!

Altrettanto è avvenuto per le fregate FREMM e per i satelliti spia.

E' grave che la Sinistra, anche la Radicale, abbia votato massicciamente per
tutto questo, con la sola eccezione di Turigliatto e Rossi, e altri due
astenuti o favorevoli. Purtroppo il voto non è stato registrato
nominativamente! Noi vogliamo sapere come ogni senatore vota !

Tutto questo è di una gravità estrema! Il nostro paese entra così nella
grande corsa al riarmo che ci porterà dritti all'attacco all'Iran e alla
guerra atomica.

Trovo gravissimo il silenzio della stampa su tutto questo: una stampa sempre
più appiattita!

Ma ancora più grave è il nostro silenzio: il mondo della pace che dorme sonni
tranquilli. E' questo silenzio assordante che mi fa male. Dobbiamo reagire,
protestare, urlare!

Il nostro silenzio, il silenzio del movimento per la pace significa la morte
di milioni di persone e dello stesso pianeta. La nostra è follia collettiva,
pazzia eretta a Sistema. E' il trionfo di "O' Sistema". Dobbiamo riunire i
nostri fili per legare il Gigante, l'Impero del denaro. Come cittadini attivi
non violenti dobbiamo formare la nuova rete per dire No a questo Sistema di
Morte e un Sì perché vinca la Vita.

Alex Zanotelli

Le firme di adesione vanno inviate a:



--- 4 ---

settembre 2007

www.disarmiamoli.org
 
La Legge Finanziaria 2008 sarà targata N.A.T.O.?
 
Comunicato Stampa della Rete nazionale Disarmiamoli!
 
La Legge finanziaria 2008 entra in questi giorni nel vivo della sua realizzazione.
Scopriamo così dalla viva voce del Ministro della Difesa Arturo Parisi che il governo italiano“…..ha assicurato alla NATO che avremmo destinato alla Difesa il 2 per cento del PIL, quando oggi siamo solo all’1 per cento. Senza un buon aumento le missioni all’estero si troveranno in gravi difficoltà”
 
Stando alle richieste del Ministro la spesa militare per il 2008 dovrebbe raddoppiare , portando così i costi della nostra “proiezione bellica” da 18 a 36 miliardi.
 
Se a questo aggiungiamo il budget del Ministero degli Interni, che stanzia per le forze dell’ordine ben 24 miliardi, il quadro del costo complessivo della nostra “sicurezza” in terra, in mare e nei cieli è presto fatto.
 
Si conferma così l’orientamento alla progressivamente trasformazione del nostro sistema economico sul modello statunitense. In periodi di crisi profonda del sistema produttivo e finanziario internazionale l’unica industria che tira è quella bellica. Largo spazio quindi a Finmeccanica, Oto Melara, Beretta, Avio elettronica e alle tante industrie belliche tricolori che con tutta probabilità troveranno altri lauti finanziamenti nella Finanziaria 2008.
 
Mentre gli architetti della politica estera ed interna sono al lavoro per distribuire a guerra e polizie le risorse pubbliche, sul terreno del conflitto sociale il movimento ha ripreso a pieno ritmo la sua attività, a partire dalla mobilitazione vicentina con il campeggio in corso a Caldogno, pochi chilometri di distanza dall’aeroporto Dal Molin.
 
Il sindaco di Vicenza Enrico Hüllweck, anche in previsione delle prossime elezioni amministrative, risponde alla forza del movimento No Dal Molin cercando di coprirsi le spalle attraverso le massime cariche dello Stato.
 
Il Presidente della Repubblica Napolitano è stato invitato dal primo cittadino a visitare città berica . Le politiche bipartisan si trasformano così in vere e proprie “chiamate in correo” a sostegno delle scelte più indecenti. L’agenda di Napoletano al momento è piena, ma Hüllweck è riuscito a strappare una disponibilità per i prossimi mesi…..L’accoglienza del movimento è garantita.
 
La battaglia contro la base USA al Dal Molin è entrata così in una nuova fase, quella delle azioni dirette e della mobilitazione permanente. Tutto il movimento di resistenza politico, sociale e culturale presente nel paese a queste politiche belliciste ed antipopolari è chiamato a rispondere all’appello del Presidio permanente.
 
Ognuno dai suoi avamposti dovrà nei prossimi giorni sostenere attivamente le azioni pacifiche e di massa del Presidio, determinato a fermare i cantieri ed a contestare la presenza delle basi pre-esistenti sul territorio berico.
 
La Rete nazionale Disarmiamoli
 
www.disarmiamoli.org info@...


(italiano / english)

---


www.resistenze.org - osservatorio - mondo multipolare - 18-12-07 - n. 207

da Strategic Culture Foundation - http://en.fondsk.ru/article.php?id=1108
 
I Clinton ed i Bush: gemelli politici
 
Pyotr Iskenderov*
10/12/2007

 

Recentemente una tendenza riconoscibile è riemersa dentro una parte dell’establishment politico russo: i Democratici degli Stati Uniti che lastricano la loro strada al potere con i cadaveri dei soldati statunitensi uccisi in Iraq sono visti con lo stesso genere di speranza con la quale B. Clinton, “il nostro amico Bill”, era visto negli anni ’90 da liberali russi con credenziali piuttosto oscure. Gente dei circoli politici e di affari vicini a Washington.

 

Costoro sembrano essere pieni di buone intenzioni mentre tentano di stabilire un contatto con le persone “ragionevoli” che probabilmente saranno nella futura Amministrazione Democratica. Tuttavia il problema è che, se si guardano da vicino le cose, la concentrazione di “ragionevolezza” fra i Dem non è più alta che tra le fila dei Repubblicani. E inoltre se ne possono trovare anche di molto più falchi di Bush, Cheney, e Co.

 

Questo è particolarmente chiaro quando si passa agli affari internazionali: disapprovano la sortita militare di G. Bush in Iraq ma sono ansiosi di fare un danno anche maggiore. Un esempio notevole di ciò è l'idea del carismatico Barack Obama di spostare le priorità della guerra al terrorismo dall'Afghanistan al Pakistan e di bombardare intere regioni del paese (che dal 1998 è una potenza nucleare).

 

Nel frattempo, la Senatrice Hillary Clinton ha improvvisamente preso a preoccuparsi dal problema del Kosovo. Si propone di portare a termine il lavoro cominciato dal suo piuttosto promiscuo marito nel 1999, quando, agendo senza un mandato dell’Onu, la Nato attaccò la Jugoslavia e privò praticamente Belgrado di ogni controllo sul Kosovo. Ora Hilary Clinton propone di perpetuare il risultato dell'aggressione e di riconoscere l'indipendenza del Kosovo: “Nel caso in cui Priština dichiari l'indipendenza, io esorterò fermamente gli Stati Uniti a riconoscere quel paese e inviterò l'UE a fare altrettanto”. Facendo commenti sui negoziati in corso all'interno della troika US-UE-Russia, ha detto: “Tenendo presente che la Russia sta minacciando di usare il suo veto per ogni proposta portata di fronte al Consiglio di Sicurezza, dobbiamo essere pronti a sostenere risolutamente la volontà della grande maggioranza delle persone del Kosovo.”

 

Non è un segreto che anche l'attuale Amministrazione degli Stati Uniti sostenga la dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Tuttavia, né il Segretario di Stato C. Rice né il Presidente degli Stati Uniti G. Bush (anche durante la sua visita in Albania) hanno mai espresso l’opinione che l'indipendenza unilateralmente dichiarata debba essere riconosciuta con tale “prontezza”.

 

Ci sono inoltre informazioni che il Dipartimento di Stato gli Stati Uniti stia attualmente tentando, attraverso canali non ufficiali, di convincere gli albanesi a frenare sull’immediata dichiarazione di indipendenza. Questa deve essere la ragione per cui a Priština l'evento è stato procrastinato diverse volte. Mentre solo un paio di mesi fa il Primo Ministro del Kosovo Agim Çeku aveva indicato che l'indipendenza sarebbe stata dichiarata il 28 novembre (‘giorno della bandiera’ albanese), in seguito il leader del Partito Democratico Hashim Thaçi, che il 17 novembre vinse le elezioni in Kosovo, spostò la data a metà dicembre. Ora Agim Çeku dice che la dichiarazione sarà fatta all’inizio del prossimo anno, non più tardi che in marzo. Secondo i media kosovari albanesi almeno fino alla fine di febbraio o l’inizio di marzo non ci si dovrebbe attendere alcuna dichiarazione di indipendenza. Per certo, la tendenza è spiegata dalla pressione di Washington. Sembra che gli Stati Uniti stiano cominciando ad essere preoccupati di assumersi la responsabilità dei passi di Pristina- che verosimilmente porterebbero ad un'altra guerra balcanica- e che in qualche modo cerchino di spostare il carico sull'UE. Di qui l'impazienza della Sig.ra Clinton, che ha fiutato il cambio di filosofia in corso a Washington.

 

Probabilmente nemmeno le critiche dirette dai Democratici alla campagna degli Stati Uniti in Iraq dovrebbero essere prese troppo seriamente. In questi giorni, un buon numero di Dem ha definito ciò un errore ma sono le stesse persone, inclusa la Senatrice H. Clinton, che votarono per autorizzare G. Bush a lanciare il suo attacco discrezionale. Quello che i Democratici addebitano ai Repubblicani non è l'aggressione contro un paese arabo sovrano ma solamente la loro inottemperanza a fornire informazioni adeguate sui termini e i costi dell'operazione e sul livello del potenziale appoggio internazionale a questa.

 

Forse che il radicalismo e l'irresponsabilità dei Democratici sono selettivi e ad ogni modo non concernono la Russia, che sarà trattata come un partner? Forse H. Clinton e B. Obama daranno alla Russia il benvenuto nel WTO; o il Congresso degli Stati Uniti a maggioranza Democratica abolirà finalmente l'emendamento Jackson-Vanik? Forse la Nato accantonerà il suo progetto di espansione e gli Stati Uniti cesseranno l'attività anti-russa nei paesi confinanti con la Russia?

 

Ho fatto queste domande a N. Zlobin, direttore del Progetto Russia ed Eurasia presso l'Istituto della Sicurezza Mondiale con sede a Washington e persona insolitamente bene informata sul lavorio interno alla politica degli Stati Uniti. Lui ha reagito ironicamente all'idea che i Democratici sarebbero partner più facili per la Russia: “Dovremmo essere realisti. Criticando G.Bush per la sua politica estera, praticamente tutti i Democratici citano la Russia come un esempio del suo fallimento. Fanno cadere la responsabilità su Bush se nel corso della sua presidenza il paese con il più vasto territorio del mondo ha smesso di essere democratico ed è regredito all'autoritarismo, al cui ritorno hanno fatto scudo la stretta relazione dei due Presidenti e le loro dichiarazioni con l’effetto della fiducia reciproca e della reciproca ammirazione fra le parti. Quindi la politica di un nuovo Presidente degli Stati Uniti e del Congresso a maggioranza Democratica sarà più aspra con la Russia. L’attuale ed ancor più il prossimo Congresso saranno i centri di tendenze anti-russe per quanto concerne un’intera serie di questioni, come l’ammissione della Russia al WTO, la situazione nello spazio post-sovietico, l’espansione della Nato e specialmente la politica dell’energia del Cremlino”.

 

Questo è déjà vu. I tentativi fatti da alcuni politici russi di trovare “perfetti partner politici” sulle rive del fiume Potomac non sono in alcun modo congeniali agli interessi nazionali della Russia. Non basta ricordare che otto anni fa gli analisti politici di scuola nostrana dicevano che per Mosca sarebbe stato più facile trattare con il Repubblicano G. Bush che con il Democratico Al Gore. L’attuale riorientamento non è una novità nelle avventurose carriere dei voltagabbana. Una grande potenza come la Russia semplicemente non dovrebbe cercare appoggio strategico presso gli statisti sull'altro lato dell'Oceano Atlantico il cui comportamento è totalmente egoista e i cui obiettivi sono dettati da interessi politici o finanziari nazionali.

 

*Petr Akhmedovich Iskenderov, storico e Ricercatore Senior all’Istituto Studi Slavi dell'Accademia delle Scienze Russa.

 

Traduzione dall’inglese Bf per www.resistenze.org


 ---

Strategic Culture Foundation
December 11, 2007

The Clintons and the Bushs – Political Twins

Pyotr Iskenderov


Recently, a recognizable tendency re-emerged within a
part of the Russian political establishment: the US
Democrats paving their way to power with the corpses
of the US soldiers killed in Iraq are viewed with the
same kind of hope as Bill Clinton - "our friend Bill"
- was viewed by Russian liberals with rather murky
credentials in the 1990s. 

Seeking exposure, folks from the political and
business circles frequent Washington. 

They seem to be full of good intentions as they try to
make contact with the "reasonable" people likely to be
in the future Democratic Administration. 

However, the problem is that, if you look at things
closely, the concentration of the "reasonable" among
the Dems is not higher than in the ranks of the
Republicans. And even those who can be found are a lot
more hawkish than Bush, Cheney, and Co. 

This is particularly clear when it comes to world
affairs. 

While disapproving of G. Bush's military escapade in
Iraq, they are eager to make even more trouble. A
notable example of the kind is the charismatic Barack
Obama’s idea of shifting the priorities of the war on
terrorism from Afghanistan to Pakistan and bombing
entire regions of the country (which has been a
nuclear power since 1998). 

In the meantime, Senator Hillary Clinton suddenly got
preoccupied with the Kosovo problem. 

She suggests finalizing the job started by her rather
promiscuous husband in 1999, when, acting without a UN
mandate, NATO attacked Yugoslavia and practically
deprived Belgrade of any control over Kosovo. 

Now, H. Clinton proposes to perpetuate the result of
the aggression and to recognize the independence of
Kosovo: “In the event of Priština declaring
independence, I will firmly urge the U.S. to recognize
that country and I call on the EU to do likewise“. 

Commenting on the negotiations on the issue within the
US-EU-Russia Troika, she said: “Bearing in mind that
Russia is threatening to use its veto for any proposal
brought before the Security Council, we must be ready
to resolutely support the will of the vast majority of
Kosovo people“. 

It is no secret that the current US administration
also supports Kosovo's bid for independence. 

Nevertheless, neither Secretary of State C. Rice nor
US President G. Bush (even during his visit to
Albania) ever expressed the view that the unilaterally
declared independence must be recognized with such
"readiness." 

Moreover, there is information that it is the US
Department of State that is currently trying, via
unofficial channels, to convince Albanians to refrain
from declaring independence immediately. 

This must be the reason why the event has been
postponed in Priština a number of times. 

Whereas just a couple of months ago Kosovo PM Agim
Çeku indicated that independence would be declared on
November 28 (the Albanian Flag Day), later Hashim
Thaçi, the leader of the Democratic Party which won
the November 17 elections in Kosovo, shifted the date
to mid-December. 

Now Agim Çeku says that the declaration is due early
next year, no later than by March. 

According to the Kosovo Albanian media, no
independence declaration should be expected at least
till the end of February or early March. 

For sure, the tendency is explained by Washington's
pressure. It seems that the US is beginning to worry
about taking the responsibility for Priština's steps
that are likely to trigger another Balkan war, and
intends to somehow shift the burden to the EU. Hence
the impatience of Mrs. Clinton who has sensed the
ongoing change of philosophy in Washington. 

Perhaps the criticisms directed by Democrats at the US
campaign in Iraq should not be taken too seriously
either. 

These days, quite a few of the Dems call it a mistake,
but they are the same people, including Senator H.
Clinton, who voted for authorizing G. Bush to launch
the attack at his discretion. 

What the Democrats charge the Republicans with is not
the aggression against a sovereign Arab country, but
only their failure to provide the adequate information
on the operation's terms and costs, and on the
potential level of the international support for it. 

Maybe, the radicalism and the irresponsibility of the
Democrats are selective and somehow do not concern
Russia, which is going to be treated as a partner? 

Maybe, H. Clinton and B. Obama will welcome Russia to
the WTO, or the US congress with a Democratic majority
will finally abolish the Jackson-Vanik amendment?
Maybe NATO will drop its expansion plans, and the US
will cease anti-Russian activity in the countries
neighboring Russia? 

I asked the questions to N. Zlobin, director of the
Russia and Eurasia Project at the Washington-based
World Security Institute and a person exceptionally
knowledgeable about the internal workings of US
politics. 

He reacted ironically to the idea that Democrats would
be easier partners for Russia: 

"We should be realists. Criticizing G. Bush for his
foreign politics, practically all of the Democrats
cite Russia as an example of its failure. 

"They blame it on Bush that during his presidency the
country with the world's largest territory stopped
being democratic and reverted to authoritarianism, the
return being shielded by the close relationship of the
two Presidents, their statements to the effects that
the sides trust each other, and mutual admirations. 

"Therefore, the politics of any new US President and
the Congress with a Democratic majority is going to be
harsher on Russia. The current, and even more so, the
next Congress are going to be the centers of
anti-Russian tendencies in what concerns a whole range
of issues such as admitting Russia to the WTO, the
situation in the post-Soviet space, NATO expansion,
and especially the Kremlin's energy policy." 

That is déjà vu. 

The attempts made by some Russian politicians to find
"perfect political partners" on the banks of the
Potomac River are in no way congenial to Russia's
national interests. 

One can't help recalling how our home-grown political
analysts used to say 8 years ago that it would be
easier for Moscow to deal with the Republican G. Bush
than with the Democrat Al Gore. 

The current reorientation is not the first one in the
eventful careers of the turncoats. 

A great power such as Russia simply should not seek
strategic support from the politicians on the other
side of the Atlantic Ocean whose behavior is entirely
selfish and whose goals are dictated by domestic
political or financial interests. 
______________ 

Dr. Petr Akhmedovich Iskenderov is a historian and a
Senior Research Fellow at the Slavonic Studies
Institute of the Russian Academy of Science. 


(L'intervista a Peter Handke che riproduciamo di seguito in lingua spagnola è apparsa originariamente su EL MUNDO. 
Una versione ridotta e poco fedele all'originale è stata pubblicata sul Corriere della Sera del 31/12/2007 - in formato PDF alla pagina: http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?currentArticle=GOD2B&articleFormat=jbig2============================================================================ )



HANDKE DICE QUE KOSOVARES NO MERECEN SU ESTADO

---

Un lenguaje que carece de interés pero que hace mucho mal al mundo, a la realidad. No me explico cómo se ha podido llegar hasta este punto. Sobre todo ha sucedido con Yugoslavia. Con la caída de Yugoslavia, la lengua buena, la que protege y vela por la justicia, ha desaparecido de las páginas de los periódicos. De vez en cuando aparece algún articulito, bastante escondido; hay que estar muy atento para poderlo encontrar. Cuando se abandonó a Serbia a su suerte, todo lo que pasó en Srebrenica, había que buscar bien en la prensa francesa para enterarse de todo. El Tribunal Internacional de La Haya abandonó a Serbia, abandonó a Slobodan Milosevic, como presidente que era de la todavía Yugoslavia. De eso nada se ha dicho. Ni siquiera puedo rebelarme, simplemente me he quedado perplejo. ¿Qué pasa con el periodismo de hoy día?


«Thaci es uno de los principales criminales de guerra de los Balcanes; los kosovares no merecen un Estado» 

El escritor está cansado, no de las caminatas previas al 'Ensayo sobre el cansancio', sino del talento humano para automatizar respuestas servidas por el Gran Hermano de turno sin indagar más, sin hacerse preguntas. En Europa, los apóstoles de la correción política lo convirtieron en enemigo a batir por sus artículos sobre la guerra de Yugoslavia. 

ELVIRA HUELBES

1.1.2008.


CARGO: Escritor y licenciado en Derecho por la Universidad de Graz / CREDO: Convertido a la Iglesia Ortodoxa en 1999 / AFICIONES: Andar descalzo, pasear por la España solitaria, Las Bárdenas y la Sierra de Gredos, San Juan de la Cruz y hacer cine con su amigo Wenders / SUEÑO: «Una Europa sin fronteras, libre, que abandone el nuevo chovinismo que levanta barreras internas».
En 1995 viajó por los escenarios de las guerras de Yugoslavia porque no se fiaba de la abrumadora información unilateral. Lo contó en Un viaje de invierno a los ríos Danubio, Sava, Morava y Drina o Justicia para Serbia. Desde entonces su preocupación por una prensa ecuánime le ha valido ataques y descalificaciones. Peter Handke visita a menudo los enclaves serbios de Kosovo, lugares desafectos, calificados como campos de concentración. Conoce bien a sus pobladores que viven ahora la pesadilla del abandono por parte de todos. Hace tiempo que Peter Handke anda en el combate de las acusaciones repetidas por los medios contra los serbios y que ahora voces autorizadas, como la prestigiosa The Lancet, desmienten. Hablamos en su casa de París, tras uno de sus viajes.


PREGUNTA.- La justicia francesa acaba de condenar a Ruth Valentini (Nouvel Observateur), por difamación, al atribuirle a usted frases no propias que fueron repetidas por otros medios.

RESPUESTA.- Ah, ¿lo sabe Vd.? Porque la prensa francesa no ha dicho nada absolutamente, ni Libération ni Le Monde. Ni siquiera han mencionado el juicio. Me han declarado la guerra por lo que he escrito durante años, pero de esto, nada.

P.- La banalidad del mal, según Hanna Arendt, puede llegar a ser estremecedora. Puede que Valentín ignorara mucho de lo que escribía contra usted.

R.- No, en este caso había una clara intención de hacer el mal. Resulta raro comprobar cómo Le Nouvel Observateur, que hace treinta años estaba ligado a Albert Camus -el propio director, Jean Daniel, siempre se ha enorgullecido de la amistad que les unía-, desde la guerra de Yugoslavia se ha vuelto una mala revista. Le Figaro, a veces publica algunos artículos bastante interesantes y casi objetivos. Pero en absoluto pasa eso en la prensa que se hace llamar de izquierdas.

P.- Quizá se produce un fenómeno mimético, como dice René Girard: se dice lo que hay que decir, lo que se espera que se diga según lo indicado por la corriente mayoritaria.

R.- Vale, me parece muy bien, pero me sobran las explicaciones. Ese tipo de periodistas se han acabado para mí como seres humanos.

P.- El caso es que el lenguaje de lo correcto triunfa y quien lo contraría sale trasquilado. A usted le han retirado una obra de teatro en Francia y ha tenido que renunciar al Premio Heine que le habían concedido en Alemania, por las protestas que levantó.

R.- Sí, ¡qué pena me da! [risas] Es muy triste, ¿no? No, la verdad es que no estaba preparado para eso. Cuando salió Un viaje de invierno..., hace doce años, durante casi un mes se produjo un silencio total en la prensa. Después, se lanzaron a emitir juicios utilizando unas palabras que resultaban más peligrosas que los carros de combate. Yo prefiero los carros, disparan y ya está, pero no esa hipocresía, esa mierda en que se ha convertido el periodismo. Hay una agresividad completamente oculta, en cuanto alguien le contradice la máscara cae, y una especie pre-darviniana hace su aparición.

P.- ¿La invención de cifras y la repetición de noticias no confirmadas ha hecho mucho mal en esta guerra?

R.- Una guerra terrible, muy cruel. Además ha sido una guerra oculta, se ha matado sin que se viera, se ha destruido la estructura de Serbia. La prensa ha preparado bien la guerra, es profundamente culpable. Le Monde tituló: «Los serbios han matado a sesenta mil albaneses en Kosovo», siguiendo el testimonio de Médicos sin Fronteras, que es una organización cuyos miembros se han burlado del juramento hipocrático y que, desde entonces, se me ha vuelto odiosa, detestable porque ha tomado partido [la cifra de albaneses muertos durante el bombardeo de la OTAN, de 1999, fue de 6.000]. Yo tengo gran admiración por la Francia de Georges Bernanos, de Michel de Montaigne y de Voltaire, pero esta Francia que crea una actualidad tan perjudicial es una vergüenza para Europa.

P.- De la guerra civil española siempre se habló de un millón de muertos y ahora se sabe que fue un tercio.

R.- No quiero entrar en detalles de cifras, ahora se sabe que las dadas entonces no son verdad. No quiero ser revisionista, es una tragedia y una vergüenza para los serbios que cometieron crímenes. Pero he estado muchas veces en Srebrenica, en invierno y en verano. Había un montón de pueblos alrededor de Srebrenica, todos serbios, y se sabe que el bosnio musulmán Naser Oric los destruyó y mató a su gente que había sido desmilitarizada por la OTAN. [Oric está en libertad después de pasar por el Tribunal Internacional de La Haya]. Cuando estuve en Cravica sólo vi gente llorando. Porque no fue como en Srebrenica, donde sólo murieron hombres, sino que también mujeres y niños fueron asesinados. Eso sí que es un genocidio. Pero no se ha vuelto a hablar de eso. Teniendo en cuenta que hubo fracciones de musulmanes en Bosnia que lucharon entre sí, la proporción de muertos está equilibrada, triste decirlo. Es una vergüenza trampear con los muertos. La guerra de Yugoslavia empezó en Eslovenia, en verano de 1991, hubo 62 víctimas, ni un solo esloveno; sólo soldados del Ejército nacional yugoslavo. Los paramilitares eslovenos tiraban como locos a sus blancos. Y luego hablaban de nuestra guerra de liberación; un catolicismo hipócrita.

P.- ¿Por qué se habrá elegido a Serbia como chivo expiatorio?

R.- Creo que lo ha hecho gente de izquierdas, con muy mala conciencia, personas que habían suscrito las ideas socialistas, comunistas, y para los que la Unión Soviética era el monstruo. Una vez desaparecida, lo que quedaba más cercano era el socialismo de Yugoslavia, que había encontrado una idea magnífica que funcionó bien durante mucho tiempo, pero después, cuando falló la economía las ideas ya no sirvieron. No pudieron con Rusia y les quedaba energía para hacer el mal, para pelearse -todo intelectual quiere ser un pequeño Malraux que quiere luchar por no sé qué-, así que lo único que había era Yugoslavia, de la que nadie sabía nada. Nadie. Gente que se denominaba a sí mismos «expertos en los Balcanes», auténticos criminales, descendientes de la antigua Ustacha [organización terrorista fascista croata cuyos sucesores fueron la punta de lanza de la independencia de Croacia]. Y esta unión de la ignorancia y de los autodenominados «expertos en los Balcanes» ha conducido el estado de cosas a las puertas del infierno. Y con una retórica rota y maniquea que empeora aún más la situación.

P.- El asunto de los Balcanes es muy complejo, dicen.

R.- No lo es en absoluto. Sólo hacen falta unas cuantas palabras, unas cuantas imágenes, unos instantes con los serbios, y no solamente con los ocupantes: los alemanes de la KFOR por ejemplo, gente encantadora que no hizo el menor gesto por proteger un valioso monasterio como el de Prizren, simplemente porque fueron cobardes y no cumplieron el mandato por el que están allí. Hay soldados que trabajan magníficamente, como los italianos que protegen Decani, los austriacos que rodean Velika Hoca, los suizos. Me encuentro con soldados que me respetan y me animan a continuar. Cuando se habla de los Balcanes sólo surgen prejuicios, todo está preparado así. En cuanto se ponen a escribir artículos sobre Serbia hay frases que están como plastificadas. No hay que pensar; sobre todo no hay que mirar. No se mira. Porque si se mirara, cambiaría todo.

P.- Para Vd. mirar es muy importante.

R.- Y escuchar, también. Es muy importante escuchar el ritmo de la frase, la sonoridad de la voz, la vacilación, sobre todo, el espacio intermedio entre las palabras... No sé, forma parte de mi naturaleza, si no nunca me habría hecho escritor. No hay escuela de periodismo que enseñe esto y, realmente creo que sería deseable. Siempre se me ha dicho: «Ah, tú es que eres un poeta y ése es el lenguaje que no conviene a este tipo de problemas». Pero es justo lo contrario. Porque el lenguaje del poeta o del escritor es un lenguaje que carece de método. Con la prensa, sobre todo los semanarios, sólo hay que mirar la primera frase: todo es artificial, todo está preparado de antemano. Si analizas un artículo de, por ejemplo, The New Yorker, ves que hay un método -qué digo, método sería algo- hay una receta como las de McDonalds. El lenguaje de la literatura es espontáneo y preciso al mismo tiempo. Y rítmico. Llega del corazón y del espíritu y de los ojos y del oído. Cuando se da ese lenguaje, se da un sentimiento lo más natural del mundo. Si hay sentimiento se vuelve uno poético; si no hay sentimiento, se vuelve uno periodista.

P.- Es usted duro con la prensa.

R.- Mire, cada semana Le Monde hace un dossier de cinco páginas sobre algún problema europeo. Y yo digo: ya que ustedes han hecho la guerra contra los serbios, ¿por qué no hacen una semana un dossier sobre los refugiados en Serbia? Hay un millón de ellos, completamente ocultados, les he visitado dos y tres veces, esa pobre gente, la más miserable de Europa que he visto, cómo acogen a los que vuelven a Kosovo les dan un poco de pan, porque Serbia no es muy rica, eso va a cambiar gracias a Bruselas, seguramente. Quiero decirle a Le Monde: Usted ha escrito sobre los albaneses, con razón, y sobre Vukovar, con razón, pero por una sola vez, podría usted escribir sobre la situación de los serbios de Kosovo. Una vez. Si llegaran a hacer un dossier sobre, por ejemplo, los enclaves serbios de Kosovo, verían cómo resultaba apasionante saber qué pasa ahí. ¿Por qué no lo hacen? No lo comprendo. Y me parece un crimen de periodismo. ¿Por qué no hacen un dossier de cinco páginas sobre Velika Hoca, Orahovac, Decani, Pec, Urosevac? No sé. Creo que han perdido el honor.

P.- Usted ha escrito sobre mirar la realidad desde un tercer ángulo, en su Apéndice de verano a un viaje de invierno. ¿Serviría hablar con los monjes de Decani?

R.- Sí, he conocido a los monjes de Decani y a las religiosas de Gracanica; pero hay que hablar sobre todo, yo creo, con la gente que está en Orahovac, por ejemplo, con los niños, quedarse con ellos, verdaderamente. Habría que quedarse un par de semanas, por lo menos, vivir con ellos en invierno, sin luz, sin calefacción ni agua caliente. O ir hacia el norte de Kosovo, realmente la región más bella, la más idílica. Hay 80.000 serbios que viven allí. Familias de serbios que viven en un Estado que ya no va a ser el suyo. ¿Qué van a hacer? ¿Qué crimen han cometido? He leído que desde Bruselas han dicho que ya está libre la vía para la independencia, ¡y lo dicen en tono triunfal! Pero, ¿qué es lo que está libre? Nada está libre, ¡nada!

P.- ¿Una región hecha de odio?

R.- Resulta chocante que en Kosovo -y no tengo nada contra la gente; no merece la pena- los chicos albaneses de tres y cuatro años se líen automáticamente a lanzar piedras contra los autobuses escolares que llevan inscripciones en cirílico. ¿Qué hacen los padres, los abuelos? Es el aprendizaje del odio. ¿Cómo creer en las palabras del señor Thaci sobre reconciliación? ¡Uno de los peores criminales de los Balcanes! No merecen un Estado. Puede que dentro de diez años, si verdaderamente llegan a adquirir una cultura, cultura de las almas, de la lectura, del cine; pero ahora usan la cultura solamente en favor de sus intereses, con odio. Niños que tienen automatizado ese odio aprendido. ¿Qué tipo de Estado va a ser ése? Hay poblaciones enteras en las que los serbios han sido muertos o han huido, y los albaneses han ocupado sus casas y sus tierras. Si es ése el nuevo Estado que quiere Europa, mis felicitaciones. Han quemado las pinturas y los iconos serbios, han quemado los libros. Eso destruye nuestra Europa, verdaderamente nuestra Europa. Y yo me siento europeo, lo he sido siempre.

P.- ¿Es algo paranoico pensar que a Estados Unidos le convenga una Europa débil y dividida?

R.- Hay muchas explicaciones, ¿sabe?, muchos intereses simplemente estratégicos. Tienen una gran base en Kosovo [Camp Bondsteel, construida justo después del bombardeo de la OTAN de 1999]. Son ricos, tienen armas, imponen su ley, es normal. Ni siquiera hay mala voluntad. Pero me pregunto qué van a hacer para proteger el monasterio de Decani, el más rico al sur de Europa, el más gracioso, con esas capillas. ¿Hay acaso un plan para proteger los monasterios [hay cerca de 1.300, de los que los albaneses han destruido ya un total de 150]. ¿Cómo van a proteger los enclaves serbios? ¿Dónde está la solución? Son las gentes de la OTAN los que han creado la situación actual y ahora buscan culpables fuera. Se han visto obligados a proteger a los albaneses de los serbios, realmente una minoría, durante el ataque brutal de otoño de 1999, y ahora no hacen otra cosa que ocultar su culpabilidad diciendo mentiras. Claro, ha sido Slobodan Milosevic el único culpable.


--------------------------------------------------------------------------------
«Tengo la convicción de que Milosevic no es culpable»
Hay mucha diferencia entre el Kosovo de los enclaves serbios y el de los albaneses.

- La zona alrededor de Mitrovica y el norte de Kosovo son muy bellos, ricos, llenos de armonía. Cuando se va hacia el sur, a partir de Mitrovica, los campos están abandonados, sin cultivar, hay suciedad, todo se ha vuelto caótico, ya no se tiene conciencia de estar en Europa. Se le ha destruido por mucho tiempo. ¿Por qué ha tenido que pasar esto? Todo por unas declaraciones de Slobodan Milosevic, cuando dijo ante un millón de serbios de Kosovo: «No vais a tener que combatir más», a propósito del aniversario de la batalla del Campo de los Mirlos [1389]. Habló de que les esperaban «otras guerras, otras batallas», que nada tenían que ver con tomar las armas. Y diez años después, se han utilizado estas frases contra él y contra Serbia.

¿Ha conocido a Slobodan Milosevic?

- Sí; estuve con él en la prisión de Scheveningen. Leí un magnífico artículo sobre él, bastante irónico, de un periodista de Le Figaro que conoce bien los Balcanes, que estuvo durante la guerra, y que escribía sin animadversión contra los serbios. Un buen periodista. Yo estaba en Belgrado cuando los acuerdos de Dayton. Vi en televisión cómo Milosevic partía para Dayton, y no se volvía a las cámaras al entrar en el avión. En ese momento, sentí confianza en él. Lo que pasa es que estaba rodeado de idiotas. Pero él mismo, no sé. Tengo la íntima convicción de que él no es culpable de lo que le han acusado.

Usted ha escrito tanto y se ha complicado tanto la vida con la guerra de Yugoslavia, ¿le quedan ganas de seguir escribiendo?

- Había pensado escribir algo sobre los niños en los enclaves serbios, los niños albaneses que lanzan piedras a los autobuses serbios; sobre cómo los serbios han sido expulsados de sus pueblos que compartían con los albaneses y cuando han querido regresar han visto que ni siquiera quedan sus cementerios en pie. Ni una piedra de la tumba a la que rezar. Y regresan y se topan de pronto con miles de albaneses que se plantan ahí para impedir que vuelvan. No les pasa nada porque están protegidos; hay un sector de la policía albanesa que protege a los serbios, una policía que es casi heroica. Pero, ¿de dónde salen tantos albaneses, qué hacen?, ¿es que no trabajan? Quiero escribir también lo que vi un día en el autobús, donde iba una chica rusa, y subió un niño serbio de unos cinco años y la chica hizo un pequeño gesto, casi imperceptible para no provocar y, después de unos segundos, el niño contestó con un leve gesto para indicarle que lo había captado. De todo eso quiero escribir, sin hacer ningún tipo de interpretaciones, sólo dejar leer. Toma, esto es lo que he escrito; coge el libro y lee. Y ya está.


--------------------------------------------------------------------------------
LA CUESTION
- ¿Cree que la izquierda está muy ligada al lenguaje de la corrección política?

- Un lenguaje que carece de interés pero que hace mucho mal al mundo, a la realidad. No me explico cómo se ha podido llegar hasta este punto. Sobre todo ha sucedido con Yugoslavia. Con la caída de Yugoslavia, la lengua buena, la que protege y vela por la justicia, ha desaparecido de las páginas de los periódicos. De vez en cuando aparece algún articulito, bastante escondido; hay que estar muy atento para poderlo encontrar. Cuando se abandonó a Serbia a su suerte, todo lo que pasó en Srebrenica, había que buscar bien en la prensa francesa para enterarse de todo. El Tribunal Internacional de La Haya abandonó a Serbia, abandonó a Slobodan Milosevic, como presidente que era de la todavía Yugoslavia. De eso nada se ha dicho. Ni siquiera puedo rebelarme, simplemente me he quedado perplejo. ¿Qué pasa con el periodismo de hoy día?

original AQUI (fair use only)





Sacrificing stability


Future of Kosovo: To allow Kosovo's independence would demonstrate that violent secessionism works, a precedent that must be avoided


Articles




December 29, 2007 12:00 PM | Printable version


Kosovo's march toward independence is gathering pace, with the leaders of Kosovo's Albanians - Hashim Thaci and Agim Ceku - threatening to declare unilateral independence any day now. This is something that Serbia will undoubtedly reject, with the backing of Vladimir Putin's Russia.

Much of the world seems to think that Serbia's role in the Balkan wars of the 1990's puts it in the wrong, and that that should be the end of the matter. But Serbia's point of view is not without merit, and many other countries with territorially concentrated ethnic minorities have reason to be anxious about the precedent that might be set if Kosovo's declaration of independence is recognised.

Consider, first, that Kosovo is the historical heart and religious soul of Serbia. Hundreds of Serb Orthodox churches, monasteries, and holy sites in Kosovo attest to this.

Moreover, Kosovo's demographic transformation over the last 100 years, when Albanians overtook the local Serb population, partly reflects an influx of Albanians from Albania - for decades a political and economic basket case, owing to Enver Hoxha's hermetic communism. At the same time, many Serbs have left Kosovo before and after Nato's intervention in 1999, whether fleeing from Albanian violence against them or simply lured by better opportunities in Serbia proper.

Serbia's claim to Kosovo is, to Serbs, far stronger than Russia's claim to Chechnya, China's to Xinjiang, India's to Kashmir (a claim still disputed by Pakistan), and the Philippines' to the island of Mindanao. All of these are provinces with Muslim majority populations that are part of non-Muslim majority states.

But Russia, China, and India are big states and will not tolerate any detachment of their territories. So there is no serious international effort to force them to do so. The Philippines has effectively lost control of Mindanao, just as Serbia has lost control of Kosovo, yet no one has recognised Mindanao's unilateral declaration of independence. So why should Kosovo's declaration be accepted?

Nor is it only Russia, China, and India that oppose Kosovo's independence, but also Muslim-majority Nigeria, which retains Biafra, where a bloody civil war with Catholic Ibos was fought in the late 1960's. Muslim-majority Indonesia lost its Catholic-majority East Timor through western political intervention, but its claims to East Timor were tenuous, as it only invaded the island a few decades ago.

Even in Europe, where Catalonia and the Basque region push for secession from Spain, some in Flanders want an end to Belgium, and Scotland's ruling Scottish National party wants eventually to break away from Britain, support for Kosovo's independence is far from universal.

Worse, ordinary Serbs see an obvious international double standard. The territorial integrity and sovereignty of Croatia and Bosnia were enforced in the 1990's, despite declarations of independence by the Serbian "Republic of Krajina" in Croatia and the Serbian "Republika Srpska" in Bosnia. Why is Kosovo being treated differently?

Today, there are roughly 700,000 Serb refugees in Serbia from Croatia and Bosnia who are unable or unwilling to return to their homes, including virtually all of Croatia's Serbs, except those converted to Catholicism to become Croats. Indeed, Serbia currently contains the largest refugee population in Europe. If Kosovo gains independence, these numbers will swell, as an exodus of all remaining Serbs is likely unless their territorial bastions - particularly in northern Kosovo, around Mitrovica - join with Serbia.

More broadly, to allow Kosovo's independence would demonstrate that violent secessionism works. In that case, the world ought to get used to seeing the Kosovo "strategy" applied elsewhere. First, faceless ethnic secessionists attack civilians and police. Not knowing where the enemy is hidden within the civilian population, security forces retaliate indiscriminately. Human rights violations elicit an international outcry and condemnation, followed by intervention and occupation by foreign military forces. And, in the denouement, the state loses control of its province as the secessionists declare independence.

Setting such a precedent in Kosovo must be avoided to ensure stability not only in the Balkans, but in all countries with dissatisfied ethnic minority populations. The territorial integrity and sovereignty of Serbia must be preserved in accordance with the United Nations Charter, the 1975 Helsinki Agreement Final Act guaranteeing the boundaries of Europe, and UN Resolution 1244 of 1999, which guaranteed Serbia's existing borders.

The former Yugoslavia has had enough destruction and mass killing. Preserving national integrity is a universal principle of peace from which Serbia should not be excluded.


In cooperation with Project Syndicate, 2007.



UNGHERIA: MACCHINETTE PER ELEMOSINA PER EVITARE I MENDICANTI


BUDAPEST - Il consiglio comunale di Pecs, Ungheria meridionale,
intende installare delle macchinette per la raccolta di offerte per
evitare la presenza di mendicanti, sempre più numerosi nel centro
della città. Incassato l'obolo, la macchina ringrazierà e le offerte
saranno poi distribuite fra i bisognosi tramite organizzazioni di
carità. L'idea è del sindaco socialista, Peter Tasnadi, secondo il
quale questa soluzione funziona in numerose città europee.
I mendicanti invece sono contrari, scrive il giornale locale
Dunantuli Naplo, perché sono convinti che le macchinette potranno
raccogliere molte meno offerte di quanto non riuscirebbero loro di
persona.
A Pecs, capoluogo della provincia di Baranya, quest'anno la polizia
ha multato più di 300 mendicanti che facevano l'elemosina
importunando i passanti, ma le contravvenzioni non servono a nulla
perché i mendicanti non sono comunque in grado di pagarle. L'idea
delle macchinette ha dei precedenti anche in Ungheria: nel 2004 a
Budapest, ne ha funzionato una per qualche tempo in Piazza Deak
vicino alla stazione della metro, e in sei settimane ha raccolto
20.000 fiorini (80 euro).

(Fonte: Rossana su forum@...-forum.org)



Izvestia 
December 11, 2007

Russia will not ally with the West on Kosovo 


Following the United States, the European Union has
finally made up its mind on the status of Kosovo. 

The further course of events is not difficult to
forecast - Pristina will declare its "state
sovereignty" and separation from Serbia. 

The U.S., EU and some non-allied Balkan countries will
recognize its sovereignty immediately. 

But then Russia will step forward. It is down to
Russia whether or not the UN Security Council endorses
Kosovo's independence, just as it is in the issue of
the rebel province being recognized "in an individual
manner." 

All the West's attempts to influence Moscow and
persuade it to join the common viewpoint have failed. 

In private conversations, the usually restrained
European diplomats are not hiding their irritation:
what sense is there in resisting when everything is
decided, and Kosovo's independence is a foregone
conclusion? 

But these arguments do not embarrass Russia. You have
decided everything for yourselves and are trying to
convince us of your truth. But you cannot, because you
lack arguments. 

Why should Russia unreservedly accept the strange
formula saying that Kosovo is a unique case and Serbs
in Bosnia, or Abkhazia, or Transdnestr, or Nagorny
Karabakh not unique? 

Why should Russia follow the West in shutting its eyes
to the danger posed by Albanian nationalism to the
region and the whole of Europe. 

Today we have Kosovo. Tomorrow it could be
Albanian-populated areas in southern Serbia (Presevo,
Medvedja, or Bujanovac). The day after tomorrow it
could be Macedonia, where the Albanian "liberation
army" has already once brought matters to a civil war.
Montenegro, too, has Albanian pockets - where is the
guarantee that they will never determine to uphold
their "sovereignty" with weapons in their hands? 

Why, lastly, is it possible to dismember Serbia and
never Kosovo? 

Why not discuss quite a logical option - separation
from the province of the part of Mitrovica populated
by Serbs and adjoining Serbia? 

There are too many questions without answers. 

You do not want to pause and think? You need not. You
prefer to indulge in illusions? You are welcome. 

But do not make Russia rubberstamp resolutions it
considers mistaken and unjust. 

Russia need not be courted as an ally. It will not
carry out a 'mercy strike' on Serbia. But nor will it
encourage aggressive separatism. 



http://www.jungewelt.de/2007/12-28/026.php

28.12.2007 / Ausland / Seite 7
Ein Pulverfaß

Bilanzen 2007. Heute: Balkan. Nächster Krieg in Sichtweite. Kosovo
vor Unabhängigkeitserklärung. Gefahr einer Kettenreaktion

Von Jürgen Elsässer

Eines Tages wird der große europäische Krieg wegen irgendeiner
Dummheit auf dem Balkan ausbrechen«, soll der deutsche Kanzler Otto
von Bismarck kurz vor seinem Tod gesagt haben. Die Prophezeiung trat
ein, auf die Schüsse in Sarajevo Ende Juni 1914 folgte ein
vierjähriges Schlachten, das die Welt zerstörte. Die südöstliche Ecke
unseres Kontinents ist seit Beginn der neunziger Jahre, nachdem die
Bipolarität sie vier Jahrzehnte vor den geopolitischen Stürmen
geschützt hatte, wieder für eine ähnliche Eskalation prädestiniert:
Erneut prallen im Gebiet zwischen Adria und Schwarzem Meer die
Interessen der westlichen Führungsmächte auf die Sphäre Rußlands und
die Vorposten der islamischen Welt. Nach der Zerschlagung des großen
Jugoslawiens, das die Minderheiten- und Grenzkonflikte überformte,
sind die alten Streitigkeiten wieder aufgeflammt.

Warnung vor Krieg

»Der nächste Krieg auf dem Balkan droht«, schrieb der Corriere della
Sera am 21. November, als das Scheitern der Verhandlungen um das
Kosovo bereits absehbar war. Auch General Klaus Reinhardt, der erste
Kommandeur der NATO-geführten Kosovo-Truppe KFOR, sah wenige Tage
später in einem Deutschlandfunk-Interview die »Gefahr einer ganzen
Kettenreaktion«: »Ich gehe mal davon aus, daß wenn die Kosovo-Albaner
die Unabhängigkeit erklären, sich die Serben im Norden in Mitrovica
und nördlich des Iber-Flusses ihrerseits unabhängig von diesem neuen
unabhängigen Kosovo erklären. Das kann die Konsequenz haben, daß die
Albaner in Südserbien, im Presevo-Tal, in Bujanova, wo sie ja schon
seit Jahren immer wieder den Anschluß versuchen, sagen, wenn jetzt im
Norden die Serben unabhängig sich vom Kosovo erklären, wollen wir aus
dem serbischen Staatenverbund raus. (...) dann ist der Druck aus
Belgrad nicht zu übersehen, die sagen, wenn Kosovo unabhängig wird,
dann wollen wir gucken, ob wir nicht auch die Republika Srpska aus
dem Staatenverbund Bosnien-Herzegowina rausbrechen und an Serbien
anschließen können. Das heißt, es kann im Worst Case sich eine
Kettenreaktion auf diesen ganzen Bereich ausdehnen, der mir riesige
Sorge macht.« Wenn ein deutscher Kommißkopp, der nach der
Stationierung seiner Truppen auf dem Amselfeld an seiner
Parteilichkeit zugunsten der Albaner keinen Zweifel gelassen hat, vor
deren Ambitionen auf einen eigenen Staat in derart dramatischen
Worten warnt, muß wirklich Gefahr im Verzug sein.

Kundige Beobachter hätten spätestens am 10. Februar 2007 merken
müssen, daß auf dem Amselfeld eine Bombe tickt, die die Tektonik des
Kontinents erschüttern kann. Bei seinem Auftritt auf der Münchner
Sicherheitskonferenz formulierte der russische Präsident Wladimir
Putin nämlich eine Kampfansage an die USA und ihre Verbündeten.
Weitere Verletzungen des Völkerrechts werde sich der slawische
Großstaat nicht bieten lassen. Während Putin auf der Konferenz selbst
den drohenden Aufbau eines neuen US-Raketensystems in Polen und
Tschechien und das Unterlaufen des KSE-Rüstungskontrollvertrages
geißelte, machte er im folgenden deutlich, daß auch das Kosovo zu den
Streitpunkten gehört, bei denen er kein Jota nachgeben werde.
Tatsächlich wäre die Herauslösung des Kosovo aus Serbien ohne dessen
Zustimmung oder ohne wenigstens einen Beschluß des UN-
Sicherheitsrates ein Gewaltakt ohnegleichen, selbst wenn dabei – was
noch nicht ausgemacht ist – kein Schuß fallen sollte: Die NATO-Mächte
würden das Völkerrecht brechen und nach eigenem Gusto entscheiden,
ein UN-Mitglied – in diesem Fall Serbien – zu zerstückeln und einen
neuen Staat zu bilden.

Als der Kosovo-Beauftragte Martti Ahtisaari jedenfalls am 21. Februar
den nach ihm benannten Plan für die Zukunft der serbischen Provinz
öffentlich machte, schlugen die Wogen der Empörung in Belgrad und
Moskau noch höher. Wieder einmal, wie im Februar 1999 im Vertrag von
Rambouillet, standen die größten Provokationen im schwer zugänglichen
Kleingedruckten: Während der Haupttext von Ahtisaaris Dokument von
einer »kontrollierten« oder »überwachten« Unabhängigkeit der
umstrittenen Region sprach, machte der Annex Nummer 11 klar, daß in
der nur pro forma selbständigen Republik Kosova der Militärgouverneur
der NATO das letzte Wort in allen Fragen haben sollte. Der serbische
Erziehungsminister Zoran Loncar kritisierte scharf: »Die Frage der
albanischen Minderheit diente der NATO nur als Rauchvorhang, um ihren
ersten militärischen Marionettenstaat zu schaffen (...) Die NATO hat
Serbien zuerst bombardiert, dann ihre Truppen in die Provinz Kosovo
gebracht und will jetzt (...) ihren ersten Militärststaat auf
serbischem Territorium errichten.«

Wie Eisenspäne in einem Magnetfeld richten sich die politischen
Akteure auf dem Balkan im Jahr 2007 nach dem Kosovo aus: In Bosnien-
Herzegowina verfügte der internationale Gouverneur Miroslav Lajzic im
Oktober eine Aufhebung der Vetorechte für den serbischen Landesteil
in den gemeinsamen Staatsinstitutionen; so soll verhindert werden,
daß die Republika Srpska dem Beispiel der Kosovo-Albaner folgt und
sich selbständig macht. In Mazedonien starben Anfang November in
einem stundenlangen Feuergefecht acht Kämpfer der
wiederauferstandenen Terrororganisation UCK. Noch dramatischer war
der Versuch von Anhängern UCK-naher Parteien im September, das
Parlament in Skopje zu stürmen; dort sollte ein neues
Minderheitengesetz verabschiedet werden, das die Rechte der größten
Minorität, der albanischen nämlich, zugunsten von Roma und anderen
beschneidet, um eine Sezession des mehrheitlich albanischen
Westmazedonien (und einen späteren Zusammenschluß mit dem Kosovo) zu
verhindern. Mit Montenegro schloß die NATO Ende November ein
Abkommen, das dem Pakt den Durchzug seiner Truppen durch die
ehemalige jugoslawische Teilrepublik gestattet – zum Beispiel ins
Kosovo.

Schweigende Mehrheit

Das vielleicht bemerkenswerteste Ereignis des gesamten Jahres waren
die Wahlen im Kosovo Mitte November. Weniger als die Hälfte, nur etwa
43 Prozent der Stimmberechtigten, gingen an die Urnen – das ist der
niedrigste Wert, seit die serbische Provinz im Sommer 1999 unter UN-
Verwaltung kam. Deutlicher könnte die schweigende Mehrheit nicht
demonstrieren, daß ihr die angekündigte Proklamation des eigenen
Staates ziemlich egal ist. Nicht die Menschen machen Druck für einen
neuen Staat – nur die lokale Mafia und die Strategen der NATO-Mächte.

Am 20. Januar wird es Parlamentswahlen in Serbien geben. Tomislav
Nikolic, der Kandidat der NATO-kritischen Radikalen Partei, wirbt für
die Errichtungt eines russischen Stützpunkts in Serbien. Das hat
Sinn: Alleingelassen, wie vom russischen Präsidenten Boris Jelzin in
den neunziger Jahren, ist Serbien zu schwach, um seine Interessen zu
verteidigen. Umgekehrt entstünde mit einer Moskauer
Sicherheitsgarantie, wie vor 1914, eine Bündnisautomatik, die Serbien
schützen kann – aber nur dadurch, daß ein großer Krieg riskiert wird.
Vor dieser Zwickmühle graute Bismarck, und zeitlebens versuchte er
sich deswegen zumindest auf dem Balkan als »ehrlicher Makler«. Tempi
passati ...

---

http://www.jungewelt.de/2007/12-19/047.php

19.12.2007 / Schwerpunkt / Seite 3
Marionettenstaat Kosovo

Debatte im Weltsicherheitsrat über Zukunft der serbischen Provinz.
Belgrader Premier Kostunica: »Gefährlichster Präzedenzfall seit dem
Zweiten Weltkrieg«

Von Jürgen Elsässer

Am heutigen Mittwoch wird vor dem Sicherheitsrat der Vereinten
Nationen ein Schlagabtausch zwischen Rußland, Serbien und den NATO-
Mächten erwartet. Auf der Tagesordnung steht die Zukunft des Kosovo.
Verhandlungen einer Vermittlertroika im Auftrag der UNO über die
Zukunft der Provinz der Republik Serbien waren am 10.Dezember für
endgültig gescheitert erklärt worden. Der designierte
Ministerpräsident des Kosovo, der frühere Terroristenführer Hashim
Thaci, hatte daraufhin das Bekenntnis erneuert, im nächsten Frühjahr
die Unabhängigkeit zu proklamieren. Als Zeitpunkt hatte er den März
ins Spiel gebracht; internationale Beobachter gehen aber davon aus,
daß der neue Staat bereits Ende Januar ausgerufen werden könnte.
Moskau lehnt diesen Schritt unabhängig vom Zeitpunkt ab, da damit
einem UN-Mitgliedsstaat – Serbien – etwa 15 Prozent seines
Territoriums entrissen würden. Sollte Rußland, wie bisher, im
Weltsicherheitsrat mit Veto drohen, entstände der neue Staat ohne
Zustimmung der UNO – also völkerrechtswidrig.

EU bricht Völkerrecht

Die Vertreter der NATO-Mächte werden in der heutigen Debatte ihre
Rechtsposition darstellen. Demnach wäre eine Unabhängigkeitserklärung
des Kosovo mit der Sicherheitsratsresolution 1244 vereinbar. Mit
diesem Beschluß des höchsten UN-Gremiums endete 1999 der Krieg
zwischen der NATO und Jugoslawien, er bildet seither die juristische
Grundlage für die Arbeit der UN-Übergangsverwaltung UNMIK und die
Stationierung der NATO-geführten Besatzungsstreitmacht KFOR. Die
Entschließung 1244 betont die »territoriale Integrität« Jugoslawiens
und schützt damit dessen Rechtsnachfolger Serbien bis heute vor
Zerstückelung, etwa durch die Abspaltung des Kosovo. Doch die NATO-
Führungsmächte sind der merkwürdigen Auffassung, daß der Bezug auf
die Unverletzlichkeit des Staatsgebietes in dem Dokument kein Gewicht
habe, obwohl er gleich an drei Stellen hergestellt wird.

Wie fadenscheinig die Argumentation der NATO-Mächte ist, bewies der
Beschluß der EU-Außenminister vom vergangenen Freitag. Vereinbart
wurde die Entsendung von EU-Polizeikräften in einer Sollstärke von
bis zu 1800 Mann in die serbische Provinz. Im Unterschied zur Arbeit
von UNMIK und KFOR, die in der Resolution 1244 immerhin umrissen und
durch spätere Festlegungen des Sicherheitsrates präzisiert wurden,
tauchen EU-Polizeikräfte in keinem völkerrechtlichen Dokument auf.
Ohne die Existenz eines solchen oder die Einladung durch die
serbische Regierung ist die Entsendung der EU-Polizisten ins Kosovo
ein Akt kolonialistischer Einmischung.

Serbien bleibt standhaft

Serbiens Ministerpräsident Vojislav Kostunica wird heute vor der UNO
wiederholen, was er bereits in den letzten Tagen ausgeführt hat: Die
geplante EU-Mission im Kosovo sei »ungesetzlich« und »unakzeptabel«.
Sie ziele darauf, in der Provinz einen »Marionettenstaat« der NATO zu
schaffen und sei »der gefährlichste Präzedenzfall seit dem Zweiten
Weltkrieg«. Selbst Außenminister Vuk Jeremic, ein Politiker der
prowestlichen Demokratischen Partei (DS), betonte nach dem EU-
Beschluß vom Freitag, ein Tausch von serbischem Territorium gegen den
EU-Beitritt des Landes sei in jeder Form unmöglich. Serbiens Kosovo-
Minister Slobodan Samardzic wurde deutlicher und drohte mit einem
Ende des EU-Assoziierungsprozesses. Man könne nicht Mitglied in einer
Organisation werden, die Serbien 15 Prozent des Territoriums stehle,
sagte der Minister von Kostunicas Demokratischer Partei Serbiens
(DSS). Laut Umfragen würden drei Viertel der serbischen Bevölkerung
lieber auf einen EU-Beitritt als auf das Kosovo verzichten.

---

http://www.jungewelt.de/2007/12-12/049.php

12.12.2007 / Ansichten / Seite 8
Stunde der Radikalen

EU deckt Abspaltung Kosovos

Von Jürgen Elsässer

Die EU ist offenbar bereit, die völkerrechtswidrige Abspaltung des
Kosovo von Serbien zu unterstützen. Der EU-Gipfel am kommenden
Freitag wird die Weichen dafür stellen, ohne formell zu beschließen.
Zwar gibt es weiterhin heftigen Widerspruch: Anhaltende Skepsis wird
von den Regierungen in Athen, Madrid und Bukarest gemeldet. Der
slowakische Premier Robert Fico sagte am Montag, daß es für sein Land
»extrem schwierig« wäre, den neuen Staat anzuerkennen. Der
tschechische Präsident Vaclav Klaus betonte am selben Tag, daß er
»den vollen Konsens aller Beteiligten« bei dieser Entscheidung
»bevorzuge«. Doch diese Formulierungen sind windelweich.

Nur Zypern bleibt eisern beim Nein. Aber die tapferen Inselgriechen
werden gar nicht die Möglichkeit bekommen, ihr Veto einzulegen, weil
am Freitag vorsichtshalber nicht über die Sezession selbst
entschieden wird, sondern nur über ihre militärische Absicherung: EU-
Außenpolitik-Koordinator Javier Solana will sich genehmigen lassen,
eine 16000 Mann starke Polizeitruppe in der Provinz zu stationieren
und auch dort zu belassen, falls der neue Staat proklamiert wird.
Damit wird die Abspaltung präjudiziert. Das einzige, was NATO und EU
noch zurückschrecken lassen könnte, wäre die Entsendung russischer
Schutztruppen in den Nordkosovo. Aber selbst, wenn Putin das wollte,
er könnte es nicht: Rußland hat keine Landgrenze zu Serbien, und auf
dem Luftweg müßten russische Flugzeuge NATO-Territorium überfliegen –
da ist kein Durchkommen.

Also müssen sich die Serben selbst helfen. Das größte Hindernis dabei
sind ihr eigener Präsident, Boris Tadic, und seine Demokratische
Partei (DS). Tadic hat sich darauf festgelegt, den Internationalen
Gerichtshof gegen die Sezession anzurufen und überdies seine
Botschafter aus allen Staaten, die das Kosovo anerkennen, »zu
Konsultationen« zurückzurufen. Geht es noch harmloser? Mehr Schmackes
hat Premier Vojislav Kostunica, der über seinen Berater Aleksandar
Simic vergangene Woche erklären ließ, die Provinz »mit allen Mitteln«
zu verteidigen – und das schließe auch militärische ein. Kostunicas
Problem: In seiner Regierungskoalition ist die DS die stärkste Kraft.
Und: Über das Militär bestimmt nicht er, sondern der Präsident.

Also braucht Serbien schleunigst einen neuen. Tomislav Nikolic, der
Chef der Radikalen Partei, unterlag schon bei der letzten
Präsidentschaftswahl Tadic nur knapp. Jetzt, angesichts der
Aggressivität des Westens, hat er Aussicht zu gewinnen. Der Urnengang
soll am 20. Januar stattfinden. »Nach der Wiederwahl Tadics könnten
zuerst die großen EU-Länder und die USA den neuen Staat auf dem
Balkan anerkennen«, beschrieb die Süddeutsche am Dienstag das Kalkül
von NATO und EU. Was aber, wenn der Radikale siegt – und dann
Soldaten an die administrative Grenze zum Kosovo schickt? Si vis
pacem, para bellum. Frei übersetzt: Wenn du zur NATO gehst, vergiß
die Parabellum nicht.


From:   gilberto.vlaic @ elettra.trieste . it
Subject: Viaggio a Kragujevac e codice IBAN
Date: December 28, 2007 11:43:38 PM GMT+01:00

Care amiche cari amici,
vi invio la relazione dell'ultimo viaggio a Kragujevac per la consegna delle quote di affido, che si e' svolto tra il 13 e il 16 dicembre scorsi.

AVVISO IMPORTANTE
Dal 1 gennaio prossimo le banche chiederanno  il codice IBAN per effettuare bonifici.
Ecco quello dell'associazione Non bombe ma solo caramelle

E 08928 02202 010000021816

Vi invio i miei piu' cordiali saluti ed auguri per un sereno 2008.
Gilberto Vlaic


### PER LA VERSIONE IN FORMATO WORD, COMPLETA DI FOTOGRAFIE, 
SI VEDA AD ES. SUL SITO CNJ:   https://www.cnj.it/AMICIZIA/Relaz1207.doc   ###


RITORNO DALLA  ZASTAVA DI KRAGUJEVAC

Viaggio del 13-16 dicembre 2007
(resoconto di viaggio  a cura di Gilberto Vlaic)


Questa relazione e’ suddivisa in sette parti.

 

1      Introduzione e siti web

2      Andreja P. e’ di nuovo in Italia

3      L’ultimo camion spedito a fine novembre

4      Cronaca del viaggio; i progetti in corso e quelli futuri

5      Informazioni generali sulla Serbia e sulla Zastava

6      Conclusioni

 
1.  Introduzione

Vi invio la relazione del viaggio svolto due settimane fa a Kragujevac per la consegna delle adozioni a distanza che fanno capo alla ONLUS Non Bombe ma solo Caramelle (Gruppo Zastava di Trieste e sezione del Veneto) e al Coordinamento Nazionale RSU CGIL e per la verifica dei progetti in corso a Kragujevac.
Vi ricordo  il sito del coordinamento RSU,  sul quale trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative

http://www.coordinamentorsu.it/

Trovate tutte le informazioni seguendo il link

Solidarietà con i lavoratori della Jugoslavia:

http://www.coordinamentorsu.it/guerra.htm

Finalmente, grazie a Massimiliano, a distanza di anni dalla sua fondazione, anche la nostra associazione inizia ad avere il suo sito!!!

www.nonbombemasolocaramelle.org


I nostri resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages

Ricordo che molti dei progetti in corso a Kragujevac sono realizzati in collaborazione con altre associazioni: Fabio Sormanni di Milano, Zastava Brescia e ABC di Roma e Cooperazione Odontoiatrica Internazionale.

Questi sono gli indirizzi dei loro siti:

http://digilander.libero.it/zastavabrescia

http://www.abconlus.it

http://www.fabiosormanni.org

http://www.cooperazioneodontoiatrica.eu/


2 . Andreja P. e’ di nuovo in Italia

Vi ricordate sicuramente di Andreja P., il ragazzino serbo che il 2 giugno 2007 è stato sottoposto a Bergamo a trapianto di fegato.

A settembre era rientrato a casa, ma il 15  dicembre e’ dovuto rientrare in Italia, perche’ le analisi del sangue non erano delle migliori.

Grazie alla collaborazione di molte persone, in una corsa contro il tempo, siamo riusciti ad ottenere per lui e la madre i visti di ingresso nell’ultimo giorno utile per un nuovo ricovero a Bergamo; siamo sicuri che e’ in buone mani e gli mandiamo il nostro piu’ affettuoso abbraccio.


3. L’ultimo camion spedito a fine novembre

Come sapete, periodicamente spediamo un camion di aiuti.

Il decimo di questi camion e’ partito da Trieste alla fine di novembre scorso, e conteneva le seguenti cose:

una autoclave per la sterilizzazione di materiale sanitario

7 computers, di cui cinque destinati al centro per giovani di Zdraljica

7 bicliclette

4 ciclomotori

78 casse di vestiario, scarpe, giocattoli, pannoloni per adulti.

Molte scarpe e vestiario (nuovi, di ottima qualita)’ ci erano stati donati da un negozio di San Dorligo della Valle.

La spedizione e' stata organizzata insieme alle associazioni Zastava Brescia e Fabio Sormanni di Milano; la dogana finale ha trattenuto il camion per quasi una giornata, continuando a chiedere via fax documenti aggiuntivi. questo ha ovviamente fatto aumentare il costo della spedizione, che e' risultato essere di 825 euro.


4. Cronaca del viaggio (con molta neve); i progetti in corso e quelli futuri

 

Giovedi’ 13 dicembre 2007

Siamo partiti perfettamente in orario alle 8 e 30 da Trieste, utilizzando il solito pullmino pretasto dalla ASIT di Trieste; le spese di viaggio sono state sostenute in proprio dai partecipanti, e sono ammontate a consuntivo a 1538 euro, tutto compreso.

La delegazione era formata da Gabriella e Gilberto da Trieste, Stefano da Fiumicello, Gino da Montereale Valcellina, Mauro da La Spezia, Giuseppina da Biella, Antonio da Treviso e Giandomenico da Conegliano Veneto. Slobodanka (Boba) di Napoli era gia’ ad attenderci a Kragujevac.

Avevamo con noi 16855 euro per le 173 quote di affido da distribuire, per la maggior parte in quote trimestrali da 75 euro o da 85 euro.

L’associazione di Bologna ci aveva chiesto di distribuire per loro conto 14 annualita’ da 310 euro ciascuna (4340 euro).

Avevamo inoltre 3000 euro da consegnare alla Scuola Materna Nada Naumovic, ed un piccolo regalo di 250 euro per il centro 21 ottobre per ragazzi down.

Come sempre avevamo anche farmaci per il Centro Medico Zastava per circa 10.000 euro.

Infine 15 pacchi di regali da parte di altrettanti donatori italiani per le famiglie di ragazzi in affido.

Il viaggio si e’ svolto senza alcun intoppo, anche se faceva piuttosto freddo; siamo arrivati alle 18 e 30 e, dopo la preparazione delle buste per la consegna degli affidi da effettuare sabato 15, ottima cena serba con i nostri amici del Sindacato Samostalni.


Venerdi’ 14 dicembre 2007
 

Ore 9: visita al centro per giovani a Zdraljica

Ci svegliamo con la neve, e per arrivare nel quartiere di Zdraljica, dove sorge il centro per giovani inaugurato lo scorso settembre, dobbiamo fare un percorso tortuoso: la strada principale e’ impraticabile perche’ troppo ripida. Ho scritto diffusamente su questo centro in tutte le relazioni del 2007, inserendo anche molte foto. E’ stato realizzato con il contributo di tutte le associazioni con le quali collaboriamo. La spesa totale a carico delle associazioni e’ stata di 9900 euro, a cui vanno aggiunti cinque computers.
Siamo accolti con molto calore da un gruppo di abitanti dei dintorni che ci esprimono la loro gratitudine per questi locali, che rappresentano l’unica possibilita’ di socializzazione per questo quartiere operaio periferico.
I cinque computers per la sala informatica (quattro donati dalla associazione Sormanni di Milano e uno dalla associazione Zastava Brescia) non sono stati ancora consegnati e sono ancora in giacenza presso gli uffici doganali; sono arrivati a Kragujevac alla fine di novembre.
 
Discutiamo con i delegati del comune della possibilita’ di attrezzare a parco giochi per i piu’ piccoli gli spazi esterni; ci consegnano il preventivo per l’acquisto di altalene, scivoli, giostre, tavoli e panche per un totale di 264.000 dinari (circa 3300 euro), tasse e lavori di installazione compresi. Sono sicuro che almeno in parte riusciremo a soddisfare questa richiesta.

(FOTO: Due scorci sotto la neve degli  spazi previsti per il parco giochi a Zdraljica)

Ore 10: incontro con i delegati sindacali della fabbrica Zastava Camion

I lavoratori della fabbrica camion sono circa 900, di cui circa 800 iscritti al Samostanli.
Il Sindacato possiede all’interno della fabbrica alcuni locali non privatizzabili, in parte usati come sede sindacale.
Vi e’ inoltre un vasto edificio a un piano (almeno 400 metri quadrati) che in passato era stato utilizzato come teatro. E’ in abbandono da piu’ di 15 anni; i lavoratori ci chiedono di aiutarli in un progetto molto ambizioso.
Attraverso lavoro volontario e gratuito intendono rimettere in sesto questa struttura, da utilizzarsi poi come palestra e teatro, aperti a tutti i lavoratori (e le loro famiglie) del gruppo Zastava, e non solo a quelli della fabbrica camion.
Ci chiedono, quando il locale sara’ di nuovo agibile, di aiutarli nell’arredarlo. Si tratta certamente di un importante realizzazione; adesso aspettiamo i documenti relativi alla proprieta’ del locale, le planimetrie e i preventivi per le attrezzature, ma anche questo progetto vedra’ certamente il nostro contributo.

(FOTO: Esterno dell’edificio, Interno, Interno vista parziale, La nostra Boba sul palco)

Ore 11: incontro con la direttrice della scuola materna ‘’Nada Naumovic’’

Ricorderete che a settembre scorso eravamo stati ospiti di una scuola materna, alla quale in passato avevamo fornito due computers e molte scatole di giochi. Durante quell’incontro ci era stato chiesto di aiutare la scuola nella realizzazione di un parco giochi in un bel giardino alberato che lo circonda su tutti i lati. I bambini hanno a disposizione per i loro giochi solo quattro vecchi pneumatici da camion.
Il preventivo dell’intervento ci e’ stato spedito a novembre, per una spesa complessiva di 5000 euro. Uno dei diritti fondamentali dei bambini e’ di poter giocare, e quindi insieme all’associazione Zastava Brescia abbiamo deciso di contribuire parzialmente alla realizzazione di questo parco ed in questa occasione abbiamo consegnato 3000 euro alla Direttrice della Scuola ed alla Milena Vujic, coordinatrice di tutte le scuole materne della citta’, nonche’ anima della associazione ‘’Put u srecno odrastanja’’ (Viaggio nella crescita felice).

(FOTO: Due scorci del giardino, Firma della ricevuta di consegna dei 3000 euro)

Ore 12: Il centro 21 ottobre per ragazzi down

La mattina si e’ conclusa nel modo migliore con un incontro con i nostri ragazzi del centro 21 ottobre. Sono ormai due anni e mezzo che e’ stato inaugurato ed abbiamo potuto una volta di piu’ constatare come esso funzioni perfettamente, con grande soddisfazione dei ragazzi che lo frequentano e delle loro famiglie.

Jelena Trufunovic, la direttrice, ci ha consegnato tutte le ricevute delle spese effettuate con l’ultima donazione lasciata a giugno scorso; anche questa volta abbiamo lasciaro un piccolo regalo di 250 euro, con la promessa di rivederci al prossimo viaggio.

 

Ore 16: Incontro alla Scuola Infermiere ‘’Sestre Ninkovic’’

(i progetti di odontoiatria sociale)

Come ricorderete questo progetto e’ nato nel 2005 in collaborazione con il presidio sanitario della Zastava (Zavod Za Zdravsvenu Zastitu Radnika, ZZZZR);  si e’ poi allargato a dicembre 2006 alla Scuola Tecnica di Meccanica e Trasporti, ed infine a giugno 2007 alla Scuola per infermiere ‘’Sestre Ninkovic’’, su loro specifica richiesta.

Insieme al COI (Cooperazione Odontoiatrica Internazionale) abbiamo iniziato il rinnovo della strumentazione degli ambulatori dentistici, con la donazione a luglio del 2005 di due poltrone dentistiche al ZZZZR; un’altra poltrona e la strumentazione accessoria (lampade, sterilizzatrici, polimerizzatrici, mobili da ambulatorio) sono stati consegnati alla Scuola Tecnica all’inizio del 2007; la strumentazione per la Scuola Infermiere e’ giunta a Kragujevac con il camion partito da Trieste e fine agosto scorso ed e’ stata consegnata solo all’inizio di dicembre per difficolta’ di sdoganamento, perche’ ci sono nuove documentazioni da produrre, delle quali non eravamo informati al momento della spedizione.  Con lo stesso camion sono giunte anche due altre poltrone per ZZZZR insieme a molto materiale di consumo

Queste nostre attivita’ vedono inoltre il coinvolgimento del Policlinico di Kragujevac, che distacca presso questi ambulatori un medico ed un infermiere ogni 1500 utenti.

Questa nostri progetti sono stati supportati nel 2006 e nel 2007 da un cofinanziamento da parte dell’Assessorato all’istruzione, alla cultura, allo sport e al volontariato della Regione Friuli Venezia Giulia.

Durante questo lungo incontro sono stati esaminati i progressi del progetto in corso presso il gerontocomio cittadino, e discussi i possibili ampliamenti nel 2008, che dovrebbero riguardare l’accesso alle cure odontoiatriche a due nuove categorie di soggetti deboli, i bambini rom presenti in citta’ (che non hanno alcun accesso alla sanita’ pubblica) ed i ragazzi paraplegici.

Abbiamo inoltre consegnato un computer portatile usato (regalatoci dall’Universita’ di Milano) ed un PC nuovo, acquistato a Kragujevac con una spesa di 590 euro, da destinare alla nuova sala computers per gli studenti, nella quale pero’ al momento mancano in computers...

Inoltre abbiamo lasciato una grande cassa di materiale odontoiatrico usato ma perfettamente funzionante ricevuto dalla Caritas di Trieste.

(FOTO: La nuova poltrona, La strumentazione accessoria, Il computer nuovo, Il portatile usato)

Ore 18 Visita alla Scuola Tecnica di Meccanica e Trasporti

Questa intensa, faticosa ma coinvolgente giornata si e’ conclusa con una visita ed una cena presso la  Scuola Tecnica di Meccanica e Trasporti, con la quale abbiamo ormai da quasi tre anni una importante collaborazione.

L’ultimo progetto in corso prevede la sistemazione di una ampia officina meccanica dismessa di piu’ di quattrocento metri quadri nel seminterrato della scuola, che diventera’ un laboratorio polivalente per studenti (musica, pittura, arti teatrali, un piccola palestra). Il locale e’ ampio, si presta bene alle tramezzature; devono essere eseguiti importanti interventi al pavimento ed ai muri. Trovate tutte le informazioni e le foto su questo progetto nelle relazioni di marzo, giugno e settembre scorsi.

Il Preside ci ha consegnato le ricevute delle prime spese effettuate per questo ripristino.

 

 

Alle 11 assemblea di consegna delle quote di affido

Fa sempre molto male al cuore arrivare al grande palazzo della direzione Zastava, dove una moltitudine di persone e’ fuori dal portone in paziente attesa.

Complici le feste di fine anno, l’atmosfera e ‘ comunque particolarmente festosa e di caldissima amicizia, anche se e’ palpabile la tensione provocata dall’ondata di licenziamenti avvenuti a fine agosto scorso.

Centinaia di mani di lavoratori, operaie, contadine, di bambini e ragazzi stringono le nostre,  ci porgono i loro doni felici di farlo per dimostrarci tutta la loro gratitudine. Penso ai bambini, ai giovani e  sono certo che conserveranno per tutta la vita un ricordo indelebile di queste assemblee.
Voglio pensare che tra tanto male ricevuto possa prevalere  il ricordo dei sorrisi, degli abbracci spontanei e che nella loro vita anteporranno i valori della tolleranza e della solidarietà a quelli della sopraffazione e dell’egoismo.

Dedichiamo il pomeriggio alla visita di due famiglie con figli in affido, anche se gli spostamenti con il pullmino sono ormai diventati molto difficoltosi a causa della neve.

 

Domenica 16 dicembre 2007

Verso le 8 del mattino ci rimettiamo in viaggio verso l’Italia, come sempre con molta nostalgia per questa breve ma intensissima visita ai nostri amici.
Il viaggio di ritorno si svolge senza difficolta’, a parte il primo tratto iniziale per giungere all’autostrada, dove sembra di essere nella tundra siberiana.
Alle 8 di sera arriviamo aTrieste, mostrando per l’ultima volta i passaporti alla dogana tra Slovenia e Italia.

(FOTO: Kragujevac alla nostra partenza, Sulla via del ritorno...) 


5 - Informazioni generali sulla Serbia

Come in ogni relazione di viaggio concludo con un aggiornamento dei principali indicatori statistici.

 

Inflazione, moneta e prezzi

Il livello programmato di inflazione per il 2007 era del 6.5%

A fine agosto il livello di inflazione e’ risultato del 6.0%, a ottobre del 8.5%, ed e’ atteso intorno al 10% per la fine del 2007.

Il dinaro continua a essere irrealisticamente forte, il cambio contro euro e’ di circa 79 a 1, lievemente rafforzato rispetto al viaggio di settembre (quando era 80 a 1).


Nel corso dei primi dieci mesi del 2007 si sono verificati i seguenti aumenti percentuali nei prezzi di alcune tipologie di merci

prodotti agricoli              27.7%

tabacco                       21.1%

alimentari                     10.75

prodotti industriali             8.0%

servizi                          7.7%

 

Rispetto al 2003

la verdura fresca e’ aumentata del 100%.

Il latte fresco e’ aumentato del 70%

Prezzi di alcuni prodotti di base (in dinari) a confronto con altri Paesi


Prodotto

Croazia

Slovenia

Germania

Serbia

 

Latte a lunga conserv. 1 litro

52

51

63

66

Olio di semi 1 litro

101

82

71

93

Farina 1 chilo

23

38

28

35

Zucchero 1 chilo

65

66

</

(Message over 64 KB, truncated)



Tanti auguri dai “fronti di pace”...

1) Tanti auguri dai “fronti di pace”. Parole ed opere dei nostri “Signori della guerra”.
 Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli! – 24.12.2007

2) L’Italia non legittimi azioni unilaterali in Kosovo. Dichiarazione di trentasei Senatori dell'Unione

3) Napolitano con la baionetta: «Finanziare le missioni italiane»

4) «Kosovo, il presidente Napolitano sbaglia»
Intervista al generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo

5) Tana De Zulueta: L'Italia gestisce il peso di un fallimento... Auguri!



=== 1 ===

Tanti auguri dai “fronti di pace”.
Parole ed opere dei nostri “Signori della guerra”.

 

Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli! – 24.12.2007
 
Le Forze Armate italiane – enunciava Napolitano lo scorso 4 novembre - rischiano di dover fronteggiare «nuove e possibili emergenze». Vanno - ricorda - «dall’aggravarsi della situazione in Afghanistan, dall’incombere di gravi incognite nella regione che abbraccia l’Irak e l’Iran, dal riaccendersi di acute contrapposizioni nei vicini Balcani, dal persistere di tensioni nel quadro politico e istituzionale in Libano, dal trascinarsi di una crisi lacerante nel Medio Oriente. L’Italia ha il dovere di sostenere questo impegno e di percepire come proprio l’obiettivo di migliorare le capacità delle nostre forze armate».

 

Le indicazioni del Presidente della Repubblica sono seguite alla lettera, come si evince dalle scelte economiche, politiche, diplomatiche e propagandistiche del governo Prodi.

 

La Legge Finanziaria 2008, approvata grazie ai voti di maggioranza e senatori a vita (un solo NO è risuonato nell’aula del Senato), ha formalizzato l’ulteriore aumento del 12% delle spese militari.

 

In questi giorni di vigilia, i vari esponenti del governo sono impegnati nei vari “fronti di pace”, a salutare i superpagati “bravi ragazzi” dell’esercito professionale e a programmare le future attività di “peacekeeping”.

 

Afghanistan

«Ho avuto un momento di commozione nel vedere i soldati italiani impegnati nell’opera di ricostruzione». Il premier Romano Prodi, nel corso della sua visita al contingente italiano a Kabul, si emoziona di fronte all'impegno e alla passione che militari italiani mettono quotidianamente a disposizione dei civili afgani. E si è congedato facendo gli auguri di Natale e di buon anno nuovo. Non sapremo mai quale accoglienza avrebbero offerto al nostro primo ministro i civili afgani abitanti nell’area di Farah, dove nelle scorse settimane gli elicotteri da combattimento Mangusta e i carri armati Dardo hanno contribuito attivamente alla “ricostruzione” della zona.

 

Libano

Lorenzo Forcieri, il solo sottosegretario alla Difesa rimasto disponibile (l’altro, Marco Verzaschi, deve rispondere di corruzione e concussione nell’integerrimo espletamento delle sue funzioni di ex Assessore alla Sanità in Lazio, giunta  Storace) è andato in Libano, dove ha salutato le truppe italiane di stanza al comando Unifil. "Il governo italiano e tutto il nostro Paese è orgoglioso dell'eccellente lavoro svolto dalle nostre truppe nell'ambito delle missioni internazionali come quella libanese", ha detto Forcieri. Alla fine dell’incontro è stata espressa preoccupazione per l’instabilità interna, che potrebbe provocare un'involuzione della situazione.
L’appoggio incondizionato del governo italiano all’illegittimo governo Sinora e la collaborazione stretta con Israele, nell’eventualità di una probabile ripresa del conflitto, crediamo non aiuteranno i soldati italiani presenti in Sud Libano.

 

Kosovo

Il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, dopo aver presieduto la riunione del Consiglio di sicurezza dell’ONU sul futuro della provincia serba ha detto che: “Quella che si profila per il Kosovo sarà non un'indipendenza piena ma sotto tutela internazionale”.
Il profondo disaccordo tra le parti, albanese (USA - UE) e serba (Russia) verrà risolto attraverso un maggiore impegno militare, in primis dell’esercito italiano, che ha mobilitato un battaglione pronto ad intervenire alla bisogna.

 

Che dire? Una vigilia di speranza, per un futuro di pace e prosperità nell’area. ENI, Finmeccanica e O.N.G. di riferimento ringraziano.

 

Il movimento contro la guerra dice NO, e si prepara alle prossime scadenze - a partire dalla giornata internazionale NoWar del 26 gennaio 2008 - verso una grande manifestazione nazionale contro il rifinanziamento delle missioni all’estero.
 
www.disarmiamoli.org  info@...  3381028120  3384014989


=== 2 ===


http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16436

L’Italia non legittimi azioni unilaterali in Kosovo

su L'ERNESTO del 21/12/2007


E’ ormai evidente come la secessione del Kosovo dalla Serbia rischi di innescare un nuovo conflitto nei Balcani, estendibile a breve ai già delicati equilibri in Bosnia e Macedonia. Questo pericolo è segnalato da un rapporto dell'intelligence NATO del 13 dicembre scorso e deve essere assolutamente evitato. Sarebbe oltremodo contraddittorio concedere al Kosovo ciò che si nega alla Repubblica Serba di Bosnia, alimentando così quel legittimo sospetto che vede le diplomazie dei maggiori stati adottare la politica dei “due pesi e delle due misure”. Vogliamo augurarci che il governo italiano abbia tratto lezione dagli avvenimenti passati e non si appresti a sostenere scelte unilaterali che alimenterebbero nuovi conflitti.

E’ altrettanto evidente come la partecipazione italiana ad una nuova missione militare europea in Kosovo, senza il mandato delle Nazioni Unite, si configurerebbe come una legittimazione delle forze secessioniste in Kosovo e un atto ostile nei confronti della Serbia. Di questo non ha alcun bisogno la politica estera italiana né quella europea.

Il fallimento del negoziato in sede di Nazioni Unite conferma che la strada della secessione unilaterale del Kosovo, sostenuta apertamente dagli Stati Uniti e da alcuni stati dell’Unione Europea, getterebbe nuovamente il peso del conflitto sulla spalle dell’Europa, rendendo drammatiche le responsabilità negative dell’Italia nel nuovo scenario balcanico.

L’Italia ha grandi responsabilità sulla stabilità dei Balcani e sulla questione del Kosovo in particolare. Parte di queste responsabilità sono effetto della decisione presa otto anni fa di partecipare ai bombardamenti della NATO contro un paese europeo – la Serbia – e di condividere la creazione di un protettorato militare internazionale in Kosovo. Ma le responsabilità di oggi rischiano di essere più gravi di quelle nella guerra scatenata nel 1999.

Esortiamo pertanto il governo italiano a sottrarsi da qualsiasi sostegno, legittimazione e riconoscimento di iniziative unilaterali di secessione nella regione. Di conseguenza a non inviare nuovi contingenti in Kosovo. Nessuna soluzione di pace e duratura è possibile se non è rispettosa dei diritti e della storia di tutti i soggetti esistenti nei Balcani.

Le senatrici e i senatori della Repubblica che firmano quest’appello si batteranno nelle sedi dovute e necessarie – Commissione Affari Esteri e Difesa al Senato, Aula Parlamentare e a livello pubblico e sociale – al fine di evitare un’altra svolta tragica nei Balcani.

Sen. Francesco Martone 
capogruppo Prc-Se Comm.ne Affari Esteri Senato
Sen. Giorgio Mele 
capogruppo SD Comm.ne Affari Esteri Senato
Sen. Armando Cossutta 
capogruppo PdCI-Verdi Comm.ne Affari Esteri Senato
Sen. Fosco Giannini 
capogruppo Prc-Se Comm.ne Difesa Senato
Senatrice Silvana Pisa 
capogrupp SD Comm.ne Difesa Senato
Senatrice Manuela Palermi 
capogruppo PdCI-Verdi Commissione Difesa Senato 
Sen. Josè Luiz Del Roio 
Prc – Se
Senatrice Lidia Menapace 
Prc-Se
Sen.Giovanni Russo Spena 
Prc- Se 
Sen.Cesare Salvi 
SD
Senatrice Franca Rame 
Gruppo Misto
Sen.Franco Turigliatto 
Gruppo Misto-Sinistra Critica
Sen.Piero Di Siena 
SD
Sen.Claudio Grassi 
Prc-Se
Sen.Paolo Brutti 
SD
Senatrice A.Maria Palermo 
Prc-Se
Senatrice Olimpia Vano 
Prc-Se
Senatrice M.Celeste Nardini 
Prc-Se
Senatrice Haidi Gaggio Giuliani 
Prc-Se
Senatrice Tiziana Valpiana 
Prc-Se
Sen. Nuccio Jovene 
SD
Sen. Giovanni Gonfalonieri 
Prc-Se
Senatrice Anna Donati 
PdCI-Verdi
Sen. Salvatore Allocco 
Prc-Se
Sen.Fernando Rossi 
Gruppo Misto
Sen.Giuseppe Di Lello 
Prc-Se
Senatrice Silvana Amati 
Partito Democratico -L’Ulivo
Sen.Raffaele Tecce 
Prc- Se
Sen.Stefano Zuccherini 
Prc-Se
Sen.Gianpaolo Silvestri 
PdCI-Verdi
Senatrice Maria Pellegatta 
PdCI – Verdi
Sen. Dino Tibaldi 
PdCI-Verdi
Sen.Mauro Bulgarelli 
PdCI-Verdi
Sen.Natale Ripamonti 
PdCI-Verdi
Sen.Tommaso Sodano 
Prc-Se
Senatrice Loredana De Petris 
PdCI-Verdi


=== 3 ===

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/22-Dicembre-2007/art14.html

Kosovo e Afghanistan

Napolitano: «Finanziare le missioni italiane»

Sa. M.
Roma

Confermare, finanziare e sostenere tutte le missioni all'estero, in particolare quella in Afghanistan e quella in Kosovo. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel suo saluto di fine anno alle truppe - in videoconferenza - ha impugnato la baionetta: «Dobbiamo trovare le risorse per le forze armate e per le missioni in cui siamo impegnati all'estero. Si tratta di responsabilità costose, alle quali però l'Italia non può sottrarsi». 
Negli ultimi giorni la questione del finanziamento delle missioni militari italiane è tornata al centro dell'attenzione del quirinale. Non più tardi di martedì scorso, il comunicato del consiglio supremo di difesa aveva richiamato l'attenzione alla «necessità di fornire adeguata copertura economica alle missioni». E, seppure informalmente, il ministro della Difesa Arturo Parisi aveva confermato che le Forze armate non accetteranno tanto facilmente eventuali tagli o ridimensionamenti. Il discorso di Napolitano chiude il cerchio. E infatti il capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Gianpaolo Di Paola, ha mostrato di apprezzare: «La vicinanza del paese è assolutamente fondamentale per le forze armate». 
Dopo aver parlato della «necessita di una soluzione pacifica» per l'Afghanistan, il presidente ha scelto di mettere i piedi nel piatto della delicata questione kosovara, con un discorso che è prima di tutto una promessa di fiducia incondizionata in quel che fa il governo Prodi e il suo ministro degli esteri, Massimo D'Alema: «Siamo pienamente consapevoli della eccezionale delicatezza di questo momento per il Kosovo e per la nostra missione: è forse il tema su cui è maggiormente impegnata la nostra diplomazia». E poi, ed è il passaggio più scivoloso: «Siamo sicuri che farete la vostra parte e darete il vostro contributo affinché il problema dello status del Kosovo si realizzi nelle condizioni migliori dal punto di vista della pace e della collaborazione tra le diverse etnie». In realtà, al momento non è chiaro neppure quale sarà il ruolo dei militari italiani nell'area. Ritirata, al Consiglio di sicurezza Onu, la mozione che premeva per il riconoscimento dell'indipendenza, il ministro D'Alema punta molto sulla missione Ue che dovrebbe essere inviata nell'area per «pacificare», ma che nei fatti servirebbe a sostenere l'evenutale dichiarazione di indipendenza di Pristina. Giusto ieri, però, trentasei senatori dell'Unione hanno diffuso un appello in cui chiedono al governo di tenersi lontano dalla missione europea. Tra i firmatari, oltre al promotore Fosco Giannini, ci sono i capigruppo di Sd Cesare Salvi e di Rifondazione Giovanni Russo Spena.


=== 4 ===

il manifesto
22 Dicembre 2007

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/22-Dicembre-2007/art12.html

«Kosovo, il presidente Napolitano sbaglia»

Intervista Parla il generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo: «Situazione di stallo per l'Italia all'Onu»

Tommaso Di Francesco

«È davvero uno stallo, anche per l'Italia e purtroppo il presidente Napolitano sbaglia». Parla il generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo sulle «ombre» del ruolo italiano per l'inestricabile nodo balcanico nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, dopo le «luci» della moratoria sulla pena di morte.

Il ministro degli esteri D'Alema, presidente di turno del Consiglio di sicurezza, ha relazionato sul cosiddetto fallimento del negoziato per lo status, e allo stesso tempo ha tentato di inserire nel quadro della legalità delle Nazioni unite, la missione che si chiama «civile e di polizia» decisa dall'Unione europea. Ma è tornato a mani vuote: non c'è stato compromesso, ha detto. Perchè?

Innanzitutto perché la missione europea non è vista bene soprattutto dai kosovari albanesi i quali hanno una lobby fortissima negli Stati uniti, anche sul riconoscimento di un eventuale dichiarazione unilaterale d'indipendenza. La promessa dell'indipendenza fatta da Bush a marzo era chiara. E quindi si sentono forti. I kosovari albanesi vogliono gli americani, non vogliono gli europei. D'altra parte, una nuova missione europea che riguardi una parte della ricostruzione e una parte delle questioni giuridiche e di polizia, è una missione minimalista che non affronta i grandi problemi ed è senza appoggi internazionali molto forti.
E poi c'è il no della Russia che minaccia il veto. Ma ora si mostra anche disposta ad aprire alla «missione Ue» solo se rispetta la 1244, cioè il riconoscimento della sovranità della Serbia sul Kosovo...
Giuridicamente la missione Ue potrebbe essere proponibile, nel senso che se una organizzazione internazionale, ancorché regionale, si offre volontaria può farlo ma con l'accordo delle parti, serba e albanese in questo caso - ovviamente l'accordo per ora non c'è. Ma potrebbe farla soprattutto con l'accordo internazionale, per un mandato di almeno una parte non indifferente dell'Onu. E anche questo non è il caso, per ora. D'altra parte bisogna riconoscere che la 1244 - con cui l'Onu assumeva la pace di Kumanovo dopo i raid della Nato sull'ex Jugoslavia - metteva veramente un vincolo secco che era quello del riconoscimento della sovranità della Serbia sul Kosovo. Questo non è stato mai messo in discussione, anzi la 1244 rimandava ad un accordo tra le parti, non ad una imposizione dall'alto sullo status finale.

C'è stata polemica tra il presidente della Commissione esteri della Camera Umberto Ranieri e il ministro degli esteri britannico Miliband che sosteneva che la 1244 garantisce l'indipendenza...

Ha fatto bene Ranieri, perché non è vero, è falso, anzi in un certo senso è vero il contrario. Dirò di più: i serbi si sono veramente molto arrabbiati, anche per un fatto fondamentale che un articolo nell'appendice della Risoluzione Onu 1244 stabilisce che ci possa essere l'intervento di forze di polizia o comunque forze di sicurezza serbe in Kosovo soprattutto per dare sicurezza ai siti patrimoniali e religiosi. Non è mai successo.

Ma non crede che l'ambiguità vera sia rappresentata dalla motivazione con cui si vuole avviare la missione Ue, quella di preparare e gestire l'indipendenza?

E' una pregiudiziale che non fa onore al tentativo, nel senso che qualsiasi traccheggiamento verso l'indipendenza è visto male dai serbi i quali non l'approveranno mai perché è una perdita di sovranità. Per il Kosovo una soluzione immediata non c'è, non bisogna dunque avere fretta.

Le commissioni esteri e difesa della Camera sono andate in Kosovo, anche a Decani. Lì padre Sava ha detto di sentirsi in un «limbo»...

Anch'io penso al Kosovo come ad un limbo. Ma non credo che a padre Sava o al vescovo Artemje di Gracanica, dove vive la seconda grande enclave serba, siano contenti del limbo. Non ne possono più, però si rendono conto da realisti quali sono che la soluzione che gran parte della comunità internazionale vuole è soltanto quella dell'indipendenza. Per adesso.

C'è dunque una situazione di stallo per la diplomazia italiana. Con un Parlamento che dice cose diverse dal governo e, in aula, impegna all'unanimità il governo a non riconoscere proclamazioni d'indipendenza unilaterali...

Se uno stato vuole rimanere stato e quindi vuole rimanere ente che fa parte del consesso internazionale vigente, con tutto quello che è sancito dalla Carta delle Nazioni unite, questo stato deve essere sovrano e quindi la sovranità gli deve essere riconosciuta. La Comunità internazionale, della quale l'Italia fa parte, non può pertanto riconoscere quello che sta per accadere in Kosovo, vale a dire una dichiarazione unilaterale d'indipendenza. Altrimenti si smantellerebbe il sistema degli stati.

C'è stato in questi giorni un allarme dei Servizi europei e dell'intelligence italiana su una precipitazione nei Balcani.

Non vedo la lotta armata immediata e deflagrante. Quello che vedo è invece una lotta armata strisciante, nel senso che ci saranno di sicuro delle forze estremiste che vorranno premere sui pochi serbi rimasti in Kosovo e quindi ci saranno ancora espulsioni, possibilità di larvate od occulte pulizie etniche, così come da parte serba soprattutto nazionalista ci saranno anche dei tentativi di instaurare organizzazioni clandestine in Kosovo. La situazione è difficilissima da gestire e non vorrei essere nei panni dell'Ue che va lì con un mandato di supervisione senza poteri effettivi.

Napolitano ieri si è rivolto ai militari di Pristina dicendosi sicuro del loro buon lavoro «affinché il problema dello status del Kosovo si realizzi nelle condizioni previste, dal punto di vista della pace e della collaborazione tra le diverse etnie, come d'altronde indica il piano dell'Onu»...

Sono un po' perplesso. Sono sette anni che andiamo avanti con queste parole ma i fatti non dicono così. I kosovari albanesi non vogliono assolutamente uno stato multietnico, a parole lo dicono sempre, di fatto non lo vogliono. Così come dall'altra parte anche i serbi non riconoscono molti diritti agli albanesi rimasti nella parte a nord dell'Ibar di Mitrovica. Quindi il Kosovo multietnico è una speranza, è veramente qualche cosa nella quale potremmo sperare perchè tutti dobbiamo essere multietnici, tutti gli stati dovrebbero esserlo. Il fatto fondamentale è che però i soldati in questo hanno poche possibilità. Perché il piano dell'Onu non c'è. Il fatto che le Nazioni unite non abbiamo mai tentato seriamente di costituire un Kosovo multientico è nella realtà. I rientri dei profughi serbi sono falliti. Anzi sono stati boicottati. Quando io parlavo di fare rientrare due comunità piccolissime vicino a Pec, ho trovato veramente ostacoli solo nell'amministrazione Unmik-Onu. Non volevano rischiare. O non c'erano soldi, andavano solo a chi volevano loro. Il Kosovo multietnico nel piano dell'Onu non c'è mai stato.

=== 5 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16427

L'Italia gestisce il peso di un fallimento

di Tana De Zulueta*

su Il Manifesto del 20/12/2007

Kosovo

Sull'uscio della commissione esteri della Camera, il ministro Massimo D'Alema ha preannunciato una missione «a luci ed ombre» per se stesso presso l'Onu. E così è stato. Mentre il voto sulla moratoria sulla pena di morte è stato un netto successo per lui, per l'Italia e per l'Europa, la discussione sullo status finale del Kosovo si sta rivelando un vero e proprio letto di spine. La politica, quando dichiara di avere davanti a se solo la scelta tra un male e un altro, non può che prendere atto di avere, se non fallito, almeno mancato un'occasione. Oggi l'Unione Europea si trova nella necessità di subire scelte altrui per quanto riguarda il futuro della provincia serba del Kosovo. E mestamente se ne prende atto. Lo testimonia la (scarsa) discussione in Parlamento. Il 29 novembre l'aula della Camera ha votato due mozioni sullo status del Kosovo, della maggioranza e della Lega Nord, e le ha approvate tutt'e due. Gli impegni erano: ricerca d'una soluzione condivisa, «scoraggiando iniziative unilaterali», unità europea e la sollecitazione «in tempi brevi dell'accordo di stabilizzazione e associazione Ue-Serbia». Un premio di consolazione che lascia i responsabili politici di Belgrado piuttosto freddi. Anche perché non ritengono, probabilmente a ragione, quest'esito né sufficiente né imminente. Mentre l'amputazione di un pezzo di quello che continuano a considerare il proprio territorio lo è.
Siamo all'«ineluttabiltà». Emersa anche dalla lettera alla presidenza portoghese Ue, cofirmata dai governi italiano, inglese, francese e tedesco che dava conto del fallimento dei negoziati, avvertendo che è meglio lasciar perdere, per evitare «un ulteriore irrigidimento». Siamo ben lontani da quell'impegno a cercare in tutti modi un accordo condiviso, anche dopo il limite annunciato. Si profila, invece, una indipendenza sotto «supervisione» della Nato e di una massiccia missione civile europea. In quale quadro di diritto non è dato sapere, e su questo c'è scontro al Consiglio di Sicurezza. Il sottosegretario Craxi, non sembrava troppo convinto quando ha detto che la futura missione Ue «potrebbe operare nella cornice giuridica» della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1244 - che autorizzò l'ingresso della Nato, ma confermando anche che il Kosovo fa parte del territorio sovrano della Serbia e l'Ue aspira à mandare un suo rappresentante in Kosovo in sostituzione di quello dell'Onu. E se la Russia non è d'accordo?
L'unica certezza è la prospettiva dell'instabilità, ben oltre il Kosovo. Otto anni sono passati invano. In un incontro in Parlamento l'ex-ministro francese Hubert de Védrine ha ribadito che l'indipendenza sarà pure «ìneluetable» ma è pur sempre «regrettable» e per un ambasciatore europeo che ha partecipato al negoziato la la separazione del Kosovo potrebbe fare venire meno la ragione d'essere della Bosnia. Paese costituito, dentro la camicia di forza degli accordi di Dayton, per imporre una nazione multietnica E la Macedonia?
Commentando il passaggio delicato, D'Alema ha fatto notare che mentre gli Stati Uniti hanno fortemente sostenuto l'indipendenza del Kosovo e la Russia l'ha osteggiata, l'Europa è destinata a reggere tutto il peso del problema. Auguri.

*Vicepresidente della Commissione esteri della Camera