Informazione



Cresce la tensione nei Balcani con sullo sfondo le dispute interimperialiste

Redazione de La Riscossa (organo del Partito Comunista), 8.3.2017

Sempre più tesa la situazione nei Balcani dove si acuisce pericolosamente la competizione tra gli USA-NATO-UE e la Russia con particolare riferimento al conflitto per il controllo delle fonti di energia e le vie di trasporto, la promozione degli interessi geostrategici, a beneficio dei gruppi monopolistici su ogni lato. Questo ha il suo riflesso sulle mai sopite tensioni etniche-nazionaliste della regione. La NATO prosegue il suo “accerchiamento” della Russia muovendosi di recente anche sul Mar Nero, gli USA e l’UE incrementano le loro ingerenze in relazione con i piani della Russia che, dopo il riavvicinamento contradditorio con la Turchia, si muovono nella direzione del transito del gasdotto russo “Turkish Stream” dalla Macedonia e la Grecia, così come i piani della Cina che sono volti a promuovere una rapida via di comunicazione delle merci verso i mercati europei, anche attraverso un sistema ferroviario ultraveloce Salonicco-Budapest.

Su queste basi, la tensione nella regione aumenta costantemente, e non a caso il capo della politica estera e della sicurezza comune dell’UE, Federica Mogherini, ha appena concluso un tour di 4 giorni nei Balcani, dove rilevante è stato l’atteggiamento ostile del Parlamento serbo.

Nel frattempo, i politici americani intervengono ponendo la questione del ridisegno dei confini nei Balcani, come nel caso recente del senatore repubblicano Dana Rohrabacher che ha proposto uno scambio di territori tra la Serbia e il Kosovo, affermando ad inizio febbraio che «la Macedonia non è Stato», che dovrebbe esser quindi sciolta in modo che le regioni con popolazione di etnia albanese si uniscano al Kosovo e ciò che resta diventare parte della Bulgaria, della Grecia e altri paesi della regione.

Macedonia – Albania

Nella Repubblica di Macedonia si intensifica lo scontro politico a seguito della decisione del presidente del paese, Gjorge Ivanov, di non dare il mandato di formare un governo al leader dell’opposizione del Partito dell’Unione Socialdemocratica (SDSM), Zoran Zaev, nonostante egli sia riuscito ad ottenere, tramite un accordo di cooperazione con tutti i partiti parlamentari albanesi, i voti di 67 deputati su un totale di 120. Ivanov e l’ex primo ministro Nikola Gruevski, del Partito Democratico di centro-destra (VMRO-DPMNE) rifiutano l’entrata nel governo dei partiti albanesi.

Ivanov ha giustificato la scelta citando la Costituzione che vieta di compromettere la sovranità del paese, visto che se si formasse un governo di coalizione con i partiti di etnia albanese si consegnerebbe il potere a forze che stanno “sotto controllo straniero”, con riferimento all’Albania. La cosiddetta “Piattaforma Albanese”, posta dai partiti parlamentari macedoni-albanesi a sostegno del nuovo governo prevede: a) di stabilire costituzionalmente l’albanese come seconda lingua ufficiale in tutto il paese, b) cambio della bandiera e dei simboli nazionali per rappresentare la minoranza albanese, c) la promozione della procedura di adesione all’UE e alla NATO e la risoluzione della disputa con la Grecia sul nome costituzionale del paese con la partecipazione attiva dell’etnia albanese in essa. Edi Rama, Primo Ministro albanese, ha commentato che «non ci può essere Macedonia senza albanesi» e che l’albanese «non è la lingua del nemico, ma la lingua di una componente etnica in Macedonia». Hashim Thaçi, presidente dei Kosovari albanesi, ha definito “preoccupante” la decisione di Ivanov. Il primo ministro della Macedonia, Ntimitrief ha reagito accusando il suo omologo albanese di «un nuovo coinvolgimento negli affari interni della Macedonia», definendolo «dannoso per i rapporti di vicinato».

Gli sviluppi in questa repubblica balcanica meridionale, mostrano come, al momento, sia tra le situazioni più pericolose a seguito dello smantellamento della Jugoslavia, anche se non si possono sottovalutare i rischi negli altri paesi della regione. Significativa è la reazione del ministero degli Esteri russo che ha accusato i membri dell’UE e della NATO di star cercando di imporre «in Macedonia la piattaforma albanese progettata nell’ufficio del primo ministro albanese a Tirana», basata sulla mappa della “Grande Albania”, «esprimendo le aspirazioni territoriali a spese del vicino Montenegro, Serbia, Macedonia e Grecia». Stoltenberg ha invece sottolineato come la NATO «resta impegnata nel processo di adesione» della Macedonia, mentre il Commissario UE per le relazioni di vicinato, Johannes Hahn ha sollecitato «il Presidente della FYROM a rispettare l’esito delle elezioni» ribadendo la stessa posizione affermata in precedenza dall’ambasciatore USA, Bailey.

Montenegro

La situazione del paese rimane tesa dopo che il governo filo-occidentale di Milo Djukanovic ha “rivelato” di un tentato colpo di stato alla vigilia delle elezioni del 16 ottobre, accusando «gli elementi nazionalisti serbi e russi» che avrebbero tentato di occupare il Parlamento, assassinare il primo ministro e installare un governo ostile alla NATO. Nel mese di febbraio si sono aperte le procedure definitive per l’integrazione del Montenegro nella NATO che dovrebbe esser ufficializzato nel prossimo vertice di maggio della NATO a Bruxelles che «manderà un chiaro segnale di stabilità e di sicurezza in tutta la regione» costituendo «la base per la prosperità e rafforzerà la sovranità» del Paese dieci anni dopo l’indipendenza, secondo quanto ipocritamente commentato dal Segr. generale della NATO. Il governo montenegrino è intenzionato fortemente a proseguire nell’ingresso nell’alleanza militare imperialista euro-atlantica nonostante le forti obiezioni della Russia che da tempo ha messo in guardia sulle «negative gravi conseguenze» e le opinioni della maggior parte della popolazione che, secondo recenti sondaggi, non è d’accordo con i piani della borghesia di aderire alla NATO.

Bosnia –Erzegovina e Republika Srpska

La Bosnia-Erzegovina continua ad essere essenzialmente ancora sotto occupazione della UE e della NATO che perpetuano la sofferenza dei popoli della regione alimentando le tensioni in un paese composto da tre popoli (musulmani, serbi e croati) diviso in due entità amministrative: la Republika Srpska (RS – che comprende il 49% del territorio a maggioranza serba) e la Federazione croato-musulmana (BH – il 51% del paese dove vivono bosniaci musulmani e croati) sulla base degli accordi di Dayton (1995).

Il presidente dei serbi bosniaci, Milorad Dodik, ha stretti rapporti con la Russia e sta spingendo per l’indipendenza dell’Entità Serba criticando l’attuale assetto istituzionale troppo “centralistico” a vantaggio della componente croato-musulmana. Durante la visita della Mogherini, Dodik ha voltato le spalle scegliendo di andare a Mosca per incontrare, tra gli altri, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Mosca ha colto così l’occasione per cercare di promuovere i propri piani geopolitici ed ha espresso «preoccupazione per gli sforzi dell’Occidente di rivedere il compromesso del trattato di Dayton». La Serbia, tramite le parole a fine dicembre del presidente della repubblica, Nikolic, sostiene che la Republika Srpska sia in grave pericolo. La Croazia con il sostegno degli USA e della NATO starebbe lavorando a costruire un pretesto per abolire l’Entità Serba in Bosnia, scatenando così la reazione della Serbia. Questo spiegherebbe la corsa agli armamenti da parte di Zagabria con la fornitura da parte degli Stati Uniti d’America di missili a lunga gittata. A segnalare quanto la tensione sia alta, durante il voto referendario dello scorso settembre nel quale i serbi bosniaci votarono a favore del mantenimento della loro festa nazionale identitaria, l’ex leader militare bosniaco Sefer Halilovic ha affermato che «se necessario con una nostra reazione militare vinceremmo contro Dodik in 10-15 giorni», con Dodik che ha subito risposto: «siamo pronti a difenderci e capaci di farlo». Di recente il Partito Democratico Serbo (Pds) è uscito dalla maggioranza centrale bosniaca affermando che «lavorerà nel prossimo periodo soltanto per la tutela degli interessi della Repubblica Srpska, l’entità serba della Bosnia».

Serbia – Kosovo

La Serbia entra nella fase elettorale prima delle elezioni presidenziali di aprile, in un periodo di escalation di tensione con la leadership degli albanesi kosovari. Il dialogo tra Belgrado e Pristina avviene tramite la mediazione dell’UE per la “normalizzazione” del loro rapporto dopo l’intervento degli USA-NATO-UE nel 1999. L’ultimo focolaio nei rapporti Belgrado-Pristina si è acceso lo scorso dicembre, quando le forze speciali della polizia albanese kosovara hanno impedito il passaggio di un treno sulla linea ferroviaria da poco ristabilita tra Belgrado e Mitrovica, in quanto sui vagoni vi era riportato lo slogan in 21 lingue “Kosovo è Serbia”. Il Presidente serbo nazionalista Tomislav Nikolic ha minacciato di inviare truppe al nord del Kosovo per proteggere la comunità serba. Il Primo Ministro serbo A. Vucic, che ha un approccio più cauto con l’Occidente, cerca di placare Nikolic nell’obiettivo di portare avanti il progetto di una parte della borghesia serba che spinge per accelerare il processo di adesione all’UE che viene utilizzato da potenti potenze europee, come la Germania, come leva per promuovere i propri interessi.

A sua volta il protettorato della NATO del Kosovo è alla ricerca di un ulteriore riconoscimento dalla maggior parte dei paesi. Funzionari degli Stati Uniti stanno lavorando a questo obiettivo di riconoscimento come nel caso del nuovo ambasciatore degli USA alle Nazioni Unite, Haley, per unire il protettorato all’Agenzia in palese violazione del diritto internazionale. Il presidente Thaçi ha annunciato, inoltre, l’intenzione di trasformare le Forze di Sicurezza del Kosovo (KSF) in esercito regolare allo scopo di proteggere la sovranita e l’integrita territoriale. Nonostante il Kosovo sia in base della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite parte integrante della Serbia, Thaçi considera “legale” tale iniziativa «necessaria per avviare ufficialmente il processo di adesione delle KSF alla NATO». Non si è fatta attendere la risposta della Serbia che ha affermato che «non accetterà mai la costituzione di un esercito del Kosovo». Il Kosovo di fatto è gia una base NATO nel centro dei Balcani come risultato della guerra del 1999 con l’occupazione del Kosovo e Metohija, regione di importanza strategica. Una delle più grandi basi americane nella regione è situata proprio in Uroševca, Kosovo. Intanto, il prossimo 24 marzo (giorno del 18° anniversario dell’inizio dell’aggressione imperialista degli Stati Uniti, la NATO, l’UE col pretesto dei diritti dell’etnia albanese in Kosovo) la Russia consegnerà all’Air Force serba 6 caccia Mig-29 a prezzo simbolico, nel quadro di un processo di riarmamento serbo.

«La situazione attuale può solo surriscaldare il nazionalismo serbo e quello albanese a discapito dei serbi in Kosovo» – spiega in una intervista all’International Communist Press, il segretario generale del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (membro della Iniziativa Comunista Europea), Aleksandar Banjanac – «L’occupazione imperialista deve volgere al termine. Sostenere la pace e la realizzazione della solidarietà tra i popoli albanesi e serbi non è utile alla NATO. Entrambe le parti sono vittime della NATO. I popoli dei Balcani saranno in grado di determinare il proprio futuro solo se i Balcani gli apparterranno».

Nazionalismo e divisione etnica: cuneo del capitale contro i lavoratori a vantaggio degli imperialisti

In questi giorni siamo inondati nei media dai messaggi filo-europei per il sessantennale dei Trattati che diedero vita all’UE che avrebbe “garantito libertà e pace ai popoli europei” manipolando la realtà e cercando di cancellare dalla memoria dei popoli il macello, lo spargimento di sangue e le conseguenze della guerra condotta nei Balcani.  Poco più di vent’anni dopo delle bombe della NATO che hanno disgregato la Jugoslavia occupandola e dividendola in più parti sottraendo le sue risorse con l’espansionismo di potenze europee, gli sviluppi generali nei Balcani sono ragionevolmente causa di preoccupazione raggiungendo oggi il picco della tensione nel quadro generale di acutizzazione delle dispute inter-imperialistiche. E’ necessaria la massima vigilanza e solidarietà internazionale, denunciando ogni coinvolgimento dell’imperialismo italiano, dell’Ue e della NATO che già tanti disastri hanno prodotto nel recente passato nella regione.

I motivi reali di questa escalation nella regione vanno ricercate nei piani geopolitici ed energetici dei centri imperialistici rivali dimostrando se ce ne fosse ancora bisogno che le ragioni dell’intervento degli anni ’90 degli USA-NATO-UE non avevano nulla a che vedere con la “pace” ma è avvenuto per la stessa ragione per cui oggi raggiunge il picco lo scontro, vale a dire il controllo delle risorse in competizione con la Russia, portando ulteriori frizioni tra i popoli.

«Il nazionalismo è stata l’ideologia che ha legittimato le classi dirigenti e gli obiettivi imperialisti» afferma il NPCJ, «questa idea ha diviso la classe operaia su base etnica, portandola a un crollo sociale e materiale»La divisione etnica-nazionale beneficia solo corrotti politici filo-capitalisti, “uomini d’affari” e magnati, uomini di guerra, rappresentando da anni un cuneo contro i lavoratori per dividerli a vantaggio del capitale e delle multinazionali che in questi anni hanno imposto il loro dominio con la borghesia locale di recente formazione che si è formata dai ranghi di coloro che hanno venduto la proprietà del popolo, saccheggiato l’economia, tradito gli interessi del popolo spingendolo ad una guerra fratricida per interessi altrui.

L’unico “freno” ai disegni delle classi borghesi, che non esitano a portare i popoli sull’orlo di un nuovo spargimento di sangue per rispartire e ridisegnare la regione sulla base degli interessi delle diverse potenze imperialiste, può provenire solamente dalla lotta antimperialista delle classi lavoratrici sulla base dei propri interessi comuni per il rovesciamento finale del potere del capitale, mettendo fine all’occupazione della NATO, ai rispettivi nazionalismi, le ingerenze straniere e le varie argomentazioni borghesi al servizio del capitalismo imperialista che cercano di separare e dividere i lavoratori per indebolirne e disarmarne la lotta e la solidarietà tra i popoli.




Nell'articolo del Corriere della Sera non si fa ovviamente alcuna menzione delle vittime "nemiche": civili e soldati bersaglio dei proiettili all'uranio impoverito sparati dagli eserciti della NATO. Contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, così come sulla Repubblica Srpska di Bosnia, e in altri paesi più lontani.

Si veda anche la sezione sull'utilizzo di "URANIO IMPOVERITO" (DU / U238) sul nostro sito:



Uranio impoverito, la strage dimenticata dei soldati italiani: 
340 morti e 4 mila malati

L’ultima vittima di pochi giorni fa: Claudio Caboni, colonnello dell’Esercito, stroncato da un cancro linfatico. 
Le 43 sentenze di risarcimento e i lavori della commissione parlamentare (la quarta): «Presto una nuova legge»
di Alessandro Fulloni

L’ultima morte risale al mese scorso. Claudio Caboni, colonnello dell’Esercito, 59 anni. Un curriculum lungo così. Aviatore dell’aviazione leggera, a lungo nella «Brigata Sassari». Oltre venti missioni all’estero. Lascia moglie, Maria Assunta, e la figlia Federica, stremato da un cancro linfatico diagnosticato nel 2014. Era stato sui fronti più caldi che dall’inizio del 1990 hanno visto impegnati i reparti italiani: Kosovo, Iraq, Afghanistan. Un nome e un cognome, i suoi, che adesso diventano un numero. Questo: il 340. Ovvero 340 morti — a cui devono essere aggiunti circa 4 mila malati — per le conseguenze del contatto con l’uranio impoverito. Parliamo dell’«U238», il materiale con cui si fanno i proiettili di artiglieria che perfora le corazze dei tank. Ma che sviluppa temperature così alte che nebulizza i metalli, creando particelle che se inalate o ingerite possono causare forme tumorali. (nella foto Epa, un tecnico dell’Institute di Fisica di Belgrado mostra un proiettile all’uranio impoverito: http://images2.corriereobjects.it/methode_image/2017/03/03/Tablet%20Edition/Foto%20-%20Trattate/19est03f3-kGfE--544x408@...?v=201703091529 )

Dai Balcani a Kabul, 43 sentenze di risarcimento

Cifre, come l’ultima riguardante la morte del colonnello della «Sassari», che non rientrano nel bilancio crudo di una battaglia, persa o vittoriosa. Eppure quel che è successo nelle nostre missioni militari più recenti, dai Balcani all’Afghanistan, si configura come uno degli scenari più luttuosi nella storia delle forze armate italiane. Caduti come a Dogali, sul Carso, a El Alamein, o al «check point Pasta». Da vent’anni i reduci dalle missioni Nato in Afghanistan, Bosnia, Kosovo e Iraq si ammalano per le conseguenze dell’uso di questo tipo di arma. Tra tribunali amministrativi e civili — sono i puntuali numeri forniti dall’Osservatorio Militare presieduto da Domenico Leggiero, ex pilota dell’Aeronautica — ci sono già 43 sentenze di risarcimento. Tra queste 13 sono passate in giudicato. 

La battaglia dei familiari delle vittime 

I familiari dei morti, o gli stessi malati, in una ventina di casi hanno ricevuto gli indennizzi: che si aggirano — parliamo delle cause relative ai decessi — attorno al milione di euro. Tra soldati morti e bambini malformati: l’uranio impoverito uccide nel silenzio. La prima vittoria giuridica è stata quella del 3 novembre 2012, quando il Tribunale civile di Roma stabilì, con una sentenza, che a uccidere Andrea Antonaci (militare che aveva prestato servizio in Bosnia), era stato l’uranio impoverito. Motivo per cui il ministero della Difesa fu condannato a pagare quasi un milione di euro ai familiari, perché finalmente era stato stabilito il nesso causale fra la patologia contratta dal ragazzo (un linfoma di Hodgkin) e l’esposizione all’U235. 

Il diario straziante dell’incursore Danise

Il «bollettino di guerra» si aggiorna, purtroppo, di frequente: lo sorso anno aveva toccato l’Italia la morte di Gianluca Danise, incursore dell’Aeronautica, veterano di tante missioni all’estero, Kosovo, Albania, Eritrea, Afghanistan, Iraq e Gibuti ( http://www.corriere.it/cronache/15_dicembre_23/uranio-morto-militare-che-ricompose-resti-vittime-nassiriya-d0861a58-a973-11e5-8f07-76e7bd2ba963.shtml ). Strazianti, ma al tempo stesso colme d’amore indirizzato alla famiglia, le parole lasciate nel suo diario online che raccontano la sua malattia: «Ho paura di morire e non poter dare un futuro a mia moglie e a mia figlia... Ho paura di morire prima di aver sistemato la maledetta burocrazia militare e civile...». Non è escluso che il male che lo ha stroncato si sia sviluppato in Kosovo. (nella foto Ap, soldati della forza di pace in Bosnia accanto a proiettili anticarro: http://images2.corriereobjects.it/methode_image/2017/03/03/Tablet%20Edition/Foto%20-%20Trattate/05est02f3-kGfE--544x408@...?v=201703091529 ) 

«Gli americani giravano in tute da marziani»

«Vedevamo gli americani e ci chiedevamo perché girassero bardati a quel modo — aveva raccontato Danise —. Sembravano marziani. Sembravano personaggi di quei film tipo “Virus”. Avevano attrezzature per maneggiare i materiali di cui noi non disponevamo. Non ci siamo mai chiesti perché loro fossero cosi equipaggiati, pensavamo fossero loro a esagerare. Dopo il Kosovo, al rientro dalla seconda missione che ho fatto in Eritrea, cominciai a leggere i giornali e mi si gelò il sangue. Era l’epoca in cui si iniziava a parlare dell’uranio impoverito. Speravo di non essere tra gli sfortunati. Invece nel 2010 è toccato anche a me. È partito tutto da un mal di orecchie e mi si è stravolta la vita». Danise era morto nel dicembre 2015 e a febbraio 2016 la moglie aveva denunciato: «Non ho ancora avuto notizie sulla pensione di mio marito, non ho i soldi per vivere» ( http://www.corriere.it/cronache/16_febbraio_10/non-ho-soldi-vivere-aiutatemi-ad-avere-pensione-mio-marito-118a909a-d004-11e5-b46f-b6e34893b4a5.shtml ). 

Quattro commissioni parlamentari d’inchiesta 

Per fare luce sui numeri di questa «battaglia» dimenticata non sono servite tre commissioni d’inchiesta parlamentari. Regolarmente azzoppate dal crollo anticipato delle legislature. Ora ne è decollata una quarta, presieduta dal deputato Pd Gian Piero Scanu. Che ha ricevuto da Mauro Pili, suo collega di Unidos, il fascicolo riguardante Caboni. E acquisito dalla commissione. I cui lavori marciano spediti. In questi giorni alla Camera sono stati sentiti ufficiali e medici delle Forze Armate. L’obiettivo? Scanu parla di «un atto di indirizzo che impegni governo e Parlamento ad attuare con la massima tempestività le disposizioni che la Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito della Camera indicherà come non più procrastinabili». Insomma: una legge che chiarisca di chi sono le colpe e soprattutto come debbano essere definiti gli indennizzi. 
9 marzo 2017



(français / italiano / english)

Tentativi di censura nella Croazia europeissima

1) Tentativi di censura contro il giornale della minoranza serba (di Pierluca Merola, 10 marzo 2017)
2) La droite réac s’acharne contre l’hebdo de gauche Novosti (par Marzia Bona, 24 febbraio 2017)
CROAZIA: NOVOSTI SOTTO ATTACCO / NOVOSTI UNDER ATTACK


LINKS:

PORTAL NOVOSTI
Il giornale della comunità serba / Srpsko narodno vijeće / della Croazia

Media in Croazia: un tentato omicidio che ci riguarda tutti (Helena Puljiz)
Il 28 ottobre scorso, mentre percorreva l'autostrada Bregana-Lipovac, l'automobile di Saša Leković ha mostrato segni di danneggiamento... si è constatato che due bulloni della ruota anteriore destra erano stati segati...

Libertà dei media in calo in Croazia: un'infografica (OBC 15 novembre 2016
... Misure quali la rimozione di oltre 70 dipendenti dal servizio pubblico radiotelevisivo, la messa in discussione dell’agenzia nazionale per la regolamentazione delle telecomunicazioni e l'abolizione del finanziamento per i media non profit erodono la possibilità che i giornalisti possano svolgere il proprio lavoro adempiendo il compito fondamentale...
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Liberta-dei-media-in-calo-in-Croazia-un-infografica/


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CROAZIA: Tentativi di censura contro il giornale della minoranza serba

di Pierluca Merola, 10 marzo 2017

da ZAGABRIA – Željka Markić – volto dell’associazione U Ime Obitelj (in nome della famiglia) e attivista della destra nazionalista croata – ha recentemente aperto uno scontro con il settimanale Novostivoce indipendente e critica nel panorama mediatico croato e nominalmente testata della minoranza serba.

“Novosti diffonde l’odio verso la maggioranza croata”

Il 13 febbraio scorso Željka Markić ha presentato un report sull’uso improprio dei finanziamenti statali all’editoria delle minoranze nazionali da parte della rivista Novosti, edita dal Consiglio Nazionale SerboMarkić sostiene che la rivista si occupi poco della minoranza serba e troppo della politica nazionale croata. In particolare, il report identifica negli articoli di tre editorialisti di Novosti frasi che “incitano all’intolleranza e all’odio verso il popolo croato”e che mettono in discussione (in modo satirico) l’esistenza di un’(unico) popolo croato e le basi dello stato indipendente.

Markić ritiene inaccettabile che le tasse dei croati finanzino un giornale che li insulta: ha perciò chiesto al comitato per le minoranze nazionali (responsabile dei fondi) l’interruzione immediata del finanziamento a Novosti (pari a 3.2 milioni annui di kune croate). Il comitato per le minoranze nazionali ha prontamente notificato a Markić la sua ignoranza riguardo la legislazione costituzionale in tema di minoranze.

“Novosti promuove la tolleranza attraverso la critica al nazionalismo”

La risposta della redazione di Novosti non si è fatta attendere. Senza venir meno al proprio taglio editoriale critico e tagliente, il venerdì successivo alla denuncia, la rivista è uscita con un numero interamente dedicato alla figura di Markić (secondo la redazione offesa perché trascurata) e quello dopo ancora ha rincarato la dose con un numero dedicato alla natura “clerical-fascista” del movimento U Ime Obitelj.

Riguardo alle accuse, il caporedattore Nikola Bajto ha specificatoche Novosti non è disposta a farsi chiudere in un ghetto per la minoranza serba ma punta a un pubblico più ampio, così da perseguire una reale integrazione tra popolo maggioritario e minoranze. Il caporedattore ha poi sottolineato come la rivista rispetti i criteri per i finanziamenti perseguendo la promozione della tolleranza, del rispetto delle minoranze, dell’eguaglianza e delle libertà garantite dalla costituzione attraverso la critica quotidiana alle discriminazioni promosse da Markić e dalle altre forze del nazionalismo croato. La rivista intende dare così voce alla minoranza serba e a tutte le minoranze etniche, politiche e di orientamento sessuale discriminate dalle posizioni maggioritarie.

L’attacco al pluralismo della stampa in Croazia

Con l’attacco a Novosti si è manifestata ancora una volta l’insofferenza del nazionalismo croato verso la stampa non allineata. Non è un caso che due dei tre editorialisti – Boris Dežulović e Viktor Ivančić – i cui articoli “incitano all’odio verso il popolo croato” provengano dal Feral Tribune – unica realtà critica in Croazia verso il regime di Tuđman durante gli anni ’90chiusa nel 2008 per difficoltà finanziarie.

Željka Markić e le altre forze del nazionalismo croato stanno proseguendo la politica avviata dall’ex-Ministro della cultura Zlatko Hasanbegović volta a eliminare quelle realtà indipendentiche sbeffeggiano e decostruiscono gli assunti nazionalisti e la narrazione degli anni ’90 in Croazia.

Novosti – rivista della minoranza serba che ha accolto i giornalisti irriverenti ed “eretici” del defunto Feral – è l’incubo dei nazionalisti croati. Non sorprende che Markić ritenga che il budget statale possa essere meglio impiegato in una rivista completamente in alfabeto cirillico e concentrata sul folklore serbo. Basta che nessuno la legga.

Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association e PECOBUniversità di Bologna.



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in italiano: CROAZIA: NOVOSTI SOTTO ATTACCO (di Marzia Bona, 24/02/2017)
Una campagna lanciata dall’organizzazione "Nel nome della famiglia" minaccia di portare alla chiusura del settimanale Novosti, esempio di pluralismo e giornalismo di qualità in Croazia...

in english: NOVOSTI UNDER ATTACK (by Marzia Bona, 24/02/2017)
A campaign launched by conservative organization “In the name of the family” threatens to shut down the magazine Novosti, example of pluralism and quality journalism in Croatia...


CROATIE : LA DROITE RÉAC S’ACHARNE CONTRE L’HEBDO DE GAUCHE NOVOSTI

Osservatorio Balcani e Caucaso | European Center for Press and Media Freedom | Traduit par Mandi Gueguen |vendredi 3 mars 2017

U ime obitelji, « Au nom de la famille », c’est l’équivalent croate de Sens commun, sous-produit dérivé de la Manif pour tous. Et l’officine catho-tradi-réac s’est trouvé une nouvelle cible : l’hebdomadaire de gauche Novosti, officiellement édité par le Conseil national serbe de Croatie.

Par Marzia Bona

Ces deux dernières semaines, l’hebdomadaire Novosti, publié par le Conseil national serbe de Croatie (SNV), a été la cible d’une campagne visant à suspendre le financement public dont il bénéficie, en tant que média d’une minorité nationale reconnue. L’association responsable de cette campagne, célèbre pour son engagement nationaliste et ultra-conservateur, U ime Obitelji (« Au nom de la famille »), a été créée en 2013, pour mener la bataille sur la réforme constitutionnelle qui a amené à restreindre la définition du mariage comme « l’union entre un homme et une femme ».

Le 13 février dernier, Željka Markić, visage public de l’association, a tenu une conférence de presse en face du Parlement croate en demandant la fermeture de l’hebdomadaire. Dans le dossier accompagnant l’appel, Novosti est accusé de représenter une menace parce que le journal promouvrait « l’intolérance contre la majorité croate et contre la République de Croatie ». Sur la base de ces accusations, Željka Markić demande au Conseil pour les Minorités nationales la suspension de son soutien à Novosti (3,2 millions de kunas en 2016, près de 430 000 euros), de même que l’interruption de sa publication pour une période de trois ans.

Les accusations contre l’hebdomadaire ne sont pourtant pas confirmées par les observations objectives des organisations de presse actives dans la région. La plateforme régionale South East Europe Media Observatory, par exemple, a récemment cité Novosti parmi les exemples positifs que représentent un modèle alternatif viable pour la presse, illustrant notamment « un journalisme fièrement indépendant, de qualité, financé en grande partie par les fonds publics ».

Željka Markić, ne s’est pas arrêtée en chemin : le 20 février 2017, elle a lancé une pétition publique pour recueillir des adhésions à la campagne contre l’hebdomadaire. Après la publication de la pétition en ligne, la boîte de messagerie du Conseil pour les minorités nationales a été inondée par des milliers de mails automatiques.

La rédaction de Novosti a diffusé un communiqué de presse exprimant ses préoccupations. « Ces actions constituent une campagne dangereuse et orchestrée au nom du nationalisme, de la xénophobie, visant à stigmatiser les journalistes de l’hebdomadaire Novosti, en les présentant comme des ennemis de l’État et des traitres à la nation ». Cette campagne, selon eux, « vise à répandre la haine contre le Conseil national serbe, qui est l’organisation de tutelle de la minorité nationale serbe en Croatie et contre cette minorité en général ».

Diverses organisations actives dans la défense de la liberté de la presse, dont la Fédération européenne des journalistes (FIJ), ont rapidement réagi en affirmant leur solidarité et leur soutien et en s’alarmant des conséquences d’une éventuelle fermeture de Novosti, qui se solderait par une érosion du pluralisme des médias en Croatie et l’exclusion d’une voix importante des minorités. « Nous considérons la tentative de l’association U ime obitelji comme dangereuse non seulement pour le niveau de protection démocratique des minorités en Croatie, mais aussi par rapport au respect de la liberté d’expression journalistique et éditorialiste au sein des moyens de communication de ces minorités », souligne le SEE Media Observatory.



(srpskohrvatski / english / italiano)

11.mo anniversario dell'assassinio di Slobodan Milošević / 11. godišnice od ubistva Slobodana Miloševića

1) Милошевић ослобођен кривице за Сребреницу још пре девет година (Politika 23.08.2016.)
2) Слободан је својим делом себи дигао споменик за живота (Урош Шуваковић, 20.8.2016.)
3) C. Black and A. Mezyaev: Death of President Slobodan Milosevic in NATO Prison Remains a Central Question in International Justice (2013)


LINKOVI / COLLEGAMENTI:

У Прес центру у Београду 10.03.2017 ПРОМОВИСАНА КЊИГА ВУКАШИНА АНДРИЋА
"АНАТОМИЈА СУДСКОГ УБИСТВА"
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Klaus Hartmann: 10 years since the death of the President, our friend and comrade Slobodan Milošević (11/03/2016)
Клаус Хартман у Покрету за Србију - Klaus Hartmann on Slobodan Milosevic and the World today (Pokret za Srbiju, 18 apr 2016)
Интервју са Клаусом Хартманом, председником Светског и немачког савеза слободних мислилаца ( www.libres-penseurs.net www.freidenker.org ) и председником борда Међународног комитета "Слободан Милошевић" ( www.milosevic.co ). Интервју је начињен у Покрету за Србију ( www.pokretzasrbiju.org ), у Београду, у марту 2016.
/ Interview with Klaus Hartmann, chairman of the World (and German) Union of Freethinkers ( www.libres-penseurs.net www.freidenker.org ) and chairman of the Slobodan Milosevic International Commitee ( www.milosevic.co ). The interview was made in The Movement for Serbia ( www.pokretzasrbiju.org ), Belgrade, March 2016.

UDRUZENJE "SLOBODA"

ARCHIVIO MILOSEVIC

ARCHIVIO DOCUMENTAZIONE ICDSM-ITALIA
contenente le cronache dal "Tribunale ad hoc" censurate dai media
e le prove che la morte di Milošević è stata perseguita lucidamente dalla "Corte" per anni



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ПОВОДОМ ПОЛЕМИКЕ О МИЛОШЕВИЋЕВОЈ ОДГОВОРНОСТИ ЗА ЗЛОЧИНЕ У БИХ

Милошевић ослобођен кривице за Сребреницу још пре девет година

Истина о улози бившег председника Србије утврђена је још пресудом Међународног суда правде у фебруару 2007. године, кад је суд у Хагу рекао да се злочин геноцида не може приписати ни Милошевићу ни Србији, подсећа професор Тибор Варади
Аутор: Јелена Церовинауторак, 23.08.2016.

Наводи британског новинара Нила Кларка „вероватно су део кампање оркестриране из Србије – и могуће је из Русије – да се Милошевић ослободи кривице 10 година после смрти”, рекао је ових дана Џефри Најс, бивши главни тужилац у процесу против Слободана Милошевића, изнервиран писањем Кларка, који је у свом блогу на сајту Раша тудеј констатовао да је Хашки трибунал закључио „да је један од највећих политичких демона наше ере, заправо, невин човек који није починио зверства и злочине за које је оптужен”. Својим оценама да је „Хаг одлучио да закључак о Милошевићевој невиности ’сахрани’ негде дубоко у текст пресуде лидеру босанских Срба Радовану Караџићу” Кларк је уздрмао светску, али и домаћу јавност, која се поделила кад је реч о улози Милошевића, а тиме и Србије у рату у БиХ.

Међутим, иако је Кларкова одбрана Милошевића (заснована на ономе што је проучавањем пресуде дуге 2.590 страница открио амерички истраживач и новинар Енди Вилкоксон) представљала праву „бомбу” и прст у око онима који сву кривицу за злочине током деведесетих година 20. века стављају на душу Милошевићу, истина о улози бившег председника Србије утврђена је још пресудом Међународног суда правде у фебруару 2007. године. Тада је, наиме, како за „Политику” подсећа Тибор Варади, професор међународног права и један од адвоката Београда у спору по тужби БиХ против Србије за геноцид, суд у Хагу рекао да се злочин геноцида не може приписати Србији, односно ни Милошевићу ни Србији.

„То је једносмислено речено и не може бити спорно. МСП се није изјаснио о ратним злочинима који не достижу ниво геноцида јер није имао надлежност за то”, каже професор Варади.

На опаску да ли то значи да је оно што је сада Хашки трибунал урадио ослобађајући Милошевића кривице за геноцид у БиХ, Међународни суд правде учинио одавно, Варади каже: „Одавно, једносмислено и директно”.

Он подсећа да је Суд правде те 2007. године констатовао да је почињен геноцид у Сребреници, али да се то не може приписати Србији.

„То је директно утврђено, а не у спору који је водила нека трећа држава. Али, то није новост”, каже Варади.

У пресуди је, подсетимо, констатовано да „Србија није била ни саучесник у геноциду, иако је закључено да је СРЈ током рата пружала војну и финансијску подршку српском становништву у Републици Српској”. Веома сличан закључак извео је у марту ове године и Хашки трибунал, пресуђујући Радовану Караџићу. У параграфу 3460 пресуде лидеру босанских Срба на који се позива Кларк критикујући Трибунал и међународну јавност, стоји да је Слободан Милошевић „делио и подржавао политички циљ оптуженог и руководства босанских Срба да очувају Југославију и спрече одвајање или независност БиХ”, те да је им је Милошевић пружио помоћ у оружју и људству. Али се такође, кад се говори о Милошевићевој улози, додаје и да докази показују да је између Милошевића и руководства босанских Срба дошло до супротстављених интереса, те да је Милошевић износио критике и неслагања с политиком и одлукама руководства босанских Срба, због чега се „веће није уверило да постоји довољно доказа у овом случају да се закључи да се Слободан Милошевић сложио са заједничким планом”, те да Милошевић није био део удруженог злочиначког подухвата.

Говорећи о правној тежини оваквих доказа и закључака, Варади истиче да се „Милошевић може осудити или ослободити само у поступку који се води против Милошевића”, те да је „одлука о Караџићу ипак само одлука о Караџићу”. Ово што је у спору против Караџића утврђено о Милошевићу, како каже, може бити доказ у историјским расправама, „али то је ипак пресуда Караџићу, а нечија кривица се може утврдити или негирати у спору где је тај окривљени у главној улози”.

Саговорник „Политике” укључен у рад међународних судова каже да је у деловима пресуде Караџићу потврђена не само Милошевићева невиност за геноцид у Сребреници, него и за злочине у општинама у БиХ за које је тужилац Серж Брамерц окривљавао Караџића, укључујући и опсаду Сарајева.

„То није ослобађање, али је екстремно значајно да Караџићево веће сматра да Србија није одговорна. Хашки трибунал је, заправо, отишао даље од пресуде Суда правде, јер се она односила само на Сребреницу, а Караџићу се није судило само за Сребреницу. Наравно, ово нема снагу пресуде, али има снагу онога што се у праву зове ’дикта’, односно оно што суд закључи у пресуди, а што се не односи непосредно на предмет судског поступка”, објашњава наш саговорник и додаје да су у праву они који тврде да је реч о историјски значајним доказима.

Уосталом, како подсећа, Милошевић, за разлику од, рецимо, Фрање Туђмана, ниједном пресудом није оглашен кривим за учешће у Удруженом злочиначком подухвату (УЗП). У случају Туђмана то је констатовано пре три године у „случају Прлић”, кад је у пресуди шесторици Хрвата речено да су УЗП у Херцег-босни предводили Туђман, Шушак и Бобетко.

Ових дана и један италијански новинар прикључио се нападу на Хашки трибунал. Новинар Ђулијето Кијеза на порталу „Глобалист синдикејшн” написао је да је „Запад уништио Југославију, убио Милошевића и оптужио га за злочине које он није извршио”.

Саговорник нашег листа закључује да је ова пресуда важна и због тога што је у њој СДА из БиХ тражио основ за ревизију поступка за геноцид против Србије, али је оваквим закључцима „изгубио тло под ногама”.



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Слободан је својим делом себи дигао споменик за живота - онај мермерни ће му подићи народ, кад-тад

Урош Шуваковић   
субота, 20. август 2016.

Већ сама чињеница да је помисао на подизање споменика некадашњем председнику Србије и Југославије, и несумњивом лидеру српког народа у последњој деценији прошлог века, Слободану Милошевићу изазвала толику повику утвара које преосташе од његових политичких противника или настављача њихових „дела“, говори довољно за себе. Милошевић је за њих јак противник и када је одавно покојни. Као тегови за ланце на њиховим ногама данас извиру документи: нема доказа о постојању судске наредбе да буде изручен Хагу, ниједан судија тако нешто није хтео да потпише; одлука Ђинђићеве Владе је била неуставна, како је утврдио Уставни суд; није имао адекватан медицински третман; нису постојали докази о његовој умешаности у тзв. „заједнички злочиначки подухват“, како је недавно написано у образложењу „пресуде“ Радовану Караџићу; умро је услед неуказивања адекватне медицинске помоћи у Шевенингену, јер су „хашке судије“ - тако хтеле. Тадашњи председник Србије Борис Тадић, демократа, забранио је било какво учешће Војске Србије у сахрани неосуђеног бившег шефа државе, укључујући и забрану коришћења капеле ВМА за смештај његовог тела када је авионом транспортовано у Београд. Било је смештено у изнајмљеној капели у болници „Св. Сава“. Наравно, тадашња власт је забранила и да ковчег буде изложен у згради (тада још увек) Савезне скупштине, где би се омогућио мимоход. „Решење“ је пронађено тако да буде смештен у Музеју „25. мај“, и током тих дана туда су продефиловале и одале му пошту стотине хиљада људи.
Наравно, томе се успротивила жута директорка тог музеја, чијег се имена не сећам. Да ли по наредби или „самосвесно“ - неважно је, као што су већ сви заборавили и на шарене балоне које су пуштали „окупљени грађани“ међу којима су тада били Милољуб Албијанић, Чедомир Антић, Радмила Хрустановић, Весна Пешић, Владан Батић, Миљенко Дерета, Борка Павићевић, Бранка Прпа...Градоначелник Београда Ненад Богдановић, следећи упутства свог партијског шефа Тадића, одбио је захтев СПС да му се обезбеди место у Алеји заслужних грађана на Новом гробљу. Мени је тада његова супруга Мира рекла да су се они, некада у младости, договорили да се сахране под липом у Пожаревцу. Тако је дошло до тога да председник Милошевић тамо буде сахрањен. Иако без државне церемоније, на тој сахрани је било на стотине хиљада људи: од оних у Музеју, преко оних на платоу испред Савезне скупштине до оних који су га сачекали у родном Пожаревцу. Ниједна недржавна сахрана у политичкој историји Србије, чак ни она кадаје сахрањиван Александар Ранковић која је до тада била најмасовнија, није окупила ни приближно толики број људи.
Претходне редове нисам написао случајно: они сведоче о бестидности режима Демократске странке, али истовремено показују због чега се баш та странка и њени прирепци тако енергично противи исказаној иницијативи за подизање споменика председнику Милошевићу.Преко једних дневних новина које су им блиске, они су саставили списак шта је Милошевић лоше урадио и објавили га под насловом „Ово не смемо да му заборавимо“, са подналовом „Узалудни покушаји рехабилитације лика и дела Слободана Милошевића“. Наравно, будаласто је тврдити како неко покушава да рехабилитује некога ко је невин, јер никада није осуђен ни правно ни политички, али јесте био жртва судског убиства за шта ће сигурно кривично одговарали сви који су у томе учествовали (дакле не само хашки извршиоци, већ и београдски помагачи и инспиратори). Једнако тако, у најмању руку је чудно када неко покушава да докаже како у суђењу Караџићу не може да буде ослобођен Милошевић.
Најпре, да ли је то што се дешава у Хагу суђење? Да ли је хашки „трибунал“ заиста суд? Али, прихватимо њихов став да јесте,  те ноторну чињеницу да је јасно да када се суди Караџићу правно не може бити ослобођен Милошевић, премда су неки од њих тврдили да је Милошевић осуђен у „случају Стамболић“, иако никада није био формално ни оптужен. У образложењу Караџићеве пресуде, у тачки 3460, јасно је написан следећи исказ: „Веће није задовољно тиме да је било довољно доказа презентованих у овом случају да би се нашло да се Слободан Милошевић сложио са заједничким планом“ (sic!)[1]. Дакле, за оно што је било главна оптужба против Милошевића - да је направио план за стварање тзв. „Велике Србије“ и био на челу тог „удруженог злочиначког подухвата“, нису пронађени докази. Да ли је то ослобађање post mortemили не, нека просуде они који нису још поклекли пред медијским спиновањем, дакле они који се држе начела здравог разума. А они које мржња, завист, неспокој, стид (уколико за њега знају) или ко зна шта још спречава да прочитају оно што пише - њима не вреди ни писати. Оно што је међутим важно, јесте да такставно побројимо шта јесу Милошевићеве историјске заслуге, оно што ће сигурно остати упамћено у нашој историји:
1.      Он се први заложио за реформу српске приврде, на бази „робне привреде“, што је био само други назив за тржишне односе. Учинио је то у свом излагању на VIII седници ЦК СКС, септембра 1987;
2.      Успротивио се економском експлоатисању Србије унутар СФРЈ и ситуацији да се она налази под политичким патронатом својих аутономних покрајина - Војводине и Косова. Затражио је, дакле, једнак положај Србије у Југославији, какав имају и друге републике - ни бољи ни гори од њих;
3.      Уставним променама у Србији обезбедио је да су Војводина и Косово јасно дефинисани као интегрални делови Србије, са надлежностима које припадају покрајинама, а не републикама - чланицама Федерације. Да тога није било, Војводина би данас извесно уместо северне српске покрајине била самостална држава, чији би председник (можда) био Чанак.
4.      Донео је нови устав 1990. (који је остао на снази све до 2006), а којим је уведен политички плурализам, слобода избора, слобода штампе итд. Више стотина политичких партија је било регистровано, а избори су се одржавали кад год је то опозиција тражила. Дакле, најрадикалније демократске промене у Србији је извео Милошевић. Тачно је да су РТС, „Политика“ и „Новости“ подржавали владину политику, али је исто тако тачно да су постојале и веома снажне, утицајне и финансиране из иностранства (као и данас уосталом) антивладине новине и бројне (махом локлане) радио телевизијске станице.
5.      Номинално плата јесте вредела нешто мало немачких марака, али је тачно да су људи уз помоћ чекова куповали робу у непропорционално вишој вредности, тако да је суштински тих неколико марака плате вредело колико и данас неколико стотина евра. Развијени су били механизми субвенционисања становништва у времену када је земља била под жестоким економским санкцијама уведеним због наше солидарности са Србима који нису живели у Србији, али јесу у Југославији (БиХ, Хрватској). Принцип солидарности је у социјалној политици био доминантан. Радници нису отпуштани, фабрике нису приватизоване, супстанца привреде је сачувана;
6.      Био је спреман на све да одбрани српско Косово и Метохију. Попут Лазара дао је главу за Косово. Оружано се успротивио НАТО агресији 1999. Да ли га је одбранио? Он јесте. Издејствовао је Резолуцију 1244 Савета безбедности ОУН којом се гарантује наш суверенитет над Косовом. А нама је, на једном састанку ужег руководства, јуна 1999. рекао: „Добили смо тапију над Косовом. Све док се не пронађе нека српска рука која би другачије потписала, оно је у саставу Србије“. Тај конкурс је у току, а ја се надам да ће се завршити крахом;
7.      Његовом заслугом створена је и међународно призната као ентитет Република Српска. Да није било Милошевића, не би било ни Дејтона. И није џабе амерички амбасадор у Приштини рекао, у вези са преговорима Београд-Приштина, да „није потребна нова Република Српска“. Свесни су Американци какав је темељ Слоба поставио;
8.      Основао је и очувао Савезну Републику Југославију. Није могао да претпостави да ће у име Србије 2003, злоупотребљавајући своја овлашћења, Коштуница, Ђинђић и Лабус потписати споразум са Црногорцима о њеном укидању. Беловешким споразумом, о коме је пре Горбачова од стране његових потписника био обавештен Буш Старији укинут је СССР, што је Путин касније означио као „катастрофу века“, а овим београдским је укинута Југославија, при чему је Солана био присутан, ваљда из разлога неповерења у извршиоце радова.
9.      Херојским држањем пред тзв. хашким судом бранио је не себе, већ Србију. Иако су на власти били они који су га послали у Хаг, он је свим силама бранио истину о Србији и српском народу. И одбранио је, скупо то плативши.
Због свега овога, Слободан Милошевић је име за дух и витештво српског народа. Ако желиш слободу - мораш да будеш Слободан. Подизање споменика, давање назива неком београдском булевару по његовом имену, само је ствар тренутка. Да обавестим оне који из својих побуда не разумеју - више није питање да ли ће се то десити, већ само - када. А до тада, Слободан живи у срцима свих оних који се осећају слободним
Аутор је члан Управног одбора Удружења „Слобода“.

 


[1] Текст пресуде Радовану Караџићу на енглеском може се наћи in extenso на


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Christopher Black and Alexander Mezyaev: Death of President Slobodan Milosevic in NATO Prison Remains a Central Question in International Justice




On March 11, 2006, President Slobodan Milosevic died in a NATO prison. No one has been held accountable for his death.

– In the 7 years since the end of the lonely struggle to defend himself and his country against the false charges invented by the Nato powers, no country has demanded a public inquiry into the circumstances of his death. The only demand for any investigation was made by the Russian Foreign Minister, Serge Lavrov, when he stated that Russia did not accept the ICTY’s denial of responsibility and demanded an investigation be conducted. The ICTY then made its own investigation and as expected exonerated itself from all blame.

Yet, his death cannot lie unexamined, the questions unanswered, those responsible unpunished. The world cannot continue to accept the substitution of war and brutality for peace and diplomacy. It cannot continue to tolerate governments that have contempt for peace, for humanity, the sovereignty of nations, the self-determination of peoples, and the rule of law.

The murder of countless civilians in the Nato led wars since the end of the Second World War is a crime of such immensity that mankind itself stands condemned for letting it happen. First, there was Korea, perhaps 5 million people killed, then Vietnam, another 3 to 5 million killed. These were followed by smaller wars and  counter-insurgency operations by countries against their own citizens, but the suffering was the same; Africa, Latin America, Asia; few have been spared.

But since the temporary eclipse of Russian influence and prestige in the early 1990’s the Nato powers, in particular the United States of America, have not only killed the populations of countries resisting their aggression. They have progressed to the murder of the national leaders of those countries, an act considered to be a war crime because it is not only the murder of a person, but an attack on the nation itself, a negation of its right to exist.

Since 1950 the list of national leaders who have been assassinated directly or with the aid of the United States and its allies is
legion-Lumumba of the Congo, Diem of Vietnam, Torrillos of Panama, Allende of Chile, Hussein of Iraq, Habyarimana of Rwanda, Ntayaramira of Burundi, Arafat of Palestine, Ghaddafi of Libya, are but a few. Sometimes they dress up the murders in legal cloth by purporting to issue “indictments” against their victims issued by tribunals set up or controlled by the Nato
powers whose one purpose is to create propaganda to attempt to justify their crimes. Others have been thrown into prisons on false charges and outside of any lawful jurisdiction or fair process; Noriega of Panama, Gbagbo of Ivory Coast, Taylor of Liberia, Kambanda of Rwanda, Hussein of Iraq. The tragic Muammar Ghaddafi was hunted down and murdered like a dog
in the street, so far have these powers sunk below morality and civilised behaviour. One must ask whether the murder of Muammar Ghaddafi would have happened if those responsible for the death of President Milosevic had been exposed and brought to justice.

In fact, in 2010 Ghaddafi called the United Nations to conduct an investigation of all the coup-d’etats in UN member states and “an investigations of all heads of UN member states assassinations.” These proposals were never acted on by the GeneralAssembly.

The death of Slobodan Milosevic was clearly the only way out of the dilemma the Nato powers had put themselves by charging him before the ICTY. The propaganda against him was of an unprecedented scale. The trial was played in the press as one of the world’s great dramas, world theatre in which an evil man would be made to answer for his crimes. But of
course, there had been no crimes, except those of the Nato powers, and the attempt to fabricate a case against him collapsed into farce.

The trial was necessary from Nato’s point of view in order to justify the aggression against Yugoslavia and the putsch by the DOS forces in Belgrade supported by Nato, by which democracy in Yugoslavia was finally destroyed. His illegal arrest by Nato forces in Belgrade, his illegal detention in Belgrade Central Prison until his illegal rendition to the former Nazi
prison near The Hague and the show trial that followed were all part of the drama played out for the world public and it could only have one of two endings, the conviction or the death of President Milosevic.

Much has been said about the death of President Milosevic and about the show trial they forced upon him. I will not repeat what others have said. His wife and friend, Mira Markovic, unable to attend his funeral in Serbia for fear of arrest by the Nato installed regime, referred, in a letter read at the funeral, to “the criminals who murdered you in The Hague.” John Laughland in his brave book, Travesty, wrote that the ICTY, “having abused numerous fundamental judicial principles during the trial,…abused the most elementary humanitarian considerations too…”

Since the conviction of President Milosevic was clearly not possible when all the evidence was heard, or at least a conviction that could be supported by any evidence, his death was the only way out for the Nato powers. His acquittal would have brought down the entire structure of the propaganda framework of the Nato war machine and the western interests that use it as their armed fist. Nato clearly did not expect President Milosevic to defend himself nor with such clarity and determination. The media coverage of the beginning of the trial was constant and front page. It was promised that it would be the trial of the century. Yet soon after it began the media coverage stopped and the trial was buried in the back pages. Things had gone terribly wrong for Nato right at the start. The key to the problem is the following statement to the judges of the ICTY made by President Milosevic:

“This is a political trial. What is at issue here is not at all whether I committed a crime. What is at issue is that certain intentions are ascribed to me from which consequences are later derived that are beyond the expertise of any conceivable lawyer. The point here is that the truth about the events in the former Yugoslavia has to be told here. It is that which is at issue, not the procedural questions, because I’m not sitting here because I was accused of a specific crime. I’m sitting here because I am accused of conducting a policy against the interests of this or another party…..

The prosecution, that is the United States and its allies, had not expected a real defence of any kind. This is clear from the inept indictments, confusion as to the actual charges, the complete failure to bring any evidence that could withstand even basic scrutiny. The prosecution case fell apart as soon as it began. But once started it had to continue. Nato was locked into a box of its own making. If they dropped the charges or if he was acquitted, the political and geostrategic ramifications were enormous. Nato would have to explain the real reasons for the aggression against Yugoslavia. Its leaders would face war crimes charges. The loss of prestige cannot be calculated. President Milosevic would once again be a popular political figure in the Balkans that they could not deal with. Since there was no real evidence against him, the only way out for Nato was to end the trial but without releasing Milosevic or admitting the truth about the war. This logic required his death in prison and the abandonment of the trial.

One of the writers was engaged by the family of President Milosevic to investigate his death and determine what could be done to bring those responsible to some justice. It is now clear that this objective cannot be realised without a full public and international inquiry into the circumstances of his arrest, his detention and the circumstances of the trial. There is much to be learned. The wikileaks revelation that the UN detention unit commander McFadden, had provided information on Milosevic
to the US embassy in violation of his role and prison rules, and subsequent whitewash of these actions by the ICTY sheds light on who really controlled the situation and is an important circumstance to be investigated in relation to his death. The Parker Report itself, the report issued by Judge Parker of the ICTY soon after the death provides a clear basis for such an inquiry. It contains within it circumstances that require thorough investigations and the calling and examination of witnesses. The ICTY prison rules call for an inquiry according to the kaws of the host nation in the event of the death of a prisoner. In the Netherlands, this entails a simple police inquiry. But if the ICTY had been based in Britain, the inquiry would have to be a public one with the hearing of witnesses and the presentation of evidence. Since this matter concerns the death of a head of state and in UN hands, a simple inquiry conducted by the Dutch police, the police of a Nato state are worthless. The only way forward is an international public inquiry.

This analysis of the Parker Report sets out the grounds for seeking such an inquiry.

Its purpose is to determine whether the Parker Report provides a basis for a criminal case to be made against the ICTY authorities of the UN who are responsible for his death. This analysis is necessary as we are unable to have access to all the information available concerning his death which has been refused to us and because no public inquiry has been conducted into the circumstances leading up to his death.

President Milosevic died between 7am too 9am alone in his cell. The Report states on page 4 that the guards failed to check on Milosevic even though he did not respond to the guards attempt to wake him . The Report states that “The actions of the guard in not taking a closer look at Mr. Milosevic cannot be fairly criticised in the circumstances as they represented themselves to the guard at the time.”

However, the circumstances at the time included the fact that Milosevic was reporting hearing problems, was being seen by several teams of doctors and had complained the night before of chest pains. This must have been noted in the logbook for those in charge of his prison wing and known to the Commanding Officer and all his staff. So, it is disturbing that the guard did not immediately check to see if he was alright and, if not, that he did not summon immediate medical attention. Yet no inquiry seems to have been made by anyone, including Judge Parker, as to why the guard was not questioned and his instructions determined. If the guard had not been made aware of Miloevic’s condition-why was that not done? For all anyone knows his death could have come at 9am, just as the guard went to the cell and perhaps he was revivable at that point.

A more disturbing fact is that information exists that the surveillance cameras in his cell were turned off the night before he died and no explanation has been given as to why. What would the cameras have recorded if they had been working?

The cell was not checked again until 10:05am. It took 30 minutes for Dr. Falke to arrive after that. In that time no attempt to resuscitate Milosevic was made.

This amounts to gross negligence. They assumed he was dead. No one bothered to try to stimulate the heart until a doctor came. There is no reason given in the Report why they failed to take this basic step. Was it due to lack of training, that they did not care, something else?

Dutch coroners do not arrive until 6 hours later-at 16:15 and then 4 hours after that they take the body to the morgue. There is no reason given for the delayed arrival of the coroners. But this delay would affect any toxicological tests as with time substances degrade and disappear. Why was there such a long delay in this team arriving when it concerned such an important person?

The Report sets out Milosevic’s physical condition in some detail when he first arrived and after. It states that the UN treating cardiologist advised the Tribunal that he required reduced trial days and less stress due to his condition. It was known as far back as 2003 that he had heart problems that were significant.

The Report confirms that on December 12, 2005, Milosevic, in open session asked to be allowed to go to Russia for treatment which request was denied over two months later on February 23, 2006. Milosevic appealed this refusal on March 2, just before he died on March 11.

This is proof that CO McFadden and his staff were very aware of Milosevic’s state of health and makes it difficult to swallow the Report’s conclusions that the guards have no responsibility in the matter.

Milosevic died as he was preparing a very important witness, Momir Bulatovic, President of Montenegro. This witness never testified and nor have the rest of the defence witnesses been allowed to present the evidence so that Milosevic had the chance to present to the world his defence in toto. Instead of accepting to hear the evidence already scheduled and then rendering a judgement for the deceased-the trial was abruptly cancelled. To whose benefit was this? Clearly only to NATO.

In April 2006, Dr. Zdravko Mijailovic informed the Parker Inquiry that he had been forbidden to assist the Inquiry with his observations by the interference of the “authorities of Serbia and Montenegro”. Conveniently the Inquiry did not press the Serbian “authorities” to cooperate with the ICTY, a remarkable fact when ICTY pressure against Serbia has always been
rewarded with action.

The question is raised; why the Serbian “authorities” interfered in such an important matter. The Report does not state who exactly interfered not in what form and if in writing where the document now is. One would think the government of Serbia would want to assist in the Inquiry not withhold evidence relevant to it. This makes it look as if the Serbian ‘authorities” wanted to suppress facts for their own interests. Why and what were those interests?

The Report states that no traces of rifampicin had been found in the autopsy yet it had been found in his blood from a sample dated the 12th of January 2006. The Report states, “Rifampicin is an antibiotic usually used to treat leprosy and tuberculosis, which has a side effect by which the therapeutic effect of some antihypertensive drugs can be diminished or neutralised.”

It has this effect because it eliminates other drugs from the body more rapidly. This begs the question as whether it was used to mask other drugs or a poison.

One possibility is that the Report states that aside from several hypertension drugs and tranquilizers, the Institute fur Rechtsmedizin, Universtatsklinikum, in Bonn, Germany, “noted that there has been an indication of a possible but unconfirmed presence of a conversion product of droperidol, an antipsychotic, in the urine.”

The Report states that this drug had never been administered to him or prescribed. (page 11). And that, “this could have no relevance to his death.”

Yet it is clearly relevant as droperidol is also an anaesthetic and can be used to sedate patients and its presence risks a drops in blood pressure and death and is not recommended for older persons. Clearly the presence of both rifampicin on January 12 and droperidol later are relevant especially when rifampicin speeds up the metabolism of drugs like droperidol and droperidol itself has a very rapid rate of breakdown in the body. Less than two hours by some reports. Add to this the unexplained delay in the arrival of coroners at the site of death of 6 hours and the further 4 hour delay until taken to the morgue and a further delay until an autopsy the next day and a reasonable person can ask why Parker would say these facts combined together are not relevant and make no further inquiry.

At paragraph 36 the Report states that Milosevic died of a heart attack and that Dr. Bokeria of Russia agrees with this. But this does not explain what caused the heart attack to occur at the time it did. We have asked for all the reports discussed in the Report but have been told we cannot have them.

Paragrphs 40, 41, 42 of the Report detail the initial examination and treatment of Milosevic on arrival at the ICTY prison and after. At paragraph 42 the Report states,

“Dr. Mijailovic in 2001noted further that Mr. Milosevic was at a high risk of a stroke, a heart attack, a sudden cardiac death, or a sudden malignant heart rhythm disorder … for which he recommended several medications and reduction of “workload, stress…” Despite this diagnosis, the trial commenced instead of being postponed until Milosevic was in a better condition.

In other words, the Tribunal, instead of acting according to doctors instructions and reducing his stress, deliberately decided to increase it with an order to commence the trial which began in February 2002. H

(Message over 64 KB, truncated)


(srpskohrvatski / italiano)

Incontro europeo delle gioventù comuniste

1) I giovani comunisti europei riuniti a Istanbul (Red. Senza Tregua)
2) 13. Sastanak komunističkih omladina Evrope (SRP)
3) SKOJ ušestvovao na skupu u Istanbulu


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I giovani comunisti europei riuniti a Istanbul

Redazione Senza Tregua – 28 febbraio 2017

Si è conclusa due giorni fa a Istanbul la 13° edizione del MECYO, l’incontro europeo delle gioventù comuniste, ospitato dalla Gioventù Comunista di Turchia (TKG) fra il 24 e il 26 febbraio. Presenti all’incontro le delegazioni di 15 organizzazioni provenienti da Grecia (KNE), Portogallo (JCP), Spagna (CJC e UJCE), Germania (SDAJ), Cipro (EDON), Serbia (SKOJ), Paesi Bassi (CJB), Russia (RKSMb), Repubblica Ceca (KSM), Croazia (MS), Polonia (CPP) e Catalogna (JCC). Dall’Italia era presente una delegazione del Fronte della Gioventù Comunista (FGC), che nel 2016 ha ospitato a Roma il 12° MECYO.
L’incontro si è aperto il 24 febbraio con il titolo “A 100 anni dalla Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, teniamo alta la bandiera dell’Ottobre! Rafforziamo la lotta della gioventù in Europa per una nuova società senza guerre imperialiste, crisi, rifugiati, disoccupazione, povertà e sfruttamento capitalistico. Il nostro futuro è il socialismo”. I lavori si sono aperti con una conferenza sulla lotta della gioventù contro guerra, disoccupazione e sfruttamento e sull’attualità della Rivoluzione d’Ottobre. Nel pomeriggio del 25 febbraio si è tenuto un seminario sulla propaganda e le politiche anticomuniste in Europa. Il 26 febbraio le delegazioni hanno incontrato Kemal Okuyan, segretario del Partito Comunista di Turchia (TKP). Il pomeriggio è stato invece dedicato a due iniziative pubbliche con la SDAJ e la RKSMb, rispettivamente dedicate agli sviluppi della crisi dei rifugiati in Germania e alla lotta di classe in Russia a 100 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre.
Molto ottimiste le valutazioni della delegazione italiana in merito all’incontro: «La discussione fra le organizzazioni presenti è stata molto positiva» – ha affermato il responsabile della commissione internazionale del FGC – «Abbiamo fatto i complimenti ai compagni turchi, che con l’organizzazione di questo incontro nonostante la difficile situazione del loro paese hanno dato una grande prova di forza. Questo incontro segna indubbiamente un passo avanti verso un sempre maggior coordinamento dell’attività delle gioventù comuniste europee, in favore del quale il FGC si è sempre espresso».


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13. Sastanak komunističkih omladina Evrope (MECYO)

Između 24. i 26. veljače 2017. godine u Istanbulu održan je 13. Sastanak komunističkih omladina Evrope (MECYO) na kome je prisustvovao predstavnik Mladih Socijalista Socijalističke Radničke Partije Hrvatske. Domaćin ovog događaja bila je Komunistička omladina Turske (TKG). Učešće na njemu ove godine uzelo je 30 delegata iz 13 zemalja predstavljajući ukupno 15 omladinskih organizacija. Ovogodišnji MECYO je posvećen stogodišnjici Velike socijalističke Oktobarske revolucije. Ovogodišnja konferencija održana je pod geslom: “Učeći stotinu godina nakon Velike socijalističke Oktobarske revolucije, borimo se za socijalističku budućnost!”

Konferencija 24. veljače održana je pod sljedećim naslovom: “Dižemo zastavu Oktobra sto godina nakon Velike socijalističke Oktobarske revolucije! Jačajmo borbu mladih Europe za novo društvu, u kojemu imperijalistički ratovi, krize, izbjeglice, nezaposlenost, siromaštvo i kapitalistička eksploatacija neće postojati. Socijalizam je naša budućnost!”

Prvog dana sve organizacije su pročitale referat u kome se opisivalo stanje svojih zemalja i razdoblje socijalističke izgradnje ukoliko su dolazile iz bivših socijalističkih zemalja, povezavši ih s tekovinama Velike socijalističke Oktobarske revolucije.

Drugog dana je održan seminar pod temom: “Da bi opovrgnuli antikomunističke laži koje se šire u institucijama kapitalističkog sustava, potrebno je analizirati objektivne razloge buržoaskog straha od komunizma, braneći baštinu SSSR-a i narodnih republika Europe borimo se protiv antikomunizma”. Rasprava na seminaru dokazala je da antikomunizam ima u suštini mnoge zajedničke značajke, ali se javlja u različitim oblicima u pojedinim zemljama.

Dana 26. veljače, međunarodna delegacija sastala se sa sekretarom centralnog komiteta Komunističke partije Turske, drugom Kemalom Okuyanom s kojim je održan razgovor o političkoj situaciji u Turskoj. Nakon toga, sudjelovali su na dva predavanja. Prvo o imigrantskoj krizi i njenom utjecaju na klasnu borbu u Njemačkoj. Drugo predavanje je održano pod naslovom “Klasna borba u Rusiji sto godina nakon Oktobarske revolucije”.

Tokom uspješnog 13. MECYO dogovarane su aktivnosti u svim zemljama kako bi se tokom cijele godine obilježavala 100. godišnjica Oktobarske revolucije.

Na Sastanku prihvaćene su dvije rezolucije: “O podršci Sirijskom narodu u borbi protiv imperijalizma” i “O solidarnosti s drugovima izloženim antikomunističkom nasilju”.


Član Izvršnog Odbora Mladih Socijalista Socijalističke Radničke Partije Hrvatske

Davor Rakić


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SKOJ UŠESTVOVAO NA SKUPU U ISTANBULU 

Između 24. i 26. februara 2017. godine u Istanbulu održan je 13. po redu sastanak komunističkih omladina Evrope (MECYO) na kome je učešće i ove godine uzeo Savez komunističke omladine Jugoslavije. Domaćin ovog događaja bila je Komunistička omladina Turske . Učešće na njemu je ove godine uzelo 15 omladinskih organizacija. SKOJ su na ovom skupu predstavljala dva delegata, Bojana Đorđević, članica CK SKOJ-a Milan Petković, član sekretarijata SKOJ-a. Ovogodišnji MECYO je posvećen stogodišnjici Oktobarske revolucije.

Prvog dana sve organizacije su  imale ovodnu reč u kojoj su povezivale današnju situaciju u svojoj zemlji i socijalističku izgradnju u njoj ukoliko dolaze sa postsocijalističkog prostora sa tekovinama Velike oktobarske socijalističke revolucije. Posebnu pažnju izazvao je tekst SKOJ-a koji je propraćen i diskusijom i kasnijim čestitkama i dodatnim pitanjima članova organizacija učesnica. Nakon toga se pristupilo dvodnevnom sastavljanju zajedničke deklaracije ovogodišnjeg sastanka.

Drugog dana je održan ideološki seminar „Naši zaključci nakon 100 godina od Velike oktobarske socijalističke revolucije. Borimo se za socijalizam koji je budućnost!“. I u ovom seminaru je SKOJ uzeo učešće.

Trećeg dana organizacije koje dolaze iz zemalja u kojima se događaju trenutno važna društvena kretanja su održale predavanje koje su pored delegata MECYO-a slušali i članovi Komunističke omladine Turske(TKG). Ova predavanja su održana u kulturnom centru Komunističke partije Turske koji nosi naziv slavnog turskog komunističkog pisca, Nazima Hikmeta. Prvo predavanje je bilo o izbeglicama, i držala ga je organizacija iz Nemačke, zemlje koja je cijl izbeglica sa bliskog istoka, SDAJ. Drugo predavanje je bilo posvećeno Oktobarskoj revoluciji i reviziji istorije u Rusiji. Ovo predavanje je držala organizacija RKSM(B) iz Rusije.

SKOJ je ovime nastavio sa praksom međunarodne proleterske solidarnosti i organizovanja na internacionalnom što će i u budućnosti biti slučaj.

 

Sekretarijat SKOJ-a,

01. 03. 2017.




(русский / english / italiano)


O.S.C.E.: UNA ISTITUZIONE INUTILE, OPPURE DANNOSA?


Sono passati oramai molti anni da quando la missione OSCE in Kosovo, anziché svolgere il compito di sorveglianza e mediazione per il quale era stata istituita, contribuì in maniera determinante a far scatenare la guerra di aggressione dei paesi della NATO, inclusa l'Italia, per lo smembramento di ciò che restava della Federazione jugoslava. 
All'epoca (gennaio 1999) fu William Walker, capo-missione statunitense già noto per i servizi prestati a sostegno delle forze "contras" in America Latina, ad organizzare all'uopo la provocazione di Račak – una sfacciata montatura a favore dei terroristi pan-albanesi dell'UCK.
Da un paio d'anni ritroviamo l'OSCE all'opera in Donbass, Ucraina sud-orientale, dove gli incessanti attacchi da parte dell'esercito controllato dal regime sciovinista di Kiev passano bellamente inosservati. 
C'è allora da chiedersi: a CHE COSA serve questa OSCE? Non certo alla tutela della pace. A CHI serve? Non certo alle popolazioni civili dei territori martoriati. 
(a cura di Italo Slavo)


OSCE, L'OSSERVATORE CHE NON VEDE

(PandoraTV, 9 mar 2017) L'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, avrebbe il compito di monitorare il conflitto nel Donbass, con particolare riferimento alle azioni contro i civili. Ma, come documentato da questo video, quando avviene un attacco o un bombardamento, le automobili con la scritta OSCE fanno inversione e vanno da un'altra parte... (Traduzione per Pandora tv a cura di Generaldin)



=== FLASHBACKS DAL DONBASS (in ordine cronologico):

Ucraina, allarme Osce sull'orrore bombe a grappolo (venerdì 6 febbraio 2015)
L'Osce certifica quel che denunciavano i filorussi di Ucraina: l'esercito di Kiev spara contro i civili del Donbass ordigni a frammentazione e prosegue nelle stragi...

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Citizens of Donbass: Blood of civilians on OSCE observer's consciousness | Eng Subs (Vox Populi Evo, 7 ago 2015)
source: https://youtu.be/v9TPPokqZ4k
Hundreds of inhabitants of Donetsk protested before the hotel where members of OSCE observation team reside...

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OSCE Shamed for Not Reporting Kiev’s Atrocities in Donbass

(06.08.2015) Hundreds of people gathered outside the OSCE office in Donetsk, demanding unbiased monitoring of the humanitarian situation in the region.
“Your silence is killing children”, read one of the many posters held by the protesters.
Several OSCE representatives came out to meet the protesters but refrained from making any comments.
“If only the OSCE had monitored the situation more objectively, we would have had peace here a long time ago… The OSCE monitors are telling us nothing, saying only that they will make protocols, nothing else,” Donetsk News Agency quoted one of the protesters as saying.
Another protester, from the nearby town of Gorlovka, shamed the monitors for keeping mum while the Ukrainian military was reducing his town to rubble.
The demonstrators then left, leaving behind a collection of dolls, teddy bears and other children’s toys, which they had smeared with red paint to symbolize the blood of children in the Donbass region who had been killed by Ukrainian troops.

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Another anti-OSCE rally in Donetsk, August 6th | Eng Sub (Vox Populi Evo, 9 ago 2015)
Thursday morning few hundred residents of Donetsk came to the protest rally at the Park Inn hotel, where OSCE monitors are staying. The goal was to express their discontent with the work of special monitoring mission of OSCE in Donbass. People accused the OSCE employees of lack of objectivity.
The OSCE representatives came out to meet the protesters. According to "Interfax", the OSCE mission promised people to visit areas which are bombed daily by the Ukrainian forces.
"We are visiting on a regular basis the shelled areas and city districts you mentioned. We promise you that we will visit them once again. Thank you for being here today, and we'd like to emphasize that we are not against peaceful rallies and meetings, "- said the OSCE representative to the protesters.

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OSCE Missions Infiltrated By Intelligence Services – Willy Wimmer (07.08.2015)

Former OSCE vice-president Willy Wimmer admitted that the Organization had been misused several times. For instance during the war in Yugoslavia, its missions were infiltrated by intelligence staff, he told Sputnik.
About 500 OSCE observers are currently monitoring the situation in eastern Ukraine, causing criticism among many Donbass residents.
People in eastern parts of Ukraine accuse the organization of biased reporting on the conflict. Donbass activists even recently organized a protest in front of the OSCE base in Donetsk to express its disapproval of the Organization’s activities.
According to former OSCE vice-president Willy Wimmer, the demo was a warning and an important lesson for the Organization.
It should not be like that, that one has to demonstrate before the OSCE finally starts to do its job, Wimmer told Sputnik.  The Organization should perceive it as a warning and take it into account in its further activities, he added.
The official also noted that there had already been bad experiences in the past, when the Organization was misused and its work — since the war in Yugoslavia — has been infiltrated by intelligence staff.
Another weak point of the OSCE activities, according to Wimmer, is its transparency shortcomings.
The work of the observers may well be very careful. But you never know what happens with their official reports on their way to the OSCE Ministerial Council, Wimmer said, adding that there were cases when the reports were rewritten by American operatives.
Nevertheless, Wimmer hopes that the Organization will eventually return to its original vision and play its key role in the prevention and resolution of military conflicts in accordance with its mandate.

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(Proteste anti-OSCE a Lugansk) Митинг в Луганске прошел под офисом ОБСЕ (News-Front, 9 ago 2015)

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Ukraine: OSCE vehicles torched in Donetsk (RT, 9 ago 2015)
Vehicles on the Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE) mission parking space in Donetsk were covered up on Sunday, after four armoured vehicles of the special mission in Ukraine were burnt the previous night...

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Donbass, ispettori OSCE attaccati in zona sotto controllo forze Kiev (Sputnik, 10.04.2016)
Nel villaggio di Zhovanka, situato nel centro di Zaytsevo controllato dalle forze di sicurezza di Kiev, è stata attaccata una pattuglia della missione di monitoraggio dell'OSCE. Gli osservatori hanno riferito di aver trovato riparo dalle granate nascondendosi dietro la macchina...
http://it.sputniknews.com/mondo/20160410/2446778/Ucraina-bombardamento.html

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Proteste a Donestk: l’Osce non vede (PTV news 23 maggio 2016)

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FSB accuses Ukrainian special services of using OSCE mission as spy cover in Donbass

(18 Jul, 2016) Ukrainian special services are using international groups like the OSCE as cover for intelligence gathering operations and sabotage in the self-proclaimed Lugansk republic, the FSB reported, referring to the testimony of a detained Ukrainian agent.
“The testimony and documents received by the FSB counter-intelligence from [Ukrainian citizen] Shestakov unambiguously demonstrate that Ukrainian special services illegally use the OSCE mission in the Lugansk People’s Republic to collect military data and organize acts of sabotage,” the Federal Security Service’s Center for Public Communications reported on Monday.
“The disclosed facts prove that the Ukrainian special services ignore international law,” the message read.
Shortly beforehand, the FSB reported that Artyom Shestakov – an interpreter working for the Special Monitoring Mission for Ukraine of the Organization of Security and Cooperation in Europe – had been detained on Russian territory and uncovered as an agent of the Ukrainian Security Service, the SBU. Shestakov confessed that in the summer of 2015 he traveled to Kiev and was recruited to work as an agent for SBU when he was already working for the OSCE mission. The man disclosed his alias as Svarog (the name of one of Slavic pagan gods) and said the name of his handler as Sergey Slipchenko from the Directorate for Protection of National Statehood.
Russian counter-intelligence officers said that Shestakov gathered information about the political economic and military situation in the republic and transferred it to the SBU. In particular, he gave Kiev the coordinates of Lugansk’s militia units, the cellular phone numbers of their commanders, and data about the movements of troops and combat vehicles.
The conflict in eastern Ukraine, which many now describe as a civil war, began in April of 2014, when the freshly installed nationalist regime in Kiev sent military forces and neo-Nazi “volunteer units” to the country’s southeastern regions of Donetsk and Lugansk, which refused to recognize the coup-imposed government in the capital.
According to UN estimates, over 9,000 people have died in two years of constant fighting, many of them civilians, including women and children. In February of 2015, the warring sides managed to secure a peace deal through the mediation of Russia, Germany, and France. However, the conflict is still far from settled.
In late May, Russia and Ukraine conducted a prisoner exchange in which a Ukrainian military officer named Nadezhda Savchenko was swapped for Yevgeny Yerofeyev and Aleksandr Aleksandrov, who are both Russian citizens. Savchenko was serving a prison term in Russia after being convicted of complicity in killing two Russian reporters who were covering the military conflict in Donbass, as well as of illegally crossing the Russian border. The two Russians had been jailed in Ukraine for “terrorist activities” – a term used by the court in Kiev to describe the fight of the self-proclaimed republics of Donetsk and Lugansk for more autonomy. Both of them had pleaded not guilty.
In mid-June, Russia and Ukraine conducted another prisoner swap in which Ukrainian citizens Yury Soloshenko and Gennady Afanasyev, who had been detained on terrorism and espionage charges in Russia, were exchanged for Vitaly Didenko and Elena Gluschinskaya – Ukrainian journalists sentenced to prison by the Kiev regime on charges of separatism.
On June 15, Russian presidential press secretary Dmitry Peskov told reporters that he did not exclude the possibility of more prisoner exchanges between Kiev and Moscow.

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Kiev attacca, l’OSCE scappa (PTV Speciale, 3.2.2017)
L’Osce, inviata a Donetsk per verificare il mantenimento degli accordi di Minsk, abbandona la città prima dell’attacco scagliato da Kiev sulla città del Donbass avvenuto nella serata di ieri, 2 febbraio 2017...

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«Проходимцы! Никакого толку от них!» - жители Донецка о наблюдателях ОБСЕ (News-Front, 7 feb 2017)

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Kiev respinge la proposta del piano di pace della DNR (08.02.2017)
Kiev ha respinto la proposta dell'autoproclamata repubblica popolare di Donetsk per regolarizzare la situazione in Donbass, l'OSCE l'ha ignorata, ha detto ai giornalisti mercoledì il capo del comando operativo Edward Basurin... Basurin ha aggiunto che il vice capo della missione OSCE, Alexander Hug, ha rifiutato di fare il mediatore in questo processo di negoziazione, "ignorando la nostra iniziativa"...
https://it.sputniknews.com/mondo/201702084045054-kiev-piano-osce-pace-donbas/

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Donbass, “OSCE apri gli occhi” (PTV news 15 Febbraio 2017)
VIDEO: https://youtu.be/J9z5cokk6_o?t=3m5s




Nel 96.mo Anniversario della Comune di Albona (Istria)


96. GODIŠNJICA LABINSKE REPUBLIKE


UZ 96. GODIŠNJICU POBUNE RUDARA, DOGAĐAJA POZNATOG KAO


LABINSKA  REPUBLIKA


1. II. 1921. godine, vraćajući se iz Trsta, istaknuti sindikalni i socijalistički vođa Ivan Pipan napadnut je i maltretiran u Pazinu od strane fašista. Po dolasku predstavnika vlasti, fašisti su već bili otišli, a Pipanu su savjetovali da više ne dolazi u Pazin.

Stigavši u Vinež, o događajima u Pazinu informirao je rukovodstvo sindikata, a vijest o tome proširila se Labinštinom. Ozlojeđeni tim, a i ostalim nasillnim ispadima fašista, sindikat donosi odluku o stupanju u protestni štrajk koji je počeo 2. III. 1921. u 13 sati.

Štrajk je prešao prvobitno zamišljene okvire. Razvio se u pobunu i pokret političkog, ekonomskog i revolucionarnog karaktera. Trajao je 37 dana, a ugušen je vojnom intervencijom. U njemu je učestvovalo više od 2.000 ljudi, pripadnika najmanje sedam različitih nacionalnosti.

Vjerodostojnih dokumenata iz Socijalističke stranke Italije ili iz sindikalne federacije nema pa se sva saznanja o događaju baziraju na službenim talijanskim izvorima i na kazivanju svjedoka. Po tome izlazi da je odluku o štrajku donijela sindikalna federacija 2. III. prije podne. Prijedlog je podnio sekretar federacije Ivan Pipan.

Za sljedeći dan, 3. III. sazvana je skupština u 9 sati u Vinežu na koju je došlo i mnogo mještana iz okolnih sela. Na skupu je potvrđeno stupanje u štrajk u znak protesta protiv sve većeg fašističkog terora. Po svršetku skupa došlo je do incidenta između štrajkaša i fašista prilikom čega je bilo i povrijeđenih.

Nacionalni zadružni konzorcij za proizvodnju ugljena i njihovih ekstrakata iz Firence pozvao je rudare proglasom da od dotadašnjih vlasti ugljenokopa u Italiji preuzmu u svoje ruke rudnike ugljena i njihovih ekstrakata. Poziv je glasio ovako:

RUDARI !

Vi sigurno znate da je u ovo posljednje vrijeme konstituiran,  sa sjedištem u Firenci, Nacionalni zadružni konzorcij za industriju ugljena i njihovih derivata.

Konzorcij je zadružna asocijacija radnika.

Njegovo se članstvo sastoji isključivo od radnika: on pripada Generalnoj konferenciji rada i Nacionalnom savezu kooperativa. Cilj  Konzorcija je u tome da se u formi zadruga iskorištavaju rudnici, isključujući odatle državnu birokraciju i kapitalističku špekulaciju. Naš je program da bez plaćanja odštete zaposjednemo ugljenokope, proširujući to dalje i na ostale grane ekstraktne industrije. Socijalizacija podpovršine je krajnji cilj za kojim teži djelovanje Konzorcija. IZ SVIH RUDNIKA TREBA DA BUDU UKLONJENI VLASNICI, privatni kapitalisti i izrabljivači radničkog truda!

U svakom rudniku neka se konstituira po jedna radnička zadruga, organ Konzorcijakoja treba da preuzme upravu rada pod svojim rukovodstvom. SVE KORISTI I DOHODAK INDUSTRIJE TREBA DA PRIPADNU RADNIČKOJ MASI!

Konzorcij namjerava da na području rudarstva započne novi život, novi početak rada i neposredna oživotvorenja velikih socijalnih ideala koje razvija  radnički svijet…

Ovaj poziv odaslan je prije 2. III. i sa sigurnošću možemo pretpostavit da je Ivan Pipan bio u Trstu radi zauzimanja stavova o tome.

Osim napada fašista na Pipana i poziva Konzorcija iz Firence, na odluku o izlasku u štrajk utjecalo je i opće stanje u rudnicima, niske plaće, slabi uvjeti života, visoke norme.

Oktobra 1920. godine, rudari su sklopili s upravom nepovoljni kolektivni ugovor. Po njemu, za jedan dan neopravdanog izostanka s posla mjesečno, imao je za posljedicu gubitak cijele zarade. Zatim, prethodni austrijski sistem priznavao je 24 praznika godišnje, a novi talijanski 12.

Sam tok štrajka govori o visokom stupnju organiziranosti. Štrajku se pridružio i dio uprave. Postavljen je i novi direktor, rudari su preuzeli rudnike, postrojenja, separaciju na Štalijama, skladište eksploziva i luku Brščica.

Formiran je Centralni komitet koji rukovodi svim aktivnostima. Organizirano je prikupljanje hrane u okolnim selima. Osnovane su Crvene straže koje su branile pristup rudniku, minirana su skladišta, rudarska okna, separacija, a u svrhu obrane od napada. Naoružanje kojim su rudari raspolagali sastojalo se od desetak pušaka, nešto bombi i revolvera i eksploziva.

Zadatak komiteta bio je i održavanje reda i mira, rješavanje eventualnih sporova, a uhapšena je i grupa rudara sa Sicilije koja je surađivala s vlastima.

Preuzimanje rudnika pod parolom „KOVA JE NASA“, isticanje crvene zastave i obnova proizvodnje, bili su ona razdjelnica koja dijeli klasični štrajk od pobune, odnosno revolucionarnog pokreta koji se dogodio u ovom slučaju. Štrajk podrazumijeva prestanak radnih aktivnosti. Ovdje imamo slučaj da su radnici 21. III. nastavili s vađenjem ugljena, ali za svoj račun.

7. IV. isplovio je brod pun ugljena iz luke Štalije koji, međutim, nije bio isplaćen zbog gušenja pokreta.

Iako je među fašistima prevladavala želja da se pobunjeni rudari napadnu, već na početku vlasti nisu bile sklone takvom ishitrenom rješenju. Računali su da će štrajk biti kratak, a i kao nova vlast na ovom području priželjkivali su prihvaćanje, a ne odbojnost domicilnog stanovništva.

Kako je vrijeme odmicalo tako se kod vlasti učvršćivalo saznanje o potrebi razbijanja štrajka. To je vršeno kombiniranim konkretnim akcijama u više pravaca: pregovorima, pokušajima podmićivanja i prijetnjama. Kako sve to nije dalo rezultata, 7. IV. dana je naredba da se nasilno zauzme Labinština. U tu svrhu angažirano je oko 1.000 dobro naoružanih vojnika, a u Štalije su uplovila dva ratna broda s vojskom.

Vlasti su u razgovoru s Pipanom predložile rudarima kapitulaciju, što je sindikalni vođa u ime rudara odbio i prihvatio borbu s vojskom. Vojna akcija protiv rudara započela je 8. IV.  u jutarnjim satima kod sela Štrmac. U 13 sati zauzet je rudnik u Krapnu. U 13:30 zauzet je rudnik u Vinežu. Skladište na Štalijama zauzeli su financi iz Pule. Izgleda da je svaki otpor rudara prestao u popodnevnim satima.

Na strani rudara poginula su dva rudara: Maksimilijan Orter i Adalbert Sikura, a bilo je i ranjenih. Na strani vojske bilo je dvoje ranjenih. Uhapšeno je 40-ak rudara koji su sprovedeni u zatvor u Rovinj, gdje su dvojica podlegla usljed zlostavljanja.

Istraga je trajala sedam mjeseci, a glavna rasprava zakazana je 16. XI. 1921. godine pred Okružnim sudom u Puli. Ukupno su bila optužena 52 rudara.

Iz optužnice je vidljivo da  su vlasti štrajk i događaje na Labinštini tretirale kao uspostavljanje sovjetskog režima. Tužilac tretira optužene kao pobunjenike, a branitelji smatraju da su optuženi u nepovoljnijem položaju u odnosu na slično optužene u Italiji jer se na njih primjenjuju austrijski zakoni. Traže da se na njih primijeni dekret o amnestiji.

Kako novoj vlasti koja se još učvršćivala nije bilo stalo do zatezanja odnosa s lokalnim stanovništvom, donesena je oslobađajuća presuda i rudari su pušteni kućama.

Dio rudara, bojeći se represija, emigrirao je u Jugoslaviju i druge evropske zemlje i Ameriku. Centralni rudarski komitet se raspao, ali aktivnost rudara na Labinštini nije prestajala.

Životne su prilike bivale sve teže pa je u augustu 1922. g. ponovno izbio

štrajk koji nije bio uspješan kao prethodni jer je i nova vlast u međuvremenu ojačala. Tom je prilikom dosta rudara otpušteno.

30. X. 1922. g. na vlast dolazi Musolini, Squadre d’azione krstare gradovima i selima i teroriziraju stanovništvo.

27. IV. 1923. g. dekretom se daju ovlaštenja da se slavenski nazivi naselja promjene u talijanska, a isto to je učinjeno i s prezimenima u nastojanju talijanizacije Istre.

Novonastala Komunistička Partija Italije postaje onaj politički subjekt u kojemu rudari prepoznaju sebi najbližu političku opciju. U Crvenu federaciju, koju vodi Komunistička partija, učlanjeno je 850 rudara.

U izvještaju fašističke milicije od 9. VI1. 1925. godine navodi se: „Grad Labin je, kao što je poznato, uvijek glavni centar boljševizma u Istri.“

Usprkos nastojanja fašista da onemoguće bilo kakvu aktivnost, 1925. g. rudari ponovno štrajkaju. Tom su prilikom izborili 25%  povećanje plaće.

6. XI. donesen je zakon o zaštiti države po kojemu je osnovan SPECIJALNI SUD ZA ZAŠTITU DRŽAVE koji je najviše sudio komunistima i ostalim rodoljubima.

Imajući u vidu događaje koji su se odvijali i dostupna saznanja o njihovoj uzročno-posljedičnoj vezi i postavljenim ciljevima, nameće se pitanje: je li  LABINSKA REPUBLIKA imala u sebi elemente državnosti? Iz analiza svjedoka i dokumentacije nema potvrda da je LABINSKA REPUBLIKA zbog toga proglašena niti formalno organizirana. Narod  je govorio o SLOBODNOJ REPUBLICI. U štampi ovaj se pokret nazivao: LA REPUBBLICA ROSSA, SAN MARINO COMUNISTA  ili COMUNE PARIGINA ISTRIANA.

Drugo pitanje koje se nameće: da li je ta zamisao bila utopija? Uzimajući u obzir ukupno stanje stvari, ne bi se to moglo reći. Naime, rudari su bili duboko uvjereni da je Italija pred revolucijom i da je samo pitanje vremena kad će ona izbiti. Treba imati na umu da se događaj o kojemu je riječ zbio za manje od četiri godine nakon uspjele Oktobarske revolucije u Rusiji i svega dvije godine nakon neuspjele Berlinske revolucije u Njemačkoj. Za pretpostaviti je da se tim uvjerenjem vodio i Nacionalni zadružni konzorcij iz Firence prilikom upućivanja proglasa rudarima u Italiji.  U tom kontekstu oni svoju akciju nisu vidjeli kao izolirani slučaj.

U stvari, bila je to istinska prirodna emancipatorska želja čovjeka za svojim oslobođenjem i željom da ovlada rezultatima svoga rada. Pokušaj realizacije Marxove misli „tvornice radnicima“drugim riječima: samoupravljanje.

To je na ovim prostorima uspjelo dva i pol desetljeća kasnije kada su bili ispunjeni i ostali socijalni, klasni i povijesni uvjeti potrebni za ostvarenje tih vrijednosti. A epizoda Labinske republike svakako je poslužila kao dobar putokaz i korisno iskustvo u izgradnji potrebne klasne svijesti, ali i revolucionarne prakse, nadolazećoj generaciji koja je ideju uspješno sprovela.

 

Vladimir Kapuralin




A 73 anni dalla strage di Pozza, Umito e Pito

1) Pozza di Acquasanta Terme (AP), 13 marzo 2017: Commemorazione nell'Anniversario della strage
2) Sulla strage nazifascista di Pozza, Umito e Pito


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Inizio messaggio inoltrato:

Da: Partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana <partigiani7maggio @ tiscali.it>
Oggetto: A 73 anni dalla strage di Pozza
Data: 7 marzo 2017 22:10:44 CET

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Lunedì 13 marzo 2017 si tiene a Pozza di Acquasanta Terme (AP) la commemorazione del 73.mo Anniversario delle stragi nazifasciste di Pozza, Umito e Pito – 11 marzo 1944 – in cui caddero 15 jugoslavi, 11 italiani tra cui una donna e una bambina, due greco-ciprioti, due inglesi, uno statunitense. Altri antifascisti jugoslavi furono uccisi nelle vicine frazioni di Collefrattale e Arola. 
Partecipare alla commemorazione quest'anno, dopo gli eventi sismici e metereologici che hanno sconvolto quelle zone, rappresenta tra l'altro un atto di solidarietà e vicinanza per comunità che molti anni fa hanno fornito generosa accoglienza a chi ne aveva bisogno, pagando per questo un prezzo assai caro.
11 MARZO 1944 – 11 MARZO 2017
La S.V. è invitata a partecipare alla Cerimonia Commemorativa dei fatti partigiani dell'11/03/1944 di Pozza ed Umito, che si svolgerà  POZZA presso il Cimitero Internazionale Partigiano.

LUNEDÌ 13 MARZO 2017

In ricordo di quanti caddero combattendo per la difesa dei supremi valori di libertà, democrazia e giustizia e perché il sacrificio di molti sia esempio di vita per tutti, si terrà presso il Sacrario di Pozza di Acquasanta Terme (AP) una cerimonia commemorativa dei fatti partigiani dell'11/3/1944.

PROGRAMMA

ORE 10:00 CIMITERO PARTIGIANO
Raduno delle Autorità e dei cittadini
ORE 10:30 Deposizione delle corone di Alloro ed onori ai caduti. Interventi degli alunni dell'ISC di Acquasanta Terme. Orazioni ufficiali.
ORE 11:30 SANTA MESSA

Il Sindaco di Acquasanta T. 
Sante Stangoni
Il Presidente della Provincia
Paolo D'Erasmo
Il Presidente ANPI sez. Acquasanta T.
Giuseppe Tosti
Il Presidente ANPI Comitato Provinciale
Pietro Perini
Sulla strage di Pozza, Pito e Umito si veda la scheda nell'Atlante delle stragi nazifasciste in Italia

Sul Cimitero internazionale partigiano di Pozza (Acquasanta Terme AP) si veda la sezione dedicata sul nostro sito

Una lapide è collocata nel muro di cinta dello stesso Cimitero:
 
Trovammo qui
Fede, madre, pane, fucili.
I morti lo sanno.
I vivi non dimenticheranno.

Fiumi di sangue 
divisero due Popoli.
Li unisce oggi
il sacrificio
dei Compagni migliori

Compagno,
quando vedrai piangere mia madre,
dille di non piangere.
Non sono solo.
Giace con me
un Compagno jugoslavo.
Nessuno ardisca gettare fango
sul sangue versato
nella lotta comune
=== * ===  I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA Storie e memorie di una vicenda ignorata   Roma, Odradek, 2011 pp.348 - euro 23,00   Per informazioni sul libro si vedano: Il sito internet: http://www.partigianijugoslavi.it La scheda del libro sul sito di Odradek: http://www.odradek.it/Schedelibri/partigianijugoslavi.html La pagina Facebook: http://www.facebook.com/partigianijugoslavi.it   Ordina il libro: http://www.odradek.it/html/ordinazione.html   === * ===

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c/o JUGOCOORD ONLUS, C.P. 13114 (Uff. Roma 4)
Rome, Rm  00100
Italy


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Sulla strage nazifascista di Pozza, Umito e Pito

Quanto segue è tratto da: I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA (Odradek 2011), Cap.4, pp.125ss.
Per le FOTOGRAFIE si veda al link diretto: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/cap4.htm#iii_ext_pozza


Appena trascorsa la mezzanotte del 10 marzo un nutrito gruppo di tedeschi, accompagnati e guidati da elementi fascisti della provincia e del comune di Acquasanta, stabilì di salire verso le frazioni di Pozza, di Pito e di Umito. La loro intenzione era quella di accerchiare il gruppo di partigiani di Umito e di Pozza ponendosi in tre posizioni diverse e cogliendo la popolazione nel sonno... Non pochi dovevano essere gli “accompagnatori” del luogo, conoscitori dei sentieri, dei viottoli e delle scorciatoie... Evidentemente per i tedeschi non era stato difficile avere la collaborazione di abitanti del comune di Acquasanta e dello stesso maresciallo Melchiori, che conoscevano tutta la difficile zona della valle del Garrafo, come le proprie tasche. Appena fu l’alba la diabolica trappola scattò per Pozza. ((Di Domenico 2001, pp.63-64.))

Il massacro di Pozza, Umito, Pito e dintorni coinvolse numerose persone di nazionalità diversa, di diversa età e compiti o coscienza antifascista, uomini e donne, addirittura una bimba di un anno. Durante la risalita della valle da parte dei nazifascisti, la mattina dell’11 marzo, alcuni abitanti furono presi prigionieri a Pozza. Durante la risalita della valle da parte dei nazifascisti, la mattina dell’11 marzo, alcuni abitanti furono presi prigionieri a Pozza. Il primo ad essere ucciso, crudelmente nonostante implorasse pietà, con cinque colpi di pistola direttamente dal Melchiori in divisa da SS, fu il giovane Emidio Collina [...] Una sventagliata di mitra invece si portò via Serafino Cesari, Pietro Patulli e Mariano Castelli, allineati al bordo della strada. Molti altri avrebbero potuto essere i caduti a Pozza se non fosse giunta voce che più su, a Umito, i partigiani stavano reagendo. [...] Era scoppiato l’inferno. Vistisi circondati, i partigiani avevano aperto il fuoco contro i tedeschi: alcuni combattenti furono uccisi mentre lottavano, tra questi Gregorio Schiavi e alcuni montenegrini che furono colpiti mentre uscivano dalle finestre per raggiungere altre posizioni. Martina Cristanziani fu abbattuta dai tedeschi dinanzi al suo bambino; la piccolissima Anna Sparapani perì nelle fiamme della sua casa, incendiata dai nazifascisti; altri caddero benché disarmati e persino estranei ai fatti bellici. La battaglia ebbe termine verso mezzogiorno, quando si contavano più di 30 morti, tra cui alcuni tedeschi che furono cremati sul posto. Altri militari saccheggiarono i viveri dalle case per poi appiccare il fuoco.  [...] 

Drago fu testimone indiretto di quegli avvenimenti. Quell’11 marzo si dirigeva nella direzione opposta, verso Pietralta, in base al piano di autodifesa che avevano elaborato con il suo gruppo.

Passai vicino al ruscello di Morrice, correndo per arrivare quanto prima a Pietralta. Siccome stavo correndo fui individuato dalla direzione di San Giovanni e Ferone, e cominciarono a spararmi con i fucili. Sentivo i proiettili accanto, perciò saltellavo sull’altipiano muovendomi come fossi sul campo di battaglia. [...] Arrivai dove inizia il cimitero di Morrice, il contadino con la famiglia era dall’altra parte. Si fermò un momento e gridò verso di me: Scappa, torna indietro, ci sono i tedeschi davanti a noi! [...] Non potevo andare né avanti né indietro! Si doveva decidere cosa fare. La neve era alta e soffice, perciò fuori dal sentiero non si poteva andare [...] Ad un certo momento si sono sentiti due spari dall’altra parte del torrente Castellano, che sono proseguiti cupamente con il rumore della lotta in corso, dalla direzione di Pozza e Umito. Era chiaro che si stava svolgendo lì lo scontro, e l’ho avvertito fino alle 11 quando il rumore si è interrotto bruscamente. [...] Calava la sera quando lasciai quel luogo, in cui avevo trascorso tutta la giornata. Camminavo sulle impronte del mattino, attraverso l’acqua, verso il cimitero... 





DI CHE PARLIAMO?

Cosa resta di Sana’a, capitale yemenita (PandoraTV, 7 mar 2017)

Più di 10mila le vittime, 40mila i feriti, più di tre milioni gli sfollati, 12 milioni le persone che rischiano la morte per fame e inedia. La tragedia dello Yemen, il paese più povero del mondo arabo ma che ha la disgrazia di trovarsi in posizione strategica, affacciato sul Golfo di Aden, si sta compiendo nell’indifferenza dell’Europa. La grande macchina dei media occidentali ha volutamente oscurato quanto accade in questo Paese per non disturbare i monarchi sauditi ed i lucrosi traffici che gli Usa e i Paesi europei svolgono con le petromonarchie. Oltre a bombardamenti indiscriminati, che proseguono incessanti dal 25 marzo 2015 da parte della coalizione del Golfo, guidata da Arabia Saudita e sostenuta da Usa e Gran Bretagna, lo Yemen è sottoposto a un embargo per via marittima e aerea, imposto attraverso navi da guerra saudite e statunitensi che pattugliano il Mar Rosso e il Golfo di Aden. Senza considerare che anche i porti di attracco sono stati bombardati...




(hrvatskosrpski / italiano)
 
Madonna del Malaffare
 
1) Tiziano Renzi: << Io a Medjugorje lo sa da quando ci vado? Dal ‘93... Ma guai a chiamarla Jugoslavia. >>
2) Medjugorie, il vescovo di Mostar: la Madonna non è mai apparsa
3) Ratko Perić, biskup: MEĐUGORSKA „UKAZANJA“ U PRVIH SEDAM DANA
 
 
Su Medjugorje e dintorni si vedano alla nostra pagina dedicata https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/prebilovci.htm :
• Link e documenti utili
• Michael E. Jones: IL FANTASMA DI ŠURMANCI: REGINA DELLA PACE, PULIZIA ETNICA, VITE DISTRUTTE
• James Martinez: LA REGINA DEI PROFITTI (2000) 
• INTERVISTA a E. Michael Jones, autore di due libri sulle apparizioni della Madonna a Međugorje (marzo 2008)
• Giancarlo Bocchi: MEDJUGORJE, LA FABBRICA DELLE APPARIZIONI
• News
 
 
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«A Fiumicino con mister X? Nessun segreto: è solo un manager»

Tiziano Renzi: «Ho visto Comparetto della Fulmine, un’azienda di spedizioni. Altro che uomo del mistero!». La messa a Rignano sull’Arno e la riunione al circolo dem. «Dimettermi dalla carica nel Pd? Non vedo perché, il partito è garantista»

di Virginia Piccolillo, 5 marzo 2017
 
Scende dalla Touran nera respingendo con durezza l’agguato delle telecamere: «Voglio solo essere lasciato in pace! Questo è stalking». Agguanta una 48 ore nera dal bagagliaio e poi entra nella Pieve di San Leolino respingendo le domande: «State violentando la mia vita privata». In chiesa si siede come al solito all’organo, tira fuori dalla valigetta gli spartiti e, dopo aver duettato con un flauto, intona: «Perdonami Signore, ho molto peccato». (...)
 
Ci parli dei suoi viaggi a Medjugorje che condivide con il suo amico Carlo Russo.

«Ecco lo vede. Mi dica un po’ lei se è normale? Poi dice: “Oh perché tu t’infuri?”». 

Le sto facendo una domanda. Di Medjugorje lei dice di aver parlato al manager di Consip, Luigi Marroni, nel suo incontro a Santo Spirito. 

«Io a Medjugorje lo sa da quando ci vado? Dal ‘93». 

Durante la guerra in Jugoslavia? 

«Sì. Partivamo da Rignano e portavamo aiuti alla povera gente. Ma guai a chiamarla Jugoslavia. È un posto che ho proprio nel cuore. Ma che ne sapete voi?».
Ma questa storia della statua della Madonna che ha chiesto a Marroni di mettere all’Ospedale Meyer ce la spiega? E poi all’ospedale c’è stata messa davvero?

«Questo non glielo posso dire perché c’è l’indagine». (...)
 
 
 
=== 2 ===
 
 
Medjugorie, il vescovo di Mostar: la Madonna non è mai apparsa
 
di Franca Giansoldati, 28 Febbraio 2017

Città del Vaticano - Le apparizioni della Madonna di Medjugorie sono una fiction, una gigantesca truffa collettiva, oppure sono davvero frutto di un fenomeno soprannaturale e inspiegabile? Il vescovo di Mostar, Ratko Peric, sul sito della diocesi, ha pubblicato una lunga riflessione dalla quale emerge di avere pochi dubbi: «Sebbene si sia detto che le apparizioni dei primi giorni potrebbero essere ritenute autentiche e che poi sarebbe sopraggiunta una sovrastruttura per altri motivi, in prevalenza non religiosi, questa Curia ha promosso la verità anche riguardo a questi primi giorni». Insomma, tolto l’inizio del fenomeno, quando i bambini raccontavano le visioni e Medjugorie era un paesino sperduto su una collina brulla, tutto il resto è da prendere con le pinze.
L’intervento del vescovo di Mostar è stato pubblicato alla vigilia dell’arrivo nella cittadina bosniaca dell’inviato del Papa, il vescovo polacco scelto per mettere ordine nel ginepraio economico del santuario dove oggi tutto appare come un grande business, gli alberghi, i ristoranti, gli shop, i souvenir. Peric racconta che dopo aver trascritto dai registratori le audiocassette contenenti i colloqui avvenuti, nella prima settimana delle apparizioni (1982) nell'ufficio parrocchiale di Medjugorje, tra il personale pastorale e i ragazzi e le ragazze (che avevano affermato di aver visto la Madonna, «con piena convinzione e responsabilità») ha illustrato i motivi per cui «appare evidente la non autenticità dei presunti fenomeni. Se la vera Madonna, Madre di Gesù, non è apparsa – come infatti non è – allora a tutto sono da applicare le seguenti formule: sedicenti veggenti, presunti messaggi, pretes” segno visibile e cosiddetti segreti».
«Nel corso del mio ministero episcopale, prima da coadiutore (1992/93) e poi da ordinario, con prediche e pubblicazioni di libri (Sedes Sapientiae 1995, Speculum iustitiae 2001, La Madre di Gesù 2015) e di una cinquantina di articoli mariani e mariologici, ho cercato di presentare il ruolo della Beata Vergine Maria nell'incarnazione ed opera del Figlio di Dio e suo Figlio, e la sua intercessione per tutta la Chiesa, di cui lei è Madre secondo la grazia. Nello stesso tempo ho rilevato, come fu fatto anche dal mio predecessore, il vescovo Pavao Žanić, la non autenticità delle apparizioni, che finora hanno raggiunto la cifra di 47.000. Questa Curia ha cercato sempre di informarne la Santa Sede, in particolare i Sommi Pontefici San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Qui riportiamo succintamente una serie di punti inerenti ai primi giorni delle „apparizioni“, per cui siamo profondamente convinti di quanto detto».
Una figura ambigua. La figura femminile che sarebbe apparsa a Medjugorje secondo il vescovo di Mostar si comporta «in modo del tutto diverso dalla vera Madonna, Madre di Dio, nelle apparizioni riconosciute finora come autentiche dalla Chiesa: di solito non parla per prima; ride in maniera strana; a certe domande scompare e poi di nuovo ritorna; obbedisce ai veggenti e al parroco che la fanno scendere dal colle in chiesa sebbene controvoglia. Non sa con sicurezza per quanto tempo apparirà; permette ad alcuni presenti di calpestare il suo velo steso per terra, di toccare la sua veste e il suo corpo. Questa non è la Madonna evangelica».

 
=== 3 ===
 
IN ENGLISH: THE FIRST SEVEN DAYS OF THE “APPARITIONS” IN MEDJUGORJE
 
 
MEĐUGORSKA „UKAZANJA“ U PRVIH SEDAM DANA
VIJESTI 28. February 2017.
 

Budući da „Crkva Boga živoga“ jest „stup i uporište istine” (1 Tim 3,15), sva dosadašnja istraživanja „međugorskog fenomena” išla su za tim da se ustanovi istina: jesu li ukazanja vjerodostojna ili nevjerodostojna? Constat vel non de supernaturalitate? Tomu je služila prva dijecezanska komisija u Mostaru: 1982.–1984., proširena komisija: 1984.-1986., komisija Biskupske konferencije u Zagrebu: 1987.–1990., komisija Kongregacije za nauk vjere u Vatikanu: 2010.-2014. te vrjednovanje same Kongregacije: 2014.–2016., kako je bio odredio papa Benedikt XVI. A sve se našlo u rukama Svetog Oca Pape Franje.

Stajalište ovog Ordinarijata kroz sve ovo vrijeme bilo je jasno i odlučno: nije riječ o vjerodostojnim ukazanjima Blažene Djevice Marije.

Iako je bilo ponekad govora o tome da bi se ukazanja prvih dana mogla smatrati istinitima, a potom je nadošla „nadgradnja“ drugih, ponajviše nereligioznih elemenata, ovaj je Ordinarijat promicao istinu i s obzirom na te prve dane. Nakon što su presnimljene i prepisane audiokasete koje sadržavaju razgovore pastoralnog osoblja u župnom uredu u Međugorju, u prvih tjedan dana, s dječacima i djevojčicama koji su tvrdili da im se ukazala Gospa, s uvjerenjem i odgovornošću iznosimo razloge i zaključke o nevjerodostojnosti navodnih ukazanja. A ako se prava Gospa, Isusova Majka, nije ukazala – kao što nije – onda su sve to samozvani vidioci, tobožnje poruke, tzv. vidljivi znak i navodne tajne.

U vrijeme svoje biskupske službe, najprije koadjutorske (1992./93.) potom ordinarijske, svojim propovijedanjem, objavljivanjem knjiga (Prijestolje mudrosti 1995., Ogledalo pravde 2001., Isusova majka 2015.) te još pedesetak marijanskih i marioloških članaka, nastojao sam obrazlagati ulogu Blažene Djevice Marije u utjelovljenju i djelu Sina Božjega i Sina njezina, i njezin providnosni zagovor cijele Crkve kojoj je ona Majka po milosti. U isto doba isticao sam, na liniji svoga prethodnika sretne uspomene biskupa Pavla Žanića, nevjerodostojnost međugorskih ukazanja koja su do sada dosegnula brojku od 47 tisuća. Ovaj je Ordinarijat uvijek nastojao o tome izvješćivati Svetu Stolicu, napose Vrhovne svećenike: svetoga Ivana Pavla II., Benedikta XVI. i Franju. Ovdje sažeto donosimo niz točaka iz tih prvih dana „ukazanja“, koje nas u tu nevjerodostojnost duboko uvjeravaju.

Dvoznačna pojava. Ukazana žena, koja se navodno pojavila u Međugorju, ponaša se sasvim drugačije od istinske Gospe, Majke Božje, u ukazanjima koja je Crkva do sada priznala autentičnima. Redovito ne govori prva; čudno se smije; nakon određenih pitanja nestaje, zatim se ponovo vraća; pokorava se „vidiocima” i župniku da s brda siđe u crkvu, iako nevoljko. Nije sigurna koliko će se vremena ukazivati; dopušta nekima nazočnima da joj gaze po velu koji se vuče po zemlji, dopušta da joj se dodiruje odjeća i tijelo. Takva doista nije evanđeoska Gospa!

Čudan trepet. Jedan od „vidjelaca“, Ivan Dragićević, u razgovoru s kapelanom fra Zrinkom Čuvalom (1936.-1991.) kaže da je primijetio, prvoga dana, „trepet“ na rukama pojave.[1] Kakav „trepet“? Takva primjedba može pobuditi ne samo jaku sumnju nego i duboko uvjerenje da to nije autentično ukazanje Blažene Djevice Marije, iako se tako, navodno, predstavlja već četvrtoga dana.[2]

Obljetnica neistinita. Navodna su ukazanja započela 24. lipnja 1981. Međutim, režiseri „međugorskoga fenomena” odlučili su da se obljetnica ne slavi 24. nego 25. lipnja. Razlog takva izbora jest u tome što je 25. lipnja 1981. bilo, navodno, zajedno na „ukazanju” sve šestero „vidjelaca” probranih od više njih koji su se tih dana hvalili da su imali „ukazanja“. Pravu istinu, opovrgavajući ovu verziju Vicke Ivanković, kaže sam Ivan Dragićević, koji tvrdi: „Prvu sam večer bio s njima, drugu nisam“.[3] Od šestero uobičajenih „vidjelaca“, osim Marije Pavlović, i Jakov je Čolo prvi put bio na „ukazanju“ tek drugoga dana.[4] Prema tomu nadnevak je obljetnice proizvoljan, netočan, krivotvoren.

Ne/vidljivo dijete. Figura, koja se navodno ukazuje kao žena ima različite opise: neke „vidjelice“ vidjele su kao neko dijete prekriveno na rukama žene: Vicka i Ivanka Ivanković, [5] Mirjana Dragićević, [6] Ivanka to ponovo potvrđuje. [7] Ivan, međutim, izričito niječe da je vidio dijete, dok je, naprotiv, lako mogao vidjeti iz daljine „oči“ i „trepavice“ ženskoga lika.[8]

Varljivi znak. „Vidioci“ su od početka, od drugoga dana, tražili od svoje pojave neki „znak“ kao dokaz o vjerodostojnu ukazanju. Prema Ivanki, pojava je dala „znak“ o okrenutosti sata na Mirjaninoj ruci: „skroz se sat okrenuo“; „I ona je na satu ostavila znak“! [9] Više nego smiješno i čudovišno!

Ali redovito se događa da se, na vrlo čest zahtjev vidljiva znaka, svima pojava samo nasmiješi i nestane. [10] A ponekad se odmah vrati. U jednom trenutku upada vjernik imenom Marinko, koji vodi „vidioce“, sugerirajući im: ako „Gospa“ ne može dati znaka, „neka pita Isusa da joj pomogne“.[11]

Ivanka je sigurna da će pojava ostaviti znak na brdu, možda u obliku vode.[12] Čeka se skoro četiri desetljeća, nema nikakva znaka, ni vode, sve sama izmišljotina!

Neprotumačiva šutnja. U prvih sedam dana pojava ne poduzima nikakve inicijative, ne počinje govoriti prva.[13]Na pitanja „vidjelaca“ odgovara općenito, radije dvosmisleno, kimajući glavom,[14] odgađajući u budućnost, obećavajući čudo ozdravljenja i ostavljajući poruku svijetu: „Neka narod čvrsto vjeruje kao da me vidi“. I franjevcima: „Nek čvrsto vjeruju“ [tj. da se ukazala].[15]

Čudne poruke. Prvih dana, prema snimljenim razgovorima, ne vidi se nikakva svrha takozvanih ukazanja, ne opravdava se pojava, ne daje se nikakva posebna poruka ni za „vidioce“, ni za franjevce, osim da vjeruju da se „ukazala“, ni za vjernike župe, ni za svijet. A privatne su „poruke“ ove vrste:

Ivanki njezina majka, koja je umrla dva mjeseca prije toga, šalje poruku: „Slušajte babu jer je stara“.

Mirjani pojava kaže da je njezin pokojni „dedo dobro“, i da „ode na groblje“.

Ivanka je čula od pojave motiv "ukazanja" u Međugorju: „Zato što ima puno vjernika“.

Vicka je čula da je pojava došla da se „narod pomiri“.[16]

Ivan je čuo poruku: „Vi ste najveći vjernici“.[17]

Jakov jednostavno kaže: „Ovako, kad ja postavim pitanje, ja u sebi mislim da će mi ona tako reć i ona mi rekne tako”.[18] Sve sami umišljaj i izmišljaj!

Lažna proročanstva o lažnim ukazanjima. Na Ivankino pitanje koliko će dugo još ostati i ukazivati se, pojava odgovara: „Koliko god vi hoćete, koliko god vi želite“.[19]

Mirjana kaže da će pitati pojavu koliko će se dana još ukazivati i onda dodaje kako joj iz nje neki glas govori da će se još ukazivati „2-3 dana“. To ponavlja još jednom.[20]

Na pitanje župnika o. Zovke kada će prestati „ukazanja“, Vicka odgovara: „Ja mislim isto kad bi mi rekli da nećemo više dolazit, a da nam ostavi tačno neki znak, sigurno da bi prestalo”.[21] Znači li to: budući da tražena „znaka“ nema već 37 godina, zato „ukazanja“ ne prestaju!

Potom kategorična izjava pojave koja se „ukazala“ ne u Međugorju nego u susjednom Cernu, u utorak popodne, 30. lipnja 1981., da će se ukazivati još samo „tri dana“: 1., 2. i 3. srpnja 1981. U stvari, na pitanje župnikovo, koliko će se vremena još ukazivati, sve petero „vidjelaca“, osim Ivana, odgovaraju jednoglasno: „Tri dana“.22

Zatim pojava mijenja ideju i „ukazuje“ se već 37 uzastopnih godina svaki dan trima „vidiocima“ u skupini: Ivanu, Mariji i Vicki, a drugima troma jednom godišnje: Mirjani od 1982. godine, Ivanki od 1985. i Jakovu od 1998. Osim toga, dvoma spomenutih iz skupine pojava se „ukazuje“ jednom mjesečno od 2007. s „porukama“ svijetu: Mirjani točno 2. i Mariji 25. svakoga u mjesecu.

Različite haljine. Iz razgovora s „vidiocima“ pojava se oblači na razne načine. Ona je imala haljinu -

prema Ivanu: „plave boje“ prvoga dana; [23]

prema Ivanki: „kafe boje“ drugoga dana; [24]

prema ostalim „vidiocima“ – „sive boje“: Jakov,[25] Mirjana,[26] Ivanka šestoga dana.[27]

Više nervoza nego mir. Vidi se neka napeta nervoza u padanju „u nesvijest“ i na zemlju triju „vidjelica“, trećega dana, 26. lipnja: Ivanke, Mirjane i Vicke. „One su padale u nesvijest, meni ništa”, hrabri se Marija.[28] Vicka: „Velečasni, ja došla gore, donila one kršćene soli i vode. I velim ja: ako ne bude Gospa, otić će. Poškropit ćemo i da vidimo. Stvarno vidit ćemo. Došla ja: „U ime Oca i Sina i Duha Svetog. Amen. Ako si Gospa, ostani među nama; ako nisi, iđi!’“[29] Uporno traženje vidljiva „znaka” za ljude da im vjeruju. U većini razgovora spominje se znak, [30] i vidljivo je da su „vidioci“ nervozni jer nemaju vidljiva znaka.

Škandalozni dodiri. Nešto vrlo neobično i ozbiljno: pojava dopušta da joj neki iz mnoštva gaze ne samo njezin veo koji se proteže do zemlje, [31] nego i da joj dodiruju tijelo. Vicka je već dotiče drugi dan. „I kad je dirneš, velečasni, ovako, prsti odskoče“.[32] Isto ponavlja Ivanka i dodaje da, dodirujući njezino tijelo, osjeća kao da je „vazduh, nekako kao svila, sve nam se odmiču prsti ovako, kad je diramo, sve se prsti odmiču”.[33] Dali su i jednoj doktorici da se dotakne te pojave: „I, eto, ona je dirnila njenu haljinu”.[34] Takve priče o dodirivanju navodna Gospina tijela, njezine haljine i gaženja njezina vela stvaraju u nama i osjećaj i uvjerenje da se radi o nečem nedostojnom, nevjerodostojnom i škandaloznom. Samo možemo reći: To nije katolička Gospa!

Namjerne manipulacije. Sugovornik „vidjelaca“, fra Jozo Zovko, župnik, nervozan je

jer ukazana pojava ne šalje konkretne poruke za svijet i za franjevce;

jer s brda ne silazi u crkvu, gdje se nalazi njezin kip;

štoviše, pita može li se Gospu „obvezat” – doslovno tako! – da siđe i ukaže se u crkvi. O. Zovko: „Ali ovo me zanima, Mirjana, ako se Gospa ne pokaže u crkvi, možete li vi nju obvezat da ona se u crkvi pokaže, možda može, je li, šta misliš to?” Mirjana: „Ne znam. Nismo o tome razmišljali uopće”. O. Zovko ponavlja: „Ja mislim da bi mogla obvezati: ‘Gospe, tražim da mi se ukažeš u crkvi', šta misliš?” A onda Mirjana popušta i misli da bi „bilo isto bolje jer onda nas ne bi ni milicija ova tražila…”.[35] I tako se manipulacijski „ukazanja” premještaju u crkvu 1. srpnja 1981. Takvo „obvezivanje“ navodne Gospe da siđe i „ukazuje se“ u crkvi jest magična igra, a ne Kristovo Evanđelje!

Zaključak. Nakon komisijskih radova o „međugorskom fenomenu” u Mostaru slijedila je izjava biskupa Pavla Žanića u Međugorju, 25. srpnja 1987. Smisao biskupove izjave jest da je posve jasno da se u Međugorju ne radi o nadnaravnim pojavama i objavama. A nakon komisijskoga rada u Zagrebu, izjavu je dala i tadašnja Biskupska konferencija, u Zadru, 10. travnja 1991. Ona kaže: na temelju dotadašnjega istraživanja ne može se ustvrditi da se radi o nadnaravnim ukazanjima i objavama.

Imajući u vidu sve što je ovaj Biskupski ordinarijat do sada istraživao i proučavao, uključujući prouku prvih sedam dana navodnih ukazanja, može se mirno ustvrditi: Gospa se u Međugorju nije ukazala! To je istina koje se držimo, i vjerujemo Isusovoj riječi da će nas „istina osloboditi“ (Iv 8,32).

+Ratko Perić, biskup

 

[1] Kaseta 2 – razgovor: o. Zrinko Čuvalo – Ivan Dragićević, subota popodne, 27. VI. 1981.

[2] Kaseta 7 – razgovor o. Jozo Zovko – Mirjana Dragićević, nedjelja prije podne, 28. VI. 81.

[3] Kaseta 2 – razgovor: o. Zrinko Čuvalo – Ivan Dragićević, subota popodne, 27. VI. 1981.

[4] Kaseta 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović, subota prije podne, 27. VI. 1981.

[5] Kaseta 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović, subota prije podne, 27. VI. 1981.

[6] Kaseta 6 – razgovor o. Jozo Zovko – Mirjana Dragićević, subota popodne, 27. VI. 1981.

[7] Kaseta 11 – razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, nedjelja navečer, 28. VI. 1981.

[8] Kaseta 2 – razgovor: o. Zrinko Čuvalo – Ivan Dragićević, subota popodne, 27. VI. 1981.

[9] Kaseta 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović, subota prije podne, 27. VI. 1981.

[10] Kaseta 10 – razgovor: o. Jozo Zovko – Mirjana Dragićević, nedjelja navečer, 28. VI. 1981.

[11] Kaseta 13 – razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, utorak prije podne, 30. VI. 1981.

[12] Kaseta 13 – razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, utorak prije podne, 30. VI. 1981.

[13] Kaseta 13 – razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, utorak prije podne, 30. VI. 81.

[14] Kaseta 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović, subota prije podne, 27. VI. 1981.

[15] Kaseta 11 – razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, nedjelja navečer, 28. VI. 1981.

[16] Kaseta 1 – svi navedeni citati iz kasete 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović, subota prije podne, 27. VI. 1981.

[17] Kaseta 2 – razgovor: o. Zrinko Čuvalo – Ivan Dragićević, subota popodne, 27. VI. 1981.

[18] Kaseta 16 – razgovor o. Jozo Zovko – petero „vidjelaca”, utorak navečer, 30. VI. 1981.

[19] Kaseta 13. razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, utorak prije podne, 30. VI. 1981.

[20] Kaseta 14 – razgovor o. Jozo Zovko – Mirjana Dragićević, utorak prije podne, 30. VI. 1981.

[21] Kaseta 15 – razgovor o. Jozo Zovko – Vicka Ivanković, utorak prije podne, 30. VI. 1981.

[22] Kaseta 16 – razgovor o. Jozo Zovko – petero „vidjelaca”, utorak navečer, 30. VI. 1981.

[23] Kaseta 2 – razgovor: o. Zrinko Čuvalo – Ivan Dragićević, subota popodne, 27. VI. 1981.

[24] Kaseta 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović, subota prije podne, 27. VI. 1981.

[25] Kaseta 5 – razgovor o. Jozo Zovko – Jakov Čolo, subota popodne, 27. VI. 1981.

[26] Kaseta 6 – razgovor o. Jozo Zovko – Mirjana Dragićević, subota popodne, 27. VI. 1981. Također

kaseta 8 – razgovor o. Jozo Zovko – Jakov Čolo, nedjelja prije podne, 28. VI. 1981.

[27] Kaseta 11 – razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, nedjelja navečer, 28. VI. 1981.

[28] Kaseta 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović, subota prije podne, 27. VI. 1981.

[29] Kaseta 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović, subota prije podne, 27. VI. 1981.

[30] Kaseta 1, 2, 5, 6, 7, 9, 10, 11, 14, 15, 16.

[31] Kaseta 7 – razgovor o. Jozo Zovko – Mirjana Dragićević, nedjelja prije podne, 28. VI. 1981.

[32] Kaseta 1 – razgovor o. Zrinko Čuvalo – Ivanka i Vicka Ivanković i Marija Pavlović subota prije podne, 27. VI. 1981.

[33] Kaseta 11 – razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, nedjelja večer, 28. VI. 1981.

[34] Kaseta 13 – razgovor o. Jozo Zovko – Ivanka Ivanković, utorak prije podne, 30. VI. 1981.

[35] Kaseta 14 – razgovor o. Jozo Zovko – Mirjana Dragićević, utorak prije podne, 30. VI. 1981.

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8670 ]]


Kosovo: "Non pensavamo che tornassero terroristi..."

1) Kosovo, Vicepresidente a parlamentari italiani: "Non pensavamo che i nostri volontari mandati in Siria contro Assad tornassero terroristi"
Intervista a Emanuele Scagliusi (M5S) di ritorno da una missione della Commissione Affari esteri della Camera in Kosovo, 23/02/2017
2) Le bandiere dell'Isis nei villaggi dell'Albania. "Una polveriera per la Puglia" (La Repubblica Bari, 7.1.2017)
3) Lo Stato Islamico alle porte di casa. Nei Balcani crescono i network jihadisti (Sergio Cararo, 9 agosto 2016)


À lire aussi: GUERRE EN SYRIE : QUI ÉTAIT RIDVAN HAQIFI, LE CHEF DES COMBATTANTS KOSOVARS DE L’ÉTAT ISLAMIQUE ?
(Radio Slobodna Evropa | Traduit par Chloé Billon | lundi 20 février 2017)
Connu pour ses vidéos de propagande où il prédisait des « jours sombres » aux Balkans, le chef des combattants kosovars de l’État islamique, l’ancien imam de Gnjilan, Ridvan Haqifi, aurait été abattu en Syrie...


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23/02/2017

Kosovo, Vicepresidente a delegazione di parlamentari italiani: "Non pensavamo che i nostri volontari mandati in Siria contro Assad tornassero terroristi"


Come AntiDiplomatico abbiamo intervistato Emanuele Scagliusi (M5S) di ritorno da una missione della Commissione Affari esteri della Camera in Kosovo.


“Almeno cinque campi, di cui - se non tutto - l’impressione è che si sappia molto. Se la presenza di cellule fondamentaliste nell’area dei Balcani è cosa nota (due anni fa l’Espresso ne aveva censite una ventina in tutta la regione), adesso arriva la conferma dell’esistenza di un livello superiore. Prevedibile, per alcuni versi, ma finora mai resa nota più o meno ufficialmente: la presenza di campi di addestramento dell'Isis in Kosovo”. Iniziava così un articolo de l’Espresso che riportava la notizia dei cambi dell’Isis nello stato esperimento della NATO che come AntiDiplomatico avevamo anticipato di settimane.
 
Inquieta ancora di più pensare ai campi di addestramento in Kosovo alla luce di questa dichiarazione del vice Presidente del Parlamento kosovoro Xhavit Haliti rilasciata questa settimana: “Noi abbiamo semplicemente inviato dei volontari a combattere contro Assad in Siria, non credevamo che sarebbero tornati terroristi islamici". Inquietano, per il ruolo dell’Unione Europea e della Nato, queste "illuminanti" dichiarazioni di Haliti rilasciate ad una delegazione della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, nella quale era presente anche il deputato del Movimento Cinque Stelle Emanuele Scagliusi. Come AntiDiplomatico abbiamo avuto la possibilità di rivolgergli alcune domande.
 

ll Kosovar Center for Security Studies (Kcss) stima che il Kosovo sia oggi il principale serbatoio europeo pro-capite di foreign fighter dello Stato Islamico. La diffusione dell’Islam radicale si è spesso materializzata nella costruzione, attraverso grandi finanziamenti sauditi, di centinaia di moschee wahabite e nella distruzione di altrettante chiese cristiane e monasteri. Tutto il territorio kosovaro pullula da anni di imam radicali che predicano la guerra santa e operano come reclutatori nelle centinaia di moschee finanziate dalle monarchie arabe. Com’è possibile che tutto questo accada sotto gli occhi dell’apparato militare e di intelligence Nato e Ue che opera in Kosovo?
 
Nella mia recente visita in Kosovo abbiamo avuto una serie di incontri bilaterali con il Presidente dell’Assemblea della Repubblica del Kosovo, Kadri Veseli, con il Vice presidente dell’Assemblea, Xhavit Haliti e con la neoeletta Ministra per l’integrazione europea, Mimosa Ahmetaj.  Sono rimasto colpito dalla naturalezza con la quale il vicepresidente del Parlamento kossovaro ci ha raccontato il problema legato ai foreign fighters. “Noi abbiamo semplicemente inviato dei volontari a combattere contro Assad in Siria, non credevamo che sarebbero tornati terroristi islamici". Una frase inquietante che lascia ben intendere l'emergenza legata al terrorismo che sta vivendo il Kosovo. Un problema, quello dei foreign fighters, che rischia di diventare un'altra delle emergenze di questo Paese dove negli ultimi anni sono aumentate le moschee wahabite ed i centri in cui il fenomeno della radicalizzazione islamica aumenta, grazie ai finanziamenti che arrivano dai Paesi del Golfo e della Turchia.

Che ruolo giocano le Monarchie del Golfo in questo processo in corso nel Kosovo?
 
L’Arabia saudita, alleato Usa e Ue, è il più grande acquirente dell’equipaggiamento militare dei paesi balcanici. L’Arabia Saudita sostiene le forze jihadiste in Siria.
Credo che il cerchio si chiuda.
Un recente studio pubblicato dal BIRN (Balkan Investigative Reporting Network) sostiene che dal 2012, anno dell’inasprimento delle “primavere arabe”, ad oggi, ai paesi dei Balcani sono state comprate armi per un valore di 1.2 miliardi di euro da Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti e Turchia, molte delle quali smistate per poi essere usate nel conflitto siriano e in quello yemenita. I leader europei hanno fatto di tutto negli ultimi anni per tentare di bloccare la strada percorsa dai migranti che tentavano di raggiungere l’Europa passando per i paesi mentre non si sono preoccupati di mobilitarsi per fermare il commercio di armi che segue la medesima rotta balcanica che percorrono i migranti (con l’unica differenza che viene percorsa nella direzione opposta).
 
 
La crescente partecipazione di membri radicali tra le fila dello Stato Islamico e la posizione di hub strategico nel cuore dell’Europa sollevano seri elementi di criticità legati al ritorno dei combattenti in patria. “Questa situazione è potuta maturare nonostante le missioni internazionali presenti sul territorio, perché da tempo l’Europa e la Nato si disinteressano al Kosovo, e ai Balcani in generale, nonostante questa evoluzione fosse chiara da anni”. Sono parole del Generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo. Come procede il lavoro del contingente italiano in Kosovo?
 
Nella nostra missione, abbiamo visitato il contingente italiano presso la KFOR e la base dei Carabinieri della Multinational Special Unit (MSU). 
Con loro, abbiamo potuto visitare il Ponte di Mitrovica, uno dei luoghi simbolo del conflitto del ‘99 e teatro dei più recenti scontri connessi dalle perduranti tensioni interetniche tra minoranza serba e maggioranza di albanese. Attraversandolo, ho subito percepito, nonostante siano passati 18 anni, quali siano gli sconvolgimenti che le missioni "umanitarie" portano in paesi che con difficoltà nel corso della loro storia avevano raggiunto il loro precario equilibrio tra le diverse etnie, religioni e ideologie politiche.
Ricordo ancora le bombe del Governo D'Alema, spacciate per intervento militare in difesa dei diritti umani, che in verità hanno contribuito a rimescolare le tessere del puzzle balcanico. Tessere che faticosamente si cerca di rimettere in ordine.

Il Kosovo vuole entrare nell’Unione Europea. Secondo lei sono pronti?
 
Adesso il Kosovo, come un po' tutti i Paesi balcanici, ambisce ad entrare nell'Unione Europea e, dai discorsi che ho sentito dai loro parlamentari e rappresentanti di Governo, mi sembrava di essere tornato indietro di qualche decina di anni quando l'allora presidente del consiglio Prodi annunciava: "con l'euro lavoreremo un giorno in meno guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più". Previsione rivelatasi drammaticamente sbagliata. 
Il Kosovo rischia di cadere in una simile illusione. Per questo, in tutti gli incontri bilaterali avuti, ho illustrato loro la posizione del M5S su tutto quello che a nostro avviso va rivisto immediatamente in Europa: dalla moneta unica alla gestione dei profughi, dal mercato del lavoro a quello delle merci. Una serie di temi che prevedono nella nostra agenda politica una rivisitazione del principale trattati della UE. "O l'Europa cambia o muore".


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Terrorismo, le bandiere dell'Isis nei villaggi dell'Albania. "Una polveriera per la Puglia"

I fenomeni di radicalizzazione oltre l'Adriatico preoccupano l'intelligence italiana: sul territorio pugliese ci sono comunità originarie dei villaggi su cui sventolano le bandiere del Califfato

di GIULIANO FOSCHINI

7 gennaio 2017

È dal mare Adriatico che arriva oggi uno dei principali allarmi per il terrorismo in Italia. E la Puglia è frontiera di questo rischio. Nulla c'entrano i flussi migratori. L'allerta non riguarda né i barconi di disperati che attraccano per lo più sulle coste del Salento né le migliaia di richiedenti asilo che, in attesa del permesso di soggiorno, vengono portati nei Cara di Bari e Foggia o nell'hotspot di Taranto.

L'allarme arriva dall'Albania. Dove i nostri servizi di intelligence, così come quelli della maggior parte dei Paesi occidentali, hanno lanciato l'allerta radicalizzazione: in alcuni villaggi, e in particolare quelli ai confini del Kosovo, da tempo sventola la bandiera nera dell'Isis. E sono sempre più i casi di radicalizzazione. "Sta diventando una polveriera" ragiona una qualificata fonte investigativa italiana. "E in questo senso l'Italia diventa un paese esposto. E la Puglia in particolare". Questo per via della vicinanza geografica, della presenza di comunità fortemente radicate e per quegli stretti collegamenti tra criminalità organizzata e traffico internazionale di stupefacenti.

Il caso Albania. Sin dalla nascita dello Stato islamico un numero importante di foreign fighter è partito dai Balcani occidentali, e dall'Albania soprattutto. Se ne stimano mille almeno. Negli ultimi 12 mesi, però, il flusso si è notevolmente ridotto. Non è un caso: la perdita di terreno in Siria ha spinto l'Isis a bloccare i viaggi di chi si vuole arruolare per spostare, appunto, il conflitto in Occidente. Non a caso le intelligence europee segnalano una radicalizzazione sempre più profonda proprio in questi mesi. Un allarme che in un certo modo le autorità albanesi stanno cercando di fronteggiare.

Nove persone sono state condannate per reclutamento, si sta cercando di fare un lavoro sulle moschee seppur 89 sembrano essere completamente fuori controllo. I servizi albanesi hanno segnalato come "fortemente pericolosi" una decina di imam, due dei quali sono però in carcere. Il più pericoloso di loro, Almir Daci, dovrebbe essere morto ad aprile scorso in Siria: è lui che da Leshnica, la città nel sud-est dell'Albania dove reggeva la moschea che ha radicalizzato centinaia di uomini. I ragazzi di Leshnica, Zagorcan e Rremeni sono quelli che ora fanno tremare l'Europa.

La rete pugliese. Non sono città qualsiasi. In Italia vivono da tempo comunità originarie di quelle zone. In particolare in Puglia, con concentrazioni in Salento e in un comune della provincia barese. Un ragazzo di quelle zone, Ervis Alinj, si era trasferito in Puglia piccolo per poi ritornare a casa con i genitori in Albania. Qui si è radicalizzato e poco meno di due anni fa è morto mentre combatteva in Siria. Vengono dal sud-est albanese esponenti di spicco anche della malavita organizzata pugliese, che vivono da anni nel barese e sono attivi in particolare nel traffico di stupefacenti e in quello di armi.

Un fattore questo che rende ancora potenzialmente più pericolosa la situazione, in quanto legherebbe la criminalità organizzata con le organizzazioni terroristiche. Non a caso, sulla cellula albanese da tempo lavora la Dda di Bari. Un fascicolo è stato aperto dopo la strage di Nizza ma fin qui, più che una reale pista investigativa, si è trattato di una suggestione. Chokri Chaffroud, il complice di Mohamed Bouhlel, lo stragista di Nizza aveva vissuto per anni a Gravina, dove vive una delle comunità albanesi più importanti e, indagini alla mano, con più affari criminali. Ed erano proprio albanesi due presunti complici di Bouhlel, arrestati dopo la strage sulla Promenade con l'accusa di avergli offerto un supporto logistico per compiere l'attentato.

La prevenzione. Chiaro il rischio, in questi mesi si stanno prendendo tutte le contromisure affinché il pericolo resti potenziale. La Dna, la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo ha sottoscritto in estate un protocollo con i colleghi serbi che serve proprio a mettere in rete le informazioni. In questo senso il porto di Bari, considerato hub per il passaggio, è in grado di offrire un supporto fondamentale: ha un sistema informatico di registrazione dei passeggeri che consente di verificare alle forze di polizia in tempo reale chi, quando e soprattutto accompagnato da chi ha viaggiato.

Proprio grazie a questo software - unico in Italia - è stato possibile individuare Ahmed Dhamani, uno dei fiancheggiatori di Salah Abdeslam, il terrorista che assaltò Parigi il 13 novembre 2015. Nessuno conosceva il suo nome ma la Digos di Bari scoprì che i due avevano viaggiato insieme da Bari a Patrasso il primo e il 5 agosto, in quel viaggio in Grecia nel quale fu probabilmente organizzata la strage.



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Lo Stato Islamico alle porte di casa. Nei Balcani crescono i network jihadisti


di Sergio Cararo, 9 agosto 2016

Sembrerebbe una legge del contrappasso eppure è lo stesso scenario che si è ripetuto costantemente dall’alleanza con i mojaheddin afgani dal 1980 in poi. Gli Stati Uniti, la Nato e l’Unione Europea hanno disgregato gli stati esistenti – anche con i bombardamenti e le operazioni di regime change – hanno sostenuto militarmente i gruppi islamici e hanno consentito il loro rafforzamento economico e militare in enclavi protette e sostenute dal wahabismo saudita. Ma non è accaduto solo in Medio Oriente, è accaduto anche in Europa nella sua periferia balcanica. Una volta diradata la polvere dei bombardamenti (incluso quelli all’uranio impoverito) sul territorio dei Balcani sono rimaste quasi sempre basi militari Usa (in Kosovo, Croazia, Macedonia) e sono prosperati network legati alla jihad globale, sia di osservanza wahabita (legati all’Arabia Saudita) che di altre correnti (legati alla Turchia). Il risultato è che enclavi dello Stato Islamico sono assai più vicine ai confini europei di quanto la geografia e la cronaca abbiano lasciato intendere fino ad ora.

Sono stati infatti individuati diversi network jihadisti che hanno origine in Kosovo (dove in rapporto alla popolazione si segnala il numero più alto di foreign fighters andati a combattere in Siria e Iraq tra le file dell’Isis), Bosnia e Albania. In questi tre paesi balcanici nei quali la Nato è intervenuta militarmente tra il 1995 e il 1999 a sostegno delle ambizioni islamiche,   si è formata una rete di gruppi islamici radicali, che si ispirano a Lavdrim Muhaxheri, noto come il “’macellaio dei Balcani”, per le sue atroci esecuzioni al servizio del califfo Al-Baghdadi. Tra i cento soggetti  posti all’attenzione dalla polizia in Italia, ci sono persone provenienti da quelle zone: si tratta soprattutto di ex criminali con precedenti per spaccio di droga, tra cui anche donne. Proprio nel dicembre 2015 è stato individuato un gruppo di kosovari, di cui alcuni arrestati, che propagandava la Jihad  e che,  secondo gli investigatori,  aveva collegamenti con gruppi riconducibili a Muhaxheri. Quest’ultimo ha lavorato proprio dentro la base militare Usa in Kosovo, quella di Camp Bondsteel, all’ombra delle quale si segnalano ben cinque campi di addestramento dei miliziani islamici.

Il vero cuore dello Stato Islamico alle porte dell’Europa è proprio il Kosovo, uno stato fantoccio creato dai bombardamenti dalla Nato e riconosciuto come indipendente dalla maggioranza dei paesi europei (tranne la Spagna). Una inchiesta de L’Espresso rivela che Florin Nezir,  l’imam della moschea Sinaan Pasa Camii di Kacanik, è stato sostenuto in questi anni da Ilir Berisha e Jetmir Kycyku,  arrestati per terrorismo in un’operazione dell’ Eulex (la missione europea in Kosovo). Ma il grande sostenitore di Nezir è Lavdrim Muhaxheri, albanese, oggi uno dei capi dello Stato islamico, ex collaboratore della Kfor (la missione Nato in Kosovo dopo la guerra del 1999), famoso per essersi fatto ritrarre mentre decapitava prigionieri in Siria.

Il reclutamento di giovani jihadisti che partono per Siria e Iraq è un fenomeno diffuso in tutta l’area che si è ulteriormente aggravato con il ritorno di gruppi di foreign fighters. Diventati pedine importanti e anelli di congiunzione tra l’Europa e il Medio Oriente.
Da Kacanik sono partiti nel 2014 almeno 7 giovani di età compresa tra i 25 e i 31 anni, per andare in Siria e Iraq come foreign fighters al servizio dell’Isis. Il flusso si è ridotto con la legge sui foreign fighters approvata nel 2014 dal Parlamento di Pristina. Qualche mese fa, un’operazione congiunta di esercito e polizia ha portato all’arresto di cinquanta persone legate all’estremismo islamico e coinvolte nella partenza di combattenti per Siria e Iraq. Gli indagati (dati del 2015) sono 130, di cui un’ottantina  gli arrestati .
Ma non è solo il Kosovo a preoccupare tra i paesi dell’area balcanica: Bosnia, Macedonia, Sangiaccato serbo conoscono situazioni simili. Negli anni ‘90 in queste regioni attraversate dalla secessioni e dalle guerre civili che hanno contrapposto comunità musulmane a comunità ortodosse o cattoliche, è stato imponente l’ingresso in alcune aree di mujaheddin, finanziati dall’Arabia Saudita, ha contribuito a far crescere il numero dei musulmani wahabiti. La Nato, che ha sempre e solo bombardato la Serbia o la Repubblica Sprska in Bosnia, ha chiuso entrambi gli occhi rispetto a questa rilevante infiltrazione di foreign fighters nelle guerre balcaniche. “Due aspetti sono risultati fondamentali per l’espansione del wahabismo nei Balcani” scrive l’inchiesta de L’Espresso, “ la forza della propaganda grazie all’attività di associazioni sul filo della legalità da un lato, e i cospicui finanziamenti dall’altro. Tali correnti integraliste vanno collegate alla guerra del 1992-1995, quando in Bosnia giunsero alcune centinaia di volontari arabi e islamici (secondo altre fonti sono stati migliaia) per combattere a fianco dei musulmani bosniaci, inquadrati nell’esercito governativo”.

A  Bihac, in Bosnia,  c’è una fetta di territorio ormai sfuggito dal controllo statale (debole in un paese di fatto diviso, costruito e per lungo tempo gestito dalla Nato e dall’Unione Europea tramite commissari plenipotenziari), dove la polizia non entra e dove esiste una vera enclave dello Stato islamico. 
Comunità consistenti di musulmani integralisti bosniaci sono sorte in particolare nei villaggi di Bocinja, presso Maglaj, in Bosnia centrale, e Gornja Maoca, presso Brcko, dove periodicamente la polizia effettua blitz e retate di islamisti radicali. Secondo stime non ufficiali, sarebbero almeno 150 gli jihadisti partiti dalla Bosnia per combattere in Siria e Iraq, 50 sono rientrati in Bosnia e una ventina di loro finora sarebbero stati uccisi.
Gli anni della ricostruzione post guerra sono stati caratterizzati dall’arrivo di numerose organizzazioni umanitarie patrocinate da Paesi islamici: Alto Comitato saudita, Fondazione Al-Haramain, Società per la rinascita del patrimonio islamico.

In alcune zone della Bosnia come a Bihac, Teslic, Zeppe, Zenicae Gornja Maoca sono ormai presenti delle sacche wahabite dove si seguono alla lettera gli insegnamenti di Abu Muhammad al-Maqdisi, predicatore giordano-palestinese noto per le sue posizioni radicali. In queste regioni i wahabiti vivono secondo le leggi della Sharia seguendo gli insegnamenti di imam radicali come Husein Bilal Bosnic e Nusret Imamovic. Il villaggio di Gornja Maoca, situato vicino alla città di Brcko, risulta essere la stazione di transito, stando ad alcuni rapporti del Middle East Media Research Institute, attraverso la quale avviene il passaggio per jihadisti stranieri in viaggio per lo Yemen, l’Iraq e la Siria, e in questo contesto il nome di Bilal Bosnic ricorre frequentemente in relazione alle attività di trasporto dei guerriglieri.

Dai Balcani raggiungere la Siria risulta ormai molto facile: ogni grande città della regione è collegata con Istanbul, sia con pullman che con l’aereo. In seguito, stando alle indicazioni della polizia bosniaca, i volontari si muovono alla volta di Antakia, per attraversare la frontiera di Bab Al-Hawa con l’aiuto dei gruppi jiahdisti siriani, per raggiungere successivamente il Fronte al-Nusra.

Segnali preoccupanti vengono anche da un altro stato sorto nella stagione delle secessioni nella ex Jugoslavia: la Macedonia. Recentemente in una località al confine con il Kosovo, Kumanovo, si sono registrati scontri armati tra milizie islamiche macedoni e polizia con diversi morti soprattutto tra gli agenti. Secondo il portavoce della polizia macedone Ivo Kotevski, gli islamisti sarebbero entrati in Macedonia da un Paese confinante, l’Albania o più verosimilmente il Kosovo.. Questo accadeva solo tre settimane dopo che una quarantina di militanti kosovari aveva preso il controllo di una stazione di polizia sul confine rivendicando la creazione di una enclave indipendente albanese in Macedonia.
La componente estremista del wahabismo in Macedonia è stata poi coinvolta nei tentativi di assumere il controllo di alcune importanti moschee della capitale Skopje come Yahya Pasha, Sultan Murat, Hudaverdi e Kjosekadi.






Incessante propaganda mirata allo squartamento della Siria

1) LETTERA APERTA ad Amnesty International Italia
2) MOSTRA “CAESAR”: cosa ci tocca vedere a Milano. Il sindaco Sala ha nulla da dire?
3) E' INIZIATO IL LINCIAGGIO contro gli archeologi occidentali che "osano" collaborare con i colleghi siriani. Nel mirino anche PAOLO MATTHIAE, il più grande archeologo italiano vivente


Vedi anche:
L'Esercito siriano entra nella città di Palmira (1.3.2017). VIDEO e MAPPA:
Le prime immagini di Palmira liberata (2.3.2017):


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LETTERA APERTA ad Amnesty International Italia


Con il vostro Comunicato CS 028 – 2017 diffuso il 1° marzo, dopo aver genericamente parlato di inchieste sull’uso di armi chimiche riguardanti “tutti gli attori coinvolti nel conflitto in Siria”, rivelate, dalle parole della stessa Tadros,  il vero scopo del comunicato: attaccare il governo siriano impegnato da 6 anni in un durissima battaglia contro orde di terroristi e mercenari etero diretti dall’esterno che hanno il compito di distruggere e smembrare quello sfortunato paese; e attaccare nel contempo Russia e Cina colpevoli di volerlo salvare. Grazie ai loro veti infatti si è evitata la legittimazione di una ennesima aggressione “umanitaria”  da parte della Nato contro un Paese sovrano, come successo nel marzo del 2011 contro la Libia,  le cui conseguenze devastanti sono oggi sotto gli occhi di tutti!

Anche allora avete fornito al “mondo” utili coperture propagandistiche per giustificare bombardamenti e attacchi militari, accusando Gheddafi di orribili stragi di civili e stupri di massa ottenuti distribuendo fiumi di Viagra ai soldati governativi, salvo poi riconoscere, a distruzione del paese avvenuta, che si trattava di fatti non provati o falsità evidenti.

Riguardo alla Siria, avete sponsorizzato una mostra fatta di foto di cadaveri torturati anonimi, di cui  non era possibile accertare identità e circostanze della morte. Foto attribuite a un fantomatico agente siriano “Caesar” di cui non siete stati in grado di fornire né il nome né altre indicazioni, alimentando il generale sospetto che si tratti di pura invenzione.

In altra circostanza avete pubblicato dossier attribuibili all’opposizione armata terrorista e jihadista siriana, in cui si parla senza prove del fantomatico numero di 13.000 impiccati- tutti rigorosamente anonimi – nelle carceri siriane.

Siate certi che queste “informazioni”, prive di riscontri e caratterizzate da una evidente faziosità, sono accolte da un numero crescente di cittadini con sempre maggiore scetticismo, e sempre un maggior numero di persone apprezza il comportamento di Russia, Cina e altri Paesi. Grazie a loro la Siria, malgrado gli attacchi e la devastazione da parte di migliaia di mercenari armati, addestrati e finanziati dalle petromonarchie e dall’impero Usa, è riuscita a difendere e mantenere la sua integrità e sovranità.

Ripensateci ed agite con maggiore responsabilità e dignità.


Cordiali saluti
Vincenzo Brandi, Stefania Russo della Rete No War Roma.




COMUNICATO STAMPA                                                               
CS028-2017 

SIRIA, ALTRO VERGOGNOSO VETO DI RUSSIA E CINA AL CONSIGLIO DI SICUREZZA 

Russia e Cina hanno per l'ennesima volta usato il loro potere di veto all'interno del Consiglio di sicurezza per bloccare, il 28 febbraio, una risoluzione che avrebbe contribuito ad accertare le responsabilità per l'uso e la produzione di armi chimiche da parte di tutti gli attori coinvolti nel conflitto in Siria. 

"Ponendo il veto alla risoluzione, Russia e Cina hanno mostrato un palese disprezzo per la vita di milioni di siriani. Entrambi i paesi fanno parte della Convenzione sulle armi chimiche e anche per questo non c'è alcuna scusa per il loro comportamento", ha dichiarato Sherine Tadros, direttrice dell'ufficio di Amnesty International presso le Nazioni Unite. 

"Da sei anni la Russia, sostenuta dalla Cina, blocca le decisioni del Consiglio di sicurezza riguardanti il governo siriano. Questo atteggiamento impedisce la giustizia e rafforza la tendenza di tutte le parti coinvolte nel conflitto a ignorare il diritto internazionale. Il messaggio della comunità internazionale è che, quando si parla di Siria, non esiste alcuna linea rossa", ha aggiunto Tadros. 

Dall'inizio della crisi siriana, la Russia ha fatto ricorso per sette volte al diritto di veto. La risoluzione del 28 febbraio proponeva sanzioni nei confronti di singole persone collegate alla produzione di armi chimiche in Siria e un embargo su tutti i materiali che potrebbero essere usati per produrle in futuro. 

La proposta su cui Russia e Cina hanno posto il veto faceva seguito alla risoluzione 2118 del settembre 2013, redatta da Russia e Usa, che impone misure sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite sul "trasferimento non autorizzato di armi chimiche e su ogni uso di armi chimiche, da parte di chiunque, nella Repubblica araba siriana". 

Nell'agosto 2015 il Consiglio di sicurezza aveva anche adottato all'unanimità la risoluzione 2235, che aveva istituito un Meccanismo d'indagine congiunto per identificare i responsabili degli attacchi con armi chimiche in Siria. Da allora, il Meccanismo è giunto alla conclusione che tanto il governo siriano quanto il gruppo armato Stato islamico hanno compiuto attacchi con armi chimiche. 

"Il vergognoso atteggiamento della Russia è un ulteriore esempio di come Mosca usi il potere di veto per garantire al suo alleato, il governo siriano, che eviterà di subire conseguenze per i suoi crimini di guerra e contro l'umanità. Ora è di fondamentale importanza che il neo-nominato segretario generale Onu e gli stati membri del Consiglio di sicurezza agiscano con fermezza quando alcuni stati impediscono l'approvazione di risoluzioni per impedire o porre fine a crimini di guerra. Il Consiglio di sicurezza è diventato un luogo in cui fare sfoggio di posizioni politiche e il popolo siriano ne sta pagando il prezzo definito", ha concluso Tadros. 

FINE DEL COMUNICATO                                                       
Roma, 1 marzo 2017 

Per interviste: 
Amnesty International Italia – Ufficio Stampa 
Tel. 06 4490224 – cell. 348 6974361, e-mail: press@...


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Mostra “Caesar”: cosa ci tocca vedere a Milano. Il sindaco Sala ha nulla da dire?

Comunicato del Comitato Contro La Guerra Milano sulla mostra “Nome in codice Caesar”

Da venerdì 3 marzo giunge anche a Milano la mostra “Nome in codice Caesar: detenuti siriani vittime di tortura”, con il Patrocinio del Comune di Milano.

La stessa mostra era stata proposta, la scorsa primavera, alla Camera e al Senato della Repubblica, ma non accettata, poiché serve solo a “scatenare reazioni emotive facilmente strumentalizzabili”, aggiungiamo noi, finalizzate ad accusare il legittimo Governo della Repubblica Araba di Siria di “crimini contro l’umanità”.

I promotori di queste campagne, sono gli stessi che hanno giustificato e fiancheggiato i bombardamenti all’Iraq e alla Libia, motivati con “i falsi”, ampiamente dimostrati, dei bimbi Kuwaitiani uccisi nelle incubatrici da Saddam Hussein, o delle fosse comuni di Gheddafi e altre falsità, ormai conosciute in tutto il mondo, fino ad arrivare alle “famose” provette di antrace mostrate all’ONU dall’allora Segretario di Stato USA, Generale Colin Powell, di cui, persino lo stesso ex Primo Ministro britannico, Tony Blair, dovette scusarsi di fronte al mondo.

Tra i principali finanziatori di “Caesar” compare lo stesso Qatar, paese che, con Arabia Saudita e Turchia, è tra i principali sponsor delle bande armate islamiste della cosiddetta “opposizione siriana”, ISIS inclusa (a cui l’appoggio di questi paesi è ora conclamato), che dal 2011 hanno messo a ferro e fuoco la Siria e il vicino Iraq, provocando centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi in esodo verso l’Europa.

Per approfondimenti sulla mostra “Caesar” si legga il report di SibiaLiria e L’Antidiplomatico (Report sull’attendibilità delle “Foto di Caesar” e sulla relativa mostra – goo.gl/A0YDg8).

Questi approfondimenti legittimano il sospetto che molte di esse non raffigurino “ribelli uccisi da Assad”, ma “poliziotti e soldati uccisi dai ribelli”.

E’ preoccupante il sostegno che la mostra ha ricevuto dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, è inoltre oltraggioso e dannoso il Patrocinio del Comune di Milano, città simbolo della lotta per la Liberazione dal nazifascismo.

Chiediamo, quindi, spiegazioni all’Amministrazione del Comune di Milano, segnatamente nelle figure del Sindaco Sala e dell’Assessore Majorino, delle ragioni per cui hanno deciso di patrocinare questa mostra, vista la scarsa credibilità della stessa ed anche visto che all’interno della mostra si sono tenuti dibattiti dove hanno avuto modo di pontificare soggetti ripresi in trasmissioni televisive e più volte fotografati in manifestazioni di piazza a fianco di elementi jihadisti, come ad esempio Haisam Sakhanh (https://youtu.be/8VXykI1OGjQ), appena condannato all’ergastolo dalla procura di Stoccolma, poiché colpevole di una esecuzione sommaria, nel corso della quale venivano  assassinati 7 prigionieri, soldati di leva dell’esercito regolare siriano; la condanna all’ergastolo è stata inflitta poiché è stata dimostrata l’aggravante della particolare ferocia e crudeltà del crimine, che pone questo episodio fuori dal diritto internazionale. Si consideri che Sakhanh appare in molte fotografie con armi di ogni tipo. Infine riteniamo opportuno che, dopo questa offesa alla città, l’Amministrazione del Comune di Milano porga le sue scuse, prendendo atto della leggerezza con cui ha agito in questa occasione, laddove le scuse non arrivassero, sarebbe lecito pensare che, come gli amici di Sakhanh, anche l’Amministrazione Comunale sia fortemente condizionata dai rapporti che il Qatar intrattiene con settori economico-finanziari della città di Milano.




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Siria, la grande lite tra gli archeologi 

«Collaborazionista chi va da Assad»

Convegni a Damasco, lettere e email infuocate, accuse in Italia, Gran Bretagna, America
E il decano degli scavi siriani Paolo Matthiae finisce sotto accusa. Lui: «Esigo le scuse»

di Lorenzo Cremonesi, 7 febbraio 2017

Archeologi in Siria: che fare? Riprendere a scavare come nulla fosse stato, oppure rifiutare di collaborare con un regime macchiato di crimini orribili? «Sino a prova contraria, ciò che resta dei siti è ancora al suo posto e solo le autorità e gli archeologi siriani rimasti possono cercare di restaurarli dopo i vandalismi dell’Isis. Ecco perché è nostro compito aiutarli al meglio», ci spiega pragmatico e disincantato l’italiano Paolo Matthiae, il celebre scopritore delle tavolette di Ebla che a 77 anni, di cui circa 50 trascorsi a scavare in Siria, resta il decano dei tanti studiosi che da tutto il mondo hanno operato nel Paese. A lui si affiancano i colleghi (non sono pochi in Italia e all’estero) disposti a scendere a patti con il regime di Assad pur di ritornare.
«Assolutamente no. Impossibile far finta che non sia accaduto nulla. Non si tratta con la dittatura. Si passerebbe per collaborazionisti di un regime sanguinario, repressivo, macellaio che cerca anche nel ritorno degli archeologi stranieri un modo per riacquistare legittimità agli occhi della sua popolazione e sul teatro internazionale. Tornare significa diventare complici dei massacratori», replicano i contrari, tra cui Marc Lebeau, noto studioso di Bruxelles scopritore del sito di Tell Beydar, e Annie Sartre Fauriat, anch’essa ricercatrice del Vicino Oriente, oltre a diversi nomi celebri come Piotr Steinkeller, che insegna a Harvard e Cambridge e Gonzalo Rubio della Pennsylvania State University. Le loro lettere aperte di condanna al«collaborazionismo» dividono gli accademici. Tra i critici non mancano gli italiani come Maria Giovanna Biga, della Sapienza di Roma, la quale con Matthiae ha intavolato uno scambio non proprio amichevole di email di chiarificazione-accusa, in realtà destinato a riacuire lo scontro.
Punto di partenza di questa vera e propria «guerra tra archeologi» è l’ormai noto convegno tenuto a Damasco l’11 e 12 dicembre scorsi per volere del ministero delle Antichità siriane assieme a quello del Turismo con l’intenzione di riprendere i lavori e restaurare i siti danneggiati. Il regime per facilitare l’arrivo degli studiosi dall’estero non ha richiesto visti, in più ha organizzato i trasporti in Siria. Tra gli italiani, Giorgio Buccellati, noto per i suoi scavi a Urkesh, ha steso una delle più rilevanti relazioni in cui magnifica gli interventi delle autorità locali a salvaguardia dei reperti, specie a Palmira. «Non ho potuto esserci per motivi famigliari, ma ci sarei andato molto volentieri e comunque ho inviato la mia relazione», dice Matthiae.
Ma critiche durissime arrivano dai colleghi siriani espatriati per non cadere nelle mani della polizia segreta di Assad. Sette di loro hanno firmato uno degli appelli più noti per il boicottaggio. «Impossibile lavorare in Siria. Il regime continua a reprimere e uccidere. Oltre il 70 per cento di noi è fuggito all’estero, restano solo quelli asserviti. Inoltre i bombardamenti indiscriminati russi e dell’aviazione di Damasco hanno provocato più danni all’archeologia e al patrimonio storico che non tutti i vandalismi dell’Isis messi assieme», ci dice un archeologo di Aleppo. 
Un dato questo confermato da altri colleghi scappati in Europa: quelle stesse autorità che oggi vorrebbero presentarsi come paladine del ripristino del retaggio culturale ne sono state in effetti i peggiori vandali. Le bombe siro-russe sarebbero cadute copiose sui tesori di Palmira, Ebla, Krak dei Cavalieri, sui centri storici di Ariha, Idlib, Homs, Hama, e sulle parti più antiche di Aleppo a partire dal mercato coperto. Per cercare un possibile compromesso, un gruppo di archeologi «critici» ha smussato i toni, proponendo una «carta etica» per chi opera in regioni controllate dalle dittature. Ma la polemica resta aspra. Commenta Matthiae: «Concordo con l’80 per cento di quel documento. Ma le accuse contro di me sono state troppo offensive. Esigo scuse formali prima di firmarlo».

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La guerra in Siria ora si combatte tra gli archeologi

Il belga Marc Lebeau e i suoi seguaci: no ai rapporti con Assad. Matthiae: politicizzazione devastante

di Francesca Paci, 19/01/2017 (Ultima modifica il 27/01/2017)

Qual è il momento giusto per occuparsi delle antichità archeologiche in una guerra come quella siriana in cui, giunto nel 2014 a quota 191 mila, l’Onu ha rinunciato a contare le vittime per concentrarsi sugli oltre 5 milioni di profughi? La domanda, nient’affatto oziosa di fronte alla maggiore crisi umanitaria dalla seconda guerra mondiale, spacca da un mese la comunità degli studiosi internazionali, accomunati dall’amore per la terra ospite di ben 6 siti Unesco ma divisi oggi su come e con chi cooperare per proteggerli.  

 

A Palmira  
Il casus belli risale al 10 dicembre scorso, giorno del ritorno dell’Isis a Palmira precedentemente liberata e celebrata dall’orchestra del teatro Mariinskij di San Pietroburgo, quando a Damasco s’incontrano una ventina di specialisti di vari paesi per ragionare insieme sulle sorti del patrimonio archeologico siriano. Damasco significa Bashar al Assad e per diversi accademici, che pure avevano lavorato sotto di lui prima del 2011, la partecipazione dei colleghi equivale a un «deplorevole» sostegno politico al suo regime nel momento in cui, dopo 5 anni di bombardamenti seguiti alla inizialmente pacifica richiesta di riforme, sta sferrando l’ultimo decisivo e cruentissimo assalto alla Aleppo ribelle.  

 

«E’ impossibile far finta che non sia accaduto niente mentre infuria la guerra civile, dobbiamo attendere e rispettare la lotta del popolo siriano» ci spiega da Bruxelles l’archeologo Marc Lebeau, direttore europeo degli scavi di Tell Beydar e promotore di una lettera di fuoco contro il meeting di Damasco. Frequenta la Siria dal 1975, era lì anche quando nel 1982 Hafez al Assad radeva al suolo Hama. Adesso, giura, è diverso: «Chi si occupa del vicino Oriente ne conosce bene l’assenza di democrazia, ma ci sono molte scale di grigi nelle violazioni dei diritti umani. Di Hama abbiamo saputo solo molto tempo dopo, oggi invece vediamo in diretta il massacro dei civili. E soprattutto, diversamente da quanto accaduto a dicembre, gli archeologi di prima non erano in contatto con il regime né erano coinvolti nella propaganda». 

 

L’implicita assimilazione con gli artisti graditi a Hitler nella Berlino degli Anni 30 ha scatenato l’indignazione dei luminari additati dal j’accuse di Lebeau, del mensile «L’Histoire», di Annie Sartre Fauriat e di altri studiosi firmatari della Carta Etica per l’Archeologia e l’Assiriologia del Vicino Oriente pubblicata martedì sul sito del Penn Cultural Heritage Center. Ora è guerra.  

 

Sul campo  
«Se è il momento giusto per l’archeologia? Si è già tardato troppo - tuona Paolo Matthiae, decano della Siria a cui si deve la scoperta di Ebla -. E’ grave che la comunità internazionale abbia isolato la Direzione generale delle antichità di Damasco, impeccabile e valorosa nell’aver salvato dai musei di tutto il paese 300 mila preziosi oggetti di cui ora, con tono neo-coloniale, la Francia si dice pronta a prendere la custodia». E i morti? I raid? Il professor Matthiae tiene al ruolo dello studioso: «Questa polemica avrà conseguenze serie perché ha portato a quella politicizzazione dell’archeologia che io ho sempre evitato sin dalla fondazione dell’Icaane, dove hanno collaborato iraniani e iracheni, israeliani e palestinesi, turchi e ciprioti. Noi studiosi del Vicino Oriente sappiamo bene quanto già gravato sia da logiche politiche e dovremmo prevenirne ulteriori». 

 

Eppure, replicano gli altri, parlare di Siria nel 2017 non può che essere politica. Perché, insiste Lebeau, «il 75% degli alti responsabili della Direzione generale delle antichità siriane ha lasciato il paese» e perché «stando all’Onu, l’80% delle vittime dipende dai bombardamenti lealisti ma anche la distruzione dei beni archeologici, da Aleppo ad Homs, è frutto dei raid». Sulla sua linea è la storica de La Sapienza e a lungo epigrafista a Ebla Maria Giovanna Biga, convinta che l’impegno per i civili preceda quello per le antichità, in Siria come in Yemen: «Molti miei studenti siriani hanno la famiglia là. Ci sono zone non bombardate tipo Tell Mozan, dov’è possibile curare il patrimonio archeologico. Ma altre sono sotto tiro, Aleppo prima e ora Idlib o Tell Mardikh. La Direzione generale delle antichità siriane dovrebbe chiedere al suo governo la fine dei raid. Non sono politicizzata, confidavo negli Assad, Asmaa aveva fatto molto per Ebla. Ma non hanno ascoltato il loro popolo».  

 

I puristi ribaltano su chi li giudica degli opportunisti alla corte di Assad e del suo sponsor Putin l’accusa di covare motivi personali o professionali. L’archeologo emerito Pierre Leriche era al famigerato incontro. Anzi, l’ha organizzato: «Sostenere che ci fosse dietro il governo di Damasco è assurdo, significa ricalcare la posizione propagandistica del governo francese sulla Siria. Dietro c’era solo chi lavora da sempre in Siria e vuole sostenere l’eroico direttore generale delle antichità siriane Maamoun Abdulkarim, riconosciuto dall’Unesco e acclamato anche a Strasburgo la settimana scorsa per aver salvato 13 mila pezzi solo a Deir Ezzor. L’organizzazione nasce in tandem con l’amministrazione delle antichità, tra i cui bravi funzionari ce ne sono anche di non in linea con il governo. La data poi, era stata decisa in estate quando nessuno poteva prevedere Aleppo».  

 

“Nessuna propaganda”  
Come Leriche anche lo scopritore di Urkesh, Giorgio Buccellati, era in Siria il 10 dicembre. E lo rivendica: «Anziché polemizzare bisognerebbe raccontare il sacrificio dei dipendenti delle antichità siriane per il patrimonio del loro paese, nella difesa del quale sono morti almeno in 15. Non c’erano ministri all’incontro di Damasco, è venuto solo un sottosegretario a darci il benvenuto. E la tv che aspettava fuori non ci ha fatto domande». Fine della storia? È improbabile, perché le domande difficili sulla Siria in agonia non finiranno presto.