Informazione

(italiano / русский)

Iniziative segnalate

1) Sottoscrizione per Misha, invalido di guerra, in segno di solidarietà con l\'Ucraina antifascista e per la pace in Donbass

2) Bologna 1/12: Gli uomini di Mussolini, presentazione del libro di Davide Conti

3) Milano 2/12: Ucraina sotto gli attacchi dell\'imperialismo e dei nazifascisti, iniziativa con P. Simonenko (PCU)

4) Padova 2/12: La Rivoluzione d\'Ottobre e noi, dibattito, cena e performance audio-visiva

5) Arona (NO), 2-3/12: Partigiani sovietici nella Resistenza italiana


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Jugocoord Onlus è al fianco del movimento per l\'Ucraina antifascista e la pace in Donbass e lo sostiene mettendosi a disposizione per iniziative mirate come da indicazioni della nostra recente Assemblea dei Soci. Segnaliamo:

https://www.facebook.com/ucraina.antifascista.bo/posts/1601116269910924

Comitato Ucraina Antifascista Bologna, 27/11/2017

APPELLO IMPORTANTE IN ITALIANO E RUSSO

Cari compagni, per il prossimo Natale vi chiediamo un aiuto speciale:
Misha (Mihail Matvienko) è un giovane uomo di 22 anni, è nato e cresciuto a Donetsk, allevato dalla mamma e senza il papà. Studente del liceo e sportivo, nel maggio del 2014 si unisce al Battaglione Vostok per combattere il fascismo. Nel settembre del 2014 rimane gravemente ferito a causa dell\'esplosione di una mina e subisce l\'amputazione di entrambi i piedi e di una mano, purtroppo Misha perde anche la vista. Si trasferisce a Mosca, dove lo abbiamo incontrato, aiutato da alcuni volontari per sottoporsi a cure mediche. Attualmente frequenta l\'Università e coltiva il sogno di ritornare a Donetsk, crearsi una famiglia ed aprire una scuola che formi i ragazzi alla educazione e al rispetto per gli altri. 
Misha è solito ripetere: \" finché avrò sangue nelle vene non sono finito, la pace in Ucraina tornerà solo quando il popolo avrà consapevolezza che c\'è la guerra.\"
Decorato con due medaglie al valore per il suo coraggio e la difesa dello storico monumento di Saur Mogila, ha un animo cosacco che lo aiuta ad affrontare le durezze della vita.
Misha ha bisogno della nostra solidarietà, una importante operazione all\'occhio potrebbe ridonargli la vista.
Compagni, sottoscrivete, contattateci in privato o versate un aiuto concreto sul conto: 

CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
IBAN: IT 40 U 07601 03200 000088411681. Causale \"Per Misha\".

Grazie

Миша (Mihail Matvienko) - молодой человек, 22-ух лет. Родился и вырос в Донецке. До войны учился, работал и занимался спортом, как и большинство молодых людей, его возраста. 
В мае 2014 вступил в батальон \" Восток \" и воевал против фашистов. В сентябре того же года, в результате минно - взрывного ранения, Миша получил тяжелые увечья : ампутация обеих нижних конечностей, ампутация правой кисти, потеря зрения , частичная потеря слуха. Благодаря неравнодушным людям, с целью получения медицинской помощи, Миша был приглашен в Москву, где и проживает вместе с мамой. В этом году он поступил в один из Московских вузов на факультет психологии. 
Награжден двумя медалями : \" За боевые заслуги \", \" Защитнику Саур-Могилы \". 
Справляться с жизненными трудностями Мише помагает козацкий дух, вера в добро и справедливость. Мечтает вернуться в Донецк, снова видеть, создать семью. 
Сейчас Мише необходима наша поддержка и солидарность. Товарищи, друзья подписывайтесь или пишите в личные сообщения. 
Спасибо!

\"Война на Украине закончится тогда, когда люди наконец поймут, что идет война \". ( Миша )


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Bologna, 1-2-3 dicembre 2017
presso il Vag61 - via Paolo Fabbri 110

Su la testa! Festival della letteratura antifascista 1-2-3 dic
Il programma: https://www.facebook.com/events/1589719677755710/

Segnaliamo in particolare:

venerdì 1 dicembre alle h18.30: 

presentazione del libro di Davide Conti:
\"Gli uomini di Mussolini\" (Einaudi Storia - 2017).

Dialogheranno con l\'autore Wu Ming 1 e Renato Sasdelli, autore di \"Fascismo e tortura a Bologna\" (Pendragon, 2017)


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Milano, 2 dicembre 2017
alle ore 14:30 nella Sala Convegni del centro culturale \"Concetto Marchesi\", Via L. Spallanzani 6

Ucraina sotto gli attacchi dell\'imperialismo USA, della NATO, dell\'UE e dei nazifascisti

intervengono:
V. Merlin (segr. reg. PCI)
B. Casati (pres. centro cult. C. Marchesi)
P. Simonenko (segr. gen. del Partito Comunista di Ucraina)
conclude:
F. Giannini (resp. dip. Esteri PCI)

Locandina e intervento introduttivo di Massimo Leoni (segreteria regionale PCI Lombardia):


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Padova, sabato 2 dicembre 2017
dalle ore 17 alla Marzolo Occupata, via Marzolo 4 (zona Portello)

Serata dedicata al centenario della Rivoluzione

La Rivoluzione d\'Ottobre e noi - dibattito, cena e performance audio-visiva

★ Alle 17.00 interverrà la redazione della rivista #Antitesi con la presentazione della seconda parte del nuovo numero \"Comunisti: imparare dal passato, agire nel presente, trasformare il futuro\", all\'interno dell\'assemblea-dibattito \"La Rivoluzione d\'Ottobre e noi\" sull\'attualità degli insegnamenti dell\'esperienza sovietica nella fase attuale.

★ Alle 20.00 saremo in compagnia dell\'Associazione Nova Harmonia per una cena popolare, il cui ricavato sarà devoluto in solidarietà alle popolazioni del Donbass. (Per la cena è gradita la conferma della partecipazione entro venerdì 1). 

★ Alle 21.30 si terrà una performance audio-visiva: verrà proiettata la pellicola \"Ottobre\" del maestro Sergej Michajlovič Ėjzenštejn con la risonorizzazione live a cura del Collettivo Foa Boccaccio 003.

La memoria di ieri per la lotta di oggi!
Partecipa e diffondi. 

organizza Collettivo Tazebao collettivo.tazebao @ gmail.com www.tazebao.org


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Arona (NO), 2-3 dicembre 2017

PARTIGIANI SOVIETICI NELLA RESISTENZA ITALIANA




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La campagna Abiti Puliti svela le nuove schiavitù

su segnalazione di P. Cecchi)

Un nuovo rapporto della Clean Clothes Campaign, Europe’s Sweatshops, documenta i salari da fame endemici e le dure condizioni di lavoro nell’industria tessile e calzaturiera dell’Est e Sud-Est Europa. Ad esempio, molti lavoratori in Ucraina, nonostante gli straordinari, guadagnano appena 89 euro al mese in un Paese in cui il salario dignitoso dovrebbe essere almeno 5 volte tanto. Tra i clienti di queste fabbriche ci sono marchi globali come Benetton, Esprit, GEOX, Triumph e Vera Moda.
Per questi marchi i Paesi dell’Est e Sud-Est Europa rappresentano paradisi per i bassi salari. Molti brand enfatizzano l’appartenenza al “Made in Europe”, suggerendo con questo concetto “condizioni di lavoro eque”. In realtà, molti dei 1,7 milioni di lavoratori e lavoratrici di queste regioni vivono in povertà, affrontano condizioni di lavoro pericolose, tra cui straordinari forzati, e si trovano in una situazione di indebitamento significativo.
Queste fabbriche di sfruttamento offrono lavoratori economici, anche se qualificati e professionali. Troppo spesso i salari mensili della maggior parte della forza lavoro femminile raggiungono appena la soglia del salario minimo legale, che varia dagli 89 euro in Ucraina ai 374 euro in Slovacchia. Ma il salario dignitoso, quello che permetterebbe a una famiglia di provvedere ai bisogni primari, dovrebbe essere quattro o cinque volte superiore e in Ucraina, ad esempio, questo vorrebbe dire guadagnare almeno 438 euro al mese.
I salari minimi legali in questi Paesi sono attualmente al di sotto delle loro rispettive soglie di povertà e dei livelli di sussistenza. Le conseguenze sono terribili. “A volte semplicemente non abbiamo niente da mangiare”, ha raccontato una lavoratrice ucraina. “I nostri salari bastano appena per pagare le bollette elettriche, dell’acqua e dei riscaldamenti” ha detto un’altra donna ungherese.
Le interviste a 110 lavoratrici e lavoratori di fabbriche di abbigliamento e calzature in Ungheria, Ucraina e Serbia hanno rivelato che molti di loro sono costretti ad effettuare straordinari per raggiungere i loro obiettivi di produzione. Ma nonostante questo, difficilmente riescono a guadagnare qualcosa in più del salario minimo.
Molti degli intervistati hanno raccontato di condizioni di lavoro pericolose come l’esposizione al calore o a sostanze chimiche tossiche, condizioni antigieniche, straordinari forzati illegali e non pagati e abusi da parte dei dirigenti. I lavoratori intervistati si sentono intimiditi e sotto costante minaccia di licenziamento o trasferimento.
Quando i lavoratori serbi chiedono perché durante la calda estate non c’è aria condizionata, perché l’accesso all’acqua potabile è limitato, perché sono costretti a lavorare di nuovo il sabato, la risposta è sempre la stessa: “Quella è la porta”.
“Ci pare evidente che i marchi internazionali stiano approfittando in maniera sostanziosa di un sistema foraggiato da bassi salari e importanti incentivi governativi” dichiara Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign. “In Serbia, ad esempio, oltre ad ingenti sovvenzioni, le imprese estere ricevono aiuti indiretti come esenzione fiscale fino a per dieci anni, terreni a titolo quasi gratuito, infrastrutture e servizi. E nelle zone franche sono pure esentate dal pagamento delle utenze mentre i lavoratori fanno fatica a pagare le bollette della luce e dell’acqua, in continuo vertiginoso aumento” continua Deborah Lucchetti.
Le fabbriche citate nel rapporto producono tutte per importanti marchi globali: tra questi troviamo Benetton, Esprit, GEOX, Triumph e Vera Moda. La Campagna Abiti Puliti chiede ai marchi coinvolti di adeguare i salari corrisposti al livello dignitoso e di lavorare insieme ai loro fornitori per eliminare le condizioni di lavoro disumane e illegali documentate in questo rapporto.

Scarica il rapporto per la SERBIA:

Vedi anche:

Scarpe e abiti, la nuova frontiera della schiavitù è Made in Europa (di Patrizia De Rubertis, su Il Fatto Quotidiano del 27 novembre 2017)
Salari sotto la soglia di povertà e trattamento disumano: è quello che accade in molte aziende dell’Est che riforniscono il mercato italiano, secondo il report di “Abiti Puliti”. “Quando ho detto alla mia supervisore che non riuscivamo a respirare perché in fabbrica c’erano più di 30 gradi in fabbrica, lei ha preso il tubo di scarico della macchina e me l’ha puntato in faccia. E m’ha detto ‘Arrangiatevi, c’è un sacco di gente pronta a sostituirvi’...

Sui casi GEOX e BENETTON e le delocalizzazioni italiane nei Balcani, dall\'archivio JUGOINFO:

Sul caso GOLDEN LADY / OMSA:

La nostra pagina dedicata a Economia e questioni sindacali:




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Ancora su militarismo USA e UE

1) Nasce la Pesco costola della Nato (Manlio Dinucci)
2) Fermare il potenziamento della base USA di Camp Darby (Rete dei Comunisti - Pisa)


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VERSIONE VIDEO: L’arte della guerra - Nasce la Pesco costola della Nato (PandoraTV, 22 nov 2017)
Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri...



Nasce la «Pesco», costola della Nato

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci (il manifesto, 21 novembre 2017)

Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri.

Che cosa sia lo spiega il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Partecipando al Consiglio degli affari esteri dell’Unione europea, egli sottolinea «l’importanza, evidenziata da tanti leader europei, che la Difesa europea debba essere sviluppata in modo tale da essere non competitiva ma complementare alla Nato». Il primo modo per farlo è che i paesi europei accrescano la propria spesa militare: la Pesco stabilisce che, tra «gli impegni comuni ambiziosi e più vincolanti» c’è «l’aumento periodico in termini reali dei bilanci per la Difesa al fine di raggiungere gli obiettivi concordati».

Al budget in continuo aumento della Nato, di cui fanno parte 21 dei 27 stati della Unione europea, si aggiunge ora il Fondo europeo della Difesa attraverso cui la Ue stanzierà 1,5 miliardi di euro l’anno per finanziare progetti di ricerca in tecnologie militari e acquistare sistemi d’arma comuni. Questa sarà la cifra di partenza, destinata a crescere nel corso degli anni.

Oltre all’aumento della spesa militare, tra gli impegni fondamentali della Pesco ci sono «lo sviluppo di nuove capacità e la preparazione a partecipare insieme ad operazioni militari».

Capacità complementari alle esigenze della Nato che, nel Consiglio Nord Atlantico dell’8 novembre, ha stabilito l’adattamento della struttura di comando per accrescere, in Europa, «la capacità di rafforzare gli Alleati in modo rapido ed efficace». Vengono a tale scopo istituiti due nuovi comandi. Un Comando per l’Atlantico, con il compito di mantenere «libere e sicure le linee marittime di comunicazione tra Europa e Stati uniti, vitali per la nostra Alleanza transatlantica».

Un Comando per la mobilità, con il compito di «migliorare la capacità di movimento delle forze militari Nato attraverso l’Europa». Per far sì che forze ed armamenti possano muoversi rapidamente sul territorio europeo, spiega il segretario generale della Nato, occorre che i paesi europei «rimuovano molti ostacoli burocratici». Molto è stato fatto dal 2014, ma molto ancora resta da fare perché siano «pienamente applicate le legislazioni nazionali che facilitano il passaggio di forze militari attraverso le frontiere». La Nato, aggiunge Stoltenberg, ha inoltre bisogno di avere a disposizione, in Europa, una sufficiente capacità di trasporto di soldati e armamenti, fornita in larga parte dal settore privato.

Ancora più importante è che in Europa vengano «migliorate le infrastrutture civili – quali strade, ponti, ferrovie, aeroporti e porti – così che esse siano adattate alle esigenze militari della Nato».

In altre parole, i Paesi europei devono effettuare a proprie spese lavori di adeguamento delle infrastrutture civili per un loro uso militare: ad esempio, un ponte sufficiente al traffico di pullman e autoarticolati dovrà essere rinforzato per permettere il passaggio di carrarmati.

Questa è la strategia in cui si inserisce la Pesco, espressione dei circoli dominanti europei che, pur avendo contrasti di interesse con quelli statunitensi, si ricompattano nella Alleanza atlantica sotto comando statunitense quando entrano in gioco gli interessi fondamentali dell’Occidente messi in pericolo da un mondo che cambia.

Ecco allora spuntare la «minaccia russa», di fronte alla quale si erge quella «Europa unita» che, mentre taglia le spese sociali e chiude le sue frontiere interne ai migranti, accresce le spese militari e apre le frontiere interne per far circolare liberamente soldati e carrarmati.


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Fermare il potenziamento della base USA di camp Darby, smascherare le amministrazioni PD, lottare contro l’imperialismo Usa e quello UE

di Rete dei Comunisti - Pisa, 22.11.2017

Con dovizia di particolari gli organi di stampa locali ci informano da mesi del futuro, enorme potenziamento della base statunitense di Camp Darby.
Un nuovo tratto ferroviario dedicato al trasporto di armi e munizioni da e per la base nord americana.
La costruzione di un ponte girevole sul canale dei Navicelli per agevolare il trasporto delle stesse verso il porto di Livorno.
L’abbattimento di 1.000 alberi per realizzare il progetto.
Tutto questo accompagnato dalla insopportabile ipocrisia di una classe politico/amministrativa (locale e regionale) che racconta di essere rimasta all\'oscuro del progetto per lungo tempo.
In questi anni le Giunte PD Filippeschi e Rossi hanno costruito “ponti d’oro” per il Pentagono, coadiuvando in tutti i modi il potenziamento di quella base di guerra, che dal dopoguerra ad oggi ha contribuito alla morte di milioni di persone nell’immenso raggio d’azione delle truppe USA / NATO. La lista dei paesi e dei popoli colpiti dalle micidiali armi di distruzione di massa che partono da quella base è così lunga che occorrerebbe un documento a parte. Le ultime vittime in ordine di tempo (centinaia di migliaia) sono libiche, siriane, yemenite, che dopo le aggressioni militari continuano a morire nei deserti e nei mari attraversati per fuggire ai bombardamenti.
La strategia di guerra e di morte della NATO e degli USA non cambia da una amministrazione all’altra. Obama e Trump in questo pari sono. Cambiano le forme, non la sostanza.
L’amministrazione Trump è l’espressione della debolezza di un sistema imperialista in declino, che usa la forza militare per tentare di perpetuare una centralità persa sul terreno economico e dell’egemonia a livello internazionale.
Le basi militari come camp Darby sono strumenti di guerra e controllo territoriale, di ingerenza diretta statunitense non solo sull’Italietta di Gentiloni/Renzi, ma soprattutto contro l’Unione Europea, che si sta emancipando economicamente e militarmente dagli USA. La cosiddetta “Cooperazione Strutturata Permanente sulla Difesa” firmata da 23 paesi UE lo scorso 12 novembre a Bruxelles è un ulteriore tassello nella costruzione di un esercito europeo che aumenta la distanza e lo scontro tra i due colossi imperialisti.
Le popolazioni locali (non solo di Pisa e Livorno ma di tutto il paese) subiscono da decenni la presenza di camp Darby, che mette in costante pericolo la nostra incolumità fisica, oltre ad essere un onere costante per le casse dello Stato, nonostante le chiacchiere sul finanziamento in dollari statunitensi di questa ultima ipotesi di ampliamento, che dovrebbe iniziare a dicembre.
Il movimento contro la guerra deve reagire, come ha fatto in questi anni, a questa ulteriore opera di potenziamento militare e di distruzione dell’ecosistema di Tombolo, territorio che deve tornare sotto il controllo della sovranità popolare locale, allontanando definitivamente le truppe e le armi USA dai nostri territori.
Il PD e il codazzo bipartisan di partiti che sostengono queste opere di devastazione umana e ambientale vanno indicate come nemiche della pace, smascherando le ipocrite campagne mediatiche che nascondono l’evidenza del loro ruolo.
Per la chiusura immediata della base USA di camp Darby e la sua riconversione a scopi civili, per l’uscita dell’Italia dalla NATO, contro l’imperialismo USA e l’imperialismo della Unione Europea.
Su questi obiettivi la Rete dei Comunisti scenderà in piazza insieme a tutte le forze politiche, sociali e sindacali coerentemente schierate contro la guerra.



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(deutsch / srpskohrvatski / italiano)

Sulla sentenza Mladić

1) Intervista a Cristopher Black, ex legale canadese di Milosevic (A. Bianchi, 23.11.2017)

2) Klaus Hartmann und Hannes Hofbauer sprechen an Sputnik (22.11.2017)


Vedi anche / pročitaj još:

Ratko Mladic, Abdelfatah al Sisi e i Fratelli Musulmani di casa nostra (di Fulvio Grimaldi, 27.11.2017)

Пресуда Новог свјетског непоретка (др Дарио Видојковић, историчар, 23 новембар 2017)
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/881-presuda-novog-svetskog-neporetka.html


Flashbacks:
Srebrenica Flashback: Mladic Speaks (2015)
The untold truth about Ratko Mladic (2011)
R. Dolecek: Talks with General Mladic (2009)
Ratko Mladic, Tragic Hero (2006)
Intervju / Interview with Ratko Mladić (13.8.1995)

La disinformazione strategica su Srebrenica (dossier sul sito Jugocoord)


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L\'ex legale canadese di Milosevic: \"Mladic è un capro espiatorio per coprire i crimini della NATO\"

All\'AntiDiplomatico Cristopher Black rivela: \"L’ICTY è un tribunale fantoccio che ha utilizzato metodi fascisti di giustizia per attuare l\'agenda Nato di conquista dei Balcani\"


Tutti i mezzi di informazione di massa hanno dato ieri e per l’intera giornata la notizia della condanna da parte del tribunale delle Nazioni Unite del generale Ratko Mladic. I giudici del Tribunale Onu hanno ritenuto colpevole il generale serbo della maggior parte delle accuse risalenti alla guerra del 1992-1995, in particolare il famigerato massacro di Srebrenica. Mladic si era sempre dichiarato non colpevole di tutte le accuse.

Il giudice presidente Alphons Orie ha dichiarato alla lettura della sentenza che il Tribunale ha scoperto che le azioni di Mladic durante la guerra erano \"tra le più atroci conosciute dal genere umano\" e costituivano un “genocidio”. Mladic, che ha ascoltato il verdetto da una stanza limitrofa dopo che ha tentato varie volte di disturbare la lettura, è stato condannato all’ergastolo. Secondo quello che riporta il figlio del generale, Darko, in un’intervista a TASS,  suo padre in aula ha detto: \"Sono tutto bugie, questo è un tribunale della NATO!\"

Come AntiDiplomatico abbiamo ascoltato per un commento Cristopher Black, canadese, uno dei giuristi penali internazionali più importanti al mondo e colui che per anni è stato il legale che ha difeso l’ex presidente serbo Slobodan Milosevic dalle accuse mossegli dallo stesso Tribunale ONU. In pochi conoscono la storia del Tribunale per l\'ex Jugoslavia come lui.

L\'intervista

Signor Black, il Tribunale criminale internazionale per le Nazioni Uniti ha condannato all’ergastolo per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra il generale Ratko Mladic. Quali sono i suoi primi commenti?

C.B. Si tratta di un’altra umiliazione per la Jugoslavia e la Serbia da parte della Nato. E’ chiaro a tutti che dalla sua creazione, dal finanziamento, dai metodi e dall’arruolamento del personale che questo è stato un Tribunale della Nato. Quello che dico è confermato da quanto dichiarava ieri poco dopo la lettura del verdetto proprio il Segretario Generale delle Nazioni Unite che ha detto di ‘accogliere positivamente la decisione… i Balcani occidentali sono di importanza strategica per la nostra Alleanza’. 
In altre parole, questa condanna aiuta la Nato a consolidare la sua presa sui Balcani, tenendo i serbi e i socialisti intimiditi e sottomessi. Il Generale Mladic è un capro espiatorio per i crimini di guerra dell’Alleanza Atlantica. Crimini commessi in tutta la Jugoslavia che il Tribunale ONU ha coperto. L’ICTY ha in questo modo agevolato la Nato a commettere ulteriori crimini di guerra da allora. 



Secondo l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, il giordano Zeid Raad al-Hussein, \"Mladic è l’incarnazione del Male, ma non è scappato alla giustizia”. Quale è la sua opinione di Mladic nel lungo studio che ha compiuto sui fatti tragici accorsi in Ex Jugoslavia?  


C.B.: Il Generale Mladic è un soldato falsamente accusato dal Tribunale della Nato. E questo perché ha cercato di difendere il suo popolo da un’aggressione. Lui è, come ho detto in precedenza, il capro espiatorio per coprire i crimini della NATO. E’ un uomo che ha  avuto il coraggio di combattere il male, vale a dire l’impero della Nato e i suoi alleati locali. E’ una vittima.


Come ex legale di Milosevic, come giudica il lavoro del Tribunale ad hoc per i crimini commessi in ex Jugoslavia che, dopo la sentenza Mladic, si scioglierà tra pochi giorni?

C.B.: L’ICTY si è dimostrato essere esattamente quello che doveva essere, un tribunale fantoccio che ha utilizzato metodi fascisti di giustizia e che si è impegnato nel portare avanti un processo selettivo per attuare l\'agenda della NATO di conquista dei Balcani. E questo come preludio all\'aggressione contro la Russia che stiamo osservando in questi giorni. Quello che i media non scrivevano ieri nel racconto che hanno dato del verdetto Mladic è che la Nato ha utilizzato il tribunale come un mezzo di propaganda per fabbricare una storia assolutamente falsa sugli eventi, al fine di coprire i suoi crimini, per mantenere le ex repubbliche di Jugoslavia sotto il suo dominio e per giustificare quell\'aggressione e l\'occupazione. E’ un’onta per tutta la civiltà.


Alessandro Bianchi


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Kritik an „Skandalurteil“ gegen Mladic: „Illegales Tribunal im Auftrag der Nato“

Sputnik, 22.11.2017

Von einem \"Skandalurteil auf Basis vorgefasster Meinungen\" gegen den bosnisch-serbischen Ex-General Ratko Mladic am Mittwoch spricht Klaus Hartmann, Vorsitzender des Freidenker-Verbandes und Beobachter der Ereignisse. Der Journalist Hannes Hofbauer sieht im Urteil eine juristische Fortsetzung des Nato-Vorgehens gegen Jugoslawien.

Mit deutlicher Kritik haben langjährige Beobachter der Ereignisse, Prozesse und Hintergründe beim Zerfall Jugoslawiens auf das Urteil des UN-Sondertribunals in Den Haag vom Mittwoch gegen den ehemaligen bosnisch-serbischen Militärchef Ratko Mladic reagiert. Dieser wurde zu lebenslanger Haft verurteilt, weil der heute 75-Jährige des Völkermordes, Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit während des Bosnien-Krieges (1992 bis 1995) schuldig sei. Der Ex-General war in elf Fällen angeklagt worden. Dazu zählte laut den Berichten die Ermordung von 8000 muslimischen Jungen und Männern in Srebrenica, die vom UN-Tribunal als Völkermord eingestuft wurde.

Es war der letzte Völkermord-Prozess des Tribunals. Ende des Jahres wird das Gericht laut der Nachrichtenagentur dpa nach 24 Jahren seine Arbeit abschließen. Wegen des angeblichen Völkermordes in Srebrenica waren mit Mladic 16 Personen schuldig gesprochen worden.

„Kriegsbefürworter und Kriegstreiber zufriedengestellt“

Für unbedarfte Zuschauer klinge das Urteil „eigentlich gerecht“, schätzte der österreichische Journalist und Verleger Hannes Hofbauer gegenüber Sputnik ein.

„Es ist aber nicht gerecht“, fügte der langjährige Beobachter der Entwicklung auf dem Balkan hinzu. Das UN-Tribunal sehe nur „auf einem Auge scharf, nämlich auf dem serbischen Auge, und ist auf allen anderen Augen blind“.

Für Klaus Hartmann handelt es sich um ein „Skandalurteil auf Basis vorgefasster Meinungen“. Der Bundesvorsitzende des Deutschen Freidenker-Verbandes hat die Vorgänge seit Jahren verfolgt und die Verfahren in Den Haag wie das gegen den ehemaligen jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic deutlich kritisiert. Das Tribunal sei auch gegen Mladic einseitig der Nato-Auffassung gefolgt und habe in allen Verfahren einseitig antiserbisch entschieden, erklärte er gegenüber Sputnik. Dazu gehöre, dass die Rolle der Nato in den jugoslawischen Teilungs-Kriegen in den 1990er Jahren nicht hinterfragt worden sei.

Die Kriegsbefürworter und —treiber seien mit dem Urteil gegen Mladic „nun zufriedengestellt“. Es werde nicht mehr nach den Ursachen und Tatsachen gefragt, so Hartmann. Das hätte mit Blick auf die inneren und äußeren Zusammenhänge, die zum jugoslawischen Zerfallsprozess führten, erfolgen müssen, bestätigte Verleger Hofbauer. Er schloss dabei auch die externen Faktoren wie die Rolle Deutschlands und Österreichs mit ein – „die ja eigentlich seit 1991 zu dieser Sezession Bosniens getrieben haben und immer wieder von serbischer Seite gewarnt worden sind, dass das nicht ohne Krieg funktionieren wird.“

Unterlassene Fragen nach Rolle der Nato

Hofbauer verwies darauf, dass in dem Krieg Morde und Überfälle nicht nur von einer Seite erfolgten. So hätten kroatische Einheiten 1995 die UN-Schutzzone „Sektor West“ in Slawonien überfallen, was nie thematisiert worden sei. Das zeige, dass es sich um „ein ungleichgewichtiges Tribunal“ handele. Freidenker Hartmann widersprach unter anderem der vom Gericht behaupteten Belagerung Sarajevos durch die bosnischen Serben:

„Es wird negiert, dass Sarajevo in diesen Jahren immer eine geteilte Stadt war, in der Serben und Kroaten und bosnische Muslime in unterschiedlichen Stadtteilen wohnten und, aufeinander gehetzt, sich gegenseitig beschossen haben. Eine Belagerung fand in dieser Hinsicht nie statt.“

Der Freidenker-Vorsitzende betonte, der Vorwurf, Mladic habe befohlen, UN-Blauhelme als menschliche Schutzschilde gegen Nato-Bomben zu missbrauchen, sei konstruiert. Das unterlasse die Frage, ob die Nato-Bombenangriffe 1994 völkerrechtlich legitimiert waren. „Es gab für nichts dergleichen einen UN-Sicherheitsratsbeschluss.“

Merkwürdiger „Kronzeuge“ für Srebrenica

Hartmann ging ebenso darauf ein, dass Mladic die mutmaßlichen Massaker von Srebrenica 1995 mit angeblich etwa 8000 Toten und „Völkermord“ vorgeworfen wurden. Letzteres sei 2010 nach einer Klage Bosnien-Herzegowinas vom Internationalen Gerichtshof (IGH) in Den Haag nur für diesen einen Fall bestätigt worden, allerdings ohne jegliche eigene Ermittlungen.

Das UN-Sondertribunal stütze sich bei den Vorwürfen zu Srebrenica auf allein ein Verfahren und die immer wieder voneinander abweichenden Aussagen eines einzigen „Kronzeugen“ namens Drazen Erdemovic, stellte Hartmann klar. Erdemovic habe als bosnischer Muslim auf Seiten der Serben gekämpft. Dabei gebe es die „verblüffende Situation“, dass kein einziger von ihm benannter angeblicher Mittäter verhaftet und befragt worden sei. Es handele sich um einen „merkwürdigen, gekauften Zeugen“. Als Slobodan Milosevic in seinem Verfahren 2003 Erdemovic befragen wollte, habe der vorsitzende Richter das untersagt.

Im Interview machte der Freidenker-Vorsitzende darauf aufmerksam, dass in die wiederholt genannte Gesamtzahl der Opfer anscheinend verschiedene Zahlen von Opfergruppen auf allen beteiligten Seiten von verschiedenen Kämpfen und Ereignissen zusammengerechnet wurden. Diesen Widersprüchen bei den Zahlen gehe bis heute niemand nach, beklagte Hartmann. Journalist Hofbauer findet die Frage wichtig, ob es sich wie behauptet um eine „willentliche Ausrottung“ gehandelt hat. Er machte dabei auf ein Problem aufmerksam: „Seit die Europäische Union mit einem Beschluss 2007 die Leugnung von Völkermord – und dabei war insbesondere Srebrenica gemeint – unter Strafe stellt, ist die offene Debatte darüber nicht möglich.“

Das sei für ihn kritikwürdig. Alle Beteiligten in dem bosnischen Bürgerkrieg von 1992 bis 1995 seien darauf aus gewesen, die jeweils andere Bevölkerung von ihren jeweiligen Gebieten zu vertreiben und auch zu vernichten. „Das ist kein Alleinstellungsmerkmal eines Bürgerkrieges.“ Für Hofbauer ist es „ungerecht, das nur einer Seite vorzuwerfen“. Niemand von der kroatischen, der bosnisch-muslimischen und auch der albanisch-kosovarischen Seite sei vor Gericht gestellt worden.

„Gericht im Auftrag der Nato und privater Finanziers“

Freidenker Hartmann bezeichnete das Tribunal in Den Haag als „voreingenommenes Gericht, das im Auftrag der Nato agiert“. Das bestätigte Hofbauer: „Das, was die Nato, Deutschland und die USA voran, in dem jugoslawischen Zerfallsprozess gemacht haben, nämlich sich auf eine Seite zu stellen, die immer antiserbisch war, das haben sie dann mit diesem Jugoslawien-Tribunal juristisch untermauert.“

Hartmann stellte fest: „Man kann einfach jedes Operettentribunal hier im Hinterzimmer einer Gaststätte gründen. Hauptsache ist, man platziert es in Den Haag und schon profitiert es vom Nimbus dieser Stadt, weil dort eine Reihe von internationalen legalen Gerichten tätig sind.“ Das Sondertribunal zu Jugoslawien sei ein „illegales Gericht“, weil es vom UN-Sicherheitsrat einberufen wurde. Das dürfe dieses Gremium laut UN-Charta aber überhaupt nicht, stellte Hartmann klar.

Nur die UN-Vollversammlung könne internationale Gerichte in Kraft setzen und begründen. Mit dem Sondertribunal seien rechtliche Grundsätze verletzt worden, auch durch sein einseitiges Vorgehen gegen die serbische Seite. Die Nato sei nicht nur Auftraggeber, sondern auch Nutznießer. Zudem dürften UN-Gremien nicht privat finanziert werden, was in diesem Fall aber geschehen sei. Auch die „Open Society Foundation“ von George Soros und die Rockefeller-Stiftung hätten dabei mitgemacht, erinnerte Hofbauer. Es sei die Frage, wie solche Quellen, die die Teilung Jugoslawiens unterstützten solch ein Tribunal mitfinanzieren können. Diese „Schieflage dokumentieren die Prozesse“, so der Journalist.

Für Hartman schreibt das Urteil gegen Mladic „Unrechts-Geschichte“, mit dem „die Kolonialgerichtsbarkeit der Nato über ungehorsame Staaten zum Vorbereiten ihrer Zerschlagung, Entmachtung und des Regime-Changes bekräftigt und beglaubigt“ werde. Der Freidenker-Vorsitzende hob hervor: „Es ist ein Bruch des Rechts und hat nichts zu tun mit den Nürnberger Kriegsverbrecherprozessen. Wer das in diese Reihe stellt, verharmlost den Faschismus in Deutschland.“

Tilo Gräser


Das Interview mit Klaus Hartmann, Freidenker-Verband, zum Nachhören: https://soundcloud.com/sna-radio/skandalurteil-gegen-mladic-illegales-tribunal-im-auftrag-der-nato






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L\'Italia sul risorgere del nazismo si astiene. Di nuovo.
 
1) Il ponziopilatismo UE e italiano sull’antinazismo (F. Poggi)
2) L’ONU adotta la risoluzione russa contro il nazismo, gli USA votano contro (TASS)
 
 
Sull\'episodio precedente di astensione dell\'Italia di fronte al neonazismo si vedano:
 
Quelli che non condannano il nazismo (di Giulietto Chiesa, 24 novembre 2014)
http://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giulietto-chiesa/52584-quelli-che-non-condannano-il-nazismo.html
 
Sulla neutralità (sic) dello Stato italiano in tema di nazismo (dic 2014)
 
Verso la Giornata della Memoria: la UE dalla parte dei nazisti (gen 2015)
 
 
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Il ponziopilatismo UE e italiano sull’antinazismo

 
di Fabrizio Poggi, 18 novembre 2017
 

Con il voto contrario di USA e Ucraina, il Terzo comitato dell’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione proposta da Russia e altri 49 Paesi, tra cui Bielorussia, Venezuela, Egitto, India, Kazakhstan, RPDC, Cuba, Serbia, Siria e Sud Africa, contro la eroicizzazione di nazismo, neonazismo e altre pratiche di discriminazione. 

La risoluzione esprime profonda preoccupazione per la celebrazione degli ex membri delle Waffen SS e “i continui tentativi di deturpare o distruggere i monumenti dedicati a quanti lottarono contro il nazismo durante la Seconda guerra mondiale”. Si lancia anche l’allarme sulla progressiva attività di raggrumanti neonazisti e “sul numero crescente di posizioni di rilievo occupate da rappresentanti di partiti razzisti o xenofobi in tutta una serie di assemblee legislative nazionali e locali”. 

A favore della risoluzione hanno votato 125 Paesi; tra i 51 astenuti: gli immancabili Paesi della UE, insieme a Turchia, Georgia, Australia e altri. La risoluzione verrà esaminata dall’Assemblea generale ONU il prossimo dicembre.

Chiarissimo il riferimento alla situazione dell’Ucraina golpista e non manca nemmeno quello, evidentemente, alla Polonia nazionalista, in cui da tempo si stanno distruggendo uno a uno i monumenti eretti ai caduti dell’Armata Rossa per la liberazione dal nazismo.

Intanto, Der Spiegel pubblica l’ennesimo allarme a proposito del battaglione neonazista ucraino “Azov”, lanciato alla “salvezza dell’Europa” e alla “sua nuova conquista”, con i propri ranghi rafforzati da neonazisti tedeschi e di altri Paesi europei. Secondo la rivista tedesca, il lavorio propagandistico svolto negli ultimi tre anni da “Azov” gli avrebbe assicurato la crescita da circa 850 agli attuali 2.500 membri. 

Discreto successo sembra aver avuto la campagna di reclutamento condotta lo scorso luglio in Germania: durante il festival Rechtsrock dell’estrema destra a Themar, in Turingia, cui hanno partecipato oltre seimila persone, “Azov” ha distribuito volantini con il richiamo a “entrare nelle file dei migliori” .

In aggiunta al servizio di Der Spiegel, Dmitrij Rodionov ricorda su Svobodnaja Pressa come lo scorso anno la polizia brasiliana avesse condotto un’operazione nello stato di Rio Grande do Sul contro reclutatori di “Azov” e neonazisti locali che si apprestavano a partire per il Donbass. Nel maggio scorso, addirittura la Camera dei rappresentanti del Congresso USA aveva proposto di vietare all’Ucraina di devolvere i fondi occidentali al battaglione neonazista e di proibire agli istruttori militari di addestrarne gli affiliati. Cosa, evidentemente, difficile da prendere sul serio, dato che da anni, molto prima ancora del golpe del febbraio 2014 – anzi: proprio in vista di tale svolta – istruttori non solo USA, ma anche di altri Paesi occidentali, stanno addestrando le forze dell’Ucraina golpista, compresi reparti di diversi battaglioni neonazisti, accusati di crimini di guerra anche da organizzazioni non certo “comuniste”, quali Human Rights Watch и Amnesty International.

E la “conquista dell’Europa” non è solo un’espressione figurata. Secondo il politologo Igor Šatrov, da quando “le operazioni nel Donbass si sono convertite per lo più in un conflitto di posizione, diversi elementi dei battaglioni, tra cui “Azov” si sono portati in Europa in cerca di nuove occasioni per mostrare il proprio “talento”, tanto che anche Der Spiegel è stata costretta a notarlo”. Purtroppo, continua Šatrov, in molti paesi europei “la retorica ufficiale incoraggia la diffusione dell’ideologia neofascista, con il ripetersi dell’idea di nazioni superiori ad altre, di sistemi sociali, economici e politici superiori ad altri ecc.”.

Per quanto riguarda specificamente il battaglione (ora reggimento) “Azov”, sorto dal programma “Patriota ucraino”, il politologo Eduard Popov ricorda come, già nel 2009, si diffondesse “la strategia di una confederazione di popoli centro-europei, formata da Ucraina, Bielorussia, stati baltici e balcanici e la successiva unione con i radicali dell’Europa occidentale, che a loro volta avrebbero preso il potere con “rivoluzioni nazionali”. Quando “Azov” guerreggiava nel Donbass” continua Popov, “lo si ignorava. Ora che gli adepti del “führer” Andrej Biletskij dilagano anche in Germania, i media tedeschi cominciano a preoccuparsi. E bisogna sottolineare che non si tratta di nazionalisti, bensì di aperti nazisti”.

Secondo Popov, gran parte dei reclutati da “Azov”, oltre che dalla Germania, proviene dai paesi scandinavi. Per quanto riguarda altri paesi europei, raggruppamenti di destra, ad esempio greci o cechi: è noto che si sono sempre espressi contro majdan. Sembra invece che un certo sostegno ad “Azov” venga dall’Italia. Nessuna meraviglia, in un paese in cui si inaugurano mausolei ai più feroci “eroi” del ventennio fascista, in cui amministrazioni socialfasciste intitolano strade e piazze agli esponenti moderni del neofascismo e neonazismo italico; in cui le massime autorità repubblicane firmano protocolli d’intesa con rappresentanti, come scritto ora nella risoluzione ONU, “di partiti razzisti o xenofobi” che occupano “posizioni di rilievo” in “assemblee legislative nazionali e locali”; un paese in cui partiti che legiferano e attuano oltreconfine pratiche da lager, hanno eliminato dalle proprie piattaforme – in modo conseguente, verrebbe da dire – ogni riferimento all’antifascismo.

Nessuna meraviglia nemmeno per un paese, l’Ucraina appunto, in cui la pratica neonazista è attuata contro la propria stessa popolazione e in cui, come riporta la rivista Luxembourg Herald, Marina Porošenko, consorte del golpista N° 1, riesce, tramite l’apparato presidenziale e la società “Ucraina forte”, a dirottare sui conti di compagnie offshore e imprese private la cosiddetta beneficienza internazionale per i bimbi ucraini orfani o invalidi.

Nel giro di pochissimi giorni, l’Italia è così riuscita a incamerare da parte dell’ONU una bacchettata diretta, per una politica che, nei deserti nordafricani, riecheggia in stile moderno strategie imperiali di funesta memoria e un’altra indiretta, per strette di mano e accordi ufficiali con gli eredi moderni degli scagnozzi del Drittes Reich. Avanti così…

 
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L\'ITALIA NUOVAMENTE ASTENUTA SUL DOCUMENTO ONU CONTRO IL NAZISMO
 
19 NOVEMBRE 2017
 
L’ONU adotta la risoluzione russa contro il nazismo, gli USA votano contro
 
 
 
Come l\'anno scorso, contro l\'adozione della risoluzione, hanno votato gli Stati Uniti e l\'Ucraina

ONU, 16 novembre/TASS/. Il terzo comitato dell\'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, giovedì ha maggioranza ha approvato la risoluzione presentata dalla Russia sulla lotta alla glorificazione del neonazismo e altri tipi di discriminazioni, respingendo l\'appello degli Stati Uniti di modificare sostanzialmente il testo del documento. Come l\'anno scorso, contro la risoluzione si sono espressi solamente due paesi: Stati Uniti ed Ucraina.
 
A sostegno del documento ricevuto, si sono espressi 125 paesi, fra cui Bielorussia, Venezuela, Egitto, India, Kazakistan, Corea del Nord, Cuba, Serbia, Siria e Sud africa. 51 i paesi astenuti, tra cui i membri dell\'Unione Europea (anche l’Italia ndt), Australia, Georgia e Turchia. I co-autori della risoluzione sono stati oltre 50 paesi.
 
Nella risoluzione dell’Assemblea generale ONU viene espressa la sua profonda preoccupazione \"in merito alla glorificazione in qualsiasi forma\" del movimento nazista e degli ex membri dell\'organizzazione \"Waffen SS\", anche attraverso la costruzione di loro memoriali ed anche attraverso \"incessanti tentativi di profanazione e distruzione di monumenti in memoria di chi ha lottato contro il nazismo nella Seconda guerra mondiale\". Inoltre, il documento richiama l\'attenzione sull\'attivazione di gruppi nazisti e \"l\'aumento del numero di seggi occupati da rappresentanti di partiti estremisti razzisti o xenofobi e della loro metamorfosi di un certo numero di parlamenti nazionali e locali\". In questa situazione l’Assemblea generale ha invitato i paesi \"a prendere misure concrete, tra cui leggi specifiche in materia di istruzione, al fine di evitare la revisione dei risultati della Seconda guerra mondiale e la negazione dei crimini contro l\'umanità e dei crimini di guerra commessi durante la Seconda guerra mondiale\".
 
Prima del voto la delegazione degli Stati Uniti aveva proposto di modificare il documento, rimuovendo una serie di disposizioni, tra cui il punto in cui si esprime preoccupazione per la sempre più frequente profanazione e distruzione di monumenti ai combattenti contro il nazismo. La proposta americana è stata respinta con una maggioranza schiacciante: a suo sostegno si sono espressi solamente Israele, Stati Uniti e Ucraina, mentre 81 Stati, tra cui i paesi dell\'Africa e dell\'America Latina, si sono espressi contro. Gli stati dell’Unione Europea (fra cui l’Italia ndt) al momento del voto si sono astenuti.
 
Come previsto nel prossimo dicembre la risoluzione sarà presa in esame nella sessione plenaria dell\'Assemblea Generale. L\'anno scorso un uguale documento era stato sostenuto da 136 paesi e contro si espressero solo gli Stati Uniti e l\'Ucraina. 48 paesi, tra cui Germania, Italia, Polonia, Francia e gli altri membri dell\'unione Europea al momento del voto si erano astenuti
 
Подробнее на ТАСС: http://tass.ru/mezhdunarodnaya-panorama/4736393
 
 
 

(deutsch / francais / english /  italiano.
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Ucraina/Crimea/Donbass: Strategia della tensione e terrorismo di Stato


1) EURO-MAJDAN: Parlano i cecchini assoldati per sparare sulla folla
– Il reportage di G. Micalessin (Matrix, 15.11.2017)
– Chaos säen (I – GFP 24.11.2017)
– Une étude universitaire montre que le massacre de Maidan était planifié par les putschistes (RV 2016)
– The “Snipers’ Massacre” on the Maidan in Ukraine, by Ivan Katchanovski (2016)
– and more...

2) CRIMEA: Infiltrazioni dall\'Ucraina per sabotare e spargere il terrore
– Ancora provocazioni in Crimea (PTV News 02.11.17)
– Terrorismo ucraino in Crimea e nel Donbass  (Contropiano, 10.11.2016)
– Sabotatore ucraino catturato in Crimea: \"Preparavamo atti di sabotaggio contro la Russia\" (ago 2016)
– Incursione ucraina in Crimea. Per Putin è “stupida e criminale” (F. Poggi, 11.8.2016)
– and more...

3) DONBASS: Chi sono i responsabili delle \"esecuzioni mirate\"? 
– I mandanti e le ragioni degli attentati terroristici contro i dirigenti della Repubblica Popolare di Donetsk
– Sabotatori ucraini confessano attentati terroristici nel Donbass (marzo 2017)
– Donbass. Chi piazza le bombe contro i comandanti di LNR e DNR? (F. Poggi, 9.2.2017)
– Ucciso il comandante Givi (febbraio 2017)
– Una squadra di sabotatori Ukrop intercettata e neutralizzata mentre tentava di infiltrarsi a Jalaboch
– Donetsk: ucciso in un attentato il comandante ‘Motorola’ (ottobre 2016)
– Terrorismo contro i civili a Donetsk e Lugansk, estate 2016
– Attentato al presidente della LNR Plotnitskij  (7.8.2016)
– Assassinio di Pavel Dremov, comandante dei cosacchi di Stachanov (12.12.2015)


=== 1: EURO-MAJDAN ===

Il massacro di Kiev [Majdan] guidato da agenti USA per fomentare il golpe antirusso (Fort Rus, 16 nov 2017)
Le confessioni di Revazishvilli e di altri due georgiani - raccolte da chi scrive nel documentario «Ucraina, le verità nascoste» andato in onda il 15 Novembre 2017 sul programma italiano Matrix, svelano ancora una volta quella verità che i mass media occidentali hanno per anni colpevolmente taciuto e nascosto. La verità di una strage ordita e attuata dalla stessa opposizione che accusò Yanukovich e i suoi alleati russi, una opposizione farlocca legata mani e piedi ai servizi di intelligence USA. Revazishvilli e i suoi due compagni - incontrati e intervistati nel documentario - sono un ex membro dei servizi di sicurezza dell\'ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili e due ex militanti del suo stesso partito. Ingaggiati a Tbilisi da Mamuka Mamulashvili consigliere militare di Saakashvili vengono incaricati di appoggiare - assieme ad altri “volontari” georgiani e lituani - le dimostrazioni in corso a Kiev in cambio di un compenso finale di 5mila dollari a testa...

La versione dei cecchini sulla strage di Kiev: «Ordini dall\'opposizione» (Gian Micalessin - Mer, 15/11/2017)
Nel 2014 in Ucraina morirono 80 persone. Le accuse contro il fronte anti Yanukovich
http://www.ilgiornale.it/news/politica/versione-dei-cecchini-sulla-strage-kiev-ordini-1463409.html

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Chaos säen (I)

24.11.2017

KIEW/BERLIN(Eigener Bericht) - Vier Jahre nach dem Beginn der Maidan-Proteste werden schwere Vorwürfe gegen führende Aktivisten der damaligen prowestlichen Regierungsgegner laut. Demnach sind die Scharfschützen-Morde, die am 20. Februar ein Massaker auf dem Maidan auslösten, von der damaligen Opposition in Auftrag gegeben und mit praktischer Hilfe vorbereitet worden. Dies berichten drei Georgier, die sich selbst der Tatbeteiligung bezichtigen, gegenüber italienischen Medien. Ihre Aussagen bestätigen frühere, zum Teil öffentlich getätigte Geständnisse weiterer Scharfschützen. Während die ukrainischen Behörden untätig bleiben, ist in dieser Woche der vierte Jahrestag des Protestbeginns in Kiew begangen worden - in einem Land, dessen Bevölkerung sich einer Umfrage zufolge zu mehr als drei Vierteln in Zerfall und Chaos versinken sieht. Die Macht der ukrainischen Oligarchen ist ungebrochen; die Korruption nimmt überhand. Lediglich antirussische Maßnahmen werden mit Erfolg exekutiert, darunter auch solche, die massive Einschränkungen der Pressefreiheit mit sich bringen.

Die Macht der Oligarchen

Vier Jahre nach dem Beginn der Maidan-Proteste am 21. November 2013 dauern die Missstände, die damals zu den Auslösern der Demonstrationen zählten, in der prowestlich gewendeten Ukraine an. Dies gilt unter anderem für die ungebrochene Macht der ukrainischen Oligarchen. Bereits vor einem Jahr stellten Experten fest, dass sich zwar Verschiebungen zwischen den unterschiedlichen Oligarchenfraktionen vollzogen hatten (german-foreign-policy.com berichtete [1]). Das ändere jedoch, hieß es, nichts daran, dass sie weiterhin die Kiewer Politik in hohem Maß unter Kontrolle hätten. Aktuelle Untersuchungen bestätigen das. In den vergangenen zwei Jahrzehnten habe sich gezeigt, \"dass die periodischen politischen Regimewechsel in der Ukraine nur eine begrenzte Wirkung auf das oligarchische System gehabt\" hätten, urteilen etwa die Autoren einer Analyse der Swedish International Development Cooperation Agency (Sida). Auch nach dem Umsturz vom Februar 2014 beherrschten Oligarchen \"strategische Wirtschaftszweige\"; so kontrollierten sie - nur ein Beispiel - rund 80 Prozent des Fernsehmarkts.[2] Bei dem Brüsseler Think-Tank Bruegel heißt es ebenfalls, nach dem Umsturz habe sich \"nicht viel geändert\"; der Einfluss mancher Oligarchen habe sich sogar noch verstärkt.[3] In der Tat lenkt seit 2014 mit Petro Poroschenko ein Oligarch ganz offiziell die Geschicke des Landes - als Staatspräsident.

Korruption und Fake News

Entsprechend hält die Korruption auf hohem Niveau an. Erst kürzlich ist - beispielsweise - ein Fall bekannt geworden, bei dem der Sohn von Innenminister Arsen Awakow Rucksäcke an die Armee verkaufte - für das Sechsfache des üblichen Preises. Von einem Schaden in einer sechsstelligen Euro-Höhe war die Rede. Als das Nationale Antikorruptionsbüro die Wohnung des Mannes durchsuchte, schritt die dem Innenminister unterstehende Nationalgarde ein und stoppte die Maßnahme - unter dem Vorwand, eine Bombendrohung für das Haus erhalten zu haben und nun die Wohnung räumen zu müssen.[4] Der Fall war im Vergleich zu anderen geringfügig. Mit scharfer Kritik meldet sich immer wieder Sergej Leschtschenko zu Wort, ein überzeugter Befürworter des Umsturzes, der von 2000 bis 2014 als investigativer Journalist für die prowestliche Tageszeitung Ukrainska Prawda arbeitete, sich danach ins ukrainische Parlament wählen ließ und dort dem Antikorruptionskomitee angehört. Im Parlament, berichtet Leschtschenko, \"liegt die Korruption in der Luft\"; das werde bei Abstimmungen über den Haushalt besonders deutlich: Dann dauerten \"die Parlamentssitzungen ... bis fünf Uhr morgens, weil die korrupten Interessen aller politischen Einflusszentren befriedigt werden müssen\".[5] Leschtschenko zufolge wird nicht nur die Generalstaatsanwaltschaft vom Präsidenten persönlich kontrolliert, sondern auch der Geheimdienst, der \"zivilgesellschaftliche Aktivisten, unabhängige Journalisten und Oppositionspolitiker\" überwacht und \"bei der Regelung von Unternehmenskonflikten\" eingreift. Ergänzend ist zur Diskreditierung von Kritikern unter anderem \"eine ukrainische Trollfabrik\" eingerichtet worden - \"ein Zentrum zur Produktion von fiktiven Internetnutzern und Fake-News für Informationsattacken gegen Regimegegner\".

Zerfall und Chaos

Oligarchenherrschaft und Korruption in unverändert desaströser sozialer und wirtschaftlicher Lage schlagen sich mittlerweile ganz erheblich auf die Stimmung in der ukrainischen Bevölkerung nieder. So sind lediglich 17 Prozent aller Ukrainer der Auffassung, im Land finde eine - wie auch immer zu definierende - \"Konsolidierung\" statt. 75 Prozent hingegen beschreiben die aktuelle Entwicklung als \"Zerfall\", während 85 Prozent die Lage schlichtweg als \"Chaos\" bezeichnen. 69 Prozent geben sich überzeugt, landesweite Proteste gegen die prowestliche Regierung seien ohne weiteres denkbar.[6] Die Zustimmung zur Amtsführung von Präsident Poroschenko ist dramatisch abgestürzt: Sie liegt aktuell nach verschiedenen Umfragen bei zwei bis sechs Prozent.[7]

Angriff auf die Pressefreiheit

Dabei bringt die ukrainische Regierung nicht nur mit ihrer Korruption, sondern auch mit so manchem antirussischen Exzess sogar ausländische Maidan-Sympathisanten gegen sich auf. So führte etwa die im Mai gefällte Entscheidung von Präsident Poroschenko, nicht nur russischen Fernsehsendern die Lizenzen in der Ukraine zu entziehen, sondern auch populäre russische soziale Netzwerke wie VKontakte (\"im Kontakt\") und Odnoklassniki (\"Klassenkameraden\") sowie den E-Mail-Provider mail.ru zu sperren, zu empörten Protesten: Die Menschenrechtsorganisation Human Rights Watch kritisierte die Maßnahme als \"zynische, politisch kalkulierte Attacke auf das Informationsrecht von Millionen von Ukrainern\"; Reporter ohne Grenzen klagte, es handle sich um einen \"nicht hinnehmbare[n] Angriff auf die Meinungs- und Pressefreiheit\".[8] Kiew hat zudem vor kurzem ein neues Sprachengesetz verabschiedet, das den Gebrauch von Minderheitensprachen im Land empfindlich einschränkt. Vor allem trifft dies die russischsprachige Minderheit, die auch nach der Abspaltung der Krim und von Teilen der Ostukraine noch recht zahlenstark ist. Weil die Maßnahme allerdings unter anderem auch die ungarischsprachige Minderheit in der Ukraine trifft, hat die ungarische Regierung angekündigt, Kiews Annäherung an die EU und die NATO bis zur Rücknahme des Gesetzes zu blockieren.

Im Auftrag prowestlicher Kräfte

Während die politischen Spitzen der prowestlich gewendeten Ukraine in dieser Woche feierlich den vierten Jahrestag des Beginns der Maidan-Demonstrationen begangen haben, sind neue Berichte bekannt geworden, denen zufolge das Kiewer Blutbad am 20. Februar 2014, das den letzten Anstoß zur Eskalation der Proteste sowie zum Sturz der Regierung Janukowitsch gab, von Scharfschützen-Morden im Auftrag von Regierungsgegnern ausgelöst wurde. Einer der Scharfschützen hatte dies schon im Februar 2015 eingeräumt und damit bestätigt, was sich bereits wenige Tage nach dem Blutbad in Kiew herumgesprochen hatte: Der estnische Außenminister Urmas Paet hatte gegenüber der EU-Chefaußenpolitikerin Catherine Ashton Anfang März 2014 in einem mitgeschnittenen Telefongespräch berichtet, der Verdacht mache die Runde, \"jemand aus der neuen Koalition\" in der ukrainischen Hauptstadt könne die Scharfschützen-Morde in Auftrag gegeben haben (german-foreign-policy.com berichtete [9]). Im Februar 2016 hat sich der Maidan-Aktivist Iwan Bubentschik dazu bekannt, im Verlauf des Massakers ukrainische Polizisten erschossen zu haben. Bubentschik bestätigte dies in einem Film, der internationale Beachtung fand.[10]

\"Wahllos schießen\"

In der vergangenen Woche haben nun ein Bericht in der italienischen Tageszeitung Il Giornale und eine Reportage des TV-Senders Canale 5 weitere Details enthüllt. Darin berichten drei Georgier, an jenem Tag ebenfalls als Scharfschützen eingesetzt worden zu sein - im Auftrag der damaligen Regierungsgegner. Demnach sei ihnen explizit befohlen worden, sowohl auf Polizisten als auch auf Demonstranten zu schießen - um \"Chaos zu säen\".[11] Trifft das zu, dann bricht die offizielle, auch von Berlin vertretene Behauptung, die ukrainischen Repressionskräfte hätten das Massaker am 20. Februar gezielt gestartet, in sich zusammen. Schwer wiegt zudem, dass die drei laut Eigenaussage tatbeteiligten Georgier nicht nur sich selbst schwer belasten; ihre Aussagen begründen zudem einen gravierenden Verdacht gegen teils einflussreiche Politiker in der heutigen, prowestlich gewendeten Ukraine. german-foreign-policy.com berichtet in Kürze.

 

[1] S. dazu Zauberlehrlinge (III).

[2] Wojciech Konończuk, Denis Cenușa, Kornely Kakachia: Oligarchs in Ukraine, Moldova and Georgia as key obstacles to reforms. Swedish International Development Cooperation Agency 24.05.2017.

[3] Marek Dabrowski: Ukraine\'s oligarchs are bad for democracy and economic reform. bruegel.org 03.10.2017.

[4] Reinhard Lauterbach: Solide zerstritten. junge Welt 04.11.2017.

[5] Sergej Leschtschenko: Markenzeichen Korruption. zeit.de 05.05.2017. S. auch Das korrupteste Land in Europa.

[6] Umfragen zur Entwicklung der sozialen Lage und zur Proteststimmung in der Bevölkerung. In: Ukraine-Analysen Nr. 191, 15.11.2017.

[7] Reinhard Lauterbach: Solide zerstritten. junge Welt 04.11.2017.

[8] Zitiert nach: Steffen Halling: Kritiklos heraus aus dem Netz des Feindes? In: Ukraine-Analysen Nr. 186, 14.06.2017. S. 2f.

[9] S. dazu Die Kiewer Eskalationsstrategie und Von Račak zum Majdan.

[10] Katya Gorchinskaya: He Killed for the Maidan. foreignpolicy.com 26.02.2016.

[11] Gian Micalessin: La versione dei cecchini sulla strage di Kiev: \"Ordini dall\'opposizione\". ilgiornale.it 15.11.2017.


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Kiev: due anni dopo confessano i cecchini neonazisti di euromajdan (di Fabrizio Poggi, 20 Febbraio 2016)
... Il 20 febbraio 2016, mentre qualcuno degli “attivisti” di due anni fa, ricorda, con macabra dovizia di particolari, come avesse fatto fuoco sugli agenti indifesi (quelli che vari media occidentali definirono i “feroci mastini” di Janukovič), sparando loro alla nuca con fucili di precisione, alcune centinaia di manifestanti sono tornati sul Kreščatik, la via principale di Kiev. Del resto, la verità su chi fossero i cecchini che quel giorno avevano sparato sia sugli agenti che sulla folla, non era rimasta a lungo nascosta. I “bravi” non avevano tardato a prendersi il merito delle fucilate e già il 26 febbraio 2014, di ritorno da Kiev, l\'allora Ministro degli esteri estone Urmas Paet, in una conversazione telefonica con l\'ex responsabile degli affari esteri UE, Catherine Ashton, le raccontava come i cecchini di euromajdan fossero collegati ai caporioni della rivolta...

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Une étude universitaire montre que le massacre de Maidan était planifié par les putschistes

RÉSEAU VOLTAIRE | 12 JANVIER 2016 

Ivan Katchanovski, professeur de sciences politiques à l’université d’Ottawa, a réalisé une étude sur le massacre perpétré par des snipers sur la place Maidan de Kiev, en février 2014.
Ce document, issu d’une présentation faite à l’Association américaine de sciences politique, à San Franciso en septembre 2015, est la première étude académique sur cet évenement.
Il utilise la théorie du choix rationnel et la théorie wébérienne de la rationalité instrumentale pour examiner les actions des principaux acteurs à la fois du gouvernement Ianoukovitch, spécifiquement de divers services de police et des forces de sécurité, et de l’opposition, en particulier des éléments d’extrême droite et oligarchiques, pendant le massacre.
Le document analyse une grande quantité de matériaux provenant de différentes sources disponibles : environ 1 500 vidéos et enregistrements provenant d’internet et de la télévision de différents pays (environ 150 gigaoctets), les bulletins et les messages des médias sociaux d’une centaine de journalistes couvrant le massacre de Kiev, quelque 5 000 photos, et près de 30 gigaoctets d’interceptions radio des tireurs d’élite et des commandants de l’unité Alfa du Service de sécurité de l’Ukraine et de troupes du ministère de l’Intérieur, enfin les enregistrements des procès du massacre. Cette étude s’appuie également sur des recherches sur le terrain sur le site du massacre, des rapports de témoins des deux camps, des commandants des unités spéciales, des déclarations faites par les fonctionnaires anciens et actuels du gouvernement, les estimations des approximatives balistiques trajectoires, les balles et les armes utilisées, et les types de blessures dans les deux camps. Cette étude établit un calendrier précis pour divers événements du massacre, les emplacements des tireurs, et le calendrier précis et les lieux de la mort de près de 50 manifestants.
Cette enquête universitaire conclut que le massacre était une opération sous fausse bannière, qui était rationnellement planifié et exécuté, ayant pour but le renversement du gouvernement et la prise du pouvoir.
Ivan Katchanovski enseigne à l’École d’études politiques de l’université d’Ottawa. Il a été chercheur invité au Centre Davis d’études russes et eurasiennes de l’université de Harvard, professeur adjoint invité au département de sciences politiques à l’université d’État de New York à Potsdam, stagiaire post-doctoral au département de science politique à l’université de Toronto et Kluge postdoctoral au Centre Kluge à la Bibliothèque du Congrès.

DOWNLOAD: The “Snipers’ Massacre” on the Maidan in Ukraine, by Ivan Katchanovski (PDF - 1.9 Mo)

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IL MASSACRO DI MAIDAN - Esclusiva traduzione italiana dal russo (byoblu, 12 ago 2015)
La giustizia Ucraina ha già trovato i colpevoli di quello che ormai viene ricordato con il nome di Maidan: il massacro di piazza Maidan. Il documentario che vi mostriamo però vuole focalizzare l’attenzione su ciò che non è stato preso in considerazione dagli investigatori e che non è stato detto dai media. Chi ha davvero ucciso oltre 50 persone il 20 febbraio 2014, nella piazza principale di Kiev?...

Maidan Massacre (by John Beck-Hofmann, 14.2.2015)
English version of documentary investigation into the shootings which occurred February 20, 2014 in Kiev’s Independence Square, also known as “Maidan”. Directed by John Beck-Hofmann. The film clearly shows forces – US sponsored and trained foreign forces sniping at protesters...

The untold story of the Maidan massacre (By Gabriel Gatehouse - BBC News, 12 February 2015)
A day of bloodshed on Kiev\'s main square, nearly a year ago, marked the end of a winter of protest against the government of president Viktor Yanukovych, who soon afterwards fled the country. More than 50 protesters and three policemen died. But how did the shooting begin? Protest organisers have always denied any involvement - but one man told the BBC a different story...

L\'altra verità su piazza Maidan: cecchini ucraini arruolati per portare il paese alla guerra civile (di Matteo Carnieletto - Ven, 13/02/2015)
Alcuni uomini vicini al movimento di piazza Maidan avrebbero fornito armi ai cecchini affinché cominciassero a sparare sulla polizia e sui manifestanti per far crescere la tensione in Ucraina...
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/laltra-verit-su-piazza-maidan-cecchini-ucraini-arruolati-1093489.html

Maidan, i cecchini c\'erano, ma erano filogovernativi (di Matteo Carnieletto - Gio, 05/02/2015)
Durante la rivolta di piazza Maidan, degli uomini vicini al governo avrebbero sparato contro i manifestanti per incrementare l\'odio contro i russi...
VIDEO: I cecchini governativi di piazza Maidan / 
VIDEO: Ucraina, Nato: \"Pronti a intervenire militarmente\"

Ecco chi erano i cecchini di Maidan: dovevano uccidere poliziotti e manifestanti per creare il caos (Pandora TV, 30/01/2015)
L’inchiesta è stata insabbiata. Non c’è ancora risposta ufficiale su chi fossero i cecchini che il 20 febbraio 2014 a Maidan hanno ucciso 14 poliziotti, 45 manifestanti e ferito circa 85 persone. In realtà è sempre più forte il sospetto che nel bagno di sangue del 20 febbraio in piazza Maidan fossero coinvolti individui, che avevano l’ordine di sparare per uccidere su manifestanti e poliziotti con l’obiettivo di creare il caos...

Ukraine: Secretive Neo-Nazi Military Organization Involved in Euromaidan sniper shootings (by F. William Engdahl 22.11.2014) 


=== 2: CRIMEA ===

Ancora provocazioni in Crimea (PTV News 02.11.17)

Кадры с задержанным в Крыму украинским диверсантом (10.8.2016)

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Terrorismo ucraino in Crimea e nel Donbass  (di Redazione Contropiano / FP – 10 novembre 2016)

Il FSB, i servizi di sicurezza russi, hanno comunicato questa mattina l\'arresto di un gruppo di sabotatori ucraini in Crimea, trovati in possesso di materiale esplosivo, armi, munizionamento e mappe di possibili obiettivi, civili e militari e in procinto di compiere attentati  nell\'area di Sebastopoli. Nel pomeriggio, il GRU (l\'intelligence) del Ministero della difesa ucraino ha negato che propri sabotatori siano stati sorpresi in Crimea.
La Tass scrive che, a partire dal marzo 2014, si sono registrati in Russia una decina di arresti di agenti e sabotatori, ucraini, russi e di altri paesi europei. Alcuni di essi, bloccati e condannati, sono stati successivamente graziati e scambiati con cittadini ucraini, rinchiusi nelle prigioni golpiste perché accusati di separatismo; altri cittadini ucraini, accusati di spionaggio militare, sono stati semplicemente espulsi e privati del diritto di entrare in Russia. Fino allo scorso agosto (un altro caso si era verificato a inizio ottobre) comunque, si era trattato quasi esclusivamente di attività di spionaggio o di tentativi di carpire segreti militari. Il 7 agosto scorso era stato invece sventato un tentativo terroristico da parte di un gruppo di sabotatori ucraini, sorpresi nei pressi di Armjansk, all\'estremo nord della Crimea, nelle immediate vicinanze del confine ucraino. Nel conflitto a fuoco che aveva preceduto l\'arresto dei sabotatori, un agente del FSB e un militare russo erano rimasti uccisi.
Che Kiev abbia scelto la strada delle incursioni di gruppi terroristici lo testimoniano anche le ultime azioni compiute nel Donbass, a partire dai ripetuti attentati, per fortuna finora falliti, contro i leader di DNR e LNR, Aleksandr Zakharčenko e Igor Plotnitskij e il più tragico e più recente, andato purtroppo a segno, contro il comandante della brigata “Sparta”, Arsenij Pavlov, \'Motorola\', il 16 ottobre scorso. A proposito di quest\'ultimo atto terroristico, proprio oggi Aleksandr Zakharčenko ha accusato pubblicamente Vitalij Marikov, che cura le attività ucraine di diversione e spionaggio nel Donbass, di essere coinvolto nell\'assassinio. “Siamo in possesso della lista completa dei nomi dei responsabili”, ha detto Zakharčenko, che si è però limitato a rendere pubblico solo un altro nome, quello del capo dei Servizi di sicurezza ucraini per la regione di Donetsk (la parte controllata dai golpisti), Aleksandr Kuts.

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Sabotatore ucraino catturato in Crimea: \"Preparavamo atti di sabotaggio contro la Russia\" (Fort Rus, 28 ago 2016)
Lo scorso 8 Agosto i servizi di sicurezza della Federazione Russa hanno arrestato in Crimea un gruppo di sabotatori mandati dal Ministero della Difesa del regime ucraino per compiere atti di terrorismo nella penisola russa. Uno degli arrestati è Evgeny Panov, proveniente da Energodar (Zaporozhye), nel sud dell\'Ucraina. Nell\'interrogatorio, Panov parla degli ordini di compiere atti terroristici ricevuti a Kiev. Ricordiamo che durante il tentativo di irruzione sono morti due soldati russi...

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Incursione ucraina in Crimea. Per Putin è “stupida e criminale”

di Fabrizio Poggi, 11.8.2016

“La Russia non lascerà senza risposta l’uccisione di propri militari e ricorrerà a misure di sicurezza supplementari”: raramente alle parole di Vladimir Putin non sono seguiti fatti e questa volta, c’è da scommetterci, non passerà molto tempo tra le dichiarazioni e le azioni. “Noi non passeremo sopra a tali cose”, ha detto il presidente russo.

La notizia è di ieri: nella notte dal 6 al 7 agosto, nella zona di Armjansk (pochissimi km dal confine con la regione ucraina di Kherson) elementi di reparti speciali dell’intelligence militare ucraina hanno tentato di penetrare in Crimea, per mettervi a segno alcune azioni di sabotaggio contro infrastrutture e di terrorismo nei centri turistici della penisola. L’incursione, secondo Interfax, è stata coperta da un fitto fuoco proveniente dal territorio ucraino e da mezzi blindati di Kiev. Secondo un comunicato emesso ieri dal Servizio di sicurezza russo (FSB), nuovi tentativi di incursione sarebbero stati intrapresi da reparti ucraini nella notte dal 7 al 8 agosto. Nello scongiurare l’azione, nel conflitto a fuoco con gli incursori ucraini, un agente del FSB e un militare del Ministero della difesa sono rimasti uccisi. Gli incursori ucraini sarebbero stati neutralizzati mentre portavano materiale esplosivo per un equivalente di 40 kg di tritolo, munizionamento e armi dei reparti speciali ucraini. Questa mattina, secondo il servizio stampa del Cremlino, Putin ha tenuto una riunione operativa del Consiglio di Sicurezza, per discutere “ulteriori misure a garanzia della sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture vitali della Crimea. Sono state esaminate dettagliatamente le misure di sicurezza anti-terrorismo sui confini terrestre, marino e dello spazio aereo della Crimea”.

“Vorrei rivolgermi ai nostri partner americani e europei” aveva dichiarato ieri Putin; “credo sia evidente a tutti, che l’attuale leadership di Kiev non cerca la soluzione dei problemi al tavolo delle trattative, ma passa al terrore. E’ una cosa molto preoccupante. A prima vista, sembrerebbe un’azione stupida e criminale. Stupida, perché non può influire positivamente sugli abitanti della Crimea e criminale, perché sono morte delle persone. Ma io penso che la situazione sia ancora più preoccupante, perché l’atto non ha altro senso che quello di distrarre l’attenzione del proprio popolo dalla drammatica situazione economica, dalla dolorosa situazione di un gran numero di cittadini”. Secondo Vladimir Vladimirovič, il tentativo di provocare uno scoppio di violenza e il conflitto aperto serve a “sviare l’attenzione della società da quelle persone che continuano a depredare il proprio popolo per mantenersi più a lungo possibile al potere”.

Da parte sua, proprio il presidente golpista ha definito le accuse russe “insensate e ciniche”, è tornato ad accusare la Russia di presenza nel Donbass e ha proclamato che “l’Ucraina condanna fermamente il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni e, di conseguenza, respinge l’utilizzo di qualsiasi azione terroristica per fermare l’occupazione della Crimea. L’Ucraina si attiene al ripristino della propria integrità territoriale e sovranità, tra cui la fine dell’occupazione della Crimea, unicamente con mezzi politico-diplomatici”, ha giurato di fronte al mondo Petro Porošenko, come se nessuno ricordasse i legami tra il medžlis dei tatari di Crimea e i terroristi dei “Lupi grigi” turchi e i loro tentativi di portare attacchi armati alla penisola, oppure il blocco dei trasporti organizzato da Pravyj Sektor sul lato ucraino del confine o gli embarghi energetici proclamati direttamente dal governo di Kiev ai danni della Crimea.

Così, per non apparire troppo sulla difensiva, in riferimento alle accuse di terrorismo, Kiev si è rivolta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, riportando le dichiarazioni di Petro Porošenko. Il Ministero degli esteri ucraino ha definito l’arresto dei sabotatori ucraini “una provocazione organizzata dal Cremlino” e ha respinto “come infondate tutte le accuse”. Il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza Aleksandr Turčinov – colui che, in qualità di presidente ad interim ucraino e comandante in capo delle forze armate dal 23 febbraio al 7 giugno 2014, diede inizio all’attacco al Donbass – ha detto che “Le dichiarazioni di Putin secondo cui l’Ucraina ha iniziato il terrore contro la Russia e che i russi non ce lo perdoneranno, testimoniano del fatto che la Russia si prepara metodicamente all’inasprimento della situazione e al fallimento degli accordi di Minsk”.

Per contro, ha detto ieri Putin nel corso della conferenza stampa conclusiva dell’incontro col presidente armeno Serž Sargsjan, alla luce degli avvenimenti, “appare privo di senso un incontro del “quartetto normanno” – Merkel, Hollande, Putin e Porošenko; inizialmente ipotizzato a lato del prossimo G20 in Cina – “perché, a quanto pare, le persone che a suo tempo hanno preso il potere a Kiev e continuano a tenerlo, invece di cercare i mezzi per soluzioni pacifiche, sono passati alla pratica del terrore”.

Putin ha fatto appello ai paesi che sostengono Kiev, perché facciano pressione per arrivare a un autentico processo di pace.

Difficile per Kiev, in questa situazione, almeno sul momento e in maniera scoperta, anche contare sul sostegno diretto di Ankara, mai mancato in altre occasioni e anche con mezzi militari: la Turchia nei giorni scorsi ha infatti accusato Kiev di essere implicata nell’organizzazione del fallito colpo di stato, per il fatto che in Ucraina operano scuole legate al predicatore islamico Fethullah Gülen.

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Russian FSB foils terrorist attacks plotted by Ukrainian intel agents in Crimea (RT, 10 Aug, 2016)
... A group of infiltrators was discovered near the town of Armyansk in northern Crimea near the Ukrainian border in a special FSB operation over the weekend, the agency said, adding that fire was exchanged as the terrorists were being apprehended...

‘Kiev has turned to terrorism’: Putin on foiled sabotage plot in Crimea (RT, 10 Aug, 2016)
... Given that the Main Directorate of Intelligence of the Ministry of Defense of Ukraine (HUR MOU) was allegedly behind the thwarted terrorist attacks in Crimea, it is “pointless” to meet with Ukraine’s current authorities to seek a solution to the country’s crisis, Putin said...


=== 3: DONBASS ===


I mandanti e le ragioni degli attentati terroristici contro i dirigenti della Repubblica Popolare di Donetsk

di Kazbek K. Taysaev*
6 Ottobre 2017, da kprf.ruTraduzione dal russo di Mauro Gemma

Ancora pochi giorni fa, nella Repubblica Popolare di Donetsk ha avuto luogo una serie di attentati terroristici. Due esplosioni hanno sconvolto il centro di Donetsk, nel quartiere Prospekt Mira. Un\'altra esplosione vicino al Boulevard Shevchenko è stata provocata da un dispositivo mobile che ha fatto impazzire gli allarme antifurto di diversi locali vicini al luogo dello scoppio. Fortunatamente non ci sono stati feriti.

Ma un altro incidente si era verificato pochi giorni prima nel centro della città, dove sabotatori hanno fatto saltare in aria l\'automobile del ministro delle entrate e delle imposte della Repubblica Popolare di Donetsk (DNR) Aleksandr Timofeev. Secondo i primi dati dell\'inchiesta, sotto l\'automobile era stato collocato un dispositivo esplosivo azionato a distanza. Forse si è trattato di una mina anti-uomo del tipo di quelle dei tempi dell\'URSS. E\' stato anche riferito che, in conseguenza dell\'attentato terroristico, otto persone sono rimaste ferite.

Il governo della DNR ha confermato ufficialmente l\'attacco al ministro: “In conseguenza del sabotaggio è stata fatta saltare l\'auto del vice-premier, ma Alexandr Timofeev è sopravvissuto. Al momento la sua salute e la sua vita non sono minacciate. Poco dopo l\'incidente il vice-premier ha compiuto una visita di lavoro in una serra della DNR”.

I media della vicina Ucraina, mentendo, hanno riferito che il funzionario si trova in rianimazione, in condizioni critiche.

Ma è stato lo stesso Aleksandr Timofeev a smentire tale manovra disinformativa, intervenendo lo stesso giorno alla televisione locale. Invitato a parlare della sicurezza degli approvvigionamenti della repubblica e dei piani per il suo sviluppo economico, il ministro ha affrontato anche la questione dell\'attentato nei suoi confronti.

In particolare, egli ha dichiarato che l\'Ucraina, in quanto tale, ha già da tempo smesso di esistere, se non come “territorio del terrore”. Secondo lui, i metodi usati nella guerra contro i civili da parte delle forze di sicurezza ucraine sono simili a quelli utilizzati oggi in Russia dall\'organizzazione terroristica proibita “Stato Islamico”: esplosioni, sabotaggi e tentativi di avvelenamento.

Non è difficile immaginare chi stia dietro a questi attentati terroristici. Li ha chiamati in causa lo stesso ministro che ha subito l\'attentato alla sua auto. A suo parere, ciò è opera di un gruppo di sabotatori ucraino. E infatti, nella DNR per simili episodi è già in carcere un intero gruppo di sabotatori ucraini formato da sei persone.

Prima dell\'ultimo episodio i gruppi di sabotatori ucraini si e

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OTTOBRE / 3: 

Liberazione nazionale, liberazione della donna

Fonte: Gramsci Oggi, numero speciale (Nov. 2017) dedicato al Centenario
http://www.gramscioggi.org/index_file/Gramsci%20oggi-004-2017.pdf

1) La Rivoluzione d\'Ottobre e i movimenti di liberazione nazionale – di Spartaco A. Puttini

2) 1917-2017: Donne e famiglia nella russia bolscevica  – di Cristina Carpinelli

Ricordiamo che alla nostra pagina https://www.cnj.it/INIZIATIVE/1917.htm è riportata una rassegna di documenti fondamentali assieme al calendario delle iniziative promosse nel centenario della Rivoluzione d\'Ottobre


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Fonte: Gramsci Oggi, numero speciale (Nov. 2017) dedicato al Centenario

La Rivoluzione d\'Ottobre e i movimenti di liberazione nazionale

di Spartaco A. Puttini

A un secolo dall’assalto al palazzo d’Inverno cosa resta dell’Ottobre?

Cosa resta della rivoluzione russa, dopo il crollo dell’URSS e la dissoluzione del campo socialista? Dopo il collasso dei sistemi politici novecenteschi e la fine del compromesso tra capitale e lavoro che ha caratterizzato la seconda metà del XX secolo, in seguito alla vittoria sovietica nella seconda guerra mondiale e all’ombra della competizione bipolare?

A un primo sguardo sommario una risposta potrebbe essere “non molto”. Eppure molte delle conquiste che sono scaturite dal ’17, secondo un processo tortuoso e mai rettilineo, continuano a interessare il nostro mondo.

Una su tutte: il risveglio dei molti Sud del pianeta dalla colonizzazione di cui sono stati vittime nel ciclo storico imperialistico precedente la rivoluzione del ’17.

Come ha scritto lo storico britannico Geoffrey Barraclough, “Quando la storia della prima metà del ventesimo secolo […] verrà scritta in una più ampia prospettiva, è difficile che un solo tema si riveli più importante della rivolta contro l’Occidente”1.

La condanna delle spedizioni militari nei paesi africani e asiatici e la condanna dei crimini e delle repressioni compiute dalle truppe coloniali oltremare erano già oggetto di attenzione da parte dei partiti socialisti della II Internazionale. L’agitazione di queste forze era per lo più incline a sottolineare il valore dell’antimilitarismo, tradotto nello slogan: “più burro, meno cannoni”. Ma i socialdemocratici non erano mai arrivati a comprendere fino in fondo la causa dei popoli oppressi e il legame che correva tra la loro liberazione e l’emancipazione delle classi lavoratrici nelle metropoli imperialiste. Non senza scopi polemici un pamphlet del Partito comunista francese, risalente all’incirca al 1927 ed indirizzato ai militanti e ai quadri di partito per spiegare loro l’importanza della questione nazionale e coloniale, così stigmatizzava la posizione della II Internazionale in merito:

“[la questione nazionale] era allora limitata quasi esclusivamente alla questione dell’oppressione delle nazioni ‘civili’. Irlandesi, ungheresi, polacchi, finlandesi, serbi: questi erano i principali popoli più o meno asserviti le cui sorti interessavano la II Internazionale. Quanto ai milioni di asiatici, ed africani, schiacciati sotto il giogo più brutale, quasi nessuno se ne preoccupava. Sembrava impossibile mettere sullo stesso piano i bianchi e i neri. I ‘civili’ e i ‘selvaggi’. L’azione della II Internazionale in favore delle colonie si limitava a rare e vaghe risoluzioni dove la questione dell’emancipazione delle colonie era cautamente evitata”2.

Lenin, con la sua analisi dell’imperialismo, lega indissolubilmente il problema della liberazione dei popoli oppressi (includendovi i popoli colonizzati) con la lotta del proletariato nelle metropoli. Questione nazionale e questione coloniale vengono così fuse. Da allora la questione nazionale e la categoria di imperialismo entrarono a far parte della più ampia visione dell’internazionalismo propria del movimento comunista.

Quando i bolscevichi conquistano il potere nel 1917 chiamano alla sollevazione il proletariato europeo. Con i primi passi dello Stato sovietico si rivolgono apertamente ai popoli coloniali. Le colonie vengono allora raffigurate come le “retrovie” dell’imperialismo, dove questo può attingere risorse per restare in piedi. La rivolta delle retrovie assume pertanto un rilievo prioritario per lo Stato sovietico e per il movimento comunista internazionale.

Al III Congresso del Komintern Lenin rilevò come “Centinaia di milioni di uomini (praticamente la stragrande maggioranza della popolazione mondiale) appaiono ora sulla scena come fattori rivoluzionari autonomi ed attivi, ed è chiaro che nelle prossime decisive battaglie della rivoluzione mondiale il movimento della maggioranza della popolazione del globo, che in origine era orientato verso la liberazione nazionale, si rivolgerà contro il capitalismo e contro l’imperialismo e assumerà probabilmente un ruolo rivoluzionario molto più importante di quanto non ci aspettiamo”3.

Alcuni anni dopo, al XII Congresso del partito bolscevico, Stalin ribadì con estrema chiarezza il significato che le lotte dei popoli coloniali rivestivano nel quadro della lotta tra la rivoluzione e l’imperialismo: “Una delle due: o noi mettiamo in movimento le retrovie profonde dell’imperialismo, i paesi coloniali e semicoloniali dell’Oriente, infondiamo loro lo spirito rivoluzionario e acceleriamo così la caduta dell’imperialismo, oppure non ci riusciamo, e allora rafforziamo l’imperialismo e indeboliamo la forza del nostro movimento. La questione si pone in questi termini”4.

Nel 1920 venne convocato a Baku il Congresso dei popoli dell’Oriente. L’evento era indicativo dell’orientamento che aveva preso tanto il movimento comunista internazionale, quanto la Russia sovietica e rappresentò una “pietra miliare”5 per lo sviluppo dei movimenti di liberazione asiatici. Per la prima volta circa 2mila delegati provenienti da ogni parte dell’Asia si incontrarono per confrontarsi tra loro su come liberarsi dalla dominazione occidentale.

Nel suo II Congresso il Komintern aveva stabilito un’analisi della situazione coloniale e aveva avanzato la tesi dell’alleanza dei comunisti con le forze che nei paesi coloniali e semicoloniali si battevano conseguentemente contro l’imperialismo e per la conquista della piena indipendenza. A queste correnti andava fornito tutto l’appoggio possibile, sia da parte dei locali partiti comunisti, che sulla base della loro piena autonomia erano chiamati a stabilire con le correnti del nazionalismo rivoluzionario un’organica alleanza strategica, sia da parte dell’Unione Sovietica.

Nelle tesi del IV Congresso del Komintern sulla questione orientale si sostiene chiaramente l’appoggio alle correnti del nazionalismo-rivoluzionario in lotta contro l’imperialismo6.

Il primo esempio e il banco di prova di questa strategia fu la rivoluzione nazionalista cinese del 1925-1927. La decisione unilaterale assunta dalla Russia di rinunciare ai privilegi strappati alla Cina dal regime zarista, avevano convinto il vecchio agitatore nazionalista Sun Yat-sen a guardare verso le cupole del Cremlino impostando in modo nuovo la questione della liberazione della Cina. Sun comprese che la comparsa sulle scene dell’Unione Sovietica creava una situazione nuova a livello internazionale. “La nascita della Russia rivoluzionaria aveva rotto oggettivamente il fronte internazionale imperialistico ed aveva creato un polo di riferimento per ogni lotta antimperialistica”7. Dopo aver riformato il Kuomintang (partito nazionalista rivoluzionario del popolo) su basi nuove stabilì un’alleanza con i comunisti (accettati all’interno del KMT) e con l’Unione Sovietica e accettò il ruolo e le rivendicazioni degli operai e dei contadini. Il suo programma si spostò notevolmente a sinistra rispetto al passato. Stabilito il suo governo a Canton, iniziarono ad arrivare gli aiuti sovietici in armi, istruttori militari e consiglieri politici. Questi sforzi miravano a consentire a Sun di disporre di una forza militare rivoluzionaria per unificare la Cina e schiacciare i “signori della guerra” feudali, alleati dell’imperialismo. Fu il primo passo della rivoluzione cinese che, dopo un tortuoso percorso, sarebbe sfociata nell’avvento al potere dei comunisti di Mao nel 1949.

L’Asia orientale è oggi un’area in prepotente ascesa, trainata soprattutto dalla spettacolare crescita della Repubblica popolare cinese. Che impatto ebbe la rivoluzione russa sull’Asia?

Una testimonianza significativa in proposito è quella del nazionalista vietnamita Nguyen Ai Quoc, il futuro Ho Chi Minh. Ho ha ricordato questo cruciale passaggio della sua vita in un articolo pubblicato nel luglio 1960 dal titolo significativo : Il cammino che mi ha condotto al leninismo. Il leader vietnamita ha rievocato le assidue riunioni nelle sezioni socialiste alla fine della prima guerra mondiale:

“A quell’epoca, nelle sezioni del partito…, si discuteva ardentemente per decidere se bisognava restare nella Seconda Internazionale, o creare un’internazionale due e mezzo, o aderire alla Terza Internazionale di Lenin. Assistevo regolarmente a tutte queste riunioni…All’inizio non ne comprendevo interamente il contenuto. Perché discutere con tanto accanimento? […] Si poteva fare la rivoluzione, perché accanirsi a discutere? … La questione che mi bruciava sapere era quale fosse l’Internazionale che sosteneva le lotte dei popoli oppressi. Nel corso di una riunione sollevai questa questione. Alcuni compagni risposero: è la Terza Internazionale e non la Seconda. E un compagno mi diede le Tesi di Lenin sui problemi delle nazionalità e dei popoli coloniali… Le tesi suscitarono in me una profonda emozione, un grande entusiasmo, una grande fiducia e mi aiutarono a vedere chiaramente il problema…Da allora ebbi fiducia in Lenin e nella Terza Internazionale. […] Dopo la lettura delle tesi di Lenin mi lanciai nella discussione…Il mio unico argomento consisteva nel domandare: ‘compagni, se voi non condannate il colonialismo, se non sostenete i popoli oppressi, quale è dunque la rivoluzione che pretendete fare?’”8.

Ma il racconto più singolare ed anche più significativo è quello dello stesso Sun Yat-sen, che tra l’altro non divenne mai comunista. Dopo la rivoluzione ed in seguito alla costituzione dello Stato sovietico Sun ebbe a dire: “Noi non guardiamo più verso Occidente. I nostri occhi sono rivolti alla Russia”9. Nel manifesto del 1919 disse:

“Se il popolo della Cina vuole essere libero come il popolo russo, e vuole gli sia risparmiato il destino che gli alleati hanno preparato per lui a Versailles…deve essere ben chiaro che nella lotta per la libertà nazionale i suoi soli alleati e fratelli saranno gli operai ed i contadini russi che combattono nell’Armata Rossa”10.

Queste opinioni sono piuttosto esemplari di un diffuso atteggiamento. Stando al diplomatico e storico indiano Panikkar,

“La sola esistenza di una Russia rivoluzionaria diede senza dubbio a tutti i movimenti nazionalisti asiatici une grande forza morale”11.

“La Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia, firmata da Lenin e da Stalin, proclamava la sovranità e l’eguaglianza di tutti i popoli della Russia, e il diritto delle minoranze nazionali al proprio libero sviluppo. Fu, questa, una dichiarazione veramente esplosiva, e destò una nuova speranza in tutte le nazioni asiatiche che stavano lottando per la propria libertà”12.

L’appoggio sovietico cambiò anche l’atteggiamento dei movimenti nazionalisti sotto molti punti di vista. Anche quei movimenti che non furono egemonizzati dai comunisti o che non evolsero mai verso il marxismo- leninismo iniziarono a inserire la loro lotta in un quadro diverso. Iniziarono a dare maggiore importanza al coinvolgimento del popolo nel processo rivoluzionario e furono quindi spinti a prenderne, almeno parzialmente, in considerazione le istanze. Secondariamente l’esempio di sviluppo e crescita economica dell’URSS durante i piani quinquennali, che cambiò completamente il profilo di una nazione arretrata, costituì un punto di riferimento per quei paesi che si trovavano ai margini del mercato capitalistico mondiale. Iniziarono a comprendere che la sola indipendenza politica li avrebbe relegati ad accontentarsi di una indipendenza puramente formale e che per ottenere un’effettiva sovranità dovevano puntare anche sull’indipendenza economica.

I lasciti furono dunque numerosi, ben oltre il breve periodo.

L’URSS continuò a svolgere il ruolo di sponda dei movimenti di liberazione anche in seguito, nonostante tutti gli eventuali errori che i dirigenti sovietici commisero in questo o quel frangente. Questo fatto viene ampiamente riconosciuto, ad esempio, dai protagonisti della rinascita araba tra gli anni ’50 e ’60. La scomparsa dell’Urss ha lasciato un vuoto in questo campo. Ma l’ascesa della Cina, il ritorno della Russia e la spinta per la costituzione di un equilibrio multipolare lasciano presagire che il mondo globalizzato è in forte competizione dal punto di vista dei mercati e ancor di più dal punto di vista politico. L’emergere dei paesi del Sud del mondo si fa sempre più marcato. La loro emancipazione non punta solo all’indipendenza politica formale, come nella stagione d’oro della decolonizzazione. Ora il prossimo traguardo viene intravisto nell’emancipazione economica, nella rottura dei meccanismi di dipendenza delle periferie del sistema-mondo dal centro del capitalismo sviluppato. La contradditoria emancipazione del Sud del mondo suggerisce che la spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre non sia affatto esaurita. 

Note

1 G. Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Torino Laterza 1989, pp.157-158

2 Le communisme et la question nationale et coloniale par Lénine, Staline et Boukharine; Paris Bureau d’Editions [1927?], p.9

3 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol.1.2 (1919-1923); Ed. Riuniti 1974, p.762

4 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 2.2 (1924-1928), p.591

5 Così la definisce Jan Romein nel suo libro Il secolo dell’Asia; Einaudi, 1975

6 Tesi del IV Congresso sulla questione orientale (novembre 1922), cit. in: A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 1.2, pp.791-792

7 P.Santangelo, Dominazione imperialista in Cina; in: Storia dell’Asia; Einaudi 1980, pp.33-34

8 J. Lacouture, Ho Chi Minh; Parigi Seuil 1967, pp.25-27

9 Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia: dal cinquecento ai nostri giorni; Torino Einaudi, 1958, p.262

10 Ibidem, p.364

11 Ibidem, p.262

12 Ibidem, p.261


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Fonte: Gramsci Oggi, numero speciale (Nov. 2017) dedicato al Centenario

1917-2017: Donne e famiglia nella russia bolscevica 

di Cristina Carpinelli

Introduzione

Il programma a favore dell\'emancipazione della donna e della famiglia prese avvio in un paese che era molto arretrato rispetto ad altri paesi europei. Prevalevano ancora il diritto contadino (sotto forma di consuetudine), le concessioni agli usi tribali delle popolazioni siberiane e asiatiche o alle usanze islamiche di quelle musulmane. In questo paese vi era un sistema economico che presentava limitate possibilità di crescita e che per realizzare il \"grande balzo in avanti\" dovette adottare un piano accelerato di crescita industriale e di modernizzazione dell\'agricoltura con il ricorso a misure eccezionali.

La Russia sovietica fu, inoltre, costretta ad affrontare enormi sforzi e sacrifici inimmaginabili per la propria difesa, e se pure uscì trionfante dalla dura prova della Seconda Guerra Mondiale, perse, tuttavia, metà dei suoi centri industriali e 15 milioni di giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni.

In una certa misura, l\'arretratezza in cui versava la Russia, all\'indomani della rivoluzione, favorì il processo di emancipazione femminile. Un qualsiasi governo avrebbe avuto buone possibilità di riuscita, in un contesto dove era necessario per le donne conquistare le libertà più elementari. Allo stesso tempo, la scarsità di mano d\'opera consentì già da subito l\'impiego massiccio delle donne nel mercato del lavoro, che era una condizione indispensabile per la realizzazione della parità tra i sessi.

Nel corso della Prima Guerra Mondiale, a Pietrogrado, tra il 1914 e il 1917, le operaie arrivarono a costituire un terzo della popolazione attiva (nota1), negli anni Trenta con la collettivizzazione agraria di massa e l\'industrializzazione su vasta scala, le donne occupate raggiunsero il 38% di tutti gli occupati (nota 2). La punta massima fu toccata nel 1945, quando era al lavoro il 56% delle donne, mentre nel dopoguerra la percentuale cadde bruscamente al 46% (nota 3).

Terminata l\'emergenza, l\'esperienza produttiva agricola e industriale della donna subì fasi alterne a seconda che l\'accento fosse posto sul lavoro femminile in quanto semplice risorsa addizionale o come mezzo indispensabile per l\'emancipazione femminile. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l\'Editto staliniano di famiglia del 1944, la donna fu spinta entro le mura domestiche.

Il piano di emancipazione femminile e di sostituzione della forma di famiglia patriarcale con una struttura familiare che non fosse in contraddizione con la più ampia rivoluzione in atto nei rapporti economici e sociali si rivelò come uno dei compiti più difficili e ambiziosi del governo rivoluzionario bolscevico. Nella Russia che era stata sempre patriarcale dove, prima della nascita del nuovo stato, l\'80% del paese era contadino, con la relativa cultura, la rivoluzione nei costumi e dentro gli aggregati domestici familiari si abbatté come una tempesta sulla vita delle persone.

Non sempre questo percorso di emancipazione fu di facile attuazione. Anzi, esso fu pervaso da una moltitudine di contraddizioni. Ma al di là di esse, credo che la Russia sovietica non abbia completamente fallito nel promuovere la liberazione della donna e della famiglia, poiché gli ideali utopistici della Kollontaj non trovarono attuazione.

Le note Commissioni femminili del partito (ženotdely) svolsero un ruolo straordinario nel tentativo di coinvolgere il più possibile le donne nella vita pubblica. Barbara Clements Evans, a piena ragione, sottolinea al proposito che i successi sovietici non sono per niente paragonabili a quelli di altri stati contemporanei europei che, ai tempi in cui furono fondate le Commissioni femminili nella Russia sovietica, stavano appena estendendo il diritto di voto alle donne (nota 4).

Attiviste dei ženotdely viaggiarono, ad esempio, per l\'Asia centrale. E anche in quelle terre così lontane, fu possibile cogliere già subito dopo la rivoluzione i primi rarefatti segnali di una difficile emancipazione femminile. È importante sottolineare che la condizione della donna centro-asiatica scontava il peso del condizionamento di tradizioni preislamiche: poligamia, velo, segregazione, costituivano, in larga misura, il lascito di precedenti civiltà dominate dal politeismo e dal tribalismo.

Pur incontrando una resistenza ostile nel loro tentativo di emancipare le donne musulmane, le attiviste del ženotdel s\'impegnarono a fondo perché anche a queste donne fosse riconosciuto il diritto al lavoro e all\'istruzione in precedenza proibiti. In più, i primi due codici russi sul matrimonio e la famiglia costituiscono ancora oggi, per diversi aspetti, la punta più avanzata della legislazione sulla donna e sulla famiglia in molti paesi del mondo (nota 5).

È meritevole di nota che anche il reverendo Hewlett Johnson, nominato decano di Canterbury nel 1929, nel suo libro, The Soviet Power (nota 6), riservi parole entusiaste sulla nuova vita della donna dopo il rovesciamento del crudele regime dello \"knut\" (frusta) della Russia degli zar. H. Johnson porta molti esempi a testimonianza del riscatto della donna: da essere demoniaco, cui erano riservati in chiesa i posti inferiori, da essere, cui non era concesso avvicinarsi all\'altare e il cui anello matrimoniale era di ferro (e non d\'oro come per l\'uomo), a persona, cui furono accordati dal paese dei Soviet, \"diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale\" (nota 7) sanciti, oltre che dai due codici russi sul matrimonio e la famiglia (1918 e 1926) anche dall\'art. 122 della Costituzione staliniana del 1938: \"Alle donne sono accordati nell\'U.R.S.S. Diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale…La possibilità di esercitare questi diritti viene assicurata alle donne garantendo loro lo stesso diritto degli uomini al lavoro, al riposo, all\'assicurazione sociale e all\'istruzione, provvedendo alla tutela, da parte dello Stato, degli interessi della madre e del bambino, accordando alle donne un congedo di maternità con mantenimento del salario e grazie a una vasta rete di case di maternità, di nidi e giardini di infanzia\" (nota 8).

Concordo con il decano di Canterbury quando sostiene che la Russia sovietica svolse un lavoro encomiabile nel promuovere la liberazione della donna e della famiglia dall\'oppressione del patriarcato feudale zarista. Tuttavia, se le norme del codice matrimoniale e familiare del 1926 rimasero immutate per dieci anni, poi nel 1936 e 1944 furono approvate due leggi che modificarono alla radice i punti chiave della nuova rivoluzionaria normativa familiare.

Furono gli avvenimenti, le incoerenze drammatiche della società che stava crescendo e trasformandosi a fornire la spinta decisiva alla revisione della legislazione familiare in direzione del rafforzamento dell\'ordine, della stabilità sociale e dell\'istituto familiare. L\'aborto fu abolito: di fronte al numero impressionante delle interruzioni di gravidanza e al calo costante del tasso di natalità, il governo di Stalin tornò a proibirlo.

L\'ossessione nei confronti della crescita delle nascite, in una situazione storica d\'emergenza, fu tale da legittimare e tutelare in seguito - nello stesso momento in cui venivano esaltati il matrimonio registrato e la famiglia legale - la maternità in stato di nubilato. Negli anni Quaranta, il matrimonio non fu più l\'unico modello socialmente riconosciuto per la maternità. Se da una parte l\'Editto di famiglia del 1944 sancì che solo i matrimoni registrati potevano beneficiare della protezione legislativa, dall\'altra l\'impressionante squilibrio demografico della popolazione (31 milioni di uomini a fronte di 52 milioni di donne) - venutosi a creare, a seguito degli sconvolgimenti provocati dalla Seconda Guerra Mondiale -, aveva provocato una spinta \"oggettiva\" ai rapporti fuori del matrimonio.

L\'esercito delle madri nubili andava in qualche modo tutelato, tenuto conto delle immense perdite umane subite. Fu così che queste (insieme alle madri sposate) poterono beneficiare di sussidi elevati, secondo il numero di figli da mantenere, ma furono, d\'altro canto, private del diritto di ricerca della paternità, comportando numerosi conflitti e problemi per i bambini nati da queste unioni. Il rafforzamento della famiglia legale da un lato, e la protezione della maternità in stato di nubilato dall\'altro, furono la causa di molte contraddizioni tra legge e coscienza, tra morale pubblica e privata. Si dovette attendere la legislazione del 1968 per mettere fine, ad esempio, alla palese discriminazione tra figli legittimi e non.

Oltre al divieto di aborto, negli anni Trenta fu apportata qualche restrizione alla procedura di divorzio, pur restando ancora libero. Le restrizioni al divorzio dipesero dal fatto che a metà degli anni Trenta, le separazioni avevano superato i matrimoni registrati, ponendo gravissimi problemi alla società: mantenimento dei figli, disordine sociale, insufficienza di abitazioni. La prostituzione iniziò ad essere perseguita, poiché \"non poteva esistere un fenomeno sociale peculiare ad una società dominata dal capitalismo decadente\".Tuttavia, dalle molte testimonianze dell\'epoca si sa con certezza che essa continuò ad essere praticata anche se clandestinamente. Infine, già dalla fine degli Trenta, il Soviet aveva abbandonato la concezione che la funzione primaria della donna fosse la produzione sociale e che la maternità dovesse essere accessoria a quella funzione, valorizzando sempre di più il ruolo della donna come \"angelo del focolare\".

I codici rivoluzionari del 1918 e 1926

I nuovi decreti rivoluzionari di famiglia furono adottati nel 1917, in un momento, cioè, in cui gli aggregati domestici familiari riproducevano al loro interno comportamenti patriarcali e semifeudali. Con questi decreti, gli istituti del matrimonio e del divorzio furono \"laicizzati\", perdendo tutte le loro caratteristiche religiose e confessionali. Essi furono, poi, rielaborati l\'anno successivo dalla loro promulgazione, e i loro contenuti recepiti in un testo apposito comunemente chiamato codice di famiglia del 1918.

Il codice del 1918 trae la sua \"ratio\" dall\'aspirazione rivoluzionaria di spazzare via le passate tradizioni e, oltre ad essere dichiarativo di un nuovo ordine, esso svela soprattutto il suo forte spirito di reazione all\'ordine secolare preesistente considerato nocivo per la costruzione di una società socialista. In tal senso, corretta è l\'osservazione fatta dallo storico E. Carr nel suo libro Il socialismo in un solo paese (1924-1926), secondo cui l\'atteggiamento radicale e iconoclasta dei rivoluzionari nei riguardi della donna e della famiglia può essere compreso solo come una reazione alle condizioni anteriori alla rivoluzione, in quanto la famiglia tradizionale del contadino o dell\'operaio, caratterizzata dalla sottomissione e dai maltrattamenti delle donne e dallo sfruttamento infantile, era una conseguenza della miseria russa ed un simbolo dell\'arretratezza russa (nota 9). Per tale ragione, si può considerare questo codice come un \"documento intensamente rivoluzionario\", come uno \"statuto di principi rivoluzionari\".

Ecco i punti salienti: annullamento del matrimonio religioso e istituzione del matrimonio civile come il solo valido; introduzione del divorzio consensuale. Nei casi in cui il divorzio fosse stato richiesto da uno solo dei due coniugi, interveniva il tribunale, che aveva il compito di decidere sull\'assegnazione dei figli e sul loro mantenimento, e sulle condizioni per il pagamento degli alimenti al coniuge privo di autonomi mezzi di sussistenza. Con il codice del \'18 fu previsto l\'accertamento giudiziale della paternità, ma solo alle madri nubili. I bambini nati da un matrimonio non registrato godevano degli stessi diritti dei bambini nati da un\'unione legale.

L\'uguaglianza dei diritti dei figli naturali e di quelli legittimi garantiva indirettamente pari cittadinanza alla famiglia naturale con quella legale, la cui distinzione nel codice era motivata con la necessità di non dare alcuna possibile scappatoia giuridica alle unioni religiose e alla poligamia molto diffusa nelle regioni dell\'Asia centrale a prevalente religione musulmana. Furono, inoltre, aboliti gli istituti della potestà maritale (il marito non poté più imporre alla moglie cognome, domicilio e nazionalità) e della proprietà comune dei coniugi, poiché il matrimonio fu
inteso come \"un\'unione volontaria\" basata sull\'affectio maritalis.

Infine, il codice proibiva l\'adozione di minori da parte delle famiglie. Quest\'ultima era una misura drastica che mirava a stroncare il costume, assai diffuso nelle campagne, di mascherare sotto la forma dell\'adozione lo sfruttamento feroce della manodopera infantile. Centro e promotore della tutela del minore abbandonato diventava ora lo stato. Sorsero istituti d\'infanzia e sezioni minorili di previdenza sociale. Il potere sovietico, in quanto potere dei lavoratori, fin dai primi mesi della sua esistenza, aveva da subito introdotto nella legislazione riguardante la donna e la famiglia un rovesciamento decisivo. Le leggi, che, utilizzando proprio la condizione sociale più debole della donna, ponevano quest\'ultima in condizioni d\'inferiorità e in certi casi d\'umiliazione (le norme sul divorzio e sui figli fuori del matrimonio, o quelle sugli alimenti), furono spazzate via in un batter d\'occhio.

Questi primi anni di governo costituirono ciò che Lapidus definisce come Soviet style \"affirmative action program\" a favore delle donne: numerosi interventi abolirono la discriminazione sessuale sul posto di lavoro e nella società, tutelarono il lavoro delle donne incinte e introdussero nelle fabbriche i congedi obbligatori di maternità. Maggiori opportunità professionali e d\'istruzione aprirono ad esse spazi e carriere nuove riservate prima solo al sesso forte. Nella vita politica, molti furono i reclutamenti al femminile a posizioni dirigenziali, ben simboleggiati dalle note Commissioni femminili (ženotdely) del partito comunista (bolscevico), fondate nel 1919.

Non mancarono, tuttavia, anche nella Russia sovietica, alla fine della Prima Guerra Mondiale, nonostante la rivoluzione, tentativi in parte bloccati di liquidazione del lavoro femminile operaio. La politica adottata dal governo, durante il comunismo di guerra, fu quella del \"numero chiuso della forza lavoro\" da impiegare, con lo scopo di assicurare un salario ad ogni nucleo familiare. La documentazione di quel periodo sul servizio obbligatorio del lavoro testimonia la progressiva liquidazione del lavoro femminile in fabbrica e il tentativo di ricostituire il nucleo familiare sulla base di un solo salario erogato all\'operaio maschio adulto, calcolando le \"bocche\" a carico.

Numerosi furono i casi in cui i comitati di fabbrica, di fronte alla diminuzione del volume del lavoro, cercarono di licenziare in primo luogo le donne. Nel febbraio 1918, Nadežda Krupskaja intervenne sulla Pravda, con un lungo articolo, per pronunciarsi con decisione contro il licenziamento dalla produzione delle donne. La battaglia per l\'emancipazione della donna fu intesa da alcuni dirigenti del partito anche come un momentodi profondo rinnovamento del costume e della morale sessuale, che culminò nella nota teoria del \"bicchiere d\'acqua\" (cioè del sesso facile e senza complicazioni - come appunto bere un bicchiere d\'acqua) o nella politica del \"libero amore\" (free love).

Subito dopo la rivoluzione del 1917, nel bel mezzo del fermento politico, sociale e culturale, i giornali e le riviste d\'avanguardia del tempo assunsero toni spregiudicati e possibilisti riguardo alla nuova morale sessuale propagandata. Ancora nel 1926, già in piena NEP e alle soglie dell\'introduzione del secondo codice rivoluzionario russo di famiglia, il regista Abram Room produsse uno dei film più anticonformisti dell\'epoca sull\'emancipazione femminile e la liberazione sessuale. In effetti, Tre in uno scantinato è un film che mette in discussione i rapporti tradizionali fra i sessi. Esso fece scalpore poiché affrontava arditamente la questione dell\'amore a tre e, più in generale, della liberazione dei costumi.

Come afferma Annie Goldmann, l\'inizio degli anni Venti, nella Russia sovietica, offrì un laboratorio traboccante d\'idee, d\'iniziative e di audacie che a quel tempo neppure Parigi e Berlino raggiunsero (nota 10). Si viveva ancora nel clima entusiasmante della rivoluzione, nella certezza di creare una società nuova, libera dai pregiudizi e dagli stereotipi del vecchio regime zarista. Tuttavia, le idee sul libero amore si svilupparono fino a raggiungere posizioni considerate \"astruse\" non solo dai compagni più conservatori, ma anche dai rivoluzionari della prima generazione (nota 11). Lo stesso Lenin sentì il bisogno d\'intervenire sulla questione. La nostra gioventù, osservò, \"si è scatenata con questa teoria del bicchiere d\'acqua\" (nota 12). Jonov, in un articolo sulla Pravda, apparso nel dicembre del 1926, scrisse: \"Non abbiamo nessun complesso nei confronti della fisiologia. Non la consideriamo affatto vergognosa. Tuttavia, ricordiamo che il comunismo, oltre a molte altre cose, significa l\'instaurazione di rapporti realmente umani tra le persone, e quindi anche tra maschio e femmina\".

Le teorie del libero amore e del sesso facile si erano, tra l\'altro, diffuse in un momento in cui la famiglia riportava pesanti ferite, a causa di anni ininterrotti di conflitti e guerre. Spazzare via principi, radicati a fondo nelle credenze e nei costumi popolari, non fu certo un compito facile,soprattutto in campagna. Ciò fu sin dall\'inizio chiaro a Lenin, secondo cui l\'unico modo per combattere ed eliminare il pregiudizio stava nell\'estirpare miseria e ignoranza, attraverso la propaganda e l\'istruzione: (…)

La Repubblica dei soviet ha prima di tutto il compito di abolire ogni restrizione dei diritti della donna. Il procedimento giudiziario per il divorzio, questa vergogna borghese, fonte di avvilimento e di umiliazione, è stato completamente abolito dal potere sovietico. Da un anno esiste ormai una legislazione assolutamente libera sul divorzio. Abbiamo promulgato un decreto che abolisce la differenza tra figli legittimi e illegittimi e tutta una serie di restrizioni politiche. In nessun altro paese sono state realizzate in modo più completo l\'uguaglianza e la libertà delle donne lavoratrici. Noi sappiamo che tutto il peso delle leggi tradizionali ricade sulla donna appartenente alla classe operaia.

Per la prima volta nella storia la nostra legge ha cancellato tutto ciò che trasformava le donne in esseri senza diritti. Ma qui non si tratta della legge. La legge sulla piena libertà del matrimonio sta prendendo piede nelle nostre città e nei nostri centri industriali, ma nelle campagne resta molto spesso lettera morta. Nelle campagne continua a predominare il matrimonio religioso. Questo si deve all\'influenza dei preti, ed è un male che si combatte più difficilmente della vecchia legislazione. I pregiudizi religiosi vanno combattuti con estrema prudenza; coloro che, nel corso di questa lotta, offendono il sentimento religioso ci procurano grave danno.

Bisogna lottare per mezzo della propaganda e dell\'istruzione. Agendo brutalmente rischiamo di irritare le masse; una simile lotta acuisce la divisione delle masse per motivi religiosi; la nostra forza sta invece nell\'unità. La sorgente più profonda dei pregiudizi religiosi è nella miseria e nell\'ignoranza: contro questi mali dobbiamo batterci. La situazione della donna è tuttora quella di una schiava; la donna è schiacciata dal lavoro domestico e può trovare la sua liberazione soltanto nel socialismo…\" (nota 13).

Con l\'avvio della NEP, s\'imposero i problemi non indifferenti derivanti dalla contraddizione tra le avanzatissime norme del diritto familiare e le situazioni di fatto: quella dei figli abbandonati, della disgregazione sociale e familiare, cui era strettamente connesso l\'incremento della delinquenza giovanile. La guerra civile del 1918-1921 e la carestia del 1920-21, che seguirono dopo tre disastrosi anni di guerra, accelerarono indubbiamente lo scioglimento delle vecchie forme di vita dopo la rivoluzione. Ma tale scioglimento, in alcuni casi, assunse aspetti pericolosi.

Migliaia di famiglie, le popolazioni d\'interi villaggi dovettero emigrare nel tentativo di trovare cibo in altre regioni. In non pochi casi, le madri abbandonarono i figli, e gli uomini le mogli, lungo il cammino. Molte donne si prostituirono per nutrire se stesse e i figli. Dopo parecchie discussioni sul progetto del secondo codice di famiglia, quest\'ultimo fu approvato nel 1926 dal Soviet supremo. Contrariamente all\'opinione diffusa tra gli studiosi borghesi occidentali, secondo cui tale codice si propose di superare le contraddizioni insite in quello del 1918, esasperando le posizioni del primo legislatore in materia di libertà individuali e sessuali, esso, in realtà, rappresentò un ritiro ideologico da quello del \'18 su molti punti importanti quali il matrimonio, il divorzio, la paternità, l\'adozione e la proprietà coniugale.

Se la NEP rappresentò la risposta al caos economico e al disorientamento causati da anni di guerra estera e civile, il codice di famiglia del \'26 fu, invece, la risposta al caos sociale e familiare generato da quella situazione. Esso, in definitiva, costituì uno sforzo per tenere insieme una società profondamente disgregata. Fatto rilevante di questo codice fu il riconoscimento della validità del matrimonio non registrato, in presenza di determinate condizioni accertate dal tribunale (convivenza sotto lo stesso tetto per almeno un numero di anni, comune educazione dei figli, ecc.). Parificando le unioni \"di fatto\" a quelle registrate, il legislatore tentò di risolvere alcune situazioni concrete.

Il quadro storico di riferimento della Russia di allora era drammatico: proprio in quegli anni essa conobbe il fenomeno dilagante del rifiuto dei bambini che si tradusse con la pratica degli aborti, degli abbandoni e degli infanticidi. La moltiplicazione dei divorzi in città e, seppure in numero inferiore, in campagna, significò la crescita del numero delle unioni di fatto. Fu, quindi, necessario regolare queste unioni. La procedura di divorzio subì un\'ulteriore semplificazione, poiché nel caso in cui fosse stata consenziente una sola parte era ora sufficiente un suo atto dichiarativo presso l\'ufficio dello stato civile (dispensando tale coniuge dalla necessità di recarsi presso il tribunale). Il tribunale veniva chiamato in causa, se vi fosse stato disaccordo sugli alimenti. Nel disciplinare l\'istituto della paternità, la legge eliminò il concetto di \"responsabilità materiale collettiva\" (introdotta dal codice del \'18) dei padri putativi nei confronti del nascituro.

L\'eliminazione della responsabilità collettiva di più uomini ebbe l\'intento di provvedere ad una migliore protezione del bambino, poiché l\'esperienza sotto il codice precedente aveva dimostrato che laddove più padri putativi erano congiuntamente responsabili del suo mantenimento materiale, nessuno di loro, in realtà, si sentiva in obbligo. Al contrario, il nuovo dispositivo dette la facoltà al tribunale, in situazioni di dubbio sull\'accertamento della paternità, di responsabilizzare materialmente il padre \"presunto\" con il reddito più alto. La ricerca della paternità fu estesa anche alle madri sposate. Il diritto all\'aborto era sempre possibile, e per far fronte al fenomeno dilagante dei besprizorniki (i fanciulli abbandonati) fu ripristinato l\'istituto dell\'adozione.

Il governo, nel 1923, prendendo atto della dimensione spaventosa che stava assumendo il fenomeno dei bambini in stato di abbandono, decise di reintrodurre l\'istituto dell\'adozione, ponendolo sotto il controllo diretto dello stato e dei suoi dipartimenti di educazione. Altro provvedimento del codice fu la reintroduzione della proprietà coniugale comune riconosciuta anche per i matrimoni \"di fatto\". Se il codice del \'18 aveva come suo fondamento l\'eliminazione di ogni elemento coercitivo nei confronti della famiglia, il codice del \'26 tentò di risolvere problemi immediati e, in particolare, di tutelare meglio gli interessi delle donne e dei bambini sotto la NEP. Con questo spirito, fu reso legale il matrimonio non registrato e reintrodotta la proprietà coniugale comune. In quel periodo, molte donne erano prive di qualsiasi specializzazione lavorativa, non potevano facilmente inserirsi nella produzione sociale e in più, nelle relazioni economiche, non godevano degli stessi diritti degli uomini. La rottura di relazioni spesso pesava su di loro.

Con il ripristino della proprietà coniugale comune si vollero tutelare quelle donne che, in caso di divorzio, non avrebbero ottenuto alcun beneficio economico. Ovviamente, entrambi i codici del \'18 e del \'26 non riuscirono a cambiare da un momento all\'altro la mentalità arcaica di un paese in cui la servitù era stata abolita solo nel 1861. Le masse contadine, che costituivano la maggioranza, non erano pronte ad accettare da un giorno all\'altro dei cambiamenti tanto radicali. Numerosi furono ancora i matrimoni religiosi, e nei villaggi ci si schierò contro la legalizzazione delle unioni di fatto. Nel contesto degli anni Venti, la gente contadina ripiegava ancora sulla famiglia e il villaggio godendo di una pace relativa, e temeva qualsiasi aggressione da parte dello stato o qualsiasi spaccatura che potesse verificarsi entro il nucleo domestico.

La legge del 1936 e l\'Editto del 1944

Le norme del codice del \'26 rimasero immutate dieci anni. Poi, nel 1936 e nel 1944, intervennero due leggi a modificare alla radice i punti chiave della normativa matrimoniale e familiare. Gli anni Trenta conobbero un\'immensa emigrazione contadina verso le città. Dal 1926 al 1939, la popolazione urbana aumentò di 30 milioni, 25 dei quali erano contadini che lasciarono il villaggio per andare a lavorare nelle fabbriche (nota 14). La meccanizzazione dell\'agricoltura, durante la collettivizzazione, oltre a raddoppiare la produzione, lasciò liberi milioni di lavoratori per l\'industria.

La crescita veloce e abnorme dei centri industriali portò inizialmente a una nuova crescita (dopo quella, già notevole, degli anni Venti) del numero dei divorzi, degli aborti e a una forte diminuzione della natalità. Nel campo dei rapporti tra i sessi, all\'emancipazione femminile, con l\'accesso di milioni di donne al lavoro e allo studio, non corrispose quell\'emancipazione dei rapporti \"uomo-donna\", della famiglia e dei sentimenti sessuali e amorosi prospettata nel corso dei primi anni Venti. Anzi, il consolidamento in senso tradizionale della famiglia fu sempre più visto come una garanzia contro i fenomeni preoccupanti di disgregazione morale e sociale.

Allo scopo di agevolare le madri che lavoravano, nello svolgimento della loro doppia funzione (lavoro domestico e di cura e lavoro produttivo sociale), lo stato intervenne con una serie d\'iniziative nel settore dei servizi sociali ed educativi. Ancora alla fine degli Trenta, nonostante la tendenza ormai indiscussa a valorizzare il ruolo della donna soprattutto come moglie e madre, il tasso di presenza della forza lavoro femminile sul mercato del lavoro era alta. L\'industrializzazione, avviata con il primo piano quinquennale, aveva offerto alle donne lo strumento più importante per la loro emancipazione. Afferma la giornalista americana Anna Louise Strong: (…)

Nell\'Inghilterra capitalista la fabbrica apparve come uno strumento di profitto e di sfruttamento. Nell\'Unione sovietica, essa non fu solo uno strumento di ricchezza collettiva, ma un mezzo consapevolmente usato per spezzare vecchie catene\" (nota 15).

I provvedimenti successivi relativi al matrimonio e la famiglia furono pubblicati sotto forma di editto l\'8 luglio 1944. Innanzitutto, fu confermato ed esteso, nell\'Unione sovietica distrutta dalla guerra, il piano per la costruzione intensiva d\'istituti per l\'infanzia. Le immense perdite umane subite dall\'Unione Sovietica, durante la guerra, spiegarono l\'accresciuto aiuto materiale dello stato alle madri sposate e nubili. L\'evoluzione giuridica in materia matrimoniale e familiare, abbozzata nel 1936, proseguì nel 1944: soltanto i matrimoni registrati beneficiarono della protezione della legge (le norme del 1926 sul valore giuridico del matrimonio di fatto furono annullate); le madri di famiglie numerose ricevevano vari titoli onorifici e medaglie, ma la donna che abortiva rischiava di essere perseguita penalmente. I divorzi furono tutti soggetti a procedura giudiziaria.

Le leggi emanate nel \'36 e nel \'44 ebbero come conseguenza l\'aumento degli aborti clandestini e il dimezzamento dei divorzi. Le ragioni dei provvedimenti legislativi assunti nel \'44, in materia matrimoniale e familiare, devono essere ricercate negli sconvolgimenti che seguirono alla guerra del 1941-1945: vista la gravità della discrepanza numerica tra i sessi che si era venuta creare dopo la Grande Guerra Patriottica, e il bisogno di un incremento notevole dei tassi di fertilità, Stalin scelse la strada della ricostruzione del nucleo familiare, non solo riconoscendo le famiglie legali ma, legittimando - com\'è stato detto - la \"maternità in stato di nubilato\". Nel 1943, la coeducazione (classi miste) fu abolita.

Stalin motivò l\'abolizione della coeducazione per evitare \"qualsiasi copertura delle specifiche caratteristiche di genere della popolazione a forte rilevanza sociale\": \"Nella fase che è passata, lo stato sovietico ha pienamente e speditamente eliminato dalle menti della gente ogni idea dell\'ineguaglianza sociale dei sessi e ogni espressione di quest\'idea dalla vita quotidiana. Ora noi affrontiamo un nuovo e non meno importante compito. Esso è, soprattutto, quello di rafforzare la nostra primaria unità sociale, la famiglia socialista, sulla base del pieno sviluppo delle caratteristiche maschili e femminili nel padre e nella madre, come capi della famiglia con eguali diritti. L\'istruzione nelle nostre scuole fu nel passato coeducazionale allo scopo di superare, il più velocemente possibile, l\'ineguaglianza sociale dei sessi, radicata nei secoli. Ma ciò che noi dobbiamo ora costruire è un sistema attraverso cui la scuola sviluppi ragazzi che saranno buoni padri ma soprattutto combattenti per la patria socialista e ragazze che saranno madri intelligenti idonee ad allevare le nuove generazioni\" (nota 16).

I contraccolpi negativi delle leggi sulla donna e la famiglia del \'36 e \'44 si fecero sentire presto, man mano che la società sovietica ritrovava un suo equilibrio e si avviava verso la normalità, dopo la convulsa e drammatica fase della ricostruzione post-bellica. Bisognerà aspettare, tuttavia, la legislazione di famiglia del 1968 per vedere di nuovo modificato a fondo l\'impianto dato a questo settore dalla legge del \'44, largamente ispirata al familismo e alla concezione della donna come \"angelo del focolare\".

Note

1) C. Carpinelli, Donne e famiglia nella Russia sovietica. Caduta di un mito bolscevico, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 8.

2) I.A. Kurganov, \"Ženščiny v narodnom chozjajstve\" in Ženščiny i Kommunizm, New-York, 1968, pp. 57-107.

3) C. Carpinelli, Donne e povertà nella Russia di E\'lcin. L\'era della transizione liberale, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 131. 16 Novembre 2017 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli

4) B. Clements Evans, Daughters of Revolution: a History of Women in the Ussr, Davidson, Inc., Arlington Heights, ILL, 1994.

5) Si fa qui riferimento ai primi due codici russi del 1918 e del 1926.

6) H. Johnson, The Soviet Power, International Publisher, New York, 1940

7) Ivi, p. 228.

8) Ivi, p. 221. Antonio Gramsci oggi 17 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli

9) E.H. Carr, Il socialismo in un solo paese, tomo I, Einaudi, 1970, pp. 29-30.

10) A. Goldmann, Gli anni ruggenti (1919-1929), Giunti, Firenze, p. 90.

11) R. Schlesinger, The Family in the Ussr: Documents and Readings, London, 1949, p. 15.

12) M. Geller, A. Nekrič, Storia dell\'Urss, cit., p. 191.

13) V.I. Lenin, Polnoe sobranie sočinenij, 4 ediz., vol. XXVIII, Moskva, p. 160. Antonio Gramsci oggi19 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli

14) N. Werth, Storia dell\'Unione Sovietica, il Mulino, 1993, p. 310.

15) A.L. Strong, L\'era di Stalin, Edizioni Rapporti Sociali, 1997, p. 78. 20\' Novembre 2017 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli

16) Citato in M. Tsuzmer, Soviet War News, n. 6, nov. 1943, p. 8.



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Bomba atomica USA o UE?

1) Per liberare l’Italia dalle atomiche non basta una firma – di M. Dinucci 
Onu-Ican: 243 parlamentari italiani hanno firmato per la ratifica del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari
2) Cosa si nasconde dietro il progetto “euro-nukes” – di V. Brousseau
La fine della Storia della Francia come potenza indipendente e sovrana


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Per liberare l’Italia dalle atomiche non basta una firma

Trattato Onu-Ican. 243 parlamentari italiani hanno firmato per la ratifica del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari


di Manlio Dinucci 
su Il Manifesto del 19.11.2017

L’Ican, coalizione internazionale di Ong insignita del Nobel per la Pace 2017, comunica che 243 parlamentari italiani hanno firmato l’«Impegno Ican» a promuovere la firma e la ratifica da parte del governo italiano del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.

È il Trattato adottato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017. Che all’Articolo 1 stabilisce che «ciascuno Stato parte si impegna a non permettere mai, in nessuna circostanza, qualsiasi stazionamento, installazione o spiegamento di qualsiasi arma nucleare nel proprio territorio; a non ricevere il trasferimento di armi nucleari né il controllo su tali armi direttamente o indirettamente». All’Articolo 4 il Trattato stabilisce: «Ciascuno Stato parte che abbia sul proprio territorio armi nucleari, possedute o controllate da un altro Stato, deve assicurare la rapida rimozione di tali armi».

Impegnandosi a promuovere l’adesione dell’Italia al Trattato Onu, i 243 parlamentari si sono quindi impegnati a promuovere: 1) la rapida rimozione dal territorio italiano delle bombe nucleari Usa B-61 e la non-installazione delle nuove B61-12 e di qualsiasi altra arma nucleare; 2) l’uscita dell’Italia dal gruppo di paesi che, nella Nato, «forniscono all’Alleanza aerei equipaggiati per trasportare bombe nucleari, su cui gli Stati uniti mantengono l’assoluto controllo, e personale addestrato a tale scopo» (The role of NATO’s nuclear forces); 3) l’uscita dell’Italia dal Gruppo di pianificazione nucleare della Nato, in base all’Articolo 18 del Trattato Onu che permette agli Stati parte di mantenere gli obblighi relativi a precedenti accordi internazionali solo nei casi in cui essi siano compatibili col Trattato.

I parlamentari che hanno firmato tale impegno appartengono ai seguenti gruppi: 95 al Partito democratico (Pd), 89 al Movimento 5 Stelle, 25 ad Articolo 1-Mdp, 24 a Sinistra italiana-Sel, 8 al Gruppo misto, 2 a Scelta civica. Nel dibattito alla Camera, il 19 settembre scorso, solo i gruppi Sinistra italiana-Sel e Articolo 1-Mdp hanno chiesto la rimozione delle armi nucleari dall’Italia, come prescrive il Trattato di non-proliferazione, e l’adesione al Trattato Onu. Il Movimento 5 Stelle ha chiesto al governo solo di «relazionare al Parlamento sulla presenza in Italia di armi nucleari e dichiarare l’indisponibilità dell’Italia ad utilizzarle». La Lega Nord ha chiesto di «non rinunciare alla garanzia offerta dalla disponibilità Usa a proteggere anche nuclearmente l’Europa e il nostro paese». Il Pd – con la mozione di maggioranza approvata nella stessa seduta anche con i voti di Gruppo misto, Scelta civica, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Alternativa popolare, Democrazia solidale – ha impegnato il governo a «continuare a perseguire l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari» (mentre mantiene in Italia armi nucleari violando il Trattato di non-proliferazione) e a «valutare, compatibilmente con gli obblighi assunti in sede di Alleanza atlantica, la possibilità di aderire al Trattato Onu». Il governo ha espresso «parere favorevole» ma il giorno dopo, con gli altri 28 del Consiglio nord-atlantico, ha respinto in toto e attaccato il Trattato Onu.

I parlamentari di Pd, Gruppo misto e Scelta civica, e quelli del M5S, che hanno firmato l’Impegno Ican differenziandosi dalle posizioni dei loro gruppi, devono a questo punto dimostrare di volerlo mantenere, promuovendo con gli altri una chiara iniziativa parlamentare perché l’Italia firmi e ratifichi il Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari. Lo deve fare in particolare Luigi Di Maio, firmatario dell’Impegno Ican, per la sua posizione rilevante di candidato premier.

Aspettiamo di vedere nel suo programma di governo l’impegno ad aderire al Trattato Onu, liberando l’Italia dalle bombe nucleari Usa e da qualsiasi altra arma nucleare.



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http://contropiano.org/documenti/2017/11/10/cosa-si-nasconde-dietro-progetto-euro-nukes-097530

Cosa si nasconde dietro il progetto “euro-nukes”


di Vincent Brousseau *

Vincent Brousseau ha lavorato per 15 anni presso la BCE, in particolare nel Sancta Santorum della politica monetaria, ed è uno dei maggiori esperti francesi sull’euro. Ma essendo anche un grande conoscitore della scena politica tedesca e di questioni geostrategiche e militari,  ha preparato un dossier del massimo interesse su quello che sta succedendo in Germania intorno alla possibilità di eludere il divieto alle armi nucleari impostole dopo la seconda guerra mondiale, e mettere silenziosamente le mani sulla forza d’urto francese tramite la creazione di una “bomba nucleare europea” («Euro-nukes»). Colpo di mano militare molto inquietante in un periodo in cui le previsioni geopolitiche sono di grande incertezza e turbolenza, ma naturalmente sottovalutato dagli utili idioti della “costruzione europea” e passato per lo più sotto silenzio dalla grande stampa. 

Tradotto da Carmenthesister  per http://vocidallestero.it/


Dossier strategico di Vincent Brousseau, 15 luglio 2017

Cos’è il trattato di Mosca?

Alcuni mesi fa, un comunicato dell’agenzia Reuters (di metà novembre 2016) ricordava incidentalmente che nessun accordo di pace è stato firmato tra il Giappone e la Russia dopo la seconda guerra mondiale. Questi due Stati sono quindi, dal punto di vista giuridico, ancora in guerra dal 1945. 

Il pomo della discordia ancora presente tra Tokyo e Mosca che impedisce di firmare il trattato di pace rimane la questione delle isole Curili del Sud, ex giapponesi, che Stalin conquistò nel 1945 e l’URSS e poi la Russia hanno sempre rifiutato di restituire.

La notizia di fine anno scorso, dal tono ottimista, assicurava tuttavia che erano stati fatti dei progressi verso questo trattato di pace. Va da sé che, da un punto di vista pratico, tra questi due paesi la pace regna da diversi decenni, ma è il caso di notare che la firma di tali trattati può essere ancora una questione lunga.

Alleata del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania ha vissuto la stessa situazione dal 1945 al 1990. È un trattato del 1990 che ha formalmente chiuso le ostilità, 45 anni dopo la capitolazione del Reich. Questo Trattato, il cui titolo ufficiale è “Trattato sullo stato finale della Germania“, è comunemente noto come il Trattato di Mosca. E’ chiamato anche “Trattato 2+4” o “Trattato 4+2” perché fu firmato e ratificato tra:

– i rappresentanti delle due Germanie dell’epoca (Germania occidentale denominata “Repubblica federale tedesca” o “RFT” e Germania orientale “Repubblica democratica tedesca “o” DDR”),

– i rappresentanti delle quattro potenze alleate della seconda guerra mondiale: Francia, Stati Uniti, Regno Unito e URSS.

La firma di questo trattato il 12 settembre 1990 a Mosca aprì la strada alla riunificazione tedesca.

Molto breve, questo trattato, che consiste in un preambolo e dieci articoli, stabilisce con precisione lo status internazionale della Germania unita nel cuore dell’Europa, con il tacito consenso di tutti i suoi vicini. Il trattato regola molti temi sugli affari esteri dei due stati tedeschi, come la demarcazione delle frontiere esterne, l’adesione alle alleanze e le forze militari. Con questo trattato, la Germania dovrebbe nuovamente assumere piena sovranità e diventare uno stato come qualsiasi altro.

Firma del “Trattato di Mosca” il 12 settembre 1990, che ripristina la “sovranità totale” della Germania.

Questo Trattato di Mosca, che consacra la riunificazione e ristabilisce in linea di principio la sovranità della Germania, contiene tuttavia alcune restrizioni molto importanti. 

Pertanto, la Germania non è autorizzata a modificare i propri confini, neanche sulla base di un accordo con il paese di frontiera interessato. 

Questo, a priori, può sembrare assurdo, ma non lo è, perché l’impegno è preso dalla Germania non nei confronti del paese di frontiera (che in linea di principio potrebbe liberarla da tale impegno), ma verso ciascuno dei quattro alleati, considerati individualmente. Così la Russia potrebbe opporsi a un’ipotetica modifica del confine, ad esempio, ceco-tedesco, anche se i due paesi interessati fossero d’accordo. Va da sé che ciò costituisce una restrizione di ciò che si intende comunemente con la parola “sovranità”.

Dal lato britannico, responsabile della redazione e della ratifica del Trattato di Mosca era Margaret Thatcher. La Thatcher, ancor più di Mitterrand, la sua controparte all’epoca, nutriva una vera diffidenza verso un ritorno della Germania nel consesso delle grandi potenze. Un articolo del Financial Times di inizio 2017 ha ricordato questo utile dettaglio, quasi dimenticato. La Thatcher, dice l’articolo, pensava anche di instaurare un’ “alleanza” con l’URSS all’esplicito scopo di contenere l’ascesa di una Germania riunificata, e motivava questa scelta facendo riferimento al periodo del 1941-1945 , quando Londra e Mosca erano alleati contro Berlino. Questo rende bene l’atmosfera.

Un’altra importante e ben nota restrizione si trova nell’articolo 3 del Trattato di Mosca, che pone un divieto permanente alla Germania di avere accesso alle armi nucleari.

Sulla base di questo articolo, la Germania non può né ricercare, né acquisire, né testare, né detenere o utilizzare qualsiasi arma atomica. E questo impegno, di nuovo, è assunto nei confronti di ciascuno dei quattro alleati, considerati individualmente.

Ciò significa che, se per qualche motivo la Germania decidesse di ignorare il trattato e di avviare un procedimento di accesso alle armi atomiche, la Russia – o anche qualsiasi altra delle tre potenze – sarebbe autorizzata di diritto a impedirlo con un’azione militare. Anche qui, si capisce che la sovranità della Germania non è stata restaurata in modo pieno.

Quali sono le posizioni dell’opinione pubblica russa e tedesca su questo argomento?

– La Russia ha, per ovvie ragioni storiche, un forte sentimento di paura verso la Germania. Né il sentimento popolare, né alcun governo russo, come un tempo il governo sovietico, sarebbero disposti a tollerare la minima violazione di questo divieto nucleare.

– La Germania ha, per gli stessi evidenti motivi storici, un forte senso di vergogna per il suo passato bellicoso. L’opinione pubblica tedesca è completamente a favore della rigorosa osservanza del divieto nucleare militare tedesco, ed è sempre stato così. Nessun governo tedesco o ex governo tedesco occidentale si è mai opposto pubblicamente a questa limitazione. C’era un certo sospetto che la Germania orientale tentasse di aggirare il divieto, ma probabilmente sono solo voci infondate.

E tuttavia, è preciso dovere di un governo prevedere ogni scenario. E i tedeschi sono persone metodiche e serie che usano prevedere tutto, anche l’improbabile. Quindi mi risulta difficile immaginare che i leader politici tedeschi non abbiano mai pensato a come rendere il loro paese una potenza atomica.

 

Cosa si intende per forza atomica?

Lo status di potenza nucleare non si ottiene semplicemente dal possesso di tre testate nucleari immagazzinate sotto un hangar. Comprende un notevole numero di altre cose. 

Bisogna non solo avere le armi, ma avere la loro catena produttiva, sapere come mantenerla e proteggerla, averne testato l’efficacia, aver testato naturalmente le stesse armi, sapere ed essere in grado di tenerle al sicuro, avere una catena di comando rigorosa (in particolare per evitare di non essere in grado di utilizzarle, a seguito del tradimento o della morte di un solo uomo). 

Devi avere persone addestrate per costruire siti, mantenerli, realizzare dei modelli dell’arma e dei suoi vettori in termini fisici e matematici, costruire i vettori, costruire l’arma in quanto tale, costruire e testare i dispositivi di trasmissione degli ordini in modo sicuro.

Si consideri, per esempio, tutta la logistica necessaria alla Francia per mantenere in permanenza la sua flotta di sottomarini nucleari lanciamissili balistici (SSBN) o lo sforzo scientifico richiesto per riuscire a simulare virtualmente gli effetti dell’esplosione – cosa fondamentale da quando i test nucleari sono vietati.

Ognuna delle cinque potenze nucleari ufficiali ha dovuto quindi sostenere un investimento enorme in tempo, persone e capitali, per decenni. È perciò totalmente irrealistico immaginare che un nuovo soggetto possa diventare una potenza nucleare dall’oggi al domani.

 

Se Charles de Gaulle non avesse voluto l’ingresso del suo paese nel ristretto club delle potenze nucleari, sarebbe molto difficile per la Francia raggiungere questo obiettivo oggi. 

È per questo che in Francia sono poche le proposte che il paese rinunci a questo status; provengono da persone che sono più legate ad un ordine mondiale transnazionale che alla sovranità nazionale della Francia. Citerò per esempio la proposta fatta nel 2009 da MM. Juppé, Rocard, Norlain e Richard, oggi quasi dimenticata …

Pertanto, un possibile accesso del nostro vicino tedesco allo status di potenza nucleare sembra a priori un rischio lontano. Anche se, per ipotesi, la Germania pretendesse di eludere l’articolo 3 del Trattato di Mosca, il lavoro da intraprendere sarebbe talmente grande che i quattro alleati avrebbero molto tempo a disposizione per accorgersi della manovra e farla fallire.

Ma abbandoniamoci a un piccolo esercizio di paranoia. Dopo tutto, se io fossi tedesco, senza dubbio avrei già pensato ai modi per aggirare l’ostacolo.

 

È così impossibile?

Come ho evidenziato prima, diventare una potenza nucleare comporta l’acquisizione di diverse cose che non hanno nulla a che fare l’una con l’altra.

Alcune sono immateriali (creare una rigorosa catena di comando, o addestrare ingegneri e scienziati); per loro stessa natura, queste cose possono essere fatte in maniera relativamente discreta.

Al contrario, il test nucleare iniziale è tutt’altro che discreto; e nel caso della Germania è proibito due volte: una volta a causa dell’articolo 3 del Trattato di Mosca, e l’altra a causa del divieto globale per i test nucleari.

Ma tra questi due estremi?

Tra questi due estremi c’è ad esempio l’acquisizione delle tecnologie necessarie per i missili intercontinentali, o la creazione di una catena di produzione – la realizzazione fisica e la convalida, vale a dire altri tipi di test – e le catene di produzione di altri dispositivi di lancio. Ad esempio, sottomarini.

Tutte queste azioni non possono essere fatte con assoluta discrezione, ovviamente, ma sono meno appariscenti del test di Mururoa del 24 agosto 1968.

Ora, da alcune notizie di attualità, nel corso degli ultimi semestri, risultano dei sintomi che tendono a confermare che potrebbe esserci un silenzioso interesse da parte della Germania a compiere questi passi verso l’accesso al nucleare. Parlerò solo di due di questi sintomi, pur essendo consapevole che possono spiegarsi in modo diverso – e che sono, infatti, spiegati in modo diverso. Ma in questo campo non si è mai troppo diffidenti …

Questi due esempi sono:

– l’ingresso della Germania in Airbus;

– e la vendita, o meglio il regalo, fatto dalla Germania a Israele di sommergibili del tipo denominato Dolphin.

 

Il silenzioso interesse della Germania per la bomba

In primo luogo, l’Airbus. Il gruppo Airbus è stato creato nel 2000 da parte degli Stati francese e spagnolo e due gruppi privati, uno francese e uno tedesco, sulla base della struttura omonima esistente dagli anni ’70. La scelta del nome, EADS, che non è né francese né spagnolo, né tedesco, testimonia la pretesa “volontà dell’Europa” riguardo al progetto. La quota dello Stato francese nella partecipazione al gruppo è passata dal 48% nel 1999 all’ … 11% nel 2015, mentre la quota dello Stato federale tedesco è dell’11% dal 2014.

Inoltre, il gruppo è anche costruttore di missili strategici della Force océanique stratégique (FOST) francese e, di conseguenza, titolare di alcune tecnologie molto avanzate, che riguardano il nucleare ma anche il settore spaziale. (L’aspetto spaziale è particolarmente legato al fatto che le testate di questi missili sono “rientranti”, cioè svolgono parte del viaggio nello spazio e devono rimanere funzionali dopo il rientro nell’atmosfera.)

Stiamo parlando di tecnologie molto avanzate, paragonabili solo alle loro controparti russe e americane. Totalmente fuori dalla portata dei “piccoli candidati” al nucleare come la Libia o la Corea del Nord, sono costate alla Francia un lavoro di diversi decenni.


La struttura di Airbus offrirebbe allo Stato tedesco un modo per recuperare queste tecniche, se decidesse in questo senso? La risposta è che è una questione di tempo. 

Se la Germania ha davanti a sé un orizzonte di qualche anno, è impensabile che non ci riesca. Naturalmente, si suppone che la Germania non dovrebbe voler fare una cosa del genere, ma trovo questa garanzia piuttosto debole. 

Diamo un’occhiata alla storia dei Dolphin. 

Sono sottomarini di costruzione tedesca. Certamente c’è un mondo tra queste macchine e un SNLE francese. Ma resta il fatto che sono in grado di lanciare armi nucleari con un vettore di missili da crociera. Queste navi sono vendute allo Stato di Israele a tariffe molto vantaggiose, e i primi sono stati decisamente regalati.

Questa strana generosità ha suscitato delle domande.

Leggiamo sul sito irenees.net dell’associazione Modus Operandi, la seguente osservazione:

Le vere ragioni non sono mai state espresse in maniera esplicita, ma come per voler ‘farsi perdonare’, la Germania si è semplicemente offerta di finanziare integralmente i primi due sottomarini (640 milioni di dollari) e di condividere le spese per il terzo.”

Farsi perdonare? Questa è una spiegazione comoda. Ma c’è una spiegazione meno innocua.

Come ho ricordato, l’accesso allo status di potenza nucleare comporta un notevole numero di passi, tra cui la costruzione, il funzionamento e la verifica delle linee di produzione tramite dei test. “Test”, l’ostacolo è questo. La Germania è stata in grado di creare la linea di produzione dei Dolphin, ma certamente non è in grado di verificare che il prodotto finito possa effettuare un lancio nucleare a causa dell’articolo 3 del Trattato di Mosca.

Tuttavia, può aggirare l’ostacolo facendo fare il test … alla marina israeliana.

Si comprende quindi che il vero pagamento di ciò che sarebbe, altrimenti, un puro e semplice regalo, potrebbe consistere in questo: la convalida del prodotto, che è essenziale e che era la più grande difficoltà. Nessuna forza nucleare è tale senza test e convalide, sia per i vettori e i dispositivi di lancio, che per le cariche nucleari stesse.

Del resto, questa operazione non è sfuggita alla vigilanza degli esperti, compresi i media russi, dal momento che Sputnik le ha dedicato una sezione speciale nel mese di aprile 2015, per rivelare ai suoi lettori che “Berlino fornirà a Israele un sottomarino a capacità nucleare “.

Ci sono motivi per credere che la direzione politica tedesca non abbia necessariamente rinunciato ad acquisire lo status nucleare, un giorno, nonostante le particolari difficoltà della Germania a perseguire un tale obiettivo.

Ma siccome questo obiettivo non è facile da raggiungere, vediamo se esiste un modo più intelligente. È qui che entra in gioco l’Europa.

 

La proposta “Kiesewetter”

Roderich Kiesewetter è un deputato tedesco (CDU), membro della commissione parlamentare per gli affari esteri del Bundestag, ed ex ufficiale di stato maggiore del Bundeswehr.

È anche membro, insieme a Andrew Duff, un altro individuo che ho già introdotto ai membri e ai sostenitori dell’UPR, del “European Coucil on Foreign Relations” (ECFR).

I due uomini hanno in comune una insolita specialità: sondano il terreno.

Questa attività consiste nel mettere delle idee sul tavolo, presentandole come proprie, senza coinvolgere personalità o istituzioni ufficiali, sia tedesche che europee (come Juncker o la Commissione Europea). L’obiettivo è vedere se queste idee non provocano particolari reazioni da parte degli altri politici, della stampa e dell’opinione pubblica, o se provocano al contrario una levata di scudi.

Ora, nel novembre 2016, Roderich Kiesewetter ha lanciato un’idea, presentandola come sua, in linea con il suo doppio incarico militare + Affari Esteri.

Questa idea è quella di utilizzare la costruzione europea per aggirare gli ostacoli che ho descritto sopra. Ed è un’idea brillante. Invece di preoccuparsi di avanzare subdolamente verso lo status nucleare, acquisirlo di diritto; in quanto il divieto riguarda la Germania, è possibile acquisirlo non come Germania ma come membro dell’Unione Europea.

L’idea è nata già da un po’ di tempo, e si conforma a una tendenza attuale dello spirito tedesco, che è quella di presentarsi come un bravo membro del mondo occidentale e democratico, piuttosto che un cattivo tedesco capace delle idee più abominevoli. (Per inciso, mi spiego così l’improbabile propensione dei nostri amici tedeschi per la lingua inglese: questione di immagine, soprattutto nei confronti degli altri occidentali.)

Questo pretesto avrebbe potuto essere la Crimea. Avrebbe potuto essere l’«ascesa del populismo». Non avrebbe potuto essere la Brexit, che ha l’effetto di portare fuori dalla UE un paese nucleare, lasciandolo nella NATO. Alla fine, sarà l’elezione di Trump.

La giustificazione è perfetta in relazione alle circostanze:

– l’atteggiamento trasgressivo e la vaghezza di Trump sugli impegni di Washington nella NATO;

– il rischio di perdere l’”ombrello nucleare” americano, agitato nei media euro-atlantici; 

– la “minaccia” di una Russia sospettata delle peggiori intenzioni da parte di questi medesimi media. 

Sicuramente, l’opportunità di sondare il terreno è perfetta. Se ne prende atto. 

Reuters ha quindi presentato l’idea di “Kiesewetter” in una notizia del 16 novembre 2016. Se chi mi legge tiene a mente quanto appena detto, ogni riga del messaggio (in inglese) dovrebbe apparire chiara e trasparente.

 

Naturalmente, la proposta è accompagnata dalla riaffermazione che “la Germania stessa” non deve diventare una potenza nucleare. Tuttavia questa frase fa parte della retorica obbligatoria. Diamo un’occhiata più da vicino al contenuto concreto della proposta.


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Recenti analisi di Manlio Dinucci

(in ordine cronologico inverso)

1) Il vero impatto del «Pentagono italiano» (31.10.2017)
2) Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari (9.7.2017)
3) Strategia NATO della tensione (27.6.2017)


Altri flashbacks:

BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI 

IL RIORIENTAMENTO STRATEGICO DELLA NATO DOPO LA GUERRA FREDDA

Sul libro di Manlio Dinucci: 

L’ARTE DELLA GUERRA. ANALISI DELLA STRATEGIA USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli. Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8419

Intervista a Manlio Dinucci sul suo libro \"L\'arte della guerra. Annali della strategia Usa - Nato (1990 - 2016)\" (Zambon Editore)
INTERVISTA | di Giuseppe Di Leo, 7/6/2016

Sull\'Ucraina:

È NATO il neonazismo in Europa / Democrazia NATO in Ucraina... ed altri link (2014-2017)

Intervista a Manlio Dinucci – La NATO in silenzio incamera Kiev (PandoraTV, 17/09/2015)
L’Ucraina parteciperà come partner alla Trident Juncture 2015, la più grande esercitazione militare della Nato dalla fine della guerra fredda, che si terrà dal 3 ottobre al 6 novembre 2015 in Italia, Spagna e Portogallo. Ne parliamo con Manlio Dinucci, geografo, analista geopolitico. Il suo ultimo libro è L’Arte della Guerra, Annali della Strategia USA-NATO (1990-2015) appena pubblicato da Zambon editore...
http://www.pandoratv.it/?p=4037
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=4037

Stoltenberg in visita a Kiev: “L’Ucraina può contare sulla Nato” (La Notizia di Manlio Dinucci - PandoraTV 23/9/2015)
“Storica” visita del segretario generale della Nato in Ucraina. Stoltenberg ha partecipato (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firmato un accordo per l’apertura di un’ambasciata della NATO a Kiev e tenuto due conferenze stampa col presidente Petro Poroshenko...
http://www.pandoratv.it/?p=4109
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?t=125&v=Edl1IfHiqHg


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VERSIONE VIDEO: L’arte della guerra : Il vero impatto del «Pentagono italiano» (PT/FR/ENG/SP) (PandoraTV, 31 ott 2017)


Il vero impatto del «Pentagono italiano»

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci


Gli abitanti del quartiere di Centocelle, a Roma, protestano a ragione per l’impatto del costruendo Pentagono italiano sul parco archeologico e la sua area verde (il manifesto, 29 ottobre).

C’è però un altro impatto, ben più grave, che passa sotto silenzio: quello sulla Costituzione italiana.

Come abbiamo già documentato sul manifesto (7 marzo), il progetto di riunire i vertici di tutte le forze armate in un’unica struttura, copia in miniatura del Pentagono statunitense, è parte organica della «revisione del modello operativo delle Forze armate», istituzionalizzata dal «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» a firma della ministra Pinotti.

Esso sovverte le basi costituzionali della Repubblica italiana, riconfigurandola quale potenza che interviene militarmente nelle aree prospicienti il Mediterraneo – Nordafrica, Medioriente, Balcani – a sostegno dei propri «interessi vitali» economici e strategici, e ovunque nel mondo – dal Baltico all’Afghanistan – siano in gioco gli interessi dell’Occidente rappresentati dalla Nato sotto comando Usa.

Funzionale a tutto questo è la Legge quadro del 2016, che istituzionalizza le missioni militari all’estero (attualmente 30 in 20 paesi), finanziandole con un fondo del Ministero dell’economia e delle finanze. Cresce così la spesa militare reale che, con queste e altre voci aggiuntive al bilancio della Difesa, è salita a una media di circa 70 milioni di euro al giorno, che dovranno arrivare a circa 100 milioni al giorno come richiesto dalla Nato.

La riconfigurazione delle Forze armate in funzione offensiva richiede sempre più costosi armamenti di nuova generazione. Ultimo acquisto il missile statunitense Agm-88E Aargm, versione ammodernata (costo 18,2 milioni di dollari per 25 missili) rispetto a precedenti modelli acquistati dall’Italia: è un missile a medio raggio lanciato dai cacciabombardieri per distruggere i radar all’inizio dell’offensiva, accecando così le difese del paese sotto attacco.

L’industria produttrice, la Orbital Atk, precisa che «il nuovo missile è compatibile anche con l‘F-35», il caccia della statunitense Lockheed Martin alla cui produzione l’Italia partecipa con l’impianto Faco di Cameri gestito da Leonardo (già Finmeccanica), impegnandosi ad acquistarne 90. Il primo F-35 è arrivato nella base di Amendola il 12 dicembre 2016, facendo dell’Italia il primo paese a ricevere, dopo gli Usa, il nuovo caccia di quinta generazione che sarà armato anche della nuova bomba nucleare B61-12.

L’Italia, però, non solo acquista ma produce armamenti. L’industria militare viene definita nel Libro Bianco «pilastro del Sistema Paese» poiché «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale in settori ad alta remunerazione».

I risultati non mancano: Leonardo è salita al nono posto mondiale nella classifica delle 100 maggiori industrie belliche del mondo, con vendite annue di armamenti per circa 9 miliardi di dollari nel 2016. Agli inizi di ottobre

Leonardo ha annunciato l’apertura di un altro impianto in Australia, dove produce armamenti e sistemi di comunicazione per la marina militare australiana. In compenso, per spostare sempre più la produzione sul settore militare, che fornisce oggi a Leonardo l’84% del fatturato, sono state vendute alla giapponese Hitachi due aziende Finmeccanica, Ansaldo Sts e Ansaldo Breda, leader mondiali nella produzione ferroviaria.

Su questo «pilastro del Sistema Paese» si edifica, con fondi stornati dal budget della Legge di stabilità, il Pentagono italiano, nuova sede del Ministero della Guerra.


(il manifesto, 31 ottobre 2017)


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VERSIONE VIDEO: L’arte della guerra : Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari (PandoraTV, 12 lug 2017)



Luci e ombre del Trattato Onu sulle armi nucleari

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

  
Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, adottato a grande maggioranza dalle Nazioni Unite il 7 luglio, costituisce una pietra miliare nella presa di coscienza che una guerra nucleare avrebbe conseguenze catastrofiche per l’intera umanità. 

In base a tale consapevolezza, i 122 stati che l’hanno votato si impegnano a non produrre né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente. Questo è il fondamentale punto di forza del Trattato che mira a creare «uno strumento giuridicamente vincolante per la proibizione delle armi nucleari, che porti verso la loro totale eliminazione».

Ferma restando la grande validità del Trattato – che entrerà in vigore quando, a partire dal 20 settembre, sarà stato firmato e ratificato da 50 stati – si deve prendere atto dei suoi limiti. Il Trattato, giuridicamente vincolante solo per gli stati che vi aderiscono, non proibisce loro di far parte di alleanze militari con stati in possesso di armi nucleari. Inoltre, ciascuno degli stati aderenti «ha il diritto di ritirarsi dal Trattato se decide che straordinari eventi relativi alla materia del Trattato abbiano messo in pericolo i supremi interessi del proprio paese». Formula vaga che permette in qualsiasi momento a ciascuno stato aderente di stracciare l’accordo, dotandosi di armi nucleari.

Il limite maggiore consiste nel fatto che non aderisce al Trattato nessuno degli stati in possesso di armi nucleari: gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato, Francia e Gran Bretagna, che possiedono complessivamente circa 8000 testate nucleari; la Russia che ne possiede altrettante; Cina, Israele, India, Pakistan e Nord Corea, con arsenali minori ma non per questo trascurabili. 

Non aderiscono al Trattato neppure gli altri membri della Nato, in particolare Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia che ospitano bombe nucleari statunitensi. L’Olanda, dopo aver partecipato ai negoziati, ha espresso parere contrario al momento del voto. Non aderiscono al Trattato complessivamente 73 stati membri delle Nazioni Unite, tra cui emergono i principali partner Usa/Nato: Ucraina, Giappone e Australia.

Il Trattato non è dunque in grado, allo stato attuale, di rallentare la corsa agli armamenti nucleari, che diviene sempre più pericolosa soprattutto sotto l’aspetto qualitativo.  In testa sono gli Stati uniti che hanno avviato, con rivoluzionarie tecnologie, la modernizzazione delle loro forze nucleari: come documenta Hans Kristensen della Federazione degli scienziati americani, essa «triplica la potenza distruttiva degli esistenti missili balistici Usa», come se si stesse pianificando di avere «la capacità di combattere e vincere una guerra nucleare disarmando i nemici con un first strike di sorpresa». Capacità che comprende anche lo «scudo anti-missili» per neutralizzare la rappresaglia nemica, tipo quello schierato dagli Usa in Europa contro la Russia e in Corea del Sud contro la Cina. 

La Russia e la Cina sono anch’esse impegnete nella modernizzazione dei propri arsenali nucleari. Nel 2018 la Russia schiererà un nuovo missile balistico intercontinentale, 
il Sarmat, con raggio fino a 18000 km, capace di trasportare 10-15 testate nucleari che, rientrando nell’atmosfera a velocità ipersonica (oltre 10 volte quella del suono), manovrano per sfuggire ai missili intercettori forando lo «scudo».

Tra i paesi che non aderiscono al Trattato, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. La ragione è chiara: aderendo al Trattato, l’Italia dovrebbe disfarsi delle bombe nucleari Usa schierate sul suo territorio. Il governo Gentiloni, definendo il Trattato «un elemento fortemente divisivo», dice però di essere impegnato per la «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione (Tnp), pilastro del disarmo». 

Trattato in realtà violato dall’Italia, che l’ha ratificato nel 1975, poiché impegna gli Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». L’Italia ha invece messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per l’installazione di almeno 50 bombe nucleari B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre, al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. Dal 2020  sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova arma Usa da first strike nucleare. In tal modo l’Italia, formalmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.

Perché il Trattato adottato dalle Nazioni Unite (ma ignorato dall’Italia) non resti sulla carta, si deve pretendere che l’Italia osservi il Tnp, definito dal governo «pilastro del disarmo», ossia pretendere la completa denuclearizzazione del nostro territorio nazionale.
 
(il manifesto, 9 luglio 2017)


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VERSIONE VIDEO: L\'arte della guerra - Strategia NATO della tensione (PandoraTV, 27 giu 2017)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=EA6Z-m3hciQ



Strategia NATO della tensione 

L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

  

Che cosa avverrebbe se l’aereo del segretario Usa alla Difesa Jim Mattis, in volo dalla California all’Alaska lungo un corridoio aereo sul Pacifico, venisse intercettato da un caccia russo dell’aeronautica cubana? La notizia occuperebbe le prime pagine, suscitando un’ondata di preoccupate reazioni politiche. 

Non si è invece mossa foglia quando il 21 giugno l’aereo del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu, in volo da Mosca all’enclave russa di Kaliningrad lungo l’apposito corridoio sul Mar Baltico, è stato intercettato da un caccia F-16 statunitense dell’aeronautica polacca che, dopo essersi minacciosamente avvicinato, si è dovuto allontanare per l’intervento di un caccia Sukhoi SU-27 russo. Una provocazione programmata, che rientra nella strategia Nato mirante ad accrescere in Europa, ogni giorno di più, la tensione con la Russia. 

Dall’1 al 16 giugno si è svolta nel Mar Baltico, a ridosso del territorio russo ma con la motivazione ufficiale di difendere la regione dalla «minaccia russa», l’esercitazione Nato Baltops con la partecipazione di oltre 50 navi e 50 aerei da guerra di Stati uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia e altri paesi tra cui Svezia e Finlandia, non membri ma partner della Alleanza. 

Contemporaneamente, dal 12 al 23 giugno, si è svolta in Lituania l’esercitazione Iron Wolf che ha visti impegnati, per la prima volta insieme, due gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata»: quello in Lituania sotto comando tedesco, comprendente truppe belghe, olandesi e norvegesi e, dal 2018, anche francesi, croate e ceche; quello in Polonia sotto comando Usa, comprendente truppe britanniche  e rumene. 

Carrarmati Abrams della 3a Brigata corazzata Usa, trasferita in Polonia lo scorso gennaio, sono entrati in Lituania attraverso il Suwalki Gap, un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri tra Kaliningrad e Bielorussia, unendosi ai carrarmati Leopard del battaglione tedesco 122 di fanteria meccanizzata. Il Suwalki Gap, avverte la Nato riesumando l’armamentario propagandistico della vecchia guerra fredda, «sarebbe un varco perfetto attraverso cui i carrarmati russi potrebbero invadere l’Europa». 

In piena attività anche gli altri due gruppi di battaglia Nato: quello in Lettonia sotto comando canadese, comprendente truppe italiane, spagnole, polacche, slovene e albanesi; quello in Estonia sotto comando britannico, comprendente truppe francesi e dal 2018 anche danesi. 

«Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa», assicura il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e allo stesso tempo Comandante supremo alleato in Europa. 

Ad essere mobilitati non sono solo i gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata». Dal 12 al 29 giugno si svolge al Centro Nato di addestramento delle forze congiunte, in Polonia, l’esercitazione Coalition Warrior il cui scopo è sperimentare le più avanzate tecnologie per dare alla Nato la massima prontezza e interoperabilità, in particolare nel confronto con la Russia. Vi partecipano oltre 1000 scienziati e ingegneri di 26 paesi, tra cui quelli del Centro Nato per la ricerca marittima e la sperimentazione con sede a La Spezia. 

Mosca, ovviamente, non sta con le mani in mano. Dopo che il presidente Trump sarà stato in visita in Polonia il 6 luglio,  la Russia terrà nel Mar Baltico una grande esercitazione navale congiunta con la Cina. Chissà se a Washington conoscono l’antico proverbio «Chi semina vento, raccoglie tempesta».

(ilmanifesto, 27 giugno 2017)  




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[Alcuni nuovi testi di Mira Marković, pubblicati sul sito della Associazione SloboDA.
Per altri testi di e su Mira Marković si veda alla nostra pagina https://www.cnj.it/MILOS/miramarkovic.htm .  (A cura di I. Slavo)]
 
 
Novi tekstovi Mire Marković
 
1) НЕЗАШТИЋЕНА ПРОШЛОСТ (12.novembar 2017)
2) ОПРАВДАНЕ ПОСЛЕДИЦЕ (23.октобар 2017)
3) БИЛО У ЛАС ВЕГАСУ (Октобар 2017)
4) ПОВОДОМ ТРИДЕСТ ГОДИНА ОД ОСМЕ СЕДНИЦЕ (Октобар 2017)
5) ТРАНЗИЦИОНИ ПАЧВОРК (14.октобар 2017)
6) СОЦИЈАЛИЗАЦИЈА ПРИРОДЕ (28. aвгуст 2017)
7) СВАКА ПТИЦА СВОМЕ ЈАТУ (8.aвгуст 2017)
 
 
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Прогнана и неизгубљена

НЕЗАШТИЋЕНА ПРОШЛОСТ

Пише: Мира Марковић
12.novembar 2017
 
Сваки народ је везан за своју прошлост и поносан на оно што је најбоље у њој. При том су, разуме се, за разне народе различите вредности оно што је најбоље у њиховој прошлости. Зависи од тога у чему су објективно било најуспешнији у свом времену. Или у чему су они субјективно придавали највећи значај.  
Сада, после толико векова, сваки би народ требало да афирмише оне тековине из своје прошлости које имају трајну цивилизацијску вредност у развоју друштва, науке и уметности, оне тековине које имају перманентну еманципаторску улогу.  
Али, често се прошлост, а нарочито оно што се у њој третира као традиција, злоупотребљава. Ставља се у функцију текућих, пре свега политичких потреба.  
Често се традиционално, према коме се треба односити са поштовањем, активира у сасвим текуће, прагматичне сврхе. То традиционално би требало тобоже да буде ослонац за дневне политичке потезе. А ти потези се представљају као национални континуитет, историјски темељ политике која се тренутно води у народном интересу.  
Злоупотреба прошлости и традиције ниски је ударац и прошлости и традицији, а текућој стварности је подвала коју многи савременици не виде одмах, а неки је не виде никад.  
У последње време на тај начин је предмет злоупотребе постала религија, односно црква као њена институција.  
Религија је, бар две последње деценије, постала територија на којој се сукобљавју народи и уоште људи, и у тим сукобима сваки народ активира своју религију као свето место свог живота које је као такво довољан разлог у најбољем случају за дистанцу од припадника других религија, а у горем случају за налажење аргумената за агресивност према њима.  
Да би се таква температура међу народима и људима одржала, креатори те температуре служе се театралном глорификацијом и религије и њених тумача и цркве.  
Та театралност искључује свако искрено и озбиљно религиозно осећање и у крајњој линији вређа и религију и вернике.  
Многи верници ту разметљиву, свеприсутну „религиозност“ не доживљавају као театралност, напротив, верују да се ради о привржености највећој вредности којој су сами посвећени. На упозорење да се ради о прилично бескрупулозној манипулацији реагују, не само са сумњом, већ непријатељски, доживљавају та упозорења као атеистичку злурадост.  
Има, разуме се, образованих верника који су свесни те манипулације и који одбијају да буду декор те театралности. Али, изгледа да су они у мањини. Да није тако, да је већина свесна злоупотребе религије, до те злоупотребе не би ни дошло.  
Ако би на опасност од те манипулације неко требало да реагује онда су то представници цркве. Многи међу њима то знају као образовани људи, али њихова реаговања, и кад их има, не допиру лако и увек до јавности. Пре свега јер се не уклапају у политичке интересе манипулатора.  
Али их има међу црквеним људима који игноришу чињеницу да се и религија и црква користе често у политичке сврхе, иако су те чињенице свесни. Чине то са логичном намером да атмосферу наклоњену религији и цркви искористе за јачање утицаја религије и побољшање материјалних и статусних прилика саме цркве.  
Наравно, постоје и друга подручја прошлости и традиције која се на сличан начин злоупотребљавају.  
Глорификација неког догађаја или неке појаве често се смешта у контекст глорификације прошлости и традицију у целини.  
Међутим, нема народа на свету чија прошлост у целини заслужује да буде глорификована. Свачија има слабе стране које не треба заборавити да се не би поновиле.  
Национализам је, по својој природи, склон фетишизацији националне прошлости а нетрпељив према оправданом труду за нужном вредносном селекцијом.  
А затим, не може све из прошлости да буде традиција, не само зато што све не заслужује да се третира као добро, већ и зато што би такав статус многих појава био у данашње време бесмислен.  
На пример и у најразвијеним земљама жене нису имале право гласа до такорећи недавно, да ли би фетишизација прошлости без селекције, ту „традицију“ неговала. Ту је селективан вредности однос према прошлости историјски нужан и оправдан.  
Али је логичан и у подручјима која нису од таквог цивилизацијског значаја. Козаци су ратовали сабљама, Срби су носили опанке, Енглези сукњице, Турци димије ... то је прошлост која је остала за новим добом. Та је прошлост била дуго традиција али је време укинуло.  
Вредносна селекција према прошлости подразумева неговање оних тековина које су допринеле и националном и општељудском развоју и прогресу.  
А традиционално треба да се негују они симболи којима се национални идентитет испољава у његовом континуираном и оптималном цивилизацијском развоју.
 
 
=== 2 ===
 
 
Прогнана и неизгубљена

ОПРАВДАНЕ ПОСЛЕДИЦЕ

Пише: Мира Марковић
23.октобар 2017
 
У Србији је за последњих петнаест година петоструко повећан број оболелих од рака, тридесет шест хиљада људи оболи од рака сваке године, а једно дете од рака оболи сваког дана, стопа раста оболелих од рака у Србији је повећана за 2% годишње док тај раст у свету износи 0,6% годишње. 
И стручно и лаичко мишљење је да је пораст малигних обољења последица бомбардовања. 
И заиста, готово да нису неопходне стручне анализе и оцене када се ради о узрочно-последичној вези између малигних обољења и бомбардовања у Србији. Према „признањима“ самог НАТО-а на Србију је бачено најмање дванест тона осиромашеног уранијума, а могуће је, према њиховој процени, и петнаест. 
Поред осиромашеног уранијума катастрофалне последице за живот у Србији су изазвала и бомбардовања хемијских постројења. Последице њиховог бомбардовања су једнаке последицама које би биле изазване коришћењем бојних отрова. Због експлозија и пожара који су се десили приликом бомбардовања хемијских фабрика и нафтних резервоара огромне количине отровних материја загадиле су ваздух, воду и тло на ширем подручју од оног на коме су се налазила бомбардована постројења, али је то загађење било и на дужи рок. Опасност од њега присутна је до данас и вероватно још дуго неће проћи. 
Непосредно после окончања бомбардовања почео је рад на научним и стручним анализама о последицама бомбардовања на здравље, пре свега становника најугорженијих подручја, али и на здравље нације у целини. Те прве анализе су, одмах указале на драматичну везу између бомбардовања и здравља људи. 
Резултати тих анализа подразумевали би и одговорност за судбину нације која је бомбардовању била три месеца изложена. 
Али годину и по дана после бомбародања, власт која је то постала пучем у организацији америчке администрације и неких других западних влада и институција искључила је из свог домена рада сваку активност везану за одговорност оних који су бомбардовали Србију. То је, разуме се, било и очекивано. Нова власт је била експозитура оних који су бомбардовали Србију. 
Питање одговорности је, дакле, било склоњено са дневног реда на који су га по логици и по сваком моралу на дневни ред ставили претходна власт и народ. Тако су се индиректно на споредном колосеку нашла и истраживања везана за последице бомбаровања за људски живот. 
Могуће да су у последње време та истраживања „оживела“. Између осталог и зато што је пораст малигних, али и неких других сличних обољења, у драматичном порасту. 
Али и данас, као и раније, важи исти каузалитет. За еколошку и здравствену катастрофу у Србији одговорност припада онима који су доносили одлуке о бомбардовању и који су га изводили. Та одговорност није само начелна него је и персонална. Осамнаест земаља чланица НАТО, и само врх НАТО, имају своје шефове који су 1999. године донели одлуке о бомбардовању Србије, додуше без сагласности Уједињених нација и Савета безбедности. Знајући ваљда да им њихова сагласност није ни потребна. Администрација САД је старија од УН. 
Тешко је, дакле, избећи обелодањење везе између бомбардовања и здравствених прилика у Србији а занемарити одговорност за те прилике и то не неку начелну већ конкретну. 
И усред те атмосфере недавно у Србију у госте доласи Бернар Леви, француски филозоф. Између осталог, познат и по својој дугогодишњој антисрпској пропаганди и уопште по анимузитету према Србима коју је испољавао деведесетих година. 
Приликом недавног гостовања у Србији на забринутост коју је чуо од српских домаћина да у земљи има много малигних обољења у последњих петнаест година, француски филозоф је одговорио да је становништво Србије старо па је логично да као такво умире од рака, а уз то је нагласио да српски народ није склон демократији. 
Што се старости тиче, Срби нису најстарији народ на свету. Има их још старих и још старијих, али нису познати по високом степену смртности од рака. У удаљеним пространствима Сибира, Кавказа, уопште Азије, Северне Америке и тако даље има много старог света а једва да има малигних обољења. А код нас сваког дана једно дете оболи од рака. Старост као евентуални узрок тешко да би могла да прође. 
Али ни одсуство демократије, такође. Бернар Леви и њега помиње као један од узрока, ваљда у ширем смислу. У ширем или ужем, тешко је довести у везу одсуство демократије и малигна обољења. Односно, недостатак демократије као узрок малигних обољења. Јер има их и у најдемократскијим земљама које се, по Бернару Левију, налазе на Западу наше хемисфере. А опет нису ове болести најзаступљеније у азијским и афричким диктатурама. 
Кад би та комбинација – одсуство демократије и старост, били узрок малигних обољења човечанство би бар знало шта треба да предузме да се реши једног од највећих зала које га је снашло. Продужити младост и увести демократију. А Бернар Леви би добио Нобелову награду и за биологију и за медицину и ако се за те науке није школовао. И био би скинут терет са плећа многих стручњака, биолога и лекара широм света, који раде на откривању лека за рак. 
Али на жалост француског филозофа, у Канади умиру од рака иако је земља демократска, а на Кавказу живе здрави иако су стари. 
Младост и демократија, и кад су уједињене, нажалост, нису лек за најстрашнију болест овог века. 
Биће, дакле, по Бернару Левију, да су само у Србији старост и одсуство демократије узрочници малигних болести.
 Па према томе, кад умру сви стари, а то је по Бернару Левију већина, и кад се уведе демократија којој Срби нису склони, неће више бити болести, не само малигних, него ваљда ни кијавице. Становника ће бити нешто мање и биће под надзором, да се опет не отисну у антидемокрастке воде, али бар ће бити здрави.
 
 
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Прогнана и неизгубљена  
                              
БИЛО У ЛАС ВЕГАСУ

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
 
Недавно је у Лас Вегасу убијено 58 људи и преко 500 рањено за време фестивала кантри музике. Убица је био стар око шездесет година, вероватно оштећеног здравља. Вероватно, јер нема другог објашњења, па ће се, по свему, свести на то. 
Чак и ако се то догодило у САД, много је. САД, иначе, важе за земљу са највише криминала, или се бар налазе у врху те лествице. 
Порекло тог криминала је предмет перманентне бриге у самим САД, лаичког огорчења широм света, и наравно, научне пажње. 
Порекло је сложено, али није недовољно јасно, каквим се понекад жели да представи. Та тобожња недовољна јасност је последица извесне научне лењости, а некад има и крхку одбранашку улогу. Тобоже је то зло снашло САД, таква им је судбина. 
Није, наравно, у питању судбина већ стварност која је резултат више међусобно повезаних фактора. 
Велике социјалне разлике, у ствари енормне класне разлике, по правилу су први узрок криминала и свих других облика насиља и социјалне патологије. Сиромаштво, незапосленост, неписменост, колективна и индивидуална безперспективност су родна места криминалаца, наркомана, проститутки, многих психопата ... 
Криминалу у САД много доприноси и веома присутна потрошачка атмосфера. Оно што се нема, недостаје више ако се људима стално даје на знање да постоји у провокативном квантитету и квалитету. Енормна понуда и одсуство услова за сваку потрошњу, или за веома ограничену и крајње скромну, изазива агресивно незадовољство. 
Притом, треба имати у виду да је у САД економски раст веома интензиван, брз, готово спектакуларан, и да такав појачава социјалне разлике. Незапослени и сиромашни реагују на њих драматично, агресивно, траже решење изван институција и закона. Али, не само они. И неки припадници средњих слојева незадовољни својим шансама за материјалним и статусним променама, прибегавају повременом или трајном компензацијом у криминалу. И део омладине, такође. По природи свог бића млади људи су нестрпљиви, а подстакнути егизстенцијалним провокацијама свуда око себе, животом до кога је пут дуг и неизвестан, покушавају да га се домогну што пре, занемарујући ризик коме су изложени не само тренутно већ и трајно. 
Том нараслом социјалном незадовољству и гневу много доприноси и потрошачка пропаганда. Вјерују америчког начина живота је – имати. Немати људе избацује из игре, из живота такорећи. Материјални, економски, финансијски успех је готово једини успех. Из њега се репродукују све друге шансе у животу. Породична биографија, стваралаштво, рад, духовна посвећеност су параметри у далеком другом плану. А тај примарни успех и његов амбијентални декор су не само дневно форсирани већ и национално глорификовани. Није, дакле, нереално да до тог успеха пут може да буде и ванзаконска и ванинституционална пречица. 
Америчкој ванзаконској и ванинституционалној, криминалној стварности годинама је много доприносило и присуство расне дискриминације. Она је од почетка била повезана са социјалним и класним разликама. Расно дискриминисани су били и социјално, односно класно деградирани. Припадници те дискриминације и деградације су били једна од најзлостављенијих популација у осамнаестом, деветнаестом и двадесетом веку. И логично је да су се из тог злостављања родили насиље и криминал. Они су били израз нужде, али и освете. Некад и једног и другог. Америчка држава се према тој нужди и освети односила као према криминалу. А просвећени свет, у Европи као његовом центру, је ту замену тезе игнорисао, правио се да је не види. 
Као један од узрока криминала у САД свакако треба имати у виду и специфичност америчког менталитета. Први досељеници из Европе у Америку са својим преступничким и авантуристичким биографијама, које су активирали при сусрету са слабијим матичним становништвом, били су пратемељ следећих покољења која су агресивност у остварењу својих националних интереса и личних потреба сматрали легитимним својством своје супериорне цивилизацијске нарави. Та нарав је радикално и скоро антагонистички била различита и остала различита од европске раскошне просвећености и азијске стрпљиве мудрости. 
И најзад, треба имати у виду и одсуство континуитета хуманистичких идеја које вековима постоје у Европи и Азији и настојања да се оне остваре. 
Иза садашње Европе налазе се грчка филозофија која је на највишем мисаоном нивоу покренула питање односа између добра и зла, као и многи до сада непревазиђени антички идеали морала и лепоте; римско право на коме се темеље цивилизацијски парамтети од 753. године пре Христа до данас; хришћанство чији почеци представљају рану антиципацију једнакости и равноправности; десет векова византијске суптилне ликовне духовности; златни утопистички сан Томаса Мора и за далеку будућност написан „Град Сунца“ Томаза Кампанеле; визионарски образац оптималног живота који су образложили Сен Симон и Фурије пре него што је наука о друштву то преузела на себе; раскошно схватање слободе за време три века ренесансе; Велика француска револуција на чијој су застави први пут слобода и равноправност најавиле повезаност без којих нема ни једне ни друге; Први човеков излет у небо 1871. године за време Париске комуне; научно креирана будућност Марксовог учења; Лењинове Филозофске свеске и Октобарска револуција која је отворила прве странице будућности ... 
Захваљујући том континуитету Европа је врт наше цивилизације, њена мисаона дуговечност је израз њене универзалности и њене супериорности у односу на егизстенцијални салто витале у чијој се неутемељености крије опасност од негације. 
Зато Американци, лишени тог континуитета, живе у прагматичној садашњости и у њој једино налазе репер респектабилности. Оно што им је дошло из еврпоског мисаоног и искуственог живота предмет је едукативног, али не и вредносног значаја. 
Њихове личности се нису формирале на претходном мисаоном искуству јер га нису имали. Оно што имају у том смислу је са историјске тачке гледишта кратког даха, дијалектика је једне немирне духовно и мисаоно неауторизоване динамике, елементарни егзистенцијални мотив без искуства из јучерашњег дана и без перцепције за сутрашње. 
 
 
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Прогнана и неизгубљена  
                              
ПОВОДОМ ТРИДЕСТ ГОДИНА ОД ОСМЕ СЕДНИЦЕ

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
Октобар 2017
 
Осма седница није завршена. Само је прекинута. Прекинута је зато што нема ко да је настави. 
Њене теме су биле две. 
Прва је била друштвена реформа. 
Та реформа је требало да буде почетак трансформације постојећег друштва у виши цивилизацијски тип. Односно, циљ те реформе је био формирање једног богатог и праведног друштва. 
Примарни принцип социјалистичког друштва је био праведно друштво. Али су сва социјалистичка друштва до тада била сиромашна, или прилично сиромашна. 
Довођење у питање, бар делимично, те стварности као прилично дугорочне нужности започело је у социјалистичкој Југославији. Она је одбила да сиромаштво буде део социјалистичке личне карте која ће важити деценијама. Отклањање те заблуде је била необразложена платформа послератне Југославије. У првој половини осамдесетих година дошло је до стагнације југословенског живота, а нарочито до тражења одговора на питање какав он треба да буде. 
Али је већ у другој половини осамдесетих година прошлог века Србија отворила то питање спремајући на њега и одговор. Праведно (социјалистичко) друштво не само да није нужно да буде сиромашно већ може да буде истовремено и богато. Односно, да праведно друштво које је и богато тек онда постаје социјалистичко. А тиме и нерањиво не само на сумњичавост у погледу своје историјске оправданости већ нерањиво и на аргументе чак и најљућих противника који су своје неслгање са социјализмом заснивали на његовом сиромаштву. 
Идеја реформе у Србији средином осамдесетих година подразумевала је осим присуства тржишта и активирање приватне својине, њеним комбиновањем са државном и друштвеном својином. То је требало да буде начин на који је било могуће остварити економски и социјални развој чији би резултат био виши квалитет живота, материјалног и осталог, за све грађане, на макро и на микро нивоу. 
Уводни реферат у оквиру прве тачке дневног реда био је уствари најава почетка те теме. И та тема би доминирала седницом, била најава почетка реформе која је била више од реформе, да у међувремену није дошло до сепаратистичких и терористичких догађаја на Косову од стране албанске мањине. 
Они су се у великој мери ослањали на аутономију Косова које је покрајину све више чинила републиком и подстицала сепаратизам албанске популације. 
Тај албански сепаратизам је имао прилично индиректну подршку у врховима Хрватске и Словеније које су тада и саме испољавале сепаратистичке тенденције, додуше не тако агресивно као Албанци на Косову, средином осамдесетих година словеначки и хрватски сепаратизам се испољавао још увек обазриво. 
Проблеми на Косову и потреба да се они реше захтевала је предузимање хитних политичких и државних мера. Оне су у великој мери значиле и довођење Косова под надлежност Републике Србије, као што су у њену надлежност спадали и сви остали њени делови. И као што су у надлежност свих других република у Југославији спадали сви делови тих република. 
Део српског руководства у претходних неколико година, а и те 1987. године, доводио је у питање независност албанског сепаратизма - сматрали су да је у приличној мери био изазван српским национализмом. Доводили су у питање и хитност мера да се тај сепаратизам заустави – сматрали су да се ради о дугом и спором процесу. А што се тиче аутономије Косова која је претила да Косово учини републиком, ту аутономију је тај део српског руководства подржавао. Устав из 1974. године, који је иституционализовао ту аутономију имао је подршку ондашњег српског руководства 
Све то је била друга тема Осме седнице. 
Због атмосфере у Србији, али и због атмосфере на седници, та друга тема дневног реда је постала доминантна. Спонтано али оправдано је постала главна и остала је главна пуних тридесет година. 
До дана данашњег ће свако ко помене Осму седницу везивати је за Косово, односно за одлуке донесене у вези са приликама на Косову. 
Таква оцена је такорећи добила право грађанства. 
Тако ће о њој говорити и њени учесници, већ сутрадан после седнице. 
Данас је тешко зауставити, тешко је чак и кориговати тај тренд. 
Појавиле су се готово научне студије које имају за циљ да објасне „дубљи“ смисао Осме седнице. Као да то што је видљиво такорећи голим оком, није најважније. Најважније је тобоже нешто друго, притом то друго не објашњавају. Биће да је то нека тајна, али света српска ствар. Та фетишизација српског, та патетична кукњава, то призивање цркве, православља, прошлости, косовских јунака, битке на Кајмакчалану, ... нема никакве веза са Осмом седницом – са заустављањем албанског сепаратизма и тероризма, а поготово не са идејом реформе. 
Губитници на Осмој седници су били заступници вишегодишње политике о опасности од српског национализма за све остале народе и мањине у Југославији, о потреби да се са таквим национализмом обрачуна српско руководство, о том национализму као узроку албанског сепаратизма, а о албанском сепаратизму и тероризму као појавама са којима треба обазриво и стрпљиво планирати потезе на дуги рок.  
Иако мањина са ове седнице били су од онда до данас активни, присутнији у јавности од оних који су на тој седници били победничка већина. И даље су остали уверени да је српски национализам готово шовинизам и као такав зло против кога се мора борити. У међувремену су стекли много следбеника у Србији, а у републикама некадашње Југославије су имали подршку и раније и имају је и данас у свим срединама. 
Они који су били већина на седници нису се много трудили да објасне да српски национализам није најопаснији у Југославији, нити је изазвао албански, а тамо где га има у Србији, као што га има и у другим републикама и уосталом у свим земљама на свету, треба да буде предмет осуде. Од стране свог народа, разуме се, пре свега. 
Због недовољног присуства у јавности већине са Осме седнице, одлуке у вези са Косовом су често симплифициране и вулгаризоване, сведене на банално национално и индиректно и ненамерно су послужиле као аргумент „борцима против српског национализма“ у јавном животу Србије да је то био почетак националистичке политике у Србији која је угрозила стабилност Југославије. 
Тај ниски ударац мерама да се заустави ескалација албанског сепаратизма и тероризма на Косову и да се сачува територијано јединство Србије на начин на који су биле јединствене све друге републике некадашње Југославије, неколико година касније суд у Хагу на суђењу Слободану Милошевићу употребиће као кључни доказ да је Србија одговорна за распад Југославије и да је тај распад инспирисан Осмом седницом.
А тековине Осме седнице, кад је реч о Косову, су биле енергичне државне мере да се зауставе албански тероризам и сепаратизам и њихово заустављање већ у току те и следеће године и промене Устава Србије после годину и по дана којима је Србија правно и политички изједначена са другим републикама у Југославији ограничењем аутономије обе покрајине која је претила да их трансформише у републике. 
Да непуне три године после Осме седнице није дошло до југославенске драме, Србија која је на Осмој седници добила под своју надлежност Косово на принципима политике националне равноправности и свог територијалног интегритета, је имала све услове да савлада сепаратизам и тероризам албанске мањине. 
И да изведе целовиту друштвену реформу. Могуће је да би идеја те реформе временом постала инспиративна у југословенским размерама, али не само у југословенским размерама. И могуће је да је, укидањем Југославије и демонизацијом Србије, због тога заустављена. 
А распад Југославије није индиректна одговорност Осме седнице коју јој хашки трибунал приписује, али јесте одговорност креатора тог суда. 
Креатори тог суда судили су за злочин борцима против злочина који су сами извршили.
 
 
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Прогнана и неизгубљена  

ТРАНЗИЦИОНИ ПАЧВОРК 

Пише: Мира Марковић 
14.октобар 2017 

У сваком друштвнеом систему, од робовласничког до грађанског и социјалистичког друштва, налазили су се и остаци претходног друштвеног система и наговештаји следећег друштвеног система.  
У феудализму су се, нарочито на почетку налазили остаци ропства, а касније наговештаји следећег, грађанског друштва у лицу богатих трговаца и занатлија и првих индустријалаца.  
У грађанском друштву су остаци претходног друштва били некадашње осиромашено племство и свештенство, а најаву следећег система су представљали високо ситуирани стручњаци и службеници (технократе и бирократе).  
То је историјска законитост. Та законитост је мало модификована у земљама такозване транзиције. Многе некадашње социјалистичке земље имају за историју мало необичан састав – остаци претходног социјализма, враћање првобитне акумулације капитала, успостављање државног капитализма заједно са неолибералном економијом.  
Пошто транзициони друштвени живот за сада нема пред собом друштвени систем ка коме је постојеће друштво упућено, ни његову природу у целини, ни његове поједине манифестације, тешко је, односно немогуће је, претпостаљати шта би од економских и социјалних обележја у друштвеној збиљи ових земаља била најава будућег друштвеног система.  
У феудализму су богати трговци и занатлије и први индустријалци најавили класу капиталиста и капитализам уопште. У капитализму су технократски и бирократски слој најавили управљачки корпус најпре државног капитализма а затим корпоративног. И тако даље.  
Ни у сасвим развијеним капиталистичким друштвима није економска и социјална структура тих друштава једноставан израз историјског континуитета, али су развојни процеси и одговарајући тренд присутни и у историјском смислу ипак препознатљиви.  
У сваком случају далеко су од економског и социјалног хаоса који влада у такозваном транзиционом свету. Његова шароликост, хаотичност, непредвидљивост, подсећају на стари али и даље актуелан ручни рад – пачворк, који је због своје привлачности преузела и индустријска производња.  
Има га у изради одеће и кућних тканина, као неуобичајено комбиновање боја, структуре, облика и величине материјала. Тај несклад је имао и има шарм за многе укусе. Та комбинација свега настала је из нужде. Неодстатак потребног новог материјала био је разлог да се употребе остаци старих, чија се комбинација убрзо показала маштовитом и лепом, па ће се касније та принудна комбинација показати као изборна. Пачворк или крпљење постоји и данас, али више не као крпљење већ као креирање.  
На сличан је начин комбинација присуства разних друштвених система у транзиционим друштвима на почетку била израз нужде. Нагло укидање социјалистичког система није могло да уклони преко ноћи све његове трагове у економском и социјалном животу новог несоцијалистичког друштва. Као што ни тек успостављени капитализам – тржишна привреда и вишепартијски систем, нису могли одмах да се испоље у развијеном облику па се појављују у свим својим фазама делимично испољени, међусобно неповезани и често противречни.  
За разлику од текстилног пачворка овај друштвени, иако је као текстилни почео из нужде, тешко да ће временом постати избор. Недостају му социјална стабилност, економска ефикасност и нарочито историјска усмереност. Да би био избор мора да буде привлачан, а да би био привлачан мора да има, између осталог и циљ, који за сада нема.  
Мада, ако одсуство циља потраје, савременици ће се привићи на његово одсуство. Доживеће стварност у којој живе као свој избор. Планирање на микро нивоу и на кратак рок спонтано ће и готово неприметно суспендовати потребу за макро циљевима и обавезама које би из њих произилазиле. 
 
 
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Прогнана и неизгубљена  
                              
СОЦИЈАЛИЗАЦИЈА ПРИРОДЕ

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
28. aвгуст 2017

 
Одавно, већ неколико деценија, природа је све више друштвена појава. 

Савладавајући природу, стављајући је у функцију својих, најпре биолошких, а затим и социјалних потреба, човек је нарушио њену аутентичност, довео у питање хармонију која је постојала између биљног и животињског света, па и ону која је постојала у оквиру сваког од та два света независно од оног другог.

Истребио је неке животињске врсте, један број неких животиња је припитомио, употребљавајући их за своје домаће потребе – да лакше дође до њих као хране, да му служе као физичка помоћ, али и за разоноду. 

Тако је велики број дивљих животиња трансформисан у домаће – тигар у умиљату мачку са машном око врата, вукови и којоти у лојалне намирисане кучиће који лече кијавицу код ветеринара, дивљи мустанг у амалина, у бољем случају у живи реквизит за испољавање спортских активности, али и за испољавање снобовских и шарлатанских потреба – коњске трке су у приличној мери летњи атријум за малограђанску таштину богатих паразита и хараздерско надметање доконих шарлатана. 

Нарочито срамни облик припитомљавања су циркуси у којима се најлепши примерци животињског царства муче и понижавају да би тим мучењем и понижавањем били забављени гледаоци, немилосрдно резистентни на патњу других. 

Да није тако не би човек водио своје мале потомке да гледају у кавезу затворене лавове и тигрове, чије су лепота и снага само болна сенка лепоте и снаге која их је красила у прашумама и саванама. 

Деца ће од најранијег детињства научити да животињским царством господари човек и да сваког од његових припадника може да учини својим робом из чисте потребе за кратким и мрачним задовољством.

 Нису могли да припитоме ајкуле и китове, за сада су у стаклене посуде са водом затворили шарене мале рибе које се полулуде међусобно сударају, а њихова немоћ и очајање део су ентеријера којим се хомо сапиенс поноси пред другима или сам ужива у њему. У том ентеријеру, акваријум са живим малим и немоћним бићима има исти статус као фотеља, завесе, шоље за кафу или слика на зиду. 

Аутентични биљни свет аутентичан је још само тамо где људска рука, нога, а нарочито мозак нису допрли – Бразилске пашуме, ток Амазона, далеке дубине великих мора и океана. 

Од човеког интервенисања у квантитет и квалитет њихове егзистенције штити их одсуство човекових способности да до њих дође. Или човекова недовољна заинтересованост да до њих дође. Кад буде располагао одговарајућим начином и мотивом прилагодиће и флору својим рационалним и ирационалним потребама. Укрстиће лалу и орах, купус и баобаб из инфантилне и неодговорне радозналости. (Као што то тајно покушава у животињском свету.) 

Ни биљке, ни животиње не могу да се супротставе, а човек свој окрутан однос према њима објашњава и оправдава својим егзистенцијалним потребама. 

Тим потребама је објаснио и оправдао загађење воде, ваздуха и тла које је захватило у огромним размерама читаву планету крајем деветнаестог и почетком двадесетог века процесом урбанизације и индустријализације. Она вода, онај ваздух и оно тло више то нису тамо где су их дотакле индустријализација и урбанизација. Вода, ваздух и само тло су чисти још само у руралним подручјима, али та удаљеност ће трајати онолико колико се геолошка целина планете не буде могла да одложи на дужи рок.  

Нарочито су нове и драматичне интервенције везане за климу. Научно технолошка знања стављена у функцију политичких интереса мењају већ дуже време климатске прилике на подручјима на којима се налазе државе чију територију или политику нека моћна политичко-технолошка елита жели да стави под своју контролу. Способност за такве интервенције у сфери климе могу да имају само најразвијеније земље. Али и земље чије се владе не устежу да своје класне, елитистичке интересе ставе изнад елементарних егзистенцијалних интереса милиона људи широм планете. Занемарујући при том чињеницу да међу тим милионима постоји равноправна моћ, способна да узврати ударац, да одговори на исти начин. А онда, жртва постају сви, човечанство. 

Најзад је човек такве интервенције у природи извео и на самом себи. Са циљем да самог себе учини функционалнијим, да себе стави у функцију своје добробити. 

Скоро ће век како је почео да своје биолошки дотрајале или оштећене делове тела замењује вештачким. Вештачки зуби, кукови, руке, ноге .... захваљујући великим медицинским напорима трансплантација је омогућила човеку да замени новим дотрајалу јетру, бубреге, срце ... 

Захваљујући естетској хирургији човек може да добије ново лице и нове делове тела уместо оних који му се не свиђају, а захваљујући пластичној хирургији и потпуно нови идентитет. Од великих физичких повреда човек у данашње време може лако да се опорави захваљујући радикалним интервенцијама у његово биолошко биће. Како ствари стоје, тих интервенција ће бити још више из здравствених и естетских разлога. 

Временом ће биолошки састав уступити све већи простор вештачком, природни живот ће се повлачити пред друштвеним мерама да се испољи на вишем нивоу. Човека ће на крају највероватније заменити његов човеколики машински производ. Роботом, као постчовеком биће окончан човеков биолошки живот. 

Надаље ће функционисати „живот“ који је он произвео са намером да свој аутентични живот учини бољим и лепшим. У својој гаргантуовској потреби да савлада природу, да је потчини себи, потчиниће себи и себе самог. Човек не може да мења природу а да при том не мења и себе, не може да је савлада а да не савлада и себе. Ту целину човек, нажалост, није до сада мењао планирано већ стихијски. Додуше, планирано није ни могао, дуго није располагао ни знањем ни условима за конципирање промена у природи. Али у двадесетом веку су се стекли знање и услови да човек свој однос према природи заснива на планирању промена које ће бити у интересу човека али на штету природе, а поготову не на његову сопствену штету. 

На самом почетку двадесет првог века без таквог концепта и његове примене човек ће временом, вођен стихијском инерцијом уместо научном истином, почети да укида и најзад и укинути самог себе. 
 
 
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Прогнана и неизгубљена

СВАКА ПТИЦА СВОМЕ ЈАТУ  

Пише: Мира Марковић
8.aвгуст 2017
 
Недавни избор Ане Брнабић за председника Владе Србије добро је решење за политику за коју се друштво определило. Њена биографија савршено коренсподира са типом друштва које је изабрала Србија и у складу је, наравно, са духом времена у коме живимо у Европи и у великом делу света.

Неолиберализам је доминантна друштвена реалност али и оријентација најразвијенијег света. Та оријентација није довољно научно заснована, а великим делом није уопште научно заснована. 

Опредељење за неолибералну будућност као најбоље глобално решење за савремени свет је прагматично „идеолошко“, израз је виталног и континуираног класног егоизма који је, захваљујући технолошко-информационом степену развоја, добио шансу да се наметне као оптимално.

Тако је за сада, у недостатку другог, хуманијег решења и наравно научно заснованог. До даљег, дакле, неолиберализам влада светом. 

А да би та владавина била ефикасна њени носиоци треба да буду одговарајући заступници политике коју та владавина треба да спроводи. 

У развијеним грађанским друштвима у Европи и на америчком континенту то се подразумева, неолибералну политку спроводи власт у којој се налазе за њу неолиберално опредељени појединци.

Проблем је у некадашњим социјалистичким земљама. Оне су се такорећи преко ноћи определиле за неолиберални друштвени систем. Али су им недостајали одговарајући „кадрови“. Опредељење је могло да се догоди преко ноћи, али преко ноћи нису могли да се нађу одговарајући политички заступници тог опредељења. Људи који су тако били оријентисани у дужем периоду, који имају одговарајћа знања и искуства у његовој примени, ван земље, пре свега, а делимично и у земљи кроз опозиционо политичко деловање у професионалном и јавном животу. 

У недостатку, дакле, таквих „кадрова“ нове неолибералне власти у многим земљама некадашњег социјализма принуђене су да владе и институције од највећег значаја буду састављене од некадашњих социјалистичких и комунистичких активиста. Па тако некадашњи члан ЦК КП из 1987. године постаје 1991. године министар за привреду у неолибералној влади. Како да та привреда напредује са кадром који се годинама бавио односом између државе и друштва у интересу јачања социјалистичке својине да би после три-четири године добио да руководи ресором у Влади који треба да изврши својинску реприватизацију и гради темеље крхке капиталистичке државе. 

Заиста, како да напредују та неолиберална држава и њена привреда. Па, никако. Или у најбољем случају, тешко. Зато у помоћ тим државама већ одмах, раних деведесетих година, у помоћ стижу „кадрови“ из неолибералних светилишта у Европи и САД. Или као аутентични евроатлантски стучњаци за савремену тржишну привреду и одговарајћи парламентарни, демократски систем. Или годинама тамо школовани, демократској оријентацији склони млади људи из социјалистичких земаља који су у међувремену постали респектабилни стручњаци за организацију неолибералног друштвеног система и демократског друштва. 

Јавност, која себе сматра патриотском, ту и тамо протестује. Али, неоправдано. И она је допринела успостављању нове друштвене стварности евидентирајући гневно и континуирано слабе стране претходног социјалистичког система. Мање-више индиректно је допринела новом типу друштва. 

А њега не могу реализовати протагонисти претходног социјалистичког, већ заступници тек успостављеног неолибералног друштва. 

Ако их нема у домаћем расаднику, онда се морају тражити и налазити у ближем или даљем окружењу. Тако је и у нашем друштву. 

Неолиберални курс захтева одговарајућа персонална решења, познаваоце, тумаче и учеснике тог курса. У новим властима и на одговорним функцијама у Србији нема разлога да се налазе социјалистички кадрови из осамдесетих и деведесетих година, не из моралних разлога, мада они нису за потцењивање, већ из сасвим прагматичних. Они немају стварну копчу са неолибералним светом без обзира на моралну и политичку мутацију помоћу које мисле да могу да се од патриотских левичара из 1993. године трансформишу у заступнике евроатлантске тржишне политике. 

Ти морални политички мутанти камен су о врату успешном реформском курсу, бржој системској трансформацији и аутентичном креирању једног сасвим другачијег света у односу на онај у коме су они били политички активни и у коме су формирали своје политичко и друштвено биће. 

У кризним, бурним временима честа је појава моралне и политичке еластичности. Из страха, из интереса, али и из малограђанског комодитета, левичари постају десничари кад зађу њихова левичарска времена, а освану десничарска. Али и обрнуто. 

После социјалистичких револуција много их је који су своју монархистичку, али и обичну грађанску прошлост пустили низ воду нудећи своју лојалност партијској администрацији оближњег општинског комитета Комунистичке партије, Савеза комуниста или са неким другим одговарајућим именом. 

Морална еластичност је неетички континуитет који је био присутан у свим временима и у свим срединама. Његова виталност зависи од степена еманципације друштва као целине, од цивилизацијског савладавања егзистенцијалног страха и од детронизације интереса као доминантног мотива. 

Иза одрицања од власти и владара који то више нису и изражавања лојалности новим властима и новом владару се налази страх или интерес. А најчешће и једно и друго. Та морална еластичност има неко не баш витешко али делимично и рационално покриће. Нарочито кад је човек по природи кукавица или кад је мотивисан егзистенцијалним и професионалним потребама. 

Али ставити на апсолутно располагање своје радне, професионалне, политичке и просто људске услуге власти која је док то није постала сматрана противничком, и приписати јој врлине које су до јуче биле мане, израз је моралне мутације која ипак и срећом није масовно распрострањена. 

За њу су способни ређи примерци препознатљиви по одсуству сваког осећања части, а могући захваљујући присуству масовно распрострањене способности да се то одсуство не осуди, чак ни да се игнорише. Или бар да му се руга. Али, ето, чак ни ту способност нема мноштво захваљујући коме мутанти постоје. 

Зато је избор Ане Брнабић, с обзиром на њену биографију, и рационалан и моралан. У друштву чије је опредељење идентично са њеним она може да допринесе његовом развоју. 

Као што су после 1945. године у социјалистичкој Југославији у врховима власти били партизански хероји социјалистичке и комунистичке оријентације, а не монархистички теоретичари и министри, који, чак и да су хтели, а срећом њима на част нису, не би наишли на отворена врата. 

Свака птица своме јату, чак и кад се јато нађе у олуји, чак и кад га снађе невреме. 

Птице то знају иако су инфериорна бића у односу на човека. Он би, и ако супериоран, могао понекад да погледа изнад себе, према небу. Земља је стабилна локација. Али није увек довољно инспиративна.

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8791 ]]



Memorandum sulla Libia: disinformazione contro Stato, Guida ed Esercito


di  Saïf al-Islam Kadhafi

Mentre la NATO ha deliberatamente falsificato il dossier libico per arrogarsi il diritto di distruggere la Libia e assassinarne la Guida per gettarla nel caos, Sayf al-Islam Gheddafi rimane l’unica personalità capace di unire rapidamente le diverse tribù. Liberato di recente, ha scritto questo memorandum per esaminare la situazione giuridica del suo Paese.

RETE VOLTAIRE | TRIPOLI (LIBIA)  | 30 OTTOBRE 2017  

Questo memorandum mira ad identificare ciò che il popolo libico ha subito negli ultimi sei anni. Questi crimini sono stati commessi in nome dell’interventismo umanitario, della protezione dei civili, dell’introduzione della democrazia e della prosperità. Le forze della NATO, con l’aiuto di certi Stati arabi e di certi libici, attaccarono la Libia con tutti i mezzi a disposizione. Le giustificazioni avanzate erano false quanto quelle per l’invasione dell’Iraq nel 2003. Fu la distruzione sistematica di un Paese sovrano e di una nazione pacifica. Questa nota tenta di presentare tali crimini alla comunità internazionale, alle organizzazioni per i diritti umani e alle ONG, al fine di sostenere la Libia e il suo popolo negli innumerevoli sforzi per ricostruire questo piccolo Paese.

Libia al crocevia: l’inizio

L’agonia della Libia iniziava il 15 febbraio 2011, quando alcuni cittadini si riunirono per protestare in modo pacifico contro l’incidente nella prigione di Abu Salim. La dimostrazione divenne rapidamente ostaggio dei gruppi jihadisti come il Gruppo Combattente Islamico Libico (LIFG). Questi elementi attaccarono le stazioni di polizia e le caserme di Derna, Bengasi, Misurata e Zuiya per rubare le armi e utilizzarle nella guerra pianificata contro il popolo libico e il suo governo legittimo. Tali azioni furono accompagnate dalla propaganda di al-Jazeera, al-Arabiya, BBC, France24 e altri che incoraggiarono i libici ad affrontare la polizia che cercava di proteggere edifici pubblici e proprietà private da attacchi e saccheggi.
Scene di orrore si videro per le strade, i ponti e contro le indifese forze di sicurezza su cui i manifestanti commisero crimini contro l’umanità. Membri delle forze di sicurezza, militari e di polizia furono massacrati, i loro cuori furono strappati dai corpi e fatti a pezzi; uno spettacolo di brutalità selvaggia. Ad esempio, il primo giorno dei disordini, il 16 febbraio 2011, nella città di Misurata i cosiddetti manifestanti pacifici uccisero e bruciarono un uomo, Musa al-Ahdab. Lo stesso giorno a Bengasi, un agente di polizia fu ucciso e smembrato [1]. Questa barbarie fu commessa da elementi che usavano carri armati, mitragliatrici e cannoni antiaerei a Misurata, Bengasi e Zuiyah [2]. Queste scene sono ben documentate e possono essere viste su YouTube [3] e Internet.
Così, si ebbero dozzine di vittime contrariamente a quanto riportato dai media menzogneri. Secondo al-Jazeera, al-Arabiya e gruppi di opposizione libici, alla fine del 2011 il numero di persone uccise era di 50000. Tuttavia nel 2012 il governo di Abdarahim al-Qib annunciò che il numero di vittime registrate tra il 17 febbraio 2011 e la fine della guerra nell’ottobre 2011, era di 4700, incluse le morti naturali [4]. Nonostante il numero elevato di vittime menzionate dalle statistiche, i loro nomi ed identità non vengono riportati e nessuna famiglia ha chiesto di essere compensata dal governo.
La propaganda e le bugie che accompagnarono le accuse contro i militari non si fermarono all’inflazione del numero di vittime, ma affermarono che il regime usò aerei militari per attaccare i civili, ordinò massacri all’esercito e alle forze di sicurezza [5], col Viagra trovato nei carri armati [6], e fece ricorso a mercenari africani e algerini e subendo la diserzione dei piloti a Malta [7]. Alcuna di tali accuse è stata dimostrata finora e non corrispondono a verità. Le indagini di Nazioni Unite, Amnesty International e Human Rights Watch [8] non hanno confermato alcuno degli 8000 rapimenti segnalati dall’opposizione libica. In realtà, tali accuse furono fabbricate e non hanno credibilità. Allo stesso modo, l’accusa di utilizzare i Mirage della base aerea di al-Withy, nell’estremo ovest della Libia, per attaccare i civili di Bengasi ignoravano il fatto che questi aerei non potevano rientrare considerando il consumo di carburante. È impossibile per questo tipo di aereo attaccare obiettivi a 1500 km e rientrare senza rifornimento ed esistono basi aeree presso Bengasi che potevano essere utilizzate dal governo libico, se necessario. Allo stesso modo, il presunto Viagra trovato nei carri armati esce dallo stesso cilindro: la Libia aveva un esercito giovane, professionista e morale, che non pensava a commettere tali crimini e non aveva bisogno del Viagra per badare ai propri desideri sessuali. Queste storie sono semplicemente disinformazione come i sette minuti necessari alle armi di distruzione di massa irachene per attaccare l’occidente. Oggi, la questione irachena e libica fanno ridere i popoli di Iraq, Libia, Stati Uniti ed Europa. (Relazione di Amnesty International [9]).

La Corte Internazionale di Giustizia (ICC)

L’ICC [10] emise un mandato d’arresto nel 2011 contro Muammar Gheddafi, Sayf al-Islam Gheddafi [11] e Abdallah Senussi, accusati di reati contro l’umanità. Nonostante la gravità del crimine, l’ICC non svolse alcuna indagine sul campo e tracciò le conclusioni ed individuò i responsabili a due settimane dalla sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il calendario dato al procuratore non fu presentato e comunque non ebbe il tempo per specificare le accuse. A tal fine, Ahmad al-Jahani, coordinatore del CNT nel CPI-Libia dichiarò che \"il caso dell’ICC contro la Libia è puramente politico perché la NATO chiese al Consiglio nazionale di transizione (NTC) di elaborare l’elenco dei funzionari da accusare di crimini contro l’umanità\". Il CNT nominò al-Jahani per la preparazione di tale elenco con circa dieci nomi, tuttavia l’ICC ne perseguì solo tre. Al-Jahani inoltre aggiunse che tutte le accuse erano fabbricate. Ribadì il suo punto di vista durante l’incontro con Sayf al-Islam e l’assicurò che la giustizia libica non poteva condannarlo. Al-Jahani aggiunse che con la sua squadra l’aveva fatto perché sapeva che era persa in anticipo e che l’aveva perseguita per implicare Sayf al-Islam in casi finanziari e di corruzione.
Al-Jahani giustificò le sue fabbricazioni e menzogne affermando che sono (legalmente) legittime in guerra (dichiarazione di al-Jahani documentata il 1° gennaio 2012 e al tribunale di Zintan).
L’ICC adottò il doppiopesismo nella guerra alla Libia e nell’intervento della NATO. Accusò figure politiche libiche di crimini inventati ignorando il massacro barbaro di Muammar Gheddafi [12] e suo figlio Muatasim da parte delle milizie sostenute dalla NATO [13]. L’unica reazione dell’ICC fu far cadere le accuse contro Muammar Gheddafi dopo la morte. Tuttavia, l’ICC persisteva, dato che i media documentarono l’omicidio, non c’era bisogno di ulteriori prove per processare i responsabili. L’ICC poteva facilmente arrestare i responsabili politici e diplomatici nelle varie capitali europee. Una posizione simile fu presa dall’ICC contro Abdallah Senussi dopo che fu rapito in Mauritania dal governo libico [14]. La Corte semplicemente smise di chiederne l’estradizione. Nemmeno ne seguì la violazione dei suoi diritti, né il trattamento inumano subito nella prigione della milizia, anche se era detenuto da noti jihadisti del Gruppo combattente islamico libico (LIFG). Il direttore della prigione non era altri che il capo del LIFG Abdalhaqim Bilhadj.
Bilhadj è noto a CIA e governi occidentali. La CIA l’arrestò dopo la fuga da Kandahar, interrogato ed estradato in Libia nel 2002 con l’accusa di terrorismo [15]. Nel 2009, lui e membri del LIFG furono liberati dalla prigione in base alla legge di amnistia generale. [16] Il passato terroristico di Bilhadj parla da sé. Nel 1994-1997 ordinò la strage di 225 persone. Nel 1997 ordinò l’omicidio dei turisti tedeschi Steven Baker e Manuela Spiatzier. Tuttavia, assunse un’alta carica in Libia. Fu ministro della Difesa e Sicurezza a Tripoli, direttore generale delle prigioni libiche e come tale direttamente responsabile della detenzione di Abdallah Senussi. Informato dei crimini di Bilhadj, l’ICC espresse la certezza che al-Senussi fosse in buone mani e ne sostenne il processo in Libia.
La NATO e i paesetti del Golfo ignorarono le attività terroristiche di Bilhadj e lo riconobbero capo politico e militare e affarista. Ha il maggiore canale televisivo nel Nord Africa, la più grande compagnia aerea della Libia, un cementificio, proprietà in Spagna e Turchia e un aeroporto privato a Tripoli. Questo aeroporto però viene usato per trasportare terroristi dalla Libia alla Siria. Questi terroristi ricebvettero160 miliardi di dollari nel 2010.
Bilhadj e altri sono responsabili dell’uso improprio dei beni della Libia e della fine del piano di sviluppo della Libia da 200 miliardi di dollari, secondo la Banca mondiale. Bilhadj è un esempio della vita sontuosa dei signori della guerra quando i comuni cittadini libici sprofondano nella povertà estrema.

Violazioni dei diritti umani da parte delle milizie

I capi militari e i signori della guerra hanno commesso crimini spregevoli contro l’umanità, distruggendo città e infrastrutture vitali negli ultimi sei anni, tra cui: 
 persone bruciate vive o sottoposte alle forme più terribili di tortura. 
 prigionieri politici, agenti di sicurezza e soldati bruciati vivi a Misurata. 
 soprattutto, le milizie organizzano il traffico di organi umani prelevati dai prigionieri. 
 nel contesto della complessa scena politica libica, Daish ha aggiunto altre atrocità massacrando, crocifiggendo e schiacciando persone.
Una pulizia razziale ed etnica senza precedenti, un genocidio commesso contro cinque città libiche e la loro popolazione. Il 55% dei libici è stato costretto a fuggire dal proprio Paese negli Stati vicini. Inoltre, a Bani Walid furono bruciate centinaia di case [17] come altre nella città di Warshafana [18], la città di Sirte fu rasa al suolo [19], le aree residenziali di Bengasi [20] e Derna furono bombardate. Persino Tripoli, città cosmopolita, subì la pulizia etnica e razziale, in particolare nelle zone leali a Muammar Gheddafi.
Oltre alle violazioni sistematiche dei diritti umani, le milizie e i loro capi distrussero infrastrutture cruciali [21]. Nel luglio 2014 incendiarono l’aeroporto di Tripoli e la flotta aerea nonché i serbatoi di petrolio [22] [23] [24] [25].
Nonostante le azioni distrutte e le torture brutali delle milizie, la comunità internazionale e gli organi delle Nazioni Unite ignorarono tali crimini e non processarono tali signori della guerra [26].

Le atrocità delle milizie della NATO e libiche contro civili e figure pubbliche

Gli aerei della NATO colpirono i civili in varie città, come Zlitan, Sirte, Surman, Tripoli e Bani Walid. A sud di Zlitan e precisamente a Majir [27], 84 famiglie, in gran parte donne e bambini, furono uccise a sangue freddo dagli attacchi aerei della NATO di notte. [28] I media mostrarono corpi di bambini e di una donna, Minsyah Qalefa Hablu, tagliata a metà, estratti dalle macerie. Altri morirono in questo scenario inquietante. In un altro caso, la famiglia di Qalid Q. al-Hamadi fu colpita dagli attacchi aerei della NATO in casa, uccidendo i figli. [29] Inoltre, la famiglia al-Jafarah fu uccisa a Bani Walid [30], quando la NATO ne bombardò la casa durante il mese santo del Ramadan. Per non parlare del bombardamento ben documentato del convoglio di Muammar Gheddafi a Sirte e dell’assassinio del figlio Sayf al-Arab nella casa di Tripoli [31].
Le violazioni dei diritti umani, gli omicidi sistematici e la tortura contro i civili libici continuano dopo che le milizie presero il controllo della Libia. Le vittime erano civili che non avevano partecipato alla guerra. La maggioranza era anziana e non poteva portare armi. Il comico popolare Yusif al-Gharyani fu arrestato e torturato dalla milizia di al-Zuiyah.
La milizia di Misurata arrestò e torturò l’ex-muftì 80enne Shayq Madani al-Sharif [32] perché non approvò e sostenne l’intervento della NATO [33]. Il famoso cantante Muhamad Hasan fu brutalizzato e messo agli arresti domiciliari [34]. Altri, come l’economista Abdalhafid Mahmud al-Zulaytini, furono processati e condannati a lunghi periodi di carcere. Allo stesso modo, il presidente del Soccorso Islamico, Dr. Muhamad al-Sharif, fu condannato a un lungo periodo di carcere. Il direttore delle dogane e il responsabile dell’addestramento del Ministero degli Interni furono condannati a lunghi periodi di reclusione con altri condannato a morte o a vari periodi di carcere. Sembra assurdo che queste personalità siano accusate di traffico di stupefacenti, tratta di esseri umani, stupro, oltre a 17 altri capi di accusa [35]. La domanda è, come avrebbero potuto riunirsi per commettere tali crimini per nove mesi?
Dopo che la Nato misero tali milizie al governo, altri crimini terroristici furono commessi contro i cittadini libici e stranieri. Un copto fu ucciso dal battaglione di Misurata [36], altri a Sirte [37], molti operai cristiani etiopi furono uccisi [38], l’insegnante anglo-statunitense Roni Smith fu assassinato a Bengasi nel 2014 [39], il personale della Croce Rossa di Misurata fu ucciso [40], fu commesso un attentato contro l’ambasciata francese a Tripoli [41], e in particolare l’ambasciatore statunitense fu ucciso a Bengasi nel 2012 [42].
Tutte le suddette vittime furono segnalate da Human Rights Watch e, in alcuni casi, la NATO ne ammise la responsabilità. Tuttavia, l’ICC chiuse un occhio e non indagò su tali crimini malgrado i vari organi nazionali e internazionali chiedessero l’apertura di un’indagine trasparente. L’ICC ha fallito sulla guerra in Libia. Non produsse un unico mandato di arresto contro i capi delle milizie e delle forze della NATO. Sembra che la politica deliberata dell’ICC sia ignorare questi crimini comprovati e concentrarsi solo su accusa e processo di Sayf al-Islam.
Per quanto riguarda la famiglia di Muammar Gheddafi, l’ICC non è seria, come nel caso delle torture di Saadi Gheddafi, di cui il procuratore dell’ICC sostenne la prosecuzione dell’inchiesta. Tuttavia, un video mostrò che veniva picchiato durante l’interrogatorio. La stessa procedura si applica al caso Abdallah Senussi, dove il procuratore della ICC disse che deve ancora deliberare sulla sua condanna a morte (pronunziata in Libia). Una dichiarazione simile fu fatta dal predecessore riguardo il bombardamento e l’assassinio di Muammar Gheddafi e di centinaia di persone nel suo convoglio. L’ICC non è mai stato serio verso i crimini commessi dalle milizie contro migliaia di libici. Il suo unico interesse è silenziare la voce di Sayf al-Islam ed eliminare ogni possibile leadership.
Gli Stati membri della NATO e gli staterelli del Golfo dovrebbero essere considerati responsabili del caos creato in Libia dal 2011. Intervennero in Libia col pretesto che Muammar Gheddafi massacrasse il popolo. La scena di un leader che uccide il proprio popolo ricorda Tony Blair sull’Iraq. Disse nel 2016 che era \"la cosa giusta da fare e che se Saddam fosse rimasto al potere durante la primavera araba avrebbe massacrato i ribelli\" [43]. Di conseguenza, dei Paesi sono stati distrutti, migliaia di persone sfollate e proprietà nazionali derubate. Come risultato dell’intervento militare della NATO in Libia, Muammar Gheddafi, i suoi figli e migliaia di libici sono stati uccisi e milioni di persone sfollate.
Sei anni dopo, la stabilizzazione della Libia è ben lungi dall’essere raggiunta. In breve, le milizie libiche si combattono e le forze militari dei Paesi occidentali affiancano le varie milizie. La Francia rimane militarmente implicata e perse tre soldati a Bengasi nel luglio 2016 uccisi dai gruppi che sostenne nella rivolta del 2011. Parigi aveva allora chiamato la rivolta \"rivoluzione\" da sostenere. Se questo credo era vero, perché continua la guerra oggi? E perché 700 persone sono state uccise? Perché il personale del consolato statunitense è stato ucciso a Bengasi? Perché l’occidente ignora la barbarie del Daish, che sgozza a Sirte, Misurata e Derna?
La risposta a quest’ultima domanda è chiara, questi criminali furono sostenuti dall’occidente nel 2011 perché combattessero il governo, apostata secondo le loro dichiarazioni. Perché il Daish indossava la stessa uniforme dei soldati libici, e chi gliel’ha data? Perché i membri del Daish ricevono uno stipendio dal ministero della Difesa Libico? La risposta a queste domande va trovata preso il vero capo del Paese, Bilhadj, Sharif, il Gruppo di combattimento islamico libico e i loro sodali del Congresso Nazionale. Chi governa oggi la Libia è ben noto al popolo libico e a certe ONG internazionali. Finora la Libia è ancora controllata dai gruppi jihadisti e l’occidente li appoggia nonostante i crimini commessi contro la Libia e il suo popolo.
Non è strano che i Paesi occidentali, dalla Norvegia al Canada a Nord, da Malta all’Italia a Sud, per non parlare di Qatar, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Sudan e Marocco, si siano associati all’aggressione militare contro i civili che non gli erano ostili, contro Sayf al-Arabi, Muammar Gheddafi e la famiglia Quaylidi e le 84 vittime innocenti di Majir? Mentre questi stessi Stati sono pazienti e tolleranti col Daish a Sirte, Misurata e Bengasi, sopportano gli attentati nelle città francesi e belghe. Tuttavia, gli Stati membri della NATO e i loro alleati dovrebbero attaccarli e bombardarli come fecero in Libia nel 2011.
Infine, oltre a tale serie di crimini, gli Stati occidentali scelsero come leader libico il criminale di guerra responsabile della distruzione di Bani Walid e dell’uccisione dei suoi figli, Abdarahman Suihli. Nominò primo ministro il nipote Ahmad Mitig [44], direttrice generale agli Esteri la nipote Nihad Mitig [45] e il cognato Fayaz al-Saraj nuovo primo ministro. Inoltre, Abdarahman Suihli si accordò con Abdalhaqim Bilhadj, capo del Gruppo combattente islamico libico (LIFG), per partecipare con gli islamisti alle elezioni presidenziali. Tuttavia, in Libia è ben noto che se le elezioni dovessero essere tenute oggi, tali persone non avrebbero garantito il voto, neanche dalle proprie famiglie. La popolarità di Bilhadj apparve nelle elezioni generali quando ottenne solo 50 voti nel quartiere Suq al-Jumah, che ha 250000 abitanti.
Durante questo tempo e durante la stesura di queste pagine, la popolazione delle città della Libia, inclusa la capitale Tripoli dove abita un terzo della popolazione, soffre di carenza di acqua, vive nel buio a causa dei blackout, ed è priva di strutture mediche e mezzi per soddisfare le esigenze umane di base. Secondo l’ONU, il 65% degli ospedali ha smesso di funzionare [46]. Mentre il dinaro libico è crollato e la produzione di petrolio sceso da 1,9 milioni di barili al giorno a 250000 barili. [47] Acuendo le sofferenze del popolo libico, le strade principali sono interrotte dalle operazioni militari e dal banditismo, oltre ai bombardamenti da Derna ad est di Sirte, da ovest di Bengasi ad Aghedabia. Le notizie quotidiane più comuni sono sequestri di persona e traffico di armi vendute su Internet.
In conclusione, dobbiamo ringraziare i nostri fratelli di Qatar, Emirati Arabi Uniti, Sudan, Tunisia, Lega araba, NATO, Unione europea e tutti coloro che hanno trasformato la Libia in uno Stato fallito. Dopo la liberazione dei prigionieri islamici e altri, la Libia è diventata un’area che ospita le più grandi prigioni private. Un Paese che attirava investitori da tutto il mondo è diventato uno Stato esportatore di migranti, inclusi propri cittadini. Il 55% della popolazione è migrata e rifugiata all’estero. Uno Stato che riuniva i migliori esperti legali e costituzionali del mondo, che poté forgiare una costituzione nuova e moderna, è ora divenuta un’area governata da 1500 milizie. E infine uno Stato in cui il furto era considerato strano e insolito è divenuto luogo in cui corpi umani mutilati e decomposti vengono scaricati quotidianamente per le strade, evento divenuto banale in tutto il Paese.

Commento al rapporto Herland: 
Sayf al-Islam Gheddafi e l’ICC

Prima della rivolta, Saiy al-Islam era l’architetto della nuova Libia. Presentò la sua nuova visione della Libia libera dalle carceri politiche, legata alla Carta dei Diritti Umani, alla distribuzione di ricchezza e prosperità e alla democrazia [48]. Intraprese riforme politiche ed economiche con cui i prigionieri islamisti acquisirono la libertà, venendo riabilitati e integrati nella società libica. Dopo la violenta rivolta in alcune città, le fonti locali confermano di aver aiutato gli sfollati in tutto il Paese, liberando i prigionieri della rivolta e protetto la popolazione di Misurata dai combattimenti, o di Bengasi fuggiti dalle zone dei combattimenti.
Invocò e sostenne gli sforzi di pace per risolvere la guerra. Secondo le fonti locali, chiese all’amministrazione dell’Università di Sirte di stampare 5000 volantini e distribuirli col convoglio pacifico partito per Bengasi, osservando i diritti umani. Invitò l’esercito a rispettare le regole d’ingaggio, proibendo l’uso della forza contro i manifestanti, secondo il capo della centro operativo dell’esercito nel marzo 2011, Maresciallo Hadi Ambarish, fatto prigioniero dai miliziani di Zintan, che lo torturarono e gli negarono la cure mediche fino a morire di cancro in carcere nel 2014 [49].
Nonostante gli sforzi inesorabili per la pace di Sayf al-Islam Gheddafi, gli aerei della NATO cercarono di assassinarlo, uccidendo o ferendo 29 suoi compagni. [50] Inoltre, perse delle dita e subì diverse ferite. Tuttavia, l’ICC non indagò su tale attacco aereo e non ne supervisionò i cinque anni d’isolamento. [51] Inoltre, l’ICC persisteva nel chiederne l’arresto e il processo dopo che fu condannato a morte da un tribunale libico nella prigione di al-Hadaba, guidato da Qalid al-Sharif, uomo di Bilhaj.
Perciò l’istruzione è ingiusta, l’archiviazione del caso è l’unico passo che va approvato. Si potrebbe sostenere che il caso nella sua interezza dovrebbe essere abbandonato, soprattutto dopo l’assassinio del procuratore generale a Bengasi e la fuga della maggior parte dei pubblici ministeri, mentre subivano enormi pressioni dalla milizia. In queste circostanze, gli argomenti dell’ICC sono che la sua condanna a morte non fu applicata e che pertanto dovrebbe essere arrestato e imprigionato nella prigione di al-Hadaba.
Tuttavia, il ministero della Giustizia libica si appellò contro la condanna a morte per via del processo sleale, in un tribunale nel carcere controllato da al-Sharif, che ha il potere su giudici e magistrati. Tuttavia, l’ICC continuò a chiedere un nuovo processo e ignorò il fatto che Sayf al-Islam era detenuto presso la prigione di Zintan e che il tribunale di Tripoli lo processò per teleconferenza. L’ICC dovrebbe rispettare la legge libica ed essere consapevole che una persona non va processata due volte per il presunto stesso reato. Ma scopo dell’occidente e dell’ICC è sbarazzarsi di Sayf al-Islam Gheddafi come fecero col padre Muammar Gheddafi e i fratelli.
È giunto il momento che l’ICC abbandono il doppiopesismo e aiuti il popolo libico nello scopo di salvare il proprio Paese da tali milizie e costruire una nuova Libia dove vigano diritti umani, prosperità, lo sviluppo e stato di diritto. Chiediamo anche all’ICC di abbandonare la pretesa che Sayf al-Islam sia estradato e processato a L’Aja.
L’ICC dovrebbe riconoscere e rispettare la legge di amnistia generale del ministero della Giustizia libico. Sayf al-Islam Gheddafi dovrebbe poter assumere il proprio ruolo nella lotta per una nuova Libia democratica. A tal proposito, e dopo che gli Stati occidentali comprenderanno i propri errori, dovrebbero collaborare coi libici e le ONG sincere per processare le milizie e i loro capi per il bene della pace e della riconciliazione.

Traduzione 
Alessandro Lattanzio
(Sito Aurora


[1https://www.youtube.com/watch?v=POl... Impiccagione di un soldato libico a Bnegasi nel 2011

[2https://www.youtube.com/watch?v=4sR... Civili guidano carri armati a Bengasi

[3https://www.youtube.com/watch?v=MxO... Poliziotto bruciato a cui mangiarono il fegato nel 2011 a Misuata

[4https://www.theguardian.com/world/2... Articolo del Guardina sul numero effettivo di morti nella guerra del 2011 secondo Amnesty

[5https://humanrightsinvestigations.o... Accuse di stupro

[6https://www.theguardian.com/world/2..., Accuse di stupro nel 2011

[7https://www.youtube.com/watch?v=1dR... Piloti libici a Malta

[8https://www.hrw.org/ar/world-report... Relazioni di Human Right Watch

[9https://humanrightsinvestigations.o... Accuse di stupro

[10https://www.hrw.org/news/2011/08/01.... La Corte di giustizia penale su Muammar Ghedari, Sayf al-Islam e Abdullah al-Sanussi

[11https://www.icc-cpi.int/libya/gadda... Rapporto della Corte di giustizia penale su Sayf al-Islam

[12https://www.youtube.com/watch?v=TpB... Cadavere di Muammar Gheddafi

[13https://www.youtube.com/watch?v=4pk.... Mutasim Muammar Gheddafi prima e dopo la morte

[14https://www.youtube.com/watch?v=Kqq.... Imprigionamento di Abdullah al-Senussi da parte delle milizie

[15http://www.bbc.co.uk/news/world-afr... La BBC su Abdulhaqim Bilhadj

[16https://www.youtube.com/watch?v=ReQ... Legge di amnistia generale

[17https://www.youtube.com/watch?v=FUH... Bombardamento di Bani Walid nel 2012 da parte delle milizie del nuovo governo nel 2012

[18https://www.youtube.com/watch?v=yG-..., Case incendiate nella città di Washafana nel 2014

[19https://www.youtube.com/watch?v=fIa... Sirte distrutta dai \"ribelli\" nel 2011

[20https://www.youtube.com/watch?v=ZW9... Distruzione di Bengasi

[21https://www.youtube.com/watch?v=abV... Convoglio di Muammar Gheddafi l’attacco della NATO nel 2011

[22https://youtube.com/watch?v=WrfSrvseOCg Distruzione dell�

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