Informazione


Recenti analisi di Manlio Dinucci

(in ordine cronologico inverso)

1) Il vero impatto del «Pentagono italiano» (31.10.2017)
2) Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari (9.7.2017)
3) Strategia NATO della tensione (27.6.2017)


Altri flashbacks:

BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI 

IL RIORIENTAMENTO STRATEGICO DELLA NATO DOPO LA GUERRA FREDDA

Sul libro di Manlio Dinucci: 

L’ARTE DELLA GUERRA. ANALISI DELLA STRATEGIA USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli. Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8419

Intervista a Manlio Dinucci sul suo libro \"L\'arte della guerra. Annali della strategia Usa - Nato (1990 - 2016)\" (Zambon Editore)
INTERVISTA | di Giuseppe Di Leo, 7/6/2016

Sull\'Ucraina:

È NATO il neonazismo in Europa / Democrazia NATO in Ucraina... ed altri link (2014-2017)

Intervista a Manlio Dinucci – La NATO in silenzio incamera Kiev (PandoraTV, 17/09/2015)
L’Ucraina parteciperà come partner alla Trident Juncture 2015, la più grande esercitazione militare della Nato dalla fine della guerra fredda, che si terrà dal 3 ottobre al 6 novembre 2015 in Italia, Spagna e Portogallo. Ne parliamo con Manlio Dinucci, geografo, analista geopolitico. Il suo ultimo libro è L’Arte della Guerra, Annali della Strategia USA-NATO (1990-2015) appena pubblicato da Zambon editore...
http://www.pandoratv.it/?p=4037
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=4037

Stoltenberg in visita a Kiev: “L’Ucraina può contare sulla Nato” (La Notizia di Manlio Dinucci - PandoraTV 23/9/2015)
“Storica” visita del segretario generale della Nato in Ucraina. Stoltenberg ha partecipato (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firmato un accordo per l’apertura di un’ambasciata della NATO a Kiev e tenuto due conferenze stampa col presidente Petro Poroshenko...
http://www.pandoratv.it/?p=4109
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?t=125&v=Edl1IfHiqHg


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VERSIONE VIDEO: L’arte della guerra : Il vero impatto del «Pentagono italiano» (PT/FR/ENG/SP) (PandoraTV, 31 ott 2017)


Il vero impatto del «Pentagono italiano»

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci


Gli abitanti del quartiere di Centocelle, a Roma, protestano a ragione per l’impatto del costruendo Pentagono italiano sul parco archeologico e la sua area verde (il manifesto, 29 ottobre).

C’è però un altro impatto, ben più grave, che passa sotto silenzio: quello sulla Costituzione italiana.

Come abbiamo già documentato sul manifesto (7 marzo), il progetto di riunire i vertici di tutte le forze armate in un’unica struttura, copia in miniatura del Pentagono statunitense, è parte organica della «revisione del modello operativo delle Forze armate», istituzionalizzata dal «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» a firma della ministra Pinotti.

Esso sovverte le basi costituzionali della Repubblica italiana, riconfigurandola quale potenza che interviene militarmente nelle aree prospicienti il Mediterraneo – Nordafrica, Medioriente, Balcani – a sostegno dei propri «interessi vitali» economici e strategici, e ovunque nel mondo – dal Baltico all’Afghanistan – siano in gioco gli interessi dell’Occidente rappresentati dalla Nato sotto comando Usa.

Funzionale a tutto questo è la Legge quadro del 2016, che istituzionalizza le missioni militari all’estero (attualmente 30 in 20 paesi), finanziandole con un fondo del Ministero dell’economia e delle finanze. Cresce così la spesa militare reale che, con queste e altre voci aggiuntive al bilancio della Difesa, è salita a una media di circa 70 milioni di euro al giorno, che dovranno arrivare a circa 100 milioni al giorno come richiesto dalla Nato.

La riconfigurazione delle Forze armate in funzione offensiva richiede sempre più costosi armamenti di nuova generazione. Ultimo acquisto il missile statunitense Agm-88E Aargm, versione ammodernata (costo 18,2 milioni di dollari per 25 missili) rispetto a precedenti modelli acquistati dall’Italia: è un missile a medio raggio lanciato dai cacciabombardieri per distruggere i radar all’inizio dell’offensiva, accecando così le difese del paese sotto attacco.

L’industria produttrice, la Orbital Atk, precisa che «il nuovo missile è compatibile anche con l‘F-35», il caccia della statunitense Lockheed Martin alla cui produzione l’Italia partecipa con l’impianto Faco di Cameri gestito da Leonardo (già Finmeccanica), impegnandosi ad acquistarne 90. Il primo F-35 è arrivato nella base di Amendola il 12 dicembre 2016, facendo dell’Italia il primo paese a ricevere, dopo gli Usa, il nuovo caccia di quinta generazione che sarà armato anche della nuova bomba nucleare B61-12.

L’Italia, però, non solo acquista ma produce armamenti. L’industria militare viene definita nel Libro Bianco «pilastro del Sistema Paese» poiché «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale in settori ad alta remunerazione».

I risultati non mancano: Leonardo è salita al nono posto mondiale nella classifica delle 100 maggiori industrie belliche del mondo, con vendite annue di armamenti per circa 9 miliardi di dollari nel 2016. Agli inizi di ottobre

Leonardo ha annunciato l’apertura di un altro impianto in Australia, dove produce armamenti e sistemi di comunicazione per la marina militare australiana. In compenso, per spostare sempre più la produzione sul settore militare, che fornisce oggi a Leonardo l’84% del fatturato, sono state vendute alla giapponese Hitachi due aziende Finmeccanica, Ansaldo Sts e Ansaldo Breda, leader mondiali nella produzione ferroviaria.

Su questo «pilastro del Sistema Paese» si edifica, con fondi stornati dal budget della Legge di stabilità, il Pentagono italiano, nuova sede del Ministero della Guerra.


(il manifesto, 31 ottobre 2017)


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VERSIONE VIDEO: L’arte della guerra : Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari (PandoraTV, 12 lug 2017)



Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

  
Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, adottato a grande maggioranza dalle Nazioni Unite il 7 luglio, costituisce una pietra miliare nella presa di coscienza che una guerra nucleare avrebbe conseguenze catastrofiche per l’intera umanità. 

In base a tale consapevolezza, i 122 stati che l’hanno votato si impegnano a non produrre né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente. Questo è il fondamentale punto di forza del Trattato che mira a creare «uno strumento giuridicamente vincolante per la proibizione delle armi nucleari, che porti verso la loro totale eliminazione».

Ferma restando la grande validità del Trattato – che entrerà in vigore quando, a partire dal 20 settembre, sarà stato firmato e ratificato da 50 stati – si deve prendere atto dei suoi limiti. Il Trattato, giuridicamente vincolante solo per gli stati che vi aderiscono, non proibisce loro di far parte di alleanze militari con stati in possesso di armi nucleari. Inoltre, ciascuno degli stati aderenti «ha il diritto di ritirarsi dal Trattato se decide che straordinari eventi relativi alla materia del Trattato abbiano messo in pericolo i supremi interessi del proprio paese». Formula vaga che permette in qualsiasi momento a ciascuno stato aderente di stracciare l’accordo, dotandosi di armi nucleari.

Il limite maggiore consiste nel fatto che non aderisce al Trattato nessuno degli stati in possesso di armi nucleari: gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato, Francia e Gran Bretagna, che possiedono complessivamente circa 8000 testate nucleari; la Russia che ne possiede altrettante; Cina, Israele, India, Pakistan e Nord Corea, con arsenali minori ma non per questo trascurabili. 

Non aderiscono al Trattato neppure gli altri membri della Nato, in particolare Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia che ospitano bombe nucleari statunitensi. L’Olanda, dopo aver partecipato ai negoziati, ha espresso parere contrario al momento del voto. Non aderiscono al Trattato complessivamente 73 stati membri delle Nazioni Unite, tra cui emergono i principali partner Usa/Nato: Ucraina, Giappone e Australia.

Il Trattato non è dunque in grado, allo stato attuale, di rallentare la corsa agli armamenti nucleari, che diviene sempre più pericolosa soprattutto sotto l’aspetto qualitativo.  In testa sono gli Stati uniti che hanno avviato, con rivoluzionarie tecnologie, la modernizzazione delle loro forze nucleari: come documenta Hans Kristensen della Federazione degli scienziati americani, essa «triplica la potenza distruttiva degli esistenti missili balistici Usa», come se si stesse pianificando di avere «la capacità di combattere e vincere una guerra nucleare disarmando i nemici con un first strike di sorpresa». Capacità che comprende anche lo «scudo anti-missili» per neutralizzare la rappresaglia nemica, tipo quello schierato dagli Usa in Europa contro la Russia e in Corea del Sud contro la Cina. 

La Russia e la Cina sono anch’esse impegnete nella modernizzazione dei propri arsenali nucleari. Nel 2018 la Russia schiererà un nuovo missile balistico intercontinentale, 
il Sarmat, con raggio fino a 18000 km, capace di trasportare 10-15 testate nucleari che, rientrando nell’atmosfera a velocità ipersonica (oltre 10 volte quella del suono), manovrano per sfuggire ai missili intercettori forando lo «scudo».

Tra i paesi che non aderiscono al Trattato, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. La ragione è chiara: aderendo al Trattato, l’Italia dovrebbe disfarsi delle bombe nucleari Usa schierate sul suo territorio. Il governo Gentiloni, definendo il Trattato «un elemento fortemente divisivo», dice però di essere impegnato per la «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione (Tnp), pilastro del disarmo». 

Trattato in realtà violato dall’Italia, che l’ha ratificato nel 1975, poiché impegna gli Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». L’Italia ha invece messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per l’installazione di almeno 50 bombe nucleari B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre, al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. Dal 2020  sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova arma Usa da first strike nucleare. In tal modo l’Italia, formalmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.

Perché il Trattato adottato dalle Nazioni Unite (ma ignorato dall’Italia) non resti sulla carta, si deve pretendere che l’Italia osservi il Tnp, definito dal governo «pilastro del disarmo», ossia pretendere la completa denuclearizzazione del nostro territorio nazionale.
 
(il manifesto, 9 luglio 2017)


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VERSIONE VIDEO: L\'arte della guerra - Strategia NATO della tensione (PandoraTV, 27 giu 2017)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=EA6Z-m3hciQ



Strategia NATO della tensione 

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

  

Che cosa avverrebbe se l’aereo del segretario Usa alla Difesa Jim Mattis, in volo dalla California all’Alaska lungo un corridoio aereo sul Pacifico, venisse intercettato da un caccia russo dell’aeronautica cubana? La notizia occuperebbe le prime pagine, suscitando un’ondata di preoccupate reazioni politiche. 

Non si è invece mossa foglia quando il 21 giugno l’aereo del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu, in volo da Mosca all’enclave russa di Kaliningrad lungo l’apposito corridoio sul Mar Baltico, è stato intercettato da un caccia F-16 statunitense dell’aeronautica polacca che, dopo essersi minacciosamente avvicinato, si è dovuto allontanare per l’intervento di un caccia Sukhoi SU-27 russo. Una provocazione programmata, che rientra nella strategia Nato mirante ad accrescere in Europa, ogni giorno di più, la tensione con la Russia. 

Dall’1 al 16 giugno si è svolta nel Mar Baltico, a ridosso del territorio russo ma con la motivazione ufficiale di difendere la regione dalla «minaccia russa», l’esercitazione Nato Baltops con la partecipazione di oltre 50 navi e 50 aerei da guerra di Stati uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia e altri paesi tra cui Svezia e Finlandia, non membri ma partner della Alleanza. 

Contemporaneamente, dal 12 al 23 giugno, si è svolta in Lituania l’esercitazione Iron Wolf che ha visti impegnati, per la prima volta insieme, due gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata»: quello in Lituania sotto comando tedesco, comprendente truppe belghe, olandesi e norvegesi e, dal 2018, anche francesi, croate e ceche; quello in Polonia sotto comando Usa, comprendente truppe britanniche  e rumene. 

Carrarmati Abrams della 3a Brigata corazzata Usa, trasferita in Polonia lo scorso gennaio, sono entrati in Lituania attraverso il Suwalki Gap, un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri tra Kaliningrad e Bielorussia, unendosi ai carrarmati Leopard del battaglione tedesco 122 di fanteria meccanizzata. Il Suwalki Gap, avverte la Nato riesumando l’armamentario propagandistico della vecchia guerra fredda, «sarebbe un varco perfetto attraverso cui i carrarmati russi potrebbero invadere l’Europa». 

In piena attività anche gli altri due gruppi di battaglia Nato: quello in Lettonia sotto comando canadese, comprendente truppe italiane, spagnole, polacche, slovene e albanesi; quello in Estonia sotto comando britannico, comprendente truppe francesi e dal 2018 anche danesi. 

«Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa», assicura il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e allo stesso tempo Comandante supremo alleato in Europa. 

Ad essere mobilitati non sono solo i gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata». Dal 12 al 29 giugno si svolge al Centro Nato di addestramento delle forze congiunte, in Polonia, l’esercitazione Coalition Warrior il cui scopo è sperimentare le più avanzate tecnologie per dare alla Nato la massima prontezza e interoperabilità, in particolare nel confronto con la Russia. Vi partecipano oltre 1000 scienziati e ingegneri di 26 paesi, tra cui quelli del Centro Nato per la ricerca marittima e la sperimentazione con sede a La Spezia. 

Mosca, ovviamente, non sta con le mani in mano. Dopo che il presidente Trump sarà stato in visita in Polonia il 6 luglio,  la Russia terrà nel Mar Baltico una grande esercitazione navale congiunta con la Cina. Chissà se a Washington conoscono l’antico proverbio «Chi semina vento, raccoglie tempesta».

(ilmanifesto, 27 giugno 2017)  




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[Alcuni nuovi testi di Mira Marković, pubblicati sul sito della Associazione SloboDA.
Per altri testi di e su Mira Marković si veda alla nostra pagina https://www.cnj.it/MILOS/miramarkovic.htm .  (A cura di I. Slavo)]
 
 
Novi tekstovi Mire Marković
 
1) НЕЗАШТИЋЕНА ПРОШЛОСТ (12.novembar 2017)
2) ОПРАВДАНЕ ПОСЛЕДИЦЕ (23.октобар 2017)
3) БИЛО У ЛАС ВЕГАСУ (Октобар 2017)
4) ПОВОДОМ ТРИДЕСТ ГОДИНА ОД ОСМЕ СЕДНИЦЕ (Октобар 2017)
5) ТРАНЗИЦИОНИ ПАЧВОРК (14.октобар 2017)
6) СОЦИЈАЛИЗАЦИЈА ПРИРОДЕ (28. aвгуст 2017)
7) СВАКА ПТИЦА СВОМЕ ЈАТУ (8.aвгуст 2017)
 
 
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Прогнана и неизгубљена

НЕЗАШТИЋЕНА ПРОШЛОСТ

Пише: Мира Марковић
12.novembar 2017
 
Сваки народ је везан за своју прошлост и поносан на оно што је најбоље у њој. При том су, разуме се, за разне народе различите вредности оно што је најбоље у њиховој прошлости. Зависи од тога у чему су објективно било најуспешнији у свом времену. Или у чему су они субјективно придавали највећи значај.  
Сада, после толико векова, сваки би народ требало да афирмише оне тековине из своје прошлости које имају трајну цивилизацијску вредност у развоју друштва, науке и уметности, оне тековине које имају перманентну еманципаторску улогу.  
Али, често се прошлост, а нарочито оно што се у њој третира као традиција, злоупотребљава. Ставља се у функцију текућих, пре свега политичких потреба.  
Често се традиционално, према коме се треба односити са поштовањем, активира у сасвим текуће, прагматичне сврхе. То традиционално би требало тобоже да буде ослонац за дневне политичке потезе. А ти потези се представљају као национални континуитет, историјски темељ политике која се тренутно води у народном интересу.  
Злоупотреба прошлости и традиције ниски је ударац и прошлости и традицији, а текућој стварности је подвала коју многи савременици не виде одмах, а неки је не виде никад.  
У последње време на тај начин је предмет злоупотребе постала религија, односно црква као њена институција.  
Религија је, бар две последње деценије, постала територија на којој се сукобљавју народи и уоште људи, и у тим сукобима сваки народ активира своју религију као свето место свог живота које је као такво довољан разлог у најбољем случају за дистанцу од припадника других религија, а у горем случају за налажење аргумената за агресивност према њима.  
Да би се таква температура међу народима и људима одржала, креатори те температуре служе се театралном глорификацијом и религије и њених тумача и цркве.  
Та театралност искључује свако искрено и озбиљно религиозно осећање и у крајњој линији вређа и религију и вернике.  
Многи верници ту разметљиву, свеприсутну „религиозност“ не доживљавају као театралност, напротив, верују да се ради о привржености највећој вредности којој су сами посвећени. На упозорење да се ради о прилично бескрупулозној манипулацији реагују, не само са сумњом, већ непријатељски, доживљавају та упозорења као атеистичку злурадост.  
Има, разуме се, образованих верника који су свесни те манипулације и који одбијају да буду декор те театралности. Али, изгледа да су они у мањини. Да није тако, да је већина свесна злоупотребе религије, до те злоупотребе не би ни дошло.  
Ако би на опасност од те манипулације неко требало да реагује онда су то представници цркве. Многи међу њима то знају као образовани људи, али њихова реаговања, и кад их има, не допиру лако и увек до јавности. Пре свега јер се не уклапају у политичке интересе манипулатора.  
Али их има међу црквеним људима који игноришу чињеницу да се и религија и црква користе често у политичке сврхе, иако су те чињенице свесни. Чине то са логичном намером да атмосферу наклоњену религији и цркви искористе за јачање утицаја религије и побољшање материјалних и статусних прилика саме цркве.  
Наравно, постоје и друга подручја прошлости и традиције која се на сличан начин злоупотребљавају.  
Глорификација неког догађаја или неке појаве често се смешта у контекст глорификације прошлости и традицију у целини.  
Међутим, нема народа на свету чија прошлост у целини заслужује да буде глорификована. Свачија има слабе стране које не треба заборавити да се не би поновиле.  
Национализам је, по својој природи, склон фетишизацији националне прошлости а нетрпељив према оправданом труду за нужном вредносном селекцијом.  
А затим, не може све из прошлости да буде традиција, не само зато што све не заслужује да се третира као добро, већ и зато што би такав статус многих појава био у данашње време бесмислен.  
На пример и у најразвијеним земљама жене нису имале право гласа до такорећи недавно, да ли би фетишизација прошлости без селекције, ту „традицију“ неговала. Ту је селективан вредности однос према прошлости историјски нужан и оправдан.  
Али је логичан и у подручјима која нису од таквог цивилизацијског значаја. Козаци су ратовали сабљама, Срби су носили опанке, Енглези сукњице, Турци димије ... то је прошлост која је остала за новим добом. Та је прошлост била дуго традиција али је време укинуло.  
Вредносна селекција према прошлости подразумева неговање оних тековина које су допринеле и националном и општељудском развоју и прогресу.  
А традиционално треба да се негују они симболи којима се национални идентитет испољава у његовом континуираном и оптималном цивилизацијском развоју.
 
 
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Прогнана и неизгубљена

ОПРАВДАНЕ ПОСЛЕДИЦЕ

Пише: Мира Марковић
23.октобар 2017
 
У Србији је за последњих петнаест година петоструко повећан број оболелих од рака, тридесет шест хиљада људи оболи од рака сваке године, а једно дете од рака оболи сваког дана, стопа раста оболелих од рака у Србији је повећана за 2% годишње док тај раст у свету износи 0,6% годишње. 
И стручно и лаичко мишљење је да је пораст малигних обољења последица бомбардовања. 
И заиста, готово да нису неопходне стручне анализе и оцене када се ради о узрочно-последичној вези између малигних обољења и бомбардовања у Србији. Према „признањима“ самог НАТО-а на Србију је бачено најмање дванест тона осиромашеног уранијума, а могуће је, према њиховој процени, и петнаест. 
Поред осиромашеног уранијума катастрофалне последице за живот у Србији су изазвала и бомбардовања хемијских постројења. Последице њиховог бомбардовања су једнаке последицама које би биле изазване коришћењем бојних отрова. Због експлозија и пожара који су се десили приликом бомбардовања хемијских фабрика и нафтних резервоара огромне количине отровних материја загадиле су ваздух, воду и тло на ширем подручју од оног на коме су се налазила бомбардована постројења, али је то загађење било и на дужи рок. Опасност од њега присутна је до данас и вероватно још дуго неће проћи. 
Непосредно после окончања бомбардовања почео је рад на научним и стручним анализама о последицама бомбардовања на здравље, пре свега становника најугорженијих подручја, али и на здравље нације у целини. Те прве анализе су, одмах указале на драматичну везу између бомбардовања и здравља људи. 
Резултати тих анализа подразумевали би и одговорност за судбину нације која је бомбардовању била три месеца изложена. 
Али годину и по дана после бомбародања, власт која је то постала пучем у организацији америчке администрације и неких других западних влада и институција искључила је из свог домена рада сваку активност везану за одговорност оних који су бомбардовали Србију. То је, разуме се, било и очекивано. Нова власт је била експозитура оних који су бомбардовали Србију. 
Питање одговорности је, дакле, било склоњено са дневног реда на који су га по логици и по сваком моралу на дневни ред ставили претходна власт и народ. Тако су се индиректно на споредном колосеку нашла и истраживања везана за последице бомбаровања за људски живот. 
Могуће да су у последње време та истраживања „оживела“. Између осталог и зато што је пораст малигних, али и неких других сличних обољења, у драматичном порасту. 
Али и данас, као и раније, важи исти каузалитет. За еколошку и здравствену катастрофу у Србији одговорност припада онима који су доносили одлуке о бомбардовању и који су га изводили. Та одговорност није само начелна него је и персонална. Осамнаест земаља чланица НАТО, и само врх НАТО, имају своје шефове који су 1999. године донели одлуке о бомбардовању Србије, додуше без сагласности Уједињених нација и Савета безбедности. Знајући ваљда да им њихова сагласност није ни потребна. Администрација САД је старија од УН. 
Тешко је, дакле, избећи обелодањење везе између бомбардовања и здравствених прилика у Србији а занемарити одговорност за те прилике и то не неку начелну већ конкретну. 
И усред те атмосфере недавно у Србију у госте доласи Бернар Леви, француски филозоф. Између осталог, познат и по својој дугогодишњој антисрпској пропаганди и уопште по анимузитету према Србима коју је испољавао деведесетих година. 
Приликом недавног гостовања у Србији на забринутост коју је чуо од српских домаћина да у земљи има много малигних обољења у последњих петнаест година, француски филозоф је одговорио да је становништво Србије старо па је логично да као такво умире од рака, а уз то је нагласио да српски народ није склон демократији. 
Што се старости тиче, Срби нису најстарији народ на свету. Има их још старих и још старијих, али нису познати по високом степену смртности од рака. У удаљеним пространствима Сибира, Кавказа, уопште Азије, Северне Америке и тако даље има много старог света а једва да има малигних обољења. А код нас сваког дана једно дете оболи од рака. Старост као евентуални узрок тешко да би могла да прође. 
Али ни одсуство демократије, такође. Бернар Леви и њега помиње као један од узрока, ваљда у ширем смислу. У ширем или ужем, тешко је довести у везу одсуство демократије и малигна обољења. Односно, недостатак демократије као узрок малигних обољења. Јер има их и у најдемократскијим земљама које се, по Бернару Левију, налазе на Западу наше хемисфере. А опет нису ове болести најзаступљеније у азијским и афричким диктатурама. 
Кад би та комбинација – одсуство демократије и старост, били узрок малигних обољења човечанство би бар знало шта треба да предузме да се реши једног од највећих зала које га је снашло. Продужити младост и увести демократију. А Бернар Леви би добио Нобелову награду и за биологију и за медицину и ако се за те науке није школовао. И био би скинут терет са плећа многих стручњака, биолога и лекара широм света, који раде на откривању лека за рак. 
Али на жалост француског филозофа, у Канади умиру од рака иако је земља демократска, а на Кавказу живе здрави иако су стари. 
Младост и демократија, и кад су уједињене, нажалост, нису лек за најстрашнију болест овог века. 
Биће, дакле, по Бернару Левију, да су само у Србији старост и одсуство демократије узрочници малигних болести.
 Па према томе, кад умру сви стари, а то је по Бернару Левију већина, и кад се уведе демократија којој Срби нису склони, неће више бити болести, не само малигних, него ваљда ни кијавице. Становника ће бити нешто мање и биће под надзором, да се опет не отисну у антидемокрастке воде, али бар ће бити здрави.
 
 
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Прогнана и неизгубљена  
                              
БИЛО У ЛАС ВЕГАСУ

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
 
Недавно је у Лас Вегасу убијено 58 људи и преко 500 рањено за време фестивала кантри музике. Убица је био стар око шездесет година, вероватно оштећеног здравља. Вероватно, јер нема другог објашњења, па ће се, по свему, свести на то. 
Чак и ако се то догодило у САД, много је. САД, иначе, важе за земљу са највише криминала, или се бар налазе у врху те лествице. 
Порекло тог криминала је предмет перманентне бриге у самим САД, лаичког огорчења широм света, и наравно, научне пажње. 
Порекло је сложено, али није недовољно јасно, каквим се понекад жели да представи. Та тобожња недовољна јасност је последица извесне научне лењости, а некад има и крхку одбранашку улогу. Тобоже је то зло снашло САД, таква им је судбина. 
Није, наравно, у питању судбина већ стварност која је резултат више међусобно повезаних фактора. 
Велике социјалне разлике, у ствари енормне класне разлике, по правилу су први узрок криминала и свих других облика насиља и социјалне патологије. Сиромаштво, незапосленост, неписменост, колективна и индивидуална безперспективност су родна места криминалаца, наркомана, проститутки, многих психопата ... 
Криминалу у САД много доприноси и веома присутна потрошачка атмосфера. Оно што се нема, недостаје више ако се људима стално даје на знање да постоји у провокативном квантитету и квалитету. Енормна понуда и одсуство услова за сваку потрошњу, или за веома ограничену и крајње скромну, изазива агресивно незадовољство. 
Притом, треба имати у виду да је у САД економски раст веома интензиван, брз, готово спектакуларан, и да такав појачава социјалне разлике. Незапослени и сиромашни реагују на њих драматично, агресивно, траже решење изван институција и закона. Али, не само они. И неки припадници средњих слојева незадовољни својим шансама за материјалним и статусним променама, прибегавају повременом или трајном компензацијом у криминалу. И део омладине, такође. По природи свог бића млади људи су нестрпљиви, а подстакнути егизстенцијалним провокацијама свуда око себе, животом до кога је пут дуг и неизвестан, покушавају да га се домогну што пре, занемарујући ризик коме су изложени не само тренутно већ и трајно. 
Том нараслом социјалном незадовољству и гневу много доприноси и потрошачка пропаганда. Вјерују америчког начина живота је – имати. Немати људе избацује из игре, из живота такорећи. Материјални, економски, финансијски успех је готово једини успех. Из њега се репродукују све друге шансе у животу. Породична биографија, стваралаштво, рад, духовна посвећеност су параметри у далеком другом плану. А тај примарни успех и његов амбијентални декор су не само дневно форсирани већ и национално глорификовани. Није, дакле, нереално да до тог успеха пут може да буде и ванзаконска и ванинституционална пречица. 
Америчкој ванзаконској и ванинституционалној, криминалној стварности годинама је много доприносило и присуство расне дискриминације. Она је од почетка била повезана са социјалним и класним разликама. Расно дискриминисани су били и социјално, односно класно деградирани. Припадници те дискриминације и деградације су били једна од најзлостављенијих популација у осамнаестом, деветнаестом и двадесетом веку. И логично је да су се из тог злостављања родили насиље и криминал. Они су били израз нужде, али и освете. Некад и једног и другог. Америчка држава се према тој нужди и освети односила као према криминалу. А просвећени свет, у Европи као његовом центру, је ту замену тезе игнорисао, правио се да је не види. 
Као један од узрока криминала у САД свакако треба имати у виду и специфичност америчког менталитета. Први досељеници из Европе у Америку са својим преступничким и авантуристичким биографијама, које су активирали при сусрету са слабијим матичним становништвом, били су пратемељ следећих покољења која су агресивност у остварењу својих националних интереса и личних потреба сматрали легитимним својством своје супериорне цивилизацијске нарави. Та нарав је радикално и скоро антагонистички била различита и остала различита од европске раскошне просвећености и азијске стрпљиве мудрости. 
И најзад, треба имати у виду и одсуство континуитета хуманистичких идеја које вековима постоје у Европи и Азији и настојања да се оне остваре. 
Иза садашње Европе налазе се грчка филозофија која је на највишем мисаоном нивоу покренула питање односа између добра и зла, као и многи до сада непревазиђени антички идеали морала и лепоте; римско право на коме се темеље цивилизацијски парамтети од 753. године пре Христа до данас; хришћанство чији почеци представљају рану антиципацију једнакости и равноправности; десет векова византијске суптилне ликовне духовности; златни утопистички сан Томаса Мора и за далеку будућност написан „Град Сунца“ Томаза Кампанеле; визионарски образац оптималног живота који су образложили Сен Симон и Фурије пре него што је наука о друштву то преузела на себе; раскошно схватање слободе за време три века ренесансе; Велика француска револуција на чијој су застави први пут слобода и равноправност најавиле повезаност без којих нема ни једне ни друге; Први човеков излет у небо 1871. године за време Париске комуне; научно креирана будућност Марксовог учења; Лењинове Филозофске свеске и Октобарска револуција која је отворила прве странице будућности ... 
Захваљујући том континуитету Европа је врт наше цивилизације, њена мисаона дуговечност је израз њене универзалности и њене супериорности у односу на егизстенцијални салто витале у чијој се неутемељености крије опасност од негације. 
Зато Американци, лишени тог континуитета, живе у прагматичној садашњости и у њој једино налазе репер респектабилности. Оно што им је дошло из еврпоског мисаоног и искуственог живота предмет је едукативног, али не и вредносног значаја. 
Њихове личности се нису формирале на претходном мисаоном искуству јер га нису имали. Оно што имају у том смислу је са историјске тачке гледишта кратког даха, дијалектика је једне немирне духовно и мисаоно неауторизоване динамике, елементарни егзистенцијални мотив без искуства из јучерашњег дана и без перцепције за сутрашње. 
 
 
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Прогнана и неизгубљена  
                              
ПОВОДОМ ТРИДЕСТ ГОДИНА ОД ОСМЕ СЕДНИЦЕ

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
Октобар 2017
 
Осма седница није завршена. Само је прекинута. Прекинута је зато што нема ко да је настави. 
Њене теме су биле две. 
Прва је била друштвена реформа. 
Та реформа је требало да буде почетак трансформације постојећег друштва у виши цивилизацијски тип. Односно, циљ те реформе је био формирање једног богатог и праведног друштва. 
Примарни принцип социјалистичког друштва је био праведно друштво. Али су сва социјалистичка друштва до тада била сиромашна, или прилично сиромашна. 
Довођење у питање, бар делимично, те стварности као прилично дугорочне нужности започело је у социјалистичкој Југославији. Она је одбила да сиромаштво буде део социјалистичке личне карте која ће важити деценијама. Отклањање те заблуде је била необразложена платформа послератне Југославије. У првој половини осамдесетих година дошло је до стагнације југословенског живота, а нарочито до тражења одговора на питање какав он треба да буде. 
Али је већ у другој половини осамдесетих година прошлог века Србија отворила то питање спремајући на њега и одговор. Праведно (социјалистичко) друштво не само да није нужно да буде сиромашно већ може да буде истовремено и богато. Односно, да праведно друштво које је и богато тек онда постаје социјалистичко. А тиме и нерањиво не само на сумњичавост у погледу своје историјске оправданости већ нерањиво и на аргументе чак и најљућих противника који су своје неслгање са социјализмом заснивали на његовом сиромаштву. 
Идеја реформе у Србији средином осамдесетих година подразумевала је осим присуства тржишта и активирање приватне својине, њеним комбиновањем са државном и друштвеном својином. То је требало да буде начин на који је било могуће остварити економски и социјални развој чији би резултат био виши квалитет живота, материјалног и осталог, за све грађане, на макро и на микро нивоу. 
Уводни реферат у оквиру прве тачке дневног реда био је уствари најава почетка те теме. И та тема би доминирала седницом, била најава почетка реформе која је била више од реформе, да у међувремену није дошло до сепаратистичких и терористичких догађаја на Косову од стране албанске мањине. 
Они су се у великој мери ослањали на аутономију Косова које је покрајину све више чинила републиком и подстицала сепаратизам албанске популације. 
Тај албански сепаратизам је имао прилично индиректну подршку у врховима Хрватске и Словеније које су тада и саме испољавале сепаратистичке тенденције, додуше не тако агресивно као Албанци на Косову, средином осамдесетих година словеначки и хрватски сепаратизам се испољавао још увек обазриво. 
Проблеми на Косову и потреба да се они реше захтевала је предузимање хитних политичких и државних мера. Оне су у великој мери значиле и довођење Косова под надлежност Републике Србије, као што су у њену надлежност спадали и сви остали њени делови. И као што су у надлежност свих других република у Југославији спадали сви делови тих република. 
Део српског руководства у претходних неколико година, а и те 1987. године, доводио је у питање независност албанског сепаратизма - сматрали су да је у приличној мери био изазван српским национализмом. Доводили су у питање и хитност мера да се тај сепаратизам заустави – сматрали су да се ради о дугом и спором процесу. А што се тиче аутономије Косова која је претила да Косово учини републиком, ту аутономију је тај део српског руководства подржавао. Устав из 1974. године, који је иституционализовао ту аутономију имао је подршку ондашњег српског руководства 
Све то је била друга тема Осме седнице. 
Због атмосфере у Србији, али и због атмосфере на седници, та друга тема дневног реда је постала доминантна. Спонтано али оправдано је постала главна и остала је главна пуних тридесет година. 
До дана данашњег ће свако ко помене Осму седницу везивати је за Косово, односно за одлуке донесене у вези са приликама на Косову. 
Таква оцена је такорећи добила право грађанства. 
Тако ће о њој говорити и њени учесници, већ сутрадан после седнице. 
Данас је тешко зауставити, тешко је чак и кориговати тај тренд. 
Појавиле су се готово научне студије које имају за циљ да објасне „дубљи“ смисао Осме седнице. Као да то што је видљиво такорећи голим оком, није најважније. Најважније је тобоже нешто друго, притом то друго не објашњавају. Биће да је то нека тајна, али света српска ствар. Та фетишизација српског, та патетична кукњава, то призивање цркве, православља, прошлости, косовских јунака, битке на Кајмакчалану, ... нема никакве веза са Осмом седницом – са заустављањем албанског сепаратизма и тероризма, а поготово не са идејом реформе. 
Губитници на Осмој седници су били заступници вишегодишње политике о опасности од српског национализма за све остале народе и мањине у Југославији, о потреби да се са таквим национализмом обрачуна српско руководство, о том национализму као узроку албанског сепаратизма, а о албанском сепаратизму и тероризму као појавама са којима треба обазриво и стрпљиво планирати потезе на дуги рок.  
Иако мањина са ове седнице били су од онда до данас активни, присутнији у јавности од оних који су на тој седници били победничка већина. И даље су остали уверени да је српски национализам готово шовинизам и као такав зло против кога се мора борити. У међувремену су стекли много следбеника у Србији, а у републикама некадашње Југославије су имали подршку и раније и имају је и данас у свим срединама. 
Они који су били већина на седници нису се много трудили да објасне да српски национализам није најопаснији у Југославији, нити је изазвао албански, а тамо где га има у Србији, као што га има и у другим републикама и уосталом у свим земљама на свету, треба да буде предмет осуде. Од стране свог народа, разуме се, пре свега. 
Због недовољног присуства у јавности већине са Осме седнице, одлуке у вези са Косовом су често симплифициране и вулгаризоване, сведене на банално национално и индиректно и ненамерно су послужиле као аргумент „борцима против српског национализма“ у јавном животу Србије да је то био почетак националистичке политике у Србији која је угрозила стабилност Југославије. 
Тај ниски ударац мерама да се заустави ескалација албанског сепаратизма и тероризма на Косову и да се сачува територијано јединство Србије на начин на који су биле јединствене све друге републике некадашње Југославије, неколико година касније суд у Хагу на суђењу Слободану Милошевићу употребиће као кључни доказ да је Србија одговорна за распад Југославије и да је тај распад инспирисан Осмом седницом.
А тековине Осме седнице, кад је реч о Косову, су биле енергичне државне мере да се зауставе албански тероризам и сепаратизам и њихово заустављање већ у току те и следеће године и промене Устава Србије после годину и по дана којима је Србија правно и политички изједначена са другим републикама у Југославији ограничењем аутономије обе покрајине која је претила да их трансформише у републике. 
Да непуне три године после Осме седнице није дошло до југославенске драме, Србија која је на Осмој седници добила под своју надлежност Косово на принципима политике националне равноправности и свог територијалног интегритета, је имала све услове да савлада сепаратизам и тероризам албанске мањине. 
И да изведе целовиту друштвену реформу. Могуће је да би идеја те реформе временом постала инспиративна у југословенским размерама, али не само у југословенским размерама. И могуће је да је, укидањем Југославије и демонизацијом Србије, због тога заустављена. 
А распад Југославије није индиректна одговорност Осме седнице коју јој хашки трибунал приписује, али јесте одговорност креатора тог суда. 
Креатори тог суда судили су за злочин борцима против злочина који су сами извршили.
 
 
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http://www.sloboda.org.rs/komentar9.html 

Прогнана и неизгубљена  

ТРАНЗИЦИОНИ ПАЧВОРК 

Пише: Мира Марковић 
14.октобар 2017 

У сваком друштвнеом систему, од робовласничког до грађанског и социјалистичког друштва, налазили су се и остаци претходног друштвеног система и наговештаји следећег друштвеног система.  
У феудализму су се, нарочито на почетку налазили остаци ропства, а касније наговештаји следећег, грађанског друштва у лицу богатих трговаца и занатлија и првих индустријалаца.  
У грађанском друштву су остаци претходног друштва били некадашње осиромашено племство и свештенство, а најаву следећег система су представљали високо ситуирани стручњаци и службеници (технократе и бирократе).  
То је историјска законитост. Та законитост је мало модификована у земљама такозване транзиције. Многе некадашње социјалистичке земље имају за историју мало необичан састав – остаци претходног социјализма, враћање првобитне акумулације капитала, успостављање државног капитализма заједно са неолибералном економијом.  
Пошто транзициони друштвени живот за сада нема пред собом друштвени систем ка коме је постојеће друштво упућено, ни његову природу у целини, ни његове поједине манифестације, тешко је, односно немогуће је, претпостаљати шта би од економских и социјалних обележја у друштвеној збиљи ових земаља била најава будућег друштвеног система.  
У феудализму су богати трговци и занатлије и први индустријалци најавили класу капиталиста и капитализам уопште. У капитализму су технократски и бирократски слој најавили управљачки корпус најпре државног капитализма а затим корпоративног. И тако даље.  
Ни у сасвим развијеним капиталистичким друштвима није економска и социјална структура тих друштава једноставан израз историјског континуитета, али су развојни процеси и одговарајући тренд присутни и у историјском смислу ипак препознатљиви.  
У сваком случају далеко су од економског и социјалног хаоса који влада у такозваном транзиционом свету. Његова шароликост, хаотичност, непредвидљивост, подсећају на стари али и даље актуелан ручни рад – пачворк, који је због своје привлачности преузела и индустријска производња.  
Има га у изради одеће и кућних тканина, као неуобичајено комбиновање боја, структуре, облика и величине материјала. Тај несклад је имао и има шарм за многе укусе. Та комбинација свега настала је из нужде. Неодстатак потребног новог материјала био је разлог да се употребе остаци старих, чија се комбинација убрзо показала маштовитом и лепом, па ће се касније та принудна комбинација показати као изборна. Пачворк или крпљење постоји и данас, али више не као крпљење већ као креирање.  
На сличан је начин комбинација присуства разних друштвених система у транзиционим друштвима на почетку била израз нужде. Нагло укидање социјалистичког система није могло да уклони преко ноћи све његове трагове у економском и социјалном животу новог несоцијалистичког друштва. Као што ни тек успостављени капитализам – тржишна привреда и вишепартијски систем, нису могли одмах да се испоље у развијеном облику па се појављују у свим својим фазама делимично испољени, међусобно неповезани и често противречни.  
За разлику од текстилног пачворка овај друштвени, иако је као текстилни почео из нужде, тешко да ће временом постати избор. Недостају му социјална стабилност, економска ефикасност и нарочито историјска усмереност. Да би био избор мора да буде привлачан, а да би био привлачан мора да има, између осталог и циљ, који за сада нема.  
Мада, ако одсуство циља потраје, савременици ће се привићи на његово одсуство. Доживеће стварност у којој живе као свој избор. Планирање на микро нивоу и на кратак рок спонтано ће и готово неприметно суспендовати потребу за макро циљевима и обавезама које би из њих произилазиле. 
 
 
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Прогнана и неизгубљена  
                              
СОЦИЈАЛИЗАЦИЈА ПРИРОДЕ

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
28. aвгуст 2017

 
Одавно, већ неколико деценија, природа је све више друштвена појава. 

Савладавајући природу, стављајући је у функцију својих, најпре биолошких, а затим и социјалних потреба, човек је нарушио њену аутентичност, довео у питање хармонију која је постојала између биљног и животињског света, па и ону која је постојала у оквиру сваког од та два света независно од оног другог.

Истребио је неке животињске врсте, један број неких животиња је припитомио, употребљавајући их за своје домаће потребе – да лакше дође до њих као хране, да му служе као физичка помоћ, али и за разоноду. 

Тако је велики број дивљих животиња трансформисан у домаће – тигар у умиљату мачку са машном око врата, вукови и којоти у лојалне намирисане кучиће који лече кијавицу код ветеринара, дивљи мустанг у амалина, у бољем случају у живи реквизит за испољавање спортских активности, али и за испољавање снобовских и шарлатанских потреба – коњске трке су у приличној мери летњи атријум за малограђанску таштину богатих паразита и хараздерско надметање доконих шарлатана. 

Нарочито срамни облик припитомљавања су циркуси у којима се најлепши примерци животињског царства муче и понижавају да би тим мучењем и понижавањем били забављени гледаоци, немилосрдно резистентни на патњу других. 

Да није тако не би човек водио своје мале потомке да гледају у кавезу затворене лавове и тигрове, чије су лепота и снага само болна сенка лепоте и снаге која их је красила у прашумама и саванама. 

Деца ће од најранијег детињства научити да животињским царством господари човек и да сваког од његових припадника може да учини својим робом из чисте потребе за кратким и мрачним задовољством.

 Нису могли да припитоме ајкуле и китове, за сада су у стаклене посуде са водом затворили шарене мале рибе које се полулуде међусобно сударају, а њихова немоћ и очајање део су ентеријера којим се хомо сапиенс поноси пред другима или сам ужива у њему. У том ентеријеру, акваријум са живим малим и немоћним бићима има исти статус као фотеља, завесе, шоље за кафу или слика на зиду. 

Аутентични биљни свет аутентичан је још само тамо где људска рука, нога, а нарочито мозак нису допрли – Бразилске пашуме, ток Амазона, далеке дубине великих мора и океана. 

Од човеког интервенисања у квантитет и квалитет њихове егзистенције штити их одсуство човекових способности да до њих дође. Или човекова недовољна заинтересованост да до њих дође. Кад буде располагао одговарајућим начином и мотивом прилагодиће и флору својим рационалним и ирационалним потребама. Укрстиће лалу и орах, купус и баобаб из инфантилне и неодговорне радозналости. (Као што то тајно покушава у животињском свету.) 

Ни биљке, ни животиње не могу да се супротставе, а човек свој окрутан однос према њима објашњава и оправдава својим егзистенцијалним потребама. 

Тим потребама је објаснио и оправдао загађење воде, ваздуха и тла које је захватило у огромним размерама читаву планету крајем деветнаестог и почетком двадесетог века процесом урбанизације и индустријализације. Она вода, онај ваздух и оно тло више то нису тамо где су их дотакле индустријализација и урбанизација. Вода, ваздух и само тло су чисти још само у руралним подручјима, али та удаљеност ће трајати онолико колико се геолошка целина планете не буде могла да одложи на дужи рок.  

Нарочито су нове и драматичне интервенције везане за климу. Научно технолошка знања стављена у функцију политичких интереса мењају већ дуже време климатске прилике на подручјима на којима се налазе државе чију територију или политику нека моћна политичко-технолошка елита жели да стави под своју контролу. Способност за такве интервенције у сфери климе могу да имају само најразвијеније земље. Али и земље чије се владе не устежу да своје класне, елитистичке интересе ставе изнад елементарних егзистенцијалних интереса милиона људи широм планете. Занемарујући при том чињеницу да међу тим милионима постоји равноправна моћ, способна да узврати ударац, да одговори на исти начин. А онда, жртва постају сви, човечанство. 

Најзад је човек такве интервенције у природи извео и на самом себи. Са циљем да самог себе учини функционалнијим, да себе стави у функцију своје добробити. 

Скоро ће век како је почео да своје биолошки дотрајале или оштећене делове тела замењује вештачким. Вештачки зуби, кукови, руке, ноге .... захваљујући великим медицинским напорима трансплантација је омогућила човеку да замени новим дотрајалу јетру, бубреге, срце ... 

Захваљујући естетској хирургији човек може да добије ново лице и нове делове тела уместо оних који му се не свиђају, а захваљујући пластичној хирургији и потпуно нови идентитет. Од великих физичких повреда човек у данашње време може лако да се опорави захваљујући радикалним интервенцијама у његово биолошко биће. Како ствари стоје, тих интервенција ће бити још више из здравствених и естетских разлога. 

Временом ће биолошки састав уступити све већи простор вештачком, природни живот ће се повлачити пред друштвеним мерама да се испољи на вишем нивоу. Човека ће на крају највероватније заменити његов човеколики машински производ. Роботом, као постчовеком биће окончан човеков биолошки живот. 

Надаље ће функционисати „живот“ који је он произвео са намером да свој аутентични живот учини бољим и лепшим. У својој гаргантуовској потреби да савлада природу, да је потчини себи, потчиниће себи и себе самог. Човек не може да мења природу а да при том не мења и себе, не може да је савлада а да не савлада и себе. Ту целину човек, нажалост, није до сада мењао планирано већ стихијски. Додуше, планирано није ни могао, дуго није располагао ни знањем ни условима за конципирање промена у природи. Али у двадесетом веку су се стекли знање и услови да човек свој однос према природи заснива на планирању промена које ће бити у интересу човека али на штету природе, а поготову не на његову сопствену штету. 

На самом почетку двадесет првог века без таквог концепта и његове примене човек ће временом, вођен стихијском инерцијом уместо научном истином, почети да укида и најзад и укинути самог себе. 
 
 
=== 7 ===
 
 
Прогнана и неизгубљена

СВАКА ПТИЦА СВОМЕ ЈАТУ  

Пише: Мира Марковић
8.aвгуст 2017
 
Недавни избор Ане Брнабић за председника Владе Србије добро је решење за политику за коју се друштво определило. Њена биографија савршено коренсподира са типом друштва које је изабрала Србија и у складу је, наравно, са духом времена у коме живимо у Европи и у великом делу света.

Неолиберализам је доминантна друштвена реалност али и оријентација најразвијенијег света. Та оријентација није довољно научно заснована, а великим делом није уопште научно заснована. 

Опредељење за неолибералну будућност као најбоље глобално решење за савремени свет је прагматично „идеолошко“, израз је виталног и континуираног класног егоизма који је, захваљујући технолошко-информационом степену развоја, добио шансу да се наметне као оптимално.

Тако је за сада, у недостатку другог, хуманијег решења и наравно научно заснованог. До даљег, дакле, неолиберализам влада светом. 

А да би та владавина била ефикасна њени носиоци треба да буду одговарајући заступници политике коју та владавина треба да спроводи. 

У развијеним грађанским друштвима у Европи и на америчком континенту то се подразумева, неолибералну политку спроводи власт у којој се налазе за њу неолиберално опредељени појединци.

Проблем је у некадашњим социјалистичким земљама. Оне су се такорећи преко ноћи определиле за неолиберални друштвени систем. Али су им недостајали одговарајући „кадрови“. Опредељење је могло да се догоди преко ноћи, али преко ноћи нису могли да се нађу одговарајући политички заступници тог опредељења. Људи који су тако били оријентисани у дужем периоду, који имају одговарајћа знања и искуства у његовој примени, ван земље, пре свега, а делимично и у земљи кроз опозиционо политичко деловање у професионалном и јавном животу. 

У недостатку, дакле, таквих „кадрова“ нове неолибералне власти у многим земљама некадашњег социјализма принуђене су да владе и институције од највећег значаја буду састављене од некадашњих социјалистичких и комунистичких активиста. Па тако некадашњи члан ЦК КП из 1987. године постаје 1991. године министар за привреду у неолибералној влади. Како да та привреда напредује са кадром који се годинама бавио односом између државе и друштва у интересу јачања социјалистичке својине да би после три-четири године добио да руководи ресором у Влади који треба да изврши својинску реприватизацију и гради темеље крхке капиталистичке државе. 

Заиста, како да напредују та неолиберална држава и њена привреда. Па, никако. Или у најбољем случају, тешко. Зато у помоћ тим државама већ одмах, раних деведесетих година, у помоћ стижу „кадрови“ из неолибералних светилишта у Европи и САД. Или као аутентични евроатлантски стучњаци за савремену тржишну привреду и одговарајћи парламентарни, демократски систем. Или годинама тамо школовани, демократској оријентацији склони млади људи из социјалистичких земаља који су у међувремену постали респектабилни стручњаци за организацију неолибералног друштвеног система и демократског друштва. 

Јавност, која себе сматра патриотском, ту и тамо протестује. Али, неоправдано. И она је допринела успостављању нове друштвене стварности евидентирајући гневно и континуирано слабе стране претходног социјалистичког система. Мање-више индиректно је допринела новом типу друштва. 

А њега не могу реализовати протагонисти претходног социјалистичког, већ заступници тек успостављеног неолибералног друштва. 

Ако их нема у домаћем расаднику, онда се морају тражити и налазити у ближем или даљем окружењу. Тако је и у нашем друштву. 

Неолиберални курс захтева одговарајућа персонална решења, познаваоце, тумаче и учеснике тог курса. У новим властима и на одговорним функцијама у Србији нема разлога да се налазе социјалистички кадрови из осамдесетих и деведесетих година, не из моралних разлога, мада они нису за потцењивање, већ из сасвим прагматичних. Они немају стварну копчу са неолибералним светом без обзира на моралну и политичку мутацију помоћу које мисле да могу да се од патриотских левичара из 1993. године трансформишу у заступнике евроатлантске тржишне политике. 

Ти морални политички мутанти камен су о врату успешном реформском курсу, бржој системској трансформацији и аутентичном креирању једног сасвим другачијег света у односу на онај у коме су они били политички активни и у коме су формирали своје политичко и друштвено биће. 

У кризним, бурним временима честа је појава моралне и политичке еластичности. Из страха, из интереса, али и из малограђанског комодитета, левичари постају десничари кад зађу њихова левичарска времена, а освану десничарска. Али и обрнуто. 

После социјалистичких револуција много их је који су своју монархистичку, али и обичну грађанску прошлост пустили низ воду нудећи своју лојалност партијској администрацији оближњег општинског комитета Комунистичке партије, Савеза комуниста или са неким другим одговарајућим именом. 

Морална еластичност је неетички континуитет који је био присутан у свим временима и у свим срединама. Његова виталност зависи од степена еманципације друштва као целине, од цивилизацијског савладавања егзистенцијалног страха и од детронизације интереса као доминантног мотива. 

Иза одрицања од власти и владара који то више нису и изражавања лојалности новим властима и новом владару се налази страх или интерес. А најчешће и једно и друго. Та морална еластичност има неко не баш витешко али делимично и рационално покриће. Нарочито кад је човек по природи кукавица или кад је мотивисан егзистенцијалним и професионалним потребама. 

Али ставити на апсолутно располагање своје радне, професионалне, политичке и просто људске услуге власти која је док то није постала сматрана противничком, и приписати јој врлине које су до јуче биле мане, израз је моралне мутације која ипак и срећом није масовно распрострањена. 

За њу су способни ређи примерци препознатљиви по одсуству сваког осећања части, а могући захваљујући присуству масовно распрострањене способности да се то одсуство не осуди, чак ни да се игнорише. Или бар да му се руга. Али, ето, чак ни ту способност нема мноштво захваљујући коме мутанти постоје. 

Зато је избор Ане Брнабић, с обзиром на њену биографију, и рационалан и моралан. У друштву чије је опредељење идентично са њеним она може да допринесе његовом развоју. 

Као што су после 1945. године у социјалистичкој Југославији у врховима власти били партизански хероји социјалистичке и комунистичке оријентације, а не монархистички теоретичари и министри, који, чак и да су хтели, а срећом њима на част нису, не би наишли на отворена врата. 

Свака птица своме јату, чак и кад се јато нађе у олуји, чак и кад га снађе невреме. 

Птице то знају иако су инфериорна бића у односу на човека. Он би, и ако супериоран, могао понекад да погледа изнад себе, према небу. Земља је стабилна локација. Али није увек довољно инспиративна.

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8791 ]]



Memorandum sulla Libia: disinformazione contro Stato, Guida ed Esercito


di  Saïf al-Islam Kadhafi

Mentre la NATO ha deliberatamente falsificato il dossier libico per arrogarsi il diritto di distruggere la Libia e assassinarne la Guida per gettarla nel caos, Sayf al-Islam Gheddafi rimane l’unica personalità capace di unire rapidamente le diverse tribù. Liberato di recente, ha scritto questo memorandum per esaminare la situazione giuridica del suo Paese.

RETE VOLTAIRE | TRIPOLI (LIBIA)  | 30 OTTOBRE 2017  

Questo memorandum mira ad identificare ciò che il popolo libico ha subito negli ultimi sei anni. Questi crimini sono stati commessi in nome dell’interventismo umanitario, della protezione dei civili, dell’introduzione della democrazia e della prosperità. Le forze della NATO, con l’aiuto di certi Stati arabi e di certi libici, attaccarono la Libia con tutti i mezzi a disposizione. Le giustificazioni avanzate erano false quanto quelle per l’invasione dell’Iraq nel 2003. Fu la distruzione sistematica di un Paese sovrano e di una nazione pacifica. Questa nota tenta di presentare tali crimini alla comunità internazionale, alle organizzazioni per i diritti umani e alle ONG, al fine di sostenere la Libia e il suo popolo negli innumerevoli sforzi per ricostruire questo piccolo Paese.

Libia al crocevia: l’inizio

L’agonia della Libia iniziava il 15 febbraio 2011, quando alcuni cittadini si riunirono per protestare in modo pacifico contro l’incidente nella prigione di Abu Salim. La dimostrazione divenne rapidamente ostaggio dei gruppi jihadisti come il Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG). Questi elementi attaccarono le stazioni di polizia e le caserme di Derna, Bengasi, Misurata e Zuiya per rubare le armi e utilizzarle nella guerra pianificata contro il popolo libico e il suo governo legittimo. Tali azioni furono accompagnate dalla propaganda di al-Jazeera, al-Arabiya, BBC, France24 e altri che incoraggiarono i libici ad affrontare la polizia che cercava di proteggere edifici pubblici e proprietà private da attacchi e saccheggi.
Scene di orrore si videro per le strade, i ponti e contro le indifese forze di sicurezza su cui i manifestanti commisero crimini contro l’umanità. Membri delle forze di sicurezza, militari e di polizia furono massacrati, i loro cuori furono strappati dai corpi e fatti a pezzi; uno spettacolo di brutalità selvaggia. Ad esempio, il primo giorno dei disordini, il 16 febbraio 2011, nella città di Misurata i cosiddetti manifestanti pacifici uccisero e bruciarono un uomo, Musa al-Ahdab. Lo stesso giorno a Bengasi, un agente di polizia fu ucciso e smembrato [1]. Questa barbarie fu commessa da elementi che usavano carri armati, mitragliatrici e cannoni antiaerei a Misurata, Bengasi e Zuiyah [2]. Queste scene sono ben documentate e possono essere viste su YouTube [3] e Internet.
Così, si ebbero dozzine di vittime contrariamente a quanto riportato dai media menzogneri. Secondo al-Jazeera, al-Arabiya e gruppi di opposizione libici, alla fine del 2011 il numero di persone uccise era di 50000. Tuttavia nel 2012 il governo di Abdarahim al-Qib annunciò che il numero di vittime registrate tra il 17 febbraio 2011 e la fine della guerra nell’ottobre 2011, era di 4700, incluse le morti naturali [4]. Nonostante il numero elevato di vittime menzionate dalle statistiche, i loro nomi ed identità non vengono riportati e nessuna famiglia ha chiesto di essere compensata dal governo.
La propaganda e le bugie che accompagnarono le accuse contro i militari non si fermarono all’inflazione del numero di vittime, ma affermarono che il regime usò aerei militari per attaccare i civili, ordinò massacri all’esercito e alle forze di sicurezza [5], col Viagra trovato nei carri armati [6], e fece ricorso a mercenari africani e algerini e subendo la diserzione dei piloti a Malta [7]. Alcuna di tali accuse è stata dimostrata finora e non corrispondono a verità. Le indagini di Nazioni Unite, Amnesty International e Human Rights Watch [8] non hanno confermato alcuno degli 8000 rapimenti segnalati dall’opposizione libica. In realtà, tali accuse furono fabbricate e non hanno credibilità. Allo stesso modo, l’accusa di utilizzare i Mirage della base aerea di al-Withy, nell’estremo ovest della Libia, per attaccare i civili di Bengasi ignoravano il fatto che questi aerei non potevano rientrare considerando il consumo di carburante. È impossibile per questo tipo di aereo attaccare obiettivi a 1500 km e rientrare senza rifornimento ed esistono basi aeree presso Bengasi che potevano essere utilizzate dal governo libico, se necessario. Allo stesso modo, il presunto Viagra trovato nei carri armati esce dallo stesso cilindro: la Libia aveva un esercito giovane, professionista e morale, che non pensava a commettere tali crimini e non aveva bisogno del Viagra per badare ai propri desideri sessuali. Queste storie sono semplicemente disinformazione come i sette minuti necessari alle armi di distruzione di massa irachene per attaccare l’occidente. Oggi, la questione irachena e libica fanno ridere i popoli di Iraq, Libia, Stati Uniti ed Europa. (Relazione di Amnesty International [9]).

La Corte Internazionale di Giustizia (ICC)

L’ICC [10] emise un mandato d’arresto nel 2011 contro Muammar Gheddafi, Sayf al-Islam Gheddafi [11] e Abdallah Senussi, accusati di reati contro l’umanità. Nonostante la gravità del crimine, l’ICC non svolse alcuna indagine sul campo e tracciò le conclusioni ed individuò i responsabili a due settimane dalla sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il calendario dato al procuratore non fu presentato e comunque non ebbe il tempo per specificare le accuse. A tal fine, Ahmad al-Jahani, coordinatore del CNT nel CPI-Libia dichiarò che \"il caso dell’ICC contro la Libia è puramente politico perché la NATO chiese al Consiglio nazionale di transizione (NTC) di elaborare l’elenco dei funzionari da accusare di crimini contro l’umanità\". Il CNT nominò al-Jahani per la preparazione di tale elenco con circa dieci nomi, tuttavia l’ICC ne perseguì solo tre. Al-Jahani inoltre aggiunse che tutte le accuse erano fabbricate. Ribadì il suo punto di vista durante l’incontro con Sayf al-Islam e l’assicurò che la giustizia libica non poteva condannarlo. Al-Jahani aggiunse che con la sua squadra l’aveva fatto perché sapeva che era persa in anticipo e che l’aveva perseguita per implicare Sayf al-Islam in casi finanziari e di corruzione.
Al-Jahani giustificò le sue fabbricazioni e menzogne affermando che sono (legalmente) legittime in guerra (dichiarazione di al-Jahani documentata il 1° gennaio 2012 e al tribunale di Zintan).
L’ICC adottò il doppiopesismo nella guerra alla Libia e nell’intervento della NATO. Accusò figure politiche libiche di crimini inventati ignorando il massacro barbaro di Muammar Gheddafi [12] e suo figlio Muatasim da parte delle milizie sostenute dalla NATO [13]. L’unica reazione dell’ICC fu far cadere le accuse contro Muammar Gheddafi dopo la morte. Tuttavia, l’ICC persisteva, dato che i media documentarono l’omicidio, non c’era bisogno di ulteriori prove per processare i responsabili. L’ICC poteva facilmente arrestare i responsabili politici e diplomatici nelle varie capitali europee. Una posizione simile fu presa dall’ICC contro Abdallah Senussi dopo che fu rapito in Mauritania dal governo libico [14]. La Corte semplicemente smise di chiederne l’estradizione. Nemmeno ne seguì la violazione dei suoi diritti, né il trattamento inumano subito nella prigione della milizia, anche se era detenuto da noti jihadisti del Gruppo combattente islamico libico (LIFG). Il direttore della prigione non era altri che il capo del LIFG Abdalhaqim Bilhadj.
Bilhadj è noto a CIA e governi occidentali. La CIA l’arrestò dopo la fuga da Kandahar, interrogato ed estradato in Libia nel 2002 con l’accusa di terrorismo [15]. Nel 2009, lui e membri del LIFG furono liberati dalla prigione in base alla legge di amnistia generale. [16] Il passato terroristico di Bilhadj parla da sé. Nel 1994-1997 ordinò la strage di 225 persone. Nel 1997 ordinò l’omicidio dei turisti tedeschi Steven Baker e Manuela Spiatzier. Tuttavia, assunse un’alta carica in Libia. Fu ministro della Difesa e Sicurezza a Tripoli, direttore generale delle prigioni libiche e come tale direttamente responsabile della detenzione di Abdallah Senussi. Informato dei crimini di Bilhadj, l’ICC espresse la certezza che al-Senussi fosse in buone mani e ne sostenne il processo in Libia.
La NATO e i paesetti del Golfo ignorarono le attività terroristiche di Bilhadj e lo riconobbero capo politico e militare e affarista. Ha il maggiore canale televisivo nel Nord Africa, la più grande compagnia aerea della Libia, un cementificio, proprietà in Spagna e Turchia e un aeroporto privato a Tripoli. Questo aeroporto però viene usato per trasportare terroristi dalla Libia alla Siria. Questi terroristi ricebvettero160 miliardi di dollari nel 2010.
Bilhadj e altri sono responsabili dell’uso improprio dei beni della Libia e della fine del piano di sviluppo della Libia da 200 miliardi di dollari, secondo la Banca mondiale. Bilhadj è un esempio della vita sontuosa dei signori della guerra quando i comuni cittadini libici sprofondano nella povertà estrema.

Violazioni dei diritti umani da parte delle milizie

I capi militari e i signori della guerra hanno commesso crimini spregevoli contro l’umanità, distruggendo città e infrastrutture vitali negli ultimi sei anni, tra cui: 
 persone bruciate vive o sottoposte alle forme più terribili di tortura. 
 prigionieri politici, agenti di sicurezza e soldati bruciati vivi a Misurata. 
 soprattutto, le milizie organizzano il traffico di organi umani prelevati dai prigionieri. 
 nel contesto della complessa scena politica libica, Daish ha aggiunto altre atrocità massacrando, crocifiggendo e schiacciando persone.
Una pulizia razziale ed etnica senza precedenti, un genocidio commesso contro cinque città libiche e la loro popolazione. Il 55% dei libici è stato costretto a fuggire dal proprio Paese negli Stati vicini. Inoltre, a Bani Walid furono bruciate centinaia di case [17] come altre nella città di Warshafana [18], la città di Sirte fu rasa al suolo [19], le aree residenziali di Bengasi [20] e Derna furono bombardate. Persino Tripoli, città cosmopolita, subì la pulizia etnica e razziale, in particolare nelle zone leali a Muammar Gheddafi.
Oltre alle violazioni sistematiche dei diritti umani, le milizie e i loro capi distrussero infrastrutture cruciali [21]. Nel luglio 2014 incendiarono l’aeroporto di Tripoli e la flotta aerea nonché i serbatoi di petrolio [22] [23] [24] [25].
Nonostante le azioni distrutte e le torture brutali delle milizie, la comunità internazionale e gli organi delle Nazioni Unite ignorarono tali crimini e non processarono tali signori della guerra [26].

Le atrocità delle milizie della NATO e libiche contro civili e figure pubbliche

Gli aerei della NATO colpirono i civili in varie città, come Zlitan, Sirte, Surman, Tripoli e Bani Walid. A sud di Zlitan e precisamente a Majir [27], 84 famiglie, in gran parte donne e bambini, furono uccise a sangue freddo dagli attacchi aerei della NATO di notte. [28] I media mostrarono corpi di bambini e di una donna, Minsyah Qalefa Hablu, tagliata a metà, estratti dalle macerie. Altri morirono in questo scenario inquietante. In un altro caso, la famiglia di Qalid Q. al-Hamadi fu colpita dagli attacchi aerei della NATO in casa, uccidendo i figli. [29] Inoltre, la famiglia al-Jafarah fu uccisa a Bani Walid [30], quando la NATO ne bombardò la casa durante il mese santo del Ramadan. Per non parlare del bombardamento ben documentato del convoglio di Muammar Gheddafi a Sirte e dell’assassinio del figlio Sayf al-Arab nella casa di Tripoli [31].
Le violazioni dei diritti umani, gli omicidi sistematici e la tortura contro i civili libici continuano dopo che le milizie presero il controllo della Libia. Le vittime erano civili che non avevano partecipato alla guerra. La maggioranza era anziana e non poteva portare armi. Il comico popolare Yusif al-Gharyani fu arrestato e torturato dalla milizia di al-Zuiyah.
La milizia di Misurata arrestò e torturò l’ex-muftì 80enne Shayq Madani al-Sharif [32] perché non approvò e sostenne l’intervento della NATO [33]. Il famoso cantante Muhamad Hasan fu brutalizzato e messo agli arresti domiciliari [34]. Altri, come l’economista Abdalhafid Mahmud al-Zulaytini, furono processati e condannati a lunghi periodi di carcere. Allo stesso modo, il presidente del Soccorso Islamico, Dr. Muhamad al-Sharif, fu condannato a un lungo periodo di carcere. Il direttore delle dogane e il responsabile dell’addestramento del Ministero degli Interni furono condannati a lunghi periodi di reclusione con altri condannato a morte o a vari periodi di carcere. Sembra assurdo che queste personalità siano accusate di traffico di stupefacenti, tratta di esseri umani, stupro, oltre a 17 altri capi di accusa [35]. La domanda è, come avrebbero potuto riunirsi per commettere tali crimini per nove mesi?
Dopo che la Nato misero tali milizie al governo, altri crimini terroristici furono commessi contro i cittadini libici e stranieri. Un copto fu ucciso dal battaglione di Misurata [36], altri a Sirte [37], molti operai cristiani etiopi furono uccisi [38], l’insegnante anglo-statunitense Roni Smith fu assassinato a Bengasi nel 2014 [39], il personale della Croce Rossa di Misurata fu ucciso [40], fu commesso un attentato contro l’ambasciata francese a Tripoli [41], e in particolare l’ambasciatore statunitense fu ucciso a Bengasi nel 2012 [42].
Tutte le suddette vittime furono segnalate da Human Rights Watch e, in alcuni casi, la NATO ne ammise la responsabilità. Tuttavia, l’ICC chiuse un occhio e non indagò su tali crimini malgrado i vari organi nazionali e internazionali chiedessero l’apertura di un’indagine trasparente. L’ICC ha fallito sulla guerra in Libia. Non produsse un unico mandato di arresto contro i capi delle milizie e delle forze della NATO. Sembra che la politica deliberata dell’ICC sia ignorare questi crimini comprovati e concentrarsi solo su accusa e processo di Sayf al-Islam.
Per quanto riguarda la famiglia di Muammar Gheddafi, l’ICC non è seria, come nel caso delle torture di Saadi Gheddafi, di cui il procuratore dell’ICC sostenne la prosecuzione dell’inchiesta. Tuttavia, un video mostrò che veniva picchiato durante l’interrogatorio. La stessa procedura si applica al caso Abdallah Senussi, dove il procuratore della ICC disse che deve ancora deliberare sulla sua condanna a morte (pronunziata in Libia). Una dichiarazione simile fu fatta dal predecessore riguardo il bombardamento e l’assassinio di Muammar Gheddafi e di centinaia di persone nel suo convoglio. L’ICC non è mai stato serio verso i crimini commessi dalle milizie contro migliaia di libici. Il suo unico interesse è silenziare la voce di Sayf al-Islam ed eliminare ogni possibile leadership.
Gli Stati membri della NATO e gli staterelli del Golfo dovrebbero essere considerati responsabili del caos creato in Libia dal 2011. Intervennero in Libia col pretesto che Muammar Gheddafi massacrasse il popolo. La scena di un leader che uccide il proprio popolo ricorda Tony Blair sull’Iraq. Disse nel 2016 che era \"la cosa giusta da fare e che se Saddam fosse rimasto al potere durante la primavera araba avrebbe massacrato i ribelli\" [43]. Di conseguenza, dei Paesi sono stati distrutti, migliaia di persone sfollate e proprietà nazionali derubate. Come risultato dell’intervento militare della NATO in Libia, Muammar Gheddafi, i suoi figli e migliaia di libici sono stati uccisi e milioni di persone sfollate.
Sei anni dopo, la stabilizzazione della Libia è ben lungi dall’essere raggiunta. In breve, le milizie libiche si combattono e le forze militari dei Paesi occidentali affiancano le varie milizie. La Francia rimane militarmente implicata e perse tre soldati a Bengasi nel luglio 2016 uccisi dai gruppi che sostenne nella rivolta del 2011. Parigi aveva allora chiamato la rivolta \"rivoluzione\" da sostenere. Se questo credo era vero, perché continua la guerra oggi? E perché 700 persone sono state uccise? Perché il personale del consolato statunitense è stato ucciso a Bengasi? Perché l’occidente ignora la barbarie del Daish, che sgozza a Sirte, Misurata e Derna?
La risposta a quest’ultima domanda è chiara, questi criminali furono sostenuti dall’occidente nel 2011 perché combattessero il governo, apostata secondo le loro dichiarazioni. Perché il Daish indossava la stessa uniforme dei soldati libici, e chi gliel’ha data? Perché i membri del Daish ricevono uno stipendio dal ministero della Difesa Libico? La risposta a queste domande va trovata preso il vero capo del Paese, Bilhadj, Sharif, il Gruppo di combattimento islamico libico e i loro sodali del Congresso Nazionale. Chi governa oggi la Libia è ben noto al popolo libico e a certe ONG internazionali. Finora la Libia è ancora controllata dai gruppi jihadisti e l’occidente li appoggia nonostante i crimini commessi contro la Libia e il suo popolo.
Non è strano che i Paesi occidentali, dalla Norvegia al Canada a Nord, da Malta all’Italia a Sud, per non parlare di Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Sudan e Marocco, si siano associati all’aggressione militare contro i civili che non gli erano ostili, contro Sayf al-Arabi, Muammar Gheddafi e la famiglia Quaylidi e le 84 vittime innocenti di Majir? Mentre questi stessi Stati sono pazienti e tolleranti col Daish a Sirte, Misurata e Bengasi, sopportano gli attentati nelle città francesi e belghe. Tuttavia, gli Stati membri della NATO e i loro alleati dovrebbero attaccarli e bombardarli come fecero in Libia nel 2011.
Infine, oltre a tale serie di crimini, gli Stati occidentali scelsero come leader libico il criminale di guerra responsabile della distruzione di Bani Walid e dell’uccisione dei suoi figli, Abdarahman Suihli. Nominò primo ministro il nipote Ahmad Mitig [44], direttrice generale agli Esteri la nipote Nihad Mitig [45] e il cognato Fayaz al-Saraj nuovo primo ministro. Inoltre, Abdarahman Suihli si accordò con Abdalhaqim Bilhadj, capo del Gruppo combattente islamico libico (LIFG), per partecipare con gli islamisti alle elezioni presidenziali. Tuttavia, in Libia è ben noto che se le elezioni dovessero essere tenute oggi, tali persone non avrebbero garantito il voto, neanche dalle proprie famiglie. La popolarità di Bilhadj apparve nelle elezioni generali quando ottenne solo 50 voti nel quartiere Suq al-Jumah, che ha 250000 abitanti.
Durante questo tempo e durante la stesura di queste pagine, la popolazione delle città della Libia, inclusa la capitale Tripoli dove abita un terzo della popolazione, soffre di carenza di acqua, vive nel buio a causa dei blackout, ed è priva di strutture mediche e mezzi per soddisfare le esigenze umane di base. Secondo l’ONU, il 65% degli ospedali ha smesso di funzionare [46]. Mentre il dinaro libico è crollato e la produzione di petrolio sceso da 1,9 milioni di barili al giorno a 250000 barili. [47] Acuendo le sofferenze del popolo libico, le strade principali sono interrotte dalle operazioni militari e dal banditismo, oltre ai bombardamenti da Derna ad est di Sirte, da ovest di Bengasi ad Aghedabia. Le notizie quotidiane più comuni sono sequestri di persona e traffico di armi vendute su Internet.
In conclusione, dobbiamo ringraziare i nostri fratelli di Qatar, Emirati Arabi Uniti, Sudan, Tunisia, Lega araba, NATO, Unione europea e tutti coloro che hanno trasformato la Libia in uno Stato fallito. Dopo la liberazione dei prigionieri islamici e altri, la Libia è diventata un’area che ospita le più grandi prigioni private. Un Paese che attirava investitori da tutto il mondo è diventato uno Stato esportatore di migranti, inclusi propri cittadini. Il 55% della popolazione è migrata e rifugiata all’estero. Uno Stato che riuniva i migliori esperti legali e costituzionali del mondo, che poté forgiare una costituzione nuova e moderna, è ora divenuta un’area governata da 1500 milizie. E infine uno Stato in cui il furto era considerato strano e insolito è divenuto luogo in cui corpi umani mutilati e decomposti vengono scaricati quotidianamente per le strade, evento divenuto banale in tutto il Paese.

Commento al rapporto Herland: 
Sayf al-Islam Gheddafi e l’ICC

Prima della rivolta, Saiy al-Islam era l’architetto della nuova Libia. Presentò la sua nuova visione della Libia libera dalle carceri politiche, legata alla Carta dei Diritti Umani, alla distribuzione di ricchezza e prosperità e alla democrazia [48]. Intraprese riforme politiche ed economiche con cui i prigionieri islamisti acquisirono la libertà, venendo riabilitati e integrati nella società libica. Dopo la violenta rivolta in alcune città, le fonti locali confermano di aver aiutato gli sfollati in tutto il Paese, liberando i prigionieri della rivolta e protetto la popolazione di Misurata dai combattimenti, o di Bengasi fuggiti dalle zone dei combattimenti.
Invocò e sostenne gli sforzi di pace per risolvere la guerra. Secondo le fonti locali, chiese all’amministrazione dell’Università di Sirte di stampare 5000 volantini e distribuirli col convoglio pacifico partito per Bengasi, osservando i diritti umani. Invitò l’esercito a rispettare le regole d’ingaggio, proibendo l’uso della forza contro i manifestanti, secondo il capo della centro operativo dell’esercito nel marzo 2011, Maresciallo Hadi Ambarish, fatto prigioniero dai miliziani di Zintan, che lo torturarono e gli negarono la cure mediche fino a morire di cancro in carcere nel 2014 [49].
Nonostante gli sforzi inesorabili per la pace di Sayf al-Islam Gheddafi, gli aerei della NATO cercarono di assassinarlo, uccidendo o ferendo 29 suoi compagni. [50] Inoltre, perse delle dita e subì diverse ferite. Tuttavia, l’ICC non indagò su tale attacco aereo e non ne supervisionò i cinque anni d’isolamento. [51] Inoltre, l’ICC persisteva nel chiederne l’arresto e il processo dopo che fu condannato a morte da un tribunale libico nella prigione di al-Hadaba, guidato da Qalid al-Sharif, uomo di Bilhaj.
Perciò l’istruzione è ingiusta, l’archiviazione del caso è l’unico passo che va approvato. Si potrebbe sostenere che il caso nella sua interezza dovrebbe essere abbandonato, soprattutto dopo l’assassinio del procuratore generale a Bengasi e la fuga della maggior parte dei pubblici ministeri, mentre subivano enormi pressioni dalla milizia. In queste circostanze, gli argomenti dell’ICC sono che la sua condanna a morte non fu applicata e che pertanto dovrebbe essere arrestato e imprigionato nella prigione di al-Hadaba.
Tuttavia, il ministero della Giustizia libica si appellò contro la condanna a morte per via del processo sleale, in un tribunale nel carcere controllato da al-Sharif, che ha il potere su giudici e magistrati. Tuttavia, l’ICC continuò a chiedere un nuovo processo e ignorò il fatto che Sayf al-Islam era detenuto presso la prigione di Zintan e che il tribunale di Tripoli lo processò per teleconferenza. L’ICC dovrebbe rispettare la legge libica ed essere consapevole che una persona non va processata due volte per il presunto stesso reato. Ma scopo dell’occidente e dell’ICC è sbarazzarsi di Sayf al-Islam Gheddafi come fecero col padre Muammar Gheddafi e i fratelli.
È giunto il momento che l’ICC abbandono il doppiopesismo e aiuti il popolo libico nello scopo di salvare il proprio Paese da tali milizie e costruire una nuova Libia dove vigano diritti umani, prosperità, lo sviluppo e stato di diritto. Chiediamo anche all’ICC di abbandonare la pretesa che Sayf al-Islam sia estradato e processato a L’Aja.
L’ICC dovrebbe riconoscere e rispettare la legge di amnistia generale del ministero della Giustizia libico. Sayf al-Islam Gheddafi dovrebbe poter assumere il proprio ruolo nella lotta per una nuova Libia democratica. A tal proposito, e dopo che gli Stati occidentali comprenderanno i propri errori, dovrebbero collaborare coi libici e le ONG sincere per processare le milizie e i loro capi per il bene della pace e della riconciliazione.

Traduzione 
Alessandro Lattanzio
(Sito Aurora


[1https://www.youtube.com/watch?v=POl... Impiccagione di un soldato libico a Bnegasi nel 2011

[2https://www.youtube.com/watch?v=4sR... Civili guidano carri armati a Bengasi

[3https://www.youtube.com/watch?v=MxO... Poliziotto bruciato a cui mangiarono il fegato nel 2011 a Misuata

[4https://www.theguardian.com/world/2... Articolo del Guardina sul numero effettivo di morti nella guerra del 2011 secondo Amnesty

[5https://humanrightsinvestigations.o... Accuse di stupro

[6https://www.theguardian.com/world/2..., Accuse di stupro nel 2011

[7https://www.youtube.com/watch?v=1dR... Piloti libici a Malta

[8https://www.hrw.org/ar/world-report... Relazioni di Human Right Watch

[9https://humanrightsinvestigations.o... Accuse di stupro

[10https://www.hrw.org/news/2011/08/01.... La Corte di giustizia penale su Muammar Ghedari, Sayf al-Islam e Abdullah al-Sanussi

[11https://www.icc-cpi.int/libya/gadda... Rapporto della Corte di giustizia penale su Sayf al-Islam

[12https://www.youtube.com/watch?v=TpB... Cadavere di Muammar Gheddafi

[13https://www.youtube.com/watch?v=4pk.... Mutasim Muammar Gheddafi prima e dopo la morte

[14https://www.youtube.com/watch?v=Kqq.... Imprigionamento di Abdullah al-Senussi da parte delle milizie

[15http://www.bbc.co.uk/news/world-afr... La BBC su Abdulhaqim Bilhadj

[16https://www.youtube.com/watch?v=ReQ... Legge di amnistia generale

[17https://www.youtube.com/watch?v=FUH... Bombardamento di Bani Walid nel 2012 da parte delle milizie del nuovo governo nel 2012

[18https://www.youtube.com/watch?v=yG-..., Case incendiate nella città di Washafana nel 2014

[19https://www.youtube.com/watch?v=fIa... Sirte distrutta dai \"ribelli\" nel 2011

[20https://www.youtube.com/watch?v=ZW9... Distruzione di Bengasi

[21https://www.youtube.com/watch?v=abV... Convoglio di Muammar Gheddafi l’attacco della NATO nel 2011

[22https://youtube.com/watch?v=WrfSrvseOCg Distruzione dell�

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In merito alle campagne di disinformazione strategica e repressione avviate in Montenegro attorno alla recente adesione alla NATO ed alle ultime elezioni truccate per poterne garantire la vittoria al clan mafioso filo-occidentale già al potere da vent\'anni:

Il Montenegro in bilico (rassegna JUGOINFO 12.10.2016)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8601

Il Montenegro tra \"mondo libero\" e Cremlino (rassegna JUGOINFO 16.10.2017)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8604

Roma sostiene l\'ingresso del Montenegro nella Nato (PandoraTV 15 Febbraio 2017)

Montenegro, stretta sull\'opposizione per il presunto golpe anti-Đukanović (F. Martino /OBCT/ Radio Capodistria, 16 febbraio 2017)
Sale la tensione in Montenegro, dove il parlamento ha privato ieri dell\'immunità due dei leader dell\'opposizione, accusati di aver partecipato al presunto golpe anti-Đukanović dello scorso ottobre. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria...
Fake news recycling’: Russian Embassy calls out UK media over ‘Montenegro coup plot’ report (RT, 20 Feb, 2017)
The Russian Embassy in London has rejected as pure innuendo a report in The Telegraph which claimed Moscow had conspired to overthrow Montenegro’s government during the 2016 poll, describing the report as recycled “fake news.”...

« Coup d’état » au Monténégro : un message adressé à Donald Trump ? (par Srdjan Janković, Radio Slobodna Evropa, 19.2.2017.)
Mi-février, le Monténégro faisait, bien étrangement, la Une des médias britanniques, qui publiaient des « révélations » sur la mystérieuse tentative de putsch pro-russe du 16 octobre. Il semble surtout que Londres ait profité de l’occasion pour envoyer un message à Washington. Décryptage...

Theresa May promette di difendere i Balcani dall\'aggressione russa al vertice UE (Sputnik, 10.03.2017)
Al vertice UE il premier britannico Theresa May ha accusato Mosca di essere coinvolta nella cospirazione per assassinare l\'ex primo ministro del Montenegro e nella diffusione di notizie false nei Balcani. La May ha esortato i colleghi europei a serrare i ranghi nei Balcani occidentali per proteggere la regione dalla pericolosa influenza russa...
https://it.sputniknews.com/politica/201703104183659-Londra-UK-Russia-Montenegro-cospirazione-geopolitica/

Il Montenegro sotto occupazione come nel 1941 (rassegna JUGOINFO, 24 maggio 2017)
1) STOP NATO 2017! Contre-Sommet le 24-25 mai 2017 à Bruxelles
2) ИНТЕРВЈУ СА М. БУЛАТОВИЋЕМ: Враћам се да се борим против нових фашиста из НАТО-а / VIDEO (Sputnik 20/5/2017)
3) Montenegro defies democracy by ratifying NATO membership without referendum – Moscow (RT, 29 Apr, 2017)
4) Interview with Marko Milacic (Sputnik, 30.04.2017)
5) NATO mission creep on road to Russia reaches Montenegro (Danielle Ryan / RT, 30 Apr, 2017)
6) Montenegro: La lutte continue contre l\'adhésion à l\'Otan (Global Research / ALERTE OTAN, N°64-1er trimestre 2017)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8711

Appel Montenegro
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8721

Montenegro: la neutralité du Montenegro, seule issue durable (ALERTE OTAN N°65 - 2e trimestre 2017)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8745


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http://www.investigaction.net/fr/marko-milacici-ladhesion-de-mon-pays-a-lotan-le-fait-dun-systeme-mafieux/

Marko Milacici: « L’Adhésion de mon pays à l’OTAN : le fait d’un système mafieux »

VLADIMIR CALLER, 55 Oct 2017


Quel intérêt militaire, stratégique, géopolitique pourrait avoir pour l’OTAN l’adhésion du Monténégro, ce petit pays avec une population bien moindre que celle de de Bruxelles et qui, quelques temps après son indépendance de la Serbie-Monténégro, ne disposait pas d’une armée digne de ce nom ? Pourtant, ce 5 juin, ce pays est devenu, grâce aux pressions du Pentagone, de l’UE (en particulier de l’Allemagne qui déjà en 2010 avait dirigé une mission monténégrine dans le cadre des opérations de l’OTAN en Afghanistan), le 29èmemembre de l’Alliance Atlantique. Pour y voir un peu plus clair, Le Drapeau Rouge a cru utile de poser quelques questions à Marko Milacici, fondateur du Mouvement « Pour la neutralité du Monténégro » et activiste infatigable du combat contre les projets expansionnistes de l’OTAN dans les Balkans.


Le Drapeau Rouge. – Comment expliquez-vous la décision de votre gouvernement d’adhérer à l’OTAN ?

Marko MILACICI.- Cette décision représente seulement celle du gouvernement actuel du Monténégro – au pouvoir depuis trois décennies, mais pas la volonté du peuple. Ce gouvernement n’est pas légitime, donc celle d’adhérer à l’OTAN ne l’est pas non plus. Le gouvernement actuel a été formé après le processus électoral le plus irrégulier de notre histoire. Le public international doit savoir que le régime a annoncé, le jour-même des élections, que le pays était attaqué, qu’un coup d’Etat était en cours. Une chose impensable dans un pays normal, mais cela s’est passé le jour des élections au Monténégro. Et à ce jour, plus de huit mois plus tard, on ne nous a toujours pas fourni de preuve concrète à l’appui de ce soi-disant complot. À cause de cela, le parlement est à moitié vide, les représentants de l’opposition boycottant l’institution, et nous ne pouvons de processus démocratique au Monténégro.

La décision du gouvernement d’adhérer à l’OTAN est l’acte d’un petit groupe de personnes, qui obéissent à l’autocrate, sept fois Premier ministre, Milo Đukanović, qui a un intérêt personnel dans cette décision. Qui sont les nouveaux partenaires de l’OTAN au Monténégro ? Le gouvernement monténégrin dirige le pays sur le modèle d’une mafia modernisée. C’est un système mafieux qui – afin de préserver le pouvoir et les privilèges d’un petit groupe de gens autour de Đukanović – s’est emparé des institutions et les utilise comme une façade.

Derrière cette façade, c’est le crime organisé qui se dissimule. Il y a des élections, mais elles sont truquées. Il y a des institutions, mais elles sont privatisées. Il y a la liberté d’expression, mais si vous critiquez le Premier ministre et ses copains, vous resterez sans travail, vous recevrez des menaces, vous mettrez en danger la sécurité de votre famille, et vous pourriez être battu ou même tué. Si vous critiquez le régime, vous pouvez finir en prison. C’est ce qui m’est d’ailleurs arrivé récemment.

Ceci n’est pas un hasard. L’OTAN n’est pas intéressée par des sujets comme l’Etat de droit et des choses comme ça. Pour elle, la seule chose qui compte, ce sont la géopolitique et le renforcement des intérêts occidentaux, sous la conduite de Washington et de l’oligarchie militaro-financière. Pour l’OTAN, le plus important, c’est l’obéissance et la loyauté. Plus que de tout, elle a peur de ce que Noam Chomsky a appelé la « désobéissance réussie ». Donc, son plus grand ennemi, c’est la souveraineté.

 Le DR.- Quel est, à votre avis, le niveau du soutien pour cette décision parmi la population, ainsi que parmi les divers partis et mouvements politiques au Monténégro ?

M.M.- Une étude secrète du gouvernement qui nous est parvenue il y a quelques années montre qu’une majorité des citoyens monténégrins sont contre l’OTAN. Pendant des années, nous avons combattu de toutes les manières possibles pour que cette décision ne soit prise qu’après un référendum, mais les autorités s’y sont opposé, pour une seule raison : la peur de la volonté des citoyens. Il y a dix-huit ans, l’OTAN a bombardé le Monténégro et maintenant nous devrions y adhérer. Ceci est une des raisons pour lesquelles les citoyens ne veulent pas adhérer à l’OTAN. Les partis et mouvements opposés à l’OTAN ont essayé de lutter contre l’adhésion avec des arguments politiques, économiques et sécuritaires, mais les médias contrôlés par les autorités, c’est-à-dire la majorité des médias, ont joué un rôle-clé, en soutenant l’OTAN. La plupart des partis politiques ont soutenu le référendum, même ceux qui sont des supporters déclarés de l’OTAN. Nombreux sont leurs électeurs qui s’opposent toujours à l’OTAN et qui étaient pour une prise de décision par référendum, ce qui n’est pas arrivé.

Les pays membres de l’OTAN, mais aussi les non-membres, doivent comprendre qu’entraîner le Monténégro dans l’OTAN en utilisant des individus douteux ne peut que déstabiliser notre pays, ce qui est d’ailleurs d’arriver en l’instant-même. La méthode d’élargissement de l’OTAN quitte la sphère politico-légale pour entrer dans un processus de manipulation des institutions et représente une agression politico-légale contre le Monténégro.

Le Monténégro fait face à un impact double et puissant. L’impact de l’extérieur provient de l’OTAN et de ce conglomérat de force brutale et mortelle. D’autre part, l’impact de l’intérieur vient des trois décennies de règne du régime de Milo Đukanović, inextricablement lié à la clique criminelle et mafieuse. Nous sommes, pour ainsi dire, entre le marteau et l’enclume, les deux étant antidémocratiques et criminels. L’impact global est représenté par Washington, tandis que le local l’est par Podgorica. La pression est immense. Seule une solution durable pour le Monténégro, qui garantisse une stabilité à long terme, la prospérité et la paix, est la neutralité. Pas seulement pour le Monténégro, mais pour les Balkans dans leur ensemble. La neutralité est une valeur pour laquelle nous devons lutter et, comme l’a dit Damir Niksic, un intellectuel de Sarajevo, nous devons nous battre pour elle comme nous nous battons pour la préservation de la forêt vierge en Amazonie. Le combat pour la neutralité et contre l’OTAN est une question existentielle. Etre ou ne pas être pour la région entière, et même au-delà, pour le monde.

Le DR.- Quel est le rôle politique de l’Union européenne dans cette décision ?

M.M.- Les représentants officiels de l’UE au Monténégro soutiennent ce régime criminel, mais sont restés à l’écart durant le processus d’intégration à l’OTAN. Comme chacun le sait, il y a des pays membres de l’UE, mais qui ne sont pas membres de l’OTAN. L’accord de Lisbonne a été modifié lors de l’intégration de l’Irlande dans l’UE, parce que les Irlandais ne voulaient pas adhérer à l’OTAN et voulaient que l’UE leur garantisse ce droit. L’UE peut donc éventuellement garantir la neutralité militaire de ses nouveaux membres.

Le DR.- Avec l’adhésion du Monténégro, la quasi-entièreté du côté nord de la Méditerranée, du détroit de Gibraltar à la Turquie, devient une zone OTAN. Ne pensez-vous pas que ce processus tend à consolider la prééminence du couple israélo-américain dans la région, en particulier en Syrie ?

M.M.- Je suis sûr que l’OTAN s’est emparée du Monténégro à cause de ses intérêts méditerranéens. Avec l’adhésion du Monténégro, l’OTAN a le plein contrôle du côté européen de la mer Méditerranée. Nous verrons dans le futur quels sont ses intérêts prioritaires, mais actuellement la Syrie ressemble à un objectif. Si nous parlons du potentiel militaire monténégrin, il est plutôt faible, assez insignifiant pour une organisation comme l’OTAN. Les intérêts territoriaux me semblent donc primordiaux.

Le DR.- Que se passe-t-il avec la Macédoine ? Pensez-vous qu’elle est la prochaine cible de l’OTAN ?

M.M.- Absolument. Lors de notre récent voyage, la « Caravane du référendum », pour demander un vote sur l’accession du Monténégro à l’OTAN, nous avons visité la Macédoine et nous avons eu plusieurs rencontres avec des partis politiques et des individus à propos de l’OTAN. Nous avons remarqué que la situation est très similaire à celle au Monténégro il y a quelques années. Et depuis, le nouveau gouvernement macédonien a annoncé qu’il intensifierait ses efforts pour adhérer à l’OTAN. Là aussi, les citoyens sont divisés sur la question, comme au Monténégro. On assiste à la même méthode, que j’appellerais           «ukrainisation».

Le DR.- Ne pensez-vous pas que, dans une certaine mesure, l’adhésion du Monténégro à l’OTAN est un des derniers chapitres du vieux projet occidental de démantèlement de la Yougoslavie ?

M.M.- Quand je réfléchis à notre histoire récente, depuis que la Yougoslavie a commencé à s’effondrer, je dois répondre affirmativement à votre question. Je peux le dire au nom d’un très grand – et toujours plus grand – nombre de personnes de toutes les anciennes républiques yougoslaves. Au Monténégro, cette adhésion s’est produite de cette manière, dans d’autres pays, elle a pris d’autres formes, mais le fait est que, à présent, trois des six anciennes républiques sont membres de l’OTAN, tandis qu’une autre – la Bosnie-Herzégovine – est un protectorat de l’OTAN, comme l’auto-proclamée république du Kosovo.

Une question se pose : pourquoi le Monténégro est-il important pour l’OTAN ? Ils disent ouvertement qu’il s’agit de compléter un puzzle, d’achever une mosaïque. Autrement dit, pour compléter la militarisation des Balkans. Mais il y a quelque chose d’autre qui est important : le Monténégro est, je pense, la dernière étape avant la Serbie, dont l’adhésion achèverait l’intégration et la militarisation totale des Balkans dans l’OTAN. La Croatie et l’Albanie en sont membres, comme la Slovénie. La Bosnie-Herzégovine est un protectorat, comme le Kosovo. Pour le moment, le Monténégro est utilisé comme un outil contre la Serbie, mais aussi contre la Russie. C’est leur modus operandi. Taiwan est antichinois, l’Ukraine est antirusse, comme on prévoit sans doute de rendre Belarus.

L’agenda est clair : ils suscitent des divisions nationales, soutiennent des régimes antidémocratiques qui leur servent de marionnettes et en font des républiques bananières. Ces pays renoncent à leur souveraineté et sont colonisés par le libéralisme par la dérégulation, la désindustrialisation et la privatisation absolue. À son tour, cela plonge ces pays dans la misère, ce qui permet d’en accroître le contrôle.

 

Propos recueillis par Vladimir Caller

SOURCE: Le Drapeau Rouge




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Per i contatti telefonici e le modalità di iscrizione si veda alla nostra pagina: 


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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus
C.P. 13114 (Uff. Roma 4), 00100 ROMA - ITALIA



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(english / français / italiano / srpskohrvatski)

Testi di Zivadin Jovanovic 2015-2017

1) 29. Congress of the Communist Party of China / Da li je predsednik Kine najmoćniji čovek na svetu (2017)
2) Pace e sviluppo (2017)
3) Democrazia significa libertà, uguaglianza e informazione neutrale (2016)
4) Cinque anni dopo l’accordo di cooperazione tra Cina e Paesi Europei Centro-Orientali. Notevoli Risultati (2016)
5) La migration des peuples est la conséquence de la voracité de l’interventionnisme (2016)
6) Ukraine and beyond – reminding notes (2015)
7) FLASHBACK: << KOSOVO WILL BE PRECEDENT >> (ZIVADIN JOVANOVIC 1999)


See further texts and links on our website / Si vedano molti altri testi e collegamenti alla nostra pagina:

Vedi anche:

BEOGRADSKI FORUM 2017, RELAZIONE INTRODUTTIVA:
Tekst pripremljenog govora Zivadina Jovanovica za skupstinu Beogradskog Foruma 28. januara 2017.
I VIDEO DI ALCUNI DEGLI INTERVENTI:
Видео излагања са Годишње скупштине Беофорума 28.1.2017.
http://www.beoforum.rs/godisnje-skupstine-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/840-video-izlaganja-sagod-skupstine-beoforuma-2017.html


=== 1 ===

( About the outcomings of the 29. Congress of the CPC see also / Sugli esiti del 19.mo Congresso del PC cinese si veda anche: 
Il Partito Comunista Cinese allo specchio (di Diego Angelo Bertozzi e Francesco Maringiò per Marx21.it, 24 Ottobre 2017)

Congratulations to china (Beogradski Forum, 25 October 2017)

Da li je predsednik Kine najmoćniji čovek na svetu (Beogradski Forum / Sputnik 23.10.2017.)
„Novi Sputnjik poredak“ analizira najznačajniji politički događaj u svetu, 19. Kongres Komunističke partije Kine.
Šta je kineski predsednik Si Đinping poručio i Kini i čitavom svetu? Zašto ga Rotšildov „Ekonomist“ proglašava za najmoćnijeg čoveka na svetu i zašto zabrinuto konstatuje da (zapadnom) svetu Si ništa dobro neće doneti? Kako će juan srušiti američki dolar i da li će time biti srušen i najvažniji stub američke moći? Odgovore na ta pitanja će u razgovoru sa Nikolom Vrzićem potražili su bivši ministar spoljnih poslova SR Jugoslavije Živadin Jovanović i dugogodišnji dopisnik beogradskih medija iz Pekinga Milorad Denda...

In the eve of the 19th CPC Congress: CHINA TO STAY THE PILLAR OF PEACE AND DEVELOPMENT 
Zivadin Jovanovic, President of the Belgrade Forum for a World of Equals / President of the Silk Road Connectivity Research Center, 13 October 2017


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Pace e sviluppo

5 Ottobre 2017

di Zivadin Jovanovic | da civg.it

Zivadin Jovanovic è Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali e del “Centro di Ricerca sulla Connettività della Silk Road (La Strada della Seta)”

\"Non ci può essere uno sviluppo sostenibile senza pace e pace senza sviluppo sostenibile\" (Preambolo dell\'Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile)

L\'economia mondiale ha generalmente superato le conseguenze delle crisi finanziarie che hanno avuto inizio nel 2008, ma è ancora di fronte a incertezze derivanti dalla debole crescita del PIL mondiale. Alcune nuove misure protezionistiche, sanzioni e altre misure unilaterali, in generale, hanno ostacolato la crescita degli investimenti commerciali e transfrontalieri. La cooperazione globale di partenariato e gli sforzi coordinati necessari per lo sviluppo sostenibile sono stati ostacolati da approcci e decisioni unilaterali di alcuni paesi. Il perseguimento dell\'unilateralismo e dell\'isolamento in un momento come questo ed in un mondo multipolare e globalizzato non può essere utile per nessun paese. Tale atteggiamento, qualunque motivazione abbia, non potrà aumentare i vantaggi del rapido progresso delle innovazioni e delle nuove tecnologie numeriche. L\'apertura, l\'uguaglianza, il partenariato e la cooperazione reciprocamente vantaggiosa sono il futuro per il mondo intero e per ogni paese in particolare.

Nell\'ambito delle relazioni politiche si osservano due tendenze. In primo luogo, un cambiamento profondo e storico della correlazione delle forze a livello globale a favore di un sistema mondiale multipolare, basato sul pieno rispetto dei principi fondamentali del diritto Internazionale, innanzitutto il principio di uguaglianza sovrana di tutte le nazioni ed integrità territoriale di tutti gli stati. Questo comprende il principio della non interferenza negli affari interni, la libertà di scelta dei sistemi sociali interni e il principio di una soluzione di tutte le controversie con mezzi pacifici, vale a dire attraverso il dialogo. Ed esclude ogni dominio, o gerarchia tra i paesi sovrani, l\'uso della forza o la minaccia di uso della forza. La seconda tendenza è rappresentata da forze che stanno essenzialmente cercando di salvaguardare il mondo unipolare, la politica di dominio e l\'interventismo militare. Esse credono ancora nel loro \"eccezionalità\" e praticamente si aspettano che tutti siano tenuti a rispettare i loro \"interessi nazionali\" in qualsiasi angolo del mondo; ma loro non sono tenuti a rispettare gli interessi di nessun paese, persino all\'interno delle frontiere internazionalmente riconosciute.

La lotta per la pace e la lotta per lo sviluppo economico, sociale e culturale sono strettamente interconnesse e devono essere perseguite attivamente. \"Abbiamo bisogno di una risposta globale che affronti le cause di conflitto ed integri la pace, lo sviluppo sostenibile ed i diritti umani in modo olistico - dalla concezione all\'esecuzione\" (UN SG Antonio Guterres, 24 gennaio 2017). Uno  sviluppo economico sostenibile e inclusivo, un\'occupazione decente, in particolare l\'occupazione di giovani qualificati, il benessere delle persone in generale sono la migliore prevenzione contro qualsiasi tipo di estremismo, di disordini o conflitti. Paesi e regioni che godono di una crescita economica sostenibile difficilmente possono diventare fonte di migrazioni massicce. La stabilizzazione del processo di pace, il ritorno dei rifugiati e degli sfollati e la riconciliazione post bellica dipendono fortemente dalla rapidità della ricostruzione economica.

La Belt and Road Initiative (BRI) Cinese, progetto mondiale multidimensionale, modello vincente di cooperazione e di pace ed amicizia tra le persone, offre un\' ispirazione fondamentale per il migliore approccio pratico della comunità mondiale alle sfide della crescita economica globale, della comprensione reciproca e del rafforzamento della pace. Ciò spiega perché i richiami e le idee da parte della Cina vengano seguite con molta attenzione in tutti i forum internazionali e regionali. Così è stato in occasione del recente vertice dei leader del G20 ad Amburgo, in Germania, a cui ha  partecipato anche il presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Djinping. La Cina ha ricevuto il riconoscimento di tutti gli altri leader per il suo contributo ai risultati del G20, in particolare come paese ospitante del Vertice dei Leader del G20 di Hangzhou e per la presidenza del 2016. Inoltre, una serie di intuizioni cinesi hanno trovato un adeguato spazio nei principali documenti del G20 di Amburgo.

Il punto di svolta del G20. Una delle immagini più evidenti della profondità e della portata dei cambiamenti globali nei rapporti mondiali è il ruolo crescente del G20 nelle relazioni economiche mondiali. Il G20 comprende le economie più sviluppate e quelle emergenti, compresi tutti i paesi membri del G7 e del BRICKS, nonché tutti e cinque i membri permanenti della ONU SC. Inoltre, le sue conferenze sono regolarmente frequentate dai più alti rappresentanti delle organizzazioni internazionali competenti quali l\'ONU, l\'ECOSOC, l\'UNCTAD, l\'IBRD, il FMI, l\'OCSE, l\'OMC, l\'OMS, il WFO ed altri. Così il G20 è diventato il forum principale per la cooperazione economica internazionale, il dialogo ed il coordinamento degli sforzi volti a conseguire una crescita economica e una governance sostenibile e inclusiva. L\'uguaglianza e la dignità degli esseri umani, la disoccupazione, le esigenze sociali, umanitarie, educative, sanitarie e culturali delle persone sono tra le più alte priorità del G20. Forse questioni cruciali di pace e stabilità possono non essere formalmente incluse nelle agende del G20, ma non sono mai state trascurate e possono essere considerate uno stretto collegamento tra la pace e lo sviluppo.

La storia, compresa quella recente, mostra che molti conflitti, aggressioni e guerre derivano da un chiaro contesto geo-economico che provoca conseguenze negative sulle prospettive di sviluppo e benessere delle persone. Non è vero che alcune guerre recenti siano state provocate per stabilire il controllo sull\'energia o su altre risorse naturali ed economiche!  Al contrario, la pace e la stabilità sono precondizioni per lo sviluppo, la prosperità e la dignità umana. Il ruolo del G20 nel tracciare la strada e il meccanismo per salvare il mondo dalla crisi economica e finanziaria mondiale del 2008 è stato il punto di svolta storico verso il mondo della partnership, dell\'uguaglianza e dell\'ordine multipolare delle relazioni internazionali.

Il vertice dei leader del G20 di Amburgo (7-8 luglio 2017) ha adottato una serie di documenti che riflettono la realtà dell\'economia mondiale, definendo i principali obiettivi e le responsabilità dei paesi membri e delle organizzazioni internazionali nel processo di attuazione. Il documento chiave intitolato \"Dichiarazione dei Leader del G20: Formare un Mondo Interconnesso\" (1) afferma che \"uno sviluppo forte, sostenibile, equilibrato e inclusivo resta la massima priorità del G20\". Riconosce che i benefici derivanti dal commercio internazionale e dagli investimenti \"non sono stati sufficientemente condivisi\" e ha chiesto che la politica di \"maggiore inclusività, correttezza e parità\" debba essere approfondita in modo più efficace. In alcuni documenti e discorsi del Vertice, le richieste di politiche \"centrate sulla popolazione\" sono caratterizzate in modo prominente, riflettendo così la volontà di attenuare la sfiducia tra le élites e il pubblico, particolarmente caratteristica dell\'Europa, nonché di porre fine ai crescenti divari socioeconomici tra società, paesi, regioni e continenti.

E\' stato salvaguardato il consenso sul principio del libero scambio e degli investimenti transfrontalieri, nonché sul continuare \"a combattere il protezionismo\". Alcune differenze tra gli approcci degli Stati Uniti ed il resto delle 19 delegazioni hanno portato a una compromissione della proposta originaria così che la formulazione finale del relativo capitolo nella Dichiarazione recita: \"Teniamo i mercati aperti rilevando l\'importanza di reciproci e reciprocamente vantaggiosi scambi commerciali e di investimenti e del principio della non discriminazione e continuiamo a combattere il protezionismo, comprese tutte le pratiche commerciali sleali e riconosciamo il ruolo degli strumenti legittimi di scambio a questo proposito” (in grassetto ZJ).

Gli USA si sono ritirati dall\'accordo di Parigi. Nella Riunione del Vertice del G7, tenutasi il 26-27 maggio 2017 a Taormina, in Sicilia, Italia, gli USA hanno annunciato di essere in fase di revisione delle proprie politiche sul cambiamento climatico e dell\'accordo di Parigi e quindi non sono in grado di aderire al Consenso del G7 su questi temi. Altri membri del G7, oltre all\'UE, hanno ribadito il loro forte impegno per attuare rapidamente l\'accordo di Parigi.

All\'Incontro del Vertice del G20 ad Amburgo, gli USA hanno annunciato formalmente la decisione di ritirarsi dall\'accordo di Parigi. Di conseguenza, gli Stati Uniti cesseranno immediatamente l\'attuazione del loro attuale contributo determinato a livello nazionale e hanno affermato il loro forte impegno verso un approccio che abbassi le emissioni, sostenendo la crescita economica e migliorando le esigenze di sicurezza energetica. È stato aggiunto che gli USA si impegnano a lavorare a stretto contatto con altri paesi per aiutarli ad accedere ed \"utilizzare i combustibili fossili in modo più pulito ed efficiente e contribuire a distribuire fonti energetiche rinnovabili ed altre energie pulite, data l\'importanza dell\'accesso all\'energia ed alla sicurezza nei loro contributi definiti a livello nazionale ”.

I Leader degli altri membri del G20 hanno preso atto della decisione americana, ribadendo il loro forte impegno per l\'accordo di Parigi e la sua piena attuazione.

L\'adozione unilaterale di tale decisione porta enormi conseguenze su piani diversi. Innanzitutto, difficilmente può dirsi vantaggiosa per i cittadini statunitensi, mentre è certamente dannosa dal punto di vista degli interessi della comunità mondiale, cioè gli esseri viventi del Pianeta, in generale. La leadership di qualsiasi paese è naturalmente tenuta a prestare attenzione agli interessi del proprio paese, ma certamente non a scapito o danneggiando gli interessi di altri paesi o del resto del mondo. Questa decisione unilaterale ha portato ad alcune interessanti domande, come ad esempio: quale messaggio l\'\"eccezionalismo Americano\" porta nell\'era del mondo multipolare? Si stanno forse ripresentando coloro che vogliono ritornare all\'epoca della pre-globalizzazione? Esiste forse, a parere di alcuni decisori, un qualunque ruolo che la mutua fiducia, la solidarietà, la prevedibilità politica e la politica basata su regole possa svolgere nelle relazioni mondiali contemporanee?

La migrazione di massa provoca discordia nell\'UE. Da qualche anno, il mondo e l\'Europa in particolare sono di fronte ad una massiccia immigrazione di rifugiati e di emigranti principalmente provenienti dal Medio Oriente e dall\'Africa. Secondo le fonti ONU, oltre 65 milioni di persone hanno abbandonato le loro case a causa di guerre, disastri naturali od estrema povertà. Solo nell\'ultimo anno più di un milione di profughi provenienti dalla Siria, dall\'Iraq e da altri paesi del Medio Oriente sono entrati nei paesi dell\'Unione europea utilizzando il cosiddetto percorso dei Balcani (Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Ungheria, Croazia). Altre decine di migliaia di persone provenienti da paesi sub-sahariani ed altri paesi africani sono entrati in Europa utilizzando il cosiddetto \"percorso mediterraneo\" (via Libia, Tunisia, altri paesi del Maghreb fino in Italia ed in Spagna). Migliaia di emigrati trasportati in barche non sicure e sovraccariche hanno perso la vita in mare. L\'afflusso di profughi e migranti ha provocato diverse difficoltà nei paesi di transito e nei paesi di accoglienza. Alcuni paesi membri dell\'Unione Europea hanno eretto muri metallici lunghi centinaia di chilometri sui loro confini per impedire l\'entrata non autorizzata di migranti, altri hanno rifiutato di accettare qualsiasi quota (numero) di migranti decisa dalla sede dell\'UE a Bruxelles. La discordia all\'interno dell\'Unione Europea circa le quote dei migranti, sull\'interpretazione del concetto di solidarietà e sulle modalità per trovare soluzioni sostenibili hanno portato ad una atmosfera poco piacevole ed all\'ascesa del particolarismo e del nazionalismo.

È chiaro che il problema della migrazione su larga scala delle persone è un problema serio ed a lungo termine. La soluzione sostenibile, pertanto, richiede alcune misure urgenti ed alcune misure a medio e lungo termine. Fino ad ora l\'attenzione e le risorse sono state indirizzate a soddisfare urgenti bisogni umanitari, come l\'alloggio, la salute e le esigenze quotidiane dei migranti, tra cui decine di migliaia di bambini. Esiste la necessità di un approccio globale che sia incentrato sull\'eliminazione delle cause profonde del problema. Alcuni progressi recenti nel porre fine alla guerra in Iraq e Siria, compreso il cessate il fuoco nella Siria sud-occidentale, raggiunti a Amburgo durante il Vertice del G20, dovrebbero portare alla diminuzione del numero dei rifugiati ed alla speranza di incoraggiare il libero e sicuro ritorno alle loro case di persone provenienti da vari campi di rifugiati. Solo una soluzione negoziata, pacifica e duratura per il conflitto in Siria può porre fine al flusso di profughi provenienti da quel paese. Tale soluzione per essere sostenibile deve basarsi semplicemente sul compromesso tra le forze politiche interne, rispettando la sovranità e l\'integrità territoriale della Siria. Un simile approccio di dialogo, compromesso e pace basato sui principi fondamentali del diritto internazionale deve essere perseguito per giungere a soluzioni di tutti gli altri conflitti e problemi del Vicino e Medio Oriente, inclusi quelli della regione del Golfo e della Penisola Araba.

Devono essere fornite risorse per stimolare gli investimenti nella crescita economica dei paesi Africani, in particolare nei paesi meno sviluppati e quelli in guerra, da dove gli emigranti si stanno riversando in Libia e in altri paesi del Nord dell\'Africa (Maghreb). Il problema dell\'emigrazione massiccia dall\'Africa difficilmente sarà risolto rafforzando la presenza di polizia e di militari nel Mar Mediterraneo o sulle rive dell\'Africa Settentrionale. E più che mai necessari sono \"una crescita economica ed uno sviluppo sostenibile e inclusivo, in risposta alle esigenze ed alle aspirazioni dei paesi Africani, che contribuiscano a creare un\'occupazione soddisfacente in particolare per le donne ed i giovani, contribuendo così a affrontare la povertà e la disuguaglianza in quanto cause di migrazione \". (Partenariato del G20 con l\'Africa, centro Informativo del G20).  La Cina con la sua politica di cooperazione vincente è un esempio brillante di una partnership con l\'Africa costante e reciprocamente vantaggiosa.

Terrorismo: problema globale - strategia globale. La Strategia Globale 2006 contro il Terrorismo dell\'ONU si basa su 4 pilastri

  1. Affrontare le condizioni che favoriscono la diffusione del terrorismo
  2. Misure per prevenire e combattere il terrorismo
  3. Misure per costruire la capacità degli stati di prevenire e combattere il terrorismo e rafforzare il ruolo del sistema delle Nazioni Unite a tale riguardo;
  4. Misure volte a garantire il rispetto dei diritti umani per tutti e dello Stato di diritto come base fondamentale per la lotta al terrorismo. (A / RES / 60/288)

Tuttavia, il terrorismo internazionale continua a reclamare un alto tasso di vite umane, distruggendo  ricchezza culturale e beni economici, seminando divisione, confronto, disordine, insicurezza e persino destabilizzazione, come nel caso di ISIS. È chiaro che la Strategia Globale per ottenere risultati ha bisogno di un fronte unito e di azioni coordinate che, per motivi diversi, soprattutto geopolitici, sono finora stati insufficienti quando non totalmente assenti. L\'indebolimento del dialogo, della fiducia reciproca e del partenariato tra alcuni dei principali protagonisti internazionali, l\'utilizzo del pericolo terroristico come giustificazione per l\'espansione militare, la politica dei “due pesi e due misure” su chi sono veri terroristi e chi i \"combattenti per la libertà\" o \"l\'opposizione moderata\", l\'interventismo sotto falsi pretesti  hanno creato un ampio spazio per la crescita dell\'estremismo violento e del terrorismo internazionale. La ghettizzazione degli immigrati provenienti dai paesi Musulmani nelle città dell\'ovest, l\'aumento della disoccupazione, del nazionalismo e della xenofobia contribuiscono anche ad un ambiente favorevole all\'estremismo, alla violenza e al terrorismo.

In conclusione, va osservato che nessun paese, e neanche un gruppo ristretto di paesi, per quanto economicamente o militarmente forti, può affermare di poter sradicare le radici del terrorismo internazionale come nemico globale. C\'è la necessità di un fronte antiterroristico forte ed unito e di un coordinamento sotto gli auspici dell\'ONU. Lottare contro il terrorismo come nemico comune presume una fiducia reciproca ed una cooperazione di partenariato ad ampio spettro. Le politiche di confronto, l\'accerchiamento militare ed economico, l\'abuso della democrazia o dei diritti umani per intromettersi negli affari interni dei partner nella lotta contro il terrorismo, non possono che rafforzare il fronte dei terroristi. \"È dunque fondamentale promuovere la tolleranza politica e religiosa, lo sviluppo economico e la coesione sociale e l\'inclusione, per risolvere i conflitti armati e per facilitare il reinserimento\". (Dichiarazione dei leader del G20 di Amburgo sul Contrasto al Terrorismo, Centro Informativo del G20)

Mettere da parte le politiche di potere del passato e accettare nuove realtà è un importante presupposto per un\'eradicazione efficace del terrorismo e per assicurare una crescita economica rapida, stabile e sostenibile dell\'economia mondiale.

(1)   Altri documenti: Dichiarazione dei Leader del G20 di Amburgo sulla Lotta contro il Terrorismo; Piano di Azione di Amburgo, Piano di Azione per il Clima e l\'Energia per la Crescita; Aggiornamento di Amburgo per Portare Avanti il Piano d\'Azione del G20 nell\'Agenda del 2030; Relazione Annuale sullo Stato di Avanzamento 2017; Piano di Azione del G20 contro i Rifiuti Marittimi; Partenariato con l\'Africa; Iniziativa del G20 per l\'Occupazione della Gioventù Rurale

Traduzione di Giorgio F. per civg.it


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ORIG.: Interview: Democracy means freedom, equality and solidarity (20.12.2016.)
Zivadin Jovanovic\'s interview to the “People`s Daily” (Zhenminzhibao)



Democrazia significa libertà, uguaglianza e informazione neutrale

Scritto da Zivadin Jovanovic

Intervista rilasciata a People\'s Daily da Zivadin Jovanovic, Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali.

D: Molte persone sono rimaste scioccate dai risultati delle elezioni presidenziali statunitensi dello scorso novembre.  Alcuni esperti sostengono che ciò sia un difetto della liberal-democrazia. Quali sono le principali colpe o errori delle democrazie occidentali?

R: Vorrei anzitutto dire che l\'assenza di una democrazia sostanziale è attualmente il principale problema delle democrazie occidentali. La democrazia occidentale è diventata l\'opposto di cosa dovrebbe essere. Le persone che avrebbero dovuto garantire il processo democratico decisionale sono stati ridotte a una mera copertura per i gruppi di potere che \"dietro le quinte\" decidono su ogni questione rilevante, incluse le decisioni sulla pace e la guerra. La democrazia è libertà, informazione neutrale e umanesimo. In pratica, dove ritroviamo questi valori nella vita reale? Milioni di cittadini sono spiati dai loro governi, centinaia di milioni sono quotidianamente ingannati dalla falsa informazione del sistema di informazione globale, vi è, inoltre, un abuso quotidiano dei diritti umani e il terrorismo internazionale è utilizzato per promuovere il dominio imperiale e gli interessi più biechi, incrementando la disoccupazione di massa e la povertà, il degrado dell\'educazione, della cultura, la rinascita del razzismo e della xenofobia. Sono questi i valori esportati dall\'Occidente nel resto del mondo attraverso Regime change, rivoluzioni colorate e altri metodi sovversivi?

Le cosiddette istituzioni democratiche, come i parlamenti, per esempio, sono diventati semplici \"gusci vuoti\" che ripetono decisioni prese altrove anche fuori dal Paese a cui loro formalmente appartengono. Che istituzioni democratiche hanno deciso l\'aggressione della NATO alla Jugoslavia nel 1999 o dell\'Iraq nel 2003, o in Libia e in Yemen e in molti altri paesi? Quali parlamenti hanno preso decisioni sui miliardi di dollari ed euro pagati nel 2008 e nel 2009 per salvare le banche private e le compagnie di assicurazione negli Stati Uniti e in Europa? Anche se quei miliardi fossero solo moneta appena stampata le enormi perdite causate dall\'incapacità manageriale e dalla corruzione nel settore privato saranno pagate dalle future generazioni.

 

D: Nel 2016, in Europa ci sono succeduti alcuni referendum, come quello nel Regno Unito, in Ungheria, in Svizzera, in Austria e in Italia. Possiamo dire che questi eventi dimostrano la vittoria della democrazia diretta? Alcuni sostengono che questa in Europa è solamente una vittoria del populismo. Qual è la tua opinione? Qual è il limite della democrazia diretta e perché molti Paesi non hanno adottato tale sistema di voto nel passato?

 

R: Ogni referendum ha qualcosa di specifico dipendente dalla cultura, dalla tradizione, dalla storia, dalla geopolitica e dal proprio contesto. La Svizzera, ad esempio, ha una lunga tradizione di frequenti referendum e non c\'è niente di inusuale nel fatto che questa pratica continui a esistere.

Per i referendum come la Brexit, quello in Ungheria, in Italia e altri, io credo che siano una forma di rivolta nei confronti di un\'offesa sistematica dei reali bisogni e di ciò che la gente veramente vuole, nonché una reazione al prolungato crollo del tenore di vita. I risultati dei referendum sono tuttavia differenti da un Paese all\'altro, ma hanno in comune la disperazione e la sfiducia nei confronti dell\'élite, o quello che viene chiamato establishment. Tali risultati mostrano quanto l\'establishment sia alienato e lontano dalle masse di persone che si sentono spogliate e private dei loro diritti di base sia democratici che umani.

Ritengo alta la possibilità che in futuro ci possano essere simili referendum in altri Paesi.

É ancora da vedere se gli inevitabili cambiamenti del sistema disumano socio-economico corporativo liberale possano verificarsi solo tramite referendum o se sarà necessario contemplare degli approcci più complessi che coinvolgano il ritorno di potere alle istituzioni. É certo tuttavia che la burocrazia e la plutocrazia a livello nazionale e internazionale non si priveranno volontariamente dei privilegi e del potere accumulati negli ultimi decenni.

Il ritorno dei referendum è, quindi, una reazione delle masse al sistema capitalista al servizio degli interessi di una minoranza di ricchi che ignorano i legittimi interessi della maggioranza.

Il populismo come fenomeno politico non dovrebbe essere analizzato anzitutto per capire quali sono le sue cause e le sue radici? Il termine populismo è invece utilizzato dall\'establishment occidentale per conservare lo status quo, per difendere i suoi enormi privilegi dipingendo ogni domanda di cambiamento come negativa.

 

D: Molti europei sono spaventati dall\'incapacità dei leaders europei di gestire crisi come quella dei rifugiati, il terrorismo e la Brexit. Alcuni dicono che la debolezza dell\'Europa sta nell\'abuso di democrazia . In Occidente, i sondaggi mostrano una caduta fra i giovani del livello di fiducia nella democrazia. Sembra che molti pensano che sarebbe meglio avere un \"leader forte\" o un \"grande uomo\" che abbia messaggi semplici e soluzioni facili. Come vede il fallimento della democrazia occidentale?

 

R: La Brexit ha destabilizzato l\'Europa e ha aperto il Vaso di Pandora con conseguenze imprevedibili. Influenti forze politiche negli altri Paesi membri dell\'Unione europea invocano simili mosse in un futuro non troppo distante. Ad oggi, la leadership dell\'Europa non ha dato risposte convincenti riguardo il futuro comune. La crescita dei problemi legata ai rifugiati, alla migrazione di massa, all\'espandersi del terrorismo internazionale, alla disoccupazione, alle differenze socio-economiche a livello nazionale e internazionale, la lenta ripresa economica e molti altri, ha aumentato le divisioni, indebolito la fiducia reciproca, aumentato l\'egoismo e l\'euroscetticismo. Tutti questi problemi, a mio avviso, sono interconnessi e conseguenze di una crisi di sistema del capitalismo liberale e dell\'ordine mondiale unipolare.

Mentre i difensori dell\'ordine mondiale unipolare stanno perdendo terreno cresce chi sostiene un sistema mondiale multipolare, anche in Occidente, ed è sintomatico che il bisogno di un cambio parallelo del concetto di capitalismo liberale multinazionale e corporativo non è in qualche modo al centro dall\'attenzione. Non è ancora stato capito come l\'ordine unipolare e il sistema capitalista liberale corporativo siano fortemente interconnessi. Il sistema sta subendo una crisi prolungata e severa, sta disumanizzando e distruggendo le società e in parallelo destabilizzando le relazioni internazionali e alzando il profitto al di sopra di ogni valore di civiltà. É ora di guardare avanti. É necessario che al centro dell\'attenzione nazionale e internazionale tornino a esserci l\'uomo, la libertà, l\'uguaglianza e la solidarietà.

 

Zivadin Jovanovic, President of the Belgrade Forum for a World of Equals

Traduzione di Andrea C. per Forum Belgrado Italia/CIVG



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ORIG.: Five years after inception of China-CEEC Cooperation - REMARKABLE ACHIEVEMENTS (Zivadin Jovanovic – Belgrade Forum and Connectivity Research Center, 23 June 2017)
... In 2012 then Prime-minister of the People’s Republic of China Wen Jibao presented to the first summit of prime ministers of China +16 CEE countries in Warsaw, Poland, the document titled “China’s Twelve Measures for Promoting Friendly Cooperation with Central and Eastern European Countries. The document known as “Warsaw Initiative” symbolizes the beginning and foundation of multitier, long-term, strategic cooperation between China and 16 CEE countries (1+16), based on sovereign equality, mutual trust and benefits, in win win mode...
http://www.beoforum.rs/en/comments-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/519-five-years-after-inception-of-china-ceec-cooperation-remarkable-achievements-.html


http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1122:cinque-anni-dopo-l-accordo-di-cooperazione-tra-cina-e-paesi-europei-centro-orientali-notevoli-risultati&catid=2:non-categorizzato

Cinque anni dopo l’accordo di cooperazione tra Cina e Paesi Europei Centro-Orientali. Notevoli Risultati

Scritto da Zivadin Jovanovic

Sono cinque anni da quando è stato siglato l’accordo tra i paesi europei centro-orientali (CEEC) e la Cina. Nel 2012 il primo ministro della Repubblica Popolare Cinese, Wen Jibao, presentò al summit fra Cina e i 16 paesi aderenti al CEEC svoltosi a Varsavia, Polonia, un documento intitolato “Le dodici misure Cinesi per promuovere la Cooperazione con i paesi centro orientali\".

Il documento conosciuto come “L’iniziativa di Varsavia” simboleggia l’inizio e la fondazione di una cooperazione strategica di lungo termine tra la Cina e i paesi europei centro-orientali, che si basa sull’equità e il rispetto delle rispettive sovranità, fiducia e benefici reciproci. Dopo cinque anni i risultati concreti raggiunti in campo economico, hanno confermato che l’iniziativa ha portato frutti insperati. Il meccanismo cooperativo ha dimostrato di essere realistico, efficiente e in armonia con la strategia dei paesi partecipanti. Anche i paesi che non hanno aderito al protocollo di cooperazione, hanno reagito positivamente di fronte a questa sinergia e alle varie forme di incremento di reciproca comprensione e di integrazione fra l’oriente e l’occidente.

L’iniziativa lanciata dal Presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, One Belt One Road (OBOR), nel Settembre 2013 ha dato una grande impulso alla Cooperazione fra Cina e CEEC dando nuove dimensione e nuove opportunità. Inoltre, la OBOR, ha incentivato la cooperazione fra gli stessi Paesi della CEEC, e fra questi e gli altri Paesi che si trovano lungo la via della seta.

La collaborazione fra i Paesi della CEEC e la Cina, apre svariate opportunità:

 

-       Velocizzare la modernizzazione delle infrastrutture, in particolare ferrovie, autostrade, aeroporti, e le vie d’acqua, sia fluviali, che marittime;

-       Diminuire il divario sociale e tecnologico tra i paesi CEEC, e fra questi e i Paesi sviluppati dell’Unione Europea;

-       L’opportunità di ospitare nuove realtà economiche in Cina, che garantiscano stabilità, una costante crescita economica, nonché un ruolo di livello globale;

-       Contribuisce in generale alla cooperazione tra Unione Europea e Cina, ala luce dell’agenda strategica per la Cooperazione prevista per il 2020 fra Unione Europea e Cina;

-       Partecipare alla ripresa economica aggiornando il proprio sviluppo economico avendo riguardo per il carattere globale e multidimensionale dell’agenda OBOR.

 

La posizione geografica dei paesi della CEEC, la loro importanza economica, il loro bacino di risorse umane, da un lato, la sete di investimenti, di un’economia moderna e sviluppata e di piena occupazione, dall’altro lato, fanno si che Cina e CEEC si desiderino a vicenda. La Cina ha l’interesse a sviluppare relazioni strategiche con l’Europa (UE), aggiornare la cooperazione commerciale e gli investimenti, fare della CEEC il motore per approfondire la cooperazione fra Cina ed Unione Europea. Inoltre, la Cina è divenuta la seconda potenza economica, raggiungendo notevoli risultati nello sviluppo di nuove tecnologie e con la sua strategia che si basa sulla cooperazione con reciproci vantaggi, ha incoraggiato i Paesi CEEC ad incrementare investimenti e il commercio.

Dopo il vertice di Varsavia del 2012, se ne sono avuti altri a Bucarest (2013), Belgrado (2014), Suzhou (2015) e Riga (2016). Il prossimo summit verrà ospitato a Budapest. Ogni summit, adotta linee guida come, ad esempio, l’impostazione di documenti che stabiliscono compiti e misure concreti.

Di tutti i meeting e i relativi documenti e le varie attuazioni devono dimostrare di essere di elevata importanza sia in fase di preparazione che di aggiornamento, di modo che si rinforzi l’efficienza e il carattere pratico della cooperazione fra CEEC e Cina.

I “think tank” hanno un ruolo davvero importante nello studio approfondito e nell’analisi dei vari aspetti della cooperazione sotto l’egida dell’OBOR, cercando di individuare le migliori opzioni, prevedendo lo sviluppo le migliori condizioni per lo sviluppo. Giocano un ruolo insostituibile nel campo della promozione, diplomazia, e la connettività fra le persone. La partecipazione alle varie attività è su base volontaria.

La cooperazione fra la CEEC e la Cina, ha prodotto progressi senza precedenti nell’intensificare il dialogo politico su tutti i livelli, specialmente su quello più alto fra capi di stato e capi di governo. Seguendo la strategia delle riforme e trasformando la Cina in una potenza mondiale in campo economico e un fattore globale delle relazioni internazionali. Così, per essere partner della Cina ed instaurare con lei un dialogo, i leader della CEEC, non devono solamente migliorare gli aspetti economici della cooperazione ma anche, rinforzare la loro reputazione internazionale, e contribuire alla costruzione di un mondo multipolare, che sta venendo alla luce grazie all’enorme contributo della Cina. A questo proposito, l’adozione di protocolli volti a costruire una strategica relazione fra la Cina e i paesi CEEC è di particolare importanza la stabilità della cooperazione e la base per condividere future relazioni e processi.

In parallelo, noi assistiamo quotidianamente alla vigorosa intensificazione della cooperazione e lo scambio fra popoli. Non vi è solo la crescita delle delegazioni ufficiali e degli uomini d’affari, vi sono anche quelle fra artisti, scienziati, gruppi di danza, turisti, giornalisti e molti altri aumentano costantemente i contatti scambiandosi informazioni, cultura, amicizia. Comprensione reciproca, dialogo e cooperazione economica, da un lato, e l’intensificazione dello scambio e dell’amicizia fra popoli, hanno fatto si che si rinforzasse la sinergia in tutti i tipi di relazioni.

Ci sono stati notevoli risultati e benefici reciproci nella cooperazione fra Cina e CEEC. Nel luglio 2013 sono iniziati trasporti merci su ferrovia fra Chengdu (Cina), e Lodz (Polonia). Altri collegamenti diretti sono stati instaurati fra la Cina e Paesi della CEEC e Paesi dell’Europa Occidentale (Praga, Duisburg, Francoforte, Budapest). “Una via di terra e di mare” è stata aperta fra i porti di Shanghai e il cuore dell’Europa. L’Hub express aperto in Grecia nel porto del Pireo verso cui le merci sono trasportate da ferrovie (o autostrade) via Skopje (Macedonia), Belgrado (Serbia) e Budapest (Ungheria) all’Europa Centrale ed Occidentale. Vi sono voli diretti fra Pechino e varie capitali della CEEC (Varsavia, Praga, Budapest) e ve ne sono altre in preparazione (Belgrado).

Gli investimenti nell’industria e nell’energia sono impressionanti. Il gruppo Cinese Wanhua ha investito nell’ungherese BorsodChem 1,6 miliardi di dollari; la LiuGong Machinery ha acquisito la polacca Huta Stalowa Wola; la China’s Railway Signal and Communication Co. è divenuta l’azionista di maggioranza della Ceck’s IneconTram Producing Group; una delle più grandi aziende cinesi del campo siderurgico, la HeSteel, ha assorbito la Serbian Steel Mil Company in Smederevo (2016); la Great Wal Car Factory si è stabilita in Bulgaria; la Stanari and Tuzla Power Plants  in Bosnia Herzegovina è stata finanziata e costruita da partner cinesi. Due delle principali autostrade in Macedonia – la Miladinovci – Stip (50 km) e la Kicevo-Ohrid (57 km) valgono 730 milioni di dollari, sono state costruite e finanziate da banche e compagnie cinesi. In Serbia, dopo aver completato il ponte sul Danubio, il “Mijalo Pupin”, i partner cinesi, han continuato a costruire autostrade, ponti e tunnel, compresa l’autostrada del corridoio 11, che unisce la Serbia col Montenegro.

La costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità tra Belgrado (Serbia) e Budapest (Ungheria) di 370 Km comincerà il prossimo novembre. Quando sarà completata, il tempo di percorrenza frale due capitali si ridurrà dalle attuali 8 ore, a 3 ore.

Il volume di affari fra la Cina e i paesi CEEC è cresciuto rapidamente di 60,2 miliardi di dollari nel 2014, e molto probabilmente raddoppierà il suo volume nei prossimi 5 anni. Quest’obiettivo è stato fissato al summit di Bucarest del 2013. Nei precedenti 5 anni la cooperazione fra Cina e CEEC sotto l’egida della OBOR è stato un fattore di crescita economica, aumento dell’occupazione e miglioramento della qualità della vita nei paesi CEEC. Questo ha incoraggiato i partecipanti a continuare e ad allargare la cooperazione, rimuovendo i rimanenti ostacoli e avvicinando l’Europa, la Cina e l’Asia.

Il ruolo dei Paesi della penisola balcanica.

La regione balcanica si colloca nel sud est dell’Europa bagnata dall’Adriatico, dal mar Ionio, mar Egeo e il mar Nero. Secondo l’Enciclopedia Britannica la regione comprende l’Albania, Bosnia ed Herzegovina, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Montenegro, Romania, Serbia, Slovenia, mentre Grecia e Turchia sono spesso incluse (la valutazione non è univoca). L’area è estesa per 666700 Km quadrati e la popolazione conta 59297000 abitanti. I Paesi della penisola, ad eccezione di Grecia e Turchia, sono molto attivi nella cooperazione CEEC-Cina. Tuttavia Grecia e Turchia hanno un ruolo chiave nel migliorare ed incrementare la OBOR con accordi bilaterali. Cinque di questi Paesi (Bulgaria, Croazia, Grecia, Romania, Slovenia) sono membri dell’UE, mentre altri sono in attesa di farne parte.

I Paesi della penisola balcanica hanno un sistema economico basato sul libero mercato. I salari medi oscillano fra i 4000 e i 12000 dollari pro capite. Il PIL pro-capite più alto è in Slovenia e in Grecia (sopra i 25000 dollari), seguito da Croazia (21000) e poi Turchia, Bulgaria, Romania, Montenegro, Serbia, Macedonia (10000 – 15000 dollari), Bosnia e Albania (sotto i 10000 dollari).

Generalmente, la disoccupazione è un grosso problema per la maggior parte dei paesi balcanici, che colpisce in modo particolare le giovani generazioni, ove il tasso di non occupati sfiora il 30%. Il tasso più basso è in Romania (sotto il 10%), seguita da Bulgaria, Turchia, Albania (10-15 %), Grecia, Serbia (15-20%), Montenegro, Bosnia (20 – 30%), Macedonia (sopra il 30%).

Il ruolo della penisola Balcanica è di estrema importanza, soprattutto nel campo del commercio, degli investimenti e delle infrastrutture. Hanno l’interesse, la volontà politica e il potenziale per incrementare la cooperazione con la Cina.

Sebbene gli interessi possono variare fra paese e paese, la priorità di tutti i paesi è la modernizzazione delle infrastrutture transfrontaliere, una nuova industrializzazione eco-sostenibile, e produzione di energia rinnovabile.

I Balcani possiedono un’enorme potenziale. Questi Paesi controllano i territori che uniscono l’Europa Occidentale con il Sud Ovest dell’Asia (Asia Minore e Medio Oriente). Tuttavia, questi stessi territori rappresentano un collo di bottiglia per la crescente domanda di trasporti e la necessità di modernizzazione.

Numerosi sono i porti in Grecia, Turchia, Bulgaria, Romania, Albania, Croazia e Montenegro, che rendono la regione interconnessa coi porti e i mercati sia Europei che di altri continenti. Altri paesi come la Serbia, hanno enormi potenzialità per quel che riguarda le vie fluviali, soprattutto grazie al Danubio, nonché la sua rete di affluenti e di canali. Così la maggior parte della penisola balcanica, se non tutta, gioca un ruolo importante nell’operazione “Via diretta per terra e per mare”.

Da millenni la penisola balcanica gioca un ruolo chiave nell’incontro fra civiltà, culture e religioni. Nonostante la sua storia turbolenta e i lunghi periodi di occupazione, i paesi di questa parte di Europa conserva una rara apertura vero la comunicazione e l’interazione con gli altri paesi del mondo, con le altre culture, con le differenti società ed economie.

Riassumendo, le caratteristiche della penisola balcanica che risultano interessanti alla natura e agli obiettivi della OBOR sono:

1)      Posizione geografica favorevole, per cui la penisola balcanica è spesso considerata la via principale all’Europa:

2)      Grande potenziale concernente la connettività, autostrade, ferrovie, porti, fiumi, aeroporti che rendono facilmente collegabile con le altre regioni d’Europa e l’Asia Minore (Turchia) e il vicino Oriente;

3)      Porti di mare accessibili facilmente dagli oceani indiano ed atlantico, dall’Africa e dalle altre regioni del mondo;

4)      Vie interne d’acqua che collegano il mar Nero coi mari del nord e col mar Baltico, tagliando tempi e costi di trasporto;

5)      Posizione geografica, sociale ed ambiente culturale e i già raggiunti risultati della cooperazione con la Cina sono buone raccomandazioni per i Balcani per ospitare la “Belt and Road Initiative connectivity juncture park” mettendo in sinergia le vie di mare e di terra, ferrovie, vie d’acqua, aeroporti, in un sistema completo e flessibile a livello regionale;

6)      Connettività nel campo della libera circolazione delle persone: per oltre 2000 anni i Balcani sono stati teatro dell’incontro e dell’incrocio di varie civiltà (Occidentale, Orientale, Latina, Bizantina, Islamica), di culture, di religioni, come quella Cristiana (Greco Ortodossa, Cattolica, Protestante), e quella Islamica. E’ una zona con una popolazione dalla mentalità aperta, con spirito comunicativo e assetata di imparare la storia, la cultura e l’arte degli altri popoli.


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La truffa lombardo-veneta

1) Nota del Comitato Nazionale dell\'ANPI
2) L’imbroglio del referendum lombardo-veneto, di Giorgio Cremaschi
3) Le regioni andrebbero abolite, di Ugo Boghetta e Mimmo Porcaro
4) 22 ottobre, referendum autonomista lombardo-veneto: c’è chi dice NO, di Fronte Popolare
5) Referendum in Lombardia e Veneto /1. Prepariamoci a votare NO, di Sergio Cararo


Vedi anche:

Die deutsche Ethno-Zentrale / Germania e separatismi: l’economia della secessione (rassegna JUGOINFO del 16.10.2017)

Lombardia e Veneto: referendum inutile? No, utilissimo…a loro! (di Pierluigia Iannuzzi, 30/09/2017)
Tutti i partiti maggiori voteranno e spingono a votare “si” ma certa sinistra si ostina a predicare l’inutilità del referendum autonomista e l’astensionismo. Ma siamo davvero sicuri che sia così?
https://www.lacittafutura.it/dibattito/lombardia-e-veneto-referendum-inutile-no-utilissimo-a-loro.html

Regione Lombardia: referendum sulla autonomia ed “evoluzione” del sistema sanitario lombardo (di Gaspare Jean, su Gramsci Oggi n.3/2017)
...  3 milioni di ammalati cronici lombardi riceveranno entro ottobre 2017 una lettera con indicati i Gestori accreditati che dovranno scegliere; da indiscrezioni sembra che questa lettera abbia il seguente tono: “ La Regione Lombardia fa uno sforzo notevole per far si che i malati cronici non debbano avere lunghe liste d’attesa... avrebbe potuto fare di più se fosse più autonoma e libera di stilare coi MMG una convenzione regionale e coi dipendenti un Contratto regionale invece che nazionale. Scegliete dunque il GESTORE e votate per una maggiore autonomia.”...  I gravi disagi che gli ammalati cronici lombardi hanno non sono dovuti a mancanza di maggior autonomia della Lombardia ma a scelte precise della maggioranza di centro-destra che ha puntato sulla privatizzazione, sulla centralità della medicina ospedaliera e specialistica a scapito dei distretti sanitari che sono stati aboliti, sulla esclusione dei Comuni dal Servizio Sanitario regionale, sulla mancata integrazione tra servizi sociali e sanitari...


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Fonte: ANPI News n. 260 – 10/17 ottobre 2017

Il Comitato Nazionale dell\'ANPI, 
preso atto che il 22 ottobre i cittadini delle Regioni Veneto e Lombardia saranno chiamati a votare sui quesiti proposti dalle due Regioni, con cui, in sostanza, si chiedono maggiore autonomia e maggiori poteri;
sentiti i dirigenti provinciali e regionali delle due Regioni interessate, 
osserva:
i due quesiti, pur diversi nella forma, hanno carattere meramente consultivo e mirano ad ottenere ciò che è previsto, in altra forma, dalla Costituzione italiana, che disciplina il sistema delle autonomie, per quanto interessa in questo caso, con gli artt. 5 e 116 e, in particolare, in quest\'ultimo articolo con la norma che prevede espressamente la possibilità che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre Regioni con legge dello Stato, su iniziativa delle Regioni interessate, sentiti gli Enti locali”. 
Si tratta, dunque, di referendum sprovvisti di qualsiasi utilità e comportanti oneri di spesa notevoli, su obiettivi che possono essere già raggiunti in altro modo, nelle opportune sedi e forme istituzionali. Basterebbe questo per indurre l\'ANPI ad estraniarsi rispetto a tali consultazioni. Non può esimersi, tuttavia, l\'ANPI dall\'osservare che il sistema delle autonomie, non solo è regolato da diverse disposizioni specifiche, a cominciare dall\'art. 5 e da tutta la parte che riguarda i rapporti tra i poteri centrali, le Regioni e i Comuni, ma rientra anche nella disciplina generale di cui all\'art. 2, che impone a tutti (cittadini e istituzioni) “l\'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Ogni questione attinente alle autonomie non può ispirarsi a criteri particolaristi ed egoistici, ma deve potersi ricondurre anche ai doveri di solidarietà di cui, appunto, all\'art. 2.
Ogni cittadino è libero di votare come crede, ma farà bene a tener presente, sempre, i princìpi che si ricavano, in modo indiscutibile e chiarissimo, dalla Carta Costituzionale.

Roma, 14 settembre 2017


=== 2 ===


L’imbroglio del referendum lombardo-veneto

di Giorgio Cremaschi, 17 ottobre 2017

Le stesse forze politiche che, contrapposte, si candidano al governo del paese e che si scontrano sulla nuova legge elettorale, sostengono unanimi i referendum per l’autonomia che si terranno in Lombardia e Veneto il 22 ottobre. 

Non è vero dunque che le due consultazioni siano un puro patrimonio leghista, anche se così vengono presentate. In Lombardia il referendum è stato approvato da tutto il centrodestra e dai cinque stelle. Il Partito democratico, inizialmente contrario, ha poi cambiato posizione: il sindaco Sala di Milano, il futuro candidato alla regione ora sindaco di Bergamo, Gori, insieme a tanti altri si sono pronunciati per il SI. 

Nel Veneto il PD si è astenuto sul referendum, poi ha dato indicazione per il SI, tutte le altre formazioni politiche hanno la stessa posizione dei loro omologhi lombardi. In sintesi in Lombardia e Veneto Renzi, Berlusconi, Di Maio e persino Meloni, almeno tramite i loro referenti locali, sono d’accordo con il referendum di Salvini, Maroni e Zaia. È l’unità regionale totale. Che ora il PD vorrebbe estendere anche in Emilia Romagna ed in Puglia, con analoghe consultazioni.

In Lombardia e Veneto le sole voci fortemente contrarie vengono dalla sinistra non rappresentata nei parlamentini regionali, da movimenti sociali, da sindacati di base come USB, voci troppo flebili per rompere la monotonia di una campagna elettorale inquietante, dove è in campo solo il SI sostenuto con ingenti finanziamenti dalle istituzioni regionali. 

Ma se sono tutti d’accordo i principali schieramenti politici delle due regioni, a che serve il referendum? La domanda ha una risposta scontata da parte dei presidenti regionali: il voto serve a far contare il popolo. É vero? Assolutamente no. 

I due quesiti referendari non fanno domande precise, le uniche sulle quali il pronunciamento popolare potrebbe davvero decidere e contare. Avete presente il nostro referendum costituzionale, quello sulla Brexit, quello greco sul memorandum della Troika, quello sulla indipendenza della Catalogna? Ecco, quelle consultazioni con il voto del Lombardo-Veneto non c’entrano nulla. Quelli sono stati pronunciamenti con domande chiare che esigevano altrettante risposte chiare; e infatti la politica poi ha fatto molta fatica a reggere il responso popolare, anzi a volte lo ha rinnegato proprio. 

Questo rischio, per i referendum sull’autonomia, non si corre: essi non chiedono nulla e quindi, quale che sia, la risposta popolare ad essi nulla conterà. Per quelle forze politiche italiane abituate a tradire i propri programmi un minuto dopo averli varati, questo voto è perfetto. Tutti impegnati senza veri impegni. 

Il quesito veneto è semplicissimo: volete più autonomia? Quello lombardo, evidentemente frutto di qualche consulenza giuridica più meditata, accenna al rispetto dell’unità nazionale, della Costituzione e esplicita la richiesta di maggiori risorse. 

Quali? Qui c’è l’ imbroglio. 

L’Italia ha il fiscal compact, quello che Renzi e Salvini dicono di voler cambiare, direttamente inserito nella Costituzione. La modifica dell’articolo 81 è un atto devastante della nostra democrazia, compiuto quasi alla unanimità dal parlamento precedente a quello attuale. Assieme alla costituzionalizzazione dell’austerità ci sono poi il patto di stabilità che distrugge l’autonomia di spesa degli enti locali e il controllo diretto della UE sui bilanci pubblici. 

Come si fa a chiedere più autonomia per le regioni, se tutto il meccanismo di governo imposto dalla austerità europea nega ogni libertà di spesa a tutte le istituzioni della Repubblica? 

Maroni e Zaia sono al governo delle due regioni più ricche del paese, che assieme hanno un quarto della popolazione. Immaginate una loro iniziativa istituzionale per cancellare il fiscal compact e il patto di stabilità. Questa sì che avrebbe bisogno del consenso del popolo, proprio perché si tratterebbe di imporre allo Stato una diversa politica economica, anche in conflitto con i vincoli UE. 

Ma la Lega nord e tutte le principali forze politiche italiane sono oggi “europeiste”. Meglio quindi chiedere una autonomia che in realtà non è permessa a nessuno, meglio fare domande che non vogliono dire nulla nel sistema economico governato dalla troika. Meglio un referendum finto che impegnarsi davvero in un conflitto col potere centrale. Questo si fa sui venti migranti ospitati a San Colombano, non sulle spese per lo stato sociale. 

I referendum lombardo e veneto non propongono alcuna revisione reale delle spese dello Stato e delle regioni, alludono soltanto a più soldi al nord e meno al sud; ma anche in questo imbrogliano, perché con il vincolo europeo di bilancio – che Maroni e Zaia accettano – neanche una redistribuzione iniqua delle risorse potrebbe essere fatta. Si taglia dappertutto e basta. 

Dunque il quesito sull’autonomia è fasullo, però dietro di esso se ne nasconde uno vero, che non a caso ha raccolto grande consenso nel mondo imprenditoriale. La domanda nascosta è: visto che l’austerità istituzionale vincola rigidamente il bilancio della regione, possiamo riconquistare autonomia privatizzando? 

Trasporti, servizi sociali, istruzione e soprattutto la sanità nelle due regioni a guida leghista sono sempre più regalati al mercato. I milioni di malati cronici della Lombardia saranno affidati ad un gestore privato che avrà il compito di amministrare le loro cure, naturalmente trovando il modo di farci profitti. In Veneto l’appalto ai privati della costruzione e della gestione di uno dei più grandi ospedali della regione è diventato un bengodi senza precedenti per gli affari. La regione Lombardia è più sollecita della ministra Fedeli nell’offrire alle aziende il lavoro gratis degli studenti nell’alternanza scuola lavoro.

Il “Si” chiesto da Maroni e Zaia serve dunque prima di tutto a questo: ad approvare la connessione sempre più stretta tra politica ed affari e la privatizzazione dello stato sociale e dei servizi pubblici, ove Lombardia e Veneto sono all’avanguardia. 

I due referendum autonomisti sono un imbroglio a diversi strati di inganni, il cui solo scopo è creare consenso al sistema di potere che governa le due regioni più ricche d’Italia. Che tutte le principali forze politiche delle due regioni siano d’accordo, è solo un ulteriore segno del degrado della nostra democrazia. 


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I referendum in Lombardia e Veneto. Le regioni andrebbero abolite

di Ugo Boghetta - Mimmo Porcaro, 29 settembre 2017

Il 22 ottobre in Lombardia e Veneto si terranno due referendum promossi dai presidenti (pardon, governatori) leghisti Maroni e Zaia al fine di avere l’avallo per chiedere al Governo e al Parlamento una maggiore autonomia. E già qui si vede che si tratta di referendum farlocchi: una tale richiesta Maroni e Zaia potrebbero tranquillamente farla già da oggi, quindi quello che si vuole è un plebiscito, pura propaganda.

A questi referendum si affiancano le mozioni presentate nelle regioni del sud dall’ormai ineffabile M5S per l’istituzione della giornata della memoria delle vittime dell’Unità d’Italia. Così. Di colpo. Senza nessun preliminare ragionamento sulla complessità del processo unitario e dei suoi effetti, sulla natura di classe dell’unificazione. Aria di elezioni, insomma.

Si tratta sì delle ennesime armi di distrazioni di massa. Ma, in realtà, creano confusione e, per questo, sono cose importanti e pericolose. Sono importanti per la prospettiva del paese e delle classi popolari che lo abitano. Sono pericolose perché coincidono con gli interessi dell’imperialismo statunitense e di quello tedesco (per ora – e ancora per poco? – subordinato al primo, ma per noi non meno letale).

L’Italia vive da tempo una situazione di stallo. Più o meno dall’entrata nell’Unione Europea e dalla firma del trattato di Maastricht: 7 gennaio ’92. Come si vede il periodo coincide con il sorgere della cosiddetta seconda repubblica e degli equivoci ideologici che l’hanno generata ed accompagnata.

Ma tale confusione è entrata in una nuova fase. Da una parte avremo l’implementazione dell’Unione a “due velocità”, che accentuerà il baricentro nordico e la germanizzazione dell’Europa (e il recente risultato elettorale tedesco non interromperà il processo, ma lo renderà per noi più pesante). E tutto ciò con l’aiuto contraddittorio della Francia. È dall’avvio dell’Unione che abbiamo sempre dovuto subire gli intrighi, le volontà e l’estorsione del gatto e della volpe, ed ogni idea nostrana di giocare l’uno contro l’altra si è mostrata finora campata per aria: e non soltanto perché non c’è un Cavour. Sempre più il popolo italiano ha tutto da perdere dall’Unione. I paesi mediterranei diventeranno via via più periferici, e così quelli dell’est, che inoltre accentueranno la loro subalternità agli Usa.

Per l’altro verso, l’elezione di Trump e lo scontro in atto negli Usa, hanno reso più blanda la presa statunitense e accentuato i mutamenti e le tendenze multipolari: la Germania sa benissimo che prima o poi dovrà scegliere di percorrere di nuovo la via della politica di potenza, anche se farà di tutto per realizzarla attraverso l’Unione. Infine, terzo e quarto attore, la Russia si presenta come argine militare alle pericolosissime iniziative occidentali e la Cina come alternativa economica (“via della seta”) al deflazionismo (classista) dell’Unione europea: ed entrambi come vasti mercati per le imprese italiane e come soggetti di un ordine finanziario alternativo.

Questa situazione in sé sarebbe positiva, se soltanto si fosse in grado di sfruttarla. Essa infatti amplia gli spazi per costruire una posizione non subalterna agli uni ed agli altri (un ruolo centrale dei paesi mediterranei, o meglio ancora di una confederazione europea radicalmente modificata). Ma a tal fine dovremmo saper riconquistare un po’ di dignità e di indipendenza. In questo contesto, infatti, potremmo meglio sviluppare gli interessi nazionali (cosa a cui abbiamo fatto cenno in un recente articolo: viva la Catalogna abbasso l’Italia) e dall’altra potremmo lavorare meglio per un mondo multipolare, che è l’assetto migliore per tutti i paesi medio-piccoli e per ostacolare l’assoluta mobilità del capitale, causa prima del pluridecennale arretramento dei lavoratori.

Al contrario, se continua questo confusionismo, col nord leghista che vuole diventare il sud della Baviera, col sud che si accontenta di diventare definitivamente la piattaforma USA nel Mediterraneo, il paese rischia la disgregazione, ed ogni sua parte va incontro ed altri secoli di sudditanza.

Ovviamente queste grandi questioni si mischiano alle miserie interne ai partiti. Maroni e Zaia si muovono contro l’ipotesi nazionale di Salvini. Il PD vota Sì ai referendum al nord ed aderisce alle mozioni dei M5S al sud, da un lato mostrando di essere diventato un partito colabrodo, e dall’altro intestardendosi coerentemente con il federalismo: quello fiscale fu un frutto loro. A questo proposito, non tutti sanno che le richieste per le modifiche della “Bassanini” inserite nel recente referendum sulle modifiche Costituzionali erano state avanzate dalle Regioni stesse perché fonti di caos.

Nemmeno il M5S scherza. Al nord stanno col Sì perché si vota con i computer: uno sballo on-line! Al sud propongono una mozione che apre una questione sull’unificazione dell’Italia (cosa, come abbiamo detto, certamente controversa) scegliendo come data della giornata della memoria quella della fine del regno borbonico: un atto reazionario o di estrema stupidità. Perché non scegliere il giorno del massacro di Bronte, sanguinosa espressione del carattere classista dell’unificazione? In questo caso il messaggio storico-politico sarebbe stato chiaro. Forse troppo chiaro. Perché non celebrare il giorno in cui fu ucciso Pisacane, che al cambiamento sociale credeva davvero, e che fu massacrato da contadini istigati dai Borboni e dagli agrari (gli altri decisivi agenti – questi ultimi – di una unificazione che non fu voluta solo dai “piemontesi”)? È su queste questioni che l’Unità d’Italia al sud ha preso la piega gattopardesca che ha dato i risultati che ha dato.

Come si vede, non c’è nessun contenuto classista,progrsessita, democratico in nessuna delle due posizioni.

In ogni caso, mettere di fatto in discussione l’Unità d’Italia, frammentarla, esporla alle incursioni di interessi stranieri è da criminali. Così come lo è stata l’entrata nell’Unione e nell’euro. Ciò non può che accentuare l’autorazzismo degli italiani sempre pronti a denigrarsi: un popolo che dimentica la propria storia (e la sua complessità) non va data nessuna parte.

Ma a questo quadro generale si deve aggiungere un altro tema.

I referendum chiedono più autonomia regionale. Il fatto è che, (a parte l’uso politico che PCI e PSI ne fecero all’epoca, usando con qualche successo le Regioni da loro governate come contraltare al governo centrale democristiano) queste istituzioni sono un fallimento. Costano davvero una barca di soldi. L’unico loro ruolo è distribuire i denari della sanità, dell’assistenza e dei trasporti (80/90% del bilancio) e, nel farlo, contribuiscono non poco ad acuire le già pesanti differenze trai servizi sociali nelle diverse zone del paese. Rendono volutamente complicato il processo decisionale. Legano strettamente i partiti ed i loro uomini ai diversi gruppi di interesse. Sono composte da territori storicamente eterogenei. Non sono sentite come istituzioni veramente interessanti a livello elettorale: le votazioni importanti sono quelle nazionali e quelle locali.

Se da una parte, dunque, va fatto fallire il referendum-plebiscito chiesto da Maroni e Zaia, dall’altra bisognerebbe proporre un modello istituzionale alternativo adeguato ai tempi. Questo non può che essere uno Stato centrale autorevole ed efficace all’interno, con una politica adeguata, forte e cooperativa all’esterno. Uno Stato che sappia trasferire parte dei poteri e delle risorse delle Regioni a livello locale: Comuni e Province. E abolire le Regioni. Allo Stato quello che è dello Stato. Agli enti locali quello che è meglio che gestiscano loro.

Serve un nuovo Stato per un nuovo e diverso interesse nazionale. In fondo è qualcosa di simile a ciò che ha proposto Melénchon con France insoumise.



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22 ottobre, referendum autonomista lombardo-veneto: c’è chi dice NO 

Appello per il No al referendum consultivo: per contrastare la pericolosa ideologia dei partiti maggiori ma anche per opporsi all’inerzia di quella sinistra che cede le piazze ai fascisti.

di Fronte Popolare  09/09/2017

Il prossimo 22 ottobre gli elettori di Lombardia e Veneto saranno chiamati ad esprimersi in un referendum consultivo sulla cosiddetta autonomia. Fatto salvo che in caso di vittoria del SI oggi non cambierebbe niente (rimandiamo ad altre più puntuali riflessioni le analisi economiche e giuridiche sul tema), con questo contributo vogliamo concentrarci soprattutto sul portato ideologico della consultazione, che merita a nostro parere molta attenzione e su cui, da Milano, siamo a fare un appello alla mobilitazione a tutti i Compagni sparsi per l’Italia

Illustriamo il quadro politico odierno in Lombardia. 

Ovvia è la posizione per il SI dei leghisti promotori, dove comunque il referendum è infine uno “spottone” per Maroni in vista delle “vere elezioni” regionali del 2018.

Non stupiscono, e consideriamo pericolose, le posizioni degli altri partiti padronali, 5 Stelle e PD, che si adeguano al generale spostamento culturale del paese sempre più a destra. Dichiarazioni sulla “razza” da difendere, regole da rispettare, meno dipendenza dallo Stato centrale sono slogan che purtroppo colpiscono e raccolgono facili consensi. Mentre il PD Veneto è direttamente schierato per il SI, quello lombardo fa dichiarazioni non così nette, ma manda avanti i cavalli di razza, vale a dire diversi autorevolissimi sindaci lombardi come Sala a Milano(fra i primi a schierarsi per il SI già a primavera scorsa) oppure Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo (e già direttore di Italia 1 anni addietro); quest’ ultimo tra i fondatori di comitati di amministratori del PD per il SI.

5 stelle, a cui va riconosciuto un buon lavoro a livello di consiglio regionale, un giorno attaccano Maroni mentre l’altro sui loro siti ufficiali arrivano a dire che il referendum l’hanno scritto loro, e godono “perché si voterà in maniera elettronica”, ed alla fine del gioco i tablet rimarranno nelle scuole…riesumando antichi slogans alla Berluscones (un computer per ogni scuola, primi anni ’90!). La posizione del sito lombardo grillino (qui è arduo dire “dei loro dirigenti”) è dettata probabilmente e da “studi di settore”, ovvero, visto che l’aria che tira è sempre del tipo “a Roma rubano tutti”, viene loro imposto di schierarsi per il SI, anche se notiamo, da qualche prima inchiesta, che per molti elettori dei 5 stelle non dovrebbe essere semplice votare come lega e PD, ovvero come quella che loro chiamano la “partitocrazia”.

Anche a sinistra la situazione è complessadiverse organizzazioni hanno dichiarato che faranno “astensione attiva”, cioè campagna elettorale per NON andare al voto, “puntando” sulla presunta bassa affluenza alle urne, dove comunque il SI dovrebbe prevalere grandemente, viste le posizioni politiche espresse dei maggiori partiti. 

Noi di Fronte Popolare, quindi, ci siamo chiesti cosa fare. Considerata (purtroppo) la poca influenza, in termini assoluti numerici, della sinistra in Lombardia sul risultato finale della consultazione, noi comunisti, analizzato il quadro politico riassunto qui sopra, abbiamo deciso invece di partecipare e fare campagna elettorale per votare, e votare NO

Il fatto che la consultazione indetta per ottobre abbia carattere puramente consultivo non solo non ne diminuisce la pericolosità, ma ne sottolinea il portato insidiosamente ideologico: pensare di contenere un simile risultato mediante l\'incentivazione della bassa affluenza è pura illusione.

Ci troviamo, per citare il compagno Antonio Gramsci, in quella fase in cui “la crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. 

Ecco compagni, qui al Nord sentiamo, purtroppo più che altrove, il senso di questa frase di Gramsci. Per chi sta “dalla parte del torto” la situazione non è per niente facile. Chi milita, chi partecipa, chi fa qualcosa e non passa le giornate davanti alla TV, tocca con mano ogni giorno la diminuzione degli spazi di agibilità politica, sia dal punto di vista della repressione ufficiale sia da quello di quella culturale: i casi di aggressioni contro gli antifascisti in Lombardia sono in costante aumento, ancora grida vendetta l’ irruzione di fine Luglio a Palazzo Marino, il Comune di Milano, con conseguente ferimento di due compagni.

Non meno importante ricordare che questo è un referendum promosso da due regioni che contano un quarto degli italiania cui bisogna provare a rispondere e resistere. Perché quello delle maggiori autonomie gestionali di risorse NON è solo un problema lombardo, ma di tutto il Paese (già altre regioni si dicono pronte ad indire simili consultazioni).

Di fronte al consolidarsi del senso comune reazionario e fascistoide che disgrega l\'unità dei lavoratori del nostro Paese, è necessario sviluppare una forte azione democratica e antifascista di contrasto, che esige prese di posizione chiare.

Noi di Fronte Popolare faremo quindi campagna elettorale per il NO. 

Stamperemo manifesti, volantini, e siamo pronti a dare una mano in ogni comune ad ogni sincero antifascista, democratico, comunista che in ottobre, nelle forme che riterrà più opportune, vorrà fare concretamente campagna elettorale e la cui coscienza gli dirà che non si accontenta del concetto di “astensione attiva”, atteggiamento che purtroppo temiamo possa rapidamente scivolare per inerzia verso un più tragico “siccome questo referendum è una presa in giro, ad ottobre ce ne andiamo a funghi”, lasciando totalmente piazza libera a partiti che da diversi anni portano dentro le istituzioni (al governo, sia chiaro) delle grande città individui dichiaratamente fascisti e razzisti

E’ molto probabile che non vinceremo, ma vogliamo e dobbiamo far vedere nelle piazze, nei mercati e nei posti di lavoro che c’e’ ancora qualcuno, qui al nord, che non mette la testa sotto la sabbia. 

E con più calore ci rivolgiamo ai tanti antifascisti sparsi per l’Italia, cui chiediamo di darci concretamente una mano. Come scritto prima, più poteri alle regioni vuol dire meno solidarietà fra tutti i lavoratori italiani , e purtroppo già altre regioni si dicono pronte a seguire questo pessimo esempio. 

Vi chiediamo di “parlare” del 22/10, di organizzare momenti di discussione, anche nelle vostre città lontano dalla Lombardia e dal Veneto. E poi vi chiediamo, (ed oggi i tanti famigerati strumenti tecnologici sono di grande utilità) di indicare ad amici, parenti e compagni che magari vivono nelle nostre regioni, che NON tutti hanno abbandonato la battaglia, e che qui a Milano c’è ancora chi resiste, e chi volesse impegnarsi in campagna elettorale per il NO da noi troverà validi compagni e interessante materiale di propaganda. 

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Referendum in Lombardia e Veneto /1. Prepariamoci a votare NO

di Sergio Cararo, 23 agosto 2017

Il prossimo 22 ottobre, in due strategiche regioni italiane come Lombardia e Veneto si terrà un referendum consultivo sulla “autonomia” dal governo centrale. La materia di questa maggiore autonomia è tutt’altro che chiara, tenendo conto che sarebbero già sufficienti i danni provocati dalla modifica del Titolo V della Costituzione con il federalismo introdotto nel 2001 dall’allora governo di centro-sinistra e peggiorati dal governo di centro-destra nel 2009.

Il riferimento normativo a cui fanno riferimento le forze che sostengono il referendum in Lombardia e Veneto (dalla Lega a gran parte del Pd), è l’articolo 116 della Costituzione, il quale dopo la riforma del 2001 prevede al comma 3: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata”. Ma, come si può leggere, non si fa menzione di alcun referendum. Il problema è che nel 2001 è stata aperta la strada con un referendum confermativo sulla modifica del Titolo V (voluto dal governo Amato per “battere la Lega e la destra” ma che anticipò invece una sonora sconfitta del centro-sinistra.

I referendum in Lombardia e Veneto del prossimo 22 ottobre, fortemente sponsorizzati da Maroni e Zaia ma assecondati dal Pd locale, saranno referendum consultivi per cui non è previsto neppure un quorum. In altre parole una battaglia squisitamente politica in cui le due regioni (oltre all’Emilia-Romagna) in cui si concentra quel 22% di imprese che fanno l’80% del valore aggiunto e delle esportazioni italiane diranno sostanzialmente: “noi siamo agganciati al cuore dell’Unione Europea e il resto del paese si fotta”. In caso di vittoria al referendum le autorità e le classi dominanti di Lombardia e Veneto aprirebbero da una posizione di forza una fase negoziale con il governo centrale.

In un certo senso la trama svelata da questi referendum fotografa una situazione di fatto: la crescente asimmetria del nostro paese. C’è da anni un nucleo geo-economico e sociale costituito da Lombardia, Emilia, Veneto che sia sul piano economico che su quello politico si è sincronizzato con la “locomotiva Germania” lavorando nella sub fornitura alle imprese tedesche e assicurando consenso sociale, ideologico, elettorale al Pd e al blocco politico-trasversale europeista. Lo si è visto con i risultati delle elezioni locali come nei risultati del referendum sulla controriforma costituzionale del 4 dicembre. Una realtà dei fatti che marginalizza Salvini come esponente di questo mondo e che lo ha portato ad abbassare le penne nelle sue ormai rimosse sparate contro l’euro e Bruxelles.

Secondo  un sondaggio realizzato dall’Api (associazione delle piccole imprese), il 74% dei rappresentanti delle piccole e medie imprese intervistati ha risposto si alla domanda se conferire maggiori poteri alla Regione Lombardia possa rappresentare un’opportunità. “Questo referendum farà capire a Roma che in Lombardia e Veneto ci sono piccoli imprenditori manifatturieri che chiedono più rispetto” dicono i padroni e padroncini delle due regioni interessate. Secondo gli intervistati nel sondaggio, al primo posto delle azioni prioritarie che la Regione Lombardia, una volta più autonoma, dovrebbe mettere in atto c’è la diminuzione delle imposte regionali (47%). Al secondo posto l’aumento dei fondi per le imprese (34%) e infine il miglioramento delle infrastrutture (19%). Insomma una regione a totale disposizione delle imprese. Ma se i “padrùn” non vedono oltre i propri interessi di bottega, figuriamoci se la loro visione possa estendersi al resto del paese. Un motivo per schierarsi e battersi per il NO nei referendum regionali in Lombardia e Veneto. (segue)
 


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Rivoluzione d’Ottobre

1) A. Catone: La Rivoluzione d’Ottobre e il Movimento Socialista Mondiale in una prospettiva storica
2) D. Losurdo: Rivoluzione d’Ottobre e democrazia


Per iniziative e documentazione nel Centenario della Rivoluzione d\'Ottobre si veda la nostra pagina dedicata:


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La Rivoluzione d’Ottobre e il Movimento Socialista Mondiale in una prospettiva storica

di Andrea Catone
12 Ottobre 2017

1. Il risultato più duraturo della rivoluzione d’Ottobre è il riemergere dei popoli oppressi

Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre consente oggi, con il vantaggio della distanza storica, di trarre un bilancio dei suoi effetti duraturi in tutta la storia del mondo.

La rivoluzione d’Ottobre segna un momento fondamentale nella storia, non solo del movimento operaio, ma dell’intera umanità. Dopo la Comune di Parigi (1871), schiacciata nel sangue dalla repressione della borghesia, la Rivoluzione d’Ottobre è il primo tentativo vittorioso del proletariato e delle classi subalterne di rovesciare i rapporti sociali dominanti e costruire una società socialista. Segna anche l’inizio di un potente processo di emancipazione dei popoli oppressi e lo sviluppo di lotte anti-coloniali e antimperialiste. Le rivoluzioni russa, cinese, vietnamita e cubana – per limitarsi ad alcuni dei più importanti movimenti comunisti – hanno permesso la liberazione di centinaia di milioni di esseri umani dalla miseria e dalla fame e rappresentano il tentativo di costruire società alternative al capitalismo e orientate verso il socialismo. L’importanza di queste esperienze non si è esaurita nei paesi che sono stati teatro dei processi rivoluzionari; queste esperienze hanno dato nuovo impulso alla liberazione che ha coinvolto grandi masse in ogni continente.

Grazie all’Ottobre sulle bandiere del movimento dei lavoratori è scritto non solo “Lavoratori di tutti i paesi, unitevi!” Ma “Lavoratori di tutti i paesi e popoli oppressi, unitevi!” [1]. La Rivoluzione d’Ottobre, con la creazione della Terza Internazionale (Comintern), lega strettamente il proletariato occidentale e i popoli delle colonie e delle semicolonie in una lotta generale contro l’imperialismo. Grazie all’Ottobre, e al Komintern che da esso si sviluppa, sono nati nei paesi oppressi dall’imperialismo i partiti comunisti. Ottobre apre la strada alla rivoluzione cinese e alla riconquista della dignità nazionale del paese più popoloso del mondo.

Nella storia del capitalismo, come Marx ci ricorda nel capitolo 24 del I Libro del Capitale sulla cosiddetta accumulazione originaria, il contributo della ricchezza saccheggiata nelle colonie ha costituito una base per l’accumulazione del capitale. Il capitalismo è cresciuto insieme con il colonialismo moderno ed è diventato imperialismo. La rottura della catena imperialista avviata con la Rivoluzione di Ottobre è una svolta nella storia dello sviluppo capitalistico e non solo perché la Russia è stata considerata l’anello più debole della catena imperialista, ma perché ha aperto la strada alla lotta di liberazione dei popoli d’Oriente e di tutti i popoli oppressi.

La teoria leninista dell’imperialismo ha un enorme valore scientifico e strategico perché individua il legame necessario tra il movimento dei lavoratori in Occidente e le popolazioni colonizzate. Lenin pensa globalmente, come la Seconda Internazionale non aveva mai fatto. Con l’Ottobre nasce la strategia del fronte unito dei lavoratori dei paesi capitalistici e dei popoli oppressi. Pensare la rivoluzione a livello mondiale significa che il proletariato occidentale sostiene tutte le lotte che possono indebolire il fronte imperialista. Significa anche che ogni situazione nazionale deve essere posta e compresa in un contesto internazionale.

La presenza e il prestigio dell’URSS, vittoriosa sul nazifascismo, e del suo modello di sviluppo che ha costruito un forte paese industriale dotato di armi moderne più potenti di quelle della feroce Germania hitleriana, ha rappresentato, per tutta una fase del secondo dopoguerra, un forte incentivo e un modello per i paesi che intendevano sfuggire al giogo dell’imperialismo (i nazionalismi arabi emergono con un programma avanzato di forti interventi statali – Egitto, Siria Iraq, ma, più tardi, anche Libia) e movimenti di liberazione nazionale (Angola, Mozambico, America Centrale…).

È con la Rivoluzione d’Ottobre che il movimento dei lavoratori viene globalizzato. La I e II Internazionale sono fondamentalmente europee, il Comintern è mondiale.

Da una prospettiva a lungo termine, dopo la dissoluzione dell’URSS e il crollo dei regimi socialisti in Europa nel 1989-91, e il ritorno di questi paesi al sistema capitalistico, il risultato più duraturo della rivoluzione d’Ottobre è il riemergere dei popoli oppressi come protagonisti della scena mondiale (la Cina ne è il caso più emblematico).

2. Il crollo del 1989-1991: I partiti comunisti perdono il potere politico nell’URSS e nei paesi dell’Europa orientale

Nel 1989-91, dopo 70 anni in URSS e 40 anni nelle repubbliche popolari dell’Europa orientale e dei Balcani, i partiti comunisti hanno perso il potere politico, che ritorna alle mani dei capitalisti, i rapporti di proprietà borghesi vengono ripristinati e i paesi ex socialisti dell’Europa orientale sono integrati nella NATO e nella UE. Perché è successo questo? La questione rimane aperta su questo tema fondamentale. Numerosi forum internazionali sono stati tenuti dal 1991 e sono state pubblicati anche importanti lavori sulle cause del crollo delle democrazie popolari dell’Europa orientale e dell’URSS. Il sistema sovietico, che le democrazie popolari europee hanno più o meno imitato, è stato analizzato nei suoi vari aspetti: politici economici, sociali e culturali; nelle relazioni internazionali. A mio avviso, la causa principale sta nel deficit politico e ideologico che distrugge la leadership dell’URSS e porta a disastri. Un contributo molto importante in questo senso è stato dato dalla Conferenza di Pechino nel 2011 e dal libro che ne raccoglie gli atti, La storia giudicherà su questo, a cura di Li Shenming.

Il bilancio storico dell’Ottobre richiede anche un bilancio teorico, una ridefinizione critica delle categorie della rivoluzione.

3. La teoria della transizione al socialismo.

Lenin aveva chiarito che la transizione al socialismo è un processo dialettico che richiede un’intera epoca storica [2]. E dove non è stato deciso una volta per tutte chi vincerà. La storia del secolo che ci separa dall’ Ottobre conferma pienamente la concezione di Lenin e nega le teorie anti-dialettiche e ingenue che credono che il socialismo possa sostituire il capitalismo in pochi anni attraverso misure politiche e decreti. La transizione al socialismo richiede la transizione verso una nuova superiore civiltà. Una nuova civiltà non può essere creata in breve tempo, richiede un’intera epoca storica.

Perché Lenin insiste nei suoi ultimi scritti sul tema della creazione di una nuova civiltà? Che cos’è una civiltà? C’è una determinata civiltà quando un popolo ha acquisito determinati comportamenti come sua seconda natura e si è abituato a praticarli senza una coercizione esterna. Il socialismo richiede che le grandi masse di lavoratori e i gruppi subalterni (Gramsci) siano in grado di esercitare effettivamente il potere di direzione e di controllo sulla proprietà sociale ed essere in grado nei fatti di decidere cosa, in che misura e come produrre e distribuire il prodotto, essere in grado di pianificare la produzione.

Nel settembre-ottobre 1917 Lenin scrisse: “Possono i bolscevichi mantenere il potere statale?”, in cui, tra l’altro, pone la questione della capacità reale dei proletari, dei lavoratori non qualificati, di guidare lo Stato. Per l’immediato la risposta è: no. Un compito essenziale per il potere sovietico è quindi quello di costruire le condizioni perché anche una cuoca possa dirigere lo stato.

Anche Gramsci si pone chiaramente su questa scia: il socialismo deve rendere politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di ristretti gruppi intellettuali [Quaderni del carcere, Q11 §12, 1932]. Questo straordinario obiettivo non può essere raggiunto in condizioni di miseria e di basso sviluppo delle forze produttive.

I bolscevichi si trovano ad affrontare il duplice difficilissimo compito: superare l’arretratezza e allo stesso tempo costruire rapporti di produzione socialisti: una doppia transizione. Dovranno affrontare un compito totalmente nuovo nella storia dell’umanità, come la pianificazione e il calcolo economico in un’economia di transizione. I comunisti sovietici devono inventare e sperimentare una nuova economia, organizzare una nuova formazione economica e sociale. E devono farlo in condizioni estremamente difficili.

Lo stesso problema, in misura anche maggiore, avevano i comunisti in Cina dopo la conquista del potere politico nel 1949. La capacità di trovare un modo originale di sviluppo dopo la prima fase della costruzione economica e sociale (1949-1978) è stato il grande merito storico di Deng Xiaoping: quasi 40 anni dopo l’avvio del “socialismo con caratteristiche cinesi”, la RPC è diventata la seconda potenza economica mondiale (calcolando in base al PIL), sviluppando notevolmente le forze produttive.

Lo sviluppo delle forze produttive in una società di transizione verso il socialismo è tuttavia diverso da quello di una formazione economico-sociale capitalistica. La forza produttiva principale è l’essere umano. La transizione al socialismo richiede un essere umano con una conoscenza critica e una cultura politecnica – umanistica e tecnico-scientifica allo stesso tempo – e con uno stile di vita che non può essere la copia del modo di vivere americano, che tende a mantenere i subalterni nella condizione di consumatori subalterni, in uomini a una dimensione, come scrisse oltre 50 anni fa Herbert Marcuse.

Uno dei problemi più gravi che le società di transizione al socialismo si trovano ad affrontare – ognuna sulla base delle proprie caratteristiche nazionali – è quello di sviluppare le forze produttive, ma di governare questo sviluppo nella direzione della formazione di un nuovo tipo umano e di un nuovo legame sociale per una superiore forma di civiltà, la società socialista. Il fattore culturale non è meno importante di quello economico per avanzare verso la civiltà socialista.

4. Il tema della direzione politica del processo di transizione. La questione della democrazia socialista

La transizione verso una forma di democrazia superiore a quella del parlamentarismo borghese è riuscita solo in alcune situazioni e solo in parte nella storia di questo secolo. Dopo la morte di Lenin, la questione del gruppo dirigente e delle modalità e forme di selezione dei quadri non è stata affrontata in modo adeguato.

Il problema dei partiti comunisti al potere consiste nella ricerca di istituzioni e formule che possano garantire la transizione socialista. La transizione al socialismo non è un movimento spontaneo. Questa questione è stata teoricamente affrontata da Marx e sistemata da Lenin: la dittatura del proletariato, necessaria per garantire la transizione. Ma, allo stesso tempo, è necessario assicurare un meccanismo di selezione trasparente e democratico per i gruppi dirigenti, il legame stretto tra il partito e le masse, i governanti e i governati. Occorre sviluppare forme di democrazia partecipativa e crescita delle masse nella partecipazione alla direzione dello stato e dell’economia, un grande “progresso intellettuale di massa” (vedi Gramsci). La corretta selezione dei gruppi dirigenti è una delle questioni più delicate nella società di transizione.

Nella transizione al socialismo, il legame tra economia e politica deve necessariamente essere molto più stretto che nella società borghese, perché la transizione al socialismo non è un processo spontaneo, non avviene automaticamente, ma richiede una direzione politica chiara e forte. La transizione al socialismo richiede la creazione di una nuova cultura di massa, che non sia subalterna all’ideologia capitalista e imperialista: una rivoluzione culturale.

5. Le rivoluzioni socialiste vittoriose non si svolgono nei centri imperialisti, ma solo in periferia.

Il sistema capitalistico nelle sue sovrastrutture politiche e ideologiche si è rivelato più forte del proletariato dei Paesi occidentali. La rivoluzione in Occidente non si realizza, sia per la forza del capitale (si veda l’analisi di Gramsci sull’articolazione delle società borghesi occidentali e quella di Althusser sugli apparati ideologici di Stato), sia per la debolezza della strategia e dell’organizzazione del proletariato e dei partiti comunisti.

Di solito, si hanno situazioni rivoluzionarie in tempi di crisi acuta dello stato borghese. Dopo il 1918, nel primo dopoguerra europeo, nei paesi sconfitti degli imperi centrali (Ungheria, Baviera, Austria, Germania), le rivoluzioni sono rapidamente schiacciate nel sangue prima della presa del potere politico (Germania) o sopraffatte per l’incapacità di governare l’economia dei rivoluzionari (In Ungheria).

Dopo il 1945, nel II dopoguerra, la situazione sembra più favorevole grazie alla vittoria dell’URSS sul nazismo. Nei paesi dell’Europa centrale e orientale, i comunisti vanno al potere o come continuazione della resistenza antifascista nella rivoluzione socialista (Jugoslavia, Albania) o grazie a un consenso popolare fortemente sostenuto dalla presenza dell’armata rossa sovietica: Ungheria, Polonia, Bulgaria, Romania, Cecoslovacchia, Germania orientale. Fatta eccezione per gli ultimi due, si tratta di paesi di capitalismo periferico.

Nei paesi chiave dell’Occidente, anche quando un forte movimento anti-nazista (Italia, Francia) è stato sviluppato dai comunisti o con una forte presenza di essi, la Resistenza non si trasforma in una rivoluzione e dove è tentata ,come in Grecia, è schiacciata nel sangue dall’intervento militare britannico e occidentale.

Dopo il 1945 in Europa occidentale non ci sono crisi rivoluzionarie, anche se in due paesi con un’importante presenza dei comunisti ci sono momenti di mobilitazione di massa e di crisi del potere borghese (maggio 1968 in Francia, decennio 1968-77 in Italia). La migliore opportunità rivoluzionaria è stata in Portogallo, la “Rivoluzione dei garofani” (1974), con un ruolo importante del Partito Comunista guidato da Alvaro Cunhal, ma anche qui la borghesia interna, con il sostegno dell’imperialismo occidentale e della NATO, è in grado di ristabilire il proprio potere politico ed economico. L’ultima occasione, in una situazione di forte crisi economica, è stata in Grecia (2011-2015), dove la coalizione di sinistra ottiene il consenso elettorale e va al governo, ma subito dopo rimane ostaggio della “troika” (BCE , IMF, UE) e si riduce ad essere l’esecutrice dei suoi diktat.

Negli Stati Uniti, il cuore dei paesi imperialisti, nessun movimento di lotta (la rivolta dei campus universitari o le pantere nere negli anni ‘60) ha mai seriamente messo in discussione il potere politico o l’egemonia culturale del grande capitale. In Inghilterra, attraversata anche da grandi lotte dei lavoratori (minatori) il potere borghese non è mai messo in discussione.

Nei cento anni che ci separano dall’Ottobre il movimento comunista e dei lavoratori non riesce nel suo obiettivo principale: avviare nei paesi capitalisti più sviluppati – con la conquista del potere politico – la trasformazione del modo di produzione capitalistico nel modo di produzione socialista basato sulla proprietà sociale dei mezzi di produzione e sulla pianificazione socialista.

Quali sono le cause di questo fallimento storico?

La teoria dell’imperialismo di Lenin può spiegare alcune delle cause che ostacolano la rivoluzione in Occidente: la classe capitalistica, con le briciole della rapina imperialista, nutre “l’aristocrazia operaia” e corrompe i leader di sindacati e partiti operai, che introiettano le teorie revisioniste e negano la possibilità di uscire dall’orizzonte dei rapporti di produzione borghesi.

Inoltre, non dobbiamo dimenticare il ruolo mondiale dell’imperialismo, che non è solo la rapina dei popoli sottomessi, ma è anche organizzato come un cane da guardia del potere borghese nei paesi centrali del capitalismo. Dopo il 1945, gli USA e la NATO, la più grande alleanza militare del mondo sotto il comando statunitense, hanno svolto un ruolo decisivo nel contrastare il movimento progressista e di emancipazione anche nei paesi occidentali, utilizzando il colpo di Stato (Grecia 1967) o minacciandolo (Italia, anni 1960-70). Inoltre, l’imperialismo, con le sue istituzioni economiche e finanziarie mondiali (FMI, ecc.), controlla e riconquista i paesi che vogliono liberarsi dal sistema imperialista mondiale (l’ultimo caso evidente: la Grecia 2011-2015).

Ci sono stati e ci sono immensi errori strategici e tattici commessi dai partiti comunisti in Occidente, senza una seria comprensione dei quali nessun progresso del movimento operaio sarà possibile. Oggi va preso atto che il capitalismo e il potere politico borghese si sono dimostrati molto più forti del movimento dei lavoratori, nonostante due crisi strutturali generali del capitalismo (negli anni ‘30 del XX secolo e la crisi manifestatasi a partire dal 2007-2008).

La transizione al modo di produzione socialista non è avvenuta nei tempi e nei modi che abbiamo immaginato dopo la vittoria del 1917.

Questa domanda rimane aperta. L’indagine di questo fallimento storico è un compito fondamentale per il movimento operaio e per i suoi intellettuali organici.

Questo non significa che tutta l’attività e l’elaborazione strategica del movimento operaio nei paesi centrali del capitalismo siano stati inutili e inefficaci. In particolare, la “via Italiana al Socialismo”, la strategia sviluppata dal Partito Comunista Italiano dal 1944 sulla base dell’analisi di Gramsci nei Quaderni del carcere, al di là di deviazioni e riduzionismi, è di grande importanza per la possibile transizione al socialismo in Occidente. 

Questa strategia si basava su una lunga “guerra di posizione” in cui i comunisti, al centro di un fronte popolare, di un blocco di forze sociali e politiche, gradualmente conquistano alcune “fortezze” delle istituzioni economiche e politiche capitalistiche, attuando riforme strutturali. Per il successo di questa strategia, tuttavia, il paese deve essere libero dal controllo militare ed economico dell’imperialismo, mentre attualmente tutti i paesi dell’Europa occidentale e gli ex paesi socialisti europei sono sotto il controllo militare della NATO e delle istituzioni economiche imperialiste internazionali.

L’esperienza storica di questo secolo che ci separa dal grande Ottobre russo ci insegna che ci sono possibilità concrete di avviare una transizione socialista solo se la catena imperialista è seriamente indebolita.

Oggi, la situazione mondiale è più favorevole al movimento dei lavoratori che negli anni 1990 e 2000. È gravida di grandi pericoli e minacce, ma è anche aperta alla possibilità di un rapporto di forze più favorevole all’emancipazione delle nazioni oppresse e dei popoli sfruttati. Oggi, in tutto il mondo, le cose stanno cambiando: lo strapotere dell’imperialismo statunitense, che negli ultimi 25 anni ha portato guerre di aggressione per mantenere la sua centralità unipolare, trova un freno e un limite nella ascesa economica della Cina, nell’organizzazione dei BRICS, nel programma di creare una valuta di scambio internazionale alternativa al dollaro, nelle proposte strategiche della Cina che è diventato un attore sul palcoscenico mondiale e offre al mondo un’alternativa strategica per uno sviluppo pacifico (si veda “la nuova via della seta).

Il contesto internazionale è sempre stato importante per il movimento dei lavoratori, non perché le rivoluzioni possono essere esportate (le rivoluzioni possono svilupparsi solo su una effettiva base nazionale e devono fondamentalmente basarsi sulle proprie forze in ciascun paese), ma perché la presenza di un blocco di forze in grado di contenere l’impero americano può limitare la sua aggressività e fornire un sostegno a quei paesi in cui si sviluppa un movimento per il recupero della sovranità nazionale e popolare.

In questa situazione in movimento si possono creare le condizioni per una rinascita della lotta per il socialismo in Occidente.

LEGGI LA VERSIONE IN PDF

NOTE

1 Si veda in proposito Cheng Enfu, Li Wei, “Il marxismo-leninismo è il metodo scientifico e la guida per conoscere e trasformare il mondo”, in Marx in Cina, quaderno speciale di MarxVentuno n. 2-3/2014. Si può anche leggere in rete in http://www.marx21books.com/MARX%20IN%20CINA/Il%20marxisismo%20leninismo%20di%20Cheng%20Enfu.pdf.

2 Su questo, si veda anche la recentissima e fondamentale antologia di scritti di Lenin, curata da V. Giacché, con un’ampia prefazione dello stesso: Economia della rivoluzione, Il Saggiatore, Milano, 2017.


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di Domenico Losurdo

Il testo è la rielaborazione nella forma della Conferenza pronunciata a Napoli, presso la libreria Feltrinelli, il 6 luglio 2007, nell’ambito del ciclo «I venerdì della politica» promosso dalla Società di studi politici. 

Ho sviluppato i temi qui accennati in tre libri ai quali rinvio per gli approfondimenti e i riferimenti bibliografici: Controstoria del liberalismo (Laterza, 2005); Il linguaggio dell’Impero (Laterza, 2007), Stalin. Storia e critica di una leggenda nera (Carocci, 2008) (D.L)

L’ideologia e la storiografia oggi dominanti sembrano voler compendiare il bilancio di un secolo drammatico in una storiella edificante, che può essere così sintetizzata: agli inizi del Novecento, una ragazza fascinosa e virtuosa (la signorina Democrazia) viene aggredita prima da un bruto (il signor Comunismo) e poi da un altro (il signor Nazi-fascismo); approfittando anche dei contrasti tra i due e attraverso complesse vicende, la ragazza riesce alfine a liberarsi dalla terribile minaccia;
divenuta nel frattempo più matura, ma senza nulla perdere del suo fascino, la signorina Democrazia può alfine coronare il suo sogno d’amore mediante il matrimonio col signor Capitalismo; circondata dal rispetto e dall’ammirazione generali, la coppia felice e inseparabile ama condurre la sua vita in primo luogo tra Washington e New York, tra la Casa Bianca e Wall Street. Stando così le cose, non è più lecito alcun dubbio: il comunismo è il nemico implacabile della democrazia, la quale ha potuto consolidarsi e svilupparsi solo dopo averlo sconfitto.

1. La democrazia quale superamento delle tre grandi discriminazioni

Sennonché, questa storiella edificante nulla ha a che fare con la storia reale. La democrazia, così come oggi la intendiamo, presuppone il suffragio universale: indipendentemente dal sesso (o genere), dal censo e dalla «razza», ogni individuo dev’essere riconosciuto quale titolare dei diritti politici, del diritto elettorale attivo e passivo, del diritto di votare per i propri rappresentanti e di essere eventualmente eletto negli organismi rappresentativi. E cioè, ai giorni nostri la democrazia, persino nel suo significato più elementare e immediato, implica il superamento delle tre grandi discriminazioni (sessuale o di genere, censitaria e razziale) che erano ancora vive e vitali alla vigilia dell’ottobre 1917 e che sono state superate solo col contributo, talvolta decisivo, del movimento politico scaturito dalla rivoluzione bolscevica.

Cominciamo con la clausola d’esclusione, macroscopica, che negava il godimento dei diritti politici alla metà del genere umano e cioè alle donne. In Inghilterra, le signore Pankhurst (madre e figlia), che promuovevano la lotta contro tale discriminazione e dirigevano il movimento femminista delle suffragette, erano costrette a visitare periodicamente le patrie prigioni. La situazione non era molto diversa negli altri grandi paesi dell’Occidente. Era Lenin invece, in Stato e rivoluzione, a denunciare l\'«esclusione delle donne» dai diritti politici come una conferma clamorosa del carattere mistificatorio della «democrazia capitalistica». Tale discriminazione veniva cancellata in Russia già dopo la rivoluzione di febbraio, da Gramsci salutata come «rivoluzione proletaria» per il ruolo di protagonista svolto dalle masse popolari, com’era confermato dal fatto che la rivoluzione aveva introdotto «il suffragio universale, estendendolo anche alle donne». La medesima strada era poi imboccata dalla repubblica di Weimar, scaturita dalla «rivoluzione di novembre», scoppiata in Germania a un anno di distanza dalla rivoluzione d’ottobre e sull’onda e a imitazione di quest’ultima. Successivamente, in questa direzione si muovevano anche gli USA. In Italia e in Francia, invece, le donne conquistavano i diritti politici solo dopo la seconda guerra mondiale, sull’onda della Resistenza antifascista, alla quale i comunisti avevano contribuito in modo essenziale o decisivo.

Considerazioni analoghe si possono fare a proposito della seconda grande discriminazione, che ha anch’essa caratterizzato a lungo la tradizione liberale: mi riferisco alla discriminazione censitaria, che escludeva dai diritti politici attivi e passivi i non proprietari, i non abbienti, le masse popolari. Già efficacemente combattuta dal movimento socialista e operaio, pur fortemente indebolita, essa continuava a resistere pervicacemente alla vigilia della rivoluzione d’ottobre. Nel saggio sull’imperialismo e in Stato e rivoluzione Lenin richiamava l’attenzione sulle persistenti discriminazioni censitarie, camuffate mediante i requisiti di residenza o altri «\"piccoli\" (i pretesi piccoli) particolari della legislazione elettorale», che in paesi come la Gran Bretagna comportavano l\'esclusione dai diritti politici dello «strato inferiore propriamente proletario». Si può aggiungere che proprio nel paese classico della tradizione liberale ha tardato in modo particolare ad affermarsi pienamente il principio «una testa, un voto». Solo nel 1948 sono dileguate le ultime tracce del «voto plurale», a suo tempo teorizzato e celebrato da John Stuart Mill: i membri delle classi superiori considerati più intelligenti e più meritevoli godevano del diritto di esprimere più di un voto, ciò che faceva rientrare dalla finestra la discriminazione censitaria cacciata dalla porta. 

Per quanto riguarda l’Italia, sui manuali scolastici si può leggere che la discriminazione censitaria è stata cancellata nel 1912. In realtà continuavano a sussistere le «piccole» clausole di esclusione denunciate da Lenin. Ma non è questo il punto più importante. La legge varata in quell’anno concedeva graziosamente i diritti politici solo a quei cittadini di sesso maschile che, pur di modeste condizioni sociali, si fossero distinti o per «titoli di cultura e di onore» o per il valore militare mostrato nel corso della guerra contro la Libia terminata poco prima. In altre parole, non si trattava del riconoscimento di un diritto universale, bensì di una ricompensa in primo luogo per quanti avevano dato prova di coraggio e di ardore bellico nel corso di una conquista coloniale dai tratti brutali e talvolta genocidi.

In ogni caso, anche là dove il suffragio (maschile) era divenuto universale o pressoché universale, esso non valeva per la Camera Alta, che continuava a essere appannaggio della nobiltà e delle classi superiori. Nel Senato italiano vi sedevano, in qualità di membri di diritto, i principi di Casa Savoia: tutti gli altri erano nominati a vita dal re, su segnalazione del presidente del Consiglio. Non dissimile era la composizione delle altre Camere Alte europee che, a eccezione di quella francese, non erano elettive bensì caratterizzate da un intreccio di ereditarietà e nomina regia. Persino per quanto riguarda il Senato della Terza Repubblica francese, che pure aveva alle spalle una serie ininterrotta di sconvolgimenti rivoluzionari culminati nella Comune, è da notare che esso risultava da un\'elezione indiretta ed era costituito in modo tale da garantire una marcata sovra-rappresentanza alla campagna (e alla conservazione politico-sociale), a danno ovviamente di Parigi e delle maggiori città, a danno cioè dei centri urbani considerati il focolaio della rivoluzione. Anche in Gran Bretagna, nonostante la secolare tradizione liberale alle spalle, la Camera Alta (interamente ereditaria, eccettuati pochi vescovi e giudici), non aveva nulla di democratico, e netto era il controllo esercitato dall’aristocrazia sulla sfera pubblica: era una situazione non molto diversa da quella che caratterizzava Germania e Austria. È per questo che un illustre storico (Arno J. Mayer) ha parlato di persistenza dell’antico regime in Europa sino al primo conflitto mondiale (e alla rivoluzione d’ottobre e alle rivoluzioni e agli sconvolgimenti che hanno fatto seguito a essa)

In quegli anni neppure negli USA erano assenti i residui di discriminazione censitaria. Rispetto all’Europa, però, l’antico regime si presentava in una versione diversa: l’aristocrazia di classe si configurava come aristocrazia di razza. Nel Sud del paese il potere era nelle mani degli ex-proprietari di schiavi, che nulla avevano perso della loro arroganza razziale o razzista e che non a caso erano bollati dai loro avversari quali Borboni; non era certo dileguato il regime talvolta celebrato dai suoi sostenitori e talaltra criticamente analizzato dagli studiosi contemporanei come una sorta di ordinamento castale, in quanto fondato su raggruppamenti etnico-sociali resi impermeabili dal divieto di miscegenation, e cioè dal divieto di rapporti sessuali e matrimoniali inter-razziali, severamente condannati e puniti in quanto suscettibili di mettere in discussione la white supremacy.

2. La duplice dimensione della discriminazione razziale

E veniamo così alla terza grande discriminazione, quella razziale. Prima della Rivoluzione d’Ottobre essa era più viva che mai e manifestava la sua vitalità in due modi. A livello globale il mondo era caratterizzato dal dominio incontrastato, per dirla con Lenin, di «poche nazioni elette» ovvero di un pugno di «nazioni modello» che attribuivano a se stesse «il privilegio esclusivo di formazione dello Stato», negandolo alla stragrande maggioranza dell’umanità, ai popoli estranei al mondo occidentale e bianco e pertanto indegni di costituirsi quali Stati nazionali indipendenti. E dunque, le «razze inferiori» erano escluse in blocco dal godimento dei diritti politici già per il fatto di essere considerate incapaci di autogoverno, incapaci di intendere e di volere sul piano politico. Tale esclusione era ribadita a un secondo livello, a livello nazionale: nell’Unione sudafricana e negli USA (il paese sul quale soprattutto ci soffermeremo), i popoli di origine coloniale erano ferocemente oppressi: essi non godevano né dei diritti politici né di quelli civili. 

Si pensi ad esempio ai linciaggi che, tra Otto e Novecento, negli Stati Uniti erano riservati in particolare ai neri. Un illustre storico statunitense (Vann Woodward) ne ha dato una descrizione secca ma tanto più efficace e raccapricciante:

«Notizie dei linciaggi erano pubblicate sui fogli locali e carrozze supplementari erano aggiunte ai treni per spettatori, talvolta migliaia, provenienti da località a chilometri di distanza. Per assistere al linciaggio, i bambini delle scuole potevano avere un giorno libero.

Lo spettacolo poteva includere la castrazione, lo scoiamento, l\'arrostimento, l\'impiccagione, i colpi d\'arma da fuoco. I souvenir per acquirenti potevano includere le dita delle mani e dei piedi, i denti, le ossa e persino i genitali della vittima, così come cartoline illustrate dell\'evento».

Vediamo qui all’opera non la democrazia propriamente detta di cui favoleggia la storiella edificante di cui ho parlato agli inizi, bensì quella che eminenti studiosi statunitensi hanno definito la Herrenvolk democracy, una democrazia riservata esclusivamente al popolo dei signori, il quale esercitava una terroristica white supremacy non solo sui popoli di origine coloniale (afroamericani, asiatici ecc.) ma talvolta anche sugli immigrati provenienti da paesi (quali l’Italia) considerati di dubbia purezza razziale.

Ancora negli anni ’30 i neri, che pure nel corso della prima guerra mondiale erano stati chiamati a combattere e a morire per la «difesa» del paese, continuavano a subire un regime di terrore che al tempo stesso funzionava come una ripugnante società dello spettacolo. Eloquenti sono di per sé i titoli e le cronache dei giornali locali del tempo. Li riprendiamo dall’antologia (100 Years of Lynchings) curata da uno studioso afroamericano (Ralph Ginzburg): «Grandi preparativi per il linciaggio di questa sera». Nessun particolare doveva essere trascurato: «Si teme che colpi d’arma da fuoco diretti al negro possano andare fuori bersaglio e colpire spettatori innocenti, che includono donne con i loro bambini in braccio»; ma se tutti si atterranno alle regole, «nessuno sarà deluso». L’inedita società dello spettacolo procedeva in modo implacabile. Vediamo altri titoli: «il linciaggio eseguito pressoché come previsto nell’annuncio pubblicitario»; «la folla applaude e ride per l’orribile morte di un negro»; «cuore e genitali recisi dal cadavere di un negro». 

A subire il linciaggio non erano solo i neri colpevoli di «stupro» ovvero, il più delle volte, di rapporti sessuali consensuali con una donna bianca. Bastava molto meno per essere condannati a morte: l’«Atlanta Constitution» dell’11 luglio 1934 informava dell’avvenuta esecuzione di un nero di 25 anni «accusato di aver scritto una lettera “indecente e insultante” a una giovane ragazza bianca della contea di Hinds»; in questo caso la «folla di cittadini armati» si era accontentata di riempire di pallottole il corpo dello sciagurato. Per di più, oltre che sui «colpevoli», la morte, inflitta in modo più o meno sadico, incombeva anche sui sospetti. Continuiamo a sfogliare i giornali dell’epoca e a leggere i titoli: «Assolto dalla giuria, poi linciato»; «Sospetto impiccato a una quercia sulla pubblica piazza di Bastrop»; «Linciato l’uomo sbagliato». Infine la violenza non si limitava a prendere di mira il responsabile o il sospetto responsabile del misfatto a lui attribuito: accadeva che, prima di procedere al suo linciaggio, venisse data alle fiamme e bruciata completamente la capanna in cui abitava la sua famiglia. 

È da aggiungere che la terza grande discriminazione finiva col colpire anche certi membri e certi settori della stessa casta o razza privilegiata. Sfogliando sempre l’antologia relativa ai cento anni di linciaggi negli USA, ci imbattiamo nel titolo di un articolo del «Galveston (Texas) Tribune» del 21 giugno 1934: «Una ragazza bianca è rinchiusa in carcere, il suo amico negro è linciato». Su quella ragazza bianca il regime di terroristica white supremacy si abbatteva in modo duplice: sia privandola della sua libertà personale, sia colpendola pesantemente nei suoi affetti.

3. Movimento comunista e lotta contro la discriminazione razziale

In che direzione, a quale movimento e a quale paese guardavano le vittime di tale orrore, per cercare solidarietà e ispirazione nella lotta di resistenza e di emancipazione? Non è difficile indovinarlo. Subito dopo la rivoluzione d’ottobre, gli afroamericani che aspiravano a scuotersi di dosso il giogo della white supremacy erano spesso accusati di bolscevismo, ma pronta era la replica di un militante nero che non si lasciava intimidire: «Se lottare per i nostri diritti significa essere bolscevichi, ebbene io sono bolscevico e che gli altri si rassegnino una volta per sempre».

Sono gli anni in cui i neri che diventavano militanti del Partito comunista degli USA o che visitavano la Russia sovietica facevano un’esperienza inedita e esaltante: si vedevano finalmente riconosciuti nella loro dignità umana; su un piano di parità con i loro compagni potevano partecipare alla progettazione di un mondo nuovo. Si comprende allora che essi guardassero a Stalin come al «nuovo Lincoln», al Lincoln che avrebbe messo fine questa volta in modo concreto e definitivo alla schiavitù dei neri, all’oppressione, alla degradazione, all’umiliazione, alla violenza e ai linciaggi che essi continuavano a subire. Non c’è da stupirsi per questa visione. Si tenga presente che per lungo tempo, nel periodo in cui la discriminazione razziale e il regime di supremazia bianca infuriavano pressoché indisturbati all’interno degli USA e a livello mondiale nel rapporto tra metropoli capitalistica e colonie, il termine «razzismo» ha avuto una connotazione positiva, quale sinonimo di comprensione sobria e scientifica della storia e della politica, una comprensione scientifica che solo gli ingenui (per lo più socialisti o comunisti) si ostinavano a ignorare o a mettere in discussione.

Quando interveniva il momento di svolta nella storia degli afroamericani? Nel dicembre 1952 il ministro statunitense della giustizia inviava alla Corte Suprema, che era stata chiamata a discutere la questione dell’integrazione nelle scuole pubbliche, una lettera eloquente: «La discriminazione razziale porta acqua alla propaganda comunista e suscita dubbi anche tra le nazioni amiche sull’intensità della nostra devozione alla fede democratica». Già per ragioni di politica estera occorreva sancire l’incostituzionalità della segregazione e della discriminazione anti-nera. Washington – osserva lo storico statunitense (Vann Woodward) che ricostruisce tale vicenda – correva il pericolo di alienarsi le «razze di colore» non solo in Oriente e nel Terzo Mondo ma nel cuore stesso degli Stati Uniti: anche qui la propaganda comunista riscuoteva un considerevole successo nel suo tentativo di guadagnare i neri alla «causa rivoluzionaria», facendo crollare in loro la «fede nelle istituzioni americane». In altre parole, non si poteva arginare la sovversione comunista senza mettere fine al regime di white supremacy. E dunque: la lotta ingaggiata dal movimento comunista e la paura del comunismo finivano con lo svolgere un ruolo essenziale nella cancellazione negli USA (e poi nel Sudafrica) della discriminazione razziale e nella promozione della democrazia.

A questo punto s’impone una riflessione. Le opzioni politiche di ciascuno di noi possono essere le più diverse. E, tuttavia, chi voglia fondare le sue affermazioni su una sia pur elementare ricostruzione storica, deve riconoscere un punto essenziale: la storiella edificante dalla quale abbiamo preso le mosse, e che continua a essere strombazzata dall’ideologia dominante, è per l’appunto una storiella. Se per democrazia intendiamo quantomeno l’esercizio del suffragio universale e il superamento delle tre grandi discriminazioni, è chiaro che essa non può essere considerata anteriore alla Rivoluzione d’Ottobre e non può essere pensata senza l’influenza che quest’ultima ha esercitato a livello mondiale.

4. La discriminazione razziale tra USA e Terzo Reich

Se da un lato spingeva le sue vittime a riporre le loro speranze nel movimento comunista e nell’Unione Sovietica, dall’altro il regime di white supremacy vigente negli USA e a livello mondiale suscitava l’ammirazione del movimento nazista. Nel 1930, Alfred Rosenberg, che poi sarebbe diventato il teorico più o meno ufficiale del Terzo Reich, celebrava gli Stati Uniti, con lo sguardo rivolto soprattutto al Sud, come uno «splendido paese del futuro» che aveva avuto il merito di formulare la felice «nuova idea di uno Stato razziale», idea che si trattava allora di mettere in pratica, «con forza giovanile», senza fermarsi a mezza strada. La repubblica nord-americana aveva coraggiosamente richiamato l’attenzione sulla «questione negra» e anzi l’aveva collocata «al vertice di tutte le questioni decisive». Ebbene, una volta cancellato per i neri, l’assurdo principio dell’uguaglianza doveva essere liquidato sino in fondo: occorreva trarre «le necessarie conseguenze anche per i gialli e gli ebrei».

Non c’è dubbio, il regime di white supremacy ha profondamente ispirato il nazismo e il Terzo Reich. È un’influenza che ha lasciato tracce profonde anche sul piano categoriale e linguistico. Proviamo a interrogarci sul termine-chiave suscettibile di esprimere in modo chiaro e concentrato la carica di de-umanizzazione e di violenza genocida insita nell’ideologia nazista. In questo caso non c’è bisogno di ricerche particolarmente tormentose: è Untermensch il termine-chiave, che in anticipo priva di qualsiasi dignità umana quanti sono destinati a essere schiavizzati al servizio della razza dei signori o a essere annientati quali agenti patogeni, colpevoli di fomentare la rivolta contro la razza dei signori e contro la civiltà in quanto tale. Ebbene, il termine Untermensch, che un ruolo così centrale e così nefasto svolge nella teoria e nella pratica del Terzo Reich, non è altro che la traduzione dall’americano Under Man! Lo riconosce Rosenberg, il quale esprime la sua ammirazione per l’autore statunitense Lothrop Stoddard: a lui spetta il merito di aver per primo coniato il termine in questione, che campeggia come sottotitolo (The Menace of the Under Man) di un libro pubblicato a New York nel 1922 e della sua versione tedesca (Die Drohung des Untermenschen) apparsa tre anni dopo. Per quanto riguarda il suo significato, Stoddard chiarisce che esso sta a indicare la massa di «selvaggi e barbari», «essenzialmente incapaci di civiltà e suoi nemici incorreggibili», con i quali bisogna procedere a una radicale resa dei conti, se si vuole sventare il pericolo che incombe di crollo della civiltà. Elogiato, prima ancora che da Rosenberg, già da due presidenti statunitensi (Harding e Hoover), Stoddard è successivamente ricevuto con tutti gli onori a Berlino, dove incontra non solo gli esponenti più illustri dell’eugenetica nazista, ma anche i più alti gerarchi del regime, compreso Adolf Hitler, ormai lanciato nella sua campagna di decimazione e schiavizzazione degli «indigeni» ovvero degli Untermenschen dell’Europa orientale, e impegnato nei preparativi per l’annientamento degli Untermenschen ebraici, considerati i folli ispiratori della rivoluzione bolscevica e della rivolta degli schiavi e dei popoli delle colonie. 

Ben lungi dal poter essere assimilate l’una all’altra quali nemiche mortali della democrazia, Unione Sovietica e Germania hitleriana si sono storicamente collocate su posizioni contrapposte: la prima ha svolto un ruolo d’avanguardia nella lotta contro la terza grande discriminazione (quella razziale), mentre la seconda si è distinta nella lotta per radicalizzare ed eternizzare la terza grande discriminazione e, nel far ciò, si è richiamata all’esempio costituito dagli USA. Nel complesso, l’analisi storica costringe a riconoscere il contributo essenziale o decisivo fornito dal movimento scaturito dalla rivoluzione d’ottobre al superamento delle tre grandi discriminazioni e dunque alla realizzazione di un presupposto ineludibile della democrazia.

5. Un incompiuto processo di democratizzazione

Conviene ora porsi un’ultima domanda: le tre grandi discriminazioni sono oggi del tutto dileguate? Già diversi anni fa, un eminente storico statunitense, Arthur Schlesinger Jr, che è stato anche consigliere del presidente John Kennedy, tracciava un quadro ben poco lusinghiero della democrazia nel suo paese: «L\'azione politica, una volta imperniata sull\'attivismo, s’impernia ora sulla disponibilità finanziaria». Dati i «costi spaventosamente alti delle recenti campagne elettorali», si delineava nettamente la tendenza a «limitare l’accesso alla politica a quei candidati che hanno fortune personali o che ricevono denaro da comitati d’azione politica», ovvero da «gruppi di interessi» e lobbies varie. In altre parole, era come se la discriminazione censitaria, cacciata dalla porta, fosse rientrata dalla finestra. Conviene prenderne atto: la campagna neoliberista contro i «diritti sociali ed economici», solennemente proclamati e sanciti dall\'ONU nel 1948 ma denunciati da Friedrich August von Hayek quali espressione dell\'influenza (da lui considerata rovinosa) della «rivoluzione marxista russa», ha finito con l‘investire anche i diritti politici.

Nell’atto di accusa contro la Rivoluzione d’Ottobre formulato dal patriarca del neoliberismo (e premio Nobel per l’Economia nel 1974) si può e si deve leggere un grande riconoscimento. Quella rivoluzione ha contribuito alla realizzazione dei diritti economici e sociali e all’edificazione anche in Occidente; non a caso, ai giorni nostri, al venire meno della sfida del movimento comunista corrisponde lo smantellamento dello Stato sociale nella stessa Europa, con il risultato che la discriminazione censitaria finisce col ripresentarsi in forme nuove.

E per quanto riguarda le altre due grandi discriminazioni? Non c’è tempo per un’analisi approfondita, ma non posso fare a meno di una breve osservazione a proposito della terza grande discriminazione. Certo, la storia non è l’eterno ritorno dell’identico, come pretendeva Nietzsche. Sarebbe errato e fuorviante ignorare i mutamenti intervenuti e i risultati conseguiti dalla lotta di emancipazione. Ai giorni nostri nessuno oserebbe fare professione di razzismo e proclamare ad alta voce la necessità di difendere o ristabilire la white supremacy. Non bisogna però dimenticare che, storicamente, un aspetto essenziale della terza grande discriminazione è stato la gerarchizzazione dei popoli e delle nazioni. L’ha ben compreso Lenin che abbiamo visto definire l’imperialismo come la pretesa di «poche nazioni elette» ovvero di poche «nazioni modello» di riservare esclusivamente a se stesse il diritto di costituirsi in Stato nazionale indipendente. È stata abbandonata una volta per sempre tale pretesa? In occasione di gravi conflitti politici e diplomatici, l’Occidente e in particolare il suo paese-guida si rivolgono al Consiglio di Sicurezza dell’ONU perché autorizzi l’intervento militare da loro auspicato o programmato, ma al tempo stesso dichiarano che, anche in assenza di autorizzazione, essi si riservano il diritto di scatenare sovranamente la guerra contro questo o quel paese. E’ evidente che, arrogandosi il diritto di dichiarare superata la sovranità di altri Stati, i paesi occidentali si attribuiscono una sovranità dilatata e imperiale, da esercitare ben al di là del proprio territorio nazionale, mentre per i paesi da loro presi di mira il principio della sovranità statale è dichiarato superato e privo di valore. In forme nuove si riproduce la dicotomia (nazioni elette e realmente fornite di sovranità/popoli indegni di costituirsi in Stato nazionale autonomo) che è propria dell’imperialismo e del colonialismo. Con la forza delle armi continua a esser fatto valere il principio della gerarchizzazione dei popoli e delle nazioni. 

Nel caso degli USA questa sedicente gerarchia è proclamata ad alta voce e viene persino religiosamente trasfigurata. Nel settembre del 2000, nel condurre la campagna elettorale che l’avrebbe portato alla presidenza, George W. Bush enunciava un vero e proprio dogma: «La nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo». È un dogma ben radicato nella tradizione politica statunitense. Bill Clinton aveva inaugurato il suo primo mandato presidenziale, con una proclamazione ancora più enfatica del primato degli USA e del diritto-dovere a dirigere il mondo: «La nostra missione è senza tempo»!

Si direbbe che alla white supremacy sia subentrata la western supremacy ovvero l’American supremacy. Resta fermo il principio della gerarchizzazione dei popoli e delle nazioni, una gerarchizzazione naturale, eterna e persino consacrata dalla volontà divina, come nella monarchia assoluta dell’Antico regime! Almeno per quanto riguarda la sua dimensione internazionale, la terza grande discriminazione non è dileguata. Detto altrimenti: almeno per quanto riguarda i rapporti internazionali, siamo ben lontani dalla democrazia. Il processo di democratizzazione iniziato con la rivoluzione d’ottobre è ancora ben lungi dalla sua conclusione.

Testo pubblicato dalla Casa editrice «La Scuola di Pitagora», Napoli. Ringraziamo Domenico Losurdo, Presidente dell\'Associazione Marx XXI, per la richiesta di pubblicazione nel nostro sito.

LEGGI IN FORMATO PDFhttp://www.marx21.it/documenti/losurdo_Rivoluzioneottobredemocrazia.pdf



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(italiano / english / deutsch)

Die deutsche Ethno-Zentrale


1) Die deutsche Ethno-Zentrale
2) The Power in the Center / Die Macht in der Mitte
[Muovendo dal conflitto secessionista in Catalogna, il sito web del settimanale tedesco Die Zeit ha pubblicato uno sferzante appello per lo smembramento degli Stati-nazione in Europa:
3) Die Ökonomie der Sezession / The Economy of Secession / Germania e separatismi: l’economia della secessione


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Die deutsche Ethno-Zentrale
 
06.10.2017
BERLIN/FLENSBURG
 
(Eigener Bericht) - Beflügelt vom katalanischen Sezessionsreferendum treiben Mitglieder einer in Deutschland ansässigen Ethno-Organisation Autonomieforderungen für die ungarischsprachige Minderheit in Rumänien voran. In der vergangenen Woche haben bekannte Politiker der Südtiroler Volkspartei (SVP) eine Delegation der extrem rechten Partei Jobbik aus Ungarn empfangen, um ihr die Besonderheiten der Südtiroler Autonomie nahezubringen. Die SVP gehört der Föderalistischen Union Europäischer Nationalitäten (FUEN) mit Sitz in Flensburg an, einem Zusammenschluss, der größere Sonderrechte für völkisch definierte Minderheiten fordert, von staatlichen Stellen finanziert wird und eng mit dem Bundesinnenministerium kooperiert. Jobbik, eine für ihre rassistisch-antisemitische Agitation berüchtigte Partei, kündigt an, sich in Rumänien, aber auch in der Slowakei, in der Ukraine und in Serbien für eine formelle Autonomie der dortigen ungarischsprachigen Minderheiten einzusetzen. Jobbik wird nach eigenen Angaben in dieser Frage von einem Angehörigen der deutschsprachigen Minderheit Ungarns beraten, der neun Jahre lang in führender Funktion für die FUEN tätig war und in der Organisation zu den zentralen Ansprechpartnern deutscher Regierungsstellen gehörte. Bundespräsident Frank-Walter Steinmeier hat der FUEN am gestrigen Donnerstag einen persönlichen Besuch abgestattet.
In völkischer Tradition
Bei der Föderalistischen Union Europäischer Nationalitäten (FUEN) handelt es sich um einen Zusammenschluss von aktuell über 90 Organisationen aus 33 Ländern Europas, des Kaukasus und Zentralasiens, die jeweils Sprachminderheiten vertreten. Die FUEN, einst unter Führung vormaliger NS-Antisemiten gegründet, sieht sich selbst in der Tradition der deutschen Minderheitenpolitik der 1920er Jahre, die Sprachminderheiten ethnisch definierte (german-foreign-policy.com berichtete [1]); bis vor kurzem nannte sie sich selbst Föderalistische Union Europäischer Volksgruppen (FUEV). Entsprechend setzt sich die FUEN bis heute dafür ein, ethnisch-\"national\" definierten Minderheiten weitreichende Sonderrechte zu verleihen. Als vergleichsweise vorbildlich gilt bei der FUEN die Autonomie der norditalienischen Provinz Bolzano-Alto Adige/Südtirol, in der die deutschsprachige Minderheit Italiens fast zwei Drittel der Bevölkerung stellt. Stärkste politische Kraft ist die Südtiroler Volkspartei (SVP), die seit dem Ende des Zweiten Weltkriegs durchweg den Landeshauptmann stellt; sie ist Mitglied der FUEN, stellt einen ihrer Vizepräsidenten und beteiligt sich an der Finanzierung der Organisation. Die FUEN, die ihre Zentrale in Flensburg hat, erhält ihre Mittel unter anderem von den Bundesländern Schleswig-Holstein und Sachsen, vom Land Kärnten und von der Deutschsprachigen Gemeinschaft Belgiens; projektbezogene Gelder kommen vom Bundesinnenministerium und der ungarischen Regierung.
Schutzmacht Deutschland
Für die Berliner Regierungspolitik ist ein Zusammenschluss innerhalb der FUEN von besonderer Bedeutung, der sämtliche deutschsprachigen Mitgliedsverbände bündelt: die Arbeitsgemeinschaft Deutscher Minderheiten in der FUEN (AGDM). Ihr gehören Organisationen aus Staaten von Dänemark bis Kirgisistan an. Die AGDM, die 1991 in Budapest gegründet wurde, trifft sich jedes Jahr zu einer Jahrestagung, die gewöhnlich im Bundesinnenministerium abgehalten wird; fester Programmpunkt sind Gespräche mit dem Beauftragten der Bundesregierung für Aussiedlerfragen und nationale Minderheiten und mit anderen für die deutschsprachigen Minderheiten zuständigen Ministerialbeamten aus dem Innenministerium und dem Auswärtigen Amt. Dadurch wird die Anbindung der Minderheiten an die Berliner Politik gesichert. Die Bundesregierung tritt dabei als Schutzmacht der deutschsprachigen Minderheiten auf und nutzt dies, um Einfluss auf die innere Politik fremder Staaten zu nehmen. So berichtete Bundeskanzlerin Angela Merkel bei einer Reise nach Polen am 7. Februar Vertretern der dortigen deutschsprachigen Minderheit, sie habe bei Ministerpräsidentin Beata Szydło zu ihren Gunsten interveniert. Hauptredner der AGDM-Tagung im Juni dieses Jahres in Berlin war ein ehemaliger Führungsfunktionär der deutschsprachigen Minderheit Rumäniens, Klaus Johannis. Johannis, der als Minderheitenvertreter über Jahre hin regelmäßiger Gast in Berlin war, amtiert seit dem 21. Dezember 2014 als rumänischer Präsident.
\"Juden erfassen\"
Am 28. September haben nun prominente Politiker des FUEN- und AGDM-Mitglieds SVP eine vierköpfige Delegation der ungarischen Partei Jobbik im Landtag in Bolzano empfangen. Die extrem rechte Jobbik ist für ihre rassistisch-antisemitische Agitation und für ihre glühende Verehrung des NS-Kollaborateurs Miklós Horthy berüchtigt.[2] Márton Gyöngyösi, Abgeordneter im ungarischen Parlament und Leiter der nach Bolzano gereisten Delegation, machte vor einigen Jahren von sich reden, als er forderte, \"Menschen jüdischen Ursprungs\" in Ungarn zu \"erfassen\", weil sie \"ein gewisses Risiko für die nationale Sicherheit Ungarns\" darstellten.[3] Gyöngyösi und seine Parteikollegen trafen nun unter anderem den Vizepräsidenten des Südtiroler Landtags, Thomas Widmann (SVP), den früheren langjährigen Ministerpräsidenten Luis Durnwalder (SVP) sowie den langjährigen Leiter des Südtiroler Volksgruppen-Instituts, Christoph Pan, um sich von ihnen über Geschichte und Funktionsweise der Südtiroler Autonomie beraten zu lassen. Jobbik kündigte anschließend an, dieselben Autonomierechte für die ungarischsprachigen Minderheiten Rumäniens, der Slowakei sowie weiterer Nachbarstaaten Ungarns erkämpfen zu wollen.[4] Die SVP-Politiker und Pan wurden zu einem Gegenbesuch nach Budapest eingeladen. Pan, ein prominenter Vertreter völkischer Minderheitenkonzepte, amtierte von 1994 bis 1996 als FUEN-Präsident.
\"Ausgesprochen minderheitenfreundlich\"
Wie Jobbik berichtet, lässt sie sich in Minderheitenfragen inzwischen von Koloman Brenner beraten. Brenner, Germanistik-Dozent an der philosophisch-humanwissenschaftlichen Fakultät der Eötvös-Loránd-Universität (ELTE) in Budapest, ist ein langjähriger Funktionär der Landsmannschaft der Ungarndeutschen und als solcher seit Mitte der 1990er Jahre in der FUEN aktiv. Von 2007 bis 2016 amtierte er zudem als Vorsitzender der AGDM; in dieser Funktion war er nicht nur ein wichtiger Ansprechpartner für alle AGDM-Mitgliedsverbände, darunter die SVP, sondern auch eine zentrale Kontaktperson für die Bundesregierung. Brenner urteilt heute, Jobbik sei eine \"ausgesprochen minderheitenfreundliche\" Organisation.[5] Laut Angaben der Partei wird er bei den ungarischen Parlamentswahlen in seiner Geburtsstadt Sopron für sie kandidieren.[6]
Neue Grenzen
Während die SVP Jobbik beim Forcieren von Autonomieforderungen in Ungarns Nachbarstaaten behilflich ist, hat das Auswärtige Amt erstmals einen Vertreter der Süd-Tiroler Freiheit in Berlin empfangen. Die Süd-Tiroler Freiheit steht in direkter Tradition zu den sogenannten Südtiroler Freiheitskämpfern, die seit den 1950er Jahren regelmäßig Terroranschläge in Italien verübten, um den Anschluss Südtirols an Österreich zu erzwingen. Die Partei, die bei den letzten Wahlen zum Südtiroler Landtag 7,2 Prozent erreichen konnte, zeigt, wie fließend der Übergang zwischen Autonomie- und Sezessionsforderungen ist. Sie hat kürzlich mit der Publikation eines \"Merkhefts für Schüler\" Aufsehen erregt. In dem Pamphlet, das kostenlos in Italien und in Österreich verteilt werden soll, ist eine Landkarte abgedruckt, die Südtirol als Teil Österreichs zeigt. Schüler sollten sich \"an diesen Anblick gewöhnen\" und auch \"daran ..., dass Südtirol nicht Italien ist\", wird der Fraktionsvorsitzende der Partei im Südtiroler Landtag, Sven Knoll, zitiert.[7] Bereits vor einem Jahr, am 24. Oktober 2016, konnte der Landesjugendsprecher der Süd-Tiroler Freiheit, Benjamin Pixner, im Auswärtigen Amt auf Einladung des Ministeriums an einer Diskussionsveranstaltung zum Thema \"Welches Europa wollen wir?\" teilnehmen. Pixner, der dabei auch mit Außenminister Frank-Walter Steinmeier zusammentraf, hatte gar nicht damit gerechnet, nach Berlin gebeten zu werden: Er war von den zuständigen Berliner Stellen als einziger Südtiroler geladen worden.[8]
[1] S. dazu Hintergrundbericht: Die Föderalistische Union Europäischer Volksgruppen.
[2] S. dazu Die Ära des Revisionismus (III).
[3] Ungarischer Politiker wegen judenfeindlicher Äußerungen in der Kritik. www.welt.de 27.11.2012.
[4] As shown by the example of South Tyrol, wage union and autonomy are vital for integrating Central Europe. jobbik.com.
[5] Jobbik auf Studienreise in Südtirol. unser-mitteleuropa.com 02.10.2017.
[6] As shown by the example of South Tyrol, wage union and autonomy are vital for integrating Central Europe. jobbik.com.
[7] Schüler-Merkheft zeigt Südtirol als Teil Österreichs. diepresse.com 31.08.2017.
[8] Junge Süd-Tiroler Freiheit bei Gesprächen über Zukunft Europas in Berlin. www.suedtiroler-freiheit.com 25.10.2016.


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ORIG.: Die Macht in der Mitte (11.10.2017)



The Power in the Center
 
2017/10/11
BERLIN
 
(Own report) - Using the secessionist conflict in Catalonia as a backdrop, the website of the German weekly Die Zeit published a fiery appeal for dismembering Europe\'s nation-states. For quite some time, the author, Ulrike Guérot, has been promoting the \"disappearance of the nation-state\" in Europe. The nation-state should be replaced by regions with their \"own respective identities\" that could be \"ethnically\" defined. As examples, Guérot lists regions with strong separatist tendencies such as Flanders and Tyrol. The author sees herself upholding the tradition of the \"European Federalists\" of the early post-war period, who - under the guidance of western intelligence services - drew up plans for establishing of a European economic space with free circulation of commodities as a bulwark against the East European socialist countries. Wolfgang Schäuble, as President of the Association of European Border Regions (AEBR) in the early 1980, was also promoting regionalist plans. Inspired by former Nazi functionaries, the AEBR criticized the \"nation-state\'s barrier effect\" of borders in the interests of large corporations. Current economic maps indicate which areas in the EU would form the continent\'s most powerful block if regionalization should take effect: south and central Germany as well as its bordering regions from Flanders to Northern Italy.
From the CDU to the Greens
Yesterday, the website of the German weekly, Die Zeit, published a fiery appeal to dismember Europe\'s nation-states, authored by the political scientist Ulrike Guérot. Guérot had been employed by CDU parliamentarian Karl Lamers in the first half of the 1990s and participated in formulating the Schäuble/Lamers paper, propagating the establishment of a core Europe. She subsequently became collaborator for the EU Commission President at the time, Jacques Delors, and an expert of several think tanks (German Council on Foreign Relations, German Marshall Fund, and the European Council on Foreign Relations). In 2014, she founded a European Democracy Lab at the European School of Governance. Once member of the CDU; today, she is politically close to the Greens.[1]
\"Ethnic Region\"
Since some time, Guérot has been peddling an allegedly new political concept to the German public, based on the dismemberment of Europe\'s nation-states. According to her, \"the nation-state will disappear\" [2] and will be replaced by \"50 to 60\" regions in Europe, with \"their own respective identity.\"[3] She is referring to the concept of \"ethnic regions,\"[4] i.e. an ethnically defined community of shared origins. As Guérot writes \"ethnic region and statehood are not congruent\" for example in Ireland or Cyprus; Flanders, Venetia and Tyrol are further examples. In Flanders and Venetia, respectively more prosperous regions, defining themselves linguistic-ethnic (\"Netherlander\" or \"Venetian\") are dissociating themselves from poorer regions of the country, whereas the German speaking construct \"Tyrole\" encompasses areas of Austria and Northern Italy. According to Guérot, Catalonia is also one of the regions to be liberated from its constraints under the nation-state. The Catalan movement currently pushing for secession is in fact largely defining itself ethnically. The autonomous movement has been closely cooperating with French citizens, who live outside the Spanish region of Catalonia, but also consider themselves \"ethnic Catalans.\" At their rallies one can hear \"Neither France nor Spain! Only one country, Catalonia!\"[5] Last weekend the spokesperson of the left CUP party in Spanish Catalonia complained that Spaniards from outside Catalonia had come to Barcelona to participate in a demonstration. To demonstrate in Catalonia as a \"Spaniard\" corresponds to a \"colonial logic.\"[6]
Europe of the Regions
According to Guérot, only a \"European Republic,\" wherein \"the regions assume the role of the central constitutional actors,\" can save an EU shaken by national conflicts.[7] For example, the regions should constitute \"a second chamber\" in the European Parliament - \"a European Senate.\" Guérot has repeatedly said that political competence must be redistributed between the EU and its regions. According to this concept, a center of power will be set up in Brussels, in control of foreign and military policy, while the regions - for example, in charge of commercial taxes - would financially maintain independent latitude. Of course, the latter would depend on the economic power of the respective region. Besides its ethnic constitution, a \"Europe of the Regions\" would lead to a complete disenfranchisement of its smallest units. Guérot criticizes the fact that \"the EU is full of large regions (such as North Rhine-Westphalia) which are not permitted to participate in EU decision making, while on the other hand, small countries (such as Luxembourg or Malta) are.\" That must change. For example, rather than having one vote out of 28 in the European Council, Malta would only have one out of \"50 or 60\" votes in the \"European Senate.\" It would not be able to counter any measures proposed by the EU\'s economically predominating centers.
United States of Europe
Guérot\'s concept has precursors, which had been promoted, on the one hand, by intelligence agency circles of the post-war period and by interested business circles, on the other, serving however, entirely different interests under cover of promoting an alleged regional democracy.
Guérot says herself that her model is based on the \"European Federalists,\" particularly the Swiss Denis de Rougement. Since the mid-1940s, the \"European federalists\" sought to found a \"United States of Europe,\" as a unified economic realm - serving as a bulwark against the socialist countries, in the process of forming. It was also seen as a defense against the idea of abandoning the previous economic approach, which, at the time, was also rather popular in Western Europe. This is why the federalists had initially been supported and controlled by the CIA predecessor, the Office of Strategic Services (OSS) and its director, Alan Dulles, residing in Bern, and later by the CIA itself.[8] Rougement, an OSS-affiliate and professed federalist, complained in a 1948 \"Message to the Europeans,\" that \"Europe\" was \"barricaded behind borders impeding the circulation of its commodities,\" and because of this, is threatened with economic ruin. On the other hand, \"united,\" it could, already \"tomorrow, build the greatest political entity and the largest economic unit of our times.\" From 1952 - 1966, Rougemont continued his activities also as president of the CIA-financed \"Congress for Cultural Freedom.\"
\"Loss of Identity\"
Wolfgang Schäuble has also promoted regionalist concepts. Guérot had been in contact with him in 1994 during work on the Schäuble-Lamers paper. In 1979, Schäuble became president of the Association of European Border Regions (AEBR), an organization with the objective of downgrading the significance of borders in Europe. Business interests played an important role, which is why the AEBR could find reliable supporters in industry. A \"European Charter on Border and Cross-Border Regions,\" passed by the AEBR in 1981, stipulated that the \"elimination of economic and infrastructural barriers\" must urgently be pursued. For example, the \"expansion and construction of coordinated, combined cross-border freight transport terminals\" is necessary to \"close current gaps in cross-border traffic.\" In addition, the expansion of cross-border energy networks must be promoted. This is being overblown with allegations of Europe having emerged from a \"patchwork of historical landscapes,\" with borders creating \"scars\" on Europe\'s regions, and leading to the population\'s \"loss of identity.\" The current \"nation-state\'s barrier effect\" must be reduced - if not abolished, according to the paper drawn up under Schäuble\'s AEBR presidency.[9]
German Continuities
Former Nazi functionaries were actively participating both on the AEBR\'s committees and in the immediate entourage of its planning of the \"regionalization\" of the border regions, including Gerd Jans, the former member of the Waffen SS in the Netherlands, Konrad Meyer, responsible for the Nazi\'s \"Generalplan Ost,\" Hermann Josef Abs, of the Deutsche Bank, as well as Alfred Toepfer, described by the publicist Hans-Rüdiger Minow as \"infamous for his border subversion of France\'s Alsace.\" In an extensive study, Minow describes the continuities of the Nazi\'s concepts.[10]
Germany\'s Supremacy
Guérot ultimately argues in favor of her regionalization concepts, using the allegation that through the removal of nation-states, \"Germany\'s supremacy ... can be overcome.\" The opposite is the case. Economic maps by the EU\'s Eurostat statistics administration show the regions where 
Europe\'s wealth and, therefore, Europe\'s economic power is concentrated, a block with its centers in southern and central Germany, to the west, in Flanders and spreading to segments of the Netherlands, and to the South to parts of Austria and Northern Italy and in various separate regions of Western and Northern Europe. A number of these regions maintain close relations to Germany, or to the German regions. (german-foreign-policy.com reported.[11]) This clearly German-dominated block would hardly have any difficulty controlling a \"Europe of the Regions.\"
(Here, german-foreign-policy.com documents two Eurostat economic maps. The upper map shows the brut GDP per capita, according to the Purchasing Power Parity (PPP), while the lower map depicts the primary household incomes. The colors for Germany\'s south indicate the highest values, while the colors for the furthest southwestern and eastern EU indicate the lowest. Source: Eurostat.)

For more information on this subject see: The Economy of Secession (II).
[1] Ulrike Guérot: Adorno liest man nicht am Schwimmingpool. blogs.faz.net 17.03.2015.
[2] Steffen Dobbert, Benjamin Breitegger: \"Der Nationalstaat wird verschwinden\". www.zeit.de 03.01.2017.
[3] Ulrike Guérot: Europa einfach machen - einfach Europa machen. agora42.de 25.09.2017.
[4] Ulrike Guérot: In Spaniens Krise offenbart sich eine neue EU. www.zeit.de 10.10.2017.
[5] Morten Freidel: Die Brüder im Süden haben es besser. www.faz.net 08.10.2017.
[6] Hunderttausende kontern Unabhängigkeitspläne in Katalonien. www.zeit.de 08.10.2017.
[7] Ulrike Guérot: In Spaniens Krise offenbart sich eine neue EU. www.zeit.de 10.10.2017.
[8], [9], [10] Hans-Rüdiger Minow: Zwei Wege - Eine Katastrophe. Flugschrift No. 1. Aachen 2016.
[11] See The Economy of Secession (II).



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Die Ökonomie der Sezession (I)
 
04.10.2017
MILANO/VENEZIA/BOLZANO/ANTWERPEN
 
(Eigener Bericht) - Separatisten in diversen EU-Staaten begreifen das Sezessionsreferendum in Katalonien als Ansporn und intensivieren ihre Aktivitäten. Bereits am 22. Oktober werden die beiden reichsten Regionen Italiens, die Lombardei und Venetien, je ein eigenes Referendum über eine Ausweitung ihrer Autonomie gegenüber der Regierung in Rom abhalten. Zentrale Ursache ist wie in Katalonien das Bestreben, den eigenen Wohlstand zu wahren und die Umverteilung ihrer Steuergelder an ärmere Gebiete insbesondere im Süden des Landes zu reduzieren oder zu beenden. Identische Motive befeuern Sezessionisten im niederländischsprachigen Teil Belgiens, in Flandern; die dortige Regionalregierung unterhält gute Beziehungen zur Regionalregierung Kataloniens. Auch im deutschsprachigen Separatismus Norditaliens (Südtirol), der bei den letzten Landtagswahlen über 25 Prozent der Stimmen auf sich vereinen konnte, werden neue Forderungen nach einer Abspaltung von Italien und dem Anschluss an Österreich laut. Viele Separatismen in der EU sind von Deutschland jahrzehntelang direkt oder indirekt gefördert worden - ökonomisch und politisch.
Die nächsten Referenden
Die nächsten Referenden, die den inneren Zusammenhalt eines EU-Staates beschädigen dürften, finden bereits in weniger als drei Wochen in Norditalien statt. Am 22. Oktober werden die Bürger der Lombardei und Venetiens entscheiden, ob die beiden Regionen größere Autonomierechte erhalten sollen. Mit Blick auf die Eskalation in Katalonien beschwören italienische Medien derzeit die Unterschiede zwischen den Referenden: Während es in Katalonien unter Bruch der spanischen Verfassung um die Abspaltung der Region ging, werden in der Lombardei und in Venetien nur Autonomieverhandlungen mit der Zentralregierung angestrebt - strikt im Rahmen der italienischen Verfassung. Allerdings ist die Dynamik der Entwicklung mit derjenigen in Katalonien, wo vor gut einem Jahrzehnt ebenfalls noch nicht die Abspaltung, sondern lediglich eine größere Autonomie mehrheitsfähig war, durchaus vergleichbar.
Die reichsten Regionen
Sowohl die Lombardei wie auch Venetien zeichnen sich durch einen weit überdurchschnittlichen Reichtum aus, der - wie im Falle Kataloniens - mit Umverteilungsleistungen zugunsten ärmerer Gebiete meist im Süden des Landes verbunden ist; das wiederum schürt Wohlstandschauvinismus und führt zu Bestrebungen, den Abfluss der Gelder zu stoppen. Die Lombardei verfügt nach eigenen Angaben über das höchste Bruttoinlandsprodukt pro Kopf in Italien; in der Rangliste der EU-Staaten schöbe sie sich mit 36.600 Euro pro Einwohner im Jahr auf Platz fünf - noch vor Deutschland (35.800 Euro) und weit vor dem Durchschnitt Italiens (27.800 Euro). Die Lombardei exportierte im Jahr 2015 Waren im Wert von 111,23 Milliarden Euro; das waren 27,2 Prozent der italienischen Gesamtausfuhr (408,66 Milliarden Euro), mehr als jede andere italienische Region erreichte. Auf Platz zwei lag mit Exporten im Wert von 57,52 Milliarden Euro Venetien, das das drittgrößte Bruttoinlandsprodukt Italiens erzielt - nach der Lombardei und der Hauptstadtregion Latium. Aus der Lombardei fließen, wie es in einer von ihrer Regionalregierung verbreiteten Broschüre heißt, jährlich 54 Milliarden Euro netto an den Zentralstaat ab, ein Vielfaches des Vergleichswerts in Katalonien, den die Publikation auf rund acht Milliarden Euro beziffert. Aus Venetien werden demnach ebenfalls hohe Nettosummen an Rom gezahlt - um die 15,5 Milliarden Euro pro Jahr.[1]
Von der Autonomie zur Abspaltung
Das Bestreben, die Mittelabflüsse zu verringern, begünstigt schon seit Jahrzehnten politische Kräfte, die zwischen dem Verlangen nach größerer Autonomie und der Forderung, sich von Italien abzuspalten, changieren. Bereits 1984 entstand mit der Lega Lombarda die Keimzelle der späteren Lega Nord, die lange für die Abspaltung Norditaliens plädierte, aktuell allerdings eher auf stärkere Autonomie setzt. Die Übergänge sind fließend. Parteichef Matteo Salvini zieht gegenwärtig die Ausdehnung der Lega Nord auf die Mitte und den Süden des Landes in Betracht und würde dazu wohl Zugeständnisse in puncto Autonomie machen; doch auch in dieser Frage ist der Machtkampf in der Partei nicht entschieden. Die Lega Nord stellt aktuell die Regierungschefs in der Lombardei sowie in Venetien. In Venetien sind dabei Abspaltungstendenzen deutlich erkennbar. Dort wurde 2014 ein informelles, nicht repräsentatives und weithin kritisiertes Online-Referendum abgehalten, dessen Resultate zwar nicht zuverlässig waren, in der Tendenz allerdings von Umfragen bestätigt wurden. Demnach gäbe es in der Bevölkerung Venetiens eine knappe Mehrheit für die Abspaltung der Region von Italien. Von der Entwicklung in Katalonien wird der Separatismus nun auch hier befeuert.
Der flämische Separatismus
Dasselbe trifft auf die belgische Region Flandern zu. Der niederländischsprachige Separatismus in dem Gebiet hat alte Wurzeln, die bis ins 19. Jahrhundert zurückreichen; er wird jedoch seit einigen Jahrzehnten ebenfalls durch Wohlstandschauvinismus und durch den Kampf gegen staatliche Umverteilung an die Hauptstadtregion Brüssel sowie vor allem an die Region Wallonie geprägt. Flandern erwirtschaftete 2014 rund 58 Prozent des belgischen Bruttoinlandsprodukts, die französischsprachige Region Wallonie lediglich 24 Prozent; für die verbleibenden 18 Prozent kam die Hauptstadtregion Brüssel auf, die zweisprachig ist. Das Bruttoinlandsprodukt pro Kopf lag in Flandern mit 36.300 Euro im Jahr weit über dem Vergleichswert in der Wallonie (26.100 Euro), deren Arbeitslosenquote (rund zwölf Prozent) diejenige Flanderns (rund fünf Prozent) beträchtlich übertraf. Mehrere Parteien, insbesondere der extrem rechte Vlaams Belang und die konservative Nieuw-Vlaamse Alliantie (N-VA), setzen sich prinzipiell für die Abspaltung Flanderns von Belgien ein, wobei die N-VA, die nicht nur den Ministerpräsidenten der flämischen Regionalregierung und den Bürgermeister der größten flämischen Stadt, Antwerpens, sondern auch einige Minister in der aktuellen belgischen Regierung stellt, sich gegenwärtig aus taktischen Gründen zurückhält. Die Region Flandern kooperiert seit 1992 mit der Region Katalonien; beide Seiten haben im Juli 2015 eine gemeinsame Erklärung unterzeichnet, die eine weitere Intensivierung ihrer Zusammenarbeit vorsieht. Die beiden Regionen haben sich im Vorfeld des katalanischen Sezessionsreferendums eng miteinander abgestimmt; vergangene Woche etwa traf sich die katalanische Parlamentspräsidentin vor der Abstimmung zu letzten Absprachen mit ihrem flämischen Amtskollegen Jan Peumans.
Präzedenzfall Katalonien
Neben den großen Sezessionsbewegungen in Norditalien und Belgien ziehen auch kleinere Abspaltungsorganisationen Nutzen aus dem katalanischen Referendum, darunter etwa Separatisten in Norditaliens Autonomer Provinz Bolzano-Alto Adige (Südtirol). \"Heute Katalonien, morgen Süd-Tirol!\", heißt es etwa in einem gestern publizierten Manifest der \"Süd-Tiroler Freiheit\", einer Partei der deutschsprachigen Minderheit Norditaliens, die in direkter Tradition zu den sogenannten Südtiroler Freiheitskämpfern steht; diese verübten seit den 1950er Jahren immer wieder Sprengstoffanschläge in Italien, um den Anschluss der Provinz Bolzano-Alto Adige an Österreich zu erzwingen. Die Süd-Tiroler Freiheit erhielt bei den letzten Wahlen zum Südtiroler Landtag 7,2 Prozent der Stimmen; rechnet man die 17,9 Prozent hinzu, die die Partei \"Die Freiheitlichen\" erhielt, dann liegen die deutschsprachigen Separatisten in Südtirol insgesamt bei rund 25 Prozent. Wie die Süd-Tiroler Freiheit berichtet, habe sie im Jahr 2013 ein Referendum abgehalten, bei dem sich 92 Prozent der Teilnehmer für die Abspaltung von Italien ausgesprochen hätten.[2] Sei damals oft erklärt worden, eine Sezession sei rechtlich nicht möglich, so beweise der \"Präzedenzfall Katalonien\" nun \"das Gegenteil\", erklärt die Partei, die mitteilt, \"enge Kontakte zu Katalonien\" zu unterhalten.
Von Deutschland gefördert
Aktuell laufen die Separatismen in der EU deutschen Interessen zuwider: Sie schwächen die Union und relativieren damit deren Nutzen als machtpolitische Basis für die ausgreifende deutsche Weltpolitik. Entsprechend mahnt die Bundesregierung, eine Einigung für den Sezessionskonflikt in Katalonien zu finden. Dabei hat die Bundesrepublik die Voraussetzungen für das Erstarken der Separatismen selbst geschaffen, indem sie sie jahrzehntelang auf verschiedenste Weise förderte - teils über völkische Vorfeldorganisationen, teils auch durch eine regionalistische Wirtschaftspolitik. german-foreign-policy.com berichtet am morgigen Donnerstag.

Mehr zum Thema: Unter Separatisten.
[1] Scopri perché la Lombardia è Speciale. Regione Lombardia 2017.
[2] Selbstbestimmung nicht mehr aufzuhalten: Heute Katalonien, morgen Süd-Tirol! www.suedtiroler-freiheit.com 03.10.2017.


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Der zweite Teil: Die Ökonomie der Sezession (II) (GFP 05.10.2017)

ENG.: The Economy of Secession (II) (GFP 2017/10/05)
As can be seen in an analysis of the separatist movements in Catalonia, Lombardy and Flanders, the deliberate promotion of exclusive cooperation between German companies and prosperous areas in countries with impoverished regions has systematically facilitated the autonomist-secessionist movements in Western Europe. According to this study, Flanders, as well as Lombardy - two already economically prosperous regions - have been able to widen the gap between themselves and the impoverished regions of Belgium and Italy, also because they have played an important role in the expansion of the German economy, the strongest in the EU. Through an exclusive cooperation with the state Baden Württemberg, Catalonia and Lombardy have been able to expand their economic lead over more impoverished regions of Spain and Italy, which has spurred their respective regional elites to seek to halt their financial contributions for federal reallocations through greater autonomy or even secession. The consequences of deliberate cooperation - not with foreign nations - but only with prosperous regions, can be seen with Yugoslavia...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/59064



Germania e separatismi: l’economia della secessione

DI STEFANO SOLARO - OTTOBRE 13, 2017

Mentre in Catalogna e, di riflesso, in tutta la Spagna è in atto una vera e propria crisi politica e civile a seguito del referendum sull’indipendenza, il sito German Foreign Policy pubblica un’analisi dei rapporti economici della Germania con alcune delle regioni che in questo momento storico sono al centro di rivendicazioni per l’autonomia.  A emergere è un quadro in cui si evidenzia come il Paese guida dell’Unione Europea abbia prima spinto e poi consolidato una relazione di interdipendenza con le zone più ricche di alcuni Stati Europei, alimentandone gli squilibri e, di conseguenza, le tensioni secessioniste.

 

 

di redazione German Foreign Policy, 05 Ottobre 2017.

 

BERLINO/BARCELONA/MILANO/ANVERSA 

 

In Europa occidentale la promozione mirata di una collaborazione esclusiva tra imprese tedesche e le regioni più ricche di nazioni ove ampie parti del paese sono in condizioni di impoverimento, ha sistematicamente favorito il rafforzamento dei movimenti autonomisti-secessionisti. Questa evidenza è frutto di un’analisi dei separatismi in Catalogna, Lombardia e Fiandre. Mentre giocavano un ruolo decisivo nell’espansione della più forte economia Europea, quella tedesca, due regioni economicamente rilevanti come Fiandre e Lombardia aumentavano il già consistente divario con le zone più povere di Belgio e Italia.

 

Attraverso un’esclusiva collaborazione con il Land del Baden-Württemberg, Catalogna e Lombardia hanno lasciato indietro le regioni più in difficoltà di Spagna e  Italia.

 

Ciò ha alimentato gli sforzi delle rispettive élite regionali per bloccare il flusso di redistribuzione nazionale dei fondi statali attraverso la strada di una maggiore autonomia o, in ultima analisi, della secessione. Le conseguenze di una cooperazione mirata non con interi Stati stranieri, ma solo con le regioni economicamente più avanzate, sono già note dall’esperienza dell’ex Jugoslavia.

 

“Forte Germania, forte Anversa”

 

La regione delle Fiandre, la parte olandese del Belgio, le cui spinte separatiste sono state per lungo tempo tra le più forti all’interno dell’UE, ha tratto particolare guadagno dalla sua stretta collaborazione con la Germania. La Repubblica Federale Tedesca è l’acquirente principale dell’export fiammingo; lo scorso anno, su un valore totale delle esportazioni di 302,4 miliardi di dollari, il contributo della Germania è stato di oltre 50 miliardi. Inoltre, le imprese tedesche sono tra i più importanti investitori del Paese. Il nucleo delle relazioni economiche tedesche-fiamminghe è il porto di Anversa, il secondo più grande d’Europa dopo il porto di Rotterdam. La sua importanza per l’economia delle esportazioni tedesca è evidente dal fatto che, di 214 milioni di tonnellate, quasi un terzo, ben 68 milioni, sono state spedite dalla Germania o trasportate nel Paese tedesco. Inoltre, numerose aziende tedesche, come BASF e Bayer, hanno investito miliardi in sedi o magazzini nei pressi del porto di Anversa.

 

Senza una forte Germania non può esistere una forte Anversa“, affermava con forza qualche anno fa il rappresentante del porto nella Repubblica federale. Considerato che l’economia tedesca prospera e gode di ininterrotti benefici grazie alla zona Euro, anche l’economia delle Fiandre sperimenta una crescita più rapida rispetto a quella della Vallonia – l’area meridionale è infatti maggiormente focalizzata sui rapporti con la Francia.

 

In questo modo in Belgio il divario di ricchezza tra regioni finisce per animare sempre più le rivendicazioni secessioniste.

 

“Allineati con la Germania”

 

Anche la Lombardia, la regione economicamente più ricca d’Italia, ha vantaggi considerevoli dai suoi rapporti con la Repubblica Federale tedesca. La Germania è il principale partner commerciale, con un volume di scambi pari a quasi 40 miliardi di euro. Secondo gli esperti, le imprese lombarde sono tradizionalmente “allineate per una stretta cooperazione con la Germania meridionale“, che è “un gateway fondamentale per l’Europa settentrionale e orientale“. In realtà è la regione a rappresentare il punto di snodo centrale per le aziende tedesche in Italia, raccogliendo circa un terzo delle esportazioni dalla Germania sul territorio nazionale. Di un totale di circa 3.000 aziende tedesche che hanno una filiale in Italia, circa la metà si sono stabilite in Lombardia. Società di primo piano come BASF, Bayer, Bosch, BMW, Deutsche Bank, SAP e Siemens hanno aperto la propria sede italiana a Milano o nei dintorni cittadini. Inoltre, si trova a Milano anche la sede di Unicredit, il più importante gruppo bancario italiano, che ha acquisito la Hypovereinsbank di Monaco di Baviera nel 2005.

 

La forza dell’economia tedesca contribuisce significativamente alla crescita della Lombardia, in particolare rispetto alle regioni più deboli del Paese.

Punto di appoggio principale

 

Il commercio con la Germania è di grande importanza anche per la Catalogna. Nel 2015 sono arrivate dalla Repubblica Federale il 18,3 % delle importazioni catalane, decisamente più che da qualsiasi altro Paese. Allo stesso tempo la Germania è il secondo più grande acquirente delle esportazioni catalane. In Catalogna oltre il 10% degli investimenti provengono dalla Repubblica Federale. La regione è poi il principale punto di appoggio per le aziende tedesche in Spagna. La metà delle 1.600 aziende spagnole con partecipazione tedesca hanno la sede in Catalogna, come ad esempio, BASF, Bayer, Boehringer, Henkel, Merck e Siemens. Anche Seat, la consociata di Volkswagen, ha sede a Martorell, vicino a Barcellona. Come Fiandre e Lombardia, la Catalogna trae benefici dalla prosperità del suo partner commerciale più importante, ovvero l’economia tedesca. Nonostante la crisi dei Paesi del Sud Europa, questa tendenza è diventata ancora più marcata negli ultimi anni per via della posizione dominante della Repubblica federale nell’UE.

 

A chi ha venga dato

 

Il fatto che le aziende tedesche cooperino esclusivamente con le regioni economicamente forti e, quindi, contribuiscano ad aumentare ulteriormente il divario di ricchezza nei Paesi in questione, non è soltanto la conseguenza di un processo naturale, quanto una dinamica incoraggiata da obiettivi politici. Un esempio è la comunità di lavoro “Quattro Motori per l’Europa”, fondata nel 1988 e che comprende, oltre al Land tedesco del Baden-Wuerttemberg, le regioni della Catalogna, Lombardia e Rodano-Alpi (Francia). Il suo obiettivo è quello di estendere la cooperazione economica tra le aree coinvolte, concentrandosi, ad esempio, sul miglioramento delle infrastrutture di trasporto e di telecomunicazione, e promuovendo una stretta collaborazione in materia di ricerca e tecnologia. La finalità dell’accordo?

 

Aumentare notevolmente “la competitività” dei “quattro motori”.

 

I membri del gruppo accettano, almeno implicitamente, che in nazioni da regioni economicamente asimmetriche, come Spagna e Italia, crescano significativamente le differenze tra i membri dei “Quattro Motori”, già relativamente benestanti, e le aree più povere dei rispettivi Paesi.
 
Come in Jugoslavia

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1937-2017 – 80 ANNI DALLA NASCITA DEL PARTITO COMUNISTA CROATO


Oltre 100 persone si sono riunite ad Anindol, presso Zagabria, per celebrare l\'ottantesimo anniversario della nascita del Partito Comunista Croato. Tra i partecipanti, il rappresentante del comune di Samobor, promotore dell\'evento, il rappresentante del principale partito di opposizione SDP, vari altri partiti socialisti, comunisti e di sinistra, oltre alle formazioni antifasciste e partigiane di Croazia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina, e il Coro partigiano di Zagabria che si è esibito con canzoni rivoluzionarie, tra cui “Padaj Silo i Nepravdo”.


Le formazioni antifasciste e socialiste croate hanno commemorato questo evento che vide Tito, in segreto assieme ad altri 16 comunisti, fondare il partito che si sarebbe poi federato agli altri partiti comunisti jugoslavi e assieme ai quali sconfisse i fascisti ed instaurò uno stato socialista.


Gli intervenuti hanno voluto ricordare come il movimento socialista in questi territori fosse iniziato al seguito della I Guerra mondiale, sull\'eco della Rivoluzione d\'ottobre; che alle elezioni nel Regno di Jugoslavia il Partito Comunista finì in terza posizione, prima di venir messo fuorilegge; che Tito al ritorno dall\'URSS negli anni \'30 si occupò di diffondere le organizzazioni del partito in tutta la Jugoslavia, fondando anche partiti comunisti nazionali, al fine di creare con successo un fronte unico contro il fascismo.


In particolare il compagno Kapuralin (Partito Socialista dei Lavoratori) ha ricordato che il partito all\'inizio era piccolo, ma ben organizzato qualitativamente, e che seppe sfruttare l\'occupazione straniera non solo per condurre la liberazione nazionale, bensì per industrializzare il nuovo stato ed elevare il livello culturale del popolo:

Se non ci fosse stato il compagno Tito, l\'unità e la fratellanza, i suoi comunisti, il coraggio e la convinzione, già allora gli stivali stranieri ci avrebbero calpestato, e altra gente avrebbe governato sopra noi, come succede oggi.


La rappresentante dello SRP, Vesna Konigsknecht, ha brillantemente riassunto cosa significa la lotta antifascista:


Per mascherare le contraddizioni sociali, e sconfiggere l\'unità della classe lavoratrice, le società capitaliste ricorrono a mistificazioni sull\'unità nazionale, incoraggiano la convinzione che l\'appartenenza nazionale è d\'importanza critica, insistono sulle differenze tra i popoli.

Il fascismo compare nel capitalismo; è la conseguenza del modo in cui il capitalismo funziona, della sua volontà di sconfiggere l\'unità e la solidarietà di classe attraverso il mito dell\'unità nazionale.

Maggiori le differenze all\'interno di una società, maggiore la tensione. Con una recrudescenza delle tensioni, più ferocemente si tira in ballo l\'unità nazionale. L\'esplosione avviene non là dove necessario – nel campo degli interessi contrapposti tra capitale e lavoro – ma là dove la tensione è canalizzata, nel campo del nazionalismo. Degli interessi nazionali si parla sempre più aggressivamente ed esclusivamente, e molto facilmente si scivola – nel fascismo.


Da noi l\'antifascismo è arrivato assieme al socialismo. Ogni antifascismo, se pensato coerentemente, dev\'essere anticapitalista, perché il fascismo è figlio del capitalismo. E perciò, chi non vuole affrontare il capitalismo, che taccia sul fascismo!


Il Partito Comunista Croato, come frazione del PC Jugoslavo, si era chiaramente schierato dalla parte degli interessi della classe lavoratrice. Non voleva creare un movimento di resistenza (per combattere il fascismo e ripristinare lo status quo ante) ma condurre una guerra di liberazione popolare. Mentre combatteva l\'occupatore, si organizzava, sviluppava un nuovo potere, e creava un nuovo sistema sociale – il socialismo.


Commemorando l\'80esimo anniversario del PC Croato, ci ricordiamo che i nostri antifascisti lottarono sì per liberare il paese, ma anche per modificare i rapporti di classe. L\'antifascismo è lotta di classe. Doveva e deve esserlo. Ieri, oggi, per sempre!


Di seguito alcuni estratti dei discorsi degli altri partecipanti.


Non ci arrenderemo mai, la lotta è continua, non vi sfiduciate. Alle persone di sinistra dico – uniamo le nostre forze perché solo così la Lotta Popolare di Liberazione fu vinta.


Tutte le conquiste del sistema socialista – la solidarietà, il lavoro sicuro, l\'educazione e sanità universali e gratuiti, pensioni dignitose – oggi vengono affidate al mercato. Ogni giorno siamo testimoni dell\'inumanità del capitale, del mercato, della corsa alla produttività e al profitto. Per questo vengono distrutti i monumenti al mondo diverso che fu – per cercare di perpetuare il più a lungo possibile questo sistema che serve solo una minoranza.


La lotta condotta dal Partito Comunista fu non solo lotta di liberazione, ma allo stesso tempo lotta per la libertà dei lavoratori.


Noi a Samobor con onore ci ricordiamo del giorno in cui 80 anni fa un gruppo di uomini coraggiosi con a capo il compagno Tito fondò il Partito Comunista Croato. Con l\'obiettivo di una società migliore, per l\'uguaglianza delle donne e per correggere tutte le inguistizie.


Bisogna difendere gli interessi della classe lavoratrice, ma anche la libertà nazionale, l\'uguaglianza e la fratellanza tra i popoli.



--- A cura di Andrea Degobbis.
Sulla celebrazione di questo anniversario si veda anche: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8765



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(srpskohrvatski / english / italiano / castellano
Segnalazioni in ordine approssimativamente cronologico)


La Catalogna vista dai Balcani

... Il leader dei liberali di Vojvodina Nenad Čanak è stato a Barcellona nel giorno del Referendum ...


0) LINK IMPORTANTI SEGNALATI
1“Merkel responsible for Kosovo precedent and dividing Serbian people” (by Živadin Jovanović, 11 October 2017)
2) The Economy of Secession (German Foreign Policy)
3) Vučić e il Referendum in Catalogna / Srbija zbog Katalonije traži izvinjenje Brisela (Politika / RFE)


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LINK IMPORTANTI SEGNALATI:

La CUP invita Puigdemont a ribadire la proclamazione della Repubblica (di Cup-Cc, 14.10.2017)
... non abbiamo dalla nostra parte grandi poteri economici, né la UE è disposta ad ammettere che il diritto all’autodeterminazione è un diritto fondamentale dei popoli. Però altrettatnto sicuramente, restare immobili davanti alle sue minacce, i suoi rifiuti e la sua autorità, non ci permetterà d’esistere come popolo, non ci permetterà di governarci e neppure ci permetterà di avanzare nella conquista di maggiori diritti e libertà. Al contrario, li perderemo...

Il referendum del 1° ottobre in Catalogna e le responsabilità della sinistra (di Ferran Gallego | da investigaction.net, 14 Ottobre 2017)
... Uno dei fattori più rilevanti di questa crisi è che ha permesso alle cose di compiersi attraverso i canali politici ed ideologici entro i quali si è sviluppata, è stata ed è l\'assenza di analisi di classe. Non c\'è stata la prospettiva che doveva essere offerta da un\'organizzazione capace di operare come un intellettuale collettivo... La Repubblica federale, purtroppo, è stata l\'opzione meno presentata nel dibattito che ha egemonizzato questi settori della Catalogna e della Spagna intera... 

Ciclo di interviste e testimonianza dalla Catalogna #RadioCatalunyaLliure (di Contropiano.org, 11-13.10.2017)
... interviste quotidiane organizzate da Noi Restiamo direttamente dalla Catalunya in lotta. Una serie di colloqui con uomini e donne che stanno costruendo il loro riscatto...

Tra forza e ragione, la lotta in Catalogna (di Dante Barontini, 11 ottobre 2017)
... in Catalogna si è selezionata e formata, nel corso degli anni, una sinistra radicale capace di saldare insieme questioni sociali e questione nazionale, collegando i temi classici (lavoro, pensioni, occupazione, salario, ecc) con la dipendenza da uno Stato spagnolo mai definitivamente uscito dal franchismo. Una sinistra tanto radicata, oltretutto, da imporre una analoga radicalizzazione dell’agenda politica catalana, da sempre in mano all’ala “autonomista” del centrodestra... Il grande capitale multinazionale catalano (sia finanziario che industriale, con le banche Caixa e Sabadell, il colosso delle infrastrutture Abertis, la filiale iberica di Volkswagen, ecc) ha decisamente osteggiato ogni spinta indipendentista... Buona parte delle speranze dei moderati erano infatti riposte “nell’Europa”, immaginata per decenni come la superstruttura “civilizzatrice” in grado di far superare anche alla Spagna il sistema di potere ereditato pari pari dal regime franchista...

Catalogna: Parigi si schiera con Madrid (PTV News 09.10.17)

\'Istra nije Katalonija, mi samo želimo svoj novac\' (Sanjin Španović, 09. listopada 2017.)
Predsjednik IDS-a Boris Miletić za Express govori o prijedlogu zakona koji su ovaj tjedan uputili u saborsku proceduru...
[parlano gli autonomisti istriani: \"Noi vogliamo solo i nostri soldi\"]

Puigdemont come Tsipras? La Catalogna davanti a un bivio (di Marco Santopadre, 8 ottobre 2017)
... per ottenere l’indipendenza occorre rompere non solo con lo Stato Spagnolo ma anche con gli interessi delle elites catalane oltre che con quella vera e propria gabbia di popoli e settori popolari che è l’Unione Europea. Altrimenti Puigdemont potrebbe essere il nuovo Tsipras, e la finestra aperta coraggiosamente dal popolo catalano verso il cambiamento e la trasformazione sociale potrebbe chiudersi e rimanere sbarrata per chissà quanto tempo.

Intervista al responsabile dei giovani comunisti in Catalogna: «se ci combattiamo fra lavoratori, vincono i padroni» (Tinta Roja / Senza Tregua, 7 ottobre 2017)
... La concezione dell’interclassismo, della fiducia in chi ti sfrutta, nel restare uniti per un bene comune non sono indirizzi politici propri della classe lavoratrice. Se diciamo che il “processo” ha un carattere borghese è anche per questa ragione...

Indipendentismo e Costituzione (di Alba Vastano, 7/10/2017)
L’indipendentismo è sempre da perorare come diritto della volontà popolare o, in specifiche situazioni, è illegittimo perché contrasta con la Costituzione? Ne risponde il giurista Paolo Maddalena
Catalogna e indipendentismo dei ricchi: vero o falso? (di Paolo Rizzi, 7/10/2017)
Alcuni dati di fatto per non parlare in maniera astratta dell\'indipendentismo catalano.
https://www.lacittafutura.it/editoriali/catalogna-e-indipendentismo-dei-ricchi-vero-o-falso.html

Il diritto all’autodeterminazione del popolo catalano (di Ramon Mantovani, 5 ott 2017)
... La sinistra politica spagnola, che oggi è rappresentata dall’unità fra Podemos e Izquierda Unida, e che è repubblicana, federalista e favorevole al diritto all’autodeterminazione dei diversi popoli spagnoli non può, a mio avviso, che prendere atto del fatto che la prima vera spallata al “regime del 78”, alla monarchia e allo stesso PP è arrivata con la via unilaterale all’autodeterminazione dei catalani. La Storia non segue linee rette. Per quanto mi riguarda, non essendo indipendentista, avrei preferito che la transizione si fosse chiusa con l’instaurazione di una repubblica federale. Ma se un popolo, con il massimo clamore e in forme inedite (di solito i processi di autodeterminazione si son fatti con le armi in pugno) e pacifiche, rivendica il diritto a decidere per se stesso e nel contempo mette in difficoltà uno stato non antifranchista e pesantemente autoritario, non gli si può dire che rompere la legalità è un errore...
http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=31186

Internazionalismo e indipendenza, una questione di classe (di Francesco Piccioni, 5/10/2017)
... La storia dell’indipendenza finlandese, insomma, insegna quantomeno che per il vertice della Rivoluzione russa il problema non esisteva come definizioni astratte, ma come soluzioni concrete. Fermo restando il principio per cui non si può imporre a un popolo di farsi comandare da altri. L’internazionalismo proletario, insomma, prevede il consenso ad unirsi...

Comunistes de Catalunya: Unità a difesa delle istituzioni catalane (editoriale di Realitat, organo di informazione dei Comunisti di Catalogna, 5 ottobre 2017)
... L’emancipazione nazionale della Catalogna è inseparabile dall’emancipazione sociale della classe lavoratrice e delle classi popolari che formano la maggioranza della cittadinanza. Una cittadinanza in maggioranza resa precaria e destinata alla povertà salariata, come conseguenza delle politiche attive di de-industrializzazione, de-localizzazione e privatizzazione delle risorse pubbliche. Questa emancipazione è un obiettivo che ha bisogno di una strategia di approfondimento democratico a lungo termine e nonostante che per qualcuno sia difficile accettarlo anche di una strategia di conflitto di classe.

Il vaso di Pandora si è aperto anche in Europa (PTV News 03.10.17)

Rivolta catalana, crisi europea (di Dante Barontini, 3 ottobre 2017)
... Quel diritto all’autodeterminazione che era stato brandito con forza militare ed economica per disgregare l’Urss e gli altri paesi plurinazionali dell’Est europeo viene ora invocato da una nazione interna a uno Stato membro dell’Unione. Ora non va più bene, ora è (o lo si vorrebbe presentare) come “sovranismo” deteriore.
Ancora peggio. La maggioranza delle forze indipendentiste catalane sarebbe favorevole a rimanere come Stato autonomo all’interno della Ue. Dunque non ci sarebbe – dall’angolo visuale di Bruxelles – nessuno “strappo irrecuperabile” alla tessitura tecnoburocratica in atto da decenni. Basterebbe ricontrattare gli stessi trattati con la nuova entità, oltretutto da una posizione di assoluta forza (non caso le grandi imprese multinazionali presenti sul territorio catalano sono contrarie al processo indipendentista). Non cambierebbe granché… Ma una simile scelta manderebbe in crisi totale il quarto paese della Ue, che dovrebbe perdere il 25% del Pil e veder crescere – come già sta avvenendo da decenni – analoghe spinte da Euskadi e Galizia...

Catalogna: la dignità contro la vergogna. Una grana per l’UE e le oligarchie (di Rete Dei Comunisti, 2 ottobre 2017)
... Certamente il movimento indipendentista catalano è composito: si va dalle correnti anarchiche e comuniste ai socialdemocratici fino ai liberali e ai democristiani. Ma lo scontro per l’egemonia è aperto, e la sinistra anticapitalista ha molte carte da giocare, potendo contare su una radicalizzazione dello scontro e su una popolazione che sperimenta la disobbedienza, la mobilitazione permanente e in alcuni casi anche la creazione di un contropotere nazionale ma anche di classe...

La secessione catalana: un’analisi economica e finanziaria (di Senza Soste, 2 ottobre 2017)
... una cosa sembra chiara: senza una visione chiara di quale modello economico promuovere, e quale sistema politico a supporto, a sinistra ci vuole la giusta cautela in questa vicenda.

Austerity and Secession (GFP 2017/10/02)
... Catalonia has accumulated the largest debts of all of the Spanish regions - €60.4 billion, approx. 30 percent of Catalonia\'s GDP.[9] This sharp rise in debts, generated by austerity and the crisis, have become a separate issue in the Madrid/Barcelona dispute. Catalan politicians threaten to refuse to accept responsibility for Catalonia\'s share of Spain\'s debts, if the region secedes...
ORIG: Austerität und Sezession (GFP 02.10.2017)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59687

C. Black: \"L\'ipocrisia e l\'immoralità della NATO è palese e visibile al mondo ogni giorno\" (di Alessandro Bianchi, 02/10/2017)
Christopher Black, , esperto di diritto internazionale, all\'AntiDiplomatico: \"L’indipendenza della Catalogna spaccherebbe ancora di più le forze lavoratrici spagnole come blocco e indebolirebbe le loro rivendicazioni in termini di diritti e Welfare\"...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-c_black_lipocrisia_e_limmoralit_della_nato__palese_e_visibile_al_mondo_ogni_giorno/5496_21628/

Parlamento europeo riconosce legalità referendum in Catalogna (1.10.2017)
Il referendum d’indipendenza della Catalogna è legale, ma tali attività vanno tenute con il consenso delle autorità centrali, ritiene il leader del partito dei “Verdi” austriaco, il vice presidente del Parlamento Europeo Ulrike Lunacek...
https://it.sputniknews.com/mondo/201710015090533-referendum-Catalogna-Parlamento/

La democrazia popolare torna a vivere in Catalunya (di Redazione Contropiano, 1 ottobre 2017)
... si arriva a negare con la forza il diritto di esprimersi con il voto all’interno dell’Unione Europea e con il pieno appoggio della tecnoburocrazia di Bruxelles, degli Stati nazionali e di tutte le forze di governo nei vari paesi dell’Unione. E’ una contraddizione che vede dichiarare “illegale” la richiesta di far esprimere un intero popolo con il voto. Ovvero con l’unica caratteristica residua del concetto di “democrazia” sbandierato da cancellerie e televisioni...

La independencia catalana: cinco cosas para pensar (TONY CARTALUCCI, 1 Oct 2017)
1. Cataluña tiene una formidable economía industrializada...
2. La OTAN pareciera estar ansiosa por alentar la independencia y le daría la bienvenida a lo que ellos esperan sería una capacidad militar robusta para agregarle a sus guerras de agresión global.
Un artículo publicado por el Atlantic Council (un think-tank de la OTAN financiado por los Fortune 500) de 2014 titulado “Las implicaciones militares de la secesiones catalana y escocesa” [ http://www.atlanticcouncil.org/blogs/defense-industrialist/the-military-implications-of-scottish-and-catalonian-secession ] ...
3. Los políticos catalanes pro-independencia parecen apoyar de forma entusiasta el ingreso de Cataluña a la OTAN.
4. Algunos políticos catalanes han comenzado a planificar su integración en la OTAN.
5. Como “Kurdistán”, cualquier tipo de “independencia” pierde todo significado si el Estado resultante se encuentra a sí mismo profundamente dependiente e imbricado...
http://www.investigaction.net/es/la-independencia-catalana-cinco-cosas-para-pensar/
ORIG.: Catalan Independence: 5 Things to Think About (by TONY CARTALUCCI, 1 Oct 2017)
Catalan independence can be good or bad - it depends on the Catalan people to make it good, or else it likely will be bad...
https://landdestroyer.blogspot.it/2017/10/catalan-independence-5-things-to-think.html

Catalogna: autodeterminazione e prospettiva repubblicana e federale secondo i comunisti (di Alessio Arena, 30/09/2017)
Intervista a Nuria Lozano Montoya, responsabile statale del settore plurinazionalità di Izquierda Unida ed esponente del Bloc de Comunistes de Catalunya...
https://www.lacittafutura.it/esteri/catalogna-autodeterminazione-e-prospettiva-repubblicana-e-federale-secondo-i-comunisti.html

Si al referendum a Catalunya: “vivere vuol dire prendere partito” (di Andrea Quaranta, 30 settembre 2017)
... la nuova Repubblica rappresenterebbe anche una straordinaria opportunità per riaprire il dibattito sulla natura dell’Unione Europea e per la costruzione di uno spazio politico continentale finalmente irriducibile alle esigenze del capitale finanziario e imperialista...

Intervista al Segretario dei Comunisti Catalani alla vigilia del voto del 1° Ottobre (settembre 29, 2017)
Intervista al Segretario politico dei Comunisti Catalani – Partito Comunista dei Popoli di Spagna (PCPE), Albert Camarasa... \"Il diritto all’autodeterminazione è un nobile obiettivo che noi comunisti incorporiamo nelle nostre tesi. E’ stato un diritto promosso dall’Unione Sovietica e i successivi paesi socialisti. Ma che si condivida l’obiettivo non vuol dire che si condiva il cammino per raggiungerlo. Oggi ci sono due vie verso l’autodeterminazione, una fattibile e l’altra che non porta ad essa. L’indipendentismo sta scegliendo la seconda... L’unica via fattibile in cui si può applicare l’autodeterminazione per la Catalogna è quella che passa per rovesciare la classe borghese dominante che detiene il potere in Spagna. Con la presa del potere da parte della classe operaia si distruggeranno le basi materiali che perpetuano l’oppressione nazionale e la Catalogna potrà esser ciò che decidono liberamente i catalani.\"
http://www.lariscossa.com/2017/09/29/intervista-al-segretario-dei-comunisti-catalani-alla-vigilia-del-voto-del-1-ottobre/

Catalogna è Europa (carta di Laura Canali, 22.9.2017)
L’economia della comunità autonoma catalana ha una dimensione prevalentemente europea. Un dato che Barcellona non può sottovalutare in ottica secessionista...

Per la Repubblica Federale, Democratica e Solidale (di Ginés Fernández González, direttore di “Mundo Obrero”, 19 settembre 2017)
... per potere costruire un nuovo paese dobbiamo rompere con due vincoli: l\'UE e l\'euro, e il Regime del 78. Recuperare la sovranità e realizzare la rottura democratica rispetto ai contesti che impediscono qualsiasi processo di trasformazione sociale al servizio dei lavoratori e delle lavoratrici e del popolo. Di fronte alla restaurazione borbonica, abbiamo detto, rottura democratica repubblicana. Di fronte alla rigenerazione, rivoluzione democratica... proponiamo un processo costituente che presupponga la rottura con la situazione economica, sociale e istituzionale che ha sostenuto il sistema monarchico dal 1978 e che ci porti a una nuova Costituzione sulla base della democrazia partecipativa...

The Military Implications of Scottish and Catalonian Secession (by JAMES HASIK, AUGUST 26, 2014)
... NATO members should treat neither case lightly, but the independence of Catalonia would pose fewer military problems for the alliance than that of Scotland...

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Tra i nostri post passati relativi a questione catalana e dintorni raccomandiamo in particolare:

La Serbia accusa l\'Unione Europea di ipocrisia sull\'indipendenza catalana (Visnjica broj 998 su JUGOINFO)

Il cortocircuito della Catalogna (di Andrea Martocchia, 1.10.2017)
pubblicato anche su Contropiano e Marx21:

La vertigine catalana (rassegna JUGOINFO del 30.9.2017)
1) George Soros finanzia l’indipendentismo catalano / George Soros financió a la agencia de la paradiplomacia catalana
2) A proposito del referendum in Catalogna (George Gastaud, PRCF)
3) Catalogna, a rischio il referendum. PCPE: «Il nostro cammino è l’indipendenza della classe operaia»
4) L’Unione Europea contro la Catalogna: bene censura e repressione (M. Santopadre)
5) Indipendenza della Catalogna e lotte di classe: intervista a Quim Arrufat (Cup)

Interpretazioni divergenti della questione catalana (rassegna JUGOINFO del 26.9.2017)
0) Links
1) Napad u Barceloni i Soroseva ”pomoć” neovisnosti Katalonije
2) Perché i referendum in Lombardia/Veneto e in Catalogna sono assai diversi (Marco Santopadre)
3) Declaración del Secretariado Político del Comité Central del PCPE ...
4) A propos du référendum en Catalogne ibérique (Georges Gastaud)
5) Comunicato  solidarietà con il popolo catalano (Rete dei Comunisti)
6) Un commento di Eros Barone


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1Živadin Jovanović

Dietmar Hartwig, former head of the EU (EEC) Monitoring Mission in Kosovo and Metohija (ECMM) in his 2007 warning letter:
“MERKEL RESPONSIBLE FOR KOSOVO PRECEDENT AND DIVIDING SERBIAN PEOPLE”

It seems that the recent developments in Europe, and in particular the push of secessionism (Catalonia), rings a bell, or rather is reminiscent of certain events. The ensuing ones are shedding more light on the roles of the EU (EEC), the USA and Germany. To what extent have they been guided by the principles of the international law and democracy in the Kosovo crisis? How much did they appreciate the reports of their (expensive) missions in Kosovo and Metohija (КDОМ, КVМ, ЕCMM) depicting the realities on the ground? To what extent have they been defending the right to self-determination and human rights and to what extent abusing separatism for expansion of geopolitical interests? 

As strategies are slow to evolve, recollections of the past may help better understanding of the interests and roles of the EU in the ongoing Kosovo negotiations in Brussels. 

Over a longer period of time, the leading members of both NATO and the EU have been supporting the terrorist KLA in Kosovo and Metohija. Allied, they launched an armed aggression against Serbia (the FRY) in 1999 which, pursuant to the same principles of the international law  (eagerly invoked these days by the EU officials), was tantamount to a crime against peace and humanity! To sum it up, the countries and integrations whose spokespersons swear to this day that they have always been upholding the same principles and rule-based policies, back in 1999 had provoked the strongest blow to the global legal order and to the United Nations since the end of World War II. The policies pursued by governments of those countries and by integrations thereof during the Yugoslav and the Kosovo crises have stimulated the spread of secessions, the expansion of Islamic extremism, Wahhabism and terrorism in Europe and the rest of the world. By disregarding and violating the principles enshrined in the Helsinki Final Act, in the UN Charter and in international conventions and treaties, they have induced a lasting instability in the Balkans as the most vulnerable part of Europe. Presently, they are exerting pressure against Serbia, the one they have been demolishing, deceiving and humiliating by recognizing the forcible capture of her state territory in the form of an engineered unilateral and illegal secession of Kosovo, and requesting that Serbia erases it all from track-record and forgets it all “for the sake of her European future”! What kind of future could possibly be built upon such foundations!?

The separatist and terrorist genie that the leading countries of NATO and the EU have unleashed from the bottle in Kosovo and Metohija back in 1998/99 for the purpose of furthering the geopolitical goals of the USA and some European powers, such as Germany and the UK, for example, keeps spreading over Europe, while the EU and NATO believe they would be able to push it back into the bottle and clear they names and revive their dented unity by scarifying once again (interests of) Serbia! The real tragedy for Europe is the reasoning that truth is only what the EU commissioners and spokespersons declare to be the truth. The dominance of such reasoning is preventing the genuine understanding of historical maelstrom that has engulfed the Old Continent!

“War on the FRY was waged to rectify an erroneous decision of General Eisenhower from the Second World War. Therefore, due to strategic reasons, the U.S. soldiers have to be stationed there.” This quote was the explanation given by American representatives at a NATO conference held in late April 2000 in Bratislava, and noted by Willy Wimmer, former State Secretary in the German ministry of Defense, in his report to Chancellor Gerhard Schroeder dated 2 May 2000.

The first point in this report is an explicit U.S. request that its allies (NATO members) recognize ‘independent state of Kosovo’ as soon as possible, whereas the tenth, last point, reads that ‘the right to self-determination takes precedence over all others”. Should one wonder any further about the present referendum on secession of Catalonia?

Wimmer’s report also notes the U.S. declared position at the Bratislava Conference was that the 1999 NATO attack on Yugoslavia without UN SC authorization is ‘a precedent to be invoked by anyone at any time, and which is going to be invoked’. This renders any allegations of a principled and rule-based policy utterly dubious, when the aggression executed in violation of the UN Charter is declared to be a precedent, and the unilateral secession of Kosovo directly resulting from such aggression is declared to be ‘a unique case’?!

In the eve of NATO 1999 aggression on Yugoslavia two major international missions had been placed in the Province of Kosove and Metohija. One was under auspices of OSCE known as Kosovo Verification Mission (KVM), headed by American diplomat William Walker and the other under the auspices of EEC (EU) known as European Community Monitoring Mission (ECMM), headed by German diplomat Dietmar Hartwig. The later conveyed the often repeated assessment of the leader of KVM and his entourage that:  “There is no such thing as high costs to deploy NATO in Kosovo. Any cost is acceptable.”

After Kosovo Albanian leadership declared unilateral illegal secession in 2006, Dietmar Hartwig in 2007 sent four letters to the German Chancellor Angela Merkel urging her that Germany should not recognize such unilateral act.  In his letter of October 26, 2007 to Chancellor Merkel, Hartwig, among other points, says: “Not a single report (of ЕCMM) submitted from late November 1998 up to the evacuation (of ЕCMM, KVM) just before the war broke out (1999), contains any account of Serbs having committed any major or systematic crimes against Albanians, and not a single report refers to any genocide or similar crimes… Quite the contrary, my (ECMM) reports have repeatedly communicated that, considering the increasingly more frequent KLA attacks against the Serbian executive authorities, their law enforcement kept demonstrating remarkable restraint and discipline. This was a clear and persistently reiterated goal of the Serbian administration - to abide to the Milošević-Holbrooke Agreement (of October 13,1998) to the letter so not to provide any excuse to the international community for an intervention. In the phase of taking over the Regional Office in Priština, colleagues from various other missions – KDOM, U.S., British, Russian, etc. – confirmed that there were huge ‘discrepancies in perception’ between what said missions (and, to a certain degree, embassies as well) have been reporting to their respective governments and what the latter thereafter chose to release to the media and the public of their respective countries. This discrepancy could, ultimately, only be understood as an input to general preparations for war against Kosovo/Yugoslavia. The fact is that, until the time of my departure from Kosovo, there has never happened anything of what have been relentlessly claimed by the media and, with no less intensity, the politics, too. Accordingly, until 20 March (1999) there was no reason for military intervention, which renders illegitimate any measures undertaken thereafter by the international community.”

“The collective behavior of the EU Member States prior to, and after the war broke out, certainly gives rise to a serious concern, because the truth was lacking, and the credibility of the international community was damaged. However, the matter of my concern is exclusively the role of the FR of Germany and its role in this war and its political objective to separate Kosovo from Serbia…”

“The daily political news reporting over the previous months (before October 2007) made it progressively more evident that Germany not only supports the American desire to see Kosovo independent, but also actively engages on its own in dividing the Serbs…You are to be considered responsible for this. The same goes for your foreign minister, in particular, who knows perfectly well what is going on in Kosovo, and is presently pursuing your political directives by tirelessly advocating Kosovo’s independence and, thus, its secession from Serbia. Instruct him, rather, to promote a durable solution for the Kosovo issue which is in line with the international law… It is only if all states choose to observe the applicable rights, we can have the foundations for the common life of all nations. Should Kosovo become independent, it will be perpetuated as the place of restlessness… Contribute to achieving the solution for Kosovo on the basis of the endorsed UNSC Resolution 1244 pursuant to which Kosovo remains a province of Serbia. American wishes and active efforts to see Kosovo secede from Serbia and see Kosovo and Kosovo Albanians achieve full independence, are contrary to the international law, politically deprecated and, on top of all, irresponsibly expensive…”

“Kosovo’s secession from Serbia guided by ethnic criterion would constitute a dangerous precedent and a signal for other ethnic communities in other countries, including in EU Member States, who could rightfully request the‘Kosovo solution’” – says Dietmar Hartwig in concluding his letter to Chancellor Merkel.
Enough said about the ‘humanitarian intervention’ and the concerns for the protection of rights of the Albanian population as the features of the “uniqueness of the Kosovo case”. American Military base “Bondsteel” in the vicinity of the town of Uroševac, surely by a pure chance, happens to be among the largest U.S. military bases outside the U.S.A! Perhaps their anxiety over being potentially spied on from the Serbian-Russian Humanitarian Center in Niš merely confirms that the “Bondsteel’s” ’mandate’ is strictly local, humanitarian and just for short time?!

It was the U.S.A, the EU and NATO, not Serbia, who froze the conflict following the armed aggression of 1999. They and kept it frozen for the past 18 years by not allowing complete implementation of UN SC resolution 1244. The forced Serbia to fulfill all its commitments insisting on the legally obliging character of the resolution while exempting themselves and the Albanians from any obligation stated therein. They realize that the full implementation of UNSC Resolution 1244 equaled preservation of integrity of Serbia, which is exactly what they do not want since it goes against their geopolitical concept of expanding to the East. Especially now, when the West is undergoing a transition from which it may not emerge as mighty as it was during the uni-polar world order. 

At the present the West demands that Serbia ‘unfreezes’ Kosovo “independence procerss”. How? By compelling Serbia to sign a ‘legally binding agreement’ with Priština, to recognize a illegal unilateral secession, legalize illegal 1999 aggression, accept the consequences of violent ethnic cleansing of over 250.000 Serbs from Kosovo and Metohija and essentially assume responsibility for all that!

1The Author is President of the Belgrade Forum for a World of Equals, Federal Minister for Foreign Affairs of FR of Yugoslavia (1998-2000)



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ORIG: Die Ökonomie der Sezession (II) (GFP 05.10.2017)

Siehe auch den ersten Teil: Die Ökonomie der Sezession (I) (GFP 04.10.2017)
Separatisten in diversen EU-Staaten begreifen das Sezessionsreferendum in Katalonien als Ansporn und intensivieren ihre Aktivitäten. Bereits am 22. Oktober werden die beiden reichsten Regionen Italiens, die Lombardei und Venetien, je ein eigenes Referendum über eine Ausweitung ihrer Autonomie gegenüber der Regierung in Rom abhalten. Zentrale Ursache ist wie in Katalonien das Bestreben, den eigenen Wohlstand zu wahren und die Umverteilung ihrer Steuergelder an ärmere Gebiete insbesondere im Süden des Landes zu reduzieren oder zu beenden. Identische Motive befeuern Sezessionisten im niederländischsprachigen Teil Belgiens, in Flandern..

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The Economy of Secession (II)
 
2017/10/05
BERLIN/BARCELONA/MILAN/ANTWERP
 
(Own report) - As can be seen in an analysis of the separatist movements in Catalonia, Lombardy and Flanders, the deliberate promotion of exclusive cooperation between German companies and prosperous areas in countries with impoverished regions has systematically facilitated the autonomist-secessionist movements in Western Europe. According to this study, Flanders, as well as Lombardy - two already economically prosperous regions - have been able to widen the gap between themselves and the impoverished regions of Belgium and Italy, also because they have played an important role in the expansion of the German economy, the strongest in the EU. Through an exclusive cooperation with the state Baden Württemberg, Catalonia and Lombardy have been able to expand their economic lead over more impoverished regions of Spain and Italy, which has spurred their respective regional elites to seek to halt their financial contributions for federal reallocations through greater autonomy or even secession. The consequences of deliberate cooperation - not with foreign nations - but only with prosperous regions, can be seen with Yugoslavia.
\"Strong Germany, Strong Antwerp\"
Flanders, the Dutch-speaking region of Belgium, whose separatism has long been one of the strongest secessionist movements in the EU, is particularly benefiting from its close cooperation with Germany. The Federal Republic of Germany is the most important market for Flemish exports. €50 billion of Flanders\' €302.4 billion in total exports, last year, were to customers in Germany.[1] German investors are among the most important in the region. The port of Antwerp, Europe\'s second largest, after Rotterdam, is the centerpiece of German-Flemish economic relations. Its significance to Germany\'s export economy is demonstrated by the fact that, in 2015, nearly one third of the 214 million tons - 68 million tons - transshipped from the port had originated in or was shipped to Germany. Numerous German companies, for example, BASF and Bayer have invested billions in the Antwerp Port. Years ago, a representative of the Antwerp Port in the Federal Republic of Germany proclaimed that \"without a strong Germany, there can be no strong Antwerp.\"[2] Because the German economy is benefiting from the EU and the euro zone and is flourishing uninterruptedly, Flanders\' economy is also growing more strongly than its southern Belgium counterpart, Wallonia, oriented more on France. This is why the prosperity gap in Belgium is growing, fueling a secessionist drive.
\"Focused on Germany\"
Lombardy, Italy\'s most prosperous region also derives special benefit from its relations with Germany. With its nearly €40 billion trade volume, Germany is Lombardy\'s most important trade partner. Lombard companies are traditionally \"focused on cooperation with southern Germany,\" considered \"their gateway to northern and eastern Europe,\" according to experts.[3] Conversely, this region is German companies\' main point of departure for Italy. It absorbs approximately one third of the German exports entering the country. Of the approximately 3,000 German companies with subsidiaries in Italy, nearly half are settled in Lombardy. Top-ranking German companies, such as BASF, Bayer, Bosch, BMW, Deutsche Bank, SAP and Siemens, among others, have their Italian headquarters in or near Milan.[4] Unicredit, Italy\'s largest bank, which had absorbed Munich\'s Hypovereinsbank in 2005, is also based in Mil

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