Informazione
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=6k1e4d8lKTs
https://youtu.be/qha6WFnAsxU
https://youtu.be/aP968jN5vAg
https://youtu.be/84hopm_uwGs
https://youtu.be/no3zU-FD9lQ
https://youtu.be/JmVUkz-lRQg
https://youtu.be/aasHCFMJ68s
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Emma_Bonino_E_La_Bufala_Sui_“migranti_Che_Pagano_La_Pensione_Agli_Italiani”/6119_21347/
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Tutto_Quello_Che_Non_Torna_Del_Video_Virale_Dellassassinio_Di_Kim_Jong-nam/6119_19075/
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Russiagate_Lo__scoop__Del_Fatto_Quotidiano_Ridiamo_Per_Non_Piangere/21163_22018/
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-Tre_Anni_Di_Aiuti_Al_Regime_Corrotto_Di_Kiev_Cosa_Ha_Ottenuto_Litalia_In_Cambio/82_21528/
http://www.analisidifesa.it/2017/07/cresce-limpegno-italiano-sul-fronte-orientale-della-nato/
http://www.bloglobal.net/2014/03/crisi-ucraina-quale-ruolo-per-litalia.html
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-5_semplici_domande_ad_alfano_che_incontra_il_suo_omologo_del_regime_di_kiev/21163_21942/
LE VERE FAKE NEWS. QUELLE CHE PRODUCONO GUERRE
Alla trasmissione “L\'aria che tira”, de La7, il deputato Andrea Romano del Partito democratico ha compiuto un triplo salto mortale in tema di fake news.
Citiamo testualmente. Dal secondo -1:20 a al secondo -0:55, Romano spiega: \"La Nato, l\'organizzazione internazionale che ci tutela in qualche modo dal punto di vista militare, è da qualche anno che investe soldi contro le fake news, ma non tanto per fare censure ma perché esse rappresentano uno strumento di conflitto geopolitico normalmente organizzato dalla Russia. O addirittura qualche giorno fa è venuto fuori che anche il Venezuela, che c\'ha i suoi guai, era coinvolto nei motori di fake news\".
Tralasciamo la fake news sul coinvolgimento del Venezuela nelle fake news: giorni fa il sito venezuelano Mision verdad aveva al contrario smascherato i finanziamenti statunitensi (Usaid, Ned, Dipartimento di Stato e Dip. della difesa) a chi poi produce bufale sul Venezuela per l\'appunto. Quindi è semmai il contrario, deputato.
Tralasciamo anche l\'eufemismo con il quale Romano definisce la Nato: una specie di Madre Teresa, però più efficace nel proteggerci sotto il suo manto.
Ma che della Nato si dica che combatte presunte fake news, è davvero un po\' troppo forte. Visto che quell\'organizzazione e i suoi Stati membri di menzogne ne producono in quantità. Anche di recente. E sono fake news mortali, perché legittimano l\'avvio di guerre e la loro prosecuzione. Il caso della Libia e della Siria è paradigmatico.
Peccato che in materia, il vignettista Vauro, anch\'egli presente in trasmissione, si sia ricordato solo della fake news di Bush e Powell nel 2003 riguardo all\'Iraq; dove non fu direttamente la Nato a bombardare. E questa sua sincera dimenticanza è un\'ennesima prova che negli ultimi anni ben pochi fra gli ex pacifisti si sono impegnati a contrastare le vere fake news, quelle che con le quali l\'Asse delle Guerre Nato/Golfo agisce. Le hanno contrastate così poco che nemmeno le ricordano.
Marinella Correggia
#Europa spesso bersaglio di #fakenews.
Le migliaia di firme raccolte con l’appello http://www.bastabufale.it ci hanno consentito di lanciare con il @Miursocial il primo progetto di educazione civica digitale in Italia #BastaBufale
18:21 - 30 nov 2017 >>
#Europa ha garantito 70 anni senza guerre fra Stati, non era mai successo. Dedico il libro #LaComunitàPossibile ai nostri figli e alle nostre figlie augurando anche a loro un futuro di pace e prosperità
17:50 - 30 nov 2017 >>
La seconda parte del messaggio della Boldrini merita di essere analizzato punto per punto:
“Le migliaia di firme raccolte con l’appello http://www.bastabufale.it “ - prosegue quasi ironicamente Laura Boldrini nel tweet facendo finta che le persone non sappiano che le firme sono state poche migliaia e senza nessun controllo (un fallimento totale insomma anche se sono stati coinvolti personaggi del calibro di Totti e Fiorello)
“ci hanno consentito” - ma chi vi ha consentito? Sandro il Bufalaro? Quale autorità e legittimazione ha questo progetto?
“di lanciare con il @Miursocial il primo progetto di educazione civica digitale in Italia”. Ecco ai milioni di studenti che saranno costretti a sorbirsi il “progetto di educazione civica”, diciamo: non siate i topi da laboratorio passivi di tutto questo. ribellatevi alla propaganda sulle fake news di chi vi ha mentito per anni ed è sempre dalla parte sbagliata della storia. Dalla parte delle guerre e della distruzioni di diritti sociali.
Alessandro Bianchi, 1/12/2017
P.s. Non dimenticate di votare per la \"Bufala dell\'Anno\". La faremo arrivare direttamente alla Boldrini: https://www.youtube.com/watch?v=6k1e4d8lKTs
\n
Riceviamo dal compagno Giuliano Cappellini e volentieri pubblichiamo
La celebrazione del 100° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre in Russia ed in Italia
Ricorre in questi giorni il centenario della Rivoluzione d’ottobre. In tutta la Russia questo anniversario è celebrato con grande partecipazione popolare, il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo è illuminato di rosso. Il popolo che, secondo la narrazione dell’odierna propaganda controriformista, più di ogni altro avrebbe sofferto del regime di terrore permanente instaurato in Russia dopo la Rivoluzione, sfila con le icone di Lenin e di Stalin
In Italia, si sa, il clima è diverso. Le classi dirigenti politiche nazionali sono impegnate a rafforzare la loro immagine di fedeli alleati degli Stati Uniti d’America – condizione imprescindibile per rimanere al governo. Ragion per cui i mass media nazionali devono sminuire la portata di quella Rivoluzione che cambiò il mondo e caratterizzò il “secolo breve” come, forse il più importante storico inglese del ‘900, Eric J. Hobsbawm, definì il secolo scorso, confinandolo nella parabola temporale dell’URSS. Sono anche ben attenti a impedire che, Dio ce ne guardi, l’anniversario non offra alcuno spunto di ripensamento alle svolte “storiche” di una sinistra ormai passata armi e bagagli nel campo dell’imperialismo. E la morale implicita o esplicita delle narrazioni pseudo culturali che ci propina la TV è sempre la stessa, che si trattò di una rivoluzione tradita [1] poi fallita, frutto di tempi di confusione e violenza.
In questo angusto e controriformista clima culturale non c’è spazio per una trattazione corretta di eventi che videro il prolungato protagonismo politico ed insurrezionale, alla fine vittorioso, delle grandi masse proletarie e la scomparsa di quello di una borghesia acquiescente o incapace di opporsi alle tragedie alle quali le loro classi dirigenti condannavano la Russia. Similmente la Resistenza europea ed italiana, denunciò le responsabilità delle classi dirigenti e pose la questione del protagonismo delle classi lavoratrici che effettivamente difesero la dignità nazionale durante la Guerra di Liberazione. Ma, come si diceva, in Italia, Rivoluzione d’ottobre e Resistenza sono eventi da ricordare secondo copioni pieni di retorica. Difficilmente, quindi, possono interessare una gioventù che non conosce niente della storia contemporanea e niente apprende da tali copioni. E non si tratta solo di questo che la narrazione mescola una buona dose di falsificazione di quegli eventi e delle loro premesse, quanto basta per travisarne i risultati. Ad esempio, che non si riconosca il ruolo determinante che ebbero l’Unione Sovietica e Stalin nel movimento antifascista internazionale, è una bestialità che costa la censura perfino a De Gasperi, a Nenni e Pertini, e ai grandi leader della coalizione occidentale impegnata nella II Guerra Mondiale a fianco dell’URSS, come Roosevelt e Churchill, e a tanti altri che come quest’ultimo erano, pur sempre, accaniti anticomunisti. È cosa ardua, allora, ricordare che gli ideali che animarono la Rivoluzione d’Ottobre furono sempre presenti nel movimento resistenziale europeo e in particolare nella Resistenza italiana (oltre che, naturalmente, in quella jugoslava). Ideali di grandi trasformazioni sociali e di progresso.
D’altronde le Controriforme tentano sempre di riscrivere la Storia e quella in cui siamo immersi dalla fine dell’URSS non è diversa dalle altre, ad esempio da quella che dopo la sconfitta di Napoleone trascinò nel fango le glorie della Rivoluzione Francese, della vittoria di Valmy sulle armate austro-prussiane che volevano invadere la Francia. Oggi i vincitori della guerra fredda negano all’Unione Sovietica persino il merito della vittoria sul nazifascismo in Europa. Una vittoria che quel paese pagò al prezzo altissimo di 24 milioni di morti (quasi la metà di tutti i caduti della II Guerra Mondiale) e la distruzione della sua parte occidentale più industrializzata. O, certo, come è stato scritto, i vincitori scrivono la storia, ma non possono cancellare la verità. In questa operazione di riscrittura l’Italia si è distinta al punto che ha disertato la celebrazione del 70° anniversario della vittoria della Grande Guerra Patriottica celebrato in Russia nel 2015. Guerra Patriottica, così oggi i russi chiamano la II Guerra Mondiale, quasi a relegarla ad un fatto nazionale, ma che, in realtà, consentì a tutti i paesi soggetti alla invasione nazista – praticamente tutta l’Europa continentale, esclusa la penisola iberica, la Svizzera e la Svezia –, di riappropriarsi della democrazia. E, per carità di Patria, fermiamoci qui, che ce n’è abbastanza per capire come si navighi contro corrente quando si cerca di rispettare la verità storica.
L’antifascismo, i Fronti Popolari, la guerra di Spagna e il ruolo dell’Unione Sovietica
Fin dalla metà degli anni ’20 del secolo scorso, man mano che alla crisi economica colpiva le grandi masse lavoratrici dei paesi occidentali e le classi dirigenti dei paesi dell’Europa occidentale si orientavano sempre più verso soluzioni autoritarie e repressive se non dittatoriali come in Italia, i dirigenti dell’Unione Sovietica compresero il pericolo che incombeva sul mondo. Il movimento fascista infettò un’Europa le cui classi dirigenti capitaliste cullarono mostruose simpatie per Mussolini (Inghilterra e Stati Uniti compresi). Quando Hitler prese il potere in Germania, le classi dirigenti borghesi di Francia ed Inghilterra furono acquiescenti verso le imprese delle armate tedesche in Cecoslovacchia ed in Austria. All’Unione Sovietica unico paese a contrastare il nazifascismo si rivolsero le speranze di tutti i partiti operai e democratici d’Europa. Fu l’epoca dei patti di unità d’azione tra i partiti comunisti e quelli socialisti, dei Fronti Popolari che, vinsero le elezioni in Francia e Spagna. L’adesione agli ideali di sinistra e comunista delle menti migliori dell’intellettualità europea, letterati, musicisti, pittori, scienziati fu enorme. Dopo l’aggressione alla Repubblica spagnola delle armate italo-tedesche, l’URSS fu l’unico paese che aiutò la democrazia spagnola, purtroppo con quello di cui disponeva allora, ossia con mezzi militari molto inferiori a quelli degli avversari ed in condizioni logistiche impossibili, e si attirò, ancor più, le simpatia di tutti i democratici europei. Le grandi potenze europee, Francia e Inghilterra, girarono ancora una volta la testa da un’altra parte, nascondendo a sé stesse ed ai loro popoli il pericolo che si preparava, sempre più concreto ed evidente dal momento che le mire della la Germania hitleriana non venivano contrastate.
Nonostante la defezione delle grandi potenze europee, la Repubblica Spagnola poté, però, contare sull’aiuto delle brigate internazionali formate da 59mila volontari accorsi da 53 nazioni dei 5 continenti [2]. I rappresentanti di tanti popoli fornirono quell’aiuto internazionale che l’ignavia dei loro governi avevano mancato di dare. I 4050 volontari italiani erano inquadrati nel battaglione (poi brigata) Garibaldi. Il principale dirigente delle Brigate Internazionali, fu Luigi Longo, ma alla guerra di Spagna parteciparono anche Nenni, Pacciardi, Togliatti e tanti altri esponenti politici italiani che furono poi i dirigenti politici e militari della Resistenza italiana e promotori della Costituzione della Repubblica varata nel 1948. Guidate dal generale russo Emil Kléber, le Brigate internazionali ebbero un ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia di Guadalajara nel marzo 1937, dove di fronte gli antifascisti italiani del battaglione Garibaldi si trovavano i cosiddetti volontari fascisti del Corpo Truppe Volontarie, e nelle grandi offensive repubblicane su Belchite (agosto) e Teruel (dicembre 1937 - gennaio 1938) e sull\'Ebro (luglio 1938). Ma non furono sufficienti a capovolgere l’esito del conflitto.
Ma la celebre frase di Carlo Rosselli: “Oggi in Spagna, domani in Italia” fu l’impegno solenne delle forze politiche democratiche, socialiste e comuniste in esilio. L’antifascismo in esilio aveva conosciuto la prova del fuoco e imparato i compiti dell’organizzazione della guerra e della guerriglia, una lezione preziosa che non dimenticherà più.
Intanto, mentre nell’impari lotta la Repubblica Spagnola soccombeva, anche in Francia cadeva il governo del Fronte Popolare. Il governo reazionario che lo sostituì mise fuori legge il Partito Comunista Francese e rese dura la vita degli esuli antifascisti in Francia, nonché dei reduci antifranchisti che sfuggivano alla repressione al di là dei Pirenei
Ora era chiaro, l’Unione Sovietica era isolata e caddero nel vuoto i suoi tentativi di suggellare un patto con le potenze europee di difesa contro la Germania nazista. Altresì era chiaro che Francia ed Inghilterra, avrebbero tollerato che le prossime mire espansioniste di Hitler fossero dirette ad est, ossia contro la Russia. Stalin comprese che doveva prendere tempo, aggiornare e rafforzare le sue forze armate a livello di quelle tedesche e, anche, che avrebbe potuto sperare di realizzare una coalizione anti tedesca solo dopo l’inizio della guerra ad ovest, anzi dopo aver dimostrato che. quando fosse arrivato il suo turno, la Russia non si sarebbe arresa, ma avrebbe continuato a combattere. Il patto Ribbentrop-Molotov concesse all’URSS del tempo prezioso, ma i tedeschi colsero l’occasione per invadere la Francia e tentare di piegare l’Inghilterra
Condotta da un capo prestigioso, Winston Churchill e forte di un popolo tenace e determinato, l’Inghilterra non cadde nelle mani di Hitler. Il capo nazista, ritenendo prematura l’invasione dell’isola britannica difesa ancora dalla più forte marina da guerra dell’epoca, volse la sua attenzione alla Russia. Accelerò, quindi, l’attacco all’Unione Sovietica, che con le sue immense risorse minerarie e agricole costituiva un obiettivo strategico fondamentale per il proseguire la guerra. Quella contro la Russia non si poneva solo compiti strategici contingenti ma doveva coronare il sogno di sottomettere in schiavitù gli “slavi”, per la gloria del III Reich, una quantità immensa di uomini e risorse, come aveva scritto, qualche anno prima Hitler su Mein Kampf, teorizzando la necessità per la Germania di avere un suo Impero ad est. Inoltre i rapporti del suo ramificato Servizio Segreto segnalavano che l’URSS era ancora impreparata sul piano militare, quindi, stracciando il trattato di non belligeranza firmato due anni prima iniziò l’aggressione al paese del socialismo. L’operazione Barbarossa avrebbe dovuto conquistare Mosca prima dell’inverno del 1941. Effettivamente l’URSS fu colta di sorpresa, ma al prezzo di perdite enormi, col sacrificio di milioni di soldati, civili, villaggi e città distrutte, la resistenza sovietica fu enormemente superiore a quella che i generali tedeschi si aspettavano sulla scorta delle precedenti conquiste nell’Europa occidentale. Pur avanzando, dovettero modificare i loro piani di invasione, disperdere il loro esercito su un fronte che andava da Leningrado al Caucaso. Solo dopo che l’esercito sovietico – i cui reparti erano sfilati nella Piazza Rossa nel XXIV anniversario della Rivoluzione (novembre 1941) –, ricacciò le truppe tedesche di fronte a Mosca, all’inizio del 1942 fu ufficializzata l’alleanza tra Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica e arrivarono aiuti dagli Stati Uniti. L’alleanza fu chiamata delle Nazioni Unite. I sovietici bloccarono il piano strategico tedesco di impadronirsi dei giacimenti petroliferi del Caucaso (cosa che anche gli angloamericani temevano perché avrebbe dato nuova linfa alla guerra in Europa occidentale) e passarono al contrattacco. La storia della riconquista dei territori russi, ucraini e bielorussi occupati dai nazisti, la sconfitta e la resa di intere armate tedesche è cosa ben nota, il contrattacco degli angloamericani in Africa seguì l’allentamento del pericolo sul fronte russo e le loro truppe sbarcarono in Sicilia. Siamo nel 1943. Dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia caddero il governo Mussolini ed il fascismo ed iniziò la guerra partigiana per la difesa della Patria invasa dai tedeschi.
Le vittorie dell’Armata Rossa e la Guerra di Liberazione
Mette ora il caso di ricordare quello che disse e scrisse Sergio Ricaldone, medaglia d’oro della Resistenza Italiana. “In quei giorni eravamo incollati alla radio per seguire gli esiti della battaglia di Kursk (sett. 1943), la più grande battaglia tra carri armati mai combattuta, in cui i carri del III Reich furono sconfitti e l’URSS dimostrò al mondo di aver recuperato il suo gap tecnologico nei confronti della Germania. E non era la curiosità a mantenerci incollati alla radio, ma la comprensione della portata galvanizzante delle straordinarie vittorie delle armate sovietiche, sul morale e la determinazione dei gruppi partigiani, le cui fila si stavano ingrossando attendendo ogni momento propizio per partire all’azione”. E così avvenne, che ogni progresso della lotta partigiana era legato alle vittorie delle armare di Stalin, alla demoralizzazione dell’avversario, che pur ferito reagiva con inaudita ferocia.
Trovo su Wikipedia una breve ma sufficientemente completa Storia della Resistenza Italiana dalla quale riporto un brano. “A giudizio delle stesse autorità alleate, la Resistenza italiana giocò un ruolo importante per l\'esito della guerra in Italia e, a costo di grandi sacrifici umani, cooperò attivamente ad indebolire le forze nazifasciste, a minarne il morale ed a renderne precarie le retrovie, impegnando notevole parte delle unità militati o paramilitari del nemico. Anche le fonti tedesche documentano che le forze partigiane furono causa di problemi e difficoltà militari per i comandi e le truppe della Wehrmacht. Secondo il Center for the Study of Intelligence della Central Intelligence Agency, i partigiani italiani \"tennero sette divisioni tedescheoccupate lontano dal fronte [con gli Alleati], e con l\'insurrezione finale dell\'Aprile 1945 ottennero la resa di due divisioni tedesche, che portò direttamente al collasso delle forze tedesche entro ed attorno Genova, Torino e Milano”.
Lo stesso succedeva in Francia, in Yugoslavia, nei Balcani, in Polonia, in Norvegia e, in varia misura, in tutti i paesi occupati di tedeschi. La molla del moto insurrezionale furono le vittorie degli eserciti dell’URSS. Per tutti, l’esempio più importante e iniziale del movimento partigiano internazionale fu quello che si era sviluppato in Russia, in Ucraina, in Bielorussia, in Crimea ed in altre regioni dove i massacri delle armate tedesche sulle popolazioni civili non arrestarono mai, ma non intaccarono né la determinazione a colpire l’invasore, né la fiducia in Stalin. Quel che ci preme sottolineare ora, è che con i successi dell’Armata Rossa e la sua marcia verso ovest, anche la direzione strategica del conflitto passò nella sue mani. Gli angloamericani organizzarono un imponente sbarco sulle coste francesi, quello che Stalin aveva chiesto con insistenza ma di cui, spesso, si esagera l’importanza sul piano militare dal momento che la Wermacht impegnò sul fronte occidentale solo un decimo delle divisioni che manteneva su quello orientale, e la resistenza dei tedeschi alla pressione angloamericana fu ancora piuttosto efficace per circa un anno. Si decise a Yalta che la Russia poteva avere la sua sfera di influenza su molti paesi europei ed in Germania che avrebbe dovuto proteggere l’URSS dal pericolo di una nuova e aggressiva “cintura sanitaria” a suo danno. La guerra in Europa finì con la conquista di Berlino da parte delle truppe sovietiche. In Italia finì prima, perché tutte le principali città del nord furono liberate dai partigiani prima dell’arrivo degli Alleati.
Conclusioni
In queste brevi note mi sono sforzato di parlare non tanto della guerra e della guerra partigiana che l’antifascismo preparò nell’esilio, nella prova della Guerra civile spagnola, nelle galere fasciste, ma delle premesse politiche che precedettero la II Guerra Mondiale ed ne accompagnarono gli eventi tragici e gloriosi. Lascio ad altri, ben più capaci di me, l’analisi più completa e circostanziata. Certo che in quel periodo ci furono anche ombre, fatti oscuri, furono commessi gravi errori, con conseguenze negative immediate e nel dopoguerra. Ma ciò non basta certo a cancellare la verità storica, che la Resistenza e la Lotta di Liberazione in tutte le parti del mondo (in Cina, ad esempio) devono molto alla Rivoluzione d’Ottobre.
In senso stretto il rapporto tra la Resistenza e la Rivoluzione d’Ottobre non è Stalin, ma non si esaurisce neppure nell’elenco delle loro consonanze ideologiche. Tali consonanze divennero motivazioni importanti (non le uniche, naturalmente) alle scelte personali per cui combattere e morire di milioni di uomini, man mano che il mondo scopriva il ruolo rilevante dell’URSS e di Stalin prima e durante la II Guerra Mondiale.
Ambedue gli eventi furono grandi movimenti di popolo animati dalla speranza di conquistare un futuro migliore, di giustizia e di pace. Speranze che molti chiamarono utopie, quelli, ad esempio, che pur avendo sofferto le privazioni della guerra, lo stress dei pericoli nei fronti in cui avevano combattuto, le case distrutte dai bombardamenti trovarono, tuttavia un “accomodamento” con la loro coscienza attraverso una visione pessimistica della razionalità della storia che, ripetitivamente è storia di ingiustizie contro le quali non c’è niente da fare se non attendere che la bufera passi. Stiamocene nascosti e aspettiamo che gli Alleati ci liberino! In questo senso questi eventi hanno segnato una divisione nel popolo, grosso modo tra chi non aveva niente da perdere e chi manteneva ancora qualcosa, almeno la speranza di riprendere, dopo la guerra, una vita dignitosa, come prima della guerra. I primi, quelli cui la guerra dava una sola certezza, che se avessero vinto i nazisti si sarebbero trovati più schiavi di prima, sempre ultimi nella scala sociale, accettarono più facilmente – anche quelli che non avevano mai sentito parlare di socialismo, di comunismo e di democrazia – il messaggio di liberazione di uomini usciti dalla galere fasciste o che venivano dall’esilio e che parlavano della necessità di continuare la lotta, per costruirselo il futuro. Lo stesso messaggio che animò la Rivoluzione d’Ottobre. Ma bisognava vedere i frutti di quella Rivoluzione, e questi furono il coraggio del popolo russo, il suo attaccamento alle conquiste sociali e le vittorie dell’Unione Sovietica, la sagacia strategica del suo capo, l’umiliazione dei superuomini tedeschi e dei loro lacchè fascisti. Ecco di cosa parlavano, oltre che di preparazione di attentati contro i nazisti, i dirigenti partigiani del PCI nelle riunioni clandestine nei casolari del Polesine in cui si ritrovava mezzo paese mentre fuori pattugliavano le SS; ecco l’animo degli operai delle fabbriche del milanese che stampavano e distribuivano i fogli clandestini che incitavano alla lotta contro i fascisti o che costruivano le armi per l’insurrezione. Tanto per citare alcuni degli infiniti esempi di coraggio degli operai e dei contadini nella Guerra di Liberazione.
Altri, più acculturati, capirono anche prima da che parte stare. Una grande spinta fu quella della scelta unitaria di tutti i partiti democratici, il cui valore doveva essere mantenuto dopo la guerra. Ma tutti riconoscevano il valore del sacrificio e della lotta dei popoli dell’Unione Sovietica. Con questo spirito, oltre ad un forte senso della dignità nazionale, ufficiali di un esercito portato allo sbaraglio in terre straniere, che avevano negli occhi l’orrore delle repressioni germaniche, diedero un importante contributo nell’organizzazione militare partigiana.
Come abbiamo scritto all’inizio, oggi la narrazione di quei fatti e dei loro rapporti è mistificata da una propaganda miserabile in cui si capovolgono anche gli esiti della guerra (vinta, naturalmente dagli americani…), si denigra l’Unione Sovietica, si irride alla Rivoluzione d’Ottobre. Noi dell’ANPI non abbiamo il diritto di aderire a tali mistificazioni, ma a me pare che finché non avremo il coraggio di ricordare completamente, nelle scuole e tra i giovani, ciò che successe realmente in quegli anni, non avremo fatto appieno il nostro dovere.
In occasione del centenario della Rivoluzione d\'Ottobre, riteniamo opportuno riproporre l\'emozionante intervento del compagno Sergio Ricaldone all\'iniziativa del 7 novembre 2012, svoltasi presso il Centro Culturale “Concetto Marchesi” di Milano, rendendo omaggio alla splendida e indimenticabile figura di dirigente comunista che, con tanta passione e fino agli ultimi giorni della sua leggendaria vita di rivoluzionario e internazionalista, ha partecipato da protagonista di primo piano all\'iniziativa del nostro sito.
Compagne e compagni, siccome appartengo ad una specie in via di estinzione e non ho i titoli per proporre analisi storiche raffinate, mi limiterò a ricordare un paio di passaggi che considero altamente simbolici per il peso che hanno avuto sui cambiamenti geopolitici del 20° secolo e che hanno tuttora all\'alba del nuovo secolo.
Il primo di questi passaggi, chiedo scusa per la mia impudenza, lo recupero direttamente dal “museo degli orrori” del comunismo novecentesco nel quale molti di noi, io tra questi, siamo stati rinchiusi come inguaribili stalinisti.
La Rivoluzione d\'Ottobre è stata per la mia generazione il grande arsenale di idee rivoluzionarie dal quale abbiamo attinto la forza di combattere contro i moderni cavalieri dell\'Apocalisse che hanno sconvolto il pianeta : due guerre mondiali, il nazifascismo, la fame, il colonialismo e l\'imperialismo in tutte le sue espressioni.
Non mi risulta che altre culture politiche, il riformismo socialdemocratico, il liberalismo, l\'ecologismo, il terzomondismo, il pacifismo, la non violenza, né tanto meno le sacre scritture, pur con i meriti che hanno, possano esibire bilanci storici e di progresso neanche lontanamente paragonabili con quelli ottenuti dalle grandi lotte sociali e politiche del movimento operaio internazionale che si è ispirato alla Rivoluzione d\'Ottobre.
Ripensando a quegli anni mi sono spesso domandato quali siano stati i momenti cruciali che hanno segnato la vita di milioni di comunisti della mia generazione.
Il 7 novembre 1941, 24° anniversario dell\'Ottobre, è stato uno di quei momenti, di cui conservo, 70 anni dopo, un ricordo indelebile. Questo il primo dei due passaggi che voglio ricordare.
Tutto sembrava perduto in quei giorni. Le “democrazie” europee stavano crollando come cartapesta sotto i colpi delle divisioni corazzate del Terzo Reich e le croci uncinate dilagavano ovunque. Il fascismo e il terrore non conoscevano ostacoli e i regimi di Hitler e Mussolini sembravano destinati a durare mille anni.
Le speranze che l\'eroismo dell\'Armata Rossa e del popolo sovietico ci aiutassero a cambiare anche il nostro futuro di operai oppressi dal fascismo sembravano svanire di fronte al dramma che si stava consumando a pochi chilometri da Mosca. La macchina bellica tedesca sembrava invincibile. In pochi mesi le armate hitleriane avevano compiuto un\'avanzata travolgente in territorio sovietico e nell\'ottobre 1941 i panzer di Von Guderian si trovavano a 20 chilometri dal centro di Mosca.
La campagna di Russia sembrava dovesse concludersi come le altre guerre lampo condotte in tutta Europa da un esercito in apparenza invincibile. La stampa e la radio di Berlino – e quella di Roma – annunciavano come imminente la conquista della capitale sovietica, la sfilata dei panzer sulla piazza Rossa e la capitolazione dell\'URSS. In officina non si discuteva d\'altro. Incollati a Radio Mosca seguivamo con angoscia l\'esito di quella battaglia.
Poi improvvisamente, quando tutto sembrava perduto, il 7 novembre, il popolo sovietico e la generazione “di come fu temprato l\'acciaio”, trascinati dal loro leader, celebrano a loro modo l\'anniversario della Rivoluzione : si alzano in piedi come un gigante che spezza le catene, e trasmettono a tutti i popoli dell\'Europa oppressa dal nazifascismo un grande messaggio di speranza.
La sera di quel giorno udimmo per la prima volta la voce di Stalin tradotta in simultanea per l’Europa intera occupata dai nazisti. Traduttore un certo Ercoli alias Palmiro Togliatti. Devo dire che in quelle ore la mia modesta preparazione di operaio comunista, che mi ha poi sorretto per tutta la vita, ha subito un impulso straordinario, incancellabile. Le poche virtù che posseggo credo di averle imparate quasi tutte quella sera.
Stalin solo dentro al Cremino, con i tedeschi alle porte di Mosca, resta nella storia del secolo 20° (qualunque sia il giudizio su Stalin) come il migliore esempio su come un leader sappia guidare il suo popolo nei momenti più difficili. Persino Churcill lo ricorda nelle sue memorie.
Per ben due volte quel giorno, mentre Mosca era sotto il fuoco dei bombardieri tedeschi, Stalin fece sentire la sua voce. Al mattino, in una stazione della metropolitana di Mosca, davanti ai quadri del Partito e del Komsomol. Poi, più tardi, dopo che i caccia sovietici avevano ripulito il cielo dagli Junker tedeschi, dall’alto del mausoleo di Lenin davanti alle truppe di riserva dell’Armata Rossa e ai reparti di operai delle officine di Mosca che si apprestavano a raggiungere il fronte, distante pochi chilometri, pronunciò uno dei discorsi più celebri, mescolando in una stupefacente simbiosi i passaggi gloriosi della storia russa con quelli della Rivoluzione d’Ottobre.
“Compagni soldati e marinai rossi, comandanti e lavoratori politici, partigiani e partigiane! Il mondo intero vede in voi una forza capace di annientare le orde dei banditi tedeschi. I popoli asserviti d’Europa, caduti sotto il giogo degli invasori tedeschi guardano a voi come dei liberatori. Una grande missione liberatrice vi attende. Siatene degni. Quella che state conducendo è una guerra di liberazione, una guerra giusta. Possa ispirarvi in questa guerra il glorioso esempio dei nostri antenati, da Alexander Nevskij che sconfisse gli invasori svedesi, a Michail Kutuzov che sconfisse sulla nostra terra l’armata di Napoleone”
Dopo quel discorso, ai suoi collaboratori che lo scongiuravano di abbandonare Mosca e di partire per Kuibiscev, Stalin rispose tranquillo: “Nessuna evacuazione. Resteremo qui fino alla vittoria e voi tutti resterete con me”. Fu cosi che la battaglia di Mosca diventò per i nazisti l\'inizio della fine.
Per evitare di essere frainteso, ricordando quel lontano episodio che ha marchiato a fuoco la mia coscienza di giovane militante (e milioni di altre), non intendo dire che dopo l’Ottobre l’intera storia sovietica sia stata sempre una serie di lotte nobili ed eroiche e men che meno un pranzo di gala.
Tuttavia, da operaio comunista, cresciuto e trascinato dai grandi ideali dell\'Ottobre sovietico, la considero pur sempre la mia storia, quella che ha alimentato il mio impegno ideale e politico anche nelle condizioni più estreme, nella Resistenza nei lager nazisti e nelle mani della Gestapo.
Mi rendo conto quanto sia difficile, coi tempi che corrono, riproporre passaggi di quella storia che si cerca di distruggere in tutti i modi con furia iconoclasta. Capisco anche che difendere la memoria e le ragioni del comunismo e dei comunisti del 20° secolo sia un po come proporre diete vegetariane ai cannibali della Nuova Guinea.
Mi sono tuttavia chiesto tante volte come sarebbe finita l’Europa e il mondo intero se quel 7 novembre 1941 le cose fossero andate in modo diverso e se al posto del tanto detestato georgiano ci fosse stato il Mahatma Gandhi (o peggio, Fausto Bertinotti).
Sono convinto che i “dieci giorni che sconvolsero il mondo” siano stati e rimangano l\'inizio della nostra storia e che non sia per nulla osceno rivendicarne la continuità.
Però attenzione! Dobbiamo anche saperci sottrarre alle tentazioni apologetiche di chi pretende di ridurla ad una serie ininterrotta di lotte immacolate, senza errori, senza eccessi e senza macchia. Nessuna rivoluzione (pensiamo ai giacobini di Robespierre) è stata compiuta in modo indolore. E non è certo l\'imperialismo che può darci lezioni su questo tema.
Abbiamo subito sconfitte enormi e arretramenti politici dolorosi. Ma sappiamo anche che quella storia ha prodotto cambiamenti sociali e geopolitici grandiosi chiaramente visibili nei nuovi modelli scaturiti dalle esperienze creative di altre rivoluzioni, cinese, vietnamita, cubana. Modelli di sviluppo che stanno trascinando altri continenti come l\'Africa e l\'America Latina fuori dalla schiavitù e dalla miseria.
Dunque un bilancio storico di tutto rispetto. Proprio per questo dobbiamo essere in grado di accogliere e fare nostre, insieme alle rose che ne esaltano i momenti più gratificanti, anche le spine, e dunque anche i lati oscuri, deprecabili, condannabili, che pure accompagnano e sono parte di quella storia.
Se rifiutassimo questo tipo di lettura materialistica e cedessimo all\'ipocrisia del buonismo e alle semplificazioni retoriche finiremmo per avallare in qualche modo la valanga di manipolazioni e di luoghi comuni che il revisionismo e il negazionismo ci stanno propinando da anni. Il modo migliore di celebrare la Rivoluzione d\'Ottobre è quello di continuare a interrogarci senza dogmi e senza nostalgie, ma cercando risposte nel grande potenziale creativo del marxismo e del leninismo.
Sebbene siano giorni molto lontani, c\'è materia su cui meditare per capire che posto occupa, nel diverso contesto geopolitico di oggi la nozione di comunismo. Facendo innanzitutto la necessaria distinzione tra quando questa parola viene usata come aggettivo del partito al potere, da quando viene usata come sostantivo di un sistema tutto da costruire.
Non mi risulta che ci sia mai stato a tutt\'oggi un solo paese al mondo che si possa definire comunista. Non basta che il partito al potere usi questo aggettivo per definire anche la natura dello Stato. E il Vietnam, come del resto la Cina non fanno eccezioni. Entrambi non sono paesi comunisti. Non ancora. Almeno in questa fase storica del loro sviluppo.
E\' perciò comprensibile che questi paesi non offrano le chiavi di accesso al paradiso. Il comunismo non è una scatola di montaggio, pronta all\'uso, chiavi in mano, ma un sistema sociale tutto da costruire e rimane, per il partito al potere, la prospettiva di un lungo e non facile processo storico tutto da sperimentare.
E\' più corretto dire che, correggendo errori precedenti e ripartendo dalle intuizioni leniniste della NEP (intuizione uscita dall\'esperienza compiuta dalla neonata rivoluzione), i comunisti hanno rimodulato la lunga marcia per il superamento del capitalismo – chiamata transizione – a partire da una rottura politica con un sistema di sottosviluppo pre-capitalistico (ereditato da secoli di mandarinato e di dominio coloniale), superando l\'illusione, a loro spese, di poter colmare la distanza tra quel medio evo e la fase socialista, saltando la fase intermedia. Quella del mercato, appunto.
E\' stato in apparenza un passo indietro. Detto questo credo che a nessuno possano sfuggire – dopo quel passo indietro – i sorprendenti passi in avanti compiuti da questi paesi le cui rivoluzioni sono state ispirate dalla Rivoluzione d\'Ottobre. Questa e non altra è stata la forza propulsiva dei loro sorprendenti risultati economici e politici.
Fino a qualche anno fa, prima della crisi devastante che ci sta travolgendo, sembravamo destinati, dopo la proclamata “morte del comunismo”, a vivere nel mondo rutilante del “grande sogno americano” descrittoci da Fitzgerald nel suo “Grande Gatsby”, simbolo dei ruggenti anni 20, l\'illusione di uno sviluppo senza fine.
Ma anche allora, nemmeno il tempo di un sospiro, e il “Furore” di Steinbeck ci ha restituito il clima della grande depressione degli anni 30 e la discesa nell\'inferno della povertà di milioni di persone senza lavoro e senza speranza. Esattamente quello che sta succedendo oggi in questa parte del mondo, con l\'aggravante dell\'assenza di una forza comunista organizzata simile al PCI degli anni 30
In questi anni ci siamo scontrati e logorati in sedi diverse, rifondate e non, sul significato da dare ad alcune parole : partito, imperialismo, stato nazione, socialismo, rivoluzione. Ci siamo a lungo interrogati e scontrati su quale esperienza trarre dal bilancio storico del comunismo nato dalla Rivoluzione d\'Ottobre. Ci siamo accorti quanto sia difficile portare a sintesi il pensiero di Gramsci e Togliatti con quello di Trotzki e di Bettelheim. Ora è arrivato il momento di chiudere quella stagione e di aprirne un altra.
Il momento è molto difficile, e noi ci troviamo caricati di una enorme responsabilità : quella di ricostruire un partito comunista che restituisca la fiducia dei salariati nella politica, nella lotta (di classe), nel cambiamento.
Il PCI di Gramsci, Togliatti, Longo, Secchia ha dato molto al mondo. Le opere di Gramsci le ho trovate tradotte ovunque : in Egitto e in tutto il mondo arabo, in Vietnam, persino in Nepal. Ora è arrivato il momento di ricambiare l\'interesse e di osservare con attenzione le esperienze dei partiti comunisti il cui peso politico cresce ogni giorno in ogni angolo del pianeta : in Brasile, India, Sudafrica, ma anche in Europa, in Ucraina, Russia, Belgio, Repubblica Ceca, Cipro, Portogallo, Grecia.
A tutti coloro che ci considerano dei cascami residuali di una ideologia seppellita sotto le macerie del \'900 e ci chiedono di rinnegare la nostra storia ricordo un passaggio del Don Chisciotte di Cervantes che provo a riassumere a memoria : mentre cavalcano nella notte Don Chisciotte e Sancho Panza sono inseguiti e molestati dal latrare dei cani. Sancho Panza vorrebbe fermarsi ed aspettare che i cani si calmino ma Don Chisciotte gli risponde : lasciamoli latrare e continuiamo a cavalcare nella notte. Anche noi dovremmo occuparci meno dei cani che abbaiano e continuare a cavalcare nella notte.
Il centenario della rivoluzione russa dovrebbe essere una celebrazione per la pace.
Infatti una pietra miliare della Rivoluzione d’ottobre (avvenuta in realtà il 7 novembre) fu l’uscita dalla prima guerra mondiale. “La Rivoluzione bolscevica fu una rivoluzione contro la guerra”, ci spiega una trasmissione di Telesur, Empire Files.
La rivoluzione d\'Ottobre del 1917 avvenne perché quella borghese di febbraio continuava a sottostare al ricatto delle potenze belligeranti europee e non si ritirava dal macello della Prima guerra mondiale. L’”inutile strage”, la chiamò papa Benedetto XV, nella sua lettera a “tutti i capi dei popoli belligeranti”.
Ebbene nel 1917, un paese entra nel crimine della guerra e un altro se ne sottrae, chiedendo a gran voce la pace. Il primo paese: gli Stati Uniti che, tempestivi, si fanno avanti per non rimanere fuori dalla spartizione della torta.
E invece, uno dei primi atti del governo bolscevico nato dalla Rivoluzione d\'ottobre in Russia, è la proposta rivolta a tutti i belligeranti di un immediato armistizio generale, per giungere entro breve tempo a una conferenza per una pace \"giusta e democratica». Lenin legge la risoluzione davanti ai soldati sopravvissuti alle trincee, e a un popolo affamato e mutilato: «Il governo operaio e contadino, creato dalla rivoluzione del 24 e 25 ottobre e basato sui soviet dei deputati operai, soldati e contadini, propone a tutti i popoli belligeranti e ai loro governi di iniziare immediatamente trattative per una pace giusta e democratica».
La rivoluzione si rivolge ai governi perché, senza quelli, la pace tarderebbe troppo ad arrivare, ma sostiene soprattutto che occorre «aiutare gli altri popoli a intervenire nelle questioni della guerra e della pace». Lenin spiega che la rivoluzione sarà accusata di violare i trattati ma ne è fiera: «Rompere le alleanze di sanguinose rapine è un grande merito storico». La Russia repubblicana e rivoluzionaria offre la disponibilità a esaminare qualunque proposta, senza precondizioni. Inascoltata, salvo che dalla Germania, la Russia esce dalla guerra unilateralmente, accettando dure condizioni.
Ma anziché imitare la saggezza rivoluzionaria, le potenze capitalistiche aggrediscono la Russia appoggiando, nella tremenda guerra civile che segue, i conservatori locali, i cosiddetti bianchi. Con i quali purtroppo combattono, contro i bolscevichi, anche sedicenti gruppi rivoluzionari…
La storia si ripete!
\n
U toku je suđenje KP Poljske zbog širenja komunističke ideologije na svojoj web-stranici i partijskoj štampi.
Učesnicima na XIX. Međunarodnoj konferenciji KP i RP u Petrogradu ponuđena je, među ostalim, i rezolucija kojom se osuđuje progon poljskih komunista. Tu rezoluciju je potpisala i delegacija SRP-a, a objavljena je na stranicama Solidneta.
U nastavku, donosimo vam prijevod teksta rezolucije na hrvatskom jeziku:
31. ožujka 2016. godine, četiri člana Komunističke partije Poljske osuđeni su od regionalnog suda Dąbrowe Górnicze na 9 mjeseci uvjetne kazne uz obavezni društveno korisni rad i novčane kazne.
Pravni postupak, na račun Komunističke partije Poljske i njenih članova, koji traje već dvije godine, ponovno će početi 27. studenoga s optužbama za „širenje komunističke ideologije“ u novinama „Brzask“ i na Internet stranicama KP. Ako ih sud proglasi krivima, prijeti im do dvije godine zatvora.
U isto vrijeme, Komunistička partija Poljske suočena je s novim nasrtajem poljske kapitalističke klase i vladajuće stranke Zakon i Pravda (PIS) koji pokušavaju staviti KP Poljske izvan zakona uz objašnjenje da je „program KP Poljske u suprotnosti s Ustavom“.
Komunističke partije, koja su prisutne na Međunarodnoj konferenciji komunističkih i radničkih partija, osuđuju pokušaje stavljanja komunističke ideologije van zakona u Poljskoj i osuđujemo progon naših poljskih drugova.
Ovi progoni, kao i progoni u drugim državama članicama EU, idu ruku pod ruku sa sve intenzivnijom ofanzivom kojoj je cilj izjednačiti komunizam s monstruoznošću fašizma. Cilj im je izbrisati postignuća socijalizma iz kolektivnog sjećanja naroda.
Sto godina nakon Oktobarske revolucije, narod može i mora donijeti zaključke na osnovu sve žešćih antikomunističkih političkih pozicija EU i buržujskih vlada. Narod mora vjerovati komunistima i tražiti zadovoljenje svojih potreba u suvremenom svijetu, vjerovati komunistima u organiziranju narodne borbe protiv kapitalističkog sustava i monopola te njihove moći.
Sve optužbe protiv KP Poljske i njenih članova moraju odmah biti odbačene!
Ne dirajte u poljske komuniste, komunističku ideologiju i omogućite im nesmetano djelovanje!
Solidarnost s KP Poljske!
Antikomunizam neće proći!
Il 27 novembre è ripreso il processo contro il Partito Comunista della Polonia. Da due anni, i compagni del PCP sono oggetto di una campagna persecutoria, con la pretestuosa accusa “di propaganda dell\'ideologia comunista” nelle pagine del loro giornale \"Brzask\".
La repressione anticomunista delle autorità di Varsavia, che non ha mai suscitato la benché minima condanna da parte delle istituzioni di governo dell\'UE, di cui la Polonia fa parte, è stata denunciata in una dichiarazione sottoscritta da 67 partiti comunisti, nel corso del 19° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai, tenutosi a San Pietroburgo. (...)
Continua la persecuzione anticomunista contro il Partito Comunista di Polonia (KPP). Il 27 novembre riprenderà il procedimento giudiziario, che continua da due anni, che si basa sull’accusa di propaganda dell’ideologia comunista sul quotidiano “Brzask” e sul sito web del partito. Un processo che fa parte della campagna realizzata dal governo per rendere illegale il KPP.
Questa persecuzione sta avvenendo simultaneamente alla politica anticomunista di riscrivere la storia e rimuovere i monumenti e nomi delle strade associati al comunismo e al movimento operaio dallo spazio pubblico. Il KPP rivolge un appello ad organizzare proteste di solidarietà contro la persecuzione politica alle ambasciate polacche in tutto il mondo il 27 novembre.
La repressione anticomunista in Polonia è stata condannata da 67 partiti partecipanti al 19° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai attraverso una dichiarazione congiunta che riportiamo di seguito:
Denunciamo le persecuzioni contro i nostri compagni polacchi. Questa persecuzione, così come le persecuzioni portate avanti da altri stati membri dell’Unione Europea, va di pari passo con l’intensificazione dell’offensiva antipopolare, all’equiparazione del comunismo con il mostro fascista, e mira a cancellare le conquiste del socialismo dalla memoria collettiva dei popoli.
100 anni dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i popoli possono e devono trarre delle conclusioni dalle anticomuniste posizioni politiche dell’UE e dei governi borghesi che divengono sempre più intense. Devono avere fiducia nei comunisti e esigere la soddisfazione dei loro bisogni moderni, organizzando la loro lotta contro il sistema capitalista, i monopoli e il loro potere. Tutte le accuse contro il PC di Polonia e i suoi quadri devono esser rimosse immediatamente. Giù le mani dai comunisti polacchi, dall’ideologia comunista e la loro azione.
Solidarietà con il PC di Polonia!
L’anticomunismo non passerà!
- Partito Comunista d’Australia
- Partito del Lavoro d’Austria
- Partito Comunista d’Azerbaijan
- Tribuna Progressista del Bahrein
- Partito Comunista del Bangladesh
- Partito Comunista di Bielorussia
- Partito Comunista del Brasile
- Partito Comunista Brasiliano
- Nuovo Partito Comunista della Gran Bretagna
- Partito Comunista di Bulgaria
- Partito dei Comunisti Bulgari
- Partito Socialista dei Lavoratori di Croazia
- Partito Comunista di Cuba
- Akel, Cipro
- Partito Comunista di Boemia e Moravia
- Partito Comunista Egiziano
- Partito Comunista d’Ecuador
- Partito Comunista d’Estonia
- Partito Comunista Unificato di Georgia
- Partito Comunista Tedesco
- Partito Comunista di Grecia
- Partito dei Lavoratori Ungheresi
- Partito Comunista dell’India
- Partito Comunista dell’India (Marxista)
- Partito Comunista Iracheno
- Partito Comunista del Kurdistan
- Partito Tudeh d’Iran
- Partito Comunista d’Irlanda
- Partito dei Lavoratori d’Irlanda
- Partito Comunista d’Israele
- Partito Comunista (Italia)
- Partito Comunista Giordano
- Movimento Socialista del Kazakistan
- Partito dei Comunisti del Kirghizistan
- Partito dei Lavoratori di Corea
- Partito Socialista di Lettonia
- Fronte Popolare Socialista (Lituania)
- Partito del Congresso per l’Indipendenza del Madagascar
- Partito Comunista del Messico
- Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldavia
- Partito Comunista del Nepal
- Partito Comunista di Norvegia
- Partito Comunista Palestinese
- Partito Comunista Paraguayano
- Partito Comunista del Perù (Patria Rossa)
- Partito Comunista Peruviano
- Partito Comunista Filippino (PKP-1930)
- Partito Comunista Portoghese
- Partito Socialista Rumeno
- Partito Comunista della Federazione Russa
- Partito Comunista Operaio Russo
- Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia
- Comunisti di Serbia
- Partito Comunista dei Popoli di Spagna
- Comunisti di Catalogna
- Partito Comunista dello Sri Lanka
- Partito Comunista Sud Africano
- Partito Comunista Sudanese
- Partito Comunista di Svezia
- Partito Comunista Siriano
- Partito Comunista Siriano (Unificato)
- Partito Comunista del Tajikistan
- Partito Comunista di Turchia
- Partito Comunista d’Ucraina
- Unione dei Comunisti d’Ucraina
- Partito Comunista d’Uruguay
- Partito Comunista del Venezuela
U sedištu Nove komunističke partije Jugoslavije (NKPJ) u Beogradu ugošćena je delegacija Komunističke partije Poljske koju je predvodila potpredsednica partije, drugarica Beata Karon, a uz nju je u delegaciji bio prisutan i drug Piotr Drosd.
Naši prijatelji iz Poljske posebno su se zahvalili na podršci koju je na NKPJ pružila povodom farsičnih pokušaja zabrane simbola socijalizma i progresa, što se posebno teško prenelo na KP Poljske. Obavešteni smo da sudski procesi još nisu gotovi i da se 27. novembra proces nastavlja pred poljskim tužilaštvom.
Predstavnicima NKPJ je dostavljen ovom prilikom zvanični poziv za učešće u zajedničkim aktivnostima koje sprovode Poljski, Češki i Nemački komunisti jednom godišnje na velikom tradicionalnom komunističkom skupu na Poljsko-Češkoj granici koji se održava svake godine u avgustu.
Takođe, naši predstavnici su konstatovali i potvrdili važnost naše soliarnosti, saradnje i nastavka zajedničkog delovanja u okviru Inicijative komunističkih i radničkih partija Evrope, kao i u okviru Međunarodnog komunističkog pokreta. Značaj susreta ogleda se i u kontekstu internacionalističke važnosti momenta u kom je održan, neposredno po obeleženoj stogodišnjice Velike oktobarske socijalističke revolucije, čemu smo i mi i naši drugovi iz Poljske dali veliki značaj.
Sekretarijat NKPJ,
Beograd, 21.11.2017.
\n
Presiding Judge Alphons Orie said the court found that Mladic’s actions during the war were “among the most heinous known to humankind” and amounted to genocide. The court sentenced the Serb to life in prison.
Mladic heard the verdict from a separate room, having been ousted by bailiffs after an outburst of criticism against the judges. The former general said in the courtroom that everything the judges said was a lie, the general’s son, Darko, told TASS. According to Darko, his father said: “This is all lies, this is a NATO court!”
The tirade came in response to the court’s rejection of a request by Mladic’s lawyer to postpone the hearings due to the defendant’s high blood pressure. Darko added that he was not surprised by the ruling, saying: “The court was totally biased from the start.”
Only a handful of Serbs, including politician Milan Milutinovic, General Momcilo Perisic and Yugoslav army captain Miroslav Radic were acquitted by the tribunal, compared to well over a dozen defendants of other nationalities. The tribunal insists the statistics reflect the actual crimes committed during the hostilities.
The case of Mladic, 74, was the last for the ICTY to pass a verdict on. Among the crimes he was found guilty of were the killings of an estimated 8,000 Muslim males in the UN-designated safe zone in Srebrenica and the 43-month siege of the Bosnian capital, Sarajevo, during which over 11,000 civilians are estimated to have been killed. Mladic’s defense team said it would appeal the verdict, with his case joining some two dozen others pending new rulings.
Belgrade and Moscow have on various occasions criticized the tribunal for a perceived anti-Serb bias. In 2015, Russia used its UN veto right to block a resolution on the 20th anniversary of the Srebrenica tragedy, saying that the draft document depicted the Serbian people as the sole guilty party in the complex armed conflict in Yugoslavia.
By Christopher Black
Global Research, November 29, 2017
“All that is a lie. This is a NATO-style trial.”
The defiant words of General Mladic to the judges of the NATO controlled ad hoc war crimes tribunal for Yugoslavia rang out loud and clear the day they pretended to convict him. He could have added ‘but history will absolve me” and a lot more but he was thrown out of the room by the chief judge, Orie, in his condescending style, as if he was dealing to a truant schoolboy, instead of a man falsely accused of crimes he did not commit.
The Russian Foreign Ministry spokeswoman, Maria Zakharova, echoed the general’s words on November 23,
“We have again to state that the guilty verdict, delivered by the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia against Mladic, is the continuation of the politicized and biased line, which has initially dominated the ICTY’s work.”
Both General Mladic and the Russian government are correct. The document called a “judgment” proves it for it reads like a propaganda tract instead of a court judgment. In just over 2500 pages the trio of “judges” recite the prosecution version of events nonstop, from the first paragraph to the last. The defence is mentioned only in passing.
The ICTY rejects claims that it is a biased court, a NATO court but they proved it with the very first witnesses they called to set the stage for what was to follow. A man named Richard Butler was called to testify on general military matters and the political structure in Bosnia and the Republic Srpksa. He was introduced as a “military analyst” which he is, but not an independent one. No, at the time of his testimony he was a member of the United States National Security Agency, seconded to the ICTY as a staffer. So, the first witness against General Mladic was biased on two counts. He worked for the American intelligence services that supported the enemies of General Mladic and Yugoslavia, and he was part of the prosecution staff. It is as if the NSA and the prosecutor had, at the same time, stepped into the box to testify against the accused. Butler’s testimony plays a large role in the trial; the same role he played in the trial of General Krstic.
Another military analyst expert then appears, Reynaud Theunens, also working on the staff of the prosecution. Experts in criminal trials are supposed to be completely neutral. But not only was he acting on behalf of the prosecutor, he was at the same time a Belgian Army intelligence officer. So there we have it right at the opening of the trial. The stage is set; NATO is in charge of the case.
NATO officers work inside the tribunal. It is a NATO tribunal in UN disguise. Accordingly, throughout the judgment NATO crimes, and the crimes of the opposing Bosnian forces are never referred to. The context is deliberately constricted to give a very narrow and distorted picture of events.
The judgment continues with detailed recitations of prosecution witness testimony. Defence witnesses, on the few occasions they are referred to, never have their testimony set out in like detail. One line is devoted to a witness and all of them are dismissed as biased if their testimony is at odds with the testimony of the prosecution witnesses.
And of what does the prosecution evidence consist?
It consists of some oral testimony of NATO military officers involved in events and who were working in the UN forces against General Mladic and his forces, the testimony of opposing Bosnian Army soldiers or their families, and witness statements and “adjudicated facts,” that is “facts” held to be so by another set of judges in another case no matter whether true or false. A number of times, the judges state something to the effect that, “the defence claims X did not happen and relied on certain evidence to support that claim. Where this evidence conflicts with the adjudicated facts we reject it.”
There are many instances of reliance on hearsay. Time and again, a paragraph in the judgment begins with the words, “The witness was told…” Thanks to corrupt jurists like Canadian former prosecutor Louise Arbour, the use of hearsay, even double hearsay was allowed in as evidence in these trials when it is forbidden in the rest of the world because hearsay testimony cannot be verified or checked for reliability and accuracy.
I was not able to observe much of the trial and only by video from time to time so, I am not able to comment on all the factual findings of the trial judges set on in their long judgment in which they condemn General Mladic and his government in page after tedious page. Those who are aware of the real history of events will realize that every paragraph of condemnation is neither more nor less than the same NATO propaganda put out during the conflict but made to look like a judgment.
For it is not a judgment. A true judgment in a criminal trial should contain the evidence presented by the prosecution, the evidence presented by the defence, and the arguments of both sides about the evidence. It must contain references to witness testimony both as witnesses testified in chief and in cross-examination. Then there must be a reasoned decision by the judges on the merits of each party’s case and their reasoned conclusions. But you will be hard pressed to find a trace of any of the defence evidence in this document. I could find none except for a few references in a hand full of paragraphs and some footnotes in both of which testimony of a defence witness was briefly referred to in order to dismiss it and to dismiss it because it did not support the prosecution version of events.
Even more shocking is that there is little reference to verbal testimony, that is, witness testimony. Instead there are references to “experts” connected to the CIA or State Department, or other NATO intelligence agencies who set out their version of history, which the judges accept without question. There is no reference to any defence experts.
Consequently, there are no reasoned conclusions from the judges as to why they decided to accept the prosecution evidence but not the defence evidence. From reading this one would think no defence was presented, other than a token one. That is not a judgment.
But there is something even more troubling about this “judgment.” It is not possible to make out if many of the witnesses referred to testified in person because there are few references to actual testimony. Instead there are countless references to documents of various kinds and “witness statements.”
This is an important factor in these trials because the witness statements referred to are statements made, or are alleged to have been made by alleged witnesses to investigators and lawyers working for the prosecution. We know from other trials that in fact these statements are often drafted by prosecution lawyers as well as investigators, and then presented to the “witnesses” to learn by rote. We know also that the “witnesses” often came to the attention of the prosecution by routes that indicate the witnesses were presenting fabricated testimony and were recruited for that purpose.
At the Rwanda tribunal, we made a point in our trial of aggressively cross-examining these “witnesses” and they invariably fell apart on the stand, since they could not remember the scripts assigned to them. We further made a point of asking the “witnesses” how they came to meet with prosecution staff and how the interviews were conducted and how these statements were created. The results were an embarrassment to the prosecution as it became clear they had colluded with investigators to manipulate, pressure and influence “witnesses” and that they were complicit in inventing testimony.
Further, it is important for anyone reading this “judgment” to be able to refer to the pages in the transcripts at which the witnesses testified, what they testified to, and what they said in cross-examination, because a statement is not testimony. It is just a statement.
A statement cannot be used as evidence. That requires the witness to get in the box and to state under oath what they observed. Then they can be questioned as to the reliability as observers, their bias if any, their credibility and so on. But in this case we see hundreds of references to “witness statements.” This indicates that the judges based their “judgment” not on the testimony of the witnesses (if they were called to testify) but on their written statements, prepared by the prosecution, and without facing any cross-examination by the defence.
It is not clear at all from this judgment that any of the witnesses referred to in the statements actually testified or not. If they did then their testimony should be cited, not their statements. The only valid purpose the statements have is to notify the lawyers what a witness is likely to say in the trial, and to disclose the prosecution case to the defence so they can prepare their case and then use the statements in the trial to cross examine the witness by comparing the prior statement with their testimony under oath in the witness box.
The formula is a simple one. The prosecution witness gets in the box, is asked to state what he observed about an event and then the defence questions the witness,
“Mr. Witness, in your statement dated x date you said this, but today you say that. …Let’s explore the discrepancy.”
That’s how it is supposed to go. But where is it in this case? It is nowhere to be found.
It would take a book to recite the problems with the “trial” as exposed by this judgment. But there is one example which highlights the rest relating to Srebrenica and concerns a famous meeting that took place at the Fontana Hotel on the evening of July 11, 1995 at which General Mladic meets with a Dutch peacekeeper colonel to arrange the evacuation of the civilians in the Srebrenica area and the possible laying down of arms of the 28th Bosnian Army Division. There is a video of that meeting available on YouTube.
I paraphrase but it shows General Mladic asking why NATO planes were bombing his positions and killing his men. He asks why the UN forces were smuggling weapons to the Bosnian military. He asks why the UN forces tried to murder him personally. To each question he receives an apology from the Dutch officer. He then asks the Dutch officer if he wants to die and he says no. Mladic replies, nor do my men want to die, so why are you shooting at them? No answer.
The rest of the video concerns discussion of a plan to evacuate the town during which Mladic offers the UN men cigarettes, and offers some wine to ease the tension. For me, as a defence lawyer, it is a crucial element of the defence to the charges concerning Srebrenica. But no reference to this video is made in the judgment. Instead the judges refer to the testimony of several UN-NATO officers who were at the meeting in which they totally distort and twist what was said. There is no clue that the defence cross-examined those liars using the video; “Sir you state that this was said, but here in the video it shows that you are wrong. What do you say?”
It is nowhere. Was it used and ignored by the judges or not used? I have no idea. But it is clear that the prosecution chose not to use it because it would mean the collapse of their case. For even on the prosecution evidence it is clear that the men of the 28th Division refused to lay down their arms and fought their way to Tuzla. Most were killed in the fighting on the way. Many were taken prisoner. A handful of Bosnian witnesses claim these prisoners were massacred. But their testimony is of the “I was the lone miraculous survivor of the massacre” variety they tend to use in these trials.
I won’t enter into the heavy use of the bogus legal concept of joint criminal enterprise to attach criminal liability to the general, guilt by association and without intent. That they used it shows they know they had no case against him.
In summary this document contains within it little sense of the defence case or what the facts presented by the defence were, what the defence arguments were on the facts, nor their full legal arguments.
But most importantly we have no idea what the testimony was of most of the prosecution witnesses and no idea what the testimony was of defence witnesses. It is as if there was no trial, and the judges just sat in a room sifting through prosecution documents writing the judgment as they went. We must suppose that this is not far from the truth.
This “judgment” and the trial are another humiliation of Yugoslavia and Serbia by the NATO alliance since it is clear from its creation, financing, staffing and methods that the ICTY is a NATO controlled tribunal. This is confirmed by the statement of the NATO Secretary-General, who said,
“I welcome the ruling…. the Western Balkans are of strategic importance for our Alliance…”
In other words, this conviction helps NATO to consolidate its hold on the Balkans by keeping the Serbs down and out. General Mladic is a scapegoat for the war crimes of the NATO alliance committed in Yugoslavia, which the ICTY covers up and so assists NATO in committing more war crimes, as we have seen since.
The ICTY has proven to be what we expected it to be, a kangaroo court, using fascist methods of justice that engaged in selective prosecution to advance the NATO agenda of conquest of the Balkans as a prelude to aggression against Russia. NATO uses the tribunal as a propaganda weapon to put out a false history of the events in Yugoslavia, to cover up its own crimes, to keep the former republics of Yugoslavia under its thumb, and to justify NATO aggression and occupation of Yugoslavian territory. It is a stain on civilization.
Christopher Black is an international criminal lawyer based in Toronto. He is known for a number of high-profile war crimes cases and recently published his novel “Beneath the Clouds. He writes essays on international law, politics and world events, especially for the online magazine “New Eastern Outlook.” where this article was originally published.
Featured image is from the author.
The original source of this article is Global ResearchCopyright © Christopher Black, Global Research, 2017
Портпаролка руског Министарства спољних послова Марија Захарова поновила је генералове речи 23. новембра:
„Морамо опет истаћи да је пресуда Међународног кривичног суда за бившу Југославију против Младића наставак политизованог и пристрасног односа који од почетка доминира радом Хашког трибунала“.
Младић и руска влада су у праву. Документ под називом „пресуда“ то доказује будући да звучи као пропагандни летак, а не процена једног суда. На преко 2.500 страна трио „судија“ непрекидно рецитује своју верзију догађаја од прве до последње странице. Одбрана се помиње само успутно.
Хашки трибунал (ICTY) одбацује тврдње да је пристрасни NATO суд, али то доказује од позивања првог сведока, који је поставио позорницу за оно што ће уследити. Човек по имену Ричард Батлер (на слици испод) позван је да сведочи о војним питањима и политичкој структури у Босни и Републици Српској. Представљен је као „војни стручњак“, што и јесте, али није независан. У тренутку свог сведочења био је члан Националне безбедносне агенције (NSA) САД, додељен Хашком трибуналу у својству сарадника. Тако је први сведок у случају против генерала Младића био двоструко пристрасан – радио је за америчке обавештајне службе, које су подржавале непријатеље генерала Младића и Југославије, и био члан особља тужилаштва. То је као да су NSA и тужилац истовремено сведочили против оптуженог. Батлерово сведочење имало је важну улогу у судском процесу, а исту улогу одиграо је и у суђењу генералу Крстићу.
ОД ЧЕГА СЕ САСТОЈЕ ДОКАЗИ ТУЖИЛАШТВА?
Потом се појављује други војни стручњак Рејнод Тионенс, такође члан особља тужилаштва. Експерти у кривичним поступцима требало би да буду потпуно неутрални. А он није говорио само у име тужилаштва; истовремено је био и обавештајни официр белгијске војске. NATO официри раде у Трибуналу. Ради се о NATO суду под маском УН. Сходно томе, у пресуди се не помињу злочини NATO и супротстављених босанских снага. Контекст је намерно постављен тако да пружа врло уску и искривљену слику догађаја.
Пресуда се наставља детаљним сведочењима сведока оптужбе. У исказима сведока одбране – у пар наврата где се помињу – не улази се у детаље. Сви сведоци одбране су одбачени као пристрасни ако се њихово сведочење не поклапа са сведочењима сведока оптужбе.
А од чега се састоје докази тужилаштва? Од вербалног сведочења NATO војних официра, који су тада радили за УН против генерала Младића и његових снага; од сведочења бошњачких војника и њихових породица; и од изјава сведока о „потврђеним чињеницама“, односно „чињеницама“ које доказале судије које су радиле на другим случајевима, без обзира да ли су тачне или нису. У великом броју случајева судије су рекле нешто типа – „одбрана тврди да се то и то није догодило и износи одређене доказе за ту тврдњу, али ти докази нису у складу са потврђеним чињеницама и због тога смо их одбили“.
У много случајева пресуда се ослања на гласине. Изнова и изнова, параграфи пресуде почињу речима „Сведоку је речено…“. Захваљујући корумпираним правницима, попут бившег канадског тужиоца Луиз Арбур, докази из друге или чак треће руке на овим суђењима узимани су за легитимне, док су у остатку света забрањени, јер сведочење из друге руке не може бити потврђено, односно не може бити проверена његова поузданост и прецизност.
Нисам био у могућности да посматрам велики део суђења – изузев с времена на време путем видео линка – па не могу да коментаришем све чињеничне налазе судија који се појављују у њиховој дугачкој и монотоној пресуди, којом се осуђују генерал Младић и српска влада. Они који су упознати са правом историјом догађаја разумеће да се у сваком параграфу пресуде налази ни мање ни више него иста она NATO пропаганда која је изношена још за време конфликта, само прилагођена да личи на пресуду.
ОЗБИЉАН ПРОБЛЕМ СВЕДОЧЕЊА
Јер то и није пресуда. Права пресуда у кривичном поступку требало би да садржи доказе тужиоца, доказе одбране и аргументе обе стране о тим доказима. Мора садржати упућивање на исказе сведока, како на оне изнете самостално, тако и на доказе изнете током унакрсног испитивања. Затим мора постојати образложена одлука судија о валидности сваке стране и њихових образложених закључака. Али тешко ћете успети да пронађете било какав траг доказа одбране у овом документу (мисли се на пресуду; прим. прев.). Нисам успео да пронађем ништа осим неколико референци у гомили параграфа и пар фуснота у којима се искази сведока одбране кратко помињу само да би били одбачени јер се не слажу са тужиочевом верзијом догађаја.
Још шокантније је што има мало референци о вербалним сведочењима, тј. исказима сведока. Уместо тога помињу се искази „експерата“ повезаних са CIA, Стејт департментом или неком другом NATO обавештајном агенцијом која је изнела своју верзију историје, коју судије безусловно прихватају. Не постоји ниједна референца о било каквим експертима одбране.
Сходно томе, од судија нема образложених закључака о томе зашто су одлучили да прихвате доказе оптужбе, али не и доказе одбране. Читајући ово, намеће се закључак да одбрана није ни била присутна, осим визуелно. То није пресуда.
Али постоји нешто још проблематичније у вези са овом „пресудом“. Није могуће закључити да ли су многи сведоци на које се пресуда позива сведочили лично, јер је мало референци о самом суђењу. Уместо тога, имамо безбројна позивања на разне документе и „изјаве сведока“.
То је важан фактор на оваквим суђењима јер се поставља питање да ли су изјаве сведока заиста постојале или се ради о наводним изјавама које су наводни сведоци дали истражитељима и адвокатима који раде за тужилаштво. Из других случајева познато је да ове изјаве често конструишу адвокати за кривично гоњење, као и истражитељи, и потом их представљају као „сведочења“ по сећању. Такође знамо да „сведоци“ често доспевају у центар пажње тужилаштва због индиција да су унајмљени за изношење лажног сведочења.
На Руандском трибуналу смо вршили агресивна унакрсна испитивања оваквих „сведока“, који би неизбежно бивали раскринкани јер нису могли да запамте скрипте које су им додељене. Такође смо их испитивали о састанку са особљем тужилаштва, како су рађени интервјуи и како су настале њихове изјаве. Резултат је био срамотан за тужилаштво, јер је постало очигледно да су били у дослуху са истражитељима с циљем да манипулишу, изврше притисак и утичу на „сведоке“, односно да су саучесници у лажном сведочењу.
Даље, важно је да свако ко чита ову „пресуду“ има могућност да се позове на странице у транскриптима где се налазе искази сведока, шта су сведочили и шта су рекли у унакрсном испитивању. Јер изјава није исто што и сведочење; то је само изјава.
САСТАНАК У ХОТЕЛУ ФОНТАНА
Изјава не може бити коришћена као доказ. За то је потребно да сведок уђе у судницу и под заклетвом каже шта је видео. Они тада могу бити испитивани како би се проверила поузданост сведока, евентуална пристрасност, кредибилитет итд. Али у овом случају имамо стотине референци на „изјаве сведока“. То указује да судије своју „пресуду“ нису засновале на сведочењима сведока (као што би био случај да су позивани да сведоче), већ на њиховим писаним изјавама које је припремило тужилаштво, без икаквог унакрсног испитивања одбране.
Из пресуде се уопште не може закључити да ли је иједан од реферисаних сведока заправо сведочио или није. Ако јесу, онда би требало да буде цитирано њихово сведочење, а не изјаве. Једина ваљана сврха изјава јесте да адвокате обавесте шта ће сведок вероватно рећи у судници и да представе случај тужилаштва како би одбрана могла да се припреми и те изјаве искористи током унакрсног испитивања сведока, упоређујући их са сведочењем под заклетвом.
Формула је једноставна. Сведок тужилаштва улази у судницу, бива замољен да каже шта је видео о одређеном догађају и потом одбрана испитује сведока.
„Господине Сведок, у вашој изјави, дана тог и тог, рекли сте то и то, али данас кажете ово. Хајде да истражимо ову противречност“.
Тако би требало да иде. Али у овом случају од тога нема ни трага.
Требало би написати књигу да се наведу сви проблеми са „суђењем“ који проистичу из ове пресуде. Један од репрезентативних примера односи се на Сребреницу и познати састанак који се у хотелу Фонтана у Братунцу одржао 11. јула 1995, на којем се генерал Младић срео са пуковником холандских миротвораца (ради се о Томасу Каремансу, заповеднику холандског батаљона; прим. прев.) како би се организовала евакуација цивила на подручју Сребренице и потенцијално полагање оружја 28. дивизије Армије БиХ. Постоји видео запис са тог састанка доступан на сајту Youtube.
Парафразирајући садржај снимка, види се како генерал Младић пита због чега су NATO авиони бомбардовали његове позиције и убијали његове људе. Пита због чега су снаге УН кријумчариле оружје за босанску војску. Пита због чега су снаге УН покушале лично да га убију. На свако од питања добија извињење од холандског официра. Потом га Младић пита жели ли да умре, на шта овај одговара одрично. Младић му реплицира да ни његови људи нису желели да умру и пита због чега је на њих пуцао. Нема одговора.
„ПРЕСУДА“ ЈЕ NATO ПОНИЖЕЊЕ ЗА СРБИЈУ
У остатку видеа дискутује се о плану за евакуацију града. Током дискусије Младић официрима УН нуди цигарете и вино да се спусти тензија. За мене као адвоката ово је кључни елемент одбране од оптужби за Сребреницу. Али у пресуди се ниједном не помиње тај видео. Уместо тога, позива се на сведочења неколико УН-NATO официра присутних на састанку који су тотално изокренули све што је речено. Нема индиција да је одбрана унакрсно испитала ове лажове уз помоћ снимка, по принципу „Господине, кажете да је речено то и то, али из снимка се види да нисте у праву. Како то коментаришете?“ Тога нема нигде. Да ли је то искоришћено па игнорисано од стране суда или уопште није коришћено? Не знам, али је јасно да се не налази у пресуди зато што би оборило цео случај. Јер чак и из овакве пресуде је јасно да су борци 28. дивизије одбили да положе оружје и да су почели да се пробијају ка Тузли. Већина их је погинула у борби. Многи су узети за затворенике. Део босанских сведока тврди да су ови затвореници масакрирани. Али њихово сведочење је било једно од оних „једини сам чудом преживео масакр“
(Message over 64 KB, truncated)
\n
https://www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo/posts/1601116269910924
Comitato Ucraina Antifascista Bologna, 27/11/2017
APPELLO IMPORTANTE IN ITALIANO E RUSSO
Cari compagni, per il prossimo Natale vi chiediamo un aiuto speciale:
Misha (Mihail Matvienko) è un giovane uomo di 22 anni, è nato e cresciuto a Donetsk, allevato dalla mamma e senza il papà. Studente del liceo e sportivo, nel maggio del 2014 si unisce al Battaglione Vostok per combattere il fascismo. Nel settembre del 2014 rimane gravemente ferito a causa dell\'esplosione di una mina e subisce l\'amputazione di entrambi i piedi e di una mano, purtroppo Misha perde anche la vista. Si trasferisce a Mosca, dove lo abbiamo incontrato, aiutato da alcuni volontari per sottoporsi a cure mediche. Attualmente frequenta l\'Università e coltiva il sogno di ritornare a Donetsk, crearsi una famiglia ed aprire una scuola che formi i ragazzi alla educazione e al rispetto per gli altri.
Misha è solito ripetere: \" finché avrò sangue nelle vene non sono finito, la pace in Ucraina tornerà solo quando il popolo avrà consapevolezza che c\'è la guerra.\"
Decorato con due medaglie al valore per il suo coraggio e la difesa dello storico monumento di Saur Mogila, ha un animo cosacco che lo aiuta ad affrontare le durezze della vita.
Misha ha bisogno della nostra solidarietà, una importante operazione all\'occhio potrebbe ridonargli la vista.
Compagni, sottoscrivete, contattateci in privato o versate un aiuto concreto sul conto:
CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
IBAN: IT 40 U 07601 03200 000088411681. Causale \"Per Misha\".
Grazie
Миша (Mihail Matvienko) - молодой человек, 22-ух лет. Родился и вырос в Донецке. До войны учился, работал и занимался спортом, как и большинство молодых людей, его возраста.
В мае 2014 вступил в батальон \" Восток \" и воевал против фашистов. В сентябре того же года, в результате минно - взрывного ранения, Миша получил тяжелые увечья : ампутация обеих нижних конечностей, ампутация правой кисти, потеря зрения , частичная потеря слуха. Благодаря неравнодушным людям, с целью получения медицинской помощи, Миша был приглашен в Москву, где и проживает вместе с мамой. В этом году он поступил в один из Московских вузов на факультет психологии.
Награжден двумя медалями : \" За боевые заслуги \", \" Защитнику Саур-Могилы \".
Справляться с жизненными трудностями Мише помагает козацкий дух, вера в добро и справедливость. Мечтает вернуться в Донецк, снова видеть, создать семью.
Сейчас Мише необходима наша поддержка и солидарность. Товарищи, друзья подписывайтесь или пишите в личные сообщения.
Спасибо!
\"Война на Украине закончится тогда, когда люди наконец поймут, что идет война \". ( Миша )
Il programma: https://www.facebook.com/events/1589719677755710/
★ Alle 17.00 interverrà la redazione della rivista #Antitesi con la presentazione della seconda parte del nuovo numero \"Comunisti: imparare dal passato, agire nel presente, trasformare il futuro\", all\'interno dell\'assemblea-dibattito \"La Rivoluzione d\'Ottobre e noi\" sull\'attualità degli insegnamenti dell\'esperienza sovietica nella fase attuale.
★ Alle 20.00 saremo in compagnia dell\'Associazione Nova Harmonia per una cena popolare, il cui ricavato sarà devoluto in solidarietà alle popolazioni del Donbass. (Per la cena è gradita la conferma della partecipazione entro venerdì 1).
★ Alle 21.30 si terrà una performance audio-visiva: verrà proiettata la pellicola \"Ottobre\" del maestro Sergej Michajlovič Ėjzenštejn con la risonorizzazione live a cura del Collettivo Foa Boccaccio 003.
La memoria di ieri per la lotta di oggi!
Partecipa e diffondi.
\n
Queste fabbriche di sfruttamento offrono lavoratori economici, anche se qualificati e professionali. Troppo spesso i salari mensili della maggior parte della forza lavoro femminile raggiungono appena la soglia del salario minimo legale, che varia dagli 89 euro in Ucraina ai 374 euro in Slovacchia. Ma il salario dignitoso, quello che permetterebbe a una famiglia di provvedere ai bisogni primari, dovrebbe essere quattro o cinque volte superiore e in Ucraina, ad esempio, questo vorrebbe dire guadagnare almeno 438 euro al mese.
I salari minimi legali in questi Paesi sono attualmente al di sotto delle loro rispettive soglie di povertà e dei livelli di sussistenza. Le conseguenze sono terribili. “A volte semplicemente non abbiamo niente da mangiare”, ha raccontato una lavoratrice ucraina. “I nostri salari bastano appena per pagare le bollette elettriche, dell’acqua e dei riscaldamenti” ha detto un’altra donna ungherese.
Le interviste a 110 lavoratrici e lavoratori di fabbriche di abbigliamento e calzature in Ungheria, Ucraina e Serbia hanno rivelato che molti di loro sono costretti ad effettuare straordinari per raggiungere i loro obiettivi di produzione. Ma nonostante questo, difficilmente riescono a guadagnare qualcosa in più del salario minimo.
Molti degli intervistati hanno raccontato di condizioni di lavoro pericolose come l’esposizione al calore o a sostanze chimiche tossiche, condizioni antigieniche, straordinari forzati illegali e non pagati e abusi da parte dei dirigenti. I lavoratori intervistati si sentono intimiditi e sotto costante minaccia di licenziamento o trasferimento.
Quando i lavoratori serbi chiedono perché durante la calda estate non c’è aria condizionata, perché l’accesso all’acqua potabile è limitato, perché sono costretti a lavorare di nuovo il sabato, la risposta è sempre la stessa: “Quella è la porta”.
“Ci pare evidente che i marchi internazionali stiano approfittando in maniera sostanziosa di un sistema foraggiato da bassi salari e importanti incentivi governativi” dichiara Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign. “In Serbia, ad esempio, oltre ad ingenti sovvenzioni, le imprese estere ricevono aiuti indiretti come esenzione fiscale fino a per dieci anni, terreni a titolo quasi gratuito, infrastrutture e servizi. E nelle zone franche sono pure esentate dal pagamento delle utenze mentre i lavoratori fanno fatica a pagare le bollette della luce e dell’acqua, in continuo vertiginoso aumento” continua Deborah Lucchetti.
Le fabbriche citate nel rapporto producono tutte per importanti marchi globali: tra questi troviamo Benetton, Esprit, GEOX, Triumph e Vera Moda. La Campagna Abiti Puliti chiede ai marchi coinvolti di adeguare i salari corrisposti al livello dignitoso e di lavorare insieme ai loro fornitori per eliminare le condizioni di lavoro disumane e illegali documentate in questo rapporto.
Scarpe e abiti, la nuova frontiera della schiavitù è Made in Europa (di Patrizia De Rubertis, su Il Fatto Quotidiano del 27 novembre 2017)
Salari sotto la soglia di povertà e trattamento disumano: è quello che accade in molte aziende dell’Est che riforniscono il mercato italiano, secondo il report di “Abiti Puliti”. “Quando ho detto alla mia supervisore che non riuscivamo a respirare perché in fabbrica c’erano più di 30 gradi in fabbrica, lei ha preso il tubo di scarico della macchina e me l’ha puntato in faccia. E m’ha detto ‘Arrangiatevi, c’è un sacco di gente pronta a sostituirvi’...
\n
L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci (il manifesto, 21 novembre 2017)
Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri.
Che cosa sia lo spiega il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Partecipando al Consiglio degli affari esteri dell’Unione europea, egli sottolinea «l’importanza, evidenziata da tanti leader europei, che la Difesa europea debba essere sviluppata in modo tale da essere non competitiva ma complementare alla Nato». Il primo modo per farlo è che i paesi europei accrescano la propria spesa militare: la Pesco stabilisce che, tra «gli impegni comuni ambiziosi e più vincolanti» c’è «l’aumento periodico in termini reali dei bilanci per la Difesa al fine di raggiungere gli obiettivi concordati».
Al budget in continuo aumento della Nato, di cui fanno parte 21 dei 27 stati della Unione europea, si aggiunge ora il Fondo europeo della Difesa attraverso cui la Ue stanzierà 1,5 miliardi di euro l’anno per finanziare progetti di ricerca in tecnologie militari e acquistare sistemi d’arma comuni. Questa sarà la cifra di partenza, destinata a crescere nel corso degli anni.
Oltre all’aumento della spesa militare, tra gli impegni fondamentali della Pesco ci sono «lo sviluppo di nuove capacità e la preparazione a partecipare insieme ad operazioni militari».
Capacità complementari alle esigenze della Nato che, nel Consiglio Nord Atlantico dell’8 novembre, ha stabilito l’adattamento della struttura di comando per accrescere, in Europa, «la capacità di rafforzare gli Alleati in modo rapido ed efficace». Vengono a tale scopo istituiti due nuovi comandi. Un Comando per l’Atlantico, con il compito di mantenere «libere e sicure le linee marittime di comunicazione tra Europa e Stati uniti, vitali per la nostra Alleanza transatlantica».
Un Comando per la mobilità, con il compito di «migliorare la capacità di movimento delle forze militari Nato attraverso l’Europa». Per far sì che forze ed armamenti possano muoversi rapidamente sul territorio europeo, spiega il segretario generale della Nato, occorre che i paesi europei «rimuovano molti ostacoli burocratici». Molto è stato fatto dal 2014, ma molto ancora resta da fare perché siano «pienamente applicate le legislazioni nazionali che facilitano il passaggio di forze militari attraverso le frontiere». La Nato, aggiunge Stoltenberg, ha inoltre bisogno di avere a disposizione, in Europa, una sufficiente capacità di trasporto di soldati e armamenti, fornita in larga parte dal settore privato.
Ancora più importante è che in Europa vengano «migliorate le infrastrutture civili – quali strade, ponti, ferrovie, aeroporti e porti – così che esse siano adattate alle esigenze militari della Nato».
In altre parole, i Paesi europei devono effettuare a proprie spese lavori di adeguamento delle infrastrutture civili per un loro uso militare: ad esempio, un ponte sufficiente al traffico di pullman e autoarticolati dovrà essere rinforzato per permettere il passaggio di carrarmati.
Questa è la strategia in cui si inserisce la Pesco, espressione dei circoli dominanti europei che, pur avendo contrasti di interesse con quelli statunitensi, si ricompattano nella Alleanza atlantica sotto comando statunitense quando entrano in gioco gli interessi fondamentali dell’Occidente messi in pericolo da un mondo che cambia.
Ecco allora spuntare la «minaccia russa», di fronte alla quale si erge quella «Europa unita» che, mentre taglia le spese sociali e chiude le sue frontiere interne ai migranti, accresce le spese militari e apre le frontiere interne per far circolare liberamente soldati e carrarmati.
Un nuovo tratto ferroviario dedicato al trasporto di armi e munizioni da e per la base nord americana.
La costruzione di un ponte girevole sul canale dei Navicelli per agevolare il trasporto delle stesse verso il porto di Livorno.
L’abbattimento di 1.000 alberi per realizzare il progetto.
Tutto questo accompagnato dalla insopportabile ipocrisia di una classe politico/amministrativa (locale e regionale) che racconta di essere rimasta all\'oscuro del progetto per lungo tempo.
In questi anni le Giunte PD Filippeschi e Rossi hanno costruito “ponti d’oro” per il Pentagono, coadiuvando in tutti i modi il potenziamento di quella base di guerra, che dal dopoguerra ad oggi ha contribuito alla morte di milioni di persone nell’immenso raggio d’azione delle truppe USA / NATO. La lista dei paesi e dei popoli colpiti dalle micidiali armi di distruzione di massa che partono da quella base è così lunga che occorrerebbe un documento a parte. Le ultime vittime in ordine di tempo (centinaia di migliaia) sono libiche, siriane, yemenite, che dopo le aggressioni militari continuano a morire nei deserti e nei mari attraversati per fuggire ai bombardamenti.
La strategia di guerra e di morte della NATO e degli USA non cambia da una amministrazione all’altra. Obama e Trump in questo pari sono. Cambiano le forme, non la sostanza.
L’amministrazione Trump è l’espressione della debolezza di un sistema imperialista in declino, che usa la forza militare per tentare di perpetuare una centralità persa sul terreno economico e dell’egemonia a livello internazionale.
Le basi militari come camp Darby sono strumenti di guerra e controllo territoriale, di ingerenza diretta statunitense non solo sull’Italietta di Gentiloni/Renzi, ma soprattutto contro l’Unione Europea, che si sta emancipando economicamente e militarmente dagli USA. La cosiddetta “Cooperazione Strutturata Permanente sulla Difesa” firmata da 23 paesi UE lo scorso 12 novembre a Bruxelles è un ulteriore tassello nella costruzione di un esercito europeo che aumenta la distanza e lo scontro tra i due colossi imperialisti.
Le popolazioni locali (non solo di Pisa e Livorno ma di tutto il paese) subiscono da decenni la presenza di camp Darby, che mette in costante pericolo la nostra incolumità fisica, oltre ad essere un onere costante per le casse dello Stato, nonostante le chiacchiere sul finanziamento in dollari statunitensi di questa ultima ipotesi di ampliamento, che dovrebbe iniziare a dicembre.
Il movimento contro la guerra deve reagire, come ha fatto in questi anni, a questa ulteriore opera di potenziamento militare e di distruzione dell’ecosistema di Tombolo, territorio che deve tornare sotto il controllo della sovranità popolare locale, allontanando definitivamente le truppe e le armi USA dai nostri territori.
Il PD e il codazzo bipartisan di partiti che sostengono queste opere di devastazione umana e ambientale vanno indicate come nemiche della pace, smascherando le ipocrite campagne mediatiche che nascondono l’evidenza del loro ruolo.
Per la chiusura immediata della base USA di camp Darby e la sua riconversione a scopi civili, per l’uscita dell’Italia dalla NATO, contro l’imperialismo USA e l’imperialismo della Unione Europea.
Su questi obiettivi la Rete dei Comunisti scenderà in piazza insieme a tutte le forze politiche, sociali e sindacali coerentemente schierate contro la guerra.
\n
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/881-presuda-novog-svetskog-neporetka.html
https://srebrenica711.wordpress.com/2017/11/23/lynchjustiz-am-icty-in-den-haag/
All\'AntiDiplomatico Cristopher Black rivela: \"L’ICTY è un tribunale fantoccio che ha utilizzato metodi fascisti di giustizia per attuare l\'agenda Nato di conquista dei Balcani\"
Tutti i mezzi di informazione di massa hanno dato ieri e per l’intera giornata la notizia della condanna da parte del tribunale delle Nazioni Unite del generale Ratko Mladic. I giudici del Tribunale Onu hanno ritenuto colpevole il generale serbo della maggior parte delle accuse risalenti alla guerra del 1992-1995, in particolare il famigerato massacro di Srebrenica. Mladic si era sempre dichiarato non colpevole di tutte le accuse.
Come AntiDiplomatico abbiamo ascoltato per un commento Cristopher Black, canadese, uno dei giuristi penali internazionali più importanti al mondo e colui che per anni è stato il legale che ha difeso l’ex presidente serbo Slobodan Milosevic dalle accuse mossegli dallo stesso Tribunale ONU. In pochi conoscono la storia del Tribunale per l\'ex Jugoslavia come lui.
Signor Black, il Tribunale criminale internazionale per le Nazioni Uniti ha condannato all’ergastolo per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra il generale Ratko Mladic. Quali sono i suoi primi commenti?
C.B. Si tratta di un’altra umiliazione per la Jugoslavia e la Serbia da parte della Nato. E’ chiaro a tutti che dalla sua creazione, dal finanziamento, dai metodi e dall’arruolamento del personale che questo è stato un Tribunale della Nato. Quello che dico è confermato da quanto dichiarava ieri poco dopo la lettura del verdetto proprio il Segretario Generale delle Nazioni Unite che ha detto di ‘accogliere positivamente la decisione… i Balcani occidentali sono di importanza strategica per la nostra Alleanza’.
In altre parole, questa condanna aiuta la Nato a consolidare la sua presa sui Balcani, tenendo i serbi e i socialisti intimiditi e sottomessi. Il Generale Mladic è un capro espiatorio per i crimini di guerra dell’Alleanza Atlantica. Crimini commessi in tutta la Jugoslavia che il Tribunale ONU ha coperto. L’ICTY ha in questo modo agevolato la Nato a commettere ulteriori crimini di guerra da allora.
Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, il giordano Zeid Raad al-Hussein, \"Mladic è l’incarnazione del Male, ma non è scappato alla giustizia”. Quale è la sua opinione di Mladic nel lungo studio che ha compiuto sui fatti tragici accorsi in Ex Jugoslavia?
C.B.: Il Generale Mladic è un soldato falsamente accusato dal Tribunale della Nato. E questo perché ha cercato di difendere il suo popolo da un’aggressione. Lui è, come ho detto in precedenza, il capro espiatorio per coprire i crimini della NATO. E’ un uomo che ha avuto il coraggio di combattere il male, vale a dire l’impero della Nato e i suoi alleati locali. E’ una vittima.
Come ex legale di Milosevic, come giudica il lavoro del Tribunale ad hoc per i crimini commessi in ex Jugoslavia che, dopo la sentenza Mladic, si scioglierà tra pochi giorni?
C.B.: L’ICTY si è dimostrato essere esattamente quello che doveva essere, un tribunale fantoccio che ha utilizzato metodi fascisti di giustizia e che si è impegnato nel portare avanti un processo selettivo per attuare l\'agenda della NATO di conquista dei Balcani. E questo come preludio all\'aggressione contro la Russia che stiamo osservando in questi giorni. Quello che i media non scrivevano ieri nel racconto che hanno dato del verdetto Mladic è che la Nato ha utilizzato il tribunale come un mezzo di propaganda per fabbricare una storia assolutamente falsa sugli eventi, al fine di coprire i suoi crimini, per mantenere le ex repubbliche di Jugoslavia sotto il suo dominio e per giustificare quell\'aggressione e l\'occupazione. E’ un’onta per tutta la civiltà.
Alessandro Bianchi
Mit deutlicher Kritik haben langjährige Beobachter der Ereignisse, Prozesse und Hintergründe beim Zerfall Jugoslawiens auf das Urteil des UN-Sondertribunals in Den Haag vom Mittwoch gegen den ehemaligen bosnisch-serbischen Militärchef Ratko Mladic reagiert. Dieser wurde zu lebenslanger Haft verurteilt, weil der heute 75-Jährige des Völkermordes, Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit während des Bosnien-Krieges (1992 bis 1995) schuldig sei. Der Ex-General war in elf Fällen angeklagt worden. Dazu zählte laut den Berichten die Ermordung von 8000 muslimischen Jungen und Männern in Srebrenica, die vom UN-Tribunal als Völkermord eingestuft wurde.
Es war der letzte Völkermord-Prozess des Tribunals. Ende des Jahres wird das Gericht laut der Nachrichtenagentur dpa nach 24 Jahren seine Arbeit abschließen. Wegen des angeblichen Völkermordes in Srebrenica waren mit Mladic 16 Personen schuldig gesprochen worden.
„Kriegsbefürworter und Kriegstreiber zufriedengestellt“
Für unbedarfte Zuschauer klinge das Urteil „eigentlich gerecht“, schätzte der österreichische Journalist und Verleger Hannes Hofbauer gegenüber Sputnik ein.
„Es ist aber nicht gerecht“, fügte der langjährige Beobachter der Entwicklung auf dem Balkan hinzu. Das UN-Tribunal sehe nur „auf einem Auge scharf, nämlich auf dem serbischen Auge, und ist auf allen anderen Augen blind“.
Für Klaus Hartmann handelt es sich um ein „Skandalurteil auf Basis vorgefasster Meinungen“. Der Bundesvorsitzende des Deutschen Freidenker-Verbandes hat die Vorgänge seit Jahren verfolgt und die Verfahren in Den Haag wie das gegen den ehemaligen jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic deutlich kritisiert. Das Tribunal sei auch gegen Mladic einseitig der Nato-Auffassung gefolgt und habe in allen Verfahren einseitig antiserbisch entschieden, erklärte er gegenüber Sputnik. Dazu gehöre, dass die Rolle der Nato in den jugoslawischen Teilungs-Kriegen in den 1990er Jahren nicht hinterfragt worden sei.
Unterlassene Fragen nach Rolle der Nato
Hofbauer verwies darauf, dass in dem Krieg Morde und Überfälle nicht nur von einer Seite erfolgten. So hätten kroatische Einheiten 1995 die UN-Schutzzone „Sektor West“ in Slawonien überfallen, was nie thematisiert worden sei. Das zeige, dass es sich um „ein ungleichgewichtiges Tribunal“ handele. Freidenker Hartmann widersprach unter anderem der vom Gericht behaupteten Belagerung Sarajevos durch die bosnischen Serben:
„Es wird negiert, dass Sarajevo in diesen Jahren immer eine geteilte Stadt war, in der Serben und Kroaten und bosnische Muslime in unterschiedlichen Stadtteilen wohnten und, aufeinander gehetzt, sich gegenseitig beschossen haben. Eine Belagerung fand in dieser Hinsicht nie statt.“
Der Freidenker-Vorsitzende betonte, der Vorwurf, Mladic habe befohlen, UN-Blauhelme als menschliche Schutzschilde gegen Nato-Bomben zu missbrauchen, sei konstruiert. Das unterlasse die Frage, ob die Nato-Bombenangriffe 1994 völkerrechtlich legitimiert waren. „Es gab für nichts dergleichen einen UN-Sicherheitsratsbeschluss.“
Merkwürdiger „Kronzeuge“ für Srebrenica
Hartmann ging ebenso darauf ein, dass Mladic die mutmaßlichen Massaker von Srebrenica 1995 mit angeblich etwa 8000 Toten und „Völkermord“ vorgeworfen wurden. Letzteres sei 2010 nach einer Klage Bosnien-Herzegowinas vom Internationalen Gerichtshof (IGH) in Den Haag nur für diesen einen Fall bestätigt worden, allerdings ohne jegliche eigene Ermittlungen.
Das UN-Sondertribunal stütze sich bei den Vorwürfen zu Srebrenica auf allein ein Verfahren und die immer wieder voneinander abweichenden Aussagen eines einzigen „Kronzeugen“ namens Drazen Erdemovic, stellte Hartmann klar. Erdemovic habe als bosnischer Muslim auf Seiten der Serben gekämpft. Dabei gebe es die „verblüffende Situation“, dass kein einziger von ihm benannter angeblicher Mittäter verhaftet und befragt worden sei. Es handele sich um einen „merkwürdigen, gekauften Zeugen“. Als Slobodan Milosevic in seinem Verfahren 2003 Erdemovic befragen wollte, habe der vorsitzende Richter das untersagt.
Das sei für ihn kritikwürdig. Alle Beteiligten in dem bosnischen Bürgerkrieg von 1992 bis 1995 seien darauf aus gewesen, die jeweils andere Bevölkerung von ihren jeweiligen Gebieten zu vertreiben und auch zu vernichten. „Das ist kein Alleinstellungsmerkmal eines Bürgerkrieges.“ Für Hofbauer ist es „ungerecht, das nur einer Seite vorzuwerfen“. Niemand von der kroatischen, der bosnisch-muslimischen und auch der albanisch-kosovarischen Seite sei vor Gericht gestellt worden.
„Gericht im Auftrag der Nato und privater Finanziers“
Freidenker Hartmann bezeichnete das Tribunal in Den Haag als „voreingenommenes Gericht, das im Auftrag der Nato agiert“. Das bestätigte Hofbauer: „Das, was die Nato, Deutschland und die USA voran, in dem jugoslawischen Zerfallsprozess gemacht haben, nämlich sich auf eine Seite zu stellen, die immer antiserbisch war, das haben sie dann mit diesem Jugoslawien-Tribunal juristisch untermauert.“
Hartmann stellte fest: „Man kann einfach jedes Operettentribunal hier im Hinterzimmer einer Gaststätte gründen. Hauptsache ist, man platziert es in Den Haag und schon profitiert es vom Nimbus dieser Stadt, weil dort eine Reihe von internationalen legalen Gerichten tätig sind.“ Das Sondertribunal zu Jugoslawien sei ein „illegales Gericht“, weil es vom UN-Sicherheitsrat einberufen wurde. Das dürfe dieses Gremium laut UN-Charta aber überhaupt nicht, stellte Hartmann klar.
Nur die UN-Vollversammlung könne internationale Gerichte in Kraft setzen und begründen. Mit dem Sondertribunal seien rechtliche Grundsätze verletzt worden, auch durch sein einseitiges Vorgehen gegen die serbische Seite. Die Nato sei nicht nur Auftraggeber, sondern auch Nutznießer. Zudem dürften UN-Gremien nicht privat finanziert werden, was in diesem Fall aber geschehen sei. Auch die „Open Society Foundation“ von George Soros und die Rockefeller-Stiftung hätten dabei mitgemacht, erinnerte Hofbauer. Es sei die Frage, wie solche Quellen, die die Teilung Jugoslawiens unterstützten solch ein Tribunal mitfinanzieren können. Diese „Schieflage dokumentieren die Prozesse“, so der Journalist.
Für Hartman schreibt das Urteil gegen Mladic „Unrechts-Geschichte“, mit dem „die Kolonialgerichtsbarkeit der Nato über ungehorsame Staaten zum Vorbereiten ihrer Zerschlagung, Entmachtung und des Regime-Changes bekräftigt und beglaubigt“ werde. Der Freidenker-Vorsitzende hob hervor: „Es ist ein Bruch des Rechts und hat nichts zu tun mit den Nürnberger Kriegsverbrecherprozessen. Wer das in diese Reihe stellt, verharmlost den Faschismus in Deutschland.“
Tilo Gräser
Das Interview mit Klaus Hartmann, Freidenker-Verband, zum Nachhören: https://soundcloud.com/sna-radio/skandalurteil-gegen-mladic-illegales-tribunal-im-auftrag-der-nato
\n
http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giulietto-chiesa/52584-quelli-che-non-condannano-il-nazismo.html
Il ponziopilatismo UE e italiano sull’antinazismo
Con il voto contrario di USA e Ucraina, il Terzo comitato dell’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione proposta da Russia e altri 49 Paesi, tra cui Bielorussia, Venezuela, Egitto, India, Kazakhstan, RPDC, Cuba, Serbia, Siria e Sud Africa, contro la eroicizzazione di nazismo, neonazismo e altre pratiche di discriminazione.
La risoluzione esprime profonda preoccupazione per la celebrazione degli ex membri delle Waffen SS e “i continui tentativi di deturpare o distruggere i monumenti dedicati a quanti lottarono contro il nazismo durante la Seconda guerra mondiale”. Si lancia anche l’allarme sulla progressiva attività di raggrumanti neonazisti e “sul numero crescente di posizioni di rilievo occupate da rappresentanti di partiti razzisti o xenofobi in tutta una serie di assemblee legislative nazionali e locali”.
A favore della risoluzione hanno votato 125 Paesi; tra i 51 astenuti: gli immancabili Paesi della UE, insieme a Turchia, Georgia, Australia e altri. La risoluzione verrà esaminata dall’Assemblea generale ONU il prossimo dicembre.
Chiarissimo il riferimento alla situazione dell’Ucraina golpista e non manca nemmeno quello, evidentemente, alla Polonia nazionalista, in cui da tempo si stanno distruggendo uno a uno i monumenti eretti ai caduti dell’Armata Rossa per la liberazione dal nazismo.
Intanto, Der Spiegel pubblica l’ennesimo allarme a proposito del battaglione neonazista ucraino “Azov”, lanciato alla “salvezza dell’Europa” e alla “sua nuova conquista”, con i propri ranghi rafforzati da neonazisti tedeschi e di altri Paesi europei. Secondo la rivista tedesca, il lavorio propagandistico svolto negli ultimi tre anni da “Azov” gli avrebbe assicurato la crescita da circa 850 agli attuali 2.500 membri.
Discreto successo sembra aver avuto la campagna di reclutamento condotta lo scorso luglio in Germania: durante il festival Rechtsrock dell’estrema destra a Themar, in Turingia, cui hanno partecipato oltre seimila persone, “Azov” ha distribuito volantini con il richiamo a “entrare nelle file dei migliori” .
In aggiunta al servizio di Der Spiegel, Dmitrij Rodionov ricorda su Svobodnaja Pressa come lo scorso anno la polizia brasiliana avesse condotto un’operazione nello stato di Rio Grande do Sul contro reclutatori di “Azov” e neonazisti locali che si apprestavano a partire per il Donbass. Nel maggio scorso, addirittura la Camera dei rappresentanti del Congresso USA aveva proposto di vietare all’Ucraina di devolvere i fondi occidentali al battaglione neonazista e di proibire agli istruttori militari di addestrarne gli affiliati. Cosa, evidentemente, difficile da prendere sul serio, dato che da anni, molto prima ancora del golpe del febbraio 2014 – anzi: proprio in vista di tale svolta – istruttori non solo USA, ma anche di altri Paesi occidentali, stanno addestrando le forze dell’Ucraina golpista, compresi reparti di diversi battaglioni neonazisti, accusati di crimini di guerra anche da organizzazioni non certo “comuniste”, quali Human Rights Watch и Amnesty International.
E la “conquista dell’Europa” non è solo un’espressione figurata. Secondo il politologo Igor Šatrov, da quando “le operazioni nel Donbass si sono convertite per lo più in un conflitto di posizione, diversi elementi dei battaglioni, tra cui “Azov” si sono portati in Europa in cerca di nuove occasioni per mostrare il proprio “talento”, tanto che anche Der Spiegel è stata costretta a notarlo”. Purtroppo, continua Šatrov, in molti paesi europei “la retorica ufficiale incoraggia la diffusione dell’ideologia neofascista, con il ripetersi dell’idea di nazioni superiori ad altre, di sistemi sociali, economici e politici superiori ad altri ecc.”.
Per quanto riguarda specificamente il battaglione (ora reggimento) “Azov”, sorto dal programma “Patriota ucraino”, il politologo Eduard Popov ricorda come, già nel 2009, si diffondesse “la strategia di una confederazione di popoli centro-europei, formata da Ucraina, Bielorussia, stati baltici e balcanici e la successiva unione con i radicali dell’Europa occidentale, che a loro volta avrebbero preso il potere con “rivoluzioni nazionali”. Quando “Azov” guerreggiava nel Donbass” continua Popov, “lo si ignorava. Ora che gli adepti del “führer” Andrej Biletskij dilagano anche in Germania, i media tedeschi cominciano a preoccuparsi. E bisogna sottolineare che non si tratta di nazionalisti, bensì di aperti nazisti”.
Secondo Popov, gran parte dei reclutati da “Azov”, oltre che dalla Germania, proviene dai paesi scandinavi. Per quanto riguarda altri paesi europei, raggruppamenti di destra, ad esempio greci o cechi: è noto che si sono sempre espressi contro majdan. Sembra invece che un certo sostegno ad “Azov” venga dall’Italia. Nessuna meraviglia, in un paese in cui si inaugurano mausolei ai più feroci “eroi” del ventennio fascista, in cui amministrazioni socialfasciste intitolano strade e piazze agli esponenti moderni del neofascismo e neonazismo italico; in cui le massime autorità repubblicane firmano protocolli d’intesa con rappresentanti, come scritto ora nella risoluzione ONU, “di partiti razzisti o xenofobi” che occupano “posizioni di rilievo” in “assemblee legislative nazionali e locali”; un paese in cui partiti che legiferano e attuano oltreconfine pratiche da lager, hanno eliminato dalle proprie piattaforme – in modo conseguente, verrebbe da dire – ogni riferimento all’antifascismo.
Nessuna meraviglia nemmeno per un paese, l’Ucraina appunto, in cui la pratica neonazista è attuata contro la propria stessa popolazione e in cui, come riporta la rivista Luxembourg Herald, Marina Porošenko, consorte del golpista N° 1, riesce, tramite l’apparato presidenziale e la società “Ucraina forte”, a dirottare sui conti di compagnie offshore e imprese private la cosiddetta beneficienza internazionale per i bimbi ucraini orfani o invalidi.
Nel giro di pochissimi giorni, l’Italia è così riuscita a incamerare da parte dell’ONU una bacchettata diretta, per una politica che, nei deserti nordafricani, riecheggia in stile moderno strategie imperiali di funesta memoria e un’altra indiretta, per strette di mano e accordi ufficiali con gli eredi moderni degli scagnozzi del Drittes Reich. Avanti così…
ONU, 16 novembre/TASS/. Il terzo comitato dell\'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, giovedì ha maggioranza ha approvato la risoluzione presentata dalla Russia sulla lotta alla glorificazione del neonazismo e altri tipi di discriminazioni, respingendo l\'appello degli Stati Uniti di modificare sostanzialmente il testo del documento. Come l\'anno scorso, contro la risoluzione si sono espressi solamente due paesi: Stati Uniti ed Ucraina.
– Una squadra di sabotatori Ukrop intercettata e neutralizzata mentre tentava di infiltrarsi a Jalaboch
Le confessioni di Revazishvilli e di altri due georgiani - raccolte da chi scrive nel documentario «Ucraina, le verità nascoste» andato in onda il 15 Novembre 2017 sul programma italiano Matrix, svelano ancora una volta quella verità che i mass media occidentali hanno per anni colpevolmente taciuto e nascosto. La verità di una strage ordita e attuata dalla stessa opposizione che accusò Yanukovich e i suoi alleati russi, una opposizione farlocca legata mani e piedi ai servizi di intelligence USA. Revazishvilli e i suoi due compagni - incontrati e intervistati nel documentario - sono un ex membro dei servizi di sicurezza dell\'ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili e due ex militanti del suo stesso partito. Ingaggiati a Tbilisi da Mamuka Mamulashvili consigliere militare di Saakashvili vengono incaricati di appoggiare - assieme ad altri “volontari” georgiani e lituani - le dimostrazioni in corso a Kiev in cambio di un compenso finale di 5mila dollari a testa...
Nel 2014 in Ucraina morirono 80 persone. Le accuse contro il fronte anti Yanukovich
KIEW/BERLIN(Eigener Bericht) - Vier Jahre nach dem Beginn der Maidan-Proteste werden schwere Vorwürfe gegen führende Aktivisten der damaligen prowestlichen Regierungsgegner laut. Demnach sind die Scharfschützen-Morde, die am 20. Februar ein Massaker auf dem Maidan auslösten, von der damaligen Opposition in Auftrag gegeben und mit praktischer Hilfe vorbereitet worden. Dies berichten drei Georgier, die sich selbst der Tatbeteiligung bezichtigen, gegenüber italienischen Medien. Ihre Aussagen bestätigen frühere, zum Teil öffentlich getätigte Geständnisse weiterer Scharfschützen. Während die ukrainischen Behörden untätig bleiben, ist in dieser Woche der vierte Jahrestag des Protestbeginns in Kiew begangen worden - in einem Land, dessen Bevölkerung sich einer Umfrage zufolge zu mehr als drei Vierteln in Zerfall und Chaos versinken sieht. Die Macht der ukrainischen Oligarchen ist ungebrochen; die Korruption nimmt überhand. Lediglich antirussische Maßnahmen werden mit Erfolg exekutiert, darunter auch solche, die massive Einschränkungen der Pressefreiheit mit sich bringen.
Die Macht der Oligarchen
Vier Jahre nach dem Beginn der Maidan-Proteste am 21. November 2013 dauern die Missstände, die damals zu den Auslösern der Demonstrationen zählten, in der prowestlich gewendeten Ukraine an. Dies gilt unter anderem für die ungebrochene Macht der ukrainischen Oligarchen. Bereits vor einem Jahr stellten Experten fest, dass sich zwar Verschiebungen zwischen den unterschiedlichen Oligarchenfraktionen vollzogen hatten (german-foreign-policy.com berichtete [1]). Das ändere jedoch, hieß es, nichts daran, dass sie weiterhin die Kiewer Politik in hohem Maß unter Kontrolle hätten. Aktuelle Untersuchungen bestätigen das. In den vergangenen zwei Jahrzehnten habe sich gezeigt, \"dass die periodischen politischen Regimewechsel in der Ukraine nur eine begrenzte Wirkung auf das oligarchische System gehabt\" hätten, urteilen etwa die Autoren einer Analyse der Swedish International Development Cooperation Agency (Sida). Auch nach dem Umsturz vom Februar 2014 beherrschten Oligarchen \"strategische Wirtschaftszweige\"; so kontrollierten sie - nur ein Beispiel - rund 80 Prozent des Fernsehmarkts.[2] Bei dem Brüsseler Think-Tank Bruegel heißt es ebenfalls, nach dem Umsturz habe sich \"nicht viel geändert\"; der Einfluss mancher Oligarchen habe sich sogar noch verstärkt.[3] In der Tat lenkt seit 2014 mit Petro Poroschenko ein Oligarch ganz offiziell die Geschicke des Landes - als Staatspräsident.
Korruption und Fake News
Entsprechend hält die Korruption auf hohem Niveau an. Erst kürzlich ist - beispielsweise - ein Fall bekannt geworden, bei dem der Sohn von Innenminister Arsen Awakow Rucksäcke an die Armee verkaufte - für das Sechsfache des üblichen Preises. Von einem Schaden in einer sechsstelligen Euro-Höhe war die Rede. Als das Nationale Antikorruptionsbüro die Wohnung des Mannes durchsuchte, schritt die dem Innenminister unterstehende Nationalgarde ein und stoppte die Maßnahme - unter dem Vorwand, eine Bombendrohung für das Haus erhalten zu haben und nun die Wohnung räumen zu müssen.[4] Der Fall war im Vergleich zu anderen geringfügig. Mit scharfer Kritik meldet sich immer wieder Sergej Leschtschenko zu Wort, ein überzeugter Befürworter des Umsturzes, der von 2000 bis 2014 als investigativer Journalist für die prowestliche Tageszeitung Ukrainska Prawda arbeitete, sich danach ins ukrainische Parlament wählen ließ und dort dem Antikorruptionskomitee angehört. Im Parlament, berichtet Leschtschenko, \"liegt die Korruption in der Luft\"; das werde bei Abstimmungen über den Haushalt besonders deutlich: Dann dauerten \"die Parlamentssitzungen ... bis fünf Uhr morgens, weil die korrupten Interessen aller politischen Einflusszentren befriedigt werden müssen\".[5] Leschtschenko zufolge wird nicht nur die Generalstaatsanwaltschaft vom Präsidenten persönlich kontrolliert, sondern auch der Geheimdienst, der \"zivilgesellschaftliche Aktivisten, unabhängige Journalisten und Oppositionspolitiker\" überwacht und \"bei der Regelung von Unternehmenskonflikten\" eingreift. Ergänzend ist zur Diskreditierung von Kritikern unter anderem \"eine ukrainische Trollfabrik\" eingerichtet worden - \"ein Zentrum zur Produktion von fiktiven Internetnutzern und Fake-News für Informationsattacken gegen Regimegegner\".
Zerfall und Chaos
Oligarchenherrschaft und Korruption in unverändert desaströser sozialer und wirtschaftlicher Lage schlagen sich mittlerweile ganz erheblich auf die Stimmung in der ukrainischen Bevölkerung nieder. So sind lediglich 17 Prozent aller Ukrainer der Auffassung, im Land finde eine - wie auch immer zu definierende - \"Konsolidierung\" statt. 75 Prozent hingegen beschreiben die aktuelle Entwicklung als \"Zerfall\", während 85 Prozent die Lage schlichtweg als \"Chaos\" bezeichnen. 69 Prozent geben sich überzeugt, landesweite Proteste gegen die prowestliche Regierung seien ohne weiteres denkbar.[6] Die Zustimmung zur Amtsführung von Präsident Poroschenko ist dramatisch abgestürzt: Sie liegt aktuell nach verschiedenen Umfragen bei zwei bis sechs Prozent.[7]
Angriff auf die Pressefreiheit
Dabei bringt die ukrainische Regierung nicht nur mit ihrer Korruption, sondern auch mit so manchem antirussischen Exzess sogar ausländische Maidan-Sympathisanten gegen sich auf. So führte etwa die im Mai gefällte Entscheidung von Präsident Poroschenko, nicht nur russischen Fernsehsendern die Lizenzen in der Ukraine zu entziehen, sondern auch populäre russische soziale Netzwerke wie VKontakte (\"im Kontakt\") und Odnoklassniki (\"Klassenkameraden\") sowie den E-Mail-Provider mail.ru zu sperren, zu empörten Protesten: Die Menschenrechtsorganisation Human Rights Watch kritisierte die Maßnahme als \"zynische, politisch kalkulierte Attacke auf das Informationsrecht von Millionen von Ukrainern\"; Reporter ohne Grenzen klagte, es handle sich um einen \"nicht hinnehmbare[n] Angriff auf die Meinungs- und Pressefreiheit\".[8] Kiew hat zudem vor kurzem ein neues Sprachengesetz verabschiedet, das den Gebrauch von Minderheitensprachen im Land empfindlich einschränkt. Vor allem trifft dies die russischsprachige Minderheit, die auch nach der Abspaltung der Krim und von Teilen der Ostukraine noch recht zahlenstark ist. Weil die Maßnahme allerdings unter anderem auch die ungarischsprachige Minderheit in der Ukraine trifft, hat die ungarische Regierung angekündigt, Kiews Annäherung an die EU und die NATO bis zur Rücknahme des Gesetzes zu blockieren.
Im Auftrag prowestlicher Kräfte
Während die politischen Spitzen der prowestlich gewendeten Ukraine in dieser Woche feierlich den vierten Jahrestag des Beginns der Maidan-Demonstrationen begangen haben, sind neue Berichte bekannt geworden, denen zufolge das Kiewer Blutbad am 20. Februar 2014, das den letzten Anstoß zur Eskalation der Proteste sowie zum Sturz der Regierung Janukowitsch gab, von Scharfschützen-Morden im Auftrag von Regierungsgegnern ausgelöst wurde. Einer der Scharfschützen hatte dies schon im Februar 2015 eingeräumt und damit bestätigt, was sich bereits wenige Tage nach dem Blutbad in Kiew herumgesprochen hatte: Der estnische Außenminister Urmas Paet hatte gegenüber der EU-Chefaußenpolitikerin Catherine Ashton Anfang März 2014 in einem mitgeschnittenen Telefongespräch berichtet, der Verdacht mache die Runde, \"jemand aus der neuen Koalition\" in der ukrainischen Hauptstadt könne die Scharfschützen-Morde in Auftrag gegeben haben (german-foreign-policy.com berichtete [9]). Im Februar 2016 hat sich der Maidan-Aktivist Iwan Bubentschik dazu bekannt, im Verlauf des Massakers ukrainische Polizisten erschossen zu haben. Bubentschik bestätigte dies in einem Film, der internationale Beachtung fand.[10]
\"Wahllos schießen\"
In der vergangenen Woche haben nun ein Bericht in der italienischen Tageszeitung Il Giornale und eine Reportage des TV-Senders Canale 5 weitere Details enthüllt. Darin berichten drei Georgier, an jenem Tag ebenfalls als Scharfschützen eingesetzt worden zu sein - im Auftrag der damaligen Regierungsgegner. Demnach sei ihnen explizit befohlen worden, sowohl auf Polizisten als auch auf Demonstranten zu schießen - um \"Chaos zu säen\".[11] Trifft das zu, dann bricht die offizielle, auch von Berlin vertretene Behauptung, die ukrainischen Repressionskräfte hätten das Massaker am 20. Februar gezielt gestartet, in sich zusammen. Schwer wiegt zudem, dass die drei laut Eigenaussage tatbeteiligten Georgier nicht nur sich selbst schwer belasten; ihre Aussagen begründen zudem einen gravierenden Verdacht gegen teils einflussreiche Politiker in der heutigen, prowestlich gewendeten Ukraine. german-foreign-policy.com berichtet in Kürze.
[1] S. dazu Zauberlehrlinge (III).
[2] Wojciech Konończuk, Denis Cenușa, Kornely Kakachia: Oligarchs in Ukraine, Moldova and Georgia as key obstacles to reforms. Swedish International Development Cooperation Agency 24.05.2017.
[3] Marek Dabrowski: Ukraine\'s oligarchs are bad for democracy and economic reform. bruegel.org 03.10.2017.
[4] Reinhard Lauterbach: Solide zerstritten. junge Welt 04.11.2017.
[5] Sergej Leschtschenko: Markenzeichen Korruption. zeit.de 05.05.2017. S. auch Das korrupteste Land in Europa.
[6] Umfragen zur Entwicklung der sozialen Lage und zur Proteststimmung in der Bevölkerung. In: Ukraine-Analysen Nr. 191, 15.11.2017.
[7] Reinhard Lauterbach: Solide zerstritten. junge Welt 04.11.2017.
[8] Zitiert nach: Steffen Halling: Kritiklos heraus aus dem Netz des Feindes? In: Ukraine-Analysen Nr. 186, 14.06.2017. S. 2f.
[9] S. dazu Die Kiewer Eskalationsstrategie und Von Račak zum Majdan.
[10] Katya Gorchinskaya: He Killed for the Maidan. foreignpolicy.com 26.02.2016.
[11] Gian Micalessin: La versione dei cecchini sulla strage di Kiev: \"Ordini dall\'opposizione\". ilgiornale.it 15.11.2017.
Ce document, issu d’une présentation faite à l’Association américaine de sciences politique, à San Franciso en septembre 2015, est la première étude académique sur cet évenement.
Il utilise la théorie du choix rationnel et la théorie wébérienne de la rationalité instrumentale pour examiner les actions des principaux acteurs à la fois du gouvernement Ianoukovitch, spécifiquement de divers services de police et des forces de sécurité, et de l’opposition, en particulier des éléments d’extrême droite et oligarchiques, pendant le massacre.
Le document analyse une grande quantité de matériaux provenant de différentes sources disponibles : environ 1 500 vidéos et enregistrements provenant d’internet et de la télévision de différents pays (environ 150 gigaoctets), les bulletins et les messages des médias sociaux d’une centaine de journalistes couvrant le massacre de Kiev, quelque 5 000 photos, et près de 30 gigaoctets d’interceptions radio des tireurs d’élite et des commandants de l’unité Alfa du Service de sécurité de l’Ukraine et de troupes du ministère de l’Intérieur, enfin les enregistrements des procès du massacre. Cette étude s’appuie également sur des recherches sur le terrain sur le site du massacre, des rapports de témoins des deux camps, des commandants des unités spéciales, des déclarations faites par les fonctionnaires anciens et actuels du gouvernement, les estimations des approximatives balistiques trajectoires, les balles et les armes utilisées, et les types de blessures dans les deux camps. Cette étude établit un calendrier précis pour divers événements du massacre, les emplacements des tireurs, et le calendrier précis et les lieux de la mort de près de 50 manifestants.
Cette enquête universitaire conclut que le massacre était une opération sous fausse bannière, qui était rationnellement planifié et exécuté, ayant pour but le renversement du gouvernement et la prise du pouvoir.
Ivan Katchanovski enseigne à l’École d’études politiques de l’université d’Ottawa. Il a été chercheur invité au Centre Davis d’études russes et eurasiennes de l’université de Harvard, professeur adjoint invité au département de sciences politiques à l’université d’État de New York à Potsdam, stagiaire post-doctoral au département de science politique à l’université de Toronto et Kluge postdoctoral au Centre Kluge à la Bibliothèque du Congrès.
La giustizia Ucraina ha già trovato i colpevoli di quello che ormai viene ricordato con il nome di Maidan: il massacro di piazza Maidan. Il documentario che vi mostriamo però vuole focalizzare l’attenzione su ciò che non è stato preso in considerazione dagli investigatori e che non è stato detto dai media. Chi ha davvero ucciso oltre 50 persone il 20 febbraio 2014, nella piazza principale di Kiev?...
Alcuni uomini vicini al movimento di piazza Maidan avrebbero fornito armi ai cecchini affinché cominciassero a sparare sulla polizia e sui manifestanti per far crescere la tensione in Ucraina...
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/laltra-verit-su-piazza-maidan-cecchini-ucraini-arruolati-1093489.html
VIDEO: I cecchini governativi di piazza Maidan / VIDEO: Ucraina, Nato: \"Pronti a intervenire militarmente\"
La Tass scrive che, a partire dal marzo 2014, si sono registrati in Russia una decina di arresti di agenti e sabotatori, ucraini, russi e di altri paesi europei. Alcuni di essi, bloccati e condannati, sono stati successivamente graziati e scambiati con cittadini ucraini, rinchiusi nelle prigioni golpiste perché accusati di separatismo; altri cittadini ucraini, accusati di spionaggio militare, sono stati semplicemente espulsi e privati del diritto di entrare in Russia. Fino allo scorso agosto (un altro caso si era verificato a inizio ottobre) comunque, si era trattato quasi esclusivamente di attività di spionaggio o di tentativi di carpire segreti militari. Il 7 agosto scorso era stato invece sventato un tentativo terroristico da parte di un gruppo di sabotatori ucraini, sorpresi nei pressi di Armjansk, all\'estremo nord della Crimea, nelle immediate vicinanze del confine ucraino. Nel conflitto a fuoco che aveva preceduto l\'arresto dei sabotatori, un agente del FSB e un militare russo erano rimasti uccisi.
Che Kiev abbia scelto la strada delle incursioni di gruppi terroristici lo testimoniano anche le ultime azioni compiute nel Donbass, a partire dai ripetuti attentati, per fortuna finora falliti, contro i leader di DNR e LNR, Aleksandr Zakharčenko e Igor Plotnitskij e il più tragico e più recente, andato purtroppo a segno, contro il comandante della brigata “Sparta”, Arsenij Pavlov, \'Motorola\', il 16 ottobre scorso. A proposito di quest\'ultimo atto terroristico, proprio oggi Aleksandr Zakharčenko ha accusato pubblicamente Vitalij Marikov, che cura le attività ucraine di diversione e spionaggio nel Donbass, di essere coinvolto nell\'assassinio. “Siamo in possesso della lista completa dei nomi dei responsabili”, ha detto Zakharčenko, che si è però limitato a rendere pubblico solo un altro nome, quello del capo dei Servizi di sicurezza ucraini per la regione di Donetsk (la parte controllata dai golpisti), Aleksandr Kuts.
“La Russia non lascerà senza risposta l’uccisione di propri militari e ricorrerà a misure di sicurezza supplementari”: raramente alle parole di Vladimir Putin non sono seguiti fatti e questa volta, c’è da scommetterci, non passerà molto tempo tra le dichiarazioni e le azioni. “Noi non passeremo sopra a tali cose”, ha detto il presidente russo.
La notizia è di ieri: nella notte dal 6 al 7 agosto, nella zona di Armjansk (pochissimi km dal confine con la regione ucraina di Kherson) elementi di reparti speciali dell’intelligence militare ucraina hanno tentato di penetrare in Crimea, per mettervi a segno alcune azioni di sabotaggio contro infrastrutture e di terrorismo nei centri turistici della penisola. L’incursione, secondo Interfax, è stata coperta da un fitto fuoco proveniente dal territorio ucraino e da mezzi blindati di Kiev. Secondo un comunicato emesso ieri dal Servizio di sicurezza russo (FSB), nuovi tentativi di incursione sarebbero stati intrapresi da reparti ucraini nella notte dal 7 al 8 agosto. Nello scongiurare l’azione, nel conflitto a fuoco con gli incursori ucraini, un agente del FSB e un militare del Ministero della difesa sono rimasti uccisi. Gli incursori ucraini sarebbero stati neutralizzati mentre portavano materiale esplosivo per un equivalente di 40 kg di tritolo, munizionamento e armi dei reparti speciali ucraini. Questa mattina, secondo il servizio stampa del Cremlino, Putin ha tenuto una riunione operativa del Consiglio di Sicurezza, per discutere “ulteriori misure a garanzia della sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture vitali della Crimea. Sono state esaminate dettagliatamente le misure di sicurezza anti-terrorismo sui confini terrestre, marino e dello spazio aereo della Crimea”.
“Vorrei rivolgermi ai nostri partner americani e europei” aveva dichiarato ieri Putin; “credo sia evidente a tutti, che l’attuale leadership di Kiev non cerca la soluzione dei problemi al tavolo delle trattative, ma passa al terrore. E’ una cosa molto preoccupante. A prima vista, sembrerebbe un’azione stupida e criminale. Stupida, perché non può influire positivamente sugli abitanti della Crimea e criminale, perché sono morte delle persone. Ma io penso che la situazione sia ancora più preoccupante, perché l’atto non ha altro senso che quello di distrarre l’attenzione del proprio popolo dalla drammatica situazione economica, dalla dolorosa situazione di un gran numero di cittadini”. Secondo Vladimir Vladimirovič, il tentativo di provocare uno scoppio di violenza e il conflitto aperto serve a “sviare l’attenzione della società da quelle persone che continuano a depredare il proprio popolo per mantenersi più a lungo possibile al potere”.
Da parte sua, proprio il presidente golpista ha definito le accuse russe “insensate e ciniche”, è tornato ad accusare la Russia di presenza nel Donbass e ha proclamato che “l’Ucraina condanna fermamente il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni e, di conseguenza, respinge l’utilizzo di qualsiasi azione terroristica per fermare l’occupazione della Crimea. L’Ucraina si attiene al ripristino della propria integrità territoriale e sovranità, tra cui la fine dell’occupazione della Crimea, unicamente con mezzi politico-diplomatici”, ha giurato di fronte al mondo Petro Porošenko, come se nessuno ricordasse i legami tra il medžlis dei tatari di Crimea e i terroristi dei “Lupi grigi” turchi e i loro tentativi di portare attacchi armati alla penisola, oppure il blocco dei trasporti organizzato da Pravyj Sektor sul lato ucraino del confine o gli embarghi energetici proclamati direttamente dal governo di Kiev ai danni della Crimea.
Così, per non apparire troppo sulla difensiva, in riferimento alle accuse di terrorismo, Kiev si è rivolta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riportando le dichiarazioni di Petro Porošenko. Il Ministero degli esteri ucraino ha definito l’arresto dei sabotatori ucraini “una provocazione organizzata dal Cremlino” e ha respinto “come infondate tutte le accuse”. Il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza Aleksandr Turčinov – colui che, in qualità di presidente ad interim ucraino e comandante in capo delle forze armate dal 23 febbraio al 7 giugno 2014, diede inizio all’attacco al Donbass – ha detto che “Le dichiarazioni di Putin secondo cui l’Ucraina ha iniziato il terrore contro la Russia e che i russi non ce lo perdoneranno, testimoniano del fatto che la Russia si prepara metodicamente all’inasprimento della situazione e al fallimento degli accordi di Minsk”.
Per contro, ha detto ieri Putin nel corso della conferenza stampa conclusiva dell’incontro col presidente armeno Serž Sargsjan, alla luce degli avvenimenti, “appare privo di senso un incontro del “quartetto normanno” – Merkel, Hollande, Putin e Porošenko; inizialmente ipotizzato a lato del prossimo G20 in Cina – “perché, a quanto pare, le persone che a suo tempo hanno preso il potere a Kiev e continuano a tenerlo, invece di cercare i mezzi per soluzioni pacifiche, sono passati alla pratica del terrore”.
Putin ha fatto appello ai paesi che sostengono Kiev, perché facciano pressione per arrivare a un autentico processo di pace.
Difficile per Kiev, in questa situazione, almeno sul momento e in maniera scoperta, anche contare sul sostegno diretto di Ankara, mai mancato in altre occasioni e anche con mezzi militari: la Turchia nei giorni scorsi ha infatti accusato Kiev di essere implicata nell’organizzazione del fallito colpo di stato, per il fatto che in Ucraina operano scuole legate al predicatore islamico Fethullah Gülen.
6 Ottobre 2017, da kprf.ru, Traduzione dal russo di Mauro Gemma
Ancora pochi giorni fa, nella Repubblica Popolare di Donetsk ha avuto luogo una serie di attentati terroristici. Due esplosioni hanno sconvolto il centro di Donetsk, nel quartiere Prospekt Mira. Un\'altra esplosione vicino al Boulevard Shevchenko è stata provocata da un dispositivo mobile che ha fatto impazzire gli allarme antifurto di diversi locali vicini al luogo dello scoppio. Fortunatamente non ci sono stati feriti.
Ma un altro incidente si era verificato pochi giorni prima nel centro della città, dove sabotatori hanno fatto saltare in aria l\'automobile del ministro delle entrate e delle imposte della Repubblica Popolare di Donetsk (DNR) Aleksandr Timofeev. Secondo i primi dati dell\'inchiesta, sotto l\'automobile era stato collocato un dispositivo esplosivo azionato a distanza. Forse si è trattato di una mina anti-uomo del tipo di quelle dei tempi dell\'URSS. E\' stato anche riferito che, in conseguenza dell\'attentato terroristico, otto persone sono rimaste ferite.
Il governo della DNR ha confermato ufficialmente l\'attacco al ministro: “In conseguenza del sabotaggio è stata fatta saltare l\'auto del vice-premier, ma Alexandr Timofeev è sopravvissuto. Al momento la sua salute e la sua vita non sono minacciate. Poco dopo l\'incidente il vice-premier ha compiuto una visita di lavoro in una serra della DNR”.
I media della vicina Ucraina, mentendo, hanno riferito che il funzionario si trova in rianimazione, in condizioni critiche.
Ma è stato lo stesso Aleksandr Timofeev a smentire tale manovra disinformativa, intervenendo lo stesso giorno alla televisione locale. Invitato a parlare della sicurezza degli approvvigionamenti della repubblica e dei piani per il suo sviluppo economico, il ministro ha affrontato anche la questione dell\'attentato nei suoi confronti.
In particolare, egli ha dichiarato che l\'Ucraina, in quanto tale, ha già da tempo smesso di esistere, se non come “territorio del terrore”. Secondo lui, i metodi usati nella guerra contro i civili da parte delle forze di sicurezza ucraine sono simili a quelli utilizzati oggi in Russia dall\'organizzazione terroristica proibita “Stato Islamico”: esplosioni, sabotaggi e tentativi di avvelenamento.
Non è difficile immaginare chi stia dietro a questi attentati terroristici. Li ha chiamati in causa lo stesso ministro che ha subito l\'attentato alla sua auto. A suo parere, ciò è opera di un gruppo di sabotatori ucraino. E infatti, nella DNR per simili episodi è già in carcere un intero gruppo di sabotatori ucraini formato da sei persone.
Prima dell\'ultimo episodio i gruppi di sabotatori ucraini si e
(Message over 64 KB, truncated)
\n
http://www.gramscioggi.org/index_file/Gramsci%20oggi-004-2017.pdf
A un secolo dall’assalto al palazzo d’Inverno cosa resta dell’Ottobre?
Cosa resta della rivoluzione russa, dopo il crollo dell’URSS e la dissoluzione del campo socialista? Dopo il collasso dei sistemi politici novecenteschi e la fine del compromesso tra capitale e lavoro che ha caratterizzato la seconda metà del XX secolo, in seguito alla vittoria sovietica nella seconda guerra mondiale e all’ombra della competizione bipolare?
A un primo sguardo sommario una risposta potrebbe essere “non molto”. Eppure molte delle conquiste che sono scaturite dal ’17, secondo un processo tortuoso e mai rettilineo, continuano a interessare il nostro mondo.
Una su tutte: il risveglio dei molti Sud del pianeta dalla colonizzazione di cui sono stati vittime nel ciclo storico imperialistico precedente la rivoluzione del ’17.
Come ha scritto lo storico britannico Geoffrey Barraclough, “Quando la storia della prima metà del ventesimo secolo […] verrà scritta in una più ampia prospettiva, è difficile che un solo tema si riveli più importante della rivolta contro l’Occidente”1.
La condanna delle spedizioni militari nei paesi africani e asiatici e la condanna dei crimini e delle repressioni compiute dalle truppe coloniali oltremare erano già oggetto di attenzione da parte dei partiti socialisti della II Internazionale. L’agitazione di queste forze era per lo più incline a sottolineare il valore dell’antimilitarismo, tradotto nello slogan: “più burro, meno cannoni”. Ma i socialdemocratici non erano mai arrivati a comprendere fino in fondo la causa dei popoli oppressi e il legame che correva tra la loro liberazione e l’emancipazione delle classi lavoratrici nelle metropoli imperialiste. Non senza scopi polemici un pamphlet del Partito comunista francese, risalente all’incirca al 1927 ed indirizzato ai militanti e ai quadri di partito per spiegare loro l’importanza della questione nazionale e coloniale, così stigmatizzava la posizione della II Internazionale in merito:
“[la questione nazionale] era allora limitata quasi esclusivamente alla questione dell’oppressione delle nazioni ‘civili’. Irlandesi, ungheresi, polacchi, finlandesi, serbi: questi erano i principali popoli più o meno asserviti le cui sorti interessavano la II Internazionale. Quanto ai milioni di asiatici, ed africani, schiacciati sotto il giogo più brutale, quasi nessuno se ne preoccupava. Sembrava impossibile mettere sullo stesso piano i bianchi e i neri. I ‘civili’ e i ‘selvaggi’. L’azione della II Internazionale in favore delle colonie si limitava a rare e vaghe risoluzioni dove la questione dell’emancipazione delle colonie era cautamente evitata”2.
Lenin, con la sua analisi dell’imperialismo, lega indissolubilmente il problema della liberazione dei popoli oppressi (includendovi i popoli colonizzati) con la lotta del proletariato nelle metropoli. Questione nazionale e questione coloniale vengono così fuse. Da allora la questione nazionale e la categoria di imperialismo entrarono a far parte della più ampia visione dell’internazionalismo propria del movimento comunista.
Quando i bolscevichi conquistano il potere nel 1917 chiamano alla sollevazione il proletariato europeo. Con i primi passi dello Stato sovietico si rivolgono apertamente ai popoli coloniali. Le colonie vengono allora raffigurate come le “retrovie” dell’imperialismo, dove questo può attingere risorse per restare in piedi. La rivolta delle retrovie assume pertanto un rilievo prioritario per lo Stato sovietico e per il movimento comunista internazionale.
Al III Congresso del Komintern Lenin rilevò come “Centinaia di milioni di uomini (praticamente la stragrande maggioranza della popolazione mondiale) appaiono ora sulla scena come fattori rivoluzionari autonomi ed attivi, ed è chiaro che nelle prossime decisive battaglie della rivoluzione mondiale il movimento della maggioranza della popolazione del globo, che in origine era orientato verso la liberazione nazionale, si rivolgerà contro il capitalismo e contro l’imperialismo e assumerà probabilmente un ruolo rivoluzionario molto più importante di quanto non ci aspettiamo”3.
Alcuni anni dopo, al XII Congresso del partito bolscevico, Stalin ribadì con estrema chiarezza il significato che le lotte dei popoli coloniali rivestivano nel quadro della lotta tra la rivoluzione e l’imperialismo: “Una delle due: o noi mettiamo in movimento le retrovie profonde dell’imperialismo, i paesi coloniali e semicoloniali dell’Oriente, infondiamo loro lo spirito rivoluzionario e acceleriamo così la caduta dell’imperialismo, oppure non ci riusciamo, e allora rafforziamo l’imperialismo e indeboliamo la forza del nostro movimento. La questione si pone in questi termini”4.
Nel 1920 venne convocato a Baku il Congresso dei popoli dell’Oriente. L’evento era indicativo dell’orientamento che aveva preso tanto il movimento comunista internazionale, quanto la Russia sovietica e rappresentò una “pietra miliare”5 per lo sviluppo dei movimenti di liberazione asiatici. Per la prima volta circa 2mila delegati provenienti da ogni parte dell’Asia si incontrarono per confrontarsi tra loro su come liberarsi dalla dominazione occidentale.
Nel suo II Congresso il Komintern aveva stabilito un’analisi della situazione coloniale e aveva avanzato la tesi dell’alleanza dei comunisti con le forze che nei paesi coloniali e semicoloniali si battevano conseguentemente contro l’imperialismo e per la conquista della piena indipendenza. A queste correnti andava fornito tutto l’appoggio possibile, sia da parte dei locali partiti comunisti, che sulla base della loro piena autonomia erano chiamati a stabilire con le correnti del nazionalismo rivoluzionario un’organica alleanza strategica, sia da parte dell’Unione Sovietica.
Nelle tesi del IV Congresso del Komintern sulla questione orientale si sostiene chiaramente l’appoggio alle correnti del nazionalismo-rivoluzionario in lotta contro l’imperialismo6.
Il primo esempio e il banco di prova di questa strategia fu la rivoluzione nazionalista cinese del 1925-1927. La decisione unilaterale assunta dalla Russia di rinunciare ai privilegi strappati alla Cina dal regime zarista, avevano convinto il vecchio agitatore nazionalista Sun Yat-sen a guardare verso le cupole del Cremlino impostando in modo nuovo la questione della liberazione della Cina. Sun comprese che la comparsa sulle scene dell’Unione Sovietica creava una situazione nuova a livello internazionale. “La nascita della Russia rivoluzionaria aveva rotto oggettivamente il fronte internazionale imperialistico ed aveva creato un polo di riferimento per ogni lotta antimperialistica”7. Dopo aver riformato il Kuomintang (partito nazionalista rivoluzionario del popolo) su basi nuove stabilì un’alleanza con i comunisti (accettati all’interno del KMT) e con l’Unione Sovietica e accettò il ruolo e le rivendicazioni degli operai e dei contadini. Il suo programma si spostò notevolmente a sinistra rispetto al passato. Stabilito il suo governo a Canton, iniziarono ad arrivare gli aiuti sovietici in armi, istruttori militari e consiglieri politici. Questi sforzi miravano a consentire a Sun di disporre di una forza militare rivoluzionaria per unificare la Cina e schiacciare i “signori della guerra” feudali, alleati dell’imperialismo. Fu il primo passo della rivoluzione cinese che, dopo un tortuoso percorso, sarebbe sfociata nell’avvento al potere dei comunisti di Mao nel 1949.
L’Asia orientale è oggi un’area in prepotente ascesa, trainata soprattutto dalla spettacolare crescita della Repubblica popolare cinese. Che impatto ebbe la rivoluzione russa sull’Asia?
Una testimonianza significativa in proposito è quella del nazionalista vietnamita Nguyen Ai Quoc, il futuro Ho Chi Minh. Ho ha ricordato questo cruciale passaggio della sua vita in un articolo pubblicato nel luglio 1960 dal titolo significativo : Il cammino che mi ha condotto al leninismo. Il leader vietnamita ha rievocato le assidue riunioni nelle sezioni socialiste alla fine della prima guerra mondiale:
“A quell’epoca, nelle sezioni del partito…, si discuteva ardentemente per decidere se bisognava restare nella Seconda Internazionale, o creare un’internazionale due e mezzo, o aderire alla Terza Internazionale di Lenin. Assistevo regolarmente a tutte queste riunioni…All’inizio non ne comprendevo interamente il contenuto. Perché discutere con tanto accanimento? […] Si poteva fare la rivoluzione, perché accanirsi a discutere? … La questione che mi bruciava sapere era quale fosse l’Internazionale che sosteneva le lotte dei popoli oppressi. Nel corso di una riunione sollevai questa questione. Alcuni compagni risposero: è la Terza Internazionale e non la Seconda. E un compagno mi diede le Tesi di Lenin sui problemi delle nazionalità e dei popoli coloniali… Le tesi suscitarono in me una profonda emozione, un grande entusiasmo, una grande fiducia e mi aiutarono a vedere chiaramente il problema…Da allora ebbi fiducia in Lenin e nella Terza Internazionale. […] Dopo la lettura delle tesi di Lenin mi lanciai nella discussione…Il mio unico argomento consisteva nel domandare: ‘compagni, se voi non condannate il colonialismo, se non sostenete i popoli oppressi, quale è dunque la rivoluzione che pretendete fare?’”8.
Ma il racconto più singolare ed anche più significativo è quello dello stesso Sun Yat-sen, che tra l’altro non divenne mai comunista. Dopo la rivoluzione ed in seguito alla costituzione dello Stato sovietico Sun ebbe a dire: “Noi non guardiamo più verso Occidente. I nostri occhi sono rivolti alla Russia”9. Nel manifesto del 1919 disse:
“Se il popolo della Cina vuole essere libero come il popolo russo, e vuole gli sia risparmiato il destino che gli alleati hanno preparato per lui a Versailles…deve essere ben chiaro che nella lotta per la libertà nazionale i suoi soli alleati e fratelli saranno gli operai ed i contadini russi che combattono nell’Armata Rossa”10.
Queste opinioni sono piuttosto esemplari di un diffuso atteggiamento. Stando al diplomatico e storico indiano Panikkar,
“La sola esistenza di una Russia rivoluzionaria diede senza dubbio a tutti i movimenti nazionalisti asiatici une grande forza morale”11.
“La Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia, firmata da Lenin e da Stalin, proclamava la sovranità e l’eguaglianza di tutti i popoli della Russia, e il diritto delle minoranze nazionali al proprio libero sviluppo. Fu, questa, una dichiarazione veramente esplosiva, e destò una nuova speranza in tutte le nazioni asiatiche che stavano lottando per la propria libertà”12.
L’appoggio sovietico cambiò anche l’atteggiamento dei movimenti nazionalisti sotto molti punti di vista. Anche quei movimenti che non furono egemonizzati dai comunisti o che non evolsero mai verso il marxismo- leninismo iniziarono a inserire la loro lotta in un quadro diverso. Iniziarono a dare maggiore importanza al coinvolgimento del popolo nel processo rivoluzionario e furono quindi spinti a prenderne, almeno parzialmente, in considerazione le istanze. Secondariamente l’esempio di sviluppo e crescita economica dell’URSS durante i piani quinquennali, che cambiò completamente il profilo di una nazione arretrata, costituì un punto di riferimento per quei paesi che si trovavano ai margini del mercato capitalistico mondiale. Iniziarono a comprendere che la sola indipendenza politica li avrebbe relegati ad accontentarsi di una indipendenza puramente formale e che per ottenere un’effettiva sovranità dovevano puntare anche sull’indipendenza economica.
I lasciti furono dunque numerosi, ben oltre il breve periodo.
L’URSS continuò a svolgere il ruolo di sponda dei movimenti di liberazione anche in seguito, nonostante tutti gli eventuali errori che i dirigenti sovietici commisero in questo o quel frangente. Questo fatto viene ampiamente riconosciuto, ad esempio, dai protagonisti della rinascita araba tra gli anni ’50 e ’60. La scomparsa dell’Urss ha lasciato un vuoto in questo campo. Ma l’ascesa della Cina, il ritorno della Russia e la spinta per la costituzione di un equilibrio multipolare lasciano presagire che il mondo globalizzato è in forte competizione dal punto di vista dei mercati e ancor di più dal punto di vista politico. L’emergere dei paesi del Sud del mondo si fa sempre più marcato. La loro emancipazione non punta solo all’indipendenza politica formale, come nella stagione d’oro della decolonizzazione. Ora il prossimo traguardo viene intravisto nell’emancipazione economica, nella rottura dei meccanismi di dipendenza delle periferie del sistema-mondo dal centro del capitalismo sviluppato. La contradditoria emancipazione del Sud del mondo suggerisce che la spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre non sia affatto esaurita.
Note
1 G. Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Torino Laterza 1989, pp.157-158
2 Le communisme et la question nationale et coloniale par Lénine, Staline et Boukharine; Paris Bureau d’Editions [1927?], p.9
3 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol.1.2 (1919-1923); Ed. Riuniti 1974, p.762
4 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 2.2 (1924-1928), p.591
5 Così la definisce Jan Romein nel suo libro Il secolo dell’Asia; Einaudi, 1975
6 Tesi del IV Congresso sulla questione orientale (novembre 1922), cit. in: A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 1.2, pp.791-792
7 P.Santangelo, Dominazione imperialista in Cina; in: Storia dell’Asia; Einaudi 1980, pp.33-34
8 J. Lacouture, Ho Chi Minh; Parigi Seuil 1967, pp.25-27
9 Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia: dal cinquecento ai nostri giorni; Torino Einaudi, 1958, p.262
10 Ibidem, p.364
11 Ibidem, p.262
12 Ibidem, p.261
di Cristina Carpinelli
Introduzione
Il programma a favore dell\'emancipazione della donna e della famiglia prese avvio in un paese che era molto arretrato rispetto ad altri paesi europei. Prevalevano ancora il diritto contadino (sotto forma di consuetudine), le concessioni agli usi tribali delle popolazioni siberiane e asiatiche o alle usanze islamiche di quelle musulmane. In questo paese vi era un sistema economico che presentava limitate possibilità di crescita e che per realizzare il \"grande balzo in avanti\" dovette adottare un piano accelerato di crescita industriale e di modernizzazione dell\'agricoltura con il ricorso a misure eccezionali.
La Russia sovietica fu, inoltre, costretta ad affrontare enormi sforzi e sacrifici inimmaginabili per la propria difesa, e se pure uscì trionfante dalla dura prova della Seconda Guerra Mondiale, perse, tuttavia, metà dei suoi centri industriali e 15 milioni di giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni.
In una certa misura, l\'arretratezza in cui versava la Russia, all\'indomani della rivoluzione, favorì il processo di emancipazione femminile. Un qualsiasi governo avrebbe avuto buone possibilità di riuscita, in un contesto dove era necessario per le donne conquistare le libertà più elementari. Allo stesso tempo, la scarsità di mano d\'opera consentì già da subito l\'impiego massiccio delle donne nel mercato del lavoro, che era una condizione indispensabile per la realizzazione della parità tra i sessi.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, a Pietrogrado, tra il 1914 e il 1917, le operaie arrivarono a costituire un terzo della popolazione attiva (nota1), negli anni Trenta con la collettivizzazione agraria di massa e l\'industrializzazione su vasta scala, le donne occupate raggiunsero il 38% di tutti gli occupati (nota 2). La punta massima fu toccata nel 1945, quando era al lavoro il 56% delle donne, mentre nel dopoguerra la percentuale cadde bruscamente al 46% (nota 3).
Terminata l\'emergenza, l\'esperienza produttiva agricola e industriale della donna subì fasi alterne a seconda che l\'accento fosse posto sul lavoro femminile in quanto semplice risorsa addizionale o come mezzo indispensabile per l\'emancipazione femminile. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l\'Editto staliniano di famiglia del 1944, la donna fu spinta entro le mura domestiche.
Il piano di emancipazione femminile e di sostituzione della forma di famiglia patriarcale con una struttura familiare che non fosse in contraddizione con la più ampia rivoluzione in atto nei rapporti economici e sociali si rivelò come uno dei compiti più difficili e ambiziosi del governo rivoluzionario bolscevico. Nella Russia che era stata sempre patriarcale dove, prima della nascita del nuovo stato, l\'80% del paese era contadino, con la relativa cultura, la rivoluzione nei costumi e dentro gli aggregati domestici familiari si abbatté come una tempesta sulla vita delle persone.
Non sempre questo percorso di emancipazione fu di facile attuazione. Anzi, esso fu pervaso da una moltitudine di contraddizioni. Ma al di là di esse, credo che la Russia sovietica non abbia completamente fallito nel promuovere la liberazione della donna e della famiglia, poiché gli ideali utopistici della Kollontaj non trovarono attuazione.
Le note Commissioni femminili del partito (ženotdely) svolsero un ruolo straordinario nel tentativo di coinvolgere il più possibile le donne nella vita pubblica. Barbara Clements Evans, a piena ragione, sottolinea al proposito che i successi sovietici non sono per niente paragonabili a quelli di altri stati contemporanei europei che, ai tempi in cui furono fondate le Commissioni femminili nella Russia sovietica, stavano appena estendendo il diritto di voto alle donne (nota 4).
Attiviste dei ženotdely viaggiarono, ad esempio, per l\'Asia centrale. E anche in quelle terre così lontane, fu possibile cogliere già subito dopo la rivoluzione i primi rarefatti segnali di una difficile emancipazione femminile. È importante sottolineare che la condizione della donna centro-asiatica scontava il peso del condizionamento di tradizioni preislamiche: poligamia, velo, segregazione, costituivano, in larga misura, il lascito di precedenti civiltà dominate dal politeismo e dal tribalismo.
Pur incontrando una resistenza ostile nel loro tentativo di emancipare le donne musulmane, le attiviste del ženotdel s\'impegnarono a fondo perché anche a queste donne fosse riconosciuto il diritto al lavoro e all\'istruzione in precedenza proibiti. In più, i primi due codici russi sul matrimonio e la famiglia costituiscono ancora oggi, per diversi aspetti, la punta più avanzata della legislazione sulla donna e sulla famiglia in molti paesi del mondo (nota 5).
È meritevole di nota che anche il reverendo Hewlett Johnson, nominato decano di Canterbury nel 1929, nel suo libro, The Soviet Power (nota 6), riservi parole entusiaste sulla nuova vita della donna dopo il rovesciamento del crudele regime dello \"knut\" (frusta) della Russia degli zar. H. Johnson porta molti esempi a testimonianza del riscatto della donna: da essere demoniaco, cui erano riservati in chiesa i posti inferiori, da essere, cui non era concesso avvicinarsi all\'altare e il cui anello matrimoniale era di ferro (e non d\'oro come per l\'uomo), a persona, cui furono accordati dal paese dei Soviet, \"diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale\" (nota 7) sanciti, oltre che dai due codici russi sul matrimonio e la famiglia (1918 e 1926) anche dall\'art. 122 della Costituzione staliniana del 1938: \"Alle donne sono accordati nell\'U.R.S.S. Diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale…La possibilità di esercitare questi diritti viene assicurata alle donne garantendo loro lo stesso diritto degli uomini al lavoro, al riposo, all\'assicurazione sociale e all\'istruzione, provvedendo alla tutela, da parte dello Stato, degli interessi della madre e del bambino, accordando alle donne un congedo di maternità con mantenimento del salario e grazie a una vasta rete di case di maternità, di nidi e giardini di infanzia\" (nota 8).
Concordo con il decano di Canterbury quando sostiene che la Russia sovietica svolse un lavoro encomiabile nel promuovere la liberazione della donna e della famiglia dall\'oppressione del patriarcato feudale zarista. Tuttavia, se le norme del codice matrimoniale e familiare del 1926 rimasero immutate per dieci anni, poi nel 1936 e 1944 furono approvate due leggi che modificarono alla radice i punti chiave della nuova rivoluzionaria normativa familiare.
Furono gli avvenimenti, le incoerenze drammatiche della società che stava crescendo e trasformandosi a fornire la spinta decisiva alla revisione della legislazione familiare in direzione del rafforzamento dell\'ordine, della stabilità sociale e dell\'istituto familiare. L\'aborto fu abolito: di fronte al numero impressionante delle interruzioni di gravidanza e al calo costante del tasso di natalità, il governo di Stalin tornò a proibirlo.
L\'ossessione nei confronti della crescita delle nascite, in una situazione storica d\'emergenza, fu tale da legittimare e tutelare in seguito - nello stesso momento in cui venivano esaltati il matrimonio registrato e la famiglia legale - la maternità in stato di nubilato. Negli anni Quaranta, il matrimonio non fu più l\'unico modello socialmente riconosciuto per la maternità. Se da una parte l\'Editto di famiglia del 1944 sancì che solo i matrimoni registrati potevano beneficiare della protezione legislativa, dall\'altra l\'impressionante squilibrio demografico della popolazione (31 milioni di uomini a fronte di 52 milioni di donne) - venutosi a creare, a seguito degli sconvolgimenti provocati dalla Seconda Guerra Mondiale -, aveva provocato una spinta \"oggettiva\" ai rapporti fuori del matrimonio.
L\'esercito delle madri nubili andava in qualche modo tutelato, tenuto conto delle immense perdite umane subite. Fu così che queste (insieme alle madri sposate) poterono beneficiare di sussidi elevati, secondo il numero di figli da mantenere, ma furono, d\'altro canto, private del diritto di ricerca della paternità, comportando numerosi conflitti e problemi per i bambini nati da queste unioni. Il rafforzamento della famiglia legale da un lato, e la protezione della maternità in stato di nubilato dall\'altro, furono la causa di molte contraddizioni tra legge e coscienza, tra morale pubblica e privata. Si dovette attendere la legislazione del 1968 per mettere fine, ad esempio, alla palese discriminazione tra figli legittimi e non.
Oltre al divieto di aborto, negli anni Trenta fu apportata qualche restrizione alla procedura di divorzio, pur restando ancora libero. Le restrizioni al divorzio dipesero dal fatto che a metà degli anni Trenta, le separazioni avevano superato i matrimoni registrati, ponendo gravissimi problemi alla società: mantenimento dei figli, disordine sociale, insufficienza di abitazioni. La prostituzione iniziò ad essere perseguita, poiché \"non poteva esistere un fenomeno sociale peculiare ad una società dominata dal capitalismo decadente\".Tuttavia, dalle molte testimonianze dell\'epoca si sa con certezza che essa continuò ad essere praticata anche se clandestinamente. Infine, già dalla fine degli Trenta, il Soviet aveva abbandonato la concezione che la funzione primaria della donna fosse la produzione sociale e che la maternità dovesse essere accessoria a quella funzione, valorizzando sempre di più il ruolo della donna come \"angelo del focolare\".
I codici rivoluzionari del 1918 e 1926
I nuovi decreti rivoluzionari di famiglia furono adottati nel 1917, in un momento, cioè, in cui gli aggregati domestici familiari riproducevano al loro interno comportamenti patriarcali e semifeudali. Con questi decreti, gli istituti del matrimonio e del divorzio furono \"laicizzati\", perdendo tutte le loro caratteristiche religiose e confessionali. Essi furono, poi, rielaborati l\'anno successivo dalla loro promulgazione, e i loro contenuti recepiti in un testo apposito comunemente chiamato codice di famiglia del 1918.
Il codice del 1918 trae la sua \"ratio\" dall\'aspirazione rivoluzionaria di spazzare via le passate tradizioni e, oltre ad essere dichiarativo di un nuovo ordine, esso svela soprattutto il suo forte spirito di reazione all\'ordine secolare preesistente considerato nocivo per la costruzione di una società socialista. In tal senso, corretta è l\'osservazione fatta dallo storico E. Carr nel suo libro Il socialismo in un solo paese (1924-1926), secondo cui l\'atteggiamento radicale e iconoclasta dei rivoluzionari nei riguardi della donna e della famiglia può essere compreso solo come una reazione alle condizioni anteriori alla rivoluzione, in quanto la famiglia tradizionale del contadino o dell\'operaio, caratterizzata dalla sottomissione e dai maltrattamenti delle donne e dallo sfruttamento infantile, era una conseguenza della miseria russa ed un simbolo dell\'arretratezza russa (nota 9). Per tale ragione, si può considerare questo codice come un \"documento intensamente rivoluzionario\", come uno \"statuto di principi rivoluzionari\".
Ecco i punti salienti: annullamento del matrimonio religioso e istituzione del matrimonio civile come il solo valido; introduzione del divorzio consensuale. Nei casi in cui il divorzio fosse stato richiesto da uno solo dei due coniugi, interveniva il tribunale, che aveva il compito di decidere sull\'assegnazione dei figli e sul loro mantenimento, e sulle condizioni per il pagamento degli alimenti al coniuge privo di autonomi mezzi di sussistenza. Con il codice del \'18 fu previsto l\'accertamento giudiziale della paternità, ma solo alle madri nubili. I bambini nati da un matrimonio non registrato godevano degli stessi diritti dei bambini nati da un\'unione legale.
L\'uguaglianza dei diritti dei figli naturali e di quelli legittimi garantiva indirettamente pari cittadinanza alla famiglia naturale con quella legale, la cui distinzione nel codice era motivata con la necessità di non dare alcuna possibile scappatoia giuridica alle unioni religiose e alla poligamia molto diffusa nelle regioni dell\'Asia centrale a prevalente religione musulmana. Furono, inoltre, aboliti gli istituti della potestà maritale (il marito non poté più imporre alla moglie cognome, domicilio e nazionalità) e della proprietà comune dei coniugi, poiché il matrimonio fu
inteso come \"un\'unione volontaria\" basata sull\'affectio maritalis.
Infine, il codice proibiva l\'adozione di minori da parte delle famiglie. Quest\'ultima era una misura drastica che mirava a stroncare il costume, assai diffuso nelle campagne, di mascherare sotto la forma dell\'adozione lo sfruttamento feroce della manodopera infantile. Centro e promotore della tutela del minore abbandonato diventava ora lo stato. Sorsero istituti d\'infanzia e sezioni minorili di previdenza sociale. Il potere sovietico, in quanto potere dei lavoratori, fin dai primi mesi della sua esistenza, aveva da subito introdotto nella legislazione riguardante la donna e la famiglia un rovesciamento decisivo. Le leggi, che, utilizzando proprio la condizione sociale più debole della donna, ponevano quest\'ultima in condizioni d\'inferiorità e in certi casi d\'umiliazione (le norme sul divorzio e sui figli fuori del matrimonio, o quelle sugli alimenti), furono spazzate via in un batter d\'occhio.
Questi primi anni di governo costituirono ciò che Lapidus definisce come Soviet style \"affirmative action program\" a favore delle donne: numerosi interventi abolirono la discriminazione sessuale sul posto di lavoro e nella società, tutelarono il lavoro delle donne incinte e introdussero nelle fabbriche i congedi obbligatori di maternità. Maggiori opportunità professionali e d\'istruzione aprirono ad esse spazi e carriere nuove riservate prima solo al sesso forte. Nella vita politica, molti furono i reclutamenti al femminile a posizioni dirigenziali, ben simboleggiati dalle note Commissioni femminili (ženotdely) del partito comunista (bolscevico), fondate nel 1919.
Non mancarono, tuttavia, anche nella Russia sovietica, alla fine della Prima Guerra Mondiale, nonostante la rivoluzione, tentativi in parte bloccati di liquidazione del lavoro femminile operaio. La politica adottata dal governo, durante il comunismo di guerra, fu quella del \"numero chiuso della forza lavoro\" da impiegare, con lo scopo di assicurare un salario ad ogni nucleo familiare. La documentazione di quel periodo sul servizio obbligatorio del lavoro testimonia la progressiva liquidazione del lavoro femminile in fabbrica e il tentativo di ricostituire il nucleo familiare sulla base di un solo salario erogato all\'operaio maschio adulto, calcolando le \"bocche\" a carico.
Numerosi furono i casi in cui i comitati di fabbrica, di fronte alla diminuzione del volume del lavoro, cercarono di licenziare in primo luogo le donne. Nel febbraio 1918, Nadežda Krupskaja intervenne sulla Pravda, con un lungo articolo, per pronunciarsi con decisione contro il licenziamento dalla produzione delle donne. La battaglia per l\'emancipazione della donna fu intesa da alcuni dirigenti del partito anche come un momentodi profondo rinnovamento del costume e della morale sessuale, che culminò nella nota teoria del \"bicchiere d\'acqua\" (cioè del sesso facile e senza complicazioni - come appunto bere un bicchiere d\'acqua) o nella politica del \"libero amore\" (free love).
Subito dopo la rivoluzione del 1917, nel bel mezzo del fermento politico, sociale e culturale, i giornali e le riviste d\'avanguardia del tempo assunsero toni spregiudicati e possibilisti riguardo alla nuova morale sessuale propagandata. Ancora nel 1926, già in piena NEP e alle soglie dell\'introduzione del secondo codice rivoluzionario russo di famiglia, il regista Abram Room produsse uno dei film più anticonformisti dell\'epoca sull\'emancipazione femminile e la liberazione sessuale. In effetti, Tre in uno scantinato è un film che mette in discussione i rapporti tradizionali fra i sessi. Esso fece scalpore poiché affrontava arditamente la questione dell\'amore a tre e, più in generale, della liberazione dei costumi.
Come afferma Annie Goldmann, l\'inizio degli anni Venti, nella Russia sovietica, offrì un laboratorio traboccante d\'idee, d\'iniziative e di audacie che a quel tempo neppure Parigi e Berlino raggiunsero (nota 10). Si viveva ancora nel clima entusiasmante della rivoluzione, nella certezza di creare una società nuova, libera dai pregiudizi e dagli stereotipi del vecchio regime zarista. Tuttavia, le idee sul libero amore si svilupparono fino a raggiungere posizioni considerate \"astruse\" non solo dai compagni più conservatori, ma anche dai rivoluzionari della prima generazione (nota 11). Lo stesso Lenin sentì il bisogno d\'intervenire sulla questione. La nostra gioventù, osservò, \"si è scatenata con questa teoria del bicchiere d\'acqua\" (nota 12). Jonov, in un articolo sulla Pravda, apparso nel dicembre del 1926, scrisse: \"Non abbiamo nessun complesso nei confronti della fisiologia. Non la consideriamo affatto vergognosa. Tuttavia, ricordiamo che il comunismo, oltre a molte altre cose, significa l\'instaurazione di rapporti realmente umani tra le persone, e quindi anche tra maschio e femmina\".
Le teorie del libero amore e del sesso facile si erano, tra l\'altro, diffuse in un momento in cui la famiglia riportava pesanti ferite, a causa di anni ininterrotti di conflitti e guerre. Spazzare via principi, radicati a fondo nelle credenze e nei costumi popolari, non fu certo un compito facile,soprattutto in campagna. Ciò fu sin dall\'inizio chiaro a Lenin, secondo cui l\'unico modo per combattere ed eliminare il pregiudizio stava nell\'estirpare miseria e ignoranza, attraverso la propaganda e l\'istruzione: (…)
La Repubblica dei soviet ha prima di tutto il compito di abolire ogni restrizione dei diritti della donna. Il procedimento giudiziario per il divorzio, questa vergogna borghese, fonte di avvilimento e di umiliazione, è stato completamente abolito dal potere sovietico. Da un anno esiste ormai una legislazione assolutamente libera sul divorzio. Abbiamo promulgato un decreto che abolisce la differenza tra figli legittimi e illegittimi e tutta una serie di restrizioni politiche. In nessun altro paese sono state realizzate in modo più completo l\'uguaglianza e la libertà delle donne lavoratrici. Noi sappiamo che tutto il peso delle leggi tradizionali ricade sulla donna appartenente alla classe operaia.
Per la prima volta nella storia la nostra legge ha cancellato tutto ciò che trasformava le donne in esseri senza diritti. Ma qui non si tratta della legge. La legge sulla piena libertà del matrimonio sta prendendo piede nelle nostre città e nei nostri centri industriali, ma nelle campagne resta molto spesso lettera morta. Nelle campagne continua a predominare il matrimonio religioso. Questo si deve all\'influenza dei preti, ed è un male che si combatte più difficilmente della vecchia legislazione. I pregiudizi religiosi vanno combattuti con estrema prudenza; coloro che, nel corso di questa lotta, offendono il sentimento religioso ci procurano grave danno.
Bisogna lottare per mezzo della propaganda e dell\'istruzione. Agendo brutalmente rischiamo di irritare le masse; una simile lotta acuisce la divisione delle masse per motivi religiosi; la nostra forza sta invece nell\'unità. La sorgente più profonda dei pregiudizi religiosi è nella miseria e nell\'ignoranza: contro questi mali dobbiamo batterci. La situazione della donna è tuttora quella di una schiava; la donna è schiacciata dal lavoro domestico e può trovare la sua liberazione soltanto nel socialismo…\" (nota 13).
Con l\'avvio della NEP, s\'imposero i problemi non indifferenti derivanti dalla contraddizione tra le avanzatissime norme del diritto familiare e le situazioni di fatto: quella dei figli abbandonati, della disgregazione sociale e familiare, cui era strettamente connesso l\'incremento della delinquenza giovanile. La guerra civile del 1918-1921 e la carestia del 1920-21, che seguirono dopo tre disastrosi anni di guerra, accelerarono indubbiamente lo scioglimento delle vecchie forme di vita dopo la rivoluzione. Ma tale scioglimento, in alcuni casi, assunse aspetti pericolosi.
Migliaia di famiglie, le popolazioni d\'interi villaggi dovettero emigrare nel tentativo di trovare cibo in altre regioni. In non pochi casi, le madri abbandonarono i figli, e gli uomini le mogli, lungo il cammino. Molte donne si prostituirono per nutrire se stesse e i figli. Dopo parecchie discussioni sul progetto del secondo codice di famiglia, quest\'ultimo fu approvato nel 1926 dal Soviet supremo. Contrariamente all\'opinione diffusa tra gli studiosi borghesi occidentali, secondo cui tale codice si propose di superare le contraddizioni insite in quello del 1918, esasperando le posizioni del primo legislatore in materia di libertà individuali e sessuali, esso, in realtà, rappresentò un ritiro ideologico da quello del \'18 su molti punti importanti quali il matrimonio, il divorzio, la paternità, l\'adozione e la proprietà coniugale.
Se la NEP rappresentò la risposta al caos economico e al disorientamento causati da anni di guerra estera e civile, il codice di famiglia del \'26 fu, invece, la risposta al caos sociale e familiare generato da quella situazione. Esso, in definitiva, costituì uno sforzo per tenere insieme una società profondamente disgregata. Fatto rilevante di questo codice fu il riconoscimento della validità del matrimonio non registrato, in presenza di determinate condizioni accertate dal tribunale (convivenza sotto lo stesso tetto per almeno un numero di anni, comune educazione dei figli, ecc.). Parificando le unioni \"di fatto\" a quelle registrate, il legislatore tentò di risolvere alcune situazioni concrete.
Il quadro storico di riferimento della Russia di allora era drammatico: proprio in quegli anni essa conobbe il fenomeno dilagante del rifiuto dei bambini che si tradusse con la pratica degli aborti, degli abbandoni e degli infanticidi. La moltiplicazione dei divorzi in città e, seppure in numero inferiore, in campagna, significò la crescita del numero delle unioni di fatto. Fu, quindi, necessario regolare queste unioni. La procedura di divorzio subì un\'ulteriore semplificazione, poiché nel caso in cui fosse stata consenziente una sola parte era ora sufficiente un suo atto dichiarativo presso l\'ufficio dello stato civile (dispensando tale coniuge dalla necessità di recarsi presso il tribunale). Il tribunale veniva chiamato in causa, se vi fosse stato disaccordo sugli alimenti. Nel disciplinare l\'istituto della paternità, la legge eliminò il concetto di \"responsabilità materiale collettiva\" (introdotta dal codice del \'18) dei padri putativi nei confronti del nascituro.
L\'eliminazione della responsabilità collettiva di più uomini ebbe l\'intento di provvedere ad una migliore protezione del bambino, poiché l\'esperienza sotto il codice precedente aveva dimostrato che laddove più padri putativi erano congiuntamente responsabili del suo mantenimento materiale, nessuno di loro, in realtà, si sentiva in obbligo. Al contrario, il nuovo dispositivo dette la facoltà al tribunale, in situazioni di dubbio sull\'accertamento della paternità, di responsabilizzare materialmente il padre \"presunto\" con il reddito più alto. La ricerca della paternità fu estesa anche alle madri sposate. Il diritto all\'aborto era sempre possibile, e per far fronte al fenomeno dilagante dei besprizorniki (i fanciulli abbandonati) fu ripristinato l\'istituto dell\'adozione.
Il governo, nel 1923, prendendo atto della dimensione spaventosa che stava assumendo il fenomeno dei bambini in stato di abbandono, decise di reintrodurre l\'istituto dell\'adozione, ponendolo sotto il controllo diretto dello stato e dei suoi dipartimenti di educazione. Altro provvedimento del codice fu la reintroduzione della proprietà coniugale comune riconosciuta anche per i matrimoni \"di fatto\". Se il codice del \'18 aveva come suo fondamento l\'eliminazione di ogni elemento coercitivo nei confronti della famiglia, il codice del \'26 tentò di risolvere problemi immediati e, in particolare, di tutelare meglio gli interessi delle donne e dei bambini sotto la NEP. Con questo spirito, fu reso legale il matrimonio non registrato e reintrodotta la proprietà coniugale comune. In quel periodo, molte donne erano prive di qualsiasi specializzazione lavorativa, non potevano facilmente inserirsi nella produzione sociale e in più, nelle relazioni economiche, non godevano degli stessi diritti degli uomini. La rottura di relazioni spesso pesava su di loro.
Con il ripristino della proprietà coniugale comune si vollero tutelare quelle donne che, in caso di divorzio, non avrebbero ottenuto alcun beneficio economico. Ovviamente, entrambi i codici del \'18 e del \'26 non riuscirono a cambiare da un momento all\'altro la mentalità arcaica di un paese in cui la servitù era stata abolita solo nel 1861. Le masse contadine, che costituivano la maggioranza, non erano pronte ad accettare da un giorno all\'altro dei cambiamenti tanto radicali. Numerosi furono ancora i matrimoni religiosi, e nei villaggi ci si schierò contro la legalizzazione delle unioni di fatto. Nel contesto degli anni Venti, la gente contadina ripiegava ancora sulla famiglia e il villaggio godendo di una pace relativa, e temeva qualsiasi aggressione da parte dello stato o qualsiasi spaccatura che potesse verificarsi entro il nucleo domestico.
La legge del 1936 e l\'Editto del 1944
Le norme del codice del \'26 rimasero immutate dieci anni. Poi, nel 1936 e nel 1944, intervennero due leggi a modificare alla radice i punti chiave della normativa matrimoniale e familiare. Gli anni Trenta conobbero un\'immensa emigrazione contadina verso le città. Dal 1926 al 1939, la popolazione urbana aumentò di 30 milioni, 25 dei quali erano contadini che lasciarono il villaggio per andare a lavorare nelle fabbriche (nota 14). La meccanizzazione dell\'agricoltura, durante la collettivizzazione, oltre a raddoppiare la produzione, lasciò liberi milioni di lavoratori per l\'industria.
La crescita veloce e abnorme dei centri industriali portò inizialmente a una nuova crescita (dopo quella, già notevole, degli anni Venti) del numero dei divorzi, degli aborti e a una forte diminuzione della natalità. Nel campo dei rapporti tra i sessi, all\'emancipazione femminile, con l\'accesso di milioni di donne al lavoro e allo studio, non corrispose quell\'emancipazione dei rapporti \"uomo-donna\", della famiglia e dei sentimenti sessuali e amorosi prospettata nel corso dei primi anni Venti. Anzi, il consolidamento in senso tradizionale della famiglia fu sempre più visto come una garanzia contro i fenomeni preoccupanti di disgregazione morale e sociale.
Allo scopo di agevolare le madri che lavoravano, nello svolgimento della loro doppia funzione (lavoro domestico e di cura e lavoro produttivo sociale), lo stato intervenne con una serie d\'iniziative nel settore dei servizi sociali ed educativi. Ancora alla fine degli Trenta, nonostante la tendenza ormai indiscussa a valorizzare il ruolo della donna soprattutto come moglie e madre, il tasso di presenza della forza lavoro femminile sul mercato del lavoro era alta. L\'industrializzazione, avviata con il primo piano quinquennale, aveva offerto alle donne lo strumento più importante per la loro emancipazione. Afferma la giornalista americana Anna Louise Strong: (…)
Nell\'Inghilterra capitalista la fabbrica apparve come uno strumento di profitto e di sfruttamento. Nell\'Unione sovietica, essa non fu solo uno strumento di ricchezza collettiva, ma un mezzo consapevolmente usato per spezzare vecchie catene\" (nota 15).
I provvedimenti successivi relativi al matrimonio e la famiglia furono pubblicati sotto forma di editto l\'8 luglio 1944. Innanzitutto, fu confermato ed esteso, nell\'Unione sovietica distrutta dalla guerra, il piano per la costruzione intensiva d\'istituti per l\'infanzia. Le immense perdite umane subite dall\'Unione Sovietica, durante la guerra, spiegarono l\'accresciuto aiuto materiale dello stato alle madri sposate e nubili. L\'evoluzione giuridica in materia matrimoniale e familiare, abbozzata nel 1936, proseguì nel 1944: soltanto i matrimoni registrati beneficiarono della protezione della legge (le norme del 1926 sul valore giuridico del matrimonio di fatto furono annullate); le madri di famiglie numerose ricevevano vari titoli onorifici e medaglie, ma la donna che abortiva rischiava di essere perseguita penalmente. I divorzi furono tutti soggetti a procedura giudiziaria.
Le leggi emanate nel \'36 e nel \'44 ebbero come conseguenza l\'aumento degli aborti clandestini e il dimezzamento dei divorzi. Le ragioni dei provvedimenti legislativi assunti nel \'44, in materia matrimoniale e familiare, devono essere ricercate negli sconvolgimenti che seguirono alla guerra del 1941-1945: vista la gravità della discrepanza numerica tra i sessi che si era venuta creare dopo la Grande Guerra Patriottica, e il bisogno di un incremento notevole dei tassi di fertilità, Stalin scelse la strada della ricostruzione del nucleo familiare, non solo riconoscendo le famiglie legali ma, legittimando - com\'è stato detto - la \"maternità in stato di nubilato\". Nel 1943, la coeducazione (classi miste) fu abolita.
Stalin motivò l\'abolizione della coeducazione per evitare \"qualsiasi copertura delle specifiche caratteristiche di genere della popolazione a forte rilevanza sociale\": \"Nella fase che è passata, lo stato sovietico ha pienamente e speditamente eliminato dalle menti della gente ogni idea dell\'ineguaglianza sociale dei sessi e ogni espressione di quest\'idea dalla vita quotidiana. Ora noi affrontiamo un nuovo e non meno importante compito. Esso è, soprattutto, quello di rafforzare la nostra primaria unità sociale, la famiglia socialista, sulla base del pieno sviluppo delle caratteristiche maschili e femminili nel padre e nella madre, come capi della famiglia con eguali diritti. L\'istruzione nelle nostre scuole fu nel passato coeducazionale allo scopo di superare, il più velocemente possibile, l\'ineguaglianza sociale dei sessi, radicata nei secoli. Ma ciò che noi dobbiamo ora costruire è un sistema attraverso cui la scuola sviluppi ragazzi che saranno buoni padri ma soprattutto combattenti per la patria socialista e ragazze che saranno madri intelligenti idonee ad allevare le nuove generazioni\" (nota 16).
I contraccolpi negativi delle leggi sulla donna e la famiglia del \'36 e \'44 si fecero sentire presto, man mano che la società sovietica ritrovava un suo equilibrio e si avviava verso la normalità, dopo la convulsa e drammatica fase della ricostruzione post-bellica. Bisognerà aspettare, tuttavia, la legislazione di famiglia del 1968 per vedere di nuovo modificato a fondo l\'impianto dato a questo settore dalla legge del \'44, largamente ispirata al familismo e alla concezione della donna come \"angelo del focolare\".
Note
1) C. Carpinelli, Donne e famiglia nella Russia sovietica. Caduta di un mito bolscevico, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 8.
2) I.A. Kurganov, \"Ženščiny v narodnom chozjajstve\" in Ženščiny i Kommunizm, New-York, 1968, pp. 57-107.
3) C. Carpinelli, Donne e povertà nella Russia di E\'lcin. L\'era della transizione liberale, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 131. 16 Novembre 2017 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli
4) B. Clements Evans, Daughters of Revolution: a History of Women in the Ussr, Davidson, Inc., Arlington Heights, ILL, 1994.
5) Si fa qui riferimento ai primi due codici russi del 1918 e del 1926.
6) H. Johnson, The Soviet Power, International Publisher, New York, 1940
7) Ivi, p. 228.
8) Ivi, p. 221. Antonio Gramsci oggi 17 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli
9) E.H. Carr, Il socialismo in un solo paese, tomo I, Einaudi, 1970, pp. 29-30.
10) A. Goldmann, Gli anni ruggenti (1919-1929), Giunti, Firenze, p. 90.
11) R. Schlesinger, The Family in the Ussr: Documents and Readings, London, 1949, p. 15.
12) M. Geller, A. Nekrič, Storia dell\'Urss, cit., p. 191.
13) V.I. Lenin, Polnoe sobranie sočinenij, 4 ediz., vol. XXVIII, Moskva, p. 160. Antonio Gramsci oggi19 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli
14) N. Werth, Storia dell\'Unione Sovietica, il Mulino, 1993, p. 310.
15) A.L. Strong, L\'era di Stalin, Edizioni Rapporti Sociali, 1997, p. 78. 20\' Novembre 2017 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli
16) Citato in M. Tsuzmer, Soviet War News, n. 6, nov. 1943, p. 8.
\n
Onu-Ican: 243 parlamentari italiani hanno firmato per la ratifica del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari
Per liberare l’Italia dalle atomiche non basta una firma
Trattato Onu-Ican. 243 parlamentari italiani hanno firmato per la ratifica del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari
su Il Manifesto del 19.11.2017
L’Ican, coalizione internazionale di Ong insignita del Nobel per la Pace 2017, comunica che 243 parlamentari italiani hanno firmato l’«Impegno Ican» a promuovere la firma e la ratifica da parte del governo italiano del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.
È il Trattato adottato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017. Che all’Articolo 1 stabilisce che «ciascuno Stato parte si impegna a non permettere mai, in nessuna circostanza, qualsiasi stazionamento, installazione o spiegamento di qualsiasi arma nucleare nel proprio territorio; a non ricevere il trasferimento di armi nucleari né il controllo su tali armi direttamente o indirettamente». All’Articolo 4 il Trattato stabilisce: «Ciascuno Stato parte che abbia sul proprio territorio armi nucleari, possedute o controllate da un altro Stato, deve assicurare la rapida rimozione di tali armi».
Impegnandosi a promuovere l’adesione dell’Italia al Trattato Onu, i 243 parlamentari si sono quindi impegnati a promuovere: 1) la rapida rimozione dal territorio italiano delle bombe nucleari Usa B-61 e la non-installazione delle nuove B61-12 e di qualsiasi altra arma nucleare; 2) l’uscita dell’Italia dal gruppo di paesi che, nella Nato, «forniscono all’Alleanza aerei equipaggiati per trasportare bombe nucleari, su cui gli Stati uniti mantengono l’assoluto controllo, e personale addestrato a tale scopo» (The role of NATO’s nuclear forces); 3) l’uscita dell’Italia dal Gruppo di pianificazione nucleare della Nato, in base all’Articolo 18 del Trattato Onu che permette agli Stati parte di mantenere gli obblighi relativi a precedenti accordi internazionali solo nei casi in cui essi siano compatibili col Trattato.
I parlamentari che hanno firmato tale impegno appartengono ai seguenti gruppi: 95 al Partito democratico (Pd), 89 al Movimento 5 Stelle, 25 ad Articolo 1-Mdp, 24 a Sinistra italiana-Sel, 8 al Gruppo misto, 2 a Scelta civica. Nel dibattito alla Camera, il 19 settembre scorso, solo i gruppi Sinistra italiana-Sel e Articolo 1-Mdp hanno chiesto la rimozione delle armi nucleari dall’Italia, come prescrive il Trattato di non-proliferazione, e l’adesione al Trattato Onu. Il Movimento 5 Stelle ha chiesto al governo solo di «relazionare al Parlamento sulla presenza in Italia di armi nucleari e dichiarare l’indisponibilità dell’Italia ad utilizzarle». La Lega Nord ha chiesto di «non rinunciare alla garanzia offerta dalla disponibilità Usa a proteggere anche nuclearmente l’Europa e il nostro paese». Il Pd – con la mozione di maggioranza approvata nella stessa seduta anche con i voti di Gruppo misto, Scelta civica, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Alternativa popolare, Democrazia solidale – ha impegnato il governo a «continuare a perseguire l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari» (mentre mantiene in Italia armi nucleari violando il Trattato di non-proliferazione) e a «valutare, compatibilmente con gli obblighi assunti in sede di Alleanza atlantica, la possibilità di aderire al Trattato Onu». Il governo ha espresso «parere favorevole» ma il giorno dopo, con gli altri 28 del Consiglio nord-atlantico, ha respinto in toto e attaccato il Trattato Onu.
I parlamentari di Pd, Gruppo misto e Scelta civica, e quelli del M5S, che hanno firmato l’Impegno Ican differenziandosi dalle posizioni dei loro gruppi, devono a questo punto dimostrare di volerlo mantenere, promuovendo con gli altri una chiara iniziativa parlamentare perché l’Italia firmi e ratifichi il Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari. Lo deve fare in particolare Luigi Di Maio, firmatario dell’Impegno Ican, per la sua posizione rilevante di candidato premier.
Aspettiamo di vedere nel suo programma di governo l’impegno ad aderire al Trattato Onu, liberando l’Italia dalle bombe nucleari Usa e da qualsiasi altra arma nucleare.
Cosa si nasconde dietro il progetto “euro-nukes”
Vincent Brousseau ha lavorato per 15 anni presso la BCE, in particolare nel Sancta Santorum della politica monetaria, ed è uno dei maggiori esperti francesi sull’euro. Ma essendo anche un grande conoscitore della scena politica tedesca e di questioni geostrategiche e militari, ha preparato un dossier del massimo interesse su quello che sta succedendo in Germania intorno alla possibilità di eludere il divieto alle armi nucleari impostole dopo la seconda guerra mondiale, e mettere silenziosamente le mani sulla forza d’urto francese tramite la creazione di una “bomba nucleare europea” («Euro-nukes»). Colpo di mano militare molto inquietante in un periodo in cui le previsioni geopolitiche sono di grande incertezza e turbolenza, ma naturalmente sottovalutato dagli utili idioti della “costruzione europea” e passato per lo più sotto silenzio dalla grande stampa.
Tradotto da Carmenthesister per http://vocidallestero.it/
Dossier strategico di Vincent Brousseau, 15 luglio 2017
Cos’è il trattato di Mosca?
Alcuni mesi fa, un comunicato dell’agenzia Reuters (di metà novembre 2016) ricordava incidentalmente che nessun accordo di pace è stato firmato tra il Giappone e la Russia dopo la seconda guerra mondiale. Questi due Stati sono quindi, dal punto di vista giuridico, ancora in guerra dal 1945.
Il pomo della discordia ancora presente tra Tokyo e Mosca che impedisce di firmare il trattato di pace rimane la questione delle isole Curili del Sud, ex giapponesi, che Stalin conquistò nel 1945 e l’URSS e poi la Russia hanno sempre rifiutato di restituire.
La notizia di fine anno scorso, dal tono ottimista, assicurava tuttavia che erano stati fatti dei progressi verso questo trattato di pace. Va da sé che, da un punto di vista pratico, tra questi due paesi la pace regna da diversi decenni, ma è il caso di notare che la firma di tali trattati può essere ancora una questione lunga.
Alleata del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania ha vissuto la stessa situazione dal 1945 al 1990. È un trattato del 1990 che ha formalmente chiuso le ostilità, 45 anni dopo la capitolazione del Reich. Questo Trattato, il cui titolo ufficiale è “Trattato sullo stato finale della Germania“, è comunemente noto come il Trattato di Mosca. E’ chiamato anche “Trattato 2+4” o “Trattato 4+2” perché fu firmato e ratificato tra:
– i rappresentanti delle due Germanie dell’epoca (Germania occidentale denominata “Repubblica federale tedesca” o “RFT” e Germania orientale “Repubblica democratica tedesca “o” DDR”),
– i rappresentanti delle quattro potenze alleate della seconda guerra mondiale: Francia, Stati Uniti, Regno Unito e URSS.
La firma di questo trattato il 12 settembre 1990 a Mosca aprì la strada alla riunificazione tedesca.
Molto breve, questo trattato, che consiste in un preambolo e dieci articoli, stabilisce con precisione lo status internazionale della Germania unita nel cuore dell’Europa, con il tacito consenso di tutti i suoi vicini. Il trattato regola molti temi sugli affari esteri dei due stati tedeschi, come la demarcazione delle frontiere esterne, l’adesione alle alleanze e le forze militari. Con questo trattato, la Germania dovrebbe nuovamente assumere piena sovranità e diventare uno stato come qualsiasi altro.
Firma del “Trattato di Mosca” il 12 settembre 1990, che ripristina la “sovranità totale” della Germania.
Questo Trattato di Mosca, che consacra la riunificazione e ristabilisce in linea di principio la sovranità della Germania, contiene tuttavia alcune restrizioni molto importanti.
Pertanto, la Germania non è autorizzata a modificare i propri confini, neanche sulla base di un accordo con il paese di frontiera interessato.
Questo, a priori, può sembrare assurdo, ma non lo è, perché l’impegno è preso dalla Germania non nei confronti del paese di frontiera (che in linea di principio potrebbe liberarla da tale impegno), ma verso ciascuno dei quattro alleati, considerati individualmente. Così la Russia potrebbe opporsi a un’ipotetica modifica del confine, ad esempio, ceco-tedesco, anche se i due paesi interessati fossero d’accordo. Va da sé che ciò costituisce una restrizione di ciò che si intende comunemente con la parola “sovranità”.
Dal lato britannico, responsabile della redazione e della ratifica del Trattato di Mosca era Margaret Thatcher. La Thatcher, ancor più di Mitterrand, la sua controparte all’epoca, nutriva una vera diffidenza verso un ritorno della Germania nel consesso delle grandi potenze. Un articolo del Financial Times di inizio 2017 ha ricordato questo utile dettaglio, quasi dimenticato. La Thatcher, dice l’articolo, pensava anche di instaurare un’ “alleanza” con l’URSS all’esplicito scopo di contenere l’ascesa di una Germania riunificata, e motivava questa scelta facendo riferimento al periodo del 1941-1945 , quando Londra e Mosca erano alleati contro Berlino. Questo rende bene l’atmosfera.
Un’altra importante e ben nota restrizione si trova nell’articolo 3 del Trattato di Mosca, che pone un divieto permanente alla Germania di avere accesso alle armi nucleari.
Sulla base di questo articolo, la Germania non può né ricercare, né acquisire, né testare, né detenere o utilizzare qualsiasi arma atomica. E questo impegno, di nuovo, è assunto nei confronti di ciascuno dei quattro alleati, considerati individualmente.
Ciò significa che, se per qualche motivo la Germania decidesse di ignorare il trattato e di avviare un procedimento di accesso alle armi atomiche, la Russia – o anche qualsiasi altra delle tre potenze – sarebbe autorizzata di diritto a impedirlo con un’azione militare. Anche qui, si capisce che la sovranità della Germania non è stata restaurata in modo pieno.
Quali sono le posizioni dell’opinione pubblica russa e tedesca su questo argomento?
– La Russia ha, per ovvie ragioni storiche, un forte sentimento di paura verso la Germania. Né il sentimento popolare, né alcun governo russo, come un tempo il governo sovietico, sarebbero disposti a tollerare la minima violazione di questo divieto nucleare.
– La Germania ha, per gli stessi evidenti motivi storici, un forte senso di vergogna per il suo passato bellicoso. L’opinione pubblica tedesca è completamente a favore della rigorosa osservanza del divieto nucleare militare tedesco, ed è sempre stato così. Nessun governo tedesco o ex governo tedesco occidentale si è mai opposto pubblicamente a questa limitazione. C’era un certo sospetto che la Germania orientale tentasse di aggirare il divieto, ma probabilmente sono solo voci infondate.
E tuttavia, è preciso dovere di un governo prevedere ogni scenario. E i tedeschi sono persone metodiche e serie che usano prevedere tutto, anche l’improbabile. Quindi mi risulta difficile immaginare che i leader politici tedeschi non abbiano mai pensato a come rendere il loro paese una potenza atomica.
Cosa si intende per forza atomica?
Lo status di potenza nucleare non si ottiene semplicemente dal possesso di tre testate nucleari immagazzinate sotto un hangar. Comprende un notevole numero di altre cose.
Bisogna non solo avere le armi, ma avere la loro catena produttiva, sapere come mantenerla e proteggerla, averne testato l’efficacia, aver testato naturalmente le stesse armi, sapere ed essere in grado di tenerle al sicuro, avere una catena di comando rigorosa (in particolare per evitare di non essere in grado di utilizzarle, a seguito del tradimento o della morte di un solo uomo).
Devi avere persone addestrate per costruire siti, mantenerli, realizzare dei modelli dell’arma e dei suoi vettori in termini fisici e matematici, costruire i vettori, costruire l’arma in quanto tale, costruire e testare i dispositivi di trasmissione degli ordini in modo sicuro.
Si consideri, per esempio, tutta la logistica necessaria alla Francia per mantenere in permanenza la sua flotta di sottomarini nucleari lanciamissili balistici (SSBN) o lo sforzo scientifico richiesto per riuscire a simulare virtualmente gli effetti dell’esplosione – cosa fondamentale da quando i test nucleari sono vietati.
Ognuna delle cinque potenze nucleari ufficiali ha dovuto quindi sostenere un investimento enorme in tempo, persone e capitali, per decenni. È perciò totalmente irrealistico immaginare che un nuovo soggetto possa diventare una potenza nucleare dall’oggi al domani.
Se Charles de Gaulle non avesse voluto l’ingresso del suo paese nel ristretto club delle potenze nucleari, sarebbe molto difficile per la Francia raggiungere questo obiettivo oggi.
È per questo che in Francia sono poche le proposte che il paese rinunci a questo status; provengono da persone che sono più legate ad un ordine mondiale transnazionale che alla sovranità nazionale della Francia. Citerò per esempio la proposta fatta nel 2009 da MM. Juppé, Rocard, Norlain e Richard, oggi quasi dimenticata …
Pertanto, un possibile accesso del nostro vicino tedesco allo status di potenza nucleare sembra a priori un rischio lontano. Anche se, per ipotesi, la Germania pretendesse di eludere l’articolo 3 del Trattato di Mosca, il lavoro da intraprendere sarebbe talmente grande che i quattro alleati avrebbero molto tempo a disposizione per accorgersi della manovra e farla fallire.
Ma abbandoniamoci a un piccolo esercizio di paranoia. Dopo tutto, se io fossi tedesco, senza dubbio avrei già pensato ai modi per aggirare l’ostacolo.
È così impossibile?
Come ho evidenziato prima, diventare una potenza nucleare comporta l’acquisizione di diverse cose che non hanno nulla a che fare l’una con l’altra.
Alcune sono immateriali (creare una rigorosa catena di comando, o addestrare ingegneri e scienziati); per loro stessa natura, queste cose possono essere fatte in maniera relativamente discreta.
Al contrario, il test nucleare iniziale è tutt’altro che discreto; e nel caso della Germania è proibito due volte: una volta a causa dell’articolo 3 del Trattato di Mosca, e l’altra a causa del divieto globale per i test nucleari.
Ma tra questi due estremi?
Tra questi due estremi c’è ad esempio l’acquisizione delle tecnologie necessarie per i missili intercontinentali, o la creazione di una catena di produzione – la realizzazione fisica e la convalida, vale a dire altri tipi di test – e le catene di produzione di altri dispositivi di lancio. Ad esempio, sottomarini.
Tutte queste azioni non possono essere fatte con assoluta discrezione, ovviamente, ma sono meno appariscenti del test di Mururoa del 24 agosto 1968.
Ora, da alcune notizie di attualità, nel corso degli ultimi semestri, risultano dei sintomi che tendono a confermare che potrebbe esserci un silenzioso interesse da parte della Germania a compiere questi passi verso l’accesso al nucleare. Parlerò solo di due di questi sintomi, pur essendo consapevole che possono spiegarsi in modo diverso – e che sono, infatti, spiegati in modo diverso. Ma in questo campo non si è mai troppo diffidenti …
Questi due esempi sono:
– l’ingresso della Germania in Airbus;
– e la vendita, o meglio il regalo, fatto dalla Germania a Israele di sommergibili del tipo denominato Dolphin.
Il silenzioso interesse della Germania per la bomba
In primo luogo, l’Airbus. Il gruppo Airbus è stato creato nel 2000 da parte degli Stati francese e spagnolo e due gruppi privati, uno francese e uno tedesco, sulla base della struttura omonima esistente dagli anni ’70. La scelta del nome, EADS, che non è né francese né spagnolo, né tedesco, testimonia la pretesa “volontà dell’Europa” riguardo al progetto. La quota dello Stato francese nella partecipazione al gruppo è passata dal 48% nel 1999 all’ … 11% nel 2015, mentre la quota dello Stato federale tedesco è dell’11% dal 2014.
Inoltre, il gruppo è anche costruttore di missili strategici della Force océanique stratégique (FOST) francese e, di conseguenza, titolare di alcune tecnologie molto avanzate, che riguardano il nucleare ma anche il settore spaziale. (L’aspetto spaziale è particolarmente legato al fatto che le testate di questi missili sono “rientranti”, cioè svolgono parte del viaggio nello spazio e devono rimanere funzionali dopo il rientro nell’atmosfera.)
Stiamo parlando di tecnologie molto avanzate, paragonabili solo alle loro controparti russe e americane. Totalmente fuori dalla portata dei “piccoli candidati” al nucleare come la Libia o la Corea del Nord, sono costate alla Francia un lavoro di diversi decenni.
La struttura di Airbus offrirebbe allo Stato tedesco un modo per recuperare queste tecniche, se decidesse in questo senso? La risposta è che è una questione di tempo.
Se la Germania ha davanti a sé un orizzonte di qualche anno, è impensabile che non ci riesca. Naturalmente, si suppone che la Germania non dovrebbe voler fare una cosa del genere, ma trovo questa garanzia piuttosto debole.
Diamo un’occhiata alla storia dei Dolphin.
Sono sottomarini di costruzione tedesca. Certamente c’è un mondo tra queste macchine e un SNLE francese. Ma resta il fatto che sono in grado di lanciare armi nucleari con un vettore di missili da crociera. Queste navi sono vendute allo Stato di Israele a tariffe molto vantaggiose, e i primi sono stati decisamente regalati.
Questa strana generosità ha suscitato delle domande.
Leggiamo sul sito irenees.net dell’associazione Modus Operandi, la seguente osservazione:
“Le vere ragioni non sono mai state espresse in maniera esplicita, ma come per voler ‘farsi perdonare’, la Germania si è semplicemente offerta di finanziare integralmente i primi due sottomarini (640 milioni di dollari) e di condividere le spese per il terzo.”
Farsi perdonare? Questa è una spiegazione comoda. Ma c’è una spiegazione meno innocua.
Come ho ricordato, l’accesso allo status di potenza nucleare comporta un notevole numero di passi, tra cui la costruzione, il funzionamento e la verifica delle linee di produzione tramite dei test. “Test”, l’ostacolo è questo. La Germania è stata in grado di creare la linea di produzione dei Dolphin, ma certamente non è in grado di verificare che il prodotto finito possa effettuare un lancio nucleare a causa dell’articolo 3 del Trattato di Mosca.
Tuttavia, può aggirare l’ostacolo facendo fare il test … alla marina israeliana.
Si comprende quindi che il vero pagamento di ciò che sarebbe, altrimenti, un puro e semplice regalo, potrebbe consistere in questo: la convalida del prodotto, che è essenziale e che era la più grande difficoltà. Nessuna forza nucleare è tale senza test e convalide, sia per i vettori e i dispositivi di lancio, che per le cariche nucleari stesse.
Del resto, questa operazione non è sfuggita alla vigilanza degli esperti, compresi i media russi, dal momento che Sputnik le ha dedicato una sezione speciale nel mese di aprile 2015, per rivelare ai suoi lettori che “Berlino fornirà a Israele un sottomarino a capacità nucleare “.
Ci sono motivi per credere che la direzione politica tedesca non abbia necessariamente rinunciato ad acquisire lo status nucleare, un giorno, nonostante le particolari difficoltà della Germania a perseguire un tale obiettivo.
Ma siccome questo obiettivo non è facile da raggiungere, vediamo se esiste un modo più intelligente. È qui che entra in gioco l’Europa.
La proposta “Kiesewetter”
Roderich Kiesewetter è un deputato tedesco (CDU), membro della commissione parlamentare per gli affari esteri del Bundestag, ed ex ufficiale di stato maggiore del Bundeswehr.
È anche membro, insieme a Andrew Duff, un altro individuo che ho già introdotto ai membri e ai sostenitori dell’UPR, del “European Coucil on Foreign Relations” (ECFR).
I due uomini hanno in comune una insolita specialità: sondano il terreno.
Questa attività consiste nel mettere delle idee sul tavolo, presentandole come proprie, senza coinvolgere personalità o istituzioni ufficiali, sia tedesche che europee (come Juncker o la Commissione Europea). L’obiettivo è vedere se queste idee non provocano particolari reazioni da parte degli altri politici, della stampa e dell’opinione pubblica, o se provocano al contrario una levata di scudi.
Ora, nel novembre 2016, Roderich Kiesewetter ha lanciato un’idea, presentandola come sua, in linea con il suo doppio incarico militare + Affari Esteri.
Questa idea è quella di utilizzare la costruzione europea per aggirare gli ostacoli che ho descritto sopra. Ed è un’idea brillante. Invece di preoccuparsi di avanzare subdolamente verso lo status nucleare, acquisirlo di diritto; in quanto il divieto riguarda la Germania, è possibile acquisirlo non come Germania ma come membro dell’Unione Europea.
L’idea è nata già da un po’ di tempo, e si conforma a una tendenza attuale dello spirito tedesco, che è quella di presentarsi come un bravo membro del mondo occidentale e democratico, piuttosto che un cattivo tedesco capace delle idee più abominevoli. (Per inciso, mi spiego così l’improbabile propensione dei nostri amici tedeschi per la lingua inglese: questione di immagine, soprattutto nei confronti degli altri occidentali.)
Questo pretesto avrebbe potuto essere la Crimea. Avrebbe potuto essere l’«ascesa del populismo». Non avrebbe potuto essere la Brexit, che ha l’effetto di portare fuori dalla UE un paese nucleare, lasciandolo nella NATO. Alla fine, sarà l’elezione di Trump.
La giustificazione è perfetta in relazione alle circostanze:
– l’atteggiamento trasgressivo e la vaghezza di Trump sugli impegni di Washington nella NATO;
– il rischio di perdere l’”ombrello nucleare” americano, agitato nei media euro-atlantici;
– la “minaccia” di una Russia sospettata delle peggiori intenzioni da parte di questi medesimi media.
Sicuramente, l’opportunità di sondare il terreno è perfetta. Se ne prende atto.
Reuters ha quindi presentato l’idea di “Kiesewetter” in una notizia del 16 novembre 2016. Se chi mi legge tiene a mente quanto appena detto, ogni riga del messaggio (in inglese) dovrebbe apparire chiara e trasparente.
Naturalmente, la proposta è accompagnata dalla riaffermazione che “la Germania stessa” non deve diventare una potenza nucleare. Tuttavia questa frase fa parte della retorica obbligatoria. Diamo un’occhiata più da vicino al contenuto concreto della proposta.
\n