Informazione



www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 26-01-08 - n. 212

da: Il Calendario del Popolo febbraio 1948, trascrizione a cura del CCDP

 

Stalingrado – 2 febbraio 1943

 

di Paolo Robotti

 

Il 19 novembre 1942 mattina, l'artiglieria sovietica aprì un nutrito fuoco contro le posizioni tedesche attorno a Stalingrado e precisamente a nord nel settore di Serafimovic. Fu quello il primo atto della vasta controffensiva sovietica che doveva liberare la grande città del Volga dalla minaccia hitleriana e infliggere il primo colpo mortale all'esercito tedesco. Nei giorni successivi le operazioni offensive sovietiche vennero sviluppate dalle divisioni carrate e dai reparti motorizzati dei reggimenti della Guardia. Il nemico non fu in grado di opporre una valida barriera alle fulminee azioni dell'Esercito Rosso che, spezzate a nord e a sud di Stalingrado le linee tedesche, procedeva veloce da due parti verso sud. Il 22novembre le divisioni carrate sovietiche si congiungevano sul fiume Karpovka nel settore di Sovietskoje... La sacca era chiusa. Le armate tedesche e fasciste erano chiuse in una morsa d'acciaio che si rivelò, in seguito, infrangibile. Incominciò il grande dramma che doveva costare la vita a centinaia di migliaia di soldati tedeschi, romeni, ungheresi e italiani. Incominciò l'epopea, ormai leggendaria, di Stalingrado.

 

Il comando tedesco, cocciuto come sempre, presuntuoso al massimo grado e fermamente convinto della superiorità delle sue forze su quelle sovietiche, tentò, nei giorni che seguirono, un attacco di divisioni carrate nella zona di Kotielnikov, a sud-ovest di Stalingrado allo scopo di infrangere l'accerchiamento e di portare rinforzi corazzati all'armata di Von Paulus ormai chiusa in trappola. Comandò l'operazione il generale Manstein, creduto uno degli imbattibili strateghi della guerra dei carri armati. Il suo attacco venne spezzato dai contrattacchi delle divisioni carrate sovietiche e da quel momento i tedeschi ebbero la prima sensazione che non avrebbero più potuto ripassare il Don.

 

Ne fa fede il fatto che tutti gli attacchi successivamente da essi condotti, mirarono a rompere l'accerchiamento in direzione sud-ovest. Ciò è confermato anche dal fatto che, più tardi, il Comando italiano diede ordine di distruggere i depositi di vettovagliamento che si trovavano nella zona accerchiata, disposizione che venne pure emanata dai comandi romeno e ungherese che, come il comando dell'A.R.M.I.R., erano ridotti all'unico ruolo di... attendenti del comando supremo germanico.

 

Consolidato l'accerchiamento, il comando supremo sovietico decise di invitare Von Paulus a capitolare per evitare un inutile spargimento di sangue e il vano sacrificio di centinaia di migliaia di soldati e di ufficiali. Va notato che nelle proposte di capitolazione non vi era nulla che potesse umiliare ufficiali e soldati delle armate di quattro paesi accerchiate. Non vi era nulla che non potesse essere accettato senza compromettere la dignità militare dei comandanti e delle truppe. Li si imitava a piegarsi, risparmiando vite preziose al loro paese, alla superiorità della tecnica e della strategia sovietica nella vasta regione. Il comando germanico rifiutò di capitolare respingendo le condizioni poste, senza neppure trattare.

 

Il 15 dicembre 1942 l'Esercito Rosso iniziò le operazioni per liquidare il nemico accerchiato. Fu un susseguirsi di duri susseguirsi di duri combattimenti nei quali la caparbietà dei tedeschi e l'inettitudine e la sottomissione dei generali degli eserciti vassalli portò al sacrificio migliaia di combattenti contro forze sovietiche preponderanti, meglio equipaggiate, meglio armate e ben preparate al clima rigido dell'inverno, si batteranno disperatamente e invano soldati tedeschi, romeni, ungheresi e italiani. Non un generale - e fra essi quelli italiani - ebbe il coraggio di ribellarsi ai pazzeschi ordini del comando tedesco ordinando ai suoi uomini di deporre le armi per salvare la vita di fronte alla situazione che si presentava chiaramente senza vie di uscita. Il valore dei combattenti fu messo a dura e inutile prova. Gli alti comandi riuscirono a salvarsi, ma ufficiali e soldati no. La temperatura variava, quel periodo, dai 30 ai 40 gradi di freddo. Per il gelo si inceppavano le armi e morivano i combattenti. Il famoso "passaggio della Beresina" di Napoleone, fu ben poca cosa in confronto della immensa tragedia che si svolse fra il Volga ed il Don nell'inverno del 1942-43. Animato da un profondo e concepibile odio, contro gli invasori, entusiasmato dai suoi continui successi, l'Esercito Rosso martellò continuamente e spietatamente i nemici non dando loro tregua, giorno e notte, e non permettendo loro di sganciarsi dalle forze sovietiche incalzanti.

 

Il 2 febbraio 1943 - cinque anni fa [65 anni fa – n.d.r.] – il comando supremo sovietico annunciò che l'operazione di Stalingrado era terminata con la completa liquidazione di tutte le forze nemiche accerchiate. Il freddo era ancora intenso e la neve molto alta sul teatro delle operazioni. Nella vasta steppa dal Don al Volga si ristabilì la calma. Sotto la spessa e fredda coltre bianca giacquero, per sempre, i corpi di centinaia di migliaia di soldati e ufficiali di quattro paesi europei. Fra essi decine e decine di migliaia di italiani...

 

I tedeschi che speravano, attraversando il Volga, di accerchiare Mosca prendendola alle spalle e di poter dilagare verso l'India, iniziarono a Stalingrado quella lunga e ininterrotta marcia di ritorno che, senza soste, doveva terminare a Berlino e sull'Elba.

 

A Stalingrado, come a Mosca, i sovietici si batterono da soli: con le loro forze, con le loro armi, con le loro macchine. Gli alleati erano veramente preoccupati, in quei giorni, ma il secondo fronte in Europa dissero che "non potevano" aprirlo. Churchill, arrivato improvvisamente e segretamente a Mosca, chiese a Stalin che si permettesse a forze aeree a forze di fanteria inglese di penetrare in territorio sovietico per difendere, presidiandola, la zona petrolifera di Baku! Stalingrado non interessava già più il vecchio dell'imperialismo inglese. L'aveva già data per perduta! A lui non costava molto questo.. sacrificio. Ma l'odore del petrolio lo attirava.

 

I Sovietici sapevano e sanno che le scarpe dei soldati dell'imperialismo sono come l'edera : dove si attaccano muoiono. Perciò tennero lontane dal loro suolo, dalla loro terra, fertile e ricca, le scarpe chiodate dell'imperialismo inglese. E non si sbagliarono.

 

Stalingrado è stata un grande e luminoso simbolo: il simbolo dell'abnegazione, del sacrificio, dell'eroismo e del valore di una grande famiglia di popoli liberi. Ed è anche un monito per coloro che troppo presto dimenticano che i soldati della libertà si battono con ugual valore contro tutti gli aggressori e tutti gli invasori.



Kosovo: verbale segreto 

1) F. Juri: Nel verbale segreto istruzioni Usa all'Ue
2) G. Chiesa: L'indipendenza unilaterale del Kosovo, miccia innescata nei Balcani
3) E. Remondino: La tombola kosovara al via
4) INTERVISTA A HASHIM THACI "IL SERPENTE": "L’Italia sarà la prima a riconoscere il Kosovo"
5) E. Montes de Oca: Kosovo, nuova colonia?


Vedi anche:

PER L'INDIPENDENZA DI PRISTINA E' PRONTO IL ''PIANO DI LUBJIANA''

di Giulietto Chiesa - dal Manifesto del 6-1-08


=== 1 ===


Nel verbale segreto istruzioni Usa all'Ue

di Franco Juri

su Il Manifesto del 30/01/2008

Kosovo

Scoppia a Lubiana un incredibile caso di vassallaggio europeo nei confronti di Washington. Lo rivela il quotidiano Dnevnik di Lubiana pubblicando nei dettagli il contenuto di un verbale «segreto» su cui in parlamento è stata già inoltrata dall'opposizione un'interrogazione parlamentare. Il verbale dimostra un coordinamento diretto tra Washington e Lubiana sul futuro immediato del Kosovo e sui passi da intraprendere per garantirne l'indipendenza, con una presenza europea e la legittimazione delle Nazioni unite proprio durante la presidenza slovena. A impartire le istruzioni sul Kosovo a un alto diplomatico sloveno, Mitja Drobnic, accompagnato dall'ambasciatore Samuel Zbogar, ricevuto al Dipartimento di stato il 24 dicembre scorso, è stato Daniel Fried, aiutante di Condoleezza Rice. Istruzioni dettagliate: i come, dove e quando dell'indipendenza del Kosovo, del suo riconoscimento e dell'arrivo della missione internazionale civile (Ico), «invitata» dal parlamento kosovaro subito dopo la dichiarazione di indipendenza secondo un timing prestabilito e concordato con Washington. La vice di Fried, Rosemary DiCarlo, arriva persino a rivelare che al parlamento kosovaro hanno consigliato di dichiarare l'indipendenza di domenica, in modo che la Russia non abbia il tempo di convocare il Consiglio di sicurezza. Il verbale è la prova inconfutabile di una preparazione meticolosa, pianificata a tavolino dagli Usa e delegata alla Slovenia e ai paesi europei, pronti a un rapido riconoscimento di Pristina già alla fine dello scorso anno. Ci sono alcuni paesi Ue (forse sei) che non sono disposti a riconoscere subito un Kosovo indipendente? Per Washington non è un problema: ne bastano quindici dei ventisette e andrà benissimo. Fried consiglia all'ospite di Lubiana che la Slovenia sia - come presidente di turno dell'Ue - il primo paese europeo a riconoscere Pristina.
Lo scandalo prende di soprpresa il ministro degli esteri sloveno Dimitrij Rupel, che non controlla il colabrodo del suo ministero e per ora non commenta. Il premier Jansa non nega l'autenticità del documento ma nega che ciò significhi pressioni americane sulla Slovenia. Dal ministero degli esteri arriva però una nota di palese imbarazzo e l'ambasciatore Zbogar viene immediatamente convocato in patria. I desideri americani non finiscono con il Kosovo: c'è, nelle istruzioni per l'uso dell'Ue, anche la data del vertice Ue-Usa da fare in giugno. Niente di tanto strano, se non fosse per le richieste che l'amministrazione Bush si aspetta siano esaudite durante la presidenza «amica» di Lubiana: salta fuori una lista di «paesi canaglia» che l'Ue dovrebbe condannare decisamente nell'occasione del vertice, come Iran, Siria, Filippine e i «soliti» Cuba e il Venezuela. Nella dichiarazione «suggerita» all'Ue dagli americani ci dovrebbe essere inoltre un'esplicita presa di posizione a loro favore sull'Iraq e la guerra al terrorismo.


(vedi anche:

Gli USA dettano alla Slovenia

29.01.2008    Da Capodistria, scrive Franco Juri 

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/8893/1/51/ )


=== 2 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16671

L'indipendenza unilaterale del Kosovo, miccia innescata nei Balcani

di Giulietto Chiesa

su altre testate del 31/01/2008

(e l'Europa prende posizioni al servizio degli Americani) - 31-1-08 (Dal Sito www.megachip.info )

E' bello, ma talvolta triste, dover registrare che si è fatta una scoperta. Triste quando la scoperta è brutta, sgradevole. E uno avrebbe preferito non farla. 
Scrissi, su queste pagine elettroniche di Megachip e per qualche giornale russo, che gli Stati Uniti avrebbero "approfittato" della presidenza di turno dell'UE, slovena, per tirare per i capelli l'Europa ad appoggiare subito, incondizionatamente, la dichiarazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo. 
Una previsione, certo basata su solide indiscrezioni, ma non ancora un'informazione. 
Adesso c'è anche questa. Ed è uno scandalo che dimostra l'assunto di quell'articolo (come pure delle cose molto vere e molto belle che Ennio Remondino scrive per noi e per il Manifesto) . 
Un'Europa serva, subalterna, stupida. Un'America tracotante. La Slovenia vassallo capitato a turno nella sala di comando per eseguire gli ordini del padrone. In sintesi (lo stenogramma segreto di un incontro segreto pubblicato dal quotidiano sloveno Dnevnik e da quello serbo Politika) : alla vigilia di Natale l'ambasciatore sloveno Samuel Zbogar e il direttore di quel ministero degli esteri, Mitja Drobnic, sono convocati al Dipartimento di Stato, a Washington, per ascoltare il vice di Condoleeza Rice, Daniel Fried, che detta la road map che porterà Pristina all'indipendenza "americana". 
Ecco gli ordini: aspettare fino al 3 febbraio, quando il voto a Belgrado sarà stato chiuso. Aspettare che l'aquila nera in campo rosso salga sui pennoni di Pristina e poi subito (per impedire che Mosca chieda la riunione del Consiglio di Sicurezza) riconoscere a nome dell'Europa. 
Ci sono sei paesi europei che non sono d'accordo? Fried lo sa bene e si frega le mani. Ne bastano 15 su 27, stiamo a perdere tempo con questi cacasotto europei? l'Europa si spacca? Peggio per l'Europa! 
Che pena e che vergogna! Perchè l'Italia, cioè noi, fa parte di quel tappeto di servi su cui l'Impero avanza coi suoi stivali. Poi verrà il sangue e si fingerà di non sapere chi è stato.


=== 3 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16666

La tombola kosovara al via

di Ennio Remondino - Pristina

su Il Manifesto del 29/01/2008

Da Mitrovica a Pristina, sulla «bomba» indipendenza. Thaqi: «L'Italia dirà sì»

Che Francesco Cossiga sia uomo di rispetto su argomenti di intelligence militare e di strategie atlantiche è noto. A metà strada tra politica interna e internazionale, una sua dichiarazione dei giorni scorsi meritava più attenzione. L'ex Presidente annunciava il suo voto a sostegno di Prodi per fare un favore a Forza Italia. Il Presidente Emerito suggeriva a Berlusconi di lasciare ancora la palla a Prodi, visto che tra le altre grane internazionali incombenti, «bisogna ricominciare a sparare in Kosovo». La profezia cossighiana concludeva con la solita coda al veleno: «Quando è Prodi a bombardare Belgrado la guerra diventa una missione di pace..». Che sia stato il governo D'Alema, da lui sostenuto, nel 1999, a bombardare Belgrado, è dettaglio che gli avrebbe rovinato la battuta. 
Dal Kosovo, dove mi trovo, l'impressione che Cossiga possa avere ragione è forte. Lui certamente sa più di noi ma a volte, per capire, basta solo guardarsi attorno. Proprio mentre il premier kosovaro albanese Thaqi manda a dire che l'Italia sarà «tra i primi paesi a riconoscere l'indipendenza» (sic). Sono entrato in Kosovo percorrendo la «Ibarska magistrala», la statale che da Belgrado porta verso il Sangiaccato e il Montenegro. Al confine amministrativo della provincia di «Kosovo i Metohja», la polizia ti chiede il passaporto, per vedere - dice - da dove sei entrato in Serbia. L'aeroporto di Pristina, per esempio, non è frontiera internazionale riconosciuta da Belgrado. Poco oltre, una bandiera Onu ti propone un secondo confine che, a sua volta, ufficialmente non esiste. Poliziotti e doganieri serbo-kosovari che vedendo l'auto targata Belgrado ti fanno segno di passare ed una rotonda poliziotta con bandierina americana sulla spalla intenta a farsi vezzeggiare da atletici colleghi indigeni. In fondo alla cupa vallata mineraria, finalmente Kosovska Mitrovica, che sparge i suoi casermoni popolari tra le due sponde del fiume Ibar. 
Da questa parte del fiume è ancora Metohja, la terra dei monasteri cristiani ortodossi. Lungo la Ibarska ne trovi uno ogni qualche decina di chilometri. Mitrovica, da questa parte dell'Ibar, è Serbia delle viscere. Oltre il ponte vigilato dalla «legion» francese della Nato, i primi minareti del Kosovo albanese. A Mitrovica ci sono soltanto tre cose da vedere: il ponte, appunto, attorno a cui si combatté nel 2004, pronto oggi a tornare trincea, l'imponente ciminiera di cemento alta più di centro metri che fa da obelisco mortuario alla miniera-stabilimento per estrazione e lavorazione di piombo, zinco e un po' di oro. Poi, su di un aspro picco isolato, i resti della roccaforte crociata medioevale. Sventola un'enorme bandiera serba, e non riesco ad immaginare chi mai potrà arrivare sin lassù a toglierla. 
La strana vita da avamposto della Mitrovica serba ruota attorno al solo hotel decente di Mitrovica, sei camere striminzite e tutte prenotate per assistere da questa parte del fronte all'ormai imminente patatrac, e al bar Dolce Vita, che fronteggia il felliniano ponte-frontiera servendoti un ottimo espresso italiano. Il mercato di strada fatto da vecchi per i vecchi, qualche velleità di negozio ad offrire la moda della normalità dove di normale non c'è nulla. Giovani che girano in tondo alle stesse strade, senza prospettiva visibile di futuro, salvo immaginarli presto ad imbracciare attrezzi non da lavoro. Al bar-ristorante dove si succedono gruppi di militari francesi in missione di fratellanza, al solo punto Internet, incontro un prezioso collega bulgaro. Agenzia di stampa ufficiale. Parla il serbo come io l'italiano, e il romanesco come io il genovese. Venti anni a Roma, corrispondente, quando ancora la Bulgaria era il braccio armato del «Regno del male». L'amico bulgaro, uno che sa, conclude a slivovica: «Non sanno in che casino stanno cacciandosi». Quelli che non sanno, sono i governi dell'Ue. 
Da Mitrovica a Pristina, mezz'ora di strada che dobbiamo percorrere togliendo la targa all'auto a noleggio. La sigla Belgrado non è apprezzata. Ai blocchi di polizia albanese che ti fermano, accredito stampa italiano e la visione delle targhe nascoste. Uno dei poliziotti ammette che è meglio così. D'ora in avanti, solo il taxi albanese del mio amico Janez. A Pristina, l'ufficio giornalistico Rai s'insedia come sempre nella trattoria romagnola dedicata da Antonella «Al Passatore» italiano smarrito in terra e cucina albanese. 
Gli altri contatti giornalistici sono segreto professionale, come i piani di evacuazione distribuiti ai 150 italiani dal Consolato locale. Se mai fosse emergenza, 25 chili di bagaglio in cui chiudere questa infelice esperienza internazionale sotto la bandiera Onu. L'apparato militare Nato evita i giornalisti più del possibile nemico e i carabinieri Msu diffidano di noi quasi fossimo pregiudicati sottoposti al 41 bis. Per loro l'atroce dilemma di essere i guardiani della risoluzione Onu 1244, che fa a pugni con la missione Ue che arriverà a garantire un Kosovo albanese. Italiani contro italiani, potrebbe anche accadere. L'ambasciata ufficialmente rassicura. In questa vigilia il solo esercizio speculativo che vale è la «tombola kosovara». Indovinare il numero vincente del giorno della proclamazione unilaterale d'indipendenza. Io personalmente ho puntato la posta sul 6, ruota di febbraio, con tanto di prenotazione aerea. L'Ue ufficialmente insiste su marzo per fare un favore a Zapatero nella Spagna elettorale. 
Nel frattempo, per i Balcani è tutto un gran viaggiare. Nei giorni scorsi il neo premier kosovaro Thaqi a Bruxelles, dove Solana l'ha benedetto come suo «migliore amico» in Kosovo. Tempo fa era premier Ramush Haradinaj, anche lui amico dell'Europa, contro il quale, nei giorni scorsi, il Tribunale internazionale dell'Aja ha chiesto la condanna a 25 anni per crimini di guerra. Suggeriamo a Solana un po' di prudenza affettiva. Intanto qui a Pristina è arrivata la delegazione albanese di Albania, con il suo presidente Bamir Topi. Poco opportuna per le apparenze ma rivelatrice di molto futuro. Sui siti dei milioni di albanesi all'estero, quelli che contano, si continuano a proporre mappe e progetti sulla Grande Albania che s'ingrasserà con pezzi di Macedonia, Serbia, Grecia e Montenegro. Sul fronte opposto, la Serbia offesa, ripercorre le sue origini slave con un pellegrinaggio presidenzial-governativo a Mosca. Usa e Russia giocano le loro carte. L'Ue paga la posta. 
Leggo dalle dichiarazioni ufficiali che vengono da Bruxelles, che l'Ue si muoverebbe «compatta» verso la nuova sfida del Kosovo albanese indipendente. Auguri Ue - e Italia -, mi viene da ripetere, detto alla Cossiga, pensandola come il mio collega bulgaro.


=== 4 ===

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200801articoli/29570girata.asp

25/1/2008 (7:31) - INTERVISTA A HASHIM THACI, PREMIER KOSOVARO


"L’Italia sarà la prima a riconoscere il Kosovo"

«Entreremo nella Nato e nell'Unione Europea. Il veto dei russi non ci spaventa»

MARCO ZATTERIN
CORRISPONDENTE DA BRUXELLES

La soluzione «probabile» del rebus dell’indipendenza kosovara è un processo a ondate, con «le grandi potenze dell’Europa che riconosceranno insieme il nostro status non appena proclamato». L’Italia, assicura il primo ministro kosovaro Hashim Thaci, «sarà certamente in questo primo gruppo». Quando? «È questione di giorni», si sbilancia l’ex capo della guerriglia autonomista. Va bene, ma giorni o settimane? «Le settimane sono fatte di giorni. L’importante è che adesso tutto sia pronto». Al termine della prima visita a Bruxelles, dopo aver incontrato l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Solana, la Commissione e l’Europarlamento, il leader del Kosovo parla a macchinetta in un’elegante sala dell’Hotel Hilton. Sorriso da cartolina, eleganza continentale, risposte brevi. Non s’impicca a una data. Fa di tutto per convincere chi lo ascolta che il dado è tratto. «Tutti quelli che ho incontrato - spiega - vogliono che il nostro status sia definito al più presto. Noi ci attendiamo che Europa e Stati Uniti procedano al riconoscimento in modo simultaneo. Il Kosovo è già unificato. Abbiamo i simboli, la bandiera e l’inno. Ripeto, è questione di giorni. Tutto indica che ci sarà una accettazione di questo fatto».

Si è avuta l’impressione che l’Europa freni. Che ne pensa?

«Che l’indipendenza rifletterà l’unità della valutazione di tutti».

A Bruxelles il fronte non è compatto.

«Non permetteremo altri ritardi. La cosa importante è che la missione civile Ue sia pronta a essere schierata. L’abbiamo invitata ed è benvenuta. Lavoreremo insieme per un successo comune». 

Prima la missione o l’indipendenza?

«La missione arriverà al momento giusto». 

Lo svedese Carl Bildt ha proposto di dare la parte albanese del Kosovo all’Ue e la serba all’Onu. Può funzionare?

«Bildt è un mio amico, ma l’idea è cattiva. Non può essere realizzata in pratica ed è inaccettabile per tutti».

La Spagna chiede di attendere le sue elezioni, il 9 marzo.

«Si vota in molti Paesi europei. Se li aspettiamo tutti non arriveremo mai alla meta. Sono stato a Madrid recentemente. La posizione spagnola è in linea con quella di Bruxelles».

C’è chi vuole legare l’indipendenza al secondo turno del voto di Belgrado.

«Non c’è legame con le loro elezioni. Noi abbiamo scelto la nostra strada. In nessuna circostanza il nome del nuovo presidente serbo può avere un impatto sulla nostra storia».

La Russia, membro del Consiglio di sicurezza, dice che non vi riconoscerà mai.

«In politica non bisogna mai dire mai».

E se insistessero col veto?

«Noi saremo presto dell’Ue, nella Nato, e in tutte le organizzazioni internazionali. Compresa l’Onu».

E il ruolo dell’Italia? Non ha fatto un po’ troppo l’occhiolino ai serbi? 

«Non è così. Il ruolo di D’Alema è stato equilibrato. Col suo Paese abbiamo ottime relazioni bilaterali. Sarete nel gruppo dei primi a riconoscerci».

Con chi?

«Con tutti gli Stati più potenti dell’Unione».

Conta sull’appoggio dei Paesi islamici?

«Spero di sì».

E i ciprioti contrari?

«Comprendo il loro problema e sono disposto ad attenderli più a lungo. Ma la decisione verrà comunque e non saremo ostaggi di Cipro».

Teme che il vostro caso possa essere un esempio per i serbi di Bosnia?

«Non ci può essere alcun paragone in nessuno caso».

Quando pensate di aderire all’Ue?

«Non appena avremo i requisiti. Ma è presto per parlare di una data».

Vi aspettate che Bruxelles vi sostenga finanziariamente?

«Ci hanno garantito che subito dopo l’indipendenza ci sarà una conferenza dei donatori».

È pronto a combattere per l’indipendenza del Kosovo?

«Abbiamo già combattuto, abbiamo vinto. Ora c’è democrazia e pace».

Ma se andasse male?

«Sono certo che il processo sarà pacifico».


=== 5 ===

http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose8a25-002567.htm

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=16672


Kosovo: nuova colonia?

di Eduardo Montes de Oca

su Resistenze del 31/01/2008

da Rebelion - www.rebelion.org/noticia.php?id=61890 - “Insurgente” www.insurgente.org

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare


Il Kosovo rappresenta un’altra mela della discordia nel mondo di oggi. Alla fine di dicembre, le divergenze attorno al futuro assetto politico di questa provincia serba, a maggioranza albanese, sembravano allontanare un regolamento negoziato in seno all’ONU, istituzione a cui potrebbe venire sottratta una questione che si trasformerebbe così in qualcosa di terribile: un’altra guerra nei Balcani. Prensa Latina ha informato che in una seduta caratterizzata da esasperate discussioni e celebrata a porte chiuse, il 19 dicembre, i 15 membri del Consiglio di Sicurezza non sono riusciti a trovare un accordo sul futuro di questo territorio sotto l’amministrazione delle Nazioni Unite, in conformità con la Risoluzione 1244, in vigore dal momento in cui, nel 1999, cessarono i bombardamenti dell’aviazione statunitense e della NATO contro la Serbia. Durante i quattro mesi di negoziati condotti dalla Serbia e dagli albanesi-kosovari, fino al 10 dicembre, il principale ostacolo al regolamento della questione è stato la raccomandazione del mediatore dell’ONU, Martti Ahtisaari, di concedere al Kosovo un’indipendenza tutelata dalla stessa ONU e dalla NATO.La raccomandazione a separarsi, sostenuta da Stati Uniti e Unione Europea, e respinta da Russia e Serbia, ha rappresentato un incoraggiamento per gli albanesi-kosovari, che avevano ignorato più volte le offerte di ampia autonomia avanzate da Belgrado in difesa dell’integrità territoriale del paese. Al termine della riunione del Consiglio di Sicurezza, gli albanesi-kosovari hanno assicurato di essere pronti a proclamare unilateralmente l’indipendenza del Kosovo; e i serbi hanno avvertito di avere l’intenzione di respingere la dichiarazione che, come veniva sottolineato, aprirebbe le porte a numerose rivendicazioni simili delle minoranze nazionali di stati membri dell’Unione Europea. E allora, perché il distacco del Kosovo attira l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, anche se potrebbe rappresentare un cattivo precedente nel Vecchio Continente, e obbligherebbe a modificare o annullare la Risoluzione 1244, che riconosce la sovranità della Serbia sulla provincia? Elementare. Gli Stati Uniti e i loro principali alleati europei danno un vigoroso impulso alla secessione, allo scopo di completare la disintegrazione della ex Jugoslavia, la cui principale componente, la Serbia, ha sempre occupato una posizione più vicina alla Russia che all’Occidente. Inoltre, il Kosovo dispone di grandi riserve di lignite e carbone, trasformabili in energia elettrica in grado di soddisfare le necessità del suo sviluppo interno e di quello dei paesi vicini. Cosa non darebbero gli Stati Uniti, l’Unione Europea e le transnazionali per le abbondanti riserve energetiche di un territorio che rappresenta il 15% della superficie della Serbia? Immaginate la risposta. E’ chiaro che le autorità albanesi-kosovare hanno già avviato un ampio piano di privatizzazione del settore energetico, a favore di imprese nordamericane ed europee, lasciando naturalmente fuori la Russia. E allora come potrebbe l’Occidente rispettare una risoluzione dell’ONU che riconosce la sovranità della Serbia sul Kosovo? Su quel Kosovo che torna anche estremamente utile ai piani statunitensi di costruzione, attraverso i Balcani, di un’enorme rete per il trasporto di petrolio e gas, che garantisca le forniture in qualsiasi circostanza. Il Kosovo come neocolonia è ciò di cui hanno bisogno Washington e l’Unione Europea. Da qui l’ostinazione per una politica, quella dell’indipendenza, che, se per alcuni analisti potrebbe condurre solo a conflitti di bassa intensità, data la presenza sul luogo di più di 16.000 effettivi della NATO, per altri potrebbe portare ad una guerra di più vaste proporzioni, che implicherebbe una nuova ondata di pulizia etnica di serbi e rom per mano degli albanesi-kosovari. E qui una domanda non retorica ci assilla. Nel caso dello scenario di guerra vasta, per certe elites del potere insediate a Washington e in Europa la morte di migliaia di esseri umani varrebbe più dell’economia e della geopolitica? Conoscendo i nostri polli, crediamo proprio che una simile eventualità non rovinerebbe il loro sonno. (...)




A Firenze come nella Grecia dei colonnelli

Comunicato congiunto del Movimento Antagonista Toscano e della Confederazione Cobas sulle condanne agli attivisti fiorentini che manifestarono contro la guerra nei Balcani il 13 maggio 1999.

31 gennaio 2008

La realtà supera sempre la fantasia

A Firenze come nella Grecia dei colonnelli

13 condanne a 7 anni per resistenza!

Il Tribunale di Firenze ha deciso di abolire ogni unità di misura ed ha condannato a sette anni di reclusione i tredici imputati per gli incidenti al Consolato USA del 13 maggio 1999 in occasione dello sciopero/manifestazione indetto dal sindacalismo di base contro la partecipazione dell'Italia alla guerra nei Balcani.

Sette anni per aver preso un sacco di legnate a mani nude. Sette anni a conferma che nella società contemporanea non c'è più misura. Nello sfruttamento come nelle sentenze dei tribunali. Sette anni vengono dati per omicidio (con le attenuanti). Cinque per banda armata. Qualche manciata di mesi per stupro, nulla per gli omicidi sul lavoro. Non parliamo della signora Dini e dei suoi traffici internazionali finiti con una pena abbondantemente sotto l'indulto.

Questi giudici ci fanno tornare in mente i colonnelli greci e lo Shakespeare di "Misura per misura": viviamo la nostra contemporaneità nella svalutazione dei valori, dunque il dramma è quanto mai attuale..

La Magistratura interpreta la crisi verticale della rappresentanza politica, quella società dello spettacolo andata in onda anche pochi giorni fa al Senato, e della sua incapacità di controllare spinte e conflitti sociali.

Non si deve manifestare, tanto meno contro la guerra. E poi, se al governo c'è il centrosinistra è ancora più grave, viene meno ogni "giustificazione politica".

E' il trend giudiziario di Genova e di Cosenza. E' l'altra faccia del delirio securitario che vuole incarcerare tutti i romeni che scappano dalla Romania a causa dei "nostri" imprenditori arrivati a sfruttare la forza lavoro locale per 80 euro al mese.

A Firenze c'è la mano precisa dei DS in questa sentenza. Dopo aver riesumato le ordinanze (1933) del Podestà per deportare i lavavetri, hanno dichiarato la guerra ai poveri colpevoli di avere cattiva incidenza sul turismo, come se Firenze non fosse una città internazionale e cosmopolita. Ed ora indicano nelle case occupate, nei richiedenti asilo che esodano dalle guerre il prossimo nemico da colpire.

La città va affidata a guardie pretoriane che devono esercitare il controllo assoluto non solo sui movimenti, ma sui corpi e sulle menti, perchè cresce la marea dei senza reddito, senza casa, senza cittadinanza e che devono rimanere anche senza voce.

Queste sentenze vogliono sancire lo slittamento del conflitto sociale all'interno della normativa penale. Imputate/i capri espiatori, diversificati per provenienza ed estrazione, per poter esercitare su di loro una giustizia altrettanto diversificata. Per sperimentare la tenuta di "nuovi" reati, quali devastazione e saccheggio, mantenendo i "vecchi" resistenza e danneggiamento.

Daremo vita ad una campagna nazionale su questa sentenza capace di coinvolgere tutto quanto si muove nella società italiana per garantire la libertà di movimento e la demolizione di questa e delle altre sentenze.

RICORDIAMO I FATTI

Il 13 maggio 1999 lo sciopero delle organizzazioni di base fu un grande successo (a Firenze 3.000 in piazza). Lo sciopero dimostrò la possibilità di lottare contro la guerra NATO nei Balcani, guerra sostenuta dal governo di allora, guidato da D'Alema, e definita da CGIL-CISL-UIL "una contingente necessità". A corteo concluso davanti al Consolato Americano partirono, senza preavviso, durissime cariche poliziesche: candelotti sparati ad altezza d'uomo, 5 manifestanti costretti alle cure ospedaliere, mentre tanti altri contusi evitarono gli ospedali. L'atteggiamento delle forze dell'ordine fu conseguente alla circolare D'Alema-Iervolino ("perché non vengano tollerate manifestazioni contro basi militari e sedi governative"). Un paese in guerra adegua il comportamento della propria polizia alla situazione bellica. Un video mostrò l'esatta dinamica delle cariche - video ripetutamente fatto vedere dalla trasmissione "Striscia la notizia", anche, strumentalmente, nei confronti del centrosinistra al governo.

Già le richieste del pubblico ministero apparivano SURREALI: dai 4 ai 5 anni per "resistenza a pubblico ufficiale".

La sentenza dimostra che ancora una volta la realtà supera la fantasia!

Movimento Antagonista Toscano - Confederazione Cobas


# Altri articoli e comunicati su questo caso:

# Su altri echi e conseguenze dello squartamento della Jugoslavia a Firenze vedi:

 


Gemona 8 febbraio 2008

Aula Magna dell'I.T.C.G. "G.Marchetti"
ore 20:30
inaugurazione della rassegna

LINKEST a SCUOLA

 

serata dedicata alla Serbia a cura di Jelena Miloševic'

 

Nel corso della serata verrà proiettato il documentario

 

SERBIA 1999. I GIORNI DELLA VERGOGNA

 

a cura di Gilberto Vlaic, presente come ospite d'onore.

 

Per maggiori informazioni visitare il sito www.mazdrapok.net 
dove sono indicati i contatti con gli organizzatori 
ed è visionabile il volantino illustrativo della serata, con il programma dettagliato.



(il testo originale, in lingua italiana: http://it.groups.yahoo.com/
group/crj-mailinglist/message/5859
Isto procitaj: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/
message/5860
P. Handke: La prensa ha preparado bien la guerra, es culpable: http://
it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5829 )


http://www.yugofile.co.uk/Handke_on_KiM.htm

"In Kosovo there is only hate"

An interview with Peter Handke

"Without involvement in the wounds of the Balkans I would not be a true
writer".
"There are no human rights, nor democratic guarantees. The remaining
Serbs
are not even allowed to tend their graves, they are living in terror.
And
the EU, headed by the Slovene Janez Jansa, a leading criminal of the
Yugoslav drama, will recognise its independence, otherwise the Albanians
are threatening a new war"

By Tommaso Di Francesco,
Paris

Wary but frank, Peter Handke receives us into his house on the remote
outskirts of Paris. Diaphanous, tall and bony, in a white shirt which he
wears when he comes to meet us despite the cold, he appears like one of
the angels from "Sky aboveBerlin"[aka Wings of Desire(1988)], the
film by
Wim Wenders for which he wrote the screenplay. For many years he has
lived
here, he popped up in these parts like one of the mushrooms for which he
looks during his long walks in the woods near his house. He is one of
the
most politically incorrect of writers, practically persecuted by the
cultural institutions of the world, as when two years ago in Germany his
award of the "Heinrich Heine" prize was rescinded, or straight
afterwards
in France La Comedie Francaise dropped one of his comedies from their
programme. Moreover only two months ago Handke has won a case for
defamation against Il Nouvel Observateur which had written,
mendaciously,
that he had laid a red rose on the grave of Milosevic. What is his
crime?
Peter Handke is accused of being pro-Serb, now, during Nato's bloody
"humanitarian" bombing of former Yugoslavia and in the period of the
interethnic war. We are meeting him while he prepares to leave on a new
"winter journey" to Serbia where he will take part in the Festival of
Cinematographic Schools which takes place in the city of cinema
planned by
Emir Kusturica in Mokra Gora, meanwhile the battle over the status of
Kosovo rages and everyone waits for the presidential elections in
Belgrade
on 20 January.

TdF: The new leader of the Kosovar Albanians, Hashim Thaqi has announced
that in a few weeks he will declare Kosovo's independence from Serbia.
But, after eight years of NATO occupation and administration by UNMIK-
ONU,
do the conditions expected for independence, that is to say democratic
guarantees, respect for minorities and human rights, actually exist in
Kosovo?

PH: I don't recognise these conditions. I was in Kosovo in April and I
have been there four other times recently. I remained truly struck by
what
I saw in the enclaves of Velika Hoca, a village with a large Orthodox
church, and then in Orahovac. They are two enclaves near each other and
there one understands how the Serbs are living, how they spend their
time,
robbed of every possession, forced to go out only at four in the
morning,
terrorised all the time. The Suddeutsche Zeitung, speaking of a Serbian
enclave, has unbelievably written: "The Serbs pretend to be afraid". You
see, it's ideology, their minds already made up. No, the Serbs are not
"pretending to be afraid", they are simply living in terror and they
have
suffered so many murders in this period. There are no longer Serbian
cemeteries outside the villages as elsewhere in Serbia. In Orahovac the
cemeteries have been transferred to the centre of villages, within the
enclaves, and the buses which come every so often from Mitrovica have to
wait so as not to disturb the new graves. So even the ordinary
tending of
graves is impossible when those who do it may end up murdered and the
gravestones themselves are often destroyed. I have seen only hate in
Kosovo. It is NATO that has created this tragic and unsustainable
situation, NATO that bombed the whole of ex Yugoslavia. And now NATO and
the European Union insist that it is necessary to grant independence
because, otherwise, they know that the Kosovar Albanians will kill again
and threaten a new war. But how does one come to deserve independence
not
by right but because one threatens violence and another war? What
democratic logic is this which has been brought to bear by Europe and
the
US? Even worse they have never let up in eight years from murdering and
terrorising. It's enough even to see a Serbian symbol, a bus or a
coach as
it approaches the most beautiful monasteries in Europe like Decani or
Gracanica, then even the children, in an automatic reaction, throw
rocks.
The Serbs are reduced to a flock of sheep, lost and impoverished. They
have spoken of the violence of the Serbs against the Albanians but they
have remained silent in all these years about the hundreds and
hundreds of
murders and the destruction of the monasteries. They have told us
that the
Serbs wanted to expel two million Albanians, and for that reason the
campaign of aerial bombardment was justified. They have made a great
theatre along the border, great for the world's television crews and for
NATO's propaganda. Those refugees, for the most part were in flight
because they were afraid of the aerial bombardment, they were
accomodated
as soon as they reached the Macedonian border and they have all returned
home two months later. Thus they have contrived a new wretched war from
photographs and TV broadcasts. In 1996 I was in Decani to deliver a
lecture and there were no Italian troops in front of the monastery
then as
there are now protecting it, near there there was a lone Serbian
restaurant and they did not want to leave. Inside there were traces
of an
attack by the KLA where an Albanian woman had been murdered: five
minutes
before on the street the Albanian houses had all of a sudden turned off
their lights. The Serbs have also committed crimes and it has been a
disgrace to that nation and who governs it. But no-one was describing it
as an interethnic war, no-one was mentioning these armed attacks against
the Serbs and the moderate Albanians themselves on behalf of the
"freedom
fighters". A few days into NATO's war Le Monde and also newspapers on
the
Left had headlines "All out terror in Europe. 50,000 victims". There
were
a lot of victims but from both sides and many moderate Albanians
killed by
the KLA. In the end the Hague Tribunal found the graves of two thousand
bodies for the most part fallen in combat. But not the fifty thousand or
the "five hundred thousand" with which the New York Times headlined.

TdF: The supreme Court of Pristina itself on 6th September 2001 has
recognised in an important ruling that there was violence from the
Serbian
militia but not a "genocide", declaring in the process that they had
evidence that the the flight of eight hundred thousand Albanians was
motivated by fear of the NATO bombings which actually caused massacres ñ
"collateral damage" ñ among that same Albanian population. Then there
was
the KLA leader Ramush Haradinaj: Carla Del Ponte herself has said
that he
is a "butcher in uniform" and she has charged him with the slaughter of
Serbs and Roma from 1998 (before the staged massacre of Racak). And now
the European Union is ready to recognise the ethnic independence of
Kosovo
under the leadership of Janez Jansa, now prime minister of Slovenia and
rotating president of the EU, who boasts an "acquaintance with the
problem"

PH: It's all very well for Janez Janta to boast connections with the
KLA,
he is among the greatest criminals the Balkans have ever known. He who
glories in the "patriotic war", who did not hesitate to kill in cold
blood 20 conscript Yugoslav soldiers ñ many Slovenian ñ who were waiting
on a military lorry, murdered like dogs. With the motivation to form
a new
Mitteleuropa. That is an extraordinary region of culture, poetic and
musical, but to use the motivation of music as the base for an armed
aggression seems to me to be at the very least an offense to the
existence
of Schubert. Janez Jansa has been in the vanguard of the Yugoslav
tragedy
which I tried to denounce straightaway in 1991.

TdF: Does it not seem to you that the European Union, which together
with
the various armed nationalists was responsible for the destruction of
Federal Yugoslavia by recognising the declarations of independence based
on ethnicity ñ "Slovenicity" and "Croaticity" ñ now may be revisiting
the
scene of their crime by recognising another ethnic independence, that of
Kosovo?

PH: No-one is blameless. [Translation uncertain] Perhaps Austria, but it
is always a revengeful knowledge. Same as for Germany. It is the
understanding of diplomacy, which Fernand Braudel called "the long
duration", because there remains the awareness of the first and second
world wars. The rest, the French and the English, are completely
ignorant
about the Balkans. How all these expert warmongers came on TV and said
"listen to me I am an expert"! They are the curse of the Balkans.

TdF: And yet all these "experts" and these media types have up till now
stayed quiet about the exodus of a million Serbs, chased out of the
Croatian Krajina, from Bosnia Hercegovina and from Kosovo. Refugees who
will not return to their birthplaces again and constitute a tragedy for
the new Serbia. Why this silence? Not to mention the Kosovar Roma now
scattered across the shanty towns of the Balkans and around Europe

PH: During my "winter trips", I have been many times in hotels which
house
refugees, in Nikotin, Friska Gora, Bor, Nis. I have written a long
report
asking among other things for the journalists to tell the story of the
Serbian refugees. When you enter one of those hotels you see people
seated
crosslegged on the ground, the whole day in a daze, until they resort to
drink. With the old women who strive to keep their dignity and that
of the
children around them. They are waiting to die or to flee, living like
the
emigrants of the last century in America. And despite this there are
some
young people who paint, to eat and to describe existentially what they
have become. If I were a journalist I would live for months with those
people, like Ryszard Kapuscinski did. No-one's doing that. In Germany
there are study grants in some cities for young writers who as guests
describe their experience for a year. I have made this proposal: let's
send them for a month to be among the Serbian refugees. Not a single
writer has put himself forward, they prefer to get a prize of two
thousand
Euros for talking about cookery. I am beginning to despise the young
writers.

TdF: You have been accused of having put a red rose on Milosevic's grave
and of having approved of the Srebrenica massacre, haven't you?

PH: It's a complete fabrication. The Paris Tribunal has found the Nouvel
Observateur guilty of defamation for these claims: they had alleged
that I
had declared I was only happy when close to Milosevic. Those who know me
know that I hate all men of power. But naturally all the French
newspapers
have glossed over the court's ruling. They have waged a campaign against
me that resulted in the Comedie Francaise withdrawing my work from their
programme, and then they have kept quiet about the fact that what
they had
said was not true. I deeply love the France of George Bernanos, of
Francois Mauriac, and above all of Albert Camus, but the culture of
today's France is truly shameful. Nowadays the men of letters and
philosophers are caricatures like AndrÈ Gluksmann, Bernard-Henri LÈvy
and
those jokers of the international humanitarian rights like Bernard
Kouchner, who in the meantime has become Foreign Minister. As for
Srebrenica they have made a mockery of my words. I have condemned the
crimes committed by the Serbs, however I recalled that it is all
incomprehensible if one does not take into account the earlier
slaughters
of even women, old people and children ñ not like in Srebrenica [where
only males of fight age were killed] - perpetrated by the Bosnian Muslim
forces led by the Srebrenica leader Naser Oric in the villages around
Srebrenica: Kravica, Bratunac. These deeds were authorised by President
Izetbegovic. It was a brutal interethnic and interreligious war to be
denounced as much as possible.

TdF: Don't you think you made a mistake in going to Milosevic's
funeral in
2006 when he died in gaol at the Hague?

PH: I was not invited and I could have stayed away at home. No, I
said to
myself, I must go there even if it will be damaging for me. And in fact
immediately they created a tsunami against me, distorting my every
word. I
am recognised for my books, but I am proud of this choice. It is a
testimony which also helps the new Serbia, which is now struggling
against
Kosovo being removed from its sovereignty, its history and its
culture. In
the same way I am proud to have been earlier to the Hague, not to revere
Milosevic, I am not interested at all in him as a man of power. I know
that the Serbs also committed crimes, which I do not defend. I insist on
denouncing the nature of a completely fratricidal war. I went to the
Hague
because he was still in gaol accused of everything and as uniquely
culpable for the war in the Balkans which he saw, from 1991 to 1995 and
then from 1996 to 2002, full seven battle fronts, and some when
Milosevic
was not yet in power or no longer in power, even though he was
involved to
ratify the peace, as happened at Dayton for Bosnia Hercegovina, for
which
the USA was very thankful. I went to the Hague above all because I think
that the politician in gaol is much more interesting than when he is in
power. After all I was in good company with the former American attorney
general, Ramsey Clark.

TdF: What will be the immediate effect in the Balkans of the declaration
of independence by Kosovo?

PH: I don't know how the artificial state of Bosnia Hercegovina will
hold
up, nor what will happen in the Serbian zone of Kosovska Mitrovica,
which
is well maintained and productive compared to the disastrous economy in
the rest of Kosovo where unemployment, mafia and the rule of
"international aid" holds sway. And what will happen in Macedonia
with the
existence of really two Albanian states in the region? I am in mind
of the
grave responsibility of the Albanian Ismail Kadare, not a great or
even a
good writer. But above all he is an "ultranationalist" who has fanned
the
flames of ethnic war. I met him and spoke to him of my love for the
Yugoslav writer Ivo Andric and of his courage as a free man. He
replied to
me with a lie: I must not be fond of Andric because he was "against the
Albanians".

TdF: Why does a writer like you, who continues to work in a painful
way of
life like something Kafkaesque, demonstrate such involvement in the
suffering of the Balkans?

PH: Without this passion my life as a writer would truly be lived with
little emotion. Writing is a very noble profession, but if I did not
involve myself, merge myself in the Yugoslav conflict I would not
deserve
to still be called a writer. I am proud to have written about the
Serbian
refugees. I think that literature, as I say of Erri De Luca, must be
merciful. Else I would have no right to be a writer.


SKOJ

16 years fighting for the interests of working class

 

Full 16 years, the Communist Youth League of Yugoslavia (SKOJ) is fighting for socialism and for the renewal of our homeland, the Socialist Federative Republic of Yugoslavia. The predatory process of privatization,  which started in its worst form after the counterrevolutionary coup on 5. 10. 2000, led to an unemployment figure of one million and brought us the position of the poorest country in Europe. This situation, called as the "transformation" of Serbia, the SKOJ wants to change. Under these circumstances, the strength of SKOJ, which is led by the ideas of Marxism-Leninism, of proletarian internationalism, anti-imperialism and socialist patriotism, is growing from day to day. In the streets of the major cities of Serbia, Belgrade, Novi Sad, Kragujevac, etc., you can see the results of the actions of our youth association. With pride we can say that the SKOJ is the vanguard of progressive youth in Serbia in the fight against privatization (the SKOJ doesn't make a difference between "fair" and unfair privatization, because both represent a robbery), against the accession of our country to NATO and EU, and against the imperialist occupation of Kosovo and Bosnia-Herzegovina. The SKOJ doesn't recognize the destruction of the Federal Republic of Yugoslavia and is fighting for the renewal of the SFRY, our only homeland, which was destroyed provisionally by western imperialism. SKOJ organizations exist and are from day to day more in Serbia, Montenegro, Bosnia and Herzegovina. Last year, the organizations of SKOJ in Croatia and Slovenia strengthened, which makes us very proud. The SKOJ implemented and intensified international cooperation and is the only organization in our latitudes member of the World Federation of democratic youth, which continues with the traditions of the Communist Youth International. The SKOJ is follwing the way the classics of the scientific socialism, Marx, Engels, Lenin, and Stalin have preconditioned, and supports the socialist countries of China, Vietnam, the Korean Democratic People's Republic, Laos and Cuba. We give our full support to bolivarian socialist revolution, which is taking place in the Latin American countries headed by the shining example of the countries Venezuela and Bolivia. The SKOJ supports the struggle of the Russian communists against the dictatorial bourgeois regime of Vladimir Putin and condemnes the attack of the western imperialism to the independence and integrity of the Russian Federation, which manifests in the aggressive expansion of NATO and the European Union. Only the renewal of the USSR makes the destruction of the "new world order", headed by the United States, possible. The SKOJ currently requires the withdrawal of the occupying forces of western imperialism from Iraq and Afghanistan. The SKOJ is fighting primarily against imperialism, fascism and globalism in every place where reactionary symptoms manifest. The SKOJ is the fist of the New Communist Party of Yugoslavia (NKPJ), the only Marxist-Leninist party in our latitudes, and the vangarde of the Yugoslav working class. The SKOJ stands for the renewal of Yugoslavia, the destruction of imperialism, fascism and globalism and will fight this struggle in the upcoming period with an even greater zeal and undiminished faith in the victory and the liberation of the proletariat from capitalism.

 

Long live the SKOJ!
 
Long live the NKPJ!
 
Long live Marxism-Leninism!
 
Long live the proletarian Internationalism!
 
Let's fight for the renewal of socialist Yugoslavia!

 

Central commitet of the SKOJ
January 28, 2008

 

 


____________________________________________________________________________ 
Savez komunisticke omladine Jugoslavije SKOJ - The League of Yugoslav Communist Youth SKOJ 
Nemanjina 34/III , 11000 Beograd - Nemanjina 34/III, 11000 Belgrade, Serbia 


Begin forwarded message:

From: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" <jugocoord@...>
Date: January 27, 2008 9:03:57 PM GMT+01:00
Subject: [JUGOINFO] SKOJ - Šesnaest godina borbe za stvar radničke klase


SAVEZ KOMUNISTIČKE OMLADINE JUGOSLAVIJE
LEAGUE OF THE YUGOSLAV COMMUNIST YOUTH

www.skoj.org.yu

 

SKOJ-Šesnaest godina borbe za stvar radničke klase

 

Punih 16 godina Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ) vodi borbu za socijalizam i obnovu naše otadžbine Socijalističke Federativne Republike Jugoslavije. Pljačkaški proces privatizacije, koji se posebno surovo sprovodi od kontrarevolucionarnog puča od 5.oktobra 2000 godine, milion nezaposlenih građana i pozicija zvanično najsiromašnije zemlje Evrope situacija je koja karakteriše takozvanu «tranzicionu» Srbiju, a koju SKOJ želi da promeni. U ovakvim uslovima, snaga SKOJ koji se rukovodi idejama marksizma-lenjinizma, proleterskog internacionalizma, antiimperijalizma i socijalističkog patriotizma raste iz dana u dan.

 

Na ulicama velikih gradova Srbije, Beograda, Novog Sada, Kragujevca... mogu se videti rezultati akcija našeg omladinskog Saveza.

 

Sa ponosom ističemo da je SKOJ avangarda među progresivnom omladinom Srbije u borbi protiv privatizacije( koju SKOJ ne deli na «pravednu» i nepravednu jer je svaka privatizacija pljačka), pristupanja naše zemlje NATO paktu i Evropskoj uniji i protiv imperijalističke okupacije Kosova i Metohije i Bosne i Hercegovine. SKOJ ne priznaje razbijanje Savezne Republike Jugoslavije i nastavlja svoju borbu za obnovu SFRJ naše jedine otadžbine koju je privremeno uništio zapadni imperijalizam.

 

Organizacije SKOJ postoje i jačaju iz dana u dan u Srbiji, Crnoj Gori,Bosni i Hercegovini i Makedoniji. U poslednjih godinu dana skojevske organizacije su posebno ojačale u Hrvatskoj i Sloveniji na šta smo veoma ponosni. SKOJ ostvaruje i intenzivnu međunarodnu saradnju,kao jedina omladinska organizacija sa naših prostora učlanjena u Svetsku federaciju demokratske omladine (WFDY) koja nastavlja tradiciju Komunističke omladinske internacionale (KIM). SKOJ korača putem koji su zacrtali klasici naučnog socijalizma Marks, Engels, Lenjin i Staljin i podržava socijalističke zemlje Kinu,Vijetnam, Demokratsku Narodnu Republiku Koreju, Laos i Kubu. Dajemo punu podršku bolivarskoj socijalističkoj revoluciji koja se sprovodi u latinoameričkim državama a na čijem čelu se svojim svetlim primerom posebno izdvajaju Venecuela i Bolivija.

 

SKOJ podržava borbu ruskih komunista protiv diktatorskog buržoaskog režima Vladimira Putina i osuđuje nasrtaje zapadnog imperijalizma na bezbednost i integritet Ruske Federacije koji se manifestuju agresivnim širenjem NATO pakta i EU. Samo obnova SSSR će omogućiti uništenje Novog svetskog poretka na čelu sa SAD.

SKOJ zahteva momentalno povlačenje okupatorskih snaga zapadnog imperijalizma na čelu sa SAD iz Iraka i Avganistana. SKOJ je u prvim redovima borbe protiv imperijalizma, globalizma i fašizma na svakom mestu gde se ove reakcionarne pojave manifestuje. SKOJ je udarna pesnica Nove komunističke partije Jugoslavije(NKPJ) jedine marksističko-lenjinističke partije na našim prostorima koja je avangarda jugoslovenske radničke klase.

 

SKOJ će borbu za socijalizam, obnovu Jugoslavije, uništenje imperijalizma, globalizma i fašizma nastaviti i u narednom periodu sa još većim žarom i nesmanjenom verom u pobedu i oslobođenje proletarijata iz kapitalističkih okova!

 

Živeo SKOJ!
Živela NKPJ!
Živeo marksizam-lenjinizam!
Živeo proleterski internacionalizam!
U borbu za obnovu socijalističke Jugoslavije!
 

Sekretarijat SKOJ
25.01.2008.  



[ the video: Jasenovac - the cruelest death camp of all times
FNRJ Film news - 19 min 18 sec - Mar 29, 2006
www.wartruth.150m.com
http://video.google.com/videoplay?docid=4506666011464565164&hl=en ]


http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=2861

Video: QUEL CHE ACCADDE NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI JASENOVAC (ESTRATTO)
Postato il Martedi 26 Dicembre 2006 (19:00) di carlo

[ http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?
name=News&file=categories&op=newindex&catid=19 ]

Atroci racconti di assassinii e torture: come il papa giustifica gli omicidi

DI GREG SZYMANSKI
The Arctic Beacon

Propongo un articolo di Greg Szymanski, invitando i lettori a visitare il suo sito [ http://
www.arcticbeacon.com/index.html ]. -- Zret [http://zret.blogspot.com/%5d

In un recente interrogatorio, l'avvocato difensore di papa Benedetto XVI, nel processo
Alperin contro il Vaticano, ha ammesso che il Vaticano era coinvolto nel genocidio
commesso in Croazia durante la Seconda guerra mondiale, quando furono uccisi mezzo
milione tra Serbi ed Ebrei.

È assodato che la Santa sede collaborò con il Partito nazionalsocialista dei lavoratori
tedeschi per perpetrare questo orrendo crimine, sicché Johnatan Levy, avvocato delle
vittime della carneficina, sta ora tentando di ottenere dei risarcimenti per i suoi assistiti,
accusando la Banca del Vaticano di aver lavato denaro sporco frutto dei genocidi, nel
periodo post-bellico.

Ciò che è incredibile su tale processo istruito presso la Corte federale di San Francisco,
oltre al silenzio dei media su tali atrocità, à la sfrontatezza del difensore del papa che ha
giustificato la partecipazione allo sterminio come "atto consentito dalle leggi
internazionali". Sebbene il procuratore abbia tagliato corto, dicendo che la Chiesa di Roma
è al di sopra della legge, i suoi bizzarri argomenti sono conformi al diritto canonico,
secondo il quale la Chiesa cattolica ha il diritto di uccidere gli eretici senza che ciò sia una
violazione delle norme internazionali della Chiesa stessa. Gli eretici sono coloro che non
offrono la loro lealtà al papa e non seguono la dottrina di "Cristo". Agli occhi di Roma ciò
giustifica l'assassinio di innocenti come Serbi ed Ebrei durante la Seconda guerra
mondiale. L'autore di Vatican assassins, Eric Jon Phelps, ricorda che l'attuale diritto
canonico ancora in vigore legittima l'omicidio nei casi sopra citati.

Anche se non è stato accettato come prova al processo, è stato recentemente diffuso un
documento filmato che mostra la connivenza tra Vaticano e Nazisti nel campo di sterminio
di Jasenovac, dove furono massacrati Serbi ortodossi, Ebrei e Rom dagli Ustasha, i fascisti
croati che applicarono ferocemente le leggi razziali promulgate in Germania. Le immagini
del documentario permettono di scoprire il vergognoso ruolo del Vaticano nel genocidio.
(1)

Gli attori stanno ancora cercando di ottenere la restituzione del tesoro nazista e croato che
fu illecitamente trasferito dallo I.O.R. in altri istituti di credito…

Levy ha aggiunto che presto gli autori del libro La guerra segreta contro gli Ebrei,
pubblicheranno un altro saggio, Trinità blasfema, che esplora i collegamenti tra il Vaticano
ad i Nazisti, con nuove agghiaccianti informazioni che ridefiniscono il ruolo della Chiesa
cattolica (2) nella storia del XX secolo.

[ foto: http://bp3.blogger.com/_LecpxQwqMrY/RY6sJeLGAPI/AAAAAAAAABo/
5Ga6TFevmjo/s400/9stepinacustashi.jpg ]

[ video: http://video.google.com/videoplay?docid=4506666011464565164&hl=en ]

Note del traduttore:

(1) I neonati Serbi, Rom ed Ebrei erano scaraventati in aria e, mentre ricadevano, venivano
trafitti con le baionette.

(2) Io la definirei Chiesa diabolica massonica romana

Versione originale:

Greg Szymanski
Fonte: http://www.arcticbeacon.com/
Link: http://www.arcticbeacon.com/20-Nov-2006.html
20.12.2006

Versione italiana:

Fonte: http://zret.blogspot.com/
Link: http://zret.blogspot.com/2006/12/quel-che-accadde-nel-campo-di.html


Parma 10 febbraio 2008


di Lordan Zafranović

Si svolgerà il 10 febbraio p.v. la terza edizione della manifestazione antifascista alternativa alla celebrazione della "Giornata del ricordo delle foibe e dell'esodo degli italiani dalla Venezia Giulia e dall'Istria". La manifestazione, promossa dal Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma, si terrà nel pomeriggio di domenica presso l'Auditorium Toscanini di via Cuneo, 3 Parma. 
Alle 15 interverrà Costantino Di Sante, presidente dell'Isituto Storico della Resistenza di Ascoli Piceno, sul tema: "L'occupazione fascista e il lungo dopoguerra al confine Orientale. Violenze, crimini, foibe, e deportazioni". 
Alle 16 verrà proiettato il film: "L'occupazione in 26 immagini" del regista Lordan Zafranovic, sull'occupazione da parte delle truppe italiane e tedesche di Dubrovnik nel 1941. Il film, già presente al Festival di Cannes del 1978, sarà presentato in sala da Tamara Bellone del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia. A seguire dibattito.





SAVEZ KOMUNISTIČKE OMLADINE JUGOSLAVIJE
LEAGUE OF THE YUGOSLAV COMMUNIST YOUTH

www.skoj.org.yu

 

SKOJ-Šesnaest godina borbe za stvar radničke klase

 

Punih 16 godina Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ) vodi borbu za socijalizam i obnovu naše otadžbine Socijalističke Federativne Republike Jugoslavije. Pljačkaški proces privatizacije, koji se posebno surovo sprovodi od kontrarevolucionarnog puča od 5.oktobra 2000 godine, milion nezaposlenih građana i pozicija zvanično najsiromašnije zemlje Evrope situacija je koja karakteriše takozvanu «tranzicionu» Srbiju, a koju SKOJ želi da promeni. U ovakvim uslovima, snaga SKOJ koji se rukovodi idejama marksizma-lenjinizma, proleterskog internacionalizma, antiimperijalizma i socijalističkog patriotizma raste iz dana u dan.

 

Na ulicama velikih gradova Srbije, Beograda, Novog Sada, Kragujevca... mogu se videti rezultati akcija našeg omladinskog Saveza.

 

Sa ponosom ističemo da je SKOJ avangarda među progresivnom omladinom Srbije u borbi protiv privatizacije( koju SKOJ ne deli na «pravednu» i nepravednu jer je svaka privatizacija pljačka), pristupanja naše zemlje NATO paktu i Evropskoj uniji i protiv imperijalističke okupacije Kosova i Metohije i Bosne i Hercegovine. SKOJ ne priznaje razbijanje Savezne Republike Jugoslavije i nastavlja svoju borbu za obnovu SFRJ naše jedine otadžbine koju je privremeno uništio zapadni imperijalizam.

 

Organizacije SKOJ postoje i jačaju iz dana u dan u Srbiji, Crnoj Gori,Bosni i Hercegovini i Makedoniji. U poslednjih godinu dana skojevske organizacije su posebno ojačale u Hrvatskoj i Sloveniji na šta smo veoma ponosni. SKOJ ostvaruje i intenzivnu međunarodnu saradnju,kao jedina omladinska organizacija sa naših prostora učlanjena u Svetsku federaciju demokratske omladine (WFDY) koja nastavlja tradiciju Komunističke omladinske internacionale (KIM). SKOJ korača putem koji su zacrtali klasici naučnog socijalizma Marks, Engels, Lenjin i Staljin i podržava socijalističke zemlje Kinu,Vijetnam, Demokratsku Narodnu Republiku Koreju, Laos i Kubu. Dajemo punu podršku bolivarskoj socijalističkoj revoluciji koja se sprovodi u latinoameričkim državama a na čijem čelu se svojim svetlim primerom posebno izdvajaju Venecuela i Bolivija.

 

SKOJ podržava borbu ruskih komunista protiv diktatorskog buržoaskog režima Vladimira Putina i osuđuje nasrtaje zapadnog imperijalizma na bezbednost i integritet Ruske Federacije koji se manifestuju agresivnim širenjem NATO pakta i EU. Samo obnova SSSR će omogućiti uništenje Novog svetskog poretka na čelu sa SAD.

SKOJ zahteva momentalno povlačenje okupatorskih snaga zapadnog imperijalizma na čelu sa SAD iz Iraka i Avganistana. SKOJ je u prvim redovima borbe protiv imperijalizma, globalizma i fašizma na svakom mestu gde se ove reakcionarne pojave manifestuje. SKOJ je udarna pesnica Nove komunističke partije Jugoslavije(NKPJ) jedine marksističko-lenjinističke partije na našim prostorima koja je avangarda jugoslovenske radničke klase.

 

SKOJ će borbu za socijalizam, obnovu Jugoslavije, uništenje imperijalizma, globalizma i fašizma nastaviti i u narednom periodu sa još većim žarom i nesmanjenom verom u pobedu i oslobođenje proletarijata iz kapitalističkih okova!

 

Živeo SKOJ!
Živela NKPJ!
Živeo marksizam-lenjinizam!
Živeo proleterski internacionalizam!
U borbu za obnovu socijalističke Jugoslavije!
 

Sekretarijat SKOJ
25.01.2008.  




Emergenza Kosovo

1) COME NEL 1941-1943: ANCORA CENTINAIA DI MILITARI ITALIANI AD OCCUPARE IL KOSOVO
Parisi: "Un reggimento è già pronto" (dicembre 2007)
Schierati ulteriori 560 militari italiani (gennaio 2008)

2) BARI 31 GENNAIO: EMERGENZA KOSOVO


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Parisi: "Un reggimento è già pronto"

di FRANCESCO GRIGNETTI

su La Stampa del 11/12/2007

«Stiamo lavorando per evitare che la situazione vada fuori controllo»

La preoccupazione per il Kosovo c'è ed è forte. «Siamo consapevoli della complessità della situazione», dice Arturo Parisi. Certe volte, però, più delle parole, parlano le ciglia aggrottate. Specie quando scandisce «e dei rischi in essa presenti...». La ferita appena ricucita dei Balcani può riaprirsi da un momento all' altro. Ecco dunque che il ministro è costretto a prendere in esame l'eventualità peggiore. Nuove truppe? «Ritengo che la misura attuale sia all'altezza dei rischi e dei problemi presenti». Ma la situazione potrebbe precipitare. E allora: «Qualora le condizioni dovessero modificarsi, è evidente che dovremmo riconsiderare la cosa come Paese e soprattutto come Unione europea». Nel frattempo, un reggimento è stato avvertito di tenersi pronto. Una misura di precauzione che non guasta. «Lo strumento militare - si limita a dire Parisi - prevede forze di riserva per intervenire in casi di emergenza. Ma stiamo lavorando affinché questa situazione non si determini». E naturalmente Parisi è in continuo contatto con i suoi colleghi dell'Alleanza atlantica. «La speranza è che l'unità tra Paesi europei sia capace di condurre al meglio questo passaggio». Se poi Parisi auspichi l'indipendenza dei kosovari, per il momento non lo fa capire.
Se però i Balcani sono l'emergenza del giorno, i ministri della Difesa già pensano a quella che potrebbe essere l'emergenza del domani, il Maghreb, e per una volta cercano di scongiurare una crisi annunciata. E' il senso di questo vertice di Cagliari, detto dei Cinque più Cinque, tra Paesi europei (Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Malta) e africani (Libia, Algeria, Tunisia, Marocco e Mauritania). Incontri ormai periodici si tengono tra ministri degli Esteri e dell'Interno. Ora anche della Difesa. L'obiettivo è arrivare a una larga alleanza militare tra le due sponde del Mediterraneo. Una sorta di Nato euro-araba che in tutt'evidenza ha lo scopo di stabilizzare quei regimi traballanti.
In ambito militare tra i Dieci hanno cominciato a piccoli passi. Una scuola per colonnelli si organizzerà a Parigi il prossimo anno. A Tunisi sta per nascere un Centro di analisi strategica che ha tutta l'aria di essere un avamposto per esaminare da vicino il terrorismo islamico. A Tripoli dovrebbe sorgere un Istituto per lo sminamento e le tecniche degli artificieri.
Ma i Dieci progettano anche le future esercitazioni aeronavali congiunte. E si preparano protocolli sulla Protezione civile e sulla difesa del mare dall' inquinamento. Marginale ma non troppo, c'è anche la vigilanza aerea e satellitare contro l'immigrazione clandestina. Quanto prima, anche Tunisia e Libia parteciperanno all'interscambio di dati sul traffico del naviglio mercantile nel Mediterraneo.

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Nato-Kosovo

Schierati ulteriori 560 militari italiani

La Nato ha dispiegato in Kosovo un battaglione aggiuntivo di 560 militari italiani. Lo ha reso noto a Pristina Bertrand Bonneau, portavoce della Kfor-Nato che dal 1999 occupa il Kosovo. «farà - ha detto - addestramenti dal 4 febbraio al 4 marzo». Proprio nel periodo in cui probabilmente sarà dichiarata l'indipendenza dalla leadership albanese. Per Bonneau è «normale routine per dimostrare la capacità di aumentare le forze a brevissimo termine». Ma il segretario della Nato, Jaap de Hoop Scheffer si è detto preoccupato e ha avvertito: «L'Alleanza non tollererà violenze». Non è chiaro perché per otto anni la Nato ha tollerato la violenta contropulizia etnica contro serbi e rom.


=== 2 ===

From:   mostzabeogradbari @ alice.it
Subject: Fw: Bari - Giovedì 31 gennaio - Emergenza Kosovo a 9 anni dalla "guerra umanitaria" [6]
Date: January 26, 2008 10:16:02 AM GMT+01:00

Associazione culturale Most za Beograd, Bari
Dottorato di ricerca in Teoria del Linguaggio e Scienze dei Segni,
Dipartimento di Pratiche Linguistiche Analisi di Testi
dell'Università degli Studi di Bari


Emergenza Kosovo

 

a 9 anni dalla “guerra umanitaria”

 



 

Giovedì 31 gennaio 2008 - Ore 17.00

 

 

Aula 8 della Facoltà di Lingue

 

 (II piano)

 

Via Garruba 6 – Bari
 

 

Intervengono

Ugo Villani, docente di Istituzioni di Diritto dell'Unione Europea, Università “La Sapienza", e di Diritti Umani presso la Luiss
Nico Perrone, docente di Storia dell'America, Università di Bari
Dragan Mraovic, già console jugoslavo a Bari, opinionista collaboratore di Geopolitika, Dan e altre riviste
Augusto Ponzio, docente di Filosofia del linguaggio e Linguistica generale, Università di Bari
Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo della Regione Puglia
Laura Marchetti, sottosegretaria al Ministero dell’ambiente

 

Introduce e coordina

Andrea Catone, associazione “Most za Beograd", un ponte per Belgrado in terra di Bari

 

Emergenza Kosovo a 9 anni dalla “guerra umanitaria”

Giovedì 31 gennaio

(ore 17.00, aula 8 della Facoltà di Lingue, Via Garruba 6 – Bari, II piano)
 
Nove anni fa, il 24 marzo 1999 gli aerei della NATO, utilizzando ampiamente le basi italiane, cominciarono a bombardare in modo sempre più intenso città e villaggi della “piccola Jugoslavia” (Serbia e Montenegro). Furono colpiti soprattutto ospedali e asili, centrali elettriche, le infrastrutture civili, ponti, strade, ferrovie. A migliaia morirono sotto i bombardamenti, a migliaia rimasero feriti e mutilati, migliaia e migliaia muoiono ancora oggi e moriranno anche in futuro per le irrimediabili malattie tumorali provocate dall’uso di proiettili e bombe al DU238 (uranio impoverito). Il paese bombardato sente ancora pesantemente sulla propria pelle gli effetti disastrosi della “guerra umanitaria”: l’economia è in difficoltà, sono quasi inesistenti le speranze di una vita degna di essere vissuta per le giovani generazioni che hanno subito i bombardamenti del 1999 (alle quali la nostra associazione Most za Beograd, insieme ad alcune altre in Italia, ha portato solidarietà attraverso le adozioni a distanza).
Quei bombardamenti della NATO – si disse- erano necessari per “prevenire una catastrofe umanitaria”, per evitare la “pulizia etnica” degli albanesi del Kosovo.
Non era propriamente così. Nella provincia autonoma del Kosovo era in atto non la “pulizia etnica” (che implica azioni sistematiche e organizzate di eliminazione di un popolo), ma un conflitto - le cui radici affondano in un secolare passato - tra la popolazione serba e quella albanese. Esso si era manifestato a più riprese anche nella “seconda Jugoslavia” (la repubblica federativa socialista fondata nel 1945 in seguito alla vittoriosa lotta di liberazione antinazista) con esplosioni violente (in particolare nella primavera del 1981) e si era acuito durante il decennio (anni ’90) di guerre e dissoluzione della Jugoslavia, cui contribuirono non poco le ingerenze esterne dei paesi della NATO, in primis Stati Uniti e Germania. Nel 1998 lo scontro militare tra milizie armate albanesi organizzate nell’UCK (organizzazione che la stampa USA più accreditata definiva qualche anno prima “terrorista”) ed esercito e polizia serbi si era esteso.
Fu il pretesto per la guerra della NATO, cui dette un apporto determinante anche il governo italiano.Dopo 78 giorni di bombardamenti il governo jugoslavo accettò l’armistizio di Kumanovo, e ritirò tutti i suoi militari dal Kosovo. La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU (che non aveva mai avallato la guerra contro la Jugoslavia) prese atto della nuova situazione e stabilì una sorta di protettorato delle Nazioni Unite (sotto l’acronimo UNMIK) sulla provincia serba del Kosovo, riaffermando però l’appartenenza della provincia alla repubblica serba. Non appena entrati in Kosovo, gli USA costruirono a tempi da record nei pressi di Urosevac la più grande base militare in Europa, Camp Bondsteel. Le truppe dei paesi della NATO - quasi 50.000 militari – occuparono, sotto le insegne della KFOR, le zone in cui la provincia fu suddivisa tra francesi, inglesi, tedeschi, italiani (oltre agli USA).
Con la fine dei bombardamenti e l’occupazione militare del Kosovo, si spengono i riflettori dei media, che nei mesi precedenti avevano svolto un ruolo essenziale nell’orientare le popolazioni europee ad accettare e giustificare l’aggressione della NATO come dolorosa, ma necessaria e inevitabile, “guerra umanitaria”. Quanto accade nella provincia occupata militarmente dalla NATO e amministrata dall’UNMIK sotto la guida del “medico senza frontiere” Kouchner (oggi ministro degli esteri francese) non deve più interessare le popolazioni europee; il Kosovo diventa un buco nero. Quasi nessuno parla delle migliaia di uccisi tra la popolazione non albanese dopo il giugno 1999, delle migliaia di sequestri di persona, i cui corpi amputati si ritrovano dopo anni, dell’espulsione coatta di oltre duecentocinquantamila persone, nella stragrande maggioranza serbi e rom, che cercano rifugio in un paese già profondamente immiserito dai bombardamenti e dall’embargo, decretato dalla “comunità internazionale” per continuare la guerra con altri mezzi. Né si parla della distruzione dei più importanti luoghi della memoria della cultura serba, che ha proprio in Kosovo le sue più importanti radici: monasteri medievali, chiese ortodosse, monumenti, messi a ferro e fuoco dalla furia di un nazionalismo esasperato, che pretende non solo di espellere o eliminare i vivi, ma di cancellare anche ogni traccia di un’antica presenza su un territorio su cui si arroga esclusiva e assoluta giurisdizione. Dell’inferno che serbi, rom e minoranze non albanesi stanno patendo in Kosovo i media sembrano accorgersi soltanto quando esplodono i pogrom del marzo 2004, in cui vengono assaliti quartieri e villaggi serbi, con decine di uccisi, migliaia di feriti, migliaia di nuovi profughi, mentre gli antichi monasteri medievali sono devastati e dati alle fiamme.
Dopo i pogrom di marzo 2004 la condizione delle minoranze braccate e costrette a vivere in enclave guardate a vista da militari della KFOR in una prigione a cielo aperto non è sostanzialmente migliorata, come scrivono anche i rapporti del segretario delle N.U.: la sopravvivenza è una sfida quotidiana, gli spostamenti da una zona all’altra continuano ad essere molto rischiosi, continua lo stillicidio di violenze e assassinii, che induce i pochi serbi rimasti a fuggire e scoraggia i profughi dal rientrare.
Le strutture politiche, giuridiche, economiche costruite dall’amministrazione di ONU e UE in Kosovo hanno teso a separare definitivamente la provincia dalla Serbia, in violazione della risoluzione 1244. Le minoranze di serbi, rom e non albanesi non hanno effettiva possibilità di rappresentanza politica e di gestione della provincia. Vige un apartheid di fatto.
Frattanto, distrutte le radici della precedente economia agricola e industriale della provincia – quasi tutto ormai, dalle patate ai pomodori, viene importato – il Kosovo è diventato, come denunciano anche l’ex capo della KFOR, gen. Fabio Mini e la rivista liMes (cfr. Kosovo, lo stato delle mafie, suppl. al n. 6/ 2006) l’epicentro delle mafie balcaniche, il maggior centro di smistamento dei traffici di armi, droga, schiave del sesso, mentre affluiscono in Kosovo dalla UE fiumi di denaro per assistere la provincia, quasi nella medesima quantità di quelli destinati all’intero continente africano.
Dopo il 2004 si sono avviati colloqui per decidere lo status definitivo della provincia, per il quale il governo di Belgrado si è dichiarato disponibile a varare la più ampia autonomia amministrativa, ma non la secessione di una regione che, cuore della cultura della nazione serba, rappresenta molto di più dei 10.000 kmq del suo territorio. La recente nuova costituzione della repubblica serba, approvata dal referendum del 2006, iscrive il Kosovo quale parte integrante del territorio dello stato. Gli albanesi del Kosovo, forti del sostegno esplicito degli USA e dei più influenti circoli e think-tank della penetrazione americana nei Balcani e nell’Europa orientale, esigono nulla di meno dell’indipendenza, manifestando la volontà di dichiararla unilateralmente, anche contro il Consiglio di sicurezza dell’ONU, in cui la Russia si oppone con forza ad ogni modificazione dello status della provincia senza il consenso di tutte le parti interessate, e quindi anche di Belgrado.
Tra i paesi della UE non c’è unanimità. Il riconoscimento di uno stato autoproclamatosi indipendente contro il Consiglio di sicurezza dell’ONU e in violazione della risoluzione 1244 del 1999 aprirebbe un pericoloso precedente e sarebbe la martellata definitiva sul diritto internazionale già gravemente compromesso dalla dottrina strategica degli USA che negli ultimi anni hanno voluto imporre, dall’Afghanistan all’Iraq, il diritto del più forte.
Il governo italiano, nonostante appelli e dichiarazioni di diversi parlamentari, si è sino ad ora, salvo qualche distinguo, allineato con la prepotenza USA, disponendosi al riconoscimento del nuovo stato, che il leader dell’UCK Thaci, attuale premier del Kosovo sotto amministrazione ONU, dichiara di voler proclamare a breve.
L’indipendenza del Kosovo può significare in queste condizioni solo un’ulteriore esclusione ed espulsione delle minoranze serbe, rom e non albanesi, ed un altro pesante schiaffo alla popolazione serba, la più bombardata e decimata nel XX secolo, la più punita per essersi opposta alle mire delle grandi potenze nei Balcani: nel 1914 agli imperi centrali, nel 1941 ad Hitler, nel 1999 alla NATO.

 

Affronteremo queste questioni saranno affrontate sotto il profilo politico, giuridico, storico, culturale nel convegno di giovedì 31 gennaio (ore 17.00, aula 8 della Facoltà di Lingue, Via Garruba 6 – Bari II piano) con

 

Andrea Catone, associazione Most za Beograd - un ponte per Belgrado in terra di Bari;
Ugo Villani, docente di Istituzioni di Diritto dell'Unione Europea, Università “La Sapienza", e di Diritti Umani presso la Luiss;
Nico Perrone, docente di Storia dell'America, Università di Bari;
Dragan Mraovic, già console jugoslavo a Bari, opinionista collaboratore di Geopolitika, Dan e altre riviste;
Augusto Ponzio, docente di Filosofia del linguaggio e Linguistica generale, Università di Bari;
Silvia Godelli, assessore al Mediterraneo della Regione Puglia;
Laura Marchetti, sottosegretaria al Ministero dell’ambiente.

 

 

Info: 0805562663 - 3889226560

 

Most za Beograd – Un ponte per Belgrado in terra di Bari - Associazione culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava
 via Abbrescia 97, 70121 BARI - mostzabeograd@... - mostzabeogradbari@... - CF 93242490725 - conto corrente postale 13087754



L’associazione opera per la diffusione di una cultura critica della guerra e il riavvicinamento tra i popoli con culture, etnie, religioni ed usanze diverse al fine di una equa e pacifica convivenza. Si impegna per la diffusione di un forte senso di solidarietà nei confronti della popolazione jugoslava e degli altri popoli vittime della guerra. Ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
In particolare l’associazione:
- promuove, attraverso raccolte di fondi e donazioni iniziative di solidarietà nei confronti delle vittime della guerra nel campo sanitario, scolastico, alimentare e in ogni altro campo.
- promuove iniziative di sostegno a distanza di bambini jugoslavi
- promuove iniziative di gemellaggio tra enti locali italiani e jugoslavi, tra scuole italiane e jugoslave
- promuove scambi culturali e di amicizia verso il popolo jugoslavo
- promuove iniziative di conoscenza della storia e della cultura jugoslave

http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2008-01-25%
2018:51:05&log=invites

"Oui, illégalité et corruption règnent au Kosovo", nous confirme un
Guardia Civil espagnol

Pedro Javier Sanchez Zarca


Nous avons publié récemment un article de Maciej Zaremba intitulé
Kosovo ou Unmikistan : le royaume de la corruption, de l’illégalité
et du crime. Ce journaliste suédois y exposait les scandales liés à
l'administration du Kosovo occupé par les puissances occidentales.
Ces faits sont confirmés par une lettre que nous envoie le porte-
parole de l'Union fédérale des Guardias Civiles d'Espagne. Le débat
ne porte pas ici sur le rôle général de cette institution, mais sur
le témoignage concret de certains de ses membres. Il en ressort
clairement que les puissances occidentales ne font pas du tout ce
qu'elles disent faire au Kosovo.
Sur cette occupation militaire et les illégalités qui ont été
commises dès le début de la guerre en fait, voir notre livre
"Monopoly - L'Otan à la conquête du monde", qui est épuisé mais dont
peut trouver des pages à la rubrique Livres.
MICHEL COLLON

Cher Monsieur Collon,

Nous vous écrivons au nom de l'Union Fédérale (association syndicale
- ndlr) des Guardias Civiles, association professionnelle de
l'Institut militaire espagnol, qui assure actuellement la
représentation légale des membres expulsés du contingent KUGUCI de
Kosovo, dans des circonstances très semblables à celles décrites dans
l'article de Maciej Zaremba
( publié sur ce site, voir : http://www.michelcollon.info/
articles.php?dateaccess=2007-12-04%2009:15:24&log=invites )
et nous écrivons pour mettre à disposition notre relation des
événements survenus à la base espagnole d'Istok, Kosovo. (...)

Nous croyons que la vérité doit éclater, non seulement pour nos
affiliés, et nous considérons qu'il ne doit pas exister de maffias
internationales camouflées sous le couvert des institutions légales
internationales. Le délit doit être poursuivi, où qu'il se produise,
et il ne doit pas s'abriter derrière ni être couvert par la
participation des Etats démocratiques ou des organes militaires. (...)

Nous, les Gardes Civils, sommes une police de nature militaire, mais
nous ne sommes pas intégrés dans les Forces Armées de notre pays, à
la différence de la gendarmerie.

La loi organique de 1986 établit clairement la différence, en nous
intégrant dans les Forces et Corps de Sécurité de notre pays, nous
faisant dépendre organiquement du ministère de l'intérieur, mais nous
conférant une double dépendance vis à vis de l'intérieur et de la
défense.

Le présent cas concerne six camarades qui ont intégré le contingent
du Kosovo jusqu'au 2 août 2007 et qui ont été rapatriés d'Istok sans
la moindre explication, à la suite d’une série d'irrégularités qu'ils
ont mises à jour. La base (espagnole) est alors restée sans police
militaire, donc sans organisme qui contrôle la corruption - que nous
n'osons qualifier de généralisée dans l'Armée de Terre Espagnole.

Lesdits camarades étaient en train de cumuler des preuves qui
démontraient que le personnel embauché par les entreprises de l'UTE
(Union Temporelle d'Entreprises) était sous le contrôle des mafias et
n'avait ni sécurité sociale ni de contrat de travail comme l'exige le
ministère de Défense Espagnol.

Ils ont aussi mis le doigt sur un possible trafic d'anabolisants, sur
une contrebande de tabac et d'alcool qui se vendait sans contrôle
fiscal ni precinta (certificat du ministère de finances). Ils ont pu
déterminer que les approvisionnements qui étaient envoyés depuis
l'Espagne via la Grèce arrivaient à un entrepôt qui n'était pas
contrôlé par l'Armée, où les fournitures entraient en possession des
sociétés de l'UTE et pouvaient donc être vendues par celles-ci à
l'extérieur de la base ou devenir objet de contrebande.

Je vous donne une piste concrète: un chargement de viande en
provenance du Paraguay qui ne remplissait pas les conditions
sanitaires requises a été décelé à la frontière; nous suspections
qu’il était destiné à la vente en Espagne via la base espagnole.

Nous sommes au courant de vos soupçons en ce qui concerne les
violations des droits de l'homme dans ce pays, mais nous n'avons pas
de preuves, à part les témoignages de la population du Kosovo.

Bref, le fait est que la Base España volait même le gasoil du
réservoir, puisque la responsable de celui-ci entretient une relation
amoureuse avec l'employé du catering de la base. Nous avons des
photos dudit gasoil dans l'entrepôt où était dévié et stocké le
matériel que le Gouvernement Espagnol envoyait comme équipement à nos
soldats.

Nous avons des preuves de la contrebande qui a lieu dans la Base
España et nous avons connaissance du rapport qu'a fait la Garde
Civile à propos de trafic d'anabolisants, en plus de certaines
questions relatives aux accidents de la route impliquant des
véhicules espagnols, où jamais un seul test d'alcoolémie n'est pratiqué.

Si vous avez un correspondant en Espagne, nous vous remercierions de
vous mettre en contact avec nous (téléphone 67...), puisque nous nous
trouvons dans une situation difficile: nous sommes en pré-campagne
électorale et les faits sur lesquels nous enquêtons auraient pu
commencer à partir de 2000. Ils pourraient donc impliquer autant le
Parti Populaire que le Parti Socialiste.

A cause de cela, nous nous retrouvons face à un mur médiatique qui
nous empêche de publier les faits que l'on connaît et qui ont déjà
été soumis à un juge militaire en Septembre 2007, lequel a classé le
dossier.

Si vous le désirez, je vous enverrai un récit chronologique de faits
qui sont arrivés à nos camarades, expulsés du pays sans raison valable.

Salutations.

D. Pedro Javier Sanchez Zarca, Secretaire de Presse de l'Union
Fédérale des Gardes Civiles.

(Riprendiamo l'articolo dal portale OB, benchè esso non consenta di comprendere come la impunità di Glavas non sia affatto in contrasto con le politiche "europeiste": viceversa, dal 1991 in poi è stata proprio questa Europa ad aver voluto con determinazione proprio questa Croazia, e viceversa. In tutta la vicenda non c'è assolutamente alcun paradosso, ma solo la precisa intenzione di usare il neofascismo stragista croato come uno dei principi fondativi del "nuovo ordine europeo" atlantico-cattolico-germanico nei Balcani. IS)



Glavas libero e rieletto


24.01.2008    Da Osijek, scrive Drago Hedl


Il nuovo Parlamento croato vieta il proseguimento della detenzione di Bramimir Glavas, accusato per crimini di guerra contro civili serbi. I paradossi di un sistema giudiziario sotto osservazione di Bruxelles nella delicata fase dei negoziati sull'adesione della Croazia all'Unione


Branimir Glavas, che è rimasto nell’ospedale penitenziario di Zagabria fino all'11 gennaio, dopo uno sciopero della fame durato 66 giorni, secondo le testimonianze dei suoi avvocati, sarebbe stato in punto di morte. Tuttavia lunedì 21 gennaio, dopo soli dieci giorni e senza apparenti problemi di salute, si è presentato al Tribunale distrettuale di Zagabria dove è proseguito il processo che lo vede coinvolto per crimini di guerra. Tutti coloro che l'hanno visto quel giorno hanno potuto verificare quanto fossero esagerate, e del tutto false, le drammatiche notizie sul suo stato di salute, a distanza di oltre due mesi di totale sciopero della fame. Eppure proprio tali notizie – cioè che Glavas fosse in punto di morte, che era del tutto esausto e deciso ad andare fino in fondo con il digiuno nel caso in cui non lo avessero rilasciato – sono state il motivo principale in base al quale il Parlamento ha rifiutato la richiesta della Procura di Stato di togliere a Glavas la nuova immunità da parlamentare, e di di autorizzare il proseguimento della detenzione. 

La Croazia sarà così l'unico paese al mondo ad ospitare in Parlamento una persona che, contemporaneamente, mentre partecipa al lavoro dell’organo legislativo viene processata per una delle accuse più gravi, crimini di guerra contro la popolazione civile. Il mandato parlamentare di Glavas è stato riconfermato alle ultime elezioni politiche, il 25 novembre scorso. Secondo l'opinione dei giuristi e dei giudici della Corte suprema, la decisione sulla abrogazione della sua immunità, presa dal Parlamento precedente, non ha efficacia sulla immunità attribuitagli nel frattempo dal nuovo mandato. Così, a seguito delle discussioni su di una nuova autorizzazione a procedere nei confronti di Glavas, il neo-Parlamento ha concesso l'autorizzazione a proseguire il processo nei confronti dell'imputato, ma non ha autorizzato la sua detenzione. Di conseguenza, Glavas è a piede libero dall'11 gennaio. 

Glavas, che porta anche i gradi di generale dell'Esercito croato, è accusato per crimini contro civili serbi commessi a Osijek nel 1991. Insieme a sei ex appartenenti alle forze armate, fra cui una donna, è accusato per la morte di almeno 12 persone, alcune uccise in modo particolarmente atroce, costrette a bere l'acido solforico delle batterie delle automobili. Nonostante la Procura avesse ritenuto che, per la gravità delle accuse e la possibilità di fare pressioni sui testimoni, Glavaš dovesse continuare a rimanere in carcere, il Parlamento ha ritenuto altrimenti. Così, difendendosi in libertà, Glavas andrà in tribunale direttamente dalla sua poltrona di parlamentare, e dal processo andrà in Parlamento, configurando così un caso unico al mondo. 

A seguito delle accuse per crimini di guerra, Glavas ha trascorso dieci mesi in detenzione. La maggior parte di questo periodo, tuttavia, più di otto mesi e mezzo, lo ha trascorso nell'ospedale penitenziario di Zagabria, o in quello civile di Osijek. La testimonianza migliore di quale fosse il regime in vigore in ospedale è il fatto che durante le pseudo-cure all'ospedale di Osijek, nonostante davanti alla porta si trovasse una guardia carceraria, ha potuto girare senza alcun problema gli spot elettorali per la campagna del suo partito. Per questo motivo è stato destituito il direttore del carcere di Osijek, ma a Glavas non è accaduto nulla. 

Durante la detenzione, Glavas ha fatto lo sciopero della fame in due occasioni, affermando che si trattava di un processo politicamente motivato e di false accuse. Nonostante le prove raccolte indicassero il contrario, e nonostante l'accusa sia stata formulata dopo un anno di indagini, lui è rimasto fermo sulla sua opinione, facendo lo sciopero della fame per protesta. Mentre le indagini erano in corso, è riuscito ad ottenere la libertà temporanea. Il giudice istruttore, a causa della pseudo incapacità di Glavas ad affrontare il processo, all'inizio di dicembre del 2006 ha interrotto le indagini rimettendolo in libertà. 

Glavas si è trovato di nuovo in carcere nell’aprile dell'anno scorso, ma la maggior parte del tempo l'ha passata all'ospedale di Osijek, sotto un regime blando. Aveva a disposizione il cellulare e il portatile, visite illimitate e la possibilità totale di comunicazione. Quando nell'autunno scorso, prima dell'inizio del processo, è stato trasferito all'ospedale penitenziario di Zagabria, ha iniziato di nuovo lo sciopero della fame. Le notizie sul suo allarmante stato di salute, divulgate dai suoi avvocati, venivano ritrasmesse da alcuni media senza nessuna verifica. Glavas è stato trasformato da accusato per crimini di guerra in vittima, e l’appello per la sua scarcerazione è stato firmato anche da alcuni accademici, oltre che da alcuni vescovi croati. Tutto questo ha creato pressioni sulla giustizia croata, ma anche sul Parlamento. Alla fine, Glavas si è trovato di nuovo in libertà. 

Diversi esperti legali, fra i quali anche il presidente della Corte suprema, Krunislav Olujic, ritengono che Glavas con lo sciopero della fame ricattasse la giustizia croata. Ma la cosa ancora più grave e pericolosa, ha affermato Olujic, è che sia riuscito farlo, piegando il sistema legale croato con i ricatti. Il presidente del Comitato croato di Helsinki per i diritti umani, Ivo Banac, crede che si tratti di un “grossolano immischiarsi della politica nel lavoro indipendente della magistratura”, dato che il Parlamento, decidendo su Glavas, è uscito dal proprio ambito legislativo, entrando nella sfera del potere giudiziario. 

A causa di questa insolita decisione del Parlamento, Zagabria ha già ricevuto rimproveri dall'estero. La Commissione europea ha fatto sapere alla Croazia che Bruxelles spera che nel caso Glavas “come in tutti gli altri casi, vengano rispettate le procedure, la legge e la divisione del potere”, che “venga presa in considerazione la gravità del caso” e “che venga assicurata un’adeguata protezione dei testimoni”. 

Non c'è dubbio che la Croazia, alla quale comunque arrivano frequenti critiche da Bruxelles per la situazione del sistema giudiziario, a causa del “caso Glavas” avrà problemi ancora maggiori nell'affrontare il capitolo delle trattative sulla giustizia, uno dei 36 che Zagabria deve soddisfare nel quadro della procedura di adesione all'Unione Europea.