Informazione



Decodex : Michel Collon expose les médiamensonges du Monde

Source: Investig’Action
23 Jun 2017 – MICHEL COLLON / ERIC PAUPORTÉ

« N’écoutez pas Michel Collon ! Ne lisez pas Investig’Action ! » Lancé par Le Monde, le DECODEX prétend vous dire ce que vous devez lire et ce que vous devez boycotter !

Petit problème : pour donner un carton rouge à Michel Collon, Le Monde se base sur deux médiamensonges gros comme des camions ! Michel Collon le démontre ici et lance un défi à ces « journalistes » : oserez-vous débattre ?

Investig’Action dépose plainte contre Le Monde : défendez le droit à une info indépendante en finançant le procès, merci !



Decodex : Michel Collon expose les médiamensonges du Monde (Investig'Action - Michel Collon, 23 giu 2017)
Investig’Action dépose plainte contre Le Monde : défendez le droit à une info indépendante en finançant le procès, merci !

DONATION PONCTUELLE 
SOUTENEZ NOTRE PROCÈS CONTRE LES ATTAQUES DU MONDE ! 
Sur base de calomnies, Le Monde prétend empêcher les internautes de lire Michel Collon et Investig'Action. Nous avons déposé plainte. Défendez le droit à une info indépendante en finançant le procès, merci!




AMPIO SOSTEGNO DALL'ITALIA AL TERRORISMO IN VENEZUELA


Venezuela: quando per i media il terrorista è un "eroe"
(di Francesco Santoianni,  29 giu 2017)

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=58Zw2aWq1og




[Ripetiamo l'invio di questo post poiché la versione precedente risultava in parte illeggibile a causa di un problema tecnico. Ce ne scusiamo con gli iscritti a JUGOINFO]

Rom e pogrom

1) Pogrom in Kosmet
– Sono nata in Kosovo e sono rom...

2) Pogrom a Roma
– “I media smettano di parlare di clan o faide tra rom”. Parla lo zio delle bambine uccise (di Graziano Halilovic)
– L’orrenda strage di Centocelle: finalmente la sinistra si mobilita (di Annamaria Rivera)
– Cambiare subito le politiche rivolte a Rom, Sinti e Caminanti. Appello per commissione d’inchiesta
– Rogo di Centocelle. La pista rom si arena sull’alibi. Le altre dove sono?

3) Torino. A un passo dal pogrom


=== 1: Pogrom in Kosmet ===

da FuoriBinario (Firenze) n.190, Maggio 2017, p.15

Sono nata in Kosovo e sono rom...

Sono nata in Kosovo e sono rom, ho frequentato la scuola per alcuni anni, poi ho conosciuto un giovane e mi sono sposata, avevo 15 anni. Sono nata in una famiglia cristiano-ortodossa, poi mi sono avvicinata alla religione musulmana che è la religione di mio marito. Tito, il presidente jugoslavo, è morto nel 1980, quando c'era Tito la vita per i rom in Jugoslavia era buona, c'erano giornali, radio e televisioni in lingua rom, si trovava lavoro, avevamo le case e frequentavamo le scuole. Dal 1982 la situazione generale è iniziata a peggiorare, io lavoravo all'ospedale, facevo le pulizie, aiutavo in cucina, ma mio marito aveva difficoltà a trovare lavoro, così ha deciso di partire per l'Italia per cercare lavoro ed è arrivato a Firenze, era il 1988, ogni tre o quattro mesi mio marito tornava a trovarci, abbiamo avuto quattro figli, un ragazzo e tre ragazze, io vivevo con i miei figli e con la madre ed un fratello di mio marito. Era un grande sacrificio stare per lungo tempo senza mio marito, ma i soldi che guadagnava in Italia servivano per la nostra famiglia in Kosovo, io continuavo a lavorare all'ospedale e in questi anni siamo riusciti a costruire una nuova grande casa ed è venuto a stare con noi anche un altro fratello di mio marito con la sua famiglia.
A marzo del 1999, una sera hanno fatto un appello al telegiornale delle 20: "Preparate un po' di bagagli, qualcosa per mangiare e cercate di nascondervi, se avete la possibilità di usare una cantina o salite in montagna." Noi siamo andati tutti da un nostro parente che aveva una grande cantina ed eravamo circa 70 persone. Sono iniziati i terribili bombardamenti (24 marzo 1999), quando suonava l'allarme noi si correva in questa cantina sotto la casa, i bambini piangevano a sentire questi grandi scoppi. Eravamo spesso senza luce e con il passare dei giorni era sempre più difficile trovare da mangiare. Poi gli albanesi dell'UCK sono venuti a casa col viso coperto e con le armi, hanno portato via tutto quello che poteva avere un valore e poi ci hanno costretto a scappare minacciando che avrebbero ucciso i bambini. Siamo riusciti a trovare dei posti su un autobus e ci siamo rifugiati in una cittadina serba, abbiamo trovato una casa in affitto. Ma dopo poco dovevo tornare a lavorare in ospedale così sono ritornata con i miei figli nella nostra casa a Pristina in Kosovo. Il 10 giugno del 1999, dopo 78 giorni, i bombardamenti si sono fermati e si pensava finalmente di avere un po' di pace, invece sono venuti di nuovo quelli dell'UCK, erano persone che conoscevamo bene, abitavano vicino a noi, prima si può dire che eravamo come amici, sono arrivati armati, hanno picchiato mia suocera, anche io sono stata ferita, volevano uccidere mio figlio ed hanno anche dato fuoco alla nostra casa così siamo stati costretti a scappare di nuovo, in quei giorni tante famiglie rom, serbe, ecc sono dovute scappare ed hanno perso le loro case.
Siamo scappati a Belgrado, abbiamo vissuto in una palestra, eravamo tante famiglie rom. Volevamo raggiungere l'Italia, ma ci volevano molti soldi, verso metà agosto si pensava di prendere un traghetto, ma proprio in quei giorni un traghetto carico di rom del Kosovo affondò vicino alle coste del Montenegro e morirono 115 persone, si salvò solo un giovane. Così noi si decise di aspettare ancora e cercare di trovare i soldi (migliaia di euro) per poter arrivare in Italia via terra. Finalmente nel mese di ottobre del 2001 siamo riusciti ad arrivare a Firenze.


(testimonianza raccolta da Paola Cecchi)


=== 2: Pogrom a Roma ===

Sulla strage di Centocelle si vedano anche:

Roma. Centocelle reagisce al rogo omicida (di Redazione Contropiano, 11 maggio 2017)
Ieri pomeriggio decine di persone si sono recate al parcheggio del centro commerciale Primavera dove è stato bruciato il camper e sono state uccise una ragazza e due bambine di una famiglia rom. Poco dopo un corteo si è composto su viale della Primavera aperto dallo striscione "Centocelle antirazzista". Per sabato prossimo alle 16.00 è stato convocato un corteo nel quartiere. 

Rogo di Centocelle. Tragedie Rom e dell’informazione (di Alberto Tarozzi, 3 giugno 2017)
... a Torino, sette anni fa, i rom musulmani chiedono l’apartheid nei pulmini che portano i bambini a scuola, per non mescolarsi ai rom ortodossi. In effetti, su quel pulmino, erano risse quotidiane. Poi a Roma, quel che nessuno ricorda, nel 2013, a Castel Romano, rom serbi di una piccola comunità che scappano per sfuggire alle aggressioni continue dei rom bosniaco musulmani, che sono la grande maggioranza...

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Roma. “I media smettano di parlare di clan o faide tra rom”. Parla lo zio delle bambine uccise


di Redazione Roma, 12 maggio 2017

Graziano Halilovic, lo zio delle bambine rom bruciate vive nel rogo del camper in cui dormivano a Centocelle, ha diffuso pubblicamente un comunicato che riproduciamo qui di seguito integralmente e consigliamo di leggere con grande attenzione:


Sono Graziano Halilovic, cugino di Romano Halilovic e zio di Francesca, Angelica ed Elisabeth,
Qualcuno, un mostro, ha bruciato vive tre bambine nel sonno, con una bottiglia incendiaria che ha trasformato in un rogo il camper di Romano, l’altra notte, a Centocelle, in un parcheggio pubblico, dove stazionavano senza disturbare nessuno.
Non sappiamo chi sia stato potrebbe essere stato chiunque: un rom, un gagiò, un giornalista per fare notizia, un razzista per odio, un italiano o uno straniero….
Un mostro, di certo, che ha commesso un crimine orribile, imperdonabile e disumano, che ha visto dei genitori assistere inermi alla morte dei figli bruciati dal fuoco.
Il punto è che non sappiamo chi sia stato e non possiamo usare la fragilità e il dolore del momento per individuare un colpevole prima che le indagini facciano il loro corso.
Confido che le forze dell’ordine svolgano le indagini senza farsi influenzare da pregiudizi razziali e riescano a dare un nome e un volto al colpevole.
Ma fino ad allora chiedo agli attivisti rom e non rom, alla società civile, a tutte le organizzazioni e ong dei diritti umani, ai politici italiani ed europei di intervenire sui media affinché nel rispetto del dolore della famiglia e nel rispetto delle vittime e della comunità rom, vengano diffidati ad utilizzare termini diffamatori, parlando di “clan” e di “faide tra rom”, associando così la comunità rom ancora una volta a termini che richiamano la criminalità organizzata, finché le indagini di chi ne ha la competenza non porteranno alla luce la verità.
Non sappiamo al momento se il colpevole sia un rom, un italiano, uno straniero, un giornalista o di quale ideologia politica sia. Fare delle illazioni a riguardo, cercando di coinvolgere un’intera comunità, è un gioco inutile e irrispettoso nei confronti dei rom che colpisce la famiglia delle vittime due volte: prima nella irrimediabile perdita e poi nella continua discriminazione.
Voglio ringraziare Papa Francesco, il Presidente della Repubblica Mattarella, il Pontificio Romano e il Vescovo Don Paolo LoJudice, la Comunità di Sant’Egidio, i cittadini di Centocelle e tutti coloro, politici e cittadini italiani, che hanno espresso solidarietà alla famiglia di Romano in questo momento di insuperabile dolore.
Questo è il momento della preghiera e del silenzio, e non della strumentalizzazione per fini diversi di quanto è accaduto: dobbiamo stare vicini a Romano, a Mela e ai loro figli superstiti, e rispettare il loro lutto.
Grazie

Graziano Halilovic


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L’orrenda strage di Centocelle: finalmente la sinistra si mobilita


di Annamaria Rivera*

Chiunque sia l’assassino che nella notte fra il 9 e il 10 maggio scorsi ha ridotto in cenere i poveri corpi di Francesca, Angelica ed Elisabeth, è indubbio che quest’atto atroce sia stato favorito dalla marginalità, dalla stigmatizzazione, dalla condizione di povertà estrema inflitte a una parte della diaspora rom: tali da costringere una famiglia di tredici persone a stiparsi in un camper parcheggiato in un’area della borgata romana di Centocelle.  

Non potrebbe essere più surreale il contrasto fra una tale condizione miserabile e il luogo in cui si è consumato il rogo delittuoso: il parcheggio di un grande centro commerciale, freddo e anonimo anche nella struttura, concepita come una sorta di tempio del consumismo. Eppure, allorché, dopo un lungo percorso, vi è approdato il folto corteo del 13 maggio scorso – che rivendicava verità e giustizia per le tre sventurate sorelle di quattro, otto e venti anni –  gli slogan e gli interventi al microfono si sono spenti d’un tratto, soverchiati da una commozione corale intensa e palpabile. 

In realtà, l’intero corteo si è caratterizzato non solo per radicalità e chiarezza politiche, ma anche per empatia e autentica indignazione. A conferirgli questo tono ha contribuito la presenza di una molteplicità di soggetti: dalle femministe di “Non una di meno” alla locale sezione dell’Anpi, dai partiti della sinistra ai centri sociali, dai rappresentanti di alcune associazioni rom al movimento per il diritto all’abitare, fino agli insegnanti e ai genitori dell’Istituto di via  Ferraironi, che comprende scuole primarie decisamente all’avanguardia quali la “Iqbal Masiq” e la “Romolo Balzani”. Il giorno prima ben settecento bambini, accompagnati dalle/dagli insegnanti, avevano raggiunto il luogo della strage a recare fiori e disegni. 

Nonostante il processo di gentrificazione, Centocelle conserva tracce di memoria e retaggi concreti della sua storia di borgata “rossa”: ricordo che, insieme al Quarticciolo e al Quadraro, la borgata fu focolaio decisivo della Resistenza romana – cosa pagata con deportazioni e fucilazioni– e, più tardi, fu anche nodo importante dei movimenti degli anni ’70. Di una tale storia è erede la rete di presidî democratici e antirazzisti presente nel quartiere. E’ anzitutto questa – mi sembra – ad aver permesso la riuscita del corteo e ad aver sventato il rischio che prevalesse, anche in un caso così tragico, l’ormai consueto sussulto di razzismo popolare: in realtà, spesso aizzato e organizzato da qualche Casa Pound o Forza Nuova, nondimeno fatto passare per “guerra tra poveri”. 

D’altra parte, nel corso degli anni recenti, la sinistra, anche quella detta alternativa, non si era certo contraddistinta per attivismo in favore dei diritti dei rom, se non in qualche occasione e soprattutto per merito dell’associazionismo antirazzista. Né valse a mobilitarla la morte atroce di quattro bambini nel 2011: anch’essi morti carbonizzati da un incendio, quella volta scoppiato nel campo-rom di Tor Fiscale, sull’Appia Nuova.  

Per dire di quali pregiudizi alberghino anche nelle nostre file, basta un piccolo esempio: tre giorni dopo l’orrendo attentato di Centocelle, su una testata online d’estrema sinistra qualcuno – evitando il più piccolo cenno alla strage – scriveva dei rom come di “un’etnia i cui usi e costumi non consentono l’integrazione nel tessuto civile”.  

A mia memoria, la mobilitazione di sinistra più ampia ed efficace risale al 2008. Allorché il ministro dell’interno Maroni predispose la schedatura di massa dei rom, con prelievo forzoso delle impronte digitali anche ai bambini: un provvedimento simile alle schedature razziste dei regimi nazifascisti, finalizzate a costruire archivi per l’individuazione, segregazione, concentramento, deportazione delle minoranze. Fu per merito di tale mobilitazione, oltre che per le condanne anche da parte d’istituzioni internazionali, che Maroni e il sindaco Alemanno furono costretti a fare qualche passo indietro.

Al di là di questa piccola vittoria, nulla è cambiato, a Roma e altrove, nella condizione dei rom in emergenza abitativa. Ricordo che, se in Italia la popolazione di rom e sinti conta al massimo 180mila persone – delle quali almeno 70mila sono di cittadinanza italiana – appena 28mila sono quelle che vivono in baraccopoli istituzionali o in insediamenti informali: cifra che corrisponde a uno scarso 0,05% della popolazione italiana. 

Sebbene così esiguo sia il numero dei casi che occorrerebbe risolvere con politiche abitative adeguate, si perpetuano la logica del famigerato Piano nomadi, la politica degli sgomberi forzati – talvolta violenti – dei campi “abusivi”, l’esclusione dall’edilizia residenziale pubblica, la repressione di attività informali, uniche possibili fonti di reddito. In realtà, i campi rappresentano il dispositivo con cui si compie, in modo estremo ed esemplare, il processo di allontanamento spaziale e simbolico dalla società e dalla civitas di persone reputate ed etichettate come altre, dunque indesiderabili per eccellenza. 

Per non dire che tuttora insoddisfatte restano le rivendicazioni contenute in una proposta di legge, a sua volta modellata su una d’iniziativa popolare: il riconoscimento quale minoranza storico-linguistica, in rispetto degli articoli 3 e 6 della Costituzione; l’incentivo e la tutela delle associazioni costituite da rom e sinti; il diritto di vivere dignitosamente e secondo il modo liberamente scelto, che sia la sedentarietà o l’itineranza. 

Su un numero così esiguo di persone si addensa il massimo non solo di stigmatizzazione, ma anche di valenza simbolica. Quest’ultima vale anche in un altro senso: la legge del 18 aprile 2017, n. 48, in materia di sicurezza urbana, con cui s’intende sorvegliare, criminalizzare e punire la marginalità, la povertà, ma anche la non-conformità sociale, colpirà, sì, in primo luogo i rom, ma pure chiunque si sottragga alla “norma” sociale. Non foss’altro che per questo, tutti/e noi dovremmo sentircene coinvolti/e.  


Versione ampliata dell’articolo pubblicato dal manifesto il 17 maggio 2017

(18 maggio 2017)

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Cambiare subito le politiche rivolte a Rom, Sinti e Caminanti. Appello per commissione d’inchiesta

Pubblicato il 19 mag 2017

Gentile Presidente della Camera dei deputati dott. Laura Boldrini,
alla luce dell’ennesima, orribile tragedia di cui sono rimaste vittime tre ragazze rom nella Capitale, i cui contorni si fanno purtroppo sempre più nebulosi, ci rivolgiamo a lei per chiedere alle istituzioni un drastico e fattivo cambiamento nelle politiche rivolte alla minoranza rom, sinti e caminanti.
 Gli esiti delle azioni intraprese, in primis a Roma, negli ultimi trent’anni con la creazione dei campi nomadi e le trame sorte intorno ad essi sono drammaticamente esemplificati non soltanto dalle verità emerse con la “Operazione Mondo di Mezzo” ma, a nostro avviso, anche dalla strage appena avvenuta.
 Il 25 luglio dello scorso anno l’on. Giovanna Martelli ha presentato in qualità di prima firmataria la proposta di istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sull’allestimento, la gestione e la manutenzione dei campi nomadi nel territorio di Roma Capitale.
 Il testo, che riprende la denuncia sporta da Marco Pannella nei confronti del Comune per discriminazione razziale verso i Rom e i Sinti, sottolinea la necessità della massima attenzione da parte del Parlamento sul legame tra criminalità organizzata e violazioni dei diritti umani fondamentali. All’origine della inchiesta della Procura che ha messo in risalto questo preoccupante legame, un “sistema-campi” che a tutt’oggi è ancora in piedi, con l’odioso carico di segregazione e speculazione che porta con sé. 

 

Ora, non si può trascurare il fatto che la corruzione connessa all’esclusione sociale, col tempo, non può che sollecitare le peggiori pulsioni: un rischio che non si scongiurerà né col populismo né con la demagogia, che possono unicamente, semmai, affrettarne l’esplosione. Riteniamo inoltre che lo scandalo noto come “Mafia Capitale” sia, purtroppo, un pezzo di storia del nostro paese di cui non è sufficiente vergognarsi, che non può essere cancellato con la retorica o con la speranza in un cambiamento possibile.
 Al contrario, abbiamo l’obbligo di far emergere la verità su questo pezzo di storia, calendarizzando la proposta d’inchiesta parlamentare affinché le istituzioni stesse siano investite di questo compito.
 Un passo che, a nostro avviso, il Parlamento deve non solo ai cittadini rom né unicamente ai romani, ma a tutti gli italiani che hanno il diritto di conoscere tanto le responsabilità quanto i meccanismi che hanno reso possibile “Mafia Capitale”. Senza questo passo, è inutile parlare di superamento dei campi, che resteranno dove sono fino a quando le istituzioni non vorranno assumersi le proprie responsabilità.
 Per questo ci rivolgiamo a lei e le chiediamo di calendarizzare la proposta dell’on. Martelli, confidando nella sua sensibilità e volontà di opporsi al razzismo, alla speculazione e alla corruzione. Se la Camera si esprimerà sulla necessità di un’inchiesta romperà un silenzio assordante anzitutto su un fatto inaccettabile: i contribuenti hanno pagato per mantenere un sistema di segregazione razziale, rendendosi complici di una serie di reati.
 E su questo le istituzioni devono, pena una irrimediabile perdita di credibilità, indagare e cercare di fornire risposte.

 

Maurizio Acerbosegretario nazionale di Rifondazione Comunista
Samir Alijaattivista e mediatore culturale
Carmine Amorosoregista e scrittore
Laura Arcontipresidente di Amnistia Giustizia e Libertà
Nedzat Beganajmembro di Alleanza Romani e Nazione Rom
Federica Benguardatotesoriera di Amnistia Giustizia e Libertà
Marco Brazzoduropresidente di Cittadinanza e Minoranze
Gianni Carbottico-autore di “Dragan aveva ragione”
Francesca Daneseex assessora alle politiche sociali di Roma Capitale
Vincenzo Di Nannasegretario di Amnistia Giustizia e Libertà
Saska Jovanovic Fetahicoordinatrice Romni Onlus, presidente RoWNI 
Camillo Maffiaco-autore di “Dragan aveva ragione”
Moni Ovadiaattore e scrittore
Dijana Pavlovicattrice e attivista
Giuseppe Rippadirettore di Agenzia Radicale e Quaderni Radicali
Marcello Zuinisilegale rappresentante dell’Associazione Nazione Rom

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http://contropiano.org/altro/2017/06/14/rogo-centocelle-la-pista-rom-si-arena-sullalibi-le-092894

Rogo di Centocelle. La pista rom si arena sull’alibi. Le altre dove sono?

di F.R., 14 giugno 2017

Seif Seferovic è il giovane rom accusato del rogo del camper di Centocelle in cui morirono bruciate vive tre sorelle, di cui due bambine. Quasi subito si parlò di lui come l’autore dell’orribile omicidio. Lo stesso Seferovic lo apprese leggendo il giornale, ragione per cui si affrettò a chiedere informazioni in Procura tramite il suo avvocato Gianluca Nicolini rendendosi disponibile ad essere interrogato. Dalla sua aveva un alibi a prova di bomba: la notte del rogo di Centocelle stava dormendo in un autogrill lungo l’autostrada Roma-Civitavecchia ed era stato identificato proprio dalla polizia che poi lo aveva pure fermato. 

Per precauzione si era allontanato dal campo rom di Salviati dove viveva, (zona Tor Sapienza, periferia Est di Roma). L’idea molto probabilmente era quella di rifugiarsi all’estero. Poi però si fece trovare a Torino, dove aveva dato appuntamento alla sua compagna che però era stata pedinata dalla polizia, la quale ha arrestato Seferovic con l’accusa del rogo omicida di Centocelle.
Gli investigatori della Capitale restano convinti che sia stato Seferovic a lanciare la molotov omicida la notte del 10 maggio. 

Seferovic però si professa innocente e deve rispondere di omicidio plurimo, tentato omicidio (nel camper quella notte c’erano tutti e 13 i componenti della famiglia Halilovic), detenzione, porto e utilizzo d’arma da guerra e incendio doloso. Il 6 giugno c’è stato il primo accertamento tecnico irripetibile sulle impronte lasciate sui frammenti della bottiglia.  Seferovic è stato scarcerato e non ha dovuto partecipare di persona all’accertamento. Al momento è rimasto a Torino e, secondo il suo legale, è perfettamente reperibile.

Il provvedimento con cui il Gip di Torino ha convalidato il fermo di Seferovic ma non ha disposto alcuna misura cautelare potrebbe essere impugnato dalla Procura di Roma. I magistrati romani stanno infatti valutando l’ordinanza emessa dalla Procura torinese e non è escluso che possano impugnare il provvedimento davanti al Tribunale del riesame. Ma a otto giorni dall’accertamento tecnico ancora non se ne sa nulla.

Forse è venuto il momento di riporre la stessa domanda che ponemmo il giorno stesso del rogo omicida di Centocelle.

a) Gli investigatori sulla base delle dichiarazioni del padre delle bambine uccise indicarono subito la pista della “faida tra rom”, anzi la indicarono come l’unica pista investigativa. Alla luce di quanto emerso successivamente – incluso l’alibi di ferro di Seferovic rappresentato dai funzionari di polizia che lo hanno identificato e fermato in un luogo distante dal rogo di Centocelle – questa pista può essere ancora considerata l’unica da percorrere oppure si può cominciare a guardare alle indagini con una visione più ampia e non a senso unico?


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Torino. A un passo dal pogrom

di Patrizia Buffa, 9 giugno 2017

Porrajmos, il grande divoramento, lo sterminio degli zingari: una parola che non dovremmo mai dimenticare, ma che non abbiamo mai voluto ricordare.

Al grido di “vi uccidiamo”, “siete animali”, “vi cacceremo via”, due giorni fa, il 6 giugno, i comitati anti-rom hanno manifestato a ridosso del campo nomadi di Strada dell’Aeroporto a Torino. Improvvisamente e senza preavviso una colonna di persone, animate da isteria collettiva e odio razziale e munite di torce accese, è spuntata minacciosa dall’oscurità: rituali che, purtroppo, si ripetono sempre più frequentemente in una “ordinarietà” che li sta progressivamente svuotando della loro essenza criminosa. Nel cielo notturno le fiaccole erano puntate come dei riflettori. Poi sono state lanciate nel campo, provocando il panico generale.

Nessuno aveva preavvisato le famiglie del campo a proposito della manifestazione – racconta Vesna Baxtali Vuletic, presidente di Idea Rom Onlus – con il risultato che alcune donne erano sole al campo con i bambini. Nessun veicolo delle forze dell’ordine era presente all’ingresso del campo nomadi per presidiare eventuali situazioni di emergenza.”

Alcune frange del corteo si sono poi staccate, dirigendosi verso le abitazioni più isolate e costringendo molte persone alla fuga in mezzo ai rovi e in direzione del fiume. I bambini sono fuggiti a piedi lungo la tangenziale, tra le macchine che sfrecciavano ad altissima velocità. Molti di loro si sono persi e sono stati poi ritrovati dopo alcune ore, pieni di graffi causati, durante la fuga, dagli arbusti.

C’è una sola parola che restituisce efficacemente quanto accaduto: pogrom, metastasi di un sistemache criminalizza rom, migranti, senza casa, poveri, disoccupati e che esercita il potere in modosadico, al punto da modificare anche la percezione che i più deboli hanno di  e della realtà,riducendoli a un sentimento d’impotenza, di fragilità, di solitudine, la condizione dei “sottouomini”. 

Il razzismo e la xenofobia possono dare impulso aaccessi di violenza collettiva, a vere e proprie “liturgie” di massa scandite sulla dialettica amico/nemico, a scenari sinistri di cui, purtroppo, la nostra storia è costellata. Gli psicologi delle masse spesso hanno spiegato l’adesione a rituali xenofobi collettivi, riconducendoli alla ricerca di un rifugio di fronte al senso di smarrimento. “Il cerimoniale permette a un gruppo di comportarsi in un modo simbolicamente ordinato così da dare l’impressione di rivelare un universo ordinato; ogni particella acquista la sua identità mediante la semplice interdipendenza con le altre” (Erik Erikson).

Eppure varrebbe la pena interrogarsi non solo sul “perché” le cose accadono ma anche sul “come”.

Quel “come” non è riconducibile solo agli aspetti irrazionali. Sono i dispositivi politici, le strutture giuridiche e le macchine amministrative che fanno apparire accettabile, “ordinario”, se nonaddirittura socialmente giustificabile, il volto della persecuzione. È quanto si sta verificando col nuovo decreto Minniti – Orlando che rappresenta la “normalizzazione” di una politica che</

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(српски / italiano / français / english)

La ricolonizzazione della Costa d'Avorio

1) LA COSTA D’AVORIO È UN ESEMPIO EVIDENTE DELL’INGERENZA E DEL NEOCOLONIALISMO
Intervista a Michel Collon, 22.5.2017

2) КОЛОНИЗАЦИЈА АФРИКЕ – ПОД ВОЂСТВОМ АФРИКАНАЦА 
Peter Koenig i Russia-TV24, 18.5.2017


Á lire aussi:
Commission d’enquête Gbagbo (OLIVIER NDENKOP ET CARLOS SIÉLENOU / Le Journal de l’Afrique n°32 – 22 May 2017)
Puisqu’il est difficile de comprendre la Côte d’ivoire d’aujourd’hui et peut être de demain sans savoir comment Gbagbo est arrivé au pouvoir en 2000, comment il a gouverné ou plutôt comment il a été empêché de gouverner jusqu’en 2010, pourquoi et comment il a été débarqué pour être remplacé par Alassane Ouattara, Investig’Action a organisé une conférence sous forme de Commission d’enquête le 22 avril dernier à Paris. Michel Collon a donné la parole à 17 témoins privilégiés : conseillers, ministres, avocats de Gbagbo ou de ses proches, des journalistes et intellectuels indépendants… Cette édition du Journal de l’Afrique revient sur leurs témoignages et donne la parole à Michel Collon qui a décidé de faire éclater la vérité sur la Côte d’Ivoire en faisant parler les acteurs clé qu’on a toujours refusé d’écouter...
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ORIG.: Michel Collon : « La Côte d’Ivoire est un exemple flagrant d’ingérence et de  néocolonialisme » (Olivier Ndenkop, 22.5.2017)


La Costa d’Avorio è un esempio evidente dell’ingerenza e del neocolonialismo

intervista a Michel Collon – da investigaction.net

Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx21.it

Olivier A. Ndenkop / Michel Collon

In questa intervista esclusiva, il giornalista e scrittore belga torna sulla conferenza di Parigi che aveva per tema “Gbagbo contro la Françafrique”

Le journal de l’Afrique (JDA): dal 2011 la Françafrique (la presenza francese in Africa) ha imperversato in diversi paesi africani: Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Mali, Libia. Perché scegliere di organizzare una grande conferenza sul caso del Gbagbo?

Michel Collon (MN) : con le forze limitate della nostra squadra Investig’Action, è impossibile trattare tutti questi interventi come sarebbe necessario! Ho molto lavorato sull’aggressione contro la Libia, producendo un libro e un piccolo film, è stata veramente una guerra contro tutta l’Africa.

Ma la Costa d’Avorio è anch’essa un esempio evidente dell’ingerenza e del neocolonialismo. Imprigionare a L’Aia un presidente che ha solamente voluto difendere l’indipendenza del suo paese serve a intimidire tutti quelli che in Africa vorrebbero liberarsi della Françafrique. A mio parere, ne abbiamo parlato troppo poco, e il pubblico largo è rimasto con un’impressione confusa fabbricata dai media. Le tecniche di demonizzazione mediatica hanno funzionato bene. Quindi, verificare i fatti con i testimoni diretti mi sembrava indispensabile per sensibilizzare un pubblico più largo e cominciare a cambiare i rapporti di forza.

JDA : Qual è l’idea generale che si coglie dalle testimonianze raccolte?

MC:  i nostri 17 testimoni principali hanno portato una mole incredibile di fatti concreti, di rivelazioni e di analisi pertinenti. Io stesso ho imparato molto.

La Francia delle multinazionali ha calpestato il diritto internazionale, ha organizzato direttamente i brogli dei risultati delle elezioni (Ggabo aveva vinto, senza alcun dubbio), la corruzione dei politici, il furto di risorse di cacao e di altro, un vero e proprio colpo di stato con rapimento politico. Considerano l’Africa come una loro proprietà e pensano che il governo debba obbedire loro. D’altra parte, prima di Gbagbo, l’ordine del giorno dei consigli dei ministri era deciso a Parigi, e dice tutto!

I responsabili sono Sarkozy, Villepin, Alliot-Marie, Juppé e la loro politica è stata continuata da Hollande, Valls e Kouchner. Ma i veri comandanti sono una serie di multinazionali francesi e altre di cui abbiamo ascoltato le malefatte con precisione.

JDA : l’affare Gbagbo è molto seguito in Africa e oltre. Avete preso posizioni per una larga diffusione delle testimonianze raccolte?

MC: si, sebbene i nostri mezzi siano limitati come ho detto, noi abbiamo fatto attenzione a registrare nelle condizioni migliori. Con il comitato organizzatore, Investig’Action prepara un DVD. Penso che sarà uno strumento prezioso perché ciascuno possa far conoscere quello di cui i media non parlano mai.

JDA: Laurent Gbagbo e i suoi sostenitori sono perseguiti presso la Corte Penale Internazionale e in Costa d’Avorio. Nel mentre, Alassane Ouattara e Guillaume Soro non sembrano preoccupati. Come spiegare questa politica dei due pesi e due misure?

MC: Gli avvocati ci hanno mostrato chiaramente che i processi sono dei bidoni, che l’istruzione del Procuratore a carico, e che malgrado i suoi mezzi enormi, il dossier è vuoto. In realtà, hanno fatto allungare il processo per impedire il ritorno di Gbagbo alla vita politica.

JDA: Il Fondo Monetario Internazionale non smette di elogiare il regime di Ouattara che mostra un tasso di crescita elevato (8,6% nel 2016). Vuol dire che la partenza di Gbagbo è stata una cosa positiva per l’economia ivoriana?

MC: Delle cifre finte! L'ingegnere Ahoua Don Mello, ex ministro, ha mostrato che queste cifre sono false: la “crescita” proviene dal settore delle costruzioni, interamente finanziato dall’”aiuto allo sviluppo”, di cui beneficiano le multinazionali francesi delle costruzioni. Mentre i settori creatori di ricchezza sono crollati del 10% o addirittura del 22% per il petrolio.

JDA: La conferenza di Parigi si è tenuta alla vigilia del primo turno delle presidenziali. Una semplice coincidenza o una strategia?

MC: una coincidenza, ma cascava a fagiolo per mostrare la situazione internazionale. D’altra parte abbiamo chiesto agli 11 candidati quello che volevano fare riguardo questo processo, sull’imprigionamento di Gbagbo e in generale sulla Françafrique, specialmente sul Franco coloniale. Solo tre hanno risposto, con buone posizioni di Mélenchon e di Assalineau...

JDA: L’arrivo di Emmanuel Macron all’Eliseo può cambiare qualche cosa nella Françafrique?

MC: Ecco, è il terzo ad avere risposto. Ma non cambierà alcunché. Non ha risposto alle domande, ma ha inviato un testo di generalità e di bla bla sulla continuazione del bel partenariato tra la Francia e l’Africa. Come hanno fatto tutti i presidenti precedenti.

JDA: Tra i sostenitori di Macron, c’è Bernard Henry Levy. Visto il suo ruolo nel caso libico, non dobbiamo temere altre guerre imperialiste in Africa sotto Macron?

MC: Assolutamente. Macron è un guerrafondaio, allineato agli Stati Uniti, aggressivo verso i palestinesi, e pericoloso per l’Africa. Levy è un venditore di propaganda di guerra che viene inviato ovunque bisogna giustificare un’aggressione coloniale.

JDA: Cosa ne pensate dell’attuale mobilitazione contro il Franco Coloniale?

MC: Molto positiva. È molto importante che tutto il continente si unisca su alcuni obiettivi precisi. Il Franco coloniale è uno strumento centrale per mantenere l’attuale tutela, è giusto prendere di mira questa morsa che blocca i popoli.

JDA: Nel 2013, il Collettivo Investig’Action che voi avete creato e diretto dal 2004, ha lanciato il Journal de l’Afrique. Cosa vi ha spinto a creare questo mensile?

MC: Ero cosciente che non si voleva parlare dei problemi dell’Africa, sull’internet internazionale. E quando se ne parla, raramente si parla degli africani. Ho quindi ritenuto molto importante creare questo incontro mensile, sono molto contento che il testimone abbia potuto essere assicurato dal redattore capo della redazione di Investig’Action, Alex Anfruns, e da voi stessi. È una vera soddisfazione vedere che il JDA si sviluppa bene, contando sulle proprie forze e spero che possa ancora allargare la sua rete di autori, i suoi scambi di idee e il suo impatto. Ne avevo parlato con Hugo Chavez, posso dirvi che considerava l’America Latina e l’Africa come due sorelle che dovevano assolutamente battersi insieme.

JDA: Avete altri progetti per l’Africa?

MC: Ora che   Alex Afruns mi ha sostituito come redattore capo del sito, posso concentrarmi sulla scrittura dei miei libri e sullo sviluppo della nostra casa editoriale. Nel 2018 pubblicheremo un grande manuale strategico di tutta l’Africa, preparato dal celebre sociologo Said Bouamama. E vogliamo ripubblicare un altro libro molto importante, un vero “classico”, sulla storia del continente africano, spero di poterne dire di più a breve.

Ma vorrei sottolineare che la nostra piccola squadra non può niente senza il sostegno e la partecipazione dei suoi lettore. Nella battaglia delle informazioni, il rapporto di forza non potrà cambiare che se ognuno diventa un attore attivo.

Lista dei testimoni

Professeur BALOU-BI, ex prigioniero politico del regime di Ouattara,
Pr. Albert BOURGI, insegnante di diritto
Bernard GENET,  giurista e consigliere di relazioni internazionali
Robert CHARVIN, universitario
Henriette EKWE, giornalista e panafricanista
Bernard HOUDIN, portaparola per l’Europa di Laurent GBAGBO
Guy LABERTIT, ex delegato per l’Africa del Ps
Théophile KOUAMOUO,  giornalista
François MATTEI, giornalista
Clotilde OHOUOCHI, ex ministro in esilio
Maître Habiba TOURE, avvocato
Seed ZEHE, avvocato
Séri ZOKOU, avvocato
Aminata TRAORE, scrittore impegnato
Ahoua DON MELLO, ex ministro in esilio
Georges Peillon


=== 2 ===

L'articolo che segue – nel quale si traccia un parallelismo tra caso Milosevic e caso Gbagbo – è una sintesi dell'intervista apparsa in inglese:
Libya – Why Was Muammar Gaddafi Killed – May We Never Forget (By Peter Koenig and Russia-TV24 – Global Research, May 18, 2017)
http://www.globalresearch.ca/libya-why-was-muammar-gaddafi-killed-may-we-never-forget/5590628


Хашки суд и неолиберална финансијска олигархија  

КОЛОНИЗАЦИЈА АФРИКЕ – ПОД ВОЂСТВОМ АФРИКАНАЦА 

                            Попут Слободана Милошевића и бивши кандидат за председника Обале Слоноваче Лаурент Гбагбо веома је непријатан притвореник суда у Хагу, али би могао бити још непријатнији ако би био на слободи, изјавио је Петер Кениг, геополитички аналитича у интервјуу за ТВ Русија 24 а преноси Глобал Ресеарцх. 
           У изборима за председника Обале Слоновача 2010 године Гбагбо се кандидовао против дотадашњег председника Аласан Кватара. Званичници су објавили, међутим, да је изгубио трку, па је Гбагбо затражио да се поново преброје гласови.                                                                                                                  
                         Уместо тога Кватара – бивши службеник ММФ-а и симпатизер међународних неолоберланих финансијских институција – прогласио је своју победу. Петер Кениг наглашава у интервјуу да је Кватара био у служби западних корпорација и да је све чинио по савету ММФ-а. По Кенигу је ово типичан пример модерне неоколонизација, доказ да је она жива и да траје. „Називан то финансијским државним ударом, наметнутим од страних финансијских институција“, додаје Кениг. 
                      Након извесног времена Лаурет Гбагбо је оптужен за читав низ тешких кривичних дела – само зато што се супротставио светској финансијкој диктататури – за убиств, силовање и врло брзо пребаче у Међународндни кривични суд у Хагу, где је чекао 5 година да апочне суђење –које траје још од јануаара 2016. Маја 2017 године суђење му је продужено на захтев Тужиоца због потреба да се прибаве допуснке чињенице. По Кенигу је то обична судска фарса како би се обманула јавност д аповерује како у Хагу има правичан суд и правично суђење. 
                       Већ у првом саслушању 2014 Гбагбо је оглашен кривим за сва кривична дела која му се стављају на терет – све до кривичних дела против човечности. Кениг на то изјављуе:“Попут Слободана Милошевића, и он је непријатан притвореник, који може бити још непријатнији као слободан грађанин. Због тога ће вероватно остати у затвору – а једног дана ће починити „самоубство“ или ће преминути од „срчаног удара“ (алузија на убиство Слободана Милошевића). То је већ хашка класика.Јер тако Запад поступа са свим потенцијалним сведоцима његових (Западних) злочина. Крај приче!. Нико се неће бунити, јер „слобони свет“ већ чврсто верује ономе што му пласирају западни медији да су то особе нехумани тирани. Слично су западни медији пласирали и о Моамеру Гадафију у својим насловним странама када су саопштили – Смрт тиранина
                        У 2015 године, Кватара је „поново изабран“ малом маргином. Тако кажу западни медији. Тако настаје колонизација Африке под „афричким вођством“. Највећу подршку Кватари је пружила француска војска. 

    (Види – „Либија – зашто је убијен Моамер Гадафи – несмемо никада заборавити“




“Care italiane, cari italiani, cari connazionali,

leggendo nei siti on line di gran parte dei quotidiani italiani ed ascoltando i report radiofonici e televisivi emessi dalla Rai e da altre catene, abbiamo purtroppo registrato che rispetto ai fatti venezuelani, vige una informazione a senso unico che rilancia esclusivamente le posizioni e le interpretazioni di una delle parti che si confrontano.

Abbiamo anche letto e ascoltato spesso che l’attenzione prestata alla situazione venezuelana viene giustificata per la presenza in Venezuela di una “consistente comunità italiana o di origine italiana” in sofferenza e che sembrerebbe essere accomunata in modo unanime alle posizioni dell’opposizione.

Noi sottoscrittori di questa lettera, siamo membri di questa comunità. Ma interpretiamo in modo assai diverso l’origine e le cause della grave situazione che attraversa il paese dove viviamo da tanti anni e dove abbiamo costruito la nostra vita e formato le nostre famiglie. Siamo in questo paese perché vi siamo arrivati direttamente o perché siamo figli e nipoti di emigrati italiani che raggiunsero il Venezuela nel dopoguerra per emanciparsi dalla situazione di povertà o di mancanza di opportunità e di lavoro in Italia.

In tanti abbiamo condiviso e accompagnato il progetto di socialismo bolivariano proposto da Chavez e proseguito da Maduro, sia come militanti o elettori, sia partecipando direttamente il progetto di un Venezuela più giusto e solidale.

Ciò che era ed è per noi inaccettabile è che in un paese così bello e ricco di risorse e di potenzialità, decine di milioni di persone vivessero da oltre un secolo in una situazione di oggettiva apartheid, al di fuori da ogni opportunità di emancipazione sociale e quindi senza i diritti essenziali che sono quelli di una vita dignitosa, cioè quello delle reali condizioni di vita, di lavoro, di educazione, di servizi sanitari pubblici, di pensioni per tutti.

Questa situazione è durata in Venezuela per oltre 100 anni e bisogna chiedersi perché, soltanto all’inizio di questo secolo, con Hugo Chavez, per la prima volta nella storia di questo paese, questi problemi sono stati affrontati in modo deciso. E come mai, prima, questo non era accaduto. Chi oggi manifesta nelle strade dei quartieri ricchi delle città del nostro paese, gridando “libertà!” dove stava, cosa faceva, di cosa si occupava, prima che Chavez fosse eletto in libere elezioni democratiche ?

In questi anni, diverse agenzie dell’Onu e l’Onu stessa, hanno certificato che il Venezuela è stato tra i primi paesi al mondo nella lotta alla povertà, all’analfabetismo, alla mortalità infantile, raggiungendo risultati che non hanno confronti per la loro entità, rapidità e qualità.

Si citano la mancanza di prodotti di primo consumo e di farmaci, ma nessuno dice che è in atto una azione coordinata di accaparramento e di speculazione che ha fatto lievitare i prezzi e fatto crescere in modo esponenziale l’inflazione. Chi ha in mano il settore dell’importazione di questi prodotti ? Alcune grandi e medie imprese private per giunta sovvenzionate dallo Stato. La penuria di questi prodotti è in realtà l’effetto dell’inefficienza di questi gruppi privati nel migliore dei casi, o piuttosto dell’uso politico che essi stanno operando, analogamente a quanto avvenne in Cile, nel 1973 per abbattere il governo democratico di Allende.

E’ evidente che l’obiettivo principale di questa specie di rivolta dei ricchi (perché dovete sapere che le rivolte sono situate solo nei quartieri ricchi delle nostre città) sia rimettere in discussione tutte le conquiste sociali raggiunte in questi anni, svendere la nostra impresa petrolifera e le altre imprese nascenti che operano in settori strategici, come il gas, l’oro, il coltan, il torio scoperti recentemente e in grandi quantità nel bacino del cosiddetto arco minero: l’obiettivo di questi settori sociali è tornare al loro mitico passato, un passato feudale in cui una piccola elite godeva di tanti privilegi e comandava sul paese, mentre decine di milioni languivano nell’indigenza.

Noi non abbiamo una verità da trasmettervi; abbiamo però tante cose che possiamo raccontare e far conoscere agli italiani in Italia. Che possiamo dire ai vostri giornalisti e ai vostri media. A partire dal fatto che la comunità italiana non è, come oggi si vuol dare ad intendere, schierata con i violenti e con i vandali che distruggono le infrastrutture del paese o con i criminali che hanno progettato e che guidano le cosiddette proteste che non hanno proprio nulla di pacifico.

La comunità italiana in Venezuela è composta di circa 150 mila cittadini di passaporto e oltre 2 milioni di oriundi. Questi cittadini, che grazie alla Costituzione venezuelana approvata sotto il primo governo di Hugo Chavez possono avere o riacquisire la doppia cittadinanza, hanno vissuto e vivono insieme agli altri venezuelani i successi e le difficoltà di questi anni. Gran parte di loro hanno sostenuto e sostengono il processo di modernizzazione e democratizzazione del Venezuela. Molti di loro sono stati e sono sindaci, dirigenti sociali e politici, parlamentari della sinistra, imprenditori aderenti a “Clase media en positivo”, ad organizzazioni cristiane come Ecuvives ed hanno sostenuto e sostengono il processo bolivariano. Diversi di loro hanno partecipato alla stesura della Costituzione, che molto ha preso dalla Costituzione italiana. In gran parte hanno sostenuto Hugo Chavez e sostengono Maduro, opponendosi alle manifestazioni violente e vandaliche organizzate dai settori dell’ultra destra venezuelana.

Un’altra parte, limitata, come è limitata l’elite venezuelana, è sulle posizioni dell’opposizione. Grazie a sostegni finanziari esterni svolgono una continua campagna di diffamazione del Venezuela bolivariano in molti paesi, compresa l’Italia.

L’Ambasciata italiana censisce una ventina di associazioni italiane in Venezuela. Si tratta di associazioni costituite sulla base della provenienza regionale dei nostri emigrati, veneti, campani, pugliesi, abruzzesi, siciliane, ecc. che aggregano circa 7.000 soci e che intrattengono relazioni stabili con l’Italia e le proprie regioni. Solo alcune di queste associazioni, insieme a qualche giornale sovvenzionato con fondi pubblici italiani, hanno svolto in questi anni, in piena libertà, una campagna di informazione contro l’esperienza bolivariana; esse hanno costituito talvolta le uniche “fonti di informazione” privilegiate e accreditate da diversi organi di stampa italiani.

Ma questa non è “la comunità italiana” in Venezuela. Ne è solo una parte limitata, le cui opinioni vengono amplificate da alcuni organi di informazione. Il resto della comunità italiana e il resto del mondo degli oriundi italo-venezuelani si organizza e si mobilità in questo paese nello stesso modo in cui si mobilita e si organizza il resto del paese. Vi è chi è contro e chi è a favore del processo bolivariano.

Da questo punto di vista, non vi è alcun pericolo per la collettività italiana in Venezuela. Come in ogni paese latino americano, e come dovunque, si parteggia e si lotta con visioni politiche e sociali differenti.

Strumentalizzare la presenza italiana in Venezuela è un gioco sbagliato, pericoloso e che non ha alcun fondamento se non l’obiettivo di alimentare lo scontro e la menzogna.”

 

Caracas, Venezuela, 23 giugno 2017

Giulio Santosuosso - Caracas, 
Donatella Iacobelli - Caracas, 
Mario Cavani - Cumana, 
Cecilia Laya - Caracas, 
Angelo Iacobbi Por la Mar - Margarita, 
Michelangelo Tavaglione - Maracay, 
Giordano Bruno Venier - Caracas,
Mario Neri - Caracas,  
Isa Carascon - Caracas, 
Franca Giacobbe - Valencia, 
Alfredo Amoroso, Caracas
Evedia M. Ochoa - Caracas,
Beda Sanchez - Caracas, 
Antonio Mobilia - Caracas, 
Ennio Di Marcantonio V. - Caracas,   
Fulvio Merlo - Caracas,  
Pietro Altilio - Caracas, 
Luca Spadageo - Caracas, 
Celestino Stasi - Maracay, 
Luigino Bracci - Caracas, 
Sandra Emanuela Neri - Caracas,
Immacolata Diotaiuti - Caracas, 
Stella Coiro - Valencia, 
Nancy Guerra - Caracas, 
Marco Aurelio Venier - Caracas, 
Irving Francesco Sanchez - Caracas,  
Leo Zanelli - Caracas,  
Antonietta  Zanelli - Caracas, 
Damaris Alcala - Barcelona, 
Giovannina De Vita - Caracas, 
Domenico Mosuca - Caracas, 
Vittorio Altilio - Caracas, 
Marina Yanes - Caracas, 
Elio Gallo - Caracas,
Antonio Gerardo Di Santi - Caracas,  
Luisa Fabbro - Caracas, 
Vita Napoli - Caracas, 
Alfedo Tepedino - Caracas, 
Donato Jose Scudiero - Lecheria, 
Maria Bernieri - Valencia, 
Francesco Misticoni - Caracas,
Gimar Patricia - Valencia,  
Escudiero - Puerto La Cruz, 
Margy Rosina Escudiero - El Tigre,
Orietta Caponi - Caracas, 
Mario Gallo - Caracas, 
Mercedes de Cavani - Cumana, 
Maira Garcia - Caracas, 
Arcangelo Manganelli - Valencia, 
Franco Altilio - Caracas, 
Giuseppe Tramonte - Caracas, 
Antonieta Petroni - Guarico, 
Nelson Mendez - Puerto la Cruz, 
Ennio F. Di Marcantonio - Caracas, 
Monica Vistali - Caracas, 
Antonio Neri - Barcelona, 
Tramonte Andrea - Caracas, 
Biagio Scudiero - Lecheria, 
Giuliana Geremia - Valencia, 
Pasquale di Carlo - Maracay, 
Lira Millan - Caracas, 
Bruna Mijares - Caracas, 
Valeria D’Amico - Caracas, 
Maurizio Conforto - Barinas, 
Lucia Di Natale - Acarigua, 
Antonietta Rivoltella - Puerto la Cruz, 
Alessandro Carinelli - Caracas, 
Gianni Daverio - Morrocoy, 
Giacomo Altilio - Caracas,
Mayira Leandro - Puerto la Cruz, 
Marta Trappiello - Valencia, 
Vincenzo Gallo - Caracas, 
Alfonso Bruni - Caracas,
Claudio Manganelli - Valencia, 
Maria Eugenia Tepedino - Caracas, 
Luigi Puglia - Caracas, 
Mariaelena De Vita - Caracas, 
Rosanna Percepese - Caracas, 
Gabriela Merlo - Caracas,
Vincenzo Policcello - Barquisimeto, 
Ada Martínez – Maracay,
Barbara Meo Evoli – Caracas, 
Valeria D’Amico - Puerto la Cruz.

  

*. Colectivo de Italovenezolanos Bolivarianos
* V.O.I. – Venezolanos de Origen Italiana;
* CEIC – Colectivo Estudiantes de Origen Italiano
* Circulo   Bolivariano Antonio Gramsci



Per contatti: CBantoniogramsci @ hotmail.com

Sul sito Cambiailmondo, che ha pubblicato la lettera tra i primi – https://cambiailmondo.org/2017/06/23/lettera-dal-venezuela-alle-italiane-e-agli-italiani/ –, appare oggi 26 giugno 2017 la seguente Nota redazionale:

<< L’elenco dei firmatari della lettera è stato sospeso a causa di gravi minacce subite da alcuni di loro e dalle rispettive famiglie da parte di soggetti che evidentemente non tollerano il pluralismo di opinioni. Con molta probabilità questo tipo di squadrismo fascista è presente anche tra le fila di italo-venezuelani che sono venuti a conoscenza della lettera. Vi sono sufficienti ragioni per sollecitare il Governo italiano e le sue rappresentanza diplomatiche e quello del Venezuela a richiamare al rispetto del diritto alla libera espressione anche i nostri connazionali nel paese e, insieme, a garantire la loro incolumità. Sia la Costituzione italiana che quella venezuelana garantiscono la libertà di opinione. E i reati ad essa connessi, minacce, intimidazioni e quant’altro, sono punibili in entrambi i paesi. >>




1) È NATO il neonazismo in Europa (Manlio Dinucci, 13 giugno 2017)
2) FLASHBACKS: Democrazia NATO in Ucraina... ed altri link (Manlio Dinucci)


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Sullo stesso tema si veda anche:

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La Notizia di Manlio Dinucci : È NATO il neonazismo in Europa (PandoraTV, 13 giu 2017)
Il parlamento di Kiev ha votato un emendamento legislativo per l’adesione ufficiale dell’Ucraina alla Nato. Mossa pericolosissima: se l’Ucraina entrasse nella Nato gli altri 29 membri, in base all’Art. 5, dovrebbero andare in guerra contro la Russia. Il “merito” dell’iniziativa va al presidente del parlamento Andriy Parubiy, famigerato neonazista (ricevuto con tutti gli onori a Montecitorio dalla presidente Boldrini), uno dei capi del colpo di stato sotto regia Usa/Nato che ha trasformato l’Ucraina in «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa...


L’arte della guerra 

È NATO il neonazismo in Europa

Manlio Dinucci
  
L’Ucraina, di fatto già nella Nato, vuole ora entrarvi ufficialmente. Il parlamento di Kiev, l’8 giugno, ha votato a maggioranza (276 contro 25) un emendamento legislativo che rende prioritario tale obiettivo. 

La sua ammissione nella Nato non sarebbe solo un atto formale. La Russia viene accusata dalla Nato di aver annesso illegalmente la Crimea e di condurre azioni militari contro l’Ucraina. Di conseguenza, se l’Ucraina entrasse ufficialmente nella Nato, gli altri 28 membri della Alleanza, in base all’Art. 5, dovrebbero «assistere la parte attaccata intraprendendo l’azione giudicata necessaria, compreso l’uso della forza armata». In altre parole, dovrebbero andare in guerra contro la Russia. 

Il merito di aver introdotto nella legislazione ucraina l’obiettivo di entrare nella Nato va al presidente del parlamento Andriy Parubiy. Cofondatore nel 1991 del Partito nazionalsociale ucraino, sul modello del Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler; capo delle formazioni paramilitari neonaziste, usate nel 2014 nel putsch di Piazza Maidan, sotto regia Usa/Nato, e nel massacro di Odessa; capo del Consiglio di difesa e sicurezza nazionale che, con il Battaglione Azov e altre unità neonaziste, attacca i civili ucraini di nazionalità russa nella parte orientale del paese ed effettua con apposite squadracce feroci pestaggi di militanti del Partito comunista, devastando le sue sedi e facendo roghi di libri in perfetto stile nazista, mentre lo stesso Partito sta per essere messo ufficialmente fuorilegge. 

Questo è Andriy Parubiy che, in veste di presidente del parlamento ucraino (carica conferitagli per i suoi meriti democratici nell’aprile 2016),  è stato ricevuto il 5 giugno a Montecitorio dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. «L'Italia - ha sottolineato la presidente Boldrini - ha sempre condannato l'azione illegale avvenuta ai danni di una parte del territorio ucraino». Ha così avallato la versione Nato secondo cui sarebbe stata la Russia ad annettersi illegalmente la Crimea, ignorando il fatto che la scelta dei russi di Crimea di staccarsi dall’Ucraina e rientrare nella Russia è stata presa per impedire di essere attaccati, come i russi del Donbass, dai battaglioni neonazisti e le altre forze di Kiev. 

Il cordiale colloquio si è concluso con la firma di un memorandum d'intesa che «rafforza ulteriormente la cooperazione parlamentare tra le due assemblee, sia sul piano politico che su quello amministrativo». Si rafforza così la cooperazione tra la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza contro il nazi-fascismo, e un regime che ha creato in Ucraina una situazione analoga a quella che portò all’avvento del fascismo negli anni Venti e del nazismo negli anni Trenta. 

Il battaglione Azov, la cui impronta nazista è rappresentata dall’emblema ricalcato da quello delle SS Das Reich, è stato incorporato nella Guardia nazionale, trasformato in unità militare regolare e promosso allo status di reggimento operazioni speciali. È stato quindi dotato di  mezzi corazzati e pezzi d’artiglieria. Con altre formazioni neonaziste, trasformate in unità regolari,  viene  addestrato da istruttori Usa della 173a divisione aviotrasportata, trasferiti da Vicenza in Ucraina, affiancati da altri della Nato. 

L’Ucraina di Kiev è così divenuta il «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa. A Kiev confluiscono neonazisti da tutta Europa, Italia compresa. Dopo essere stati addestrati e messi alla prova in azioni militari contro i russi di Ucraina nel Donbass, vengono fatti rientrare nei loro paesi. Ormai la Nato deve ringiovanire i ranghi di Gladio. 

(il manifesto, 13 giugno 2017) 



=== 2: FLASHBACKS ===

Di Manlio Dinucci, sullo stesso tema, si vedano anche:

Heil mein Nato! L’Ucraina «vivaio» del rinascente nazismo in Europa (M. Dinucci, 5.1.2016 – testo e video)
TESTO: https://ilmanifesto.it/ucraina-heil-mein-nato/
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=UTuVZwvLlco

Manlio Dinucci sull'euro-NATO-nazismo ucraino (rassegna JUGOINFO 15 set 2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8388

I neo-nazisti ucraini addestrati dagli Usa (Manlio Dinucci,  9.2.2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8256

Come la Nato ha scavato sotto l’Ucraina (Manlio Dinucci, 25 febbraio 2014)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7904

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En français: Démocratie selon l’Otan en Ukraine (par Manlio Dinucci, 22 septembre 2015)
La presse occidentale tenta de faire passer le coup d’État en Ukraine pour une « révolution » populaire et spontanée. Mais avec le temps et l’accumulation de preuves, il fut admit que les événements avaient été provoqués et encadrés de manière à en finir avec la « dictature ». On devait donc admettre cette entorse au droit international comme un moyen malheureux permettant d’arriver à la démocratie. Un an et demi plus tard, Manlio Dinucci observe ce qu’est devenu le pays. Le bilan montre qu’il n’a jamais été question d’instaurer de régime démocratique ce qui pose à nouveau, rétrospectivement cette fois, deux questions. La première sur la légitimité des institutions actuelles, la seconde sur la nature et les ambitions de l’Otan qui organisa ce coup...
http://www.voltairenet.org/article188771.html

L’arte della guerra
 
Democrazia NATO in Ucraina 

Manlio Dinucci
  

«Storica» visita del segretario generale della Nato Stoltenberg, il 21/22 settembre, in Ucraina, dove partecipa (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firma un accordo per l’apertura di un’ambasciata della Nato a Kiev, tiene due conferenze stampa col presidente Poroshenko. 

Un decisivo passo avanti nell’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza. Iniziata nel 1991 quando, appena divenuta Stato indipendente in seguito alla disgregazione dell’Urss, l’Ucraina entra nel «Consiglio di cooperazione nordatlantica» e, nel 1994, nella «Partnership per la pace». Nel 1999, mentre la Nato demolisce con la guerra la Jugoslavia e ingloba i primi paesi dell’ex Patto di Varsavia  (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), viene aperto a Kiev l’«Ufficio di collegamento Nato» e formato un battaglione polacco-ucraino per l’operazione Nato di «peacekeeping» in Kosovo. 

Nel 2002, il presidente Kuchma dichiara la disponibilità a entrare nella Nato. Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione» (organizzata e finanziata da Washington attraverso «Ong» specializzate e sostenuta dall’oligarca Poroshenko), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che l’adesione alla Nato non è nella sua agenda. 

Nel frattempo la Nato tesse una rete all’interno delle forze armate ucraine e addestra gruppi neonazisti (come prova una documentazione fotografica di militanti di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato). I neonazisti vengono usati come forza d’assalto nel putsch di Piazza Maidan che rovescia Yanukovych nel febbraio 2014, mentre il segretario generale della Nato intima alle forze armate ucraine di «restare neutrali». 

Subito dopo va alla presidenza Poroshenko, sotto la cui guida – dichiara la Nato – l’Ucraina sta divenendo «uno Stato sovrano e indipendente, fermamente impegnato per la democrazia e il diritto». 

Quanto sovrana e indipendente sia l’Ucraina lo dimostra l’assegnazione di incarichi ministeriali a cittadini stranieri scelti da Washington e Bruxelles: il ministero delle finanze è affidato a Natalie Jaresko, cittadina statunitense che ha lavorato al Dipartimento di Stato; quello del commercio e dello sviluppo economico al lituano Abromavicius, che ha lavorato per gruppi bancari europei; quello della sanità all’ex ministro georgiano Kvitashvili. L'ex presidente  georgiano Saakashvili, uomo di fiducia di Washington, viene nominato governatore della regione ucraina di Odessa. E, per completare il quadro, Kiev affida le proprie dogane a una compagnia privata britannica. 

Quanto l’Ucraina sia impegnata per la democrazia e il diritto, lo dimostra il fatto che i battaglioni neonazisti, rei di atrocità contro i civili di nazionalità russa nell’Ucraina orientale, sono stati inquadrati nella Guardia nazionale, addestrata da istruttori statunitensi e britannici. Lo dimostra la messa al bando del Partito comunista ucraino e della stessa ideologia comunista, in un clima persecutorio simile a quello dell’avvento del fascismo in Italia negli anni Venti. Per evitare testimoni scomodi, Kiev ha deciso il 17 settembre di impedire l'ingresso nel paese a decine di giornalisti stranieri, tra cui tre della Bbc, definiti «una minaccia alla sicurezza nazionale». 

L’Ucraina di Poroshenko – l’oligarca arricchitosi col saccheggio delle proprietà statali, del quale il premier Renzi loda la «saggia leadership» – contribuirà anche alla nostra «sicurezza nazionale» partecipando come partner all’esercitazione Nato Trident Juncture 2015 che si svolge in Italia.
 
(il manifesto, 22 settembre 2015)  




D’Alema: «A sinistra è vietata la rottura, per tutti noi è l’ultima chiamata» 

Il colloquio. L'ex premier: un fischio non mi spaventa, ma insieme a tanto impegno al Brancaccio c’era dell’estremismo. La sfida di governo è doverosa. I civici facciano una svolta, servono tutte le forze. Con Pisapia ingenerosi, ho detto a Vendola: non è una creatura del renzismo 

Daniela Preziosi 
Il Manifesto 
ROMA 20.6.2017, 8:59 

Per dirla come la direbbe un comunista italiano, non si può dire che Massimo D’Alema sia stato convinto dalla riunione dei ’civici’ di domenica scorsa al Brancaccio. 
«Da vecchio militante ho una certa esperienza di assemblee, in questa c’era un po’ di estremismo. A partire dall’introduzione di Tomaso Montanari», spiega a chi gli chiede un giudizio. 
C’è dell’ironia. Ma la questione è seria. 
D’Alema era in prima fila, a un passo dal palco, quando il combattivo giovane studioso ha elencato le colpe del vecchio centrosinistra. E, nel lungo elenco, ha scandito «la guerra illegale in Kosovo». D’Alema, che era il presidente del consiglio in quel marzo ’99, non ha mosso ciglio. 
Ma ora replica: «Vorrei spiegare a Montanari che di questo fui accusato da un gruppo di giuristi. Poi la Cassazione emise una sentenza che archiviò tutto riconoscendo la piena legittimità del mio agire». Perché, spiega, l’art.11 della Costituzione dice che «l’Italia ripudia la guerra» eccetera, «ma poi anche che consente alle limitazioni di sovranità necessarie agli obblighi derivanti dai trattati internazionali». La conclusione è tagliente: «L’accusa è decaduta, se lui la rilancia è una calunnia». 
Non che intenda passare alle carte bollate, l’ex presidente del consiglio. Ma «il mondo è complesso, prima di parlare meglio informarsi, non ci si aspetta da un illustre storico dell’arte una sortita inutile e dannosa. Non si fanno battute a caso, tanto più se si lavora ad unire la sinistra». 
Segue racconto dei suoi ritorni in Serbia, dei giovani che lo hanno ringraziato perché quella guerra fu l’inizio «del ritorno alla libertà». Ma questa sarebbe un’altra storia. 
(...) «Sono diventato buono, so che i giornalisti hanno nostalgia del D’Alema cattivo ma invece, vede, ho ascoltato quelle calunnie sul Kosovo e sono rimasto seduto. In altri tempi mi sarei alzato e me ne sarei andato. A proposito, andrò a piazza Santi Apostoli il primo luglio, lo considero un mio dovere di militante».

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https://alganews.wordpress.com/2017/06/20/dalema-e-i-suoi-ricordi-di-guerra/

D’ALEMA E I SUOI RICORDI DI GUERRA

di Alberto Tarozzi, 20.6.2017

D’Alema oggi, su il Manifesto, bacchetta Tomaso Montanari che l’altro giorno, al Brancaccio, aveva fatto riferimento alle sue responsabilità relativamente alla “guerra illegale in Kosovo”.

D’Alema sostiene che Montanari, critico d’arte, certe cose non le capisce e che meriterebbe una denuncia per calunnia che lui, bontà sua gli risparmierà. Esiste infatti una sentenza della Corte costituzionale che stabilisce che quella guerra non fu anticostituzionale. Anche se l’art.11 della Costituzione sostiene che l’Italia ripudia la guerra, poi consente, dice D’Alema “limitazioni di sovranità necessarie agli obblighi derivanti dai trattati internazionali” come, evidentemente, quelli legati alla nostra presenza nella Nato.

Ha ragione: il giovane e inesperto Montanari ignorava che per “limitazioni di sovranità” si potessero intendere i bombardamenti sulle popolazioni civili. Non è il solo, ma si è sbagliato.
A dire il vero Montanari è incorso pure in un’altra disattenzione minore, non passibile di calunnia, di cui però l’attento D’Alema non si è accorto: ha parlato di guerra in Kosovo. L’Italia, sotto la premiership di D’Alema fece da rampa di lancio per aerei che per molti giorni andarono a bombardare Belgrado, Novi Sad, Nis e molte altre città che dal Kosovo distano kilometri e kilometri.

Un’imprecisione di termini in cui molti sono soliti cadere. In fondo, se Montanari anziché di guerra illegale in Kosovo avesse parlato di bombardamenti della Nato, Italia compresa, sulla popolazione civile della Jugoslavia nessuno lo avrebbe potuto accusare di imprecisione e nessuno lo avrebbe potuto denunciare per calunnia. Un’altra volta ci dovrà stare più attento.

Peraltro, per quanto riguarda D’Alema, anche lui è uscito in un’affermazione che avrebbe richiesto qualche chiarimento politico in più, quando ha citato il suo ritorno in Serbia ai tempi in cui era Ministro degli Esteri del Governo Prodi tra il 2006 e il 2008.

Dice che i giovani lo hanno ringraziato perché quella guerra fu l’inizio “del ritorno alla libertà”.

Personalmente non nutro pregiudizi, quando si tratta di stabilire la verità dei fatti e i fatti di quegli anni li conosco discretamente, anche se può essermi sfuggito qualcosa. Per esempio non ho problemi a riconoscere che a Belgrado, D’Alema, come Ministro degli esteri del governo Prodi, fece un intervento che ricevette applausi. Solo che non riguardava tanto “il ritorno della libertà” in Jugoslavia grazie alle bombe della Nato. Piuttosto riguardava un progetto di possibile cooperazione economica tra Italia e Serbia che conteneva elementi di interesse per il governo locale.
Nessun problema a riconoscerlo, ma le due cose mi sembrano parecchio diverse.

Naturalmente, per Massimo D’Alema come per tutti, fino a prova contraria, vale la sua parola a proposito di quei giovani serbi che l’avrebbero ringraziato per le bombe. Però, ci faccia un piacere. Ci mostri un documento, una registrazione, uno straccio di attestazione che confermi questa sua affermazione. E che magari metta in risalto il numero e la rilevanza politica dei soggetti che si erano complimentati con lui. Altrimenti saremmo nostro malgrado portati a formulare cattivi pensieri sul suo conto. Magari che lui non sia quel modello di attendibilità che dichiara di essere.

Qui mi fermo: nessun processo alle intenzioni.
Ma nemmeno nessuna disponibilità a farmi prendere in giro dalle giravolte dialettiche del politico di turno, indipendentemente dal fattore generazionale.

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Sulle denunce penali a D'Alema ed altri per la aggressione alla RF di Jugoslavia si veda la documentazione alla nostra pagina:
https://www.cnj.it/24MARZO99/giudiziario.htm
Sulle implicazioni di quella aggressione, mirata a rovesciare la leadership politica democraticamente eletta ed a smembrare ulteriormente il paese a partire dalla secessione della provincia del Kosovo, si veda:
https://www.cnj.it/24MARZO99/index.htm



(italiano / english / deutsch / français)


Appel Montenegro

1) APPELLO / APPEL / APPEAL to the Peace Movement
2) Der jüngste NATO-Partner (GFP 13.06.2017)


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS aderisce ed invita tutti ad aderire e far conoscere l'Appello del Movimento per la Neutralità del Montenegro alle forze progressiste ed al governo di quel paese perché si agisca per il rispetto della volontà della grande maggioranza della popolazione montenegrina.

The National Coordination for Yugoslavia, no-profit organization based in Italy, endorses and invites all people to endorse and distribute the Appeal proposed by the Movement for the Neutrality of Montenegro to the progressive forces and the government of that country to respect the will of the great majority of the Montenegrin population.


Si vedano anche / see also:

La pulce Montenegro guida il plotone della nuova Nato (PTV news 06.06.2017)

MONTÉNÉGRO : DES IMITATEURS RUSSES PIÈGENT MILO ĐUKANOVIĆ ET DUŠKO MARKOVIĆ (par S. Janković, Radio Slobodna Evropa / CdB 5 juin 2017)
Le Premier ministre monténégrin Duško Marković et son prédécesseur Milo Đukanović ont cru parler au Président et au Premier ministre d’Ukraine. Il s’agissait en fait des imitateurs russes Lexus et Vovan. Milo Đukanović a notamment promis au faux Petro Porochenko de l’aider à implanter une usine de chocolats au Monténégro...

Allargamento della Nato: dall’Urss al Montenegro (di Fabrizio Poggi, 5/6/2017)
... si tiene a Washington la cerimonia ufficiale dell’ingresso del Montenegro nella Nato, quale 29° membro. Perché non ci siano dubbi su chi comandi, il segretario generale Jens Stoltenberg e il vice Segretario di stato USA Thomas Shannon accoglieranno la trasmissione del relativo documento ufficiale al Dipartimento di Stato da parte del primo ministro montenegrino Duško Markovič....

NATO 'Wants to Use Montenegro to Militarize Balkans' (17.05.2017)
The North Atlantic Alliance intends to use its newest member, Montenegro, to militarize the Balkan Peninsula, political activist and one of the leaders of the Resistance to Hopelessness movement Marko Milacic told Sputnik Serbia...


=== 1 ===

--- ITALIANO

Questo appello è stato proposto nell'ambito del contro-vertice NATO lo scorso 25 maggio a Bruxelles
da Marko Milacic, esponente del Movimento per la Neutralità del Montenegro

ITA.- APPELLO AL MOVIMENTO PER LA PACE A SOSTEGNO DEL MONTENEGRO

Il Montenegro sta affrontando una situazione pericolosa. Il parlamento ha recentemente preso la decisione, contro la volontà della maggioranza dei cittadini, di aderire alla NATO, benché l'84% della popolazione del Montenegro sia a favore di un referendum, in base a fonti governative.

Si dovrebbe comprendere che costringere il Montenegro a entrare nella NATO, da parte della stessa NATO e dei suoi partner, la cricca in stile mafioso al potere nel paese, può solamente destabilizzare la società, e – cosa ancor più importante – questo è proprio ciò che sta avvenendo adesso. Questa è una aggressione politica da parte della NATO contro il Montenegro. 

La decisione sull'entrata del Montenegro nella NATO non è valida, poiché non è sostenuta dal popolo del Montenegro. Essa è sostenuta da un regime antidemocratico che è rimasto sempre lo stesso per quasi tre decadi. 

Noi facciamo appello a tutte le forze progressiste presenti sia nei paesi NATO che nei paesi non aderenti alla NATO, affinché sostengano il popolo del Montenegro nella sua lotta contro questo processo illegittimo e illegale.

Noi facciamo appello al governo del Montenegro perché rispetti il volere del popolo.

***
Firmare e diffondere ampiamente questo Appello!

Inoltrate questa pagina con la vostra firma, precisando il vostro nome, indirizzo email, il nome eventuale della vostra organizzazione, a: milacici2007@...


--- ENGLISH

This appeal was proposed at the NATO Counter-summit on 25th May in Brussels 
by Marko Milacic, representative of the Movement for the Neutrality of Montenegro


ENG.- APPEAL TO THE PEACE MOVEMENT TO SUPPORT MONTENEGRO

Montenegro is facing a dangerous situation. The parliament recently took the decision, against the will of the majority of citizens, to join NATO, although 84% of the population of Montenegro, according to government sources, is in favour of a referendum. 

It should be understood that forcing Montenegro into NATO, by NATO and its partners, the mafia style clique in power in the country, can only destabilize the society, and more importantly that is happening right now. This is political aggression by NATO against Montenegro.

The decision about Montenegro entering NATO is not valid, because it is not backed by the people of Montenegro. It is backed by an undemocratic regime that hasn’t change for almost three decades.

We call on progressive forces in NATO and non-NATO member states to support the Montenegrin people in their struggle against this illegitimate and illegal process.

We call on the government of Montenegro to respect the will of the people.

***
Please sign and make this appeal widely known!
Please send this document back, mentioning your individual and/or organization name, country, e-mail address to milacici2007@...


--- FRANÇAIS

Appel présenté à Bruxelles, le 25 mai 2017, lors de la conférence du Contre-Sommet Otan

par Marko Milacic, responsable du Mouvement pour la Neutralité du Monténégro


FR - APPEL AU MOUVEMENT DE LA PAIX POUR SOUTENIR LE MONTENEGRO

Le Monténégro affronte une situation dangereuse. Récemment, le parlement monténégrin a pris la décision d'adhérer à l'OTAN, alors que la majorité des citoyens s'y opposent et que, selon les propres sources gouvernementales, 84% de la population est favorable à l'organisation d'un referendum.

Par cette adhésion imposée par l'OTAN et ses partenaires, la clique mafieuse actuellement au pouvoir au Monténégro ne fera que déstabiliser gravement la société, comme cela est en train de se produire actuellement. C'est une agression politique de l'OTAN envers le Monténégro.

Cette décision d'adhésion du Monténégro à l'OTAN n’est pas légitime, car elle n'est pas acceptée par sa population. Elle a été imposée par un régime anti-démocratique au pouvoir depuis près de trente ans.

Nous appelons les forces progressistes des pays membres et non-membres de l'Otan à soutenir le peuple monténégrin dans sa lutte contre ce processus illégal et illégitime.

Nous appelons le gouvernement du Monténégro à respecter la volonté du peuple. 

***

Signer et diffuser largement cet Appel !

Renvoyez cette page avec votre signature, en précisant votre nom, adresse mail, nom éventuel de votre organisation à milacici2007@...



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Der jüngste NATO-Partner
 
13.06.2017

PODGORICA/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Mit dem NATO-Beitritt Montenegros in der vergangenen Woche haben Deutschland und die anderen westlichen Mächte einen wichtigen Punktgewinn im Machtkampf gegen Russland in Südosteuropa erzielt. Montenegro ist am 5. Juni dem westlichen Militärpakt als 29. Mitglied in aller Form beigetreten. Die deutschen Bundesregierungen der vergangenen 15 Jahre hatten das kleine südosteuropäische Land stets bei der Abspaltung von Serbien und der Annäherung an die westlichen Bündnisse (EU und NATO) unterstützt. Ihrem wichtigsten montenegrinischen Kooperationspartner ist dabei immer wieder eine enge Verbindung zur Organisierten Kriminalität vorgeworfen worden. Russland hingegen hat sich seit der Jahrtausendwende insbesondere ökonomisch um Einfluss in Montenegro bemüht: Wirtschaftlich unterhielten Moskau und Podgorica lange Zeit enge Beziehungen. Jüngst veröffentlichten Dokumenten zufolge zielte Russland darauf ab, durch die Schaffung eines neutralen Staatengürtels in Südosteuropa den Druck, dem es durch die NATO-Osterweiterung ausgesetzt ist, ein wenig zu lindern.

Organisierte Kriminalität

Der Machtkampf zwischen dem Westen und Russland hat seit der Jahrtausendwende neben diversen anderen Ländern auch Montenegro geprägt. Die Schlüsselfigur in der montenegrinischen Politik der vergangenen 25 Jahre und der wichtigste Kooperationspartner des Westens ist dabei stets Milo Đukanović gewesen, der von 1991 bis 2016 abwechselnd als Premierminister und als Präsident des Landes amtierte. Bereits seit langer Zeit werden Vorwürfe gegen ihn erhoben, er sei in den 1990er Jahren in größerem Umfang in den Schmuggel mit Zigaretten involviert gewesen; Telefonprotokolle italienischer Ermittlungsbehörden hätten beispielsweise Gespräche zwischen ihm und italienischen Mafiabossen beinhaltet.[1] Die italienischen Behörden stellten allerdings die Ermittlungen gegen ihn im Jahr 2009 ein.[2] Journalisten der BBC und der Antikorruptionsinitiative "Organised Crime and Corruption Reporting Project" (OCCRP) fanden darüber hinaus im Jahr 2012 heraus, dass die Erste Bank Montenegros, die unter der Kontrolle der Familie Đukanović steht, einerseits Gelder der montenegrinischen Exekutive einlagerte, andererseits aber hauptsächlich von Đukanovićs persönlichem Umfeld - unter anderem von gesuchten Drogenschmugglern - für Kredite genutzt wurde.[3] Für die Bundesregierung, die eng mit Đukanović kooperiert, sind die immer wiederkehrenden Vorwürfe kein Problem: "Die [...] Sachverhalte", heißt es zur Begründung, hätten "bis heute nicht gerichtlich nachgewiesen werden" können; man müsse deshalb keine Konsequenzen aus ihnen ziehen.[4]

Deutsche Unterstützung

Um Montenegro fest in seine Einflusssphäre einzubinden, hat Deutschland zunächst den montenegrinischen Weg in die Eigenstaatlichkeit und zuletzt den NATO-Beitritt des Landes unterstützt. Als Đukanović zum ersten Mal als Präsident Montenegros amtierte (von 1998 bis 2002, damals war das Land noch eine jugoslawische Teilrepublik), führte Podgorica einseitig die Deutsche Mark als offizielle Währung ein. Auch der Umstellung auf den Euro in Deutschland schloss sich das südosteuropäische Land an. Wenig später unterstützte Berlin Podgorica, indem die staatliche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit (GIZ, damals noch: Deutsche Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit, GTZ) von 2005 bis 2007 einen Berater in die montenegrinische Zentralbank entsandte. Seit 2008 reisten auch immer wieder Bundespolizisten zu Ausbildungsmaßnahmen ins Land. Darüber hinaus unterhielt die Bundeswehr von 2007 bis 2010 einen Berater im montenegrinischen Verteidigungsministerium.[5] Im Jahr 2008 bat die montenegrinische Regierung schließlich um Beitrittsverhandlungen mit der EU; seit 2010 ist Montenegro offizieller EU-Beitrittskandidat. Bei einem Besuch in Montenegro im Jahr 2013 erklärte der damalige Bundesentwicklungsminister Dirk Niebel, Deutschland sehe sich "als engagierter Partner im EU-Beitrittsprozess"; es wolle Montenegro "insbesondere in seinen Bemühungen zur Konsolidierung rechtstaatlicher Strukturen und zur Bekämpfung von Korruption und organisierter Kriminalität tatkräftig zur Seite stehen".[6]

"Fest in russischer Hand"

Während Deutschland sich vor allem auf politisch-administrativem Weg um Einfluss bemühte, boomte die montenegrinische Wirtschaft in den 2000er Jahren hauptsächlich dank russischer Investitionen.[7] Rund 30.000 russische Staatsbürger besaßen zu dieser Zeit laut Berichten Grundstücke oder Wohneigentum in Montenegro. Die vom Bundeskanzleramt finanzierte Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) resümierte im Jahr 2009, die Wirtschaft des Landes sei "fest in russischer Hand".[8] Bis heute hat Deutschland es nicht geschafft, starken wirtschaftlichen Einfluss auf Montenegro zu entwickeln. Allerdings geht die Regierung in Podgorica ihrerseits gegen den russischen Wirtschaftseinfluss vor. Die bedeutendste russische Investition stellte lange das Aluminiumkombinat Podgorica (KAP) dar, der größte Arbeitgeber des Landes, der im Dezember 2005 von der russischen Firma En+ übernommen worden war. Über das KAP konnte Moskau jahrelang dominierenden Einfluss auf die Wirtschaft des südosteuropäischen Landes ausüben. Doch die montenegrinischen Behörden erklärten den Konzern im Oktober 2013 für bankrott; die Regierung, die bereits vorher knapp 30 Prozent des Unternehmens innegehabt hatte, übernahm die vollständige Kontrolle - ein empfindlicher Schlag für Russlands Einflussarbeit in Südosteuropa.

Ein angeblicher Putschversuch

Schlagzeilen hat zuletzt eine ungewöhnliche, bis heute nicht aufgeklärte Etappe im Machtkampf zwischen dem Westen und Russland um Montenegro gemacht: Am 16. Oktober 2016, dem Tag der montenegrinischen Parlamentswahlen, erklärten die Behörden des Landes, einen Putschversuch verhindert zu haben. Ein montenegrinischer Sonderermittler warf in der Folge zwei russischen Staatsbürgern vor, einen Plan entworfen zu haben, das montenegrinische Parlament von Demonstranten stürmen zu lassen, um Đukanovićs Herrschaft zu beenden.[9] Nach den Putschvorwürfen boykottierte die Opposition die Kommunalwahl in Nikšić, der zweitgrößten Stadt des Landes, und rief dazu auf, auch dem nationalen Parlament die Mitarbeit zu verweigern: Sie bestreitet, dass es überhaupt einen Putschversuch gegeben hat, und hält das Vorgehen der Behörden für einen Versuch, ihre Politik zu diskreditieren.[10] Die Orientierung der Opposition läuft zentralen Interessen der deutschen Südosteuropapolitik zuwider: Sie verfolgt einen außenpolitisch klar von deutschen Vorgaben abweichenden Kurs; erst im Mai forderte die größte Oppositionsfraktion etwa, die diplomatische Anerkennung der serbischen Separatistenrepublik Kosovo zurückzunehmen.[11]

Wider die russische Balkanstrategie

Jüngst publizierte Dokumente, die angeblich vom makedonischen Geheimdienst stammen, werfen ein Schlaglicht auf die Ereignisse in Montenegro und darüber hinaus. Demnach sei es russische Strategie, auf dem Balkan einen Gürtel neutraler Staaten zu schaffen. Zu den "B-4-Staaten" sollen demnach Bosnien-Herzegowina, Serbien, Makedonien und Montenegro gehören.[12] Der jüngst unter maßgeblichem Druck Berlins forcierte Regierungswechsel in Makedonien gegen den auf außenpolitische Eigenständigkeit orientierten Premierminister Nikola Gruewski (german-foreign-policy.com berichtete [13]) steht dieser Strategie ebenso entgegen wie vor allem die Aufnahme Montenegros in die NATO in der vergangenen Woche. Letztere hilft, ein Land des einst bündnisneutralen Staatengürtels im ehemaligen Jugoslawien fest in die westlichen Bündnisstrukturen zu integrieren. Sie ist ein schwerer Rückschlag für Russland im Machtkampf in Südosteuropa.

[1] Ian Traynor: Montenegrin PM accused of link with tobacco racket. theguardian.com 11.07.2003.
[2] Longtime prime minister Djukanovic steps down. france24.com 22.12.2010.
[3] Liz MacKean/Meirion Jones: Documents tarnish Montenegro's EU bid, bbc.com 29.05.2012.
[4], [5] Antwort der Bundesregierung auf die Kleine Anfrage von Sevim Dagdelen et al.: Deutsch-montenegrinische Beziehungen angesichts der rechtsstaatlichen Verhältnisse in Montenegro. Deutscher Bundestag, 18/1216 vom 24.04.2014.
[6] Bundesminister Dirk Niebel besucht Montenegro (August 2013). podgorica.diplo.de.
[7] Andrew Byrne: Montenegro counts cost of becoming Nato's newest member. ft.com 02.06.2017.
[8] Russlands Rückkehr auf den Westbalkan; SWP-Studie S 17, Juli 2009. S. auch Hilfstruppen.
[9] Montenegro Opposition to Boycott Poll Over 'Coup' Claims. balkaninsight.com 15.02.2017.
[10] Simon Shuster: Duško Marković, the Prime Minister Stuck Between Putin and Trump in the Balkans. time.com 16.02.2017.
[11] Dusica Tomovic: Opposition Urges Montenegro to Revoke Kosovo Recognition. balkaninsight.com 11.05.2017.
[12] Aubrey Belford/Saska Cvetkovska/Biljana Sekulovska/Stevan Dojčinović: Leaked Documents Show Russian, Serbian Attempts to Meddle in Macedonia. occrp.org 04.06.2017.
[13] S. dazu Einflussverlust in Südosteuropa.





La notizia di Manlio Dinucci: Il «disarmo» nucleare di Gentiloni

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=-hquxihADio


L’arte della guerra 

Il «disarmo» nucleare di Gentiloni 

Manlio Dinucci 
  

La scena della folla presa dal panico in piazza San Carlo a Torino, con drammatiche conseguenze, è emblematica della nostra situazione. La psicosi da attentato terroristico, diffusa ad arte dall’apparato politico-mediatico in base a un fenomeno reale (di cui si nascondono però le vere cause e finalità), ha fatto scattare in modo caotico l’istinto primordiale di sopravvivenza. Esso viene invece addormentato col black-out politico-mediatico, quando dovrebbe scattare in modo razionale di fronte a ciò che mette in pericolo la sopravvivenza dell’intera umanità: la corsa agli armamenti nucleari. 

Di conseguenza la stragrande maggioranza degli italiani ignora che sta per svolgersi alle Nazioni Unite, dal 15 giugno al 7 luglio, la seconda fase dei negoziati per un trattato che proibisca le armi nucleari. La bozza della Convenzione sulle armi nucleari, redatta dopo la prima fase negoziale in marzo, stabilisce che ciascuno Stato parte si impegna a non produrre né possedere armi nucleari, né a trasferirle o riceverle direttamente o indirettamente. 

L’apertura dei negoziati è stata decisa da una risoluzione dell’Assemblea generale votata nel dicembre 2016 da 113 paesi, con 35 contrari e 13 astenuti. 

Gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato (Francia e Gran Bretagna), gli altri paesi dell’Alleanza e i suoi principali partner – Israele (unica potenza nucleare in Medioriente), Giappone, Australia, Ucraina – hanno votato contro. 

Hanno così espresso parere contrario anche le altre potenze nucleari: Russia e Cina (astenutasi), India, Pakistan e Nord Corea. 

Tra i paesi che hanno votato contro, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. Il governo Gentiloni ha dichiarato, il 2 febbraio, che «la convocazione di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisce un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare». 

L’Italia, sostiene il governo, sta seguendo «un percorso graduale, realistico e concreto in grado di condurre a un processo di disarmo nucleare irreversibile, trasparente e verificabile», basato sulla «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione, pilastro del disarmo». 

In che modo l’Italia applica il Tnp, ratificato nel 1975, lo dimostrano i fatti. Nonostante che esso impegni gli 
Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente», l’Italia ha messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per l’installazione di armi nucleari (almeno 50 bombe B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. 

Dal 2020 sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova arma da first strike nucleare, con la capacità  di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando. Una volta iniziato nel 2020 (ma non è escluso anche prima) lo schieramento in Europa della B61-12, l’Italia, formalmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.

 Che fare?  Si deve imporre che l’Italia contribuisca al varo del Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari e lo sottoscriva e, allo stesso tempo, 
pretendere che gli Stati uniti, in base al vigente Trattato di non-proliferazione, rimuovano qualsiasi arma nucleare dal nostro territorio e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12. 

Per quasi tutto il «mondo politico», l’argomento è tabù. Se manca la coscienza politica, non resta che ricorrere all’istinto primordiale di sopravvivenza.  

(il manifesto, 6 giugno 2017)   


en français: Le « désarmement » nucléaire de Gentiloni (par  Manlio Dinucci)
Les Nations Unies vont ouvrir, le 15 juin 2017, une véritable négociation visant à interdire les armes nucléaires. Jusqu’ici le Traité de non-prolifération est une mascarade visant exclusivement à maintenir l’avantage que détiennent les puissances nucléaires sur les autres. Bien entendu, toutes les puissances nucléaires, sans exception, ont tenté de s’opposer à cette initiative de l’Assemblée générale de l’Onu...



Un nazista ucraino ricevuto alla Camera dalla Boldrini


di Danilo Della Valle - Lantidiplomatico, 8 giugno 2017


Un nazista a Roma….a firmare un Memorandum d’intesa tra la Camera dei Deputati e la Rada ucraina che ha come obiettivo il rafforzamento della cooperazione parlamentare tra le due assemblee sia sul piano politico che su quello amministrativo.
La Presidente Laura Boldrini che ha accolto con tutti gli onori del caso il Presidente della Rada ucraina Andriy Parubiy, ha tenuto a precisare che “l’Italia ha sempre condannato l’azione illegale avvenuta ai danni di una parte del territorio ucraino come ha ripetutamente fatto anche l’Unione Europea”. Inoltre la Presidente Boldrini ha tenuto a precisare, in piena sintonia con Parubiy, che è in atto una grave campagna di disinformazione atta a destabilizzare il territorio ucraino. Fin qui tutto “nella norma”, viste le posizioni a dir poco miopi del nostro governo sulla questione ucraina, quello che però non è normale è altro.

Altrove, ad esempio in Uk, la visita del Presidente della Rada ucraina non è passata sotto silenzio, anzi, è stata oggetto di numerose critiche da parte dell’opinione pubblica e dei partiti politici sinceramente democratici ed antifascisti.

Perchè?

Perché, cara Presidente Boldrini, senza voler scendere troppo nel dettaglio chiedendole se lei conosca effettivamente ciò che succede non solo nei territori in cui il governo ucraino bombarda altri cittadini ucraini colpevoli di abitare ad est e parlare russo. Senza volerle chiedere se conoscA la repressione che subiscono le forze progressiste e comuniste nell’Ucraina “democratica” di Poroshenko, le chiediamo…..ma lei conosce almeno Andriy Parubiy, il presidente della Rada con cui ha detto di esser in sintonia?

Andriy Parubiy, che dice di essersi sempre ispirato ai valori della Eu e di guardare all’Europa come ad un traguardo da raggiungere per l’Ucraina, nel 1991 fondò insieme a Oleg Tyahnybok, attuale leader della formazione nazionalista Svoboda, il Partito Nazional Sociale Ucraino. La fonte di ispirazione per questi democratici ucraini era il Partito Nazional Socialista di Adolf Hitler, come nel 2015 scriveva la testata tedesca spiegel.de (http://www.spiegel.de/international/europe/ukraine-sliding-towards-civil-war-in-wake-of-tough-new-laws-a-945742.html) e solo gli “etnicamente ucraini” potevano farvene parte. Sempre a proposito del PNSU, in una ricerca del 2009 degli studiosi Andreas Umland e Anton Shekovstov, famosi per non esser popriamente dei propagandisti russi, il partito fondato da Parubiy veniva etichettato con le seguenti parole: “Dei vari partiti nazionalisti ucraini il Partito Nazional Sociale Ucraino era il meno incline a nascondere la sua ideologia neofascista. Il suo simbolo ufficiale era il Wolfangel usato dalla divisione tedesca SS Das Reich e da una serie di organizzazioni neofasciste europee dopo il 1945. L’ideologia ufficiale del partito era quella del “nazionalismo sociale” in riferimento alla ideologia nazional socialista di stampo Hitleriano. La piattaforma politica del PNSU si è sempre contraddistinta per il suo ultranazionalismo, per l’obiettivo dichiarato della presa del potere attraverso azioni violente e per incolpare la Russia di tutti i problemi che affliggevano ed affliggono l’Ucraina. Inoltre il PNSU è stato il primo partito a coinvolgere nelle proprie attività naziskin provenienti dagli ambienti calcistici ucraini”. 

http://www.academia.edu/5261476/Ultraright_Party_Politics_in_Post-Soviet_Ukraine_and_the_Puzzle_of_the_Electoral_Marginalism_of_Ukrainian_Ultranationalists_in_1994-2009


Dal 1998 al 2004 il democraticissimo Parubiy ha guidato la formazione paramilitare di estrema destra “Patrioti di Ucraina”sempre all’interno del PNSU. In questi anni la formazione paramilitare si è resa protagonista di pestaggi a Lvov durante le manifestazioni del Partito Comunista Ucraino (1998) e di commemorazioni inneggianti ai collaborazionisti nazisti della OUN – UPA capeggiati da Stephan Bandera, divenuto eroe nazionale in questi ultimi anni. Bandera si è reso responsabile della uccisione di migliaia di russi, bielorussi e polacchi, secondo gli studiosi le azioni dell’OUN – UPA sono da catalogarsi come pulizia etnica. http://www.academia.edu/7629265/Ethnic_Cleansing_Genocide_or_Ukrainian-Polish_Conflict_The_Mass_Murder_of_Poles_by_the_OUN_and_the_UPA_in_Volhynia

A proposito di Stephan Bandera, quando nel 2010 una risoluzione del Parlamento Europeo deplorava la decisione del governo Yushchenko di proclamare il collaborazionista nazista Bandera eroe nazionale, il sempre democraticissimo Parubiy vomitava parole d’odio verso la “democrazia europea” e verso la “sempre colpevole” Russia in difesa del nazismo.http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2010-0035+0+DOC+XML+V0//EN .

Tornando agli avvenimenti più recenti, Parubiy lo ritroviamo durante la rivolta di Maidan tra i protagonisti della “ribellione”, conosciuto come “comandante di Maidan”. Appare in molti scatti al fianco di manifestanti violenti soprattutto con i militanti di Pravji Sektor (Settore Destro), una delle organizzazioni paramilitari nazionaliste che stranamente è capeggiata dal pupillo di Parubiy ai tempi di “Patrioti Ucraini”, Andriy Biletskiy. Durante i giorni più caldi del Maidan che hanno portato poi alla destituzione del Presidente eletto Yanukovitch e al seguente colpo di Stato, Parubiy assume un ruolo importante nel coordinare le operazioni dell’ala paramilitare della protesta. Secondo la BBC ed altri studiosi dei tragici avventimenti ucraini la storia ufficiale del massacro di Maidan sarebbe ben diversa dalla realtà che viene fuori da varie testimonianze, e Parubiy sembra aver una fetta enorme di responsabilità su quanto è successo visto il suo ruolo di coordinatore dell’ala più oltranzista e la sua capacità di riunire sotto la propria ala protettrice tutti i gruppi più nazisti d’Ucraina. http://www.globalresearch.ca/who-was-maidan-snipers-mastermind/5384599

https://gordonhahn.com/2016/03/09/the-real-snipers-massacre-ukraine-february-2014-updatedrevised-working-paper/

http://www.bbc.com/news/magazine-31359021

Infine, per non farsi mancare niente, Andriy Parubiy lo possiamo vedere il 29 Aprile del 2014 quando si reca ad Odessa a regalare giubbotti antiproiettili ai “patrioti” Ucraini, ed in particolare lo possiamo vedere chiacchierare in maniera molto amichevole con Mykola Volkov, uno dei principali protagonisti dell’organizzazione del Massacro del 2 Maggio 2014, quando persero la vita migliaia di manifestanti pacifici che non volevano il colpo di Stato in atto a Kiev. In questi seguenti video possiamo vedere il momento della consegna dei giubboti e il ruolo di Volkov durante il 2 Maggio, quando lo si vede chiaramente sparare all’indirizzo della casa dei Sindacati. video widely available on the internethttps://www.youtube.com/watch?v=LLOD0aIcn_s

Sempre nel 2014, Andryi Parubiy fonda il Partito Fronte Popolare, partito che ha al proprio interno un “consiglio militare” composto dai Presidenti delle organizzazioni naziste paramilitari Azov e Aidar.

In conclusione ci chiediamo come sia possibile che un Paese come il nostro che si dichiara antifascista per vocazione costituzionale possa accogliere personaggi simili con tutti gli onori del caso e possa addirittura firmare memorandum di intesa con governi che perseguono questo tipo di politiche razziste nei confronti delle minoranze interne. Ci chiediamo come sia possibile che la Presidente Boldrini sempre attenta, a parole, a combattere ogni forma di razzismo possa fare dichiarazioni come quelle riporatate in apertura di articolo. A quanto sembra le uniche fake news sono proprio le sue e quelle del suo carrozzone politico politically correct a parole e non nei fatti.

Chiediamo quindi che tutte le formazioni sinceramente democratiche e autenticamente ancorate alla nostra Costituzione antifascista si facciano da portavoce per chiedere spiegazioni alla Presidente della Camera ed al governo Italiano che si sta rendendo complice di uno Stato che fa del razzismo il suo cavallo di battaglia.


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Su Andrej Parubij, speaker del Parlamento ucraino, si vedano anche:

... il a créé le parti néo-nazi ukrainien « Parti social-national ukrainien » en 1991, devenu Svoboda en 2004...
http://cesteneurodictaturecapitaliste.skynetblogs.be/archive/2016/04/17/bien-sur-les-mediuas-ne-parleront-pas-de-celui-qui-est-prese-8596004.html

Verità per Andy Rocchelli, il presidente del parlamento ucraino rassicura l’Italia: «Le indagini proseguono» (5.6.2017)

LAURA BOLDRINI STRINGE LA MANO AD UN NEONAZISTA (Fort Rus, 6/6/2017)


Sulla complicità della politica italiana con il colpo di Stato e l'instaurazione del regime banderista in Ucraina si vedano anche: 

Gianni Pittella, eurodeputato PD vicepresidente del Parlamento Europeo, è tra i grandi sponsor del nazismo ucraino:

Febbraio 2014, Gianni Pittella accompagna Eugenia Timoshenko, figlia della oligarca mafiosa di estrema destra Julija, dalla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini (fonte: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10205309185236841&set=gm.1542284676041583&type=1&theater )

Manlio Di Stefano: "Il governo italiano alleato dei nazisti Ucraini" (Fort Rus, 19 mar 2015)
Intervento alla Camera del Parlamentare del Movimento 5 Stelle Manlio Di Stefano. 
In una lunga accusa alla politica estera del governo italiano, Di Stefano si focalizza anche sulla questione della guerra Ucraina. Il Governo del PD e di Matteo Renzi è complice di avere appoggiato il golpe che ha portato al potere in Ucraina dei criminali e dei neonazisti, che sono al servizio degli interessi geopolitici americani. "La distruzione economica e l'occupazione dell'Ucraina, segue un piano preciso di politica estera degli Stati Uniti: portare la NATO ai confini della Russia e rompere le relazioni tra Mosca ed UE, sia dal punto di vista commerciale che da quello energetico. Il governo italiano non è alleato degli Stati Uniti. Ne è proprio un suddito"...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=W0Ec5st9UNM

Opere d'arte italiane ostaggio dei golpisti ucraini
[In ostaggio di Poroshenko i quadri rubati nel museo di Castelvecchio]
Tele di Castelvecchio. Poroshenko ora risulta indagato (L'Arena 30.11.2016)
La denuncia presentata dall’avvocato Guariente Guarienti per l’appropriazione indebita di quei quadri sottratti, armi in pugno, al museo di Castelvecchio la sera del 19 novembre 2015 si è tradotta con l’apertura di un fascicolo d’indagine...
Pagato riscatto per i quadri di Castelvecchio (segnalazione di F. Muzzolon)
Dopo la restituzione seppur tardiva dei quadri di Castelvecchio in centro a Verona, rubati da una banda moldava con l'appoggio della guardia giurata, si è ipotizzato che sia stato pagato un riscatto. L'on. D'Arienzo è sbottato: “Il contributo di emergenza di un milione di euro all'Ucraina: 700.000 euro al Programma Alimentare Mondiale (PAM) per la distribuzione di razioni alimentari e di aiuti in contanti alle categorie più vulnerabili della popolazione civile e 300.000 euro all’UNICEF per finanziare la realizzazione di un progetto nel settore dello sminamento umanitario è frutto di decisioni prese circa tre anni fa, con l'allora Ministra degli Esteri Emma Bonino” sostiene il deputato PD Vincenzo D'Arienzo. Un PD sempre più renziano e con simpatie tosiane evidentemente:
http://www.veronasera.it/cronaca/quadri-castelvecchio-d-arienzo-riscatto-pagato-29-dicembre-2016.html
Così si è venuti a sapere che l'Italia ha versato in quella occasione alla nuova Ucraina di Petro Porosenko un milione di euro...

Le autorità italiane al servizio dei nazisti ucraini (PTV news 12 Aprile 2017)
[Sequestrati alla Fiera di Verona tutti i vini provenienti dalla Crimea]
Il vino della discordia. Lunedi' 10 aprile, la Guardia di Finanza ha sequestrato dalla fiera Vinitaly 2017 a Verona tutti i vini provenienti dalla Crimea. A quanto pare, su richiesta del governo ucraino. Gli imprenditori crimeani hanno partecipato alla fiera come parte della delegazione russa. Secondo Janina Pavlenko, a capo della famosa cantina “Massandra”, al momento del sequestro erano rimaste soltanto alcune decine di bottiglie, dato l’enorme successo ottenuto. Intanto, Kiev ha lanciato Stop List. Da oggi, chi visita la Crimea senza l'autorizzazione ucraina, potrà essere segnalato da chiunque, direttamente sul sito web della polizia di frontiera. Un evidente incoraggiamento alla delazione europea. E questi sarebbero i nostri futuri alleati?

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Sulle attività di Mauro Voerzio (Fort Rus, 22.3.2016)
Il giornalista ucraino Anatoly Sharij, noto smascheratore di bufale e fake, esprime la sua opinione sulla brutta figura che fa l'Ucraina in Italia...

Deputato Pd introduce i nazisti nel parlamento italiano (PandoraTV, 5 apr 2017)
Martedì 4 aprile presso la sala stampa di Montecitorio si è svolta la conferenza stampa intitolata ‘Stop Fake una questione di libertà’ promossa dall’onorevole del PD Davide Mattiello, con la partecipazione di Yevhen Fedchenko, direttore della Mahyla School of Journalism nonché co fondatore del sito Stopfake.org e Mauro Voerzio di StopFake Italia...

"Mauro Voerzio: Chi lo muove?" (PandoraTV, 5 apr 2017)
Giulietto Chiesa intervistato da News Front. Traduzione a cura di Tamara Djiuranova.







Il grande architetto del terrorismo moderno: la vera storia di Zbigniew Brzezinski


di Henry Tougha *

È morto da pochi giorni Zbigniew Brzezinski, uno degli ispiratori della politica estera americana dai tempi della guerra russo-afghana fino al recente conflitto in Siria, uno dei più geniali e spietati ideatori della violenza imperialista statunitense. The AntiMedia ne riassume l’eredità: la costruzione metodica dell’estremismo islamico, di al-Qaeda, la destabilizzazione sistematica del Medio Oriente, l’induzione di uno stato di tensione continua contro la Russia.

di The AntiMedia, 27 maggio 2017

Zbigniew Brzezinski, ex consulente per la sicurezza nazionale del Presidente Jimmy Carter, è morto lo scorso venerdì in un ospedale della Virginia, all’età di 89 anni. Sebbene il New York Times ammetta che l’ex consulente del governo fosse un “falco della teoria strategica”, travisare la sua eredità come se fosse, per il resto, infinitamente positiva, non è così semplice come l’establishment vorrebbe credere.

Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’ISIS — e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marzialequasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’ISIS — la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno.

Come spiega il New York Times, il “profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica” ha guidato molta della politica estera Americana, “nel bene e nel male“. Così scrive il Times:

Brzezinsky sostenne l’invio di miliardi [di dollari] di aiuto ai militanti islamici che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. Incoraggiò tacitamente la Cina a continuare il suo sostegno a favore del regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Unione Sovietica, prendessero il controllo del paese”.

Sebbene sia un progresso, da parte del New York Times, notare il sostegno di Brzezinski verso i militanti islamici, minimizzare gli effetti della sua aggressiva agenda di politica estera con una semplice frase non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski.

Dopo che un colpo di stato in Afghanistan, nel 1973, aveva istituito un nuovo governo laico favorevole ai sovietici, gli Stati Uniti si impegnarono a rovesciare questo nuovo governo organizzando una serie di tentativi di colpi di stato tramite i paesi lacché dell’America, il Pakistan e l’Iran (che a quel tempo era sotto il controllo dello Shah, sostenuto dagli USA). Nel luglio 1979 Brzezinski autorizzò ufficialmente il sostegno ai ribelli mujaheddin in Afghanistan, tramite il programma della CIA denominato “Operazione Ciclone”.

Molti oggi difendono la decisione dell’America di armare i mujaheddin in Afghanistan, perché credono che fosse necessario per difendere il paese, e l’intera regione, dall’aggressione sovietica. Tuttavia le stesse affermazioni di Brzesinski contraddicono in pieno questa giustificazione. In un’intervista del 1998, Brzesinski ammise che, nel condurre questa operazione, l’amministrazione Carter stava “consapevolmente aumentando la probabilità” che i sovietici intervenissero militarmente (suggerendo così che avessero iniziato ad armare le fazioni islamiste già prima dell’invasione sovietica, rendendo dunque la giustificazione superflua, perché non ci sarebbe stata, a quel tempo, alcuna invasione sovietica da respingere armando i guerrieri afghani della libertà). Brzezinski disse poi:

Pentirci di cosa? Quella operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici varcarono ufficialmente il confine afghano scrissi al Presidente Carter: ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS il suo Vietnam”.

Questa affermazione andava aldilà del semplice vanto di avere istigato una guerra e il collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Nelle sue memorie, intitolate From the Shadows“, Robert Gates — ex direttore della CIA sotto Ronald Reagan e George H. W. Bush, e segretario alla difesa sia sotto George W. Bush che sotto Barack Obama — confermò direttamente che questa operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i sovietici in un pantano in stile vietnamita.

Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli americani e di combattenti addestrati dagli americani. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden — una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla CIA, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori:

Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?”

L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté:

Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno”.

Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: “Nonsense!

Cose di questo genere succedevano quando i giornalisti facevano ancora domande pressanti ai funzionari di governo, cosa che oggi accade assai di rado.

Il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di al-Qaeda, che letteralmente significa “la base”, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro l’invasione sovietica che si stava anticipando. Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze NATO.

Inoltre, nonostante le affermazioni di Brzezinski, che cerca di far passare l’idea di una sconfitta definitiva dell’impero russo, la verità è che, per Brzezinski, la guerra fredda non è mai terminata. Sebbene sia stato critico riguardo all’invasione dell’Iraq nel 2003, Brzezinski ha mantenuto un forte controllo sulla politica estera americana fino al momento della sua morte.

Non è una coincidenza che, in Siria, l’amministrazione Obama abbia adottato una strategia del tipo “pantano afghano” contro un altro alleato della Russia: il regime di Assad. Un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, che a quel tempo era incaricato di affari presso l’ambasciata americana a Damasco, diceva:

Pensiamo che le debolezze di Bashar stiano nel modo in cui lui decide di reagire ai problemi incombenti, sia reali che percepiti, come ad esempio il conflitto tra le riforme economiche (per quanto limitate) e la forza radicata della corruzione, la questione curda, e la potenziale minaccia al regime da parte di una crescente presenza di estremisti islamisti. Questo comunicato riassume la nostra valutazione su queste vulnerabilità e suggerisce che ci possono essere delle azioni, delle affermazioni e dei segnali, da parte del governo degli Stati Uniti, che potrebbero aumentare la probabilità che queste potenzialità si verifichino“.

Un po’ come con l’Operazione Ciclone, sotto Barack Obama la CIA ha speso cir


È morto da pochi giorni Zbigniew Brzezinski, uno degli ispiratori della politica estera americana dai tempi della guerra russo-afghana fino al recente conflitto in Siria, uno dei più geniali e spietati ideatori della violenza imperialista statunitense. The AntiMedia ne riassume l’eredità: la costruzione metodica dell’estremismo islamico, di al-Qaeda, la destabilizzazione sistematica del Medio Oriente, l’induzione di uno stato di tensione continua contro la Russia.

 

di The AntiMedia, 27 maggio 2017

Zbigniew Brzezinski, ex consulente per la sicurezza nazionale del Presidente Jimmy Carter, è morto lo scorso venerdì in un ospedale della Virginia, all’età di 89 anni. Sebbene il New York Times ammetta che l’ex consulente del governo fosse un “falco della teoria strategica”, travisare la sua eredità come se fosse, per il resto, infinitamente positiva, non è così semplice come l’establishment vorrebbe credere.

Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’ISIS — e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marzialequasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’ISIS — la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno.

Come spiega il New York Times, il “profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica” ha guidato molta della politica estera Americana, “nel bene e nel male“. Così scrive il Times:

Brzezinsky sostenne l’invio di miliardi [di dollari] di aiuto ai militanti islamici che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. Incoraggiò tacitamente la Cina a continuare il suo sostegno a favore del regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Unione Sovietica, prendessero il controllo del paese”.

Sebbene sia un progresso, da parte del New York Times, notare il sostegno di Brzezinski verso i militanti islamici, minimizzare gli effetti della sua aggressiva agenda di politica estera con una semplice frase non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski.

Dopo che un colpo di stato in Afghanistan, nel 1973, aveva istituito un nuovo governo laico favorevole ai sovietici, gli Stati Uniti si impegnarono a rovesciare questo nuovo governo organizzando una serie di tentativi di colpi di stato tramite i paesi lacché dell’America, il Pakistan e l’Iran (che a quel tempo era sotto il controllo dello Shah, sostenuto dagli USA). Nel luglio 1979 Brzezinski autorizzò ufficialmente il sostegno ai ribelli mujaheddin in Afghanistan, tramite il programma della CIA denominato “Operazione Ciclone”.

Molti oggi difendono la decisione dell’America di armare i mujaheddin in Afghanistan, perché credono che fosse necessario per difendere il paese, e l’intera regione, dall’aggressione sovietica. Tuttavia le stesse affermazioni di Brzesinski contraddicono in pieno questa giustificazione. In un’intervista del 1998, Brzesinski ammise che, nel condurre questa operazione, l’amministrazione Carter stava “consapevolmente aumentando la probabilità” che i sovietici intervenissero militarmente (suggerendo così che avessero iniziato ad armare le fazioni islamiste già prima dell’invasione sovietica, rendendo dunque la giustificazione superflua, perché non ci sarebbe stata, a quel tempo, alcuna invasione sovietica da respingere armando i guerrieri afghani della libertà). Brzezinski disse poi:

Pentirci di cosa? Quella operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici varcarono ufficialmente il confine afghano scrissi al Presidente Carter: ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS il suo Vietnam”.

Questa affermazione andava aldilà del semplice vanto di avere istigato una guerra e il collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Nelle sue memorie, intitolate From the Shadows“, Robert Gates — ex direttore della CIA sotto Ronald Reagan e George H. W. Bush, e segretario alla difesa sia sotto George W. Bush che sotto Barack Obama — confermò direttamente che questa operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i sovietici in un pantano in stile vietnamita.

Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli americani e di combattenti addestrati dagli americani. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden — una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla CIA, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori:

Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?”

L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté:

Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno”.

Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: “Nonsense!

Cose di questo genere succedevano quando i giornalisti facevano ancora domande pressanti ai funzionari di governo, cosa che oggi accade assai di rado.

Il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di al-Qaeda, che letteralmente significa “la base”, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro l’invasione sovietica che si stava anticipando. Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze NATO.

Inoltre, nonostante le affermazioni di Brzezinski, che cerca di far passare l’idea di una sconfitta definitiva dell’impero russo, la verità è che, per Brzezinski, la guerra fredda non è mai terminata. Sebbene sia stato critico riguardo all’invasione dell’Iraq nel 2003, Brzezinski ha mantenuto un forte controllo sulla politica estera americana fino al momento della sua morte.

Non è una coincidenza che, in Siria, l’amministrazione Obama abbia adottato una strategia del tipo “pantano afghano” contro un altro alleato della Russia: il regime di Assad. Un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, che a quel tempo era incaricato di affari presso l’ambasciata americana a Damasco, diceva:

Pensiamo che le debolezze di Bashar stiano nel modo in cui lui decide di reagire ai problemi incombenti, sia reali che percepiti, come ad esempio il conflitto tra le riforme economiche (per quanto limitate) e la forza radicata della corruzione, la questione curda, e la potenziale minaccia al regime da parte di una crescente presenza di estremisti islamisti. Questo comunicato riassume la nostra valutazione su queste vulnerabilità e suggerisce che ci possono essere delle azioni, delle affermazioni e dei segnali, da parte del governo degli Stati Uniti, che potrebbero aumentare la probabilità che queste potenzialità si verifichino“.

Un po’ come con l’Operazione Ciclone, sotto Barack Obama la CIA ha speso circa un miliardo di dollari all’anno per addestrare i ribelli siriani (affinché si impegnassero in tattiche terroristiche). La maggioranza di questi ribelli siriani condivide l’ideologia fondamentalista dell’ISIS e ha l’obiettivo esplicito di stabilire la legge della Sharia in Siria.

Proprio come in Afghanistan, la guerra in Siria ha coinvolto formalmente la Russia nel 2015, e l’eredità di Brzezinski è stata mantenuta viva attraverso gli avvertimenti di Obama al Presidente russo Vladimir Putin, che avrebbe spinto la Russia verso un altro pantano in stile afghano.

Da chi può aver acquisito, Obama, queste tecniche alla Brzezinski, gettando la Siria nell’orrore di sei anni di guerra e di nuovo trascinando una grossa potenza nucleare in un conflitto pieno di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità?

Ecco la risposta: le ha acquisite da Brzezinski stesso. Secondo Obama, Brzezinski è stato un suo mentore personale, un “amico eccezionale”, dal quale ha imparato moltissimo. Alla luce di questo, c’è forse da sorprendersi che siano sorti così tanti conflitti dal nulla durante la presidenza Obama?

Il 7 febbraio 2014 la BBC ha pubblicato la trascrizione dell’intercettazione telefonica di una conversazione tra l’assistente segretaria di stato Victoria Nuland e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt. In quella conversazione telefonica i rappresentanti stavano discutendo su chi avrebbero voluto piazzare al governo ucraino dopo il colpo di stato che aveva cacciato il presidente filorusso Viktor Yanukovych.

Ed ecco che Brzezinski stesso, nel suo libro del 1998, “Il Grande Scacchiere“, sosteneva la necessità di prendere il controllo dell’Ucraina, dicendo che l’Ucraina era “uno spazio nuovo e importante sulla scacchiera euroasiatica, un perno geopolitico, perché la sua stessa esistenza come nazione indipendente implicava che la Russia cessasse di essere un impero euroasiatico“. Brzezinski ammoniva contro l’eventualità di permettere alla Russia di prendere il controllo dell’Ucraina, perché “la Russia si riprenderebbe automaticamente i mezzi per tornare ad essere un potente stato imperiale, con influenze sia in Europa che in Asia“.

Dopo Obama, Donald Trump è salito in carica con tutta un’altra mentalità, con l’idea di lavorare con la Russia e con il governo siriano per combattere l’ISIS. Non c’è da sorprendersi che Brzezinski non abbia sostenuto la campagna di Trump per la presidenza, e abbia ritenuto che le idee di Trump sulla politica estera mancassero di coerenza.

Dopo tutto questo, l’anno scorso Brzezinski è sembrato aver cambiato posizione sugli affari globali, iniziando a sostenere un “riallineamento globale”, una redistribuzione del potere globale, alla luce del fatto che gli USA non erano più la grande potenza imperiale di un tempo. Tuttavia, Brzezinski sembrava ancora ritenere che, senza il ruolo di guida dell’America, il risultato sarebbe stato solo “il caos globale”. Pare perciò improbabile che il suo cambiamento di posizione fosse fondato su un cambiamento reale e significativo sullo scacchiere geopolitico.

La stessa esistenza della CIA è fondata sull’idea di una minaccia russa, come è stato evidenziato dall’aggressione decisa da parte della stessa CIA contro l’amministrazione Trump non appena si è delineata una possibile distensione con l’ex Unione Sovietica.

Brzezinski è morto nella tranquillità del suo letto di ospedale, a differenza di milioni di civili sfollati e assassinati, risucchiati nel contorto gioco di scacchi geopolitico di Brzezinski, fatto di sangue e follia. La sua eredità è la militanza jihadista, la formazione di al-Quaeda, il più devastante attacco su suolo americano che sia mai stato fatto da un’entità straniera nella storia recente, e la demonizzazione della Russia come eterno avversario, con il quale la pace non si può e non si deve fare.

 

ca un miliardo di dollari all’anno per addestrare i ribelli siriani (affinché si impegnassero in tattiche terroristiche). La maggioranza di questi ribelli siriani condivide l’ideologia fondamentalista dell’ISIS e ha l’obiettivo esplicito di stabilire la legge della Sharia in Siria.

Proprio come in Afghanistan, la guerra in Siria ha coinvolto formalmente la Russia nel 2015, e l’eredità di Brzezinski è stata mantenuta viva attraverso gli 


Roma, venerdì 16 giugno 2017
alle ore 17:00 presso la Casa della Memoria e della Storia – Via S. Francesco di Sales, 5

A.N.P.I. Provinciale di Roma
A.N.P.I. Sezione “Aurelio Del Gobbo” di Marino
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS

invitano alla proiezione del film serbo

SETTE DELLA DRINA

La storia dei 7 italiani che combatterono per la libertà della Serbia

del regista Nikola Lorencin

Esso narra la storia dei sette italiani che, ispirati da ideali garibaldini e internazionalisti, partirono volontari nel 1914, prima ancora dell'entrata in guerra dell'Italia, per combattere per la libertà della Serbia. Di loro, cinque caddero praticamente subito in combattimento, nella remota località di Babina Glava presso il fiume Drina...

Saluti:
Fabrizio De Sanctis, Presidente ANPI Provinciale di Roma
Interventi:
Ugo Onorati, membro del direttivo della sezione ANPI di Marino - “Eroi in camicia rossa
Andrea Martocchia, rappresentante del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS - “Il Risorgimento Serbo e Jugoslavo visto dall’Italia
Mirjana Jovanović-Pisani, giornalista e traduttrice serba

Alla presenza della Console della Repubblica di Serbia, Ljiljana Zarubica, e dell'Incaricata d'affari dell'Ambasciata signora Tatjana Garčević.


si veda anche la nostra pagina dedicata a questa vicenda e al film di Lorencin: https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/garibaldinci.htm