Informazione
c/o Via Darsena – ingresso base navale MM (banchina Tullio Marcon)
http://www.nomuos.info/war-games-usa-e-nato-in-sicilia-no-grazie/
Il Convegno – promosso da Pax Christi Italia, Mosaico di pace, Comi-tato No Guerra No Nato, Comunità Le Piagge, Unione Suore Domeni-cane San Tommaso D’Aquino – si è svolto l’11 giugno 2016 nel Complesso S. Niccolò a Prato.
APPELLO DA SOTTOSCRIVERE E DIFFONDERE
Sono in fase di sviluppo negli Stati Uniti – documenta la U.S. Air Force – le bombe nucleari B61-12, destinate a sostituire le attuali B61 installate dagli Usa in Italia e altri paesi europei.
La B61-12 – documenta la Federazione degli scienziati americani (Fas) – non è solo una versione ammodernata della B61, ma una nuova arma nucleare: ha una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili, con una potenza media pari a quella di quattro bombe di Hiroshima; un sistema di guida che permette di sganciarla a distanza dall’obiettivo; la capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un attacco nucleare di sorpresa.
Le B61-12, che gli Usa si preparano a installare in Italia, sono armi che abbassano la soglia nucleare, ossia rendono più probabile il lancio di un attacco nucleare dal nostro paese e lo espongono quindi a una rappresaglia nucleare.
Secondo le stime della Fas, gli Usa mantengono oggi 70 bombe nucleari B61 in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), 50 in Turchia, 20 rispettivamente in Germania, Belgio e Olanda, per un totale di 180. Nessuno sa però con esattezza quante effettivamente siano le B-61, destinate ad essere sostituite dalle B61-12.
Foto satellitari – pubblicate dalla Fas – mostrano che, per l’installazione delle B61-12, sono già state effettuate modifiche nelle basi di Aviano e Ghedi-Torre.
L’Italia, che fa parte del Gruppo di pianificazione nucleare della Nato, mette a disposizione non solo il suo territorio per l’installazione di armi nucleari, ma – dimostra la Fas – anche piloti che vengono addestrati all’attacco nucleare con cacciabombardieri italiani sotto comando Usa.
L’Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, firmato nel 1969 e ratificato nel 1975, che all’Art. 2 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente».
Chiediamo che l’Italia cessi di violare il Trattato di non-proliferazione e, attenendosi a quanto esso stabilisce, chieda agli Stati uniti di rimuovere immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinunciare a installarvi le nuove bombe B61-12 e altre armi nucleari.
Liberare il nostro territorio nazionale dalle armi nucleari, che non servono alla nostra sicurezza ma ci espongono a rischi crescenti, è il modo concreto attraverso cui possiamo contribuire a disinnescare l’escalation nucleare e a realizzare la completa eliminazione delle armi nucleari che minacciano la sopravvivenza dell’umanità.
BOZZA DI MOZIONE DA PROPORRE AI PARLAMENTARI E AI RAPPRESENTANTI IN ENTI LOCALI
CONSIDERATO che – secondo i dati forniti dalla Federazione degli Scienziati Americani (FAS) – gli Usa mantengono oggi 70 bombe nucleari B61 in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), 50 in Turchia, 20 rispettivamente in Germania, Belgio e Olanda, per un totale di 180.
CONSIDERATO che – come documenta la stessa U.S. Air Force – sono in fase di sviluppo negli Stati Uniti le bombe nucleari B61-12, destinate a sostituire le attuali B61 installate dagli Usa in Europa.
CONSIDERATO che – come documenta la FAS – la B61-12 non è solo una versione ammodernata della B61, ma una nuova arma nucleare, con un sistema di guida che permette di sganciarla a distanza dall’obiettivo, con una testata nucleare a quattro opzioni di potenza selezionabili, con capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando in un attacco nucleare di sorpresa.
CONSIDERATO che foto satellitari, pubblicate dalla FAS, mostrano le modifiche già effettuate nelle basi di Aviano e Ghedi-Torre per installarvi le B61-12.
CONSIDERATO che l’Italia mette a disposizione non solo il suo territorio per l’installazione di armi nucleari, ma anche piloti che – dimostra la FAS – vengono addestrati all’uso di armi nucleari con aerei italiani.
CONSIDERATO che l’Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, firmato nel 1969 e ratificato nel 1975, il quale all’Art. 2 stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente».
I PROPONENTI CHIEDONO al Governo di rispettare il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari e, attenendosi a quanto esso stabilisce, far sì che gli Stati Uniti rimuovano immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12 e altre armi nucleari.
PER CONTATTI:
Coordinatore nazionale del CNGNN, Giuseppe Padovano
cell. 393 998 3462
e-mail: giuseppepadovano.gp @ gmail.com
Tempi di crisi, di rotture; alcune lente, altre velocissime. Dopo dieci anni di crisi economica globale, che hanno avuto il loro epicentro negli usa e in Europa, "la politica" non appare più in grado di gestire alcunché. "Il mercato" ha da tempo spossessato gli Stati di buona parte dei loro strumenti strategici per concentrarli in istituzioni sovranazionali inattingili alla volontà delle popolazioni, am permeabilissime alle istanze del grande capitale, soprattutto finanziario.
In un quadro di crisi degli assetti geostrategici – in particolare dopo il voto per la Brexit e l'elezione di Trump alla presidenza Usa – le vecchie alleanze sembrano molto meno solide. Quasi improvvisamente.
Inevitabile, in questo quadro, che le potenze regionali si scoprano militarmente deboli, davanti a "protettori" storici improvvisamente interessati da tutt'altri scenari.
Ma se in un paese chiamato Germania si comincia a discutere pubblicamente della "necessità" di costruire armamenti nucleari "indipendenti", dopo 70 anni di tabù assoluto, è il caso di prendere atto che qualcosa di enorme si è rotto.
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Il riarmo delle testate nucleari tedesche potrebbe trasformarsi in una tragedia nazionale
Il riarmo delle testate atomiche oggi, per la Germania, potrebbe mettere a rischio anche l'ordine mondiale.
Da “Foreignpolicy.com”, Rudolph Herzog, 10 marzo 2017
Traduzione e cura di Francesco Spataro
Dal 1945 ad oggi, nessuno si è più preoccupato dei passi compiuti dalla Germania circa la bomba atomica, ma questo atteggiamento è destinato a cambiare. I commentatori tedeschi, stanno dibattendo da alcuni giorni, se il Paese si debba dotare di nuovo di armi nucleari oppure no. Il più importante quotidiano berlinese, “Der Tagespiel”, ha dato il via alla discussione sulla sua piattaforma online, due mesi dopo le elezioni USA, pubblicando un cosiddetto “articolo d’opinione”, in cui si sosteneva che il Presidente Donald Trump aveva intenzione di chiudere di scatto l’ombrello nucleare della NATO, e che l'unico modo di controbattere le minacce russe percepite era dunque quello di rendersi più indipendenti.
Ma la via a questa “indipendenza”, richiederebbe, un deterrente nucleare tedesco. “Ne va dei nostri interessi fondamentali,” sostiene il politologo Maximilian Terhalle; e continua: “Le circostanze così vitali potrebbero voler dire che Berlino, non dovrebbe ricevere alcun consenso, sulla materia, da parte degli altri 27 membri della Unione Europea.”
Proprio a febbraio, “Die Ziet”, rispettabile settimanale del Paese, ha compiuto un supplemento di indagine, con un articolo che terminava con un duro e spiacevole avvertimento: la Germania potrebbe ignorare il cambiamento dei tempi, oppure investire velocemente nella “Force de Frappe”, o “Forza d'urto”, la forza di dissuasione nucleare francese.
Infranto un tabù di lunga data e con i vari Dottor Stranamore che si aggirano furtivamente fra i mass media nazionali, non c’è voluto molto tempo, prima che qualcuno condannasse queste dichiarazioni. Ottfried Nassauer, a capo del Centro Informazioni per la Sicurezza Transatlantica con sede a Berlino, in un pezzo su “Der Freitag”, un popolare settimanale, ha fatto risalire il concetto di un ordigno atomico tedesco a “un'ala conservatrice, nazionalista e di estrema destra… che soffre di manie di grandezza o si vuole solo divertire ad aprire il vaso di Pandora.” In realtà, alcune di quelle persone, che sono saltate fuori evocando una bomba tedesca (mascherandola debolmente con il termine “Eurobomba”), sembra non abbiano aspettato altro, per sbattere l’idea fra la popolazione.
Con tutto questo dibattito in pieno svolgimento, dovrebbe tornarci alla mente il perché tutto ciò sia un'idea ridicola, e terribilmente pericolosa.
Tanto per cominciare, la Germania è firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare, o NPT, e sarebbe quindi illegale, per il Paese, acquisire la bomba. Se una Nazione così influente, all’improvviso si chiamasse fuori da un accordo ancora in vigore e che per quasi mezzo secolo è stato efficace, minerebbe la credibilità del NPT stesso, e sarebbe un esempio estremamente negativo. Altri Paesi potrebbero seguire velocemente questa pratica, scegliendo l’opzione di rinuncia per acquisire la bomba. Nonostante l’Iran sia un ovvio candidato, vicini amici degli Stati Uniti potrebbero sostenere che le garanzie di sicurezza dell’America non sono più affidabili. Vengono alla mente, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, ed anche l’Arabia Saudita; paesi situati in zone problematiche, difficili, vicine sia al paria nucleare nordcoreano e alla polveriera del Mar Cinese Meridionale, che all’orrore senza fine dei conflitti che stanno espandendosi in Medio Oriente.
Come un qualsiasi stato “nucleare canaglia”, la Germania si troverebbe anche a perdere molta della sua credibilità nel “potere dolce”, di persuasione e convincimento, conquistato con così tanta fatica.
Ma mentre questi sono argomenti razionali, c’è un altro aspetto del dibattito sulla Germania che va considerato, e che è considerevolmente più sconvolgente di queste particolarità tecniche legali: l’amnesia autoinflitta dei cittadini sulle possibilità di una catastrofe nucleare.
I commentatori che strepitano e reclamano una bomba di produzione tedesca, sembrano aver dormito per la maggior parte del XX secolo, quando il Paese era in prima linea parlando di sterminio nucleare. Quell’esperienza ha reso la Germania depositaria di una conoscenza, guadagnata duramente, sui pericoli di questi armamenti; ma alcuni tedeschi sembrano intenzionati a svuotare questo cassetto dei ricordi.
Richiamiamo alla mente alcuni degli strabilianti progetti ed incidenti, che sono accaduti fuori e dentro la Germania, al culmine del periodo nucleare.
Oggi, gli USA e la Russia hanno ancora una riserva di ordigni nucleari pari a 14.000 testate; durante la Guerra Fredda, questo numero, già enorme, era anche molto più alto ed alcuni degli ordigni più pericolosi erano proprio puntati su obiettivi tedeschi. Per la maggior parte della Guerra Fredda, gli strateghi militari Americani furono convinti che i vertici politici dell’Unione Sovietica, stavano complottando per invadere l’Europa Occidentale con i loro eserciti tradizionali. Per scoraggiare il nemico al di là della Cortina di ferro, e bilanciare eserciti NATO relativamente più piccoli, l’Amministrazione USA, sotto il Presidente Dwight Eisenhower, decise di optare per la teoria del “chi più spende, meno spende.” Questo voleva dire, che le testate nucleari erano piazzate in Europa Occidentale per garantire una massiccia ritorsione, se l’Unione Sovietica avesse deciso di inviare i carri armati, per infiltrarsi al di là del confine.
Nel 1956, il SAC, il Comando Aereo Strategico, (incaricato della detenzione e dell’impiego dell'arsenale nucleare strategico N.d.T.), stabilì che in caso di attacco venissero sganciate ben 91 testate nucleari solo su Berlino Est, alcune delle quali destinate esplicitamente a distruggere la “popolazione”, anche se questo violava i trattati internazionali. La sponda sovietica aveva ammassato una potenza nucleare simile, seguendo la fredda logica della corsa agli armamenti.
Prima dell’avvento dei missili balistici intercontinentali entrambe le parti sganciarono in aria delle bombe 24/7 (bombe a frammentazione N.d.T.), ciascuna armata con una carica esplosiva nucleare. Questa situazione aumentò significativamente le tensioni, e portò ad una serie di incidenti imbarazzanti, come quello tristemente noto come Incidente di Palomares del 1966, nel quale un bombardiere USA B52 si schiantò vicino ad un villaggio spagnolo, perdendo il suo carico, fatto di quattro bombe all’idrogeno. “Hanno iniziato a tremarmi le ginocchia, quando ho visto la testata di uno di questi ordigni”, ha dichiarato uno dei tecnici che recuperarono le bombe in un’intervista per il mio libro “Breve storia di una follia nucleare”.
La sostituzione delle squadre specializzate in allarme bomba, con missili nucleari, alla fine, invece di tranquillizzare la popolazione, ha semmai aumentato la probabilità di un Armageddon (il biblico giorno del giudizio finale, N.d.T.). Il fatto che fossero stati posizionati al largo delle spiagge statunitensi ha poi quasi condotto ad uno scontro nucleare planetario, durante la crisi dei missili a Cuba. Ad un certo punto, una flotta USA iniziò a calare bombe di profondità contro un sottomarino russo, che stava facendo strascico, a largo dei Caraibi. Il capitano russo, Valentin Savistski, ordinò immediatamente di preparare la difesa, con i siluri nucleari, ma aveva comunque bisogno del permesso degli altri due comandanti dell’unità per distruggere l’ordigno; uno di loro acconsentì all’istante, l’altro, tale Vasili Arkhipov, li persuase a non contrattaccare, e anzi a calmarsi un poco.
Non sarebbe stata l'unica volta in cui la III Guerra Mondiale fu evitata per la reazione ragionevole di un uomo con la testa sulle spalle. Nel 1983, la valutazione dell’ufficiale sovietico Stanislav Petrov, su un segnale radio da loro ricevuto come pericoloso era in realtà un falso allarme, ancora una volta salvò il mondo dalla catastrofe.
La Germania, comunque, è stata la Nazione che si è avvicinata molto probabilmente più di ogni altro paese all'aspetto più pericoloso della corsa agli armamenti: lo stazionamento di missili a corto e medio raggio, più notoriamente noti come Pershing II, che in 15 minuti, sono in grado di colpire Mosca. Un'instabilità così diffusa, una sensazione di vivere sempre sulle spine, portava entrambi i Paesi a pensare che nessuna delle parti in causa avrebbe mai avuto tempo sufficiente per una reazione razionale. Non sorprende che questo abbia portato ad innumerevoli situazioni di tensione, durante le quali le superpotenze credevano, erroneamente, di essere sotto attacco. La sola cosa certa era che la Germania fosse il piano di scontro più probabile per un conflitto nucleare.
Durante la Guerra Fredda, molte delle aree di confine fra la Germania Est e quella Ovest furono minate con ordigni nucleari. Se l'Armata Rossa avesse attaccato, gli USA avrebbero potuto in pochi attimi trasformare gran parte della regione ad est del fiume Reno, in una terra di nessuno. Tutta questa apocalittica massa di macerie, avrebbe sicuramente dissuaso l'eventuale avanzata dei Sovietici. Nessun governo tedesco ebbe mai il coraggio di dare informazioni su questo progetto fino al 1974, quando Helmut Schmidt divenne Cancelliere.
Non pensiamo agli ordigni, ormai un numero incalcolabile, bensì al fatto che in Germania, sia Est che Ovest, continuarono ad essere ammassate un gran numero di armi nucleari “tattiche”, testate con cariche esplosive minime, che potevano essere disattivate anche da ufficiali di basso grado; uno di questi, denominato Davy Crockett, dal nome del leggendario trapper mito del Far West, era di dimensioni così ridotte che si poteva incastrare sopra ad un fucile dotato di un rinculo minimo ed essere sparato anche da un singolo uomo.
Tra gli strateghi militari Americani, c’è sempre stata una pericolosa tendenza a credere che un conflitto nucleare potesse, in qualche modo, essere limitato all'interno dei confini della sola Germania. Henry Kissinger, più realistico, suggerì neanche tanto velatamente che un conflitto nucleare, anche se su scala ridotta, sarebbe stato possibile anche fuori da quei confini. Ha così dichiarato, una volta: “Se saremo costretti ad una guerra, causata da un'aggressione sovietica, tenteremo in ogni modo di contenere le perdite; non vorremmo usare più forza di quella necessaria a difendere la salvezza del mondo libero.” Anche nell'ottimistica visione di Kissinger dell'Armageddon, le cosiddette “perdite contenute” avrebbero significato comunque una vasta porzione di Germania.
L'altro schieramento non credeva alla verosimiglianza di quei limiti. “Se gli Americani avessero lanciato anche solo un piccolo ordigno l'Unione Sovietica avrebbe di sicuro contrattaccato, scatenando ben presto una guerra nucleare generalizzata.” Queste le dichiarazioni del Generale Evgeni Maslin, ex-capo dell'unità per la salvaguardia nucleare dell'URSS, durante un'intervista da me raccolta. Se anche gli USA fossero sopravvissuti ad uno scontro di questo genere, la Germania non sarebbe stata più come prima.
La Germania ha avuto una lettera “x” (una sorta di marchio) dipinta su di sé, da sempre. I tedeschi, sebbene in gran parte ne ignorino i dettagli terribili, ne sono ben consci; dalla fine degli anni ’70 in poi, si formò un movimento per la pace molto forte che culminò con manifestazioni di massa, come il raduno del 1986, dove più di 200.000 persone bloccarono un sito dove la Nato intendeva installare 96 missili nucleari Cruise. I dimostranti si resero conto che la cosa, illogica nella strategia NATO, si fondava sul fatto che il Paese poteva essere salvato dalla catastrofe nucleare soltanto se si fosse reso conto che, in caso di non installazione delle rampe missilistiche, sarebbe stato distrutto. Così la Germania, si accorse della barbarie presente nella logica degli armamenti nucleari: come ogni giro di vite, può irrigidire o peggiorare l'escalation; quando uno scudo è più grande, induce ad usare una spada più affilata. Secondo una recente ricerca, l'85% dei tedeschi sostiene che gli ordigni nucleari USA devono essere rimossi dal proprio territorio.
Rimane la questione, un poco retorica, se tutto questo porterà a prendere una posizione; una spia, in questo senso, potrebbe essere rappresentata dalla chiusura dell'impianto per l'arricchimento dell'uranio da parte dell’URENCO (compagnia britannica di carburanti che si occupa anche di arricchimento dell'uranio, N.d.T.), che sembra essere imminente. In una Germania che presumibilmente si sta armando, riprendersi questa struttura potrebbe essere di vitale importanza, se si vuole investire in una infrastruttura nucleare.
Sebbene tutto questo ragionamento, per ora, sembra essere distante, potrebbe diventare preoccupante però, più avanti nel tempo, anche per il resto del mondo. Ricordiamoci che questa disputa si sta tenendo in un Paese che, per ben due volte, ha dato fuoco alle micce, nei decenni scorsi. Dopo la devastante esperienza del Terzo Reich, la Germania ha lavorato sodo per riconquistarsi un senso di credibilità morale, chiedendo comprensione e perdono alle sue vittime e cercando una qualche redenzione. Data la sua storia, è un vero miracolo che oggi il Paese sia così rispettato al mondo. (Al contrario, il Giappone, è ancora considerato un Paese emarginato, un paria, dalla maggior parte dei paesi confinanti, a causa dei suoi comportamenti, durante il periodo della guerra). Se la Germania si armerà con il nucleare, metterà decisamente a repentaglio le sue sorprendenti conquiste.
In un mondo, post-Brexit o post-Trump, molti cittadini del pianeta stanno riponendo le loro speranze, e molte aspettative, verso la Cancelliera Merkel e il suo Governo, per sostenere principi morali e portare a soluzione problemi come l'unità della UE, o la crisi dei rifugiati. Queste sono le sfide più grandi. Per essere alla loro altezza, la Germania deve attaccarsi ai suoi principi, come ogni nazione pacifica, e lavorare sodo per la cancellazione degli armamenti nucleari. Dovrebbe affrancarsi da percorsi pericolosi; in caso contrario, verrebbe inflitto un danno enorme, non solo all'ordine mondiale, ma anche alla Germania stessa.
da ilmanifesto.it
Il siluro lanciato attraverso il New York Times – l’accusa a Mosca di violare il Trattato sulle forze nucleari intermedie (Inf) – ha colpito l’obiettivo: quello di rendere ancora più tesi i rapporti tra Stati uniti e Russia, rallentando o impedendo l’apertura di quel negoziato preannunciato da Trump già nella campagna elettorale.
Il siluro porta la firma di Obama, che nel luglio 2014 (subito dopo il putsch di Piazza Maidan e la conseguente crisi con la Russia) accusava Putin di aver testato un missile nucleare da crociera, denominato SSC-X-8, violando il Trattato Inf del 1987 che proibisce lo schieramento di missili con base a terra e gittata compresa tra 500 e 5.500 km. Secondo quanto dichiarano anonimi funzionari dell’intelligence Usa, ne sono già armati due battaglioni russi, ciascuno dotato di 4 lanciatori mobili e 24 missili a testata nucleare.
Prima di lasciare l’anno scorso la sua carica di Comandante supremo alleato in Europa, il generale Breedlove avvertiva che lo schieramento di questo nuovo missile russo «non può restare senza risposta».
Taceva però sul fatto che la Nato tiene schierate in Europa contro la Russia circa 700 testate nucleari statunitensi, francesi e britanniche, quasi tutte pronte al lancio ventiquattr’ore su ventiquattro. E man mano che si è estesa ad Est fin dentro la ex Urss, la Nato ha avvicinato sempre più le sue forze nucleari alla Russia.
Nel quadro di tale strategia si inserisce la decisione, presa dall’amministrazione Obama, di sostituire le 180 bombe nucleari B-61 – installate in Italia (50 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), Germania, Belgio, Olanda e Turchia – con le B61-12: nuove armi nucleari, ciascuna a quattro opzioni di potenza selezionabili a seconda dell’obiettivo da colpire, capaci di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando. Un programma da 10 miliardi di dollari, per cui ogni B61-12 costerà più del suo peso in oro.
Allo stesso tempo gli Usa hanno realizzato in Romania la prima batteria missilistica terrestre della «difesa anti-missile», che sarà seguita da un’altra in Polonia, composta da missili Aegis, già installati a bordo di 4 navi da guerra Usa dislocate nel Mediterraneo e Mar Nero.
È il cosiddetto «scudo» la cui funzione è in realtà offensiva: se riuscissero a realizzarlo, Usa e Nato terrebbero la Russia sotto la minaccia di un first strike nucleare, fidando sulla capacità dello «scudo» di neutralizzare la rappresaglia.
Per di più, il sistema di lancio verticale Mk 41 della Lockheed Martin, installato sulle navi e nella base in Romania, è in grado di lanciare, secondo le specifiche tecniche fornite dalla stessa costruttrice, «missili per tutte le missioni», comprese quelle di «attacco contro obiettivi terrestri con missili da crociera Tomahawk», armabili anche di testate nucleari.
Mosca ha avvertito che queste batterie, essendo in grado di lanciare anche missili nucleari, costituiscono una violazione del Trattato Inf.
Che cosa fa l’Unione europea in tale situazione?
Mentre declama il suo impegno per il disarmo nucleare, sta concependo nei suoi circoli politici quella che il New York Times definisce «una idea prima impensabile: un programma di armamenti nucleari Ue».
Secondo tale piano, l’arsenale nucleare francese sarebbe «riprogrammato per proteggere il resto dell’Europa e posto sotto un comune comando europeo», che lo finanzierebbe attraverso un fondo comune. Ciò avverrebbe «se l’Europa non potesse più contare sulla protezione americana». In altre parole: qualora Trump, accordandosi con Putin, non schierasse più le B61-12 in Europa, ci penserebbe la Ue a proseguire il confronto nucleare con la Russia.
COLPO DI SONNO NUCLEARE
Il governo Gentiloni ha capovolto il voto del governo Renzi all’Onu, votando a favore dell'avvio di negoziati per il disarmo nucleare! La sensazionale notizia si è rapidamente diffusa, portando alcuni disarmisti a gioire per il risultato ottenuto. Per avere chiarimenti in proposito, il senatore Manlio Di Stefano (Movimento 5 Stelle) e altri hanno presentato una interrogazione, a cui il governo ha dato risposta scritta nel bollettino della Commissione Esteri. Essa chiarisce come sono andate le cose.
Il 27 ottobre 2016, durante il governo Renzi, l’Italia (accodandosi agli Stati uniti) ha votato «No», nella prima commissione dell'Assemblea generale, alla risoluzione che proponeva di avviare nel 2017 negoziati per un Trattato internazionale volto a vietare le armi nucleari, risoluzione approvata in commissione a grande maggioranza.
Successivamente, il 23 dicembre 2016 durante il governo Gentiloni, quando la stessa risoluzione è stata votata all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’Italia ha invece votato «Sì» insieme alla maggioranza.
Capovolgimento della posizione italiana? No, solo un errore tecnico. «Tale errore – spiega il governo nella risposta scritta – sembra essere dipeso dalle circostanze in cui è avvenuta la votazione, a tarda ora della notte». In altre parole il rappresentante italiano, probabilmente per un colpo di sonno, ha premuto il pulsante sbagliato. «L'erronea indicazione di voto favorevole – spiega sempre il governo – è stata successivamente rettificata dalla nostra Rappresentanza permanente presso le Nazioni Unite, che ha confermato il voto negativo espresso in prima commissione».
Il governo Gentiloni, come quello Renzi, ritiene che «la convocazione, nel 2017, di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisca un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare». Insieme ai paesi militarmente non-nucleari dell'Alleanza Atlantica, «l'Italia è tradizionalmente fautrice di un approccio progressivo al disarmo, che riafferma la centralità del Trattato di non-proliferazione».
Il governo ribadisce in tal modo la centralità del Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, ratificato nel 1975, in base al quale l’Italia «si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». Mentre in realtà viola il Trattato, poiché mantiene sul proprio territorio, ad Aviano e Ghedi-Torre, almeno 70 bombe nucleari Usa B-61, al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani.
Quale sia l’«approccio progressivo al disarmo nucleare» perseguito dall’Italia lo dimostra il fatto che tra circa due anni essa riceverà dagli Usa, per rimpiazzare quelle attuali, le nuove bombe nucleari B61-12, sganciabili a distanza e con capacità penetranti anti-bunker. Armi nucleari da first strike dirette soprattutto contro la Russia, che, rendendo più probabile il lancio di un attacco nucleare dal nostro paese, lo esporranno ancora di più al pericolo di rappresaglia nucleare.
Il modo concreto attraverso cui possiamo contribuire all’eliminazione delle armi nucleari, che minacciano la sopravvivenza dell’umanità, è chiedere che l’Italia cessi di violare il Trattato di non-proliferazione e chieda di conseguenza agli Stati uniti di rimuovere immediatamente qualsiasi arma nucleare dal territorio italiano e rinunciare a installarvi le nuove bombe B61-12. Battaglia politica fondamentale se anche l’opposizione non fosse stata contagiata dal colpo di sonno, che assopisce perfino l’istinto di sopravvivenza.
Manlio Dinucci | ilmanifesto.it, 07/02/2017
Finalmente il telefono ha squillato e Gentiloni, dopo una lunga e nervosa attesa, ha potuto ascoltare la voce del nuovo presidente degli Stati uniti, Donald Trump. Al centro della telefonata – informa Palazzo Chigi – la «storica amicizia e collaborazione tra Italia e Usa», nel quadro della «importanza fondamentale della Nato». Nel comunicato italiano si omette però un particolare reso noto dalla Casa Bianca: nella telefonata a Gentiloni, Trump ha non solo «ribadito l'impegno Usa nella Nato», ma ha «sottolineato l'importanza che tutti gli alleati Nato condividano il carico monetario della spesa per la difesa», ossia la portino ad almeno il 2% del pil, il che significa per l'Italia passare dagli attuali 55 milioni di euro al giorno (questi secondo la Nato, in realtà di più) a 100 milioni di euro al giorno. Gentiloni e Trump si sono dati appuntamento a maggio per il G7 a presidenza italiana che si svolgerà a Taormina, a poco più di 50 km dalla base Usa/Nato di Sigonella e di 100 km dal Muos di Niscemi. Capisaldi di quella che, nella telefonata, viene definita «collaborazione tra Europa e Stati Uniti per la pace e la stabilità».
Quale sia il risultato lo confermano gli Scienziati atomici statunitensi: la lancetta dell'«Orologio dell'apocalisse», il segnatempo simbolico che sul loro bollettino indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata spostata in avanti: da 3 a mezzanotte nel 2015 a 2,5 minuti a mezzanotte nel 2017. Un livello di allarme più alto di quello della metà degli anni Ottanta, al culmine della tensione tra Usa e Urss. Questo in realtà è il risultato della strategia dell'amministrazione Obama la quale, con il putsch di Piazza Maidan, ha avviato la reazione a catena che ha provocato il confronto, anche nucleare, con la Russia, trasformando l'Europa in prima linea di una nuova guerra fredda per certi versi più pericolosa della precedente.
Che farà Trump? Nella sua telefonata al presidente ucraino Poroshenko – comunica la Casa Bianca – ha detto che «lavoreremo con Ucraina, Russia e altre parti interessate per aiutarle e ristabilire la pace lungo le frontiere». Non chiarisce però se entro le frontiere dell'Ucraina sia compresa o no la Crimea, ormai distaccatasi per rientrare a far parte della Russia.
L'ambasciatore Usa all'Onu, Haley, ha dichiarato che le sanzioni Usa alla Russia restano in vigore e ha condannato le «azioni aggressive russe» nell'Ucraina orientale. Dove in realtà è ripresa l'offensiva delle forze di Kiev, comprendenti i battaglioni neonazisti, addestrate e armate da Usa e Nato. Contemporaneamente il presidente Poroshenko ha annunciato di voler indire un referendum per l'adesione dell'Ucraina alla Nato.
Anche se di fatto essa ne fa già parte, l'ingresso ufficiale dell'Ucraina nella Alleanza avrebbe un effetto esplosivo verso la Russia. Intanto si muove la Gran Bretagna: mentre intensifica la cooperazione delle sue forze aeronavali con quelle Usa, invia nel Mar Nero a ridosso della Russia, per la prima volta dalla fine della guerra fredda, una delle sue più avanzate unità navali, il cacciatorpediniere Diamond (costo oltre 1 miliardo di sterline), a capo di una task force Nato e a sostegno di 650 soldati britannici impegnati in una non meglio precisata «esercitazione» in Ucraina. Allo stesso tempo la Gran Bretagna invia in Polonia ed Estonia 1000 uomini di unità d'assalto e in Romania cacciabombardieri Typhoon a duplice capacità convenzionale e nucleare.
Così, mentre Gentiloni parla con Trump di collaborazione tra Europa e Stati Uniti per la pace e la stabilità, la lancetta dell'Orologio si avvicina alla mezzanotte nucleare.
E' quanto è emerso da una inchiesta diffusa dal portale 'Tportal' e ripresa dai media a Belgrado. Dopo la Serbia la maggiore percentuale di jugo-nostalgici si registra in Bosnia-Erzegovina (68%), seguita dal Montenegro (63%) e Macedonia (45%). Nell'inchiesta non è stata presa in considerazione la Slovenia.
ДА СЕ НЕ ЗАБОРАВИ!
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На дан 24. марта навршава се 18 година од почетка агресије НАТО пакта на Србију и Црну Гору (СР Југославију), у којој је учествовало 19 земаља. Агресија је извршена грубим кршењем Повеље Уједињених нација и основних принципа међународног права, и представља злочин против мира и човечности. Она ће касније послужити као преседан и увод у многе друге агресије и насилна свргавања влада суверених држава. Током агресије настрадало је око 4.000, а рањено око 8.000. грађана. За време 78-дневног немилосрдног бомбардовањ, агресори су разорили путеве, пруге, мостове, електро-мрежу, породичне домове, болнице, школе, обданишта, ТВ и радио станице, и многе друге цивилне објекте. Ратна штета је процењена на преко 100 милијарди долара. У тој злочиначкој акцији, НАТО је користио пројектиле са осиромашеним уранијумом, касетне бомбе и друга забрањена средства, која и данас настављају да узимају животе недужних грађана наше земље. Тим поводом, под геслом ,,ДА СЕ НЕ ЗАБОРАВИ'', Београдски форум за свет равноправних, Клуб генерала и адмирала Србије, СУБНОР Србије и Друштво српских домаћина, организују Конференцију, чија је тема:
,,Агресија НАТО 18 година после- где смо данас?''
Конференција ће се одржати у четвртак 23. марта 2017. године, са почетком у 11 часова, у Дому војске Србије, Браће Југовића 19, Београд.
У петак 24. марта 2017. године, у 11 часова, организовано је свечано полагање цвећа код Споменика деци – жртвама агресије НАТО, у парку Ташмајдан, Београд.
Истог дана у 12 часова, организовано је свечано полагање цвећа код Споменика жртвама агресије НАТО ''Вечна ватра'', у парку ''Ушће'', Нови Београд.
Позивамо све заинтересоване да присуствује Конференцији 23. марта и да учествују у свечаном полагању цвећа 24. марта.
Очекујемо да ће, поред чланова и пријатеља организатора, наведеним догађајима присуствовати и представници студентских и других сродних организација из Србије, укључујући Покрајину Косово и Метохију, из Црне Горе, Републике Српске, Хрватске, Македоније и из српског расејања, као и гости из Русије и дипломатски представници пријатељских земаља.
Београдски форум за свет равноправних
Al sig. Sindaco dott. Nando Mismetti
e p.c.
alla Assessora con delega alla Memoria dott.ssa Maura Franquillo,
Comune di Foligno, Piazza della Repubblica, 06034 Foligno
agli antifascisti umbri
COMUNICATO
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus evidenzia la necessità non altrimenti procrastinabile di riconoscere in modo pubblico e istituzionale l’importanza storica del complesso delle “Casermette” di Colfiorito, quale campo di concentramento di antifascisti italiani e stranieri, dunque luogo-simbolo di rilevanza internazionale della Resistenza al nazifascismo.
Il luogo di detenzione, oltre ad essere ben ricordato nella memoria orale, è meta di visite di interessati provenienti da svariati paesi, conoscitori dei fatti e discendenti dei reclusi, che però si disilludono quando in loco non trovano alcun segno attestante il passato e il suo significato.
Infatti, a 74 anni dalla grande fuga dei prigionieri jugoslavi dal campo (22 Settembre 1943) e dall’inizio della lotta partigiana nella zona, non esiste ancora alcun monumento, targa, centro visita, museo o manufatto che richiami la centralità delle Casermette nella vicenda dell’antifascismo umbro, italiano ed europeo. Questo nonostante enunciazioni ed iniziative che negli scorsi anni hanno attestato una volontà di istituire un Museo della Memoria da erigere in alcuni dei locali dell’ex campo. Basti citare:
– 2001: progetto di “Centro di Documentazione sull’internamento”, per il quale fu istituito un gruppo di lavoro incaricato di redigerne il progetto esecutivo (prof. Bettoni assessore alla Cultura di Foligno, ricercatori ISUC ed altri) e fu approvata una Delibera comunale che destinava ad esso ca.170mq della ex caserma. Secondo il Documento licenziato dal gruppo di lavoro, il Centro di Documentazione si sarebbe dovuto porre, tra l’altro, come riferimento regionale per la celebrazione della Giornata della Memoria (27 Gennaio).
– 2003: Convegno di studi “Dall'internamento alla libertà. Il campo di concentramento di Colfiorito”, Foligno, Palazzo Trinci, 4 novembre.
– 2009: stanziamento della Giunta Regionale di oltre un milione di euro per interventi alle “Casermette” e conseguenti dichiarazioni degli amministratori sul “Museo della Memoria” come primo obiettivo degli interventi stessi.
– 2010: Delibera di Giunta Comunale di Foligno n.198 del 17 maggio, che destina alcuni locali delle “Casermette” a “Museo della Memoria”.
– 2014: Delibera di Giunta Comunale di Foligno n.190 del 30 aprile, che approva il progetto in tal senso elaborato da ISUC e Officina della Memoria.
La eccezionale importanza storica delle “Casermette” giustificherebbe peraltro, da parte della Soprintendenza e del Ministero, la imposizione di speciali vincoli non solo sul complesso architettonico ma anche sul luogo, in quanto bene culturale esso stesso, tali da regolamentarne gli utilizzi oltre che tutelarne l’integrità fisica.
Già dopo il terremoto del 1997 << l’affanno dell’emergenza [aveva] cancellato tracce che narravano gli eventi del luogo: reticolati, torrette, sbarre alle finestre dei capannoni, che nel frattempo sono diventati Uffici pubblici, negozi, bar >> (Dino Renato Nardelli, ISUC).
Fortunatamente i recenti sciami sismici non hanno causato danneggiamenti, per cui non sussistono ragioni per rinviare ulteriormente una iniziativa, anche se di carattere eminentemente simbolico e di costi estremamente contenuti, come l’apposizione di un elemento monumentale o di una lapide.
Quindi il nostro Coordinamento, a ricordo e a spiegazione dell’importanza del luogo, propone la apposizione di un elemento memoriale-celebrativo che illustri la vicenda drammatica e gloriosa degli internati antifascisti delle Casermette di Colfiorito.
A tal fine auspica la collaborazione dalle Istituzioni Pubbliche e dei Cittadini Umbri.
Foligno, 3 Febbraio 2017 (giorno della deportazione nazifascista dalla montagna folignate)
Per JUGOCOORD onlus, il segretario
Andrea Martocchia
Si allega: Nota storiografica
NOTA STORIOGRAFICA
Tra i principali campi di concentramento fascisti allestiti sulla Penisola, Colfiorito fu in particolare la destinazione primaria dei “ribelli” montenegrini, che sin dal 13 luglio 1941 avevano iniziato la Resistenza contro l’occupazione italiana del loro territorio, e di altri antifascisti jugoslavi specialmente sloveni della zona del Vipacco come lo scrittore France Bevk.
Il campo aveva subito diverse variazioni di destinazione d’uso negli anni precedenti, tanto che vi erano stati confinati pure oppositori albanesi (una cinquantina dall’estate 1939), noti antifascisti italiani (circa 120 dal giugno 1940 – tra di loro il noto Lelio Basso, Ugo Fedeli, Dario Fieramonte, Eugenio Musolino, Carlo Venegoni…), centinaia di prigionieri di guerra inglesi e di altre nazionalità (da ottobre 1942), fino ai suddetti più di 1500 deportati politici montenegrini. << Oltre a quattro grandi baracche, che una volta erano stalle per i cavalli c’era anche una decina di baracche in legno. I giorni di circa 1.600 internati erano quasi uguali... >> [Banislav Bastac]
Vittima della prigionia è nel 1943 il giovanissimo Dušan Golubović, di Berane, appena giunto a Colfiorito, dove ritrova il padre Lazar “Lazo” già recluso da tempo. Un giorno, mentre stende sul filo spinato le camicie sua e di suo padre appena lavate, una sentinella gli spara (<< sparò per farsi bella. Era un militare giovane di Castiglion del Lago >> [Luigi Marzufero]) e lo uccide.
In quei mesi all’interno delle Casermette sono prigionieri operai ed intellettuali, funzionari del Regno di Jugoslavia e contadini, artisti e studenti ginnasiali; vi si ritrovano spesso detenuti insieme tutti i componenti maschi di una stessa famiglia, deportati dal Montenegro ogni volta che questa era stata indicata come “covo” di sentimenti antifascisti. Simantengono o si creano strutture di Resistenza organizzate che svolgono attività culturale e politica. La stragrande maggioranza dei reclusi più giovani appartiene alla SKOJ – Lega della Gioventù Comunista della Jugoslavia – e molti adulti sono comunisti, e formano una cellula del Partito con segretario Savo Pejanović; viene istituito inoltre un Comitato spontaneo che si richiama al Fronte Popolare di Liberazione, cui aderiscono elementi di ogni orientamento ideologico seguendo l’esempio del movimento antifascista più generale.
Il 22 giugno 1943, con una piccola rappresentazione teatrale, gli internati commemorano il secondo anniversario della aggressione nazifascista contro l’URSS.
Prendono contatto con i comunisti italiani attraverso il farmacista di Serravalle Libero Vannucci, che diventerà comandante partigiano del IV distaccamento del battaglione “Capuzi” della Brigata Spartaco. Tra le figure di italiani solidali con i prigionieri, i testimoni ricorderanno don Pietro Onori, il medico Domenico Salvati, il muratore Mario Caprio, gli operai folignati fratelli Olivieri.
Nella prospettiva dell’arrivo degli Alleati, poco prima della fuga dal campo, il Comitato del Fronte di Liberazione redige una Risoluzione in cui si ripercorrono per sommi capi le vicende degli internati jugoslavi, all’interno della più generale lotta in corso per la liberazione del loro paese, e si richiede di poter continuare a battersi sul suolo jugoslavo al fianco del fronte antifascista internazionale. Della Risoluzione non è ancora mai stata pubblicata una traduzione in lingua italiana; copie del manoscritto originale, scritto in corsivo cirillico, circolano da decenni negli ambienti dei ex-internati montenegrini, e riproduzioni fotografiche sono contenute in alcuni libri degli ex internati Drago Ivanović e Vlado Vujović.
Il 22 settembre 1943 << sono circa le nove di sera quando corre voce che il filo spinato è stato tagliato [...] Usciamo fuori a gruppi, ogni gruppo si tiene unito [...] Il torrente di uomini scorre come una massa scura [...] Marciamo come contrabbandieri, piegati, con gli zaini sulle spalle, comunicando sottovoce [...] Dal colle vicino crepita la mitragliatrice Breda, seguita da colpi di fucile e mitragliatori. [...] Passammo attraverso il varco come un tappo ben pressato. La pressione della folla infatti ci espulse trascinandoci con sè [...] La voce di un compagno trascina tutto il nostro gruppo a destra. Procediamo lungo un costone coperto di rovi che ci trattengono, le spine strappano la pelle. […] Marciavamo in fretta, in fila indiana. [...] Ci allontanavamo dalle luci tremolanti che ci guardavano da Colfiorito >> [Drago Ivanović]
I fuggiaschi di Colfiorito troveranno solidarietà e riparo presso le famiglie contadine e montanare della dorsale appenninica, che soprattutto nei più giovani di loro riconoscevano la sorte simmetrica dei loro stessi figli, dispersi nei territori invasi dal Regio Esercito dopo la capitolazione dell’8 Settembre. Gli ex-reclusi in maggioranza prenderanno parte attiva alle azioni di tutte le principali formazioni partigiane di Umbria, Marche e Abruzzo, ed in qualche caso ne rappresenteranno persino l’ossatura: Brigata Gramsci in Valnerina, banda Filipponi a Sarnano, battaglione Stalingrado nel Pesarese, formazione di Ettore Bianco nei Monti della Laga, alcuni battaglioni della IV Brigata Garibaldi di Foligno e della successiva Brigata Spartaco.
BIBLIOGRAFIA MINIMA
- Ivanović D.D.V.
Poruke. Zapisi iz zice: Jusovaca, Kuća, Rogosica, Skadar-Tepa, Bari, Fodja, Kolfiorito di Folinjo [Messaggi. Note dal filo spinato]
Titograd/Podgorica, Istorijski Institut S.R. Crne Gore, 1989
- Burani M.P.
Nessuno lo chiamava il campo... Le "Casermette" di Colfiorito luogo della memoria della deportazione civile italiana
Foligno, Comune di Foligno, 2001
- Ivanović D.D.V.
Memorie di un internato montenegrino. Colfiorito 1943
[traduzione parziale in lingua italiana del precedente]
Foligno, ISUC / Editoriale Umbra, 2004
- Lucchi O. (a cura di)
Dall'internamento alla libertà. Il campo di concentramento di Colfiorito
Atti del convegno di studi, Foligno, palazzo Trinci, 4 novembre 2003
Foligno, ISUC / Editoriale Umbra, 2004
- Ivanović D.D.V.
Muzej logora Kolfiorito di Folinjo. Spomenik prijateljstva naroda italije
[Il museo del campo di Colfiorito di Foligno. Monumento dell'amicizia del popolo italiano]
Podgorica/Titograd, Istorijski Institut Crne Gore, 2007
- Martocchia A. et al.
I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana
Roma, Odradek, 2011
Sempre più tesa la situazione nei Balcani dove si acuisce pericolosamente la competizione tra gli USA-NATO-UE e la Russia con particolare riferimento al conflitto per il controllo delle fonti di energia e le vie di trasporto, la promozione degli interessi geostrategici, a beneficio dei gruppi monopolistici su ogni lato. Questo ha il suo riflesso sulle mai sopite tensioni etniche-nazionaliste della regione. La NATO prosegue il suo “accerchiamento” della Russia muovendosi di recente anche sul Mar Nero, gli USA e l’UE incrementano le loro ingerenze in relazione con i piani della Russia che, dopo il riavvicinamento contradditorio con la Turchia, si muovono nella direzione del transito del gasdotto russo “Turkish Stream” dalla Macedonia e la Grecia, così come i piani della Cina che sono volti a promuovere una rapida via di comunicazione delle merci verso i mercati europei, anche attraverso un sistema ferroviario ultraveloce Salonicco-Budapest.
Su queste basi, la tensione nella regione aumenta costantemente, e non a caso il capo della politica estera e della sicurezza comune dell’UE, Federica Mogherini, ha appena concluso un tour di 4 giorni nei Balcani, dove rilevante è stato l’atteggiamento ostile del Parlamento serbo.
Nel frattempo, i politici americani intervengono ponendo la questione del ridisegno dei confini nei Balcani, come nel caso recente del senatore repubblicano Dana Rohrabacher che ha proposto uno scambio di territori tra la Serbia e il Kosovo, affermando ad inizio febbraio che «la Macedonia non è Stato», che dovrebbe esser quindi sciolta in modo che le regioni con popolazione di etnia albanese si uniscano al Kosovo e ciò che resta diventare parte della Bulgaria, della Grecia e altri paesi della regione.
Macedonia – Albania
Nella Repubblica di Macedonia si intensifica lo scontro politico a seguito della decisione del presidente del paese, Gjorge Ivanov, di non dare il mandato di formare un governo al leader dell’opposizione del Partito dell’Unione Socialdemocratica (SDSM), Zoran Zaev, nonostante egli sia riuscito ad ottenere, tramite un accordo di cooperazione con tutti i partiti parlamentari albanesi, i voti di 67 deputati su un totale di 120. Ivanov e l’ex primo ministro Nikola Gruevski, del Partito Democratico di centro-destra (VMRO-DPMNE) rifiutano l’entrata nel governo dei partiti albanesi.
Ivanov ha giustificato la scelta citando la Costituzione che vieta di compromettere la sovranità del paese, visto che se si formasse un governo di coalizione con i partiti di etnia albanese si consegnerebbe il potere a forze che stanno “sotto controllo straniero”, con riferimento all’Albania. La cosiddetta “Piattaforma Albanese”, posta dai partiti parlamentari macedoni-albanesi a sostegno del nuovo governo prevede: a) di stabilire costituzionalmente l’albanese come seconda lingua ufficiale in tutto il paese, b) cambio della bandiera e dei simboli nazionali per rappresentare la minoranza albanese, c) la promozione della procedura di adesione all’UE e alla NATO e la risoluzione della disputa con la Grecia sul nome costituzionale del paese con la partecipazione attiva dell’etnia albanese in essa. Edi Rama, Primo Ministro albanese, ha commentato che «non ci può essere Macedonia senza albanesi» e che l’albanese «non è la lingua del nemico, ma la lingua di una componente etnica in Macedonia». Hashim Thaçi, presidente dei Kosovari albanesi, ha definito “preoccupante” la decisione di Ivanov. Il primo ministro della Macedonia, Ntimitrief ha reagito accusando il suo omologo albanese di «un nuovo coinvolgimento negli affari interni della Macedonia», definendolo «dannoso per i rapporti di vicinato».
Gli sviluppi in questa repubblica balcanica meridionale, mostrano come, al momento, sia tra le situazioni più pericolose a seguito dello smantellamento della Jugoslavia, anche se non si possono sottovalutare i rischi negli altri paesi della regione. Significativa è la reazione del ministero degli Esteri russo che ha accusato i membri dell’UE e della NATO di star cercando di imporre «in Macedonia la piattaforma albanese progettata nell’ufficio del primo ministro albanese a Tirana», basata sulla mappa della “Grande Albania”, «esprimendo le aspirazioni territoriali a spese del vicino Montenegro, Serbia, Macedonia e Grecia». Stoltenberg ha invece sottolineato come la NATO «resta impegnata nel processo di adesione» della Macedonia, mentre il Commissario UE per le relazioni di vicinato, Johannes Hahn ha sollecitato «il Presidente della FYROM a rispettare l’esito delle elezioni» ribadendo la stessa posizione affermata in precedenza dall’ambasciatore USA, Bailey.
Montenegro
La situazione del paese rimane tesa dopo che il governo filo-occidentale di Milo Djukanovic ha “rivelato” di un tentato colpo di stato alla vigilia delle elezioni del 16 ottobre, accusando «gli elementi nazionalisti serbi e russi» che avrebbero tentato di occupare il Parlamento, assassinare il primo ministro e installare un governo ostile alla NATO. Nel mese di febbraio si sono aperte le procedure definitive per l’integrazione del Montenegro nella NATO che dovrebbe esser ufficializzato nel prossimo vertice di maggio della NATO a Bruxelles che «manderà un chiaro segnale di stabilità e di sicurezza in tutta la regione» costituendo «la base per la prosperità e rafforzerà la sovranità» del Paese dieci anni dopo l’indipendenza, secondo quanto ipocritamente commentato dal Segr. generale della NATO. Il governo montenegrino è intenzionato fortemente a proseguire nell’ingresso nell’alleanza militare imperialista euro-atlantica nonostante le forti obiezioni della Russia che da tempo ha messo in guardia sulle «negative gravi conseguenze» e le opinioni della maggior parte della popolazione che, secondo recenti sondaggi, non è d’accordo con i piani della borghesia di aderire alla NATO.
Bosnia –Erzegovina e Republika Srpska
La Bosnia-Erzegovina continua ad essere essenzialmente ancora sotto occupazione della UE e della NATO che perpetuano la sofferenza dei popoli della regione alimentando le tensioni in un paese composto da tre popoli (musulmani, serbi e croati) diviso in due entità amministrative: la Republika Srpska (RS – che comprende il 49% del territorio a maggioranza serba) e la Federazione croato-musulmana (BH – il 51% del paese dove vivono bosniaci musulmani e croati) sulla base degli accordi di Dayton (1995).
Il presidente dei serbi bosniaci, Milorad Dodik, ha stretti rapporti con la Russia e sta spingendo per l’indipendenza dell’Entità Serba criticando l’attuale assetto istituzionale troppo “centralistico” a vantaggio della componente croato-musulmana. Durante la visita della Mogherini, Dodik ha voltato le spalle scegliendo di andare a Mosca per incontrare, tra gli altri, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Mosca ha colto così l’occasione per cercare di promuovere i propri piani geopolitici ed ha espresso «preoccupazione per gli sforzi dell’Occidente di rivedere il compromesso del trattato di Dayton». La Serbia, tramite le parole a fine dicembre del presidente della repubblica, Nikolic, sostiene che la Republika Srpska sia in grave pericolo. La Croazia con il sostegno degli USA e della NATO starebbe lavorando a costruire un pretesto per abolire l’Entità Serba in Bosnia, scatenando così la reazione della Serbia. Questo spiegherebbe la corsa agli armamenti da parte di Zagabria con la fornitura da parte degli Stati Uniti d’America di missili a lunga gittata. A segnalare quanto la tensione sia alta, durante il voto referendario dello scorso settembre nel quale i serbi bosniaci votarono a favore del mantenimento della loro festa nazionale identitaria, l’ex leader militare bosniaco Sefer Halilovic ha affermato che «se necessario con una nostra reazione militare vinceremmo contro Dodik in 10-15 giorni», con Dodik che ha subito risposto: «siamo pronti a difenderci e capaci di farlo». Di recente il Partito Democratico Serbo (Pds) è uscito dalla maggioranza centrale bosniaca affermando che «lavorerà nel prossimo periodo soltanto per la tutela degli interessi della Repubblica Srpska, l’entità serba della Bosnia».
Serbia – Kosovo
La Serbia entra nella fase elettorale prima delle elezioni presidenziali di aprile, in un periodo di escalation di tensione con la leadership degli albanesi kosovari. Il dialogo tra Belgrado e Pristina avviene tramite la mediazione dell’UE per la “normalizzazione” del loro rapporto dopo l’intervento degli USA-NATO-UE nel 1999. L’ultimo focolaio nei rapporti Belgrado-Pristina si è acceso lo scorso dicembre, quando le forze speciali della polizia albanese kosovara hanno impedito il passaggio di un treno sulla linea ferroviaria da poco ristabilita tra Belgrado e Mitrovica, in quanto sui vagoni vi era riportato lo slogan in 21 lingue “Kosovo è Serbia”. Il Presidente serbo nazionalista Tomislav Nikolic ha minacciato di inviare truppe al nord del Kosovo per proteggere la comunità serba. Il Primo Ministro serbo A. Vucic, che ha un approccio più cauto con l’Occidente, cerca di placare Nikolic nell’obiettivo di portare avanti il progetto di una parte della borghesia serba che spinge per accelerare il processo di adesione all’UE che viene utilizzato da potenti potenze europee, come la Germania, come leva per promuovere i propri interessi.
A sua volta il protettorato della NATO del Kosovo è alla ricerca di un ulteriore riconoscimento dalla maggior parte dei paesi. Funzionari degli Stati Uniti stanno lavorando a questo obiettivo di riconoscimento come nel caso del nuovo ambasciatore degli USA alle Nazioni Unite, Haley, per unire il protettorato all’Agenzia in palese violazione del diritto internazionale. Il presidente Thaçi ha annunciato, inoltre, l’intenzione di trasformare le Forze di Sicurezza del Kosovo (KSF) in esercito regolare allo scopo di proteggere la sovranita e l’integrita territoriale. Nonostante il Kosovo sia in base della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite parte integrante della Serbia, Thaçi considera “legale” tale iniziativa «necessaria per avviare ufficialmente il processo di adesione delle KSF alla NATO». Non si è fatta attendere la risposta della Serbia che ha affermato che «non accetterà mai la costituzione di un esercito del Kosovo». Il Kosovo di fatto è gia una base NATO nel centro dei Balcani come risultato della guerra del 1999 con l’occupazione del Kosovo e Metohija, regione di importanza strategica. Una delle più grandi basi americane nella regione è situata proprio in Uroševca, Kosovo. Intanto, il prossimo 24 marzo (giorno del 18° anniversario dell’inizio dell’aggressione imperialista degli Stati Uniti, la NATO, l’UE col pretesto dei diritti dell’etnia albanese in Kosovo) la Russia consegnerà all’Air Force serba 6 caccia Mig-29 a prezzo simbolico, nel quadro di un processo di riarmamento serbo.
«La situazione attuale può solo surriscaldare il nazionalismo serbo e quello albanese a discapito dei serbi in Kosovo» – spiega in una intervista all’International Communist Press, il segretario generale del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia (membro della Iniziativa Comunista Europea), Aleksandar Banjanac – «L’occupazione imperialista deve volgere al termine. Sostenere la pace e la realizzazione della solidarietà tra i popoli albanesi e serbi non è utile alla NATO. Entrambe le parti sono vittime della NATO. I popoli dei Balcani saranno in grado di determinare il proprio futuro solo se i Balcani gli apparterranno».
Nazionalismo e divisione etnica: cuneo del capitale contro i lavoratori a vantaggio degli imperialisti
In questi giorni siamo inondati nei media dai messaggi filo-europei per il sessantennale dei Trattati che diedero vita all’UE che avrebbe “garantito libertà e pace ai popoli europei” manipolando la realtà e cercando di cancellare dalla memoria dei popoli il macello, lo spargimento di sangue e le conseguenze della guerra condotta nei Balcani. Poco più di vent’anni dopo delle bombe della NATO che hanno disgregato la Jugoslavia occupandola e dividendola in più parti sottraendo le sue risorse con l’espansionismo di potenze europee, gli sviluppi generali nei Balcani sono ragionevolmente causa di preoccupazione raggiungendo oggi il picco della tensione nel quadro generale di acutizzazione delle dispute inter-imperialistiche. E’ necessaria la massima vigilanza e solidarietà internazionale, denunciando ogni coinvolgimento dell’imperialismo italiano, dell’Ue e della NATO che già tanti disastri hanno prodotto nel recente passato nella regione.
I motivi reali di questa escalation nella regione vanno ricercate nei piani geopolitici ed energetici dei centri imperialistici rivali dimostrando se ce ne fosse ancora bisogno che le ragioni dell’intervento degli anni ’90 degli USA-NATO-UE non avevano nulla a che vedere con la “pace” ma è avvenuto per la stessa ragione per cui oggi raggiunge il picco lo scontro, vale a dire il controllo delle risorse in competizione con la Russia, portando ulteriori frizioni tra i popoli.
«Il nazionalismo è stata l’ideologia che ha legittimato le classi dirigenti e gli obiettivi imperialisti» afferma il NPCJ, «questa idea ha diviso la classe operaia su base etnica, portandola a un crollo sociale e materiale». La divisione etnica-nazionale beneficia solo corrotti politici filo-capitalisti, “uomini d’affari” e magnati, uomini di guerra, rappresentando da anni un cuneo contro i lavoratori per dividerli a vantaggio del capitale e delle multinazionali che in questi anni hanno imposto il loro dominio con la borghesia locale di recente formazione che si è formata dai ranghi di coloro che hanno venduto la proprietà del popolo, saccheggiato l’economia, tradito gli interessi del popolo spingendolo ad una guerra fratricida per interessi altrui.
L’unico “freno” ai disegni delle classi borghesi, che non esitano a portare i popoli sull’orlo di un nuovo spargimento di sangue per rispartire e ridisegnare la regione sulla base degli interessi delle diverse potenze imperialiste, può provenire solamente dalla lotta antimperialista delle classi lavoratrici sulla base dei propri interessi comuni per il rovesciamento finale del potere del capitale, mettendo fine all’occupazione della NATO, ai rispettivi nazionalismi, le ingerenze straniere e le varie argomentazioni borghesi al servizio del capitalismo imperialista che cercano di separare e dividere i lavoratori per indebolirne e disarmarne la lotta e la solidarietà tra i popoli.
Uranio impoverito, la strage dimenticata dei soldati italiani:
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Le 43 sentenze di risarcimento e i lavori della commissione parlamentare (la quarta): «Presto una nuova legge»
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Il 28 ottobre scorso, mentre percorreva l'autostrada Bregana-Lipovac, l'automobile di Saša Leković ha mostrato segni di danneggiamento... si è constatato che due bulloni della ruota anteriore destra erano stati segati...
... Misure quali la rimozione di oltre 70 dipendenti dal servizio pubblico radiotelevisivo, la messa in discussione dell’agenzia nazionale per la regolamentazione delle telecomunicazioni e l'abolizione del finanziamento per i media non profit erodono la possibilità che i giornalisti possano svolgere il proprio lavoro adempiendo il compito fondamentale...
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Liberta-dei-media-in-calo-in-Croazia-un-infografica/
da ZAGABRIA – Željka Markić – volto dell’associazione U Ime Obitelj (in nome della famiglia) e attivista della destra nazionalista croata – ha recentemente aperto uno scontro con il settimanale Novosti, voce indipendente e critica nel panorama mediatico croato e nominalmente testata della minoranza serba.
“Novosti diffonde l’odio verso la maggioranza croata”
Il 13 febbraio scorso Željka Markić ha presentato un report sull’uso improprio dei finanziamenti statali all’editoria delle minoranze nazionali da parte della rivista Novosti, edita dal Consiglio Nazionale Serbo. Markić sostiene che la rivista si occupi poco della minoranza serba e troppo della politica nazionale croata. In particolare, il report identifica negli articoli di tre editorialisti di Novosti frasi che “incitano all’intolleranza e all’odio verso il popolo croato”e che mettono in discussione (in modo satirico) l’esistenza di un’(unico) popolo croato e le basi dello stato indipendente.
Markić ritiene inaccettabile che le tasse dei croati finanzino un giornale che li insulta: ha perciò chiesto al comitato per le minoranze nazionali (responsabile dei fondi) l’interruzione immediata del finanziamento a Novosti (pari a 3.2 milioni annui di kune croate). Il comitato per le minoranze nazionali ha prontamente notificato a Markić la sua ignoranza riguardo la legislazione costituzionale in tema di minoranze.
“Novosti promuove la tolleranza attraverso la critica al nazionalismo”
La risposta della redazione di Novosti non si è fatta attendere. Senza venir meno al proprio taglio editoriale critico e tagliente, il venerdì successivo alla denuncia, la rivista è uscita con un numero interamente dedicato alla figura di Markić (secondo la redazione offesa perché trascurata) e quello dopo ancora ha rincarato la dose con un numero dedicato alla natura “clerical-fascista” del movimento U Ime Obitelj.
Riguardo alle accuse, il caporedattore Nikola Bajto ha specificatoche Novosti non è disposta a farsi chiudere in un ghetto per la minoranza serba ma punta a un pubblico più ampio, così da perseguire una reale integrazione tra popolo maggioritario e minoranze. Il caporedattore ha poi sottolineato come la rivista rispetti i criteri per i finanziamenti perseguendo la promozione della tolleranza, del rispetto delle minoranze, dell’eguaglianza e delle libertà garantite dalla costituzione attraverso la critica quotidiana alle discriminazioni promosse da Markić e dalle altre forze del nazionalismo croato. La rivista intende dare così voce alla minoranza serba e a tutte le minoranze etniche, politiche e di orientamento sessuale discriminate dalle posizioni maggioritarie.
L’attacco al pluralismo della stampa in Croazia
Con l’attacco a Novosti si è manifestata ancora una volta l’insofferenza del nazionalismo croato verso la stampa non allineata. Non è un caso che due dei tre editorialisti – Boris Dežulović e Viktor Ivančić – i cui articoli “incitano all’odio verso il popolo croato” provengano dal Feral Tribune – unica realtà critica in Croazia verso il regime di Tuđman durante gli anni ’90, chiusa nel 2008 per difficoltà finanziarie.
Željka Markić e le altre forze del nazionalismo croato stanno proseguendo la politica avviata dall’ex-Ministro della cultura Zlatko Hasanbegović volta a eliminare quelle realtà indipendentiche sbeffeggiano e decostruiscono gli assunti nazionalisti e la narrazione degli anni ’90 in Croazia.
Novosti – rivista della minoranza serba che ha accolto i giornalisti irriverenti ed “eretici” del defunto Feral – è l’incubo dei nazionalisti croati. Non sorprende che Markić ritenga che il budget statale possa essere meglio impiegato in una rivista completamente in alfabeto cirillico e concentrata sul folklore serbo. Basta che nessuno la legga.
Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association e PECOB, Università di Bologna.
Ces deux dernières semaines, l’hebdomadaire Novosti, publié par le Conseil national serbe de Croatie (SNV), a été la cible d’une campagne visant à suspendre le financement public dont il bénéficie, en tant que média d’une minorité nationale reconnue. L’association responsable de cette campagne, célèbre pour son engagement nationaliste et ultra-conservateur, U ime Obitelji (« Au nom de la famille »), a été créée en 2013, pour mener la bataille sur la réforme constitutionnelle qui a amené à restreindre la définition du mariage comme « l’union entre un homme et une femme ».
Le 13 février dernier, Željka Markić, visage public de l’association, a tenu une conférence de presse en face du Parlement croate en demandant la fermeture de l’hebdomadaire. Dans le dossier accompagnant l’appel, Novosti est accusé de représenter une menace parce que le journal promouvrait « l’intolérance contre la majorité croate et contre la République de Croatie ». Sur la base de ces accusations, Željka Markić demande au Conseil pour les Minorités nationales la suspension de son soutien à Novosti (3,2 millions de kunas en 2016, près de 430 000 euros), de même que l’interruption de sa publication pour une période de trois ans.
Les accusations contre l’hebdomadaire ne sont pourtant pas confirmées par les observations objectives des organisations de presse actives dans la région. La plateforme régionale South East Europe Media Observatory, par exemple, a récemment cité Novosti parmi les exemples positifs que représentent un modèle alternatif viable pour la presse, illustrant notamment « un journalisme fièrement indépendant, de qualité, financé en grande partie par les fonds publics ».
Željka Markić, ne s’est pas arrêtée en chemin : le 20 février 2017, elle a lancé une pétition publique pour recueillir des adhésions à la campagne contre l’hebdomadaire. Après la publication de la pétition en ligne, la boîte de messagerie du Conseil pour les minorités nationales a été inondée par des milliers de mails automatiques.
La rédaction de Novosti a diffusé un communiqué de presse exprimant ses préoccupations. « Ces actions constituent une campagne dangereuse et orchestrée au nom du nationalisme, de la xénophobie, visant à stigmatiser les journalistes de l’hebdomadaire Novosti, en les présentant comme des ennemis de l’État et des traitres à la nation ». Cette campagne, selon eux, « vise à répandre la haine contre le Conseil national serbe, qui est l’organisation de tutelle de la minorité nationale serbe en Croatie et contre cette minorité en général ».
Diverses organisations actives dans la défense de la liberté de la presse, dont la Fédération européenne des journalistes (FIJ), ont rapidement réagi en affirmant leur solidarité et leur soutien et en s’alarmant des conséquences d’une éventuelle fermeture de Novosti, qui se solderait par une érosion du pluralisme des médias en Croatie et l’exclusion d’une voix importante des minorités. « Nous considérons la tentative de l’association U ime obitelji comme dangereuse non seulement pour le niveau de protection démocratique des minorités en Croatie, mais aussi par rapport au respect de la liberté d’expression journalistique et éditorialiste au sein des moyens de communication de ces minorités », souligne le SEE Media Observatory.
contenente le cronache dal "Tribunale ad hoc" censurate dai media
e le prove che la morte di Milošević è stata perseguita lucidamente dalla "Corte" per anni
Милошевић ослобођен кривице за Сребреницу још пре девет година
Наводи британског новинара Нила Кларка „вероватно су део кампање оркестриране из Србије – и могуће је из Русије – да се Милошевић ослободи кривице 10 година после смрти”, рекао је ових дана Џефри Најс, бивши главни тужилац у процесу против Слободана Милошевића, изнервиран писањем Кларка, који је у свом блогу на сајту Раша тудеј констатовао да је Хашки трибунал закључио „да је један од највећих политичких демона наше ере, заправо, невин човек који није починио зверства и злочине за које је оптужен”. Својим оценама да је „Хаг одлучио да закључак о Милошевићевој невиности ’сахрани’ негде дубоко у текст пресуде лидеру босанских Срба Радовану Караџићу” Кларк је уздрмао светску, али и домаћу јавност, која се поделила кад је реч о улози Милошевића, а тиме и Србије у рату у БиХ.
Међутим, иако је Кларкова одбрана Милошевића (заснована на ономе што је проучавањем пресуде дуге 2.590 страница открио амерички истраживач и новинар Енди Вилкоксон) представљала праву „бомбу” и прст у око онима који сву кривицу за злочине током деведесетих година 20. века стављају на душу Милошевићу, истина о улози бившег председника Србије утврђена је још пресудом Међународног суда правде у фебруару 2007. године. Тада је, наиме, како за „Политику” подсећа Тибор Варади, професор међународног права и један од адвоката Београда у спору по тужби БиХ против Србије за геноцид, суд у Хагу рекао да се злочин геноцида не може приписати Србији, односно ни Милошевићу ни Србији.
„То је једносмислено речено и не може бити спорно. МСП се није изјаснио о ратним злочинима који не достижу ниво геноцида јер није имао надлежност за то”, каже професор Варади.
На опаску да ли то значи да је оно што је сада Хашки трибунал урадио ослобађајући Милошевића кривице за геноцид у БиХ, Међународни суд правде учинио одавно, Варади каже: „Одавно, једносмислено и директно”.
Он подсећа да је Суд правде те 2007. године констатовао да је почињен геноцид у Сребреници, али да се то не може приписати Србији.
„То је директно утврђено, а не у спору који је водила нека трећа држава. Али, то није новост”, каже Варади.
У пресуди је, подсетимо, констатовано да „Србија није била ни саучесник у геноциду, иако је закључено да је СРЈ током рата пружала војну и финансијску подршку српском становништву у Републици Српској”. Веома сличан закључак извео је у марту ове године и Хашки трибунал, пресуђујући Радовану Караџићу. У параграфу 3460 пресуде лидеру босанских Срба на који се позива Кларк критикујући Трибунал и међународну јавност, стоји да је Слободан Милошевић „делио и подржавао политички циљ оптуженог и руководства босанских Срба да очувају Југославију и спрече одвајање или независност БиХ”, те да је им је Милошевић пружио помоћ у оружју и људству. Али се такође, кад се говори о Милошевићевој улози, додаје и да докази показују да је између Милошевића и руководства босанских Срба дошло до супротстављених интереса, те да је Милошевић износио критике и неслагања с политиком и одлукама руководства босанских Срба, због чега се „веће није уверило да постоји довољно доказа у овом случају да се закључи да се Слободан Милошевић сложио са заједничким планом”, те да Милошевић није био део удруженог злочиначког подухвата.
Говорећи о правној тежини оваквих доказа и закључака, Варади истиче да се „Милошевић може осудити или ослободити само у поступку који се води против Милошевића”, те да је „одлука о Караџићу ипак само одлука о Караџићу”. Ово што је у спору против Караџића утврђено о Милошевићу, како каже, може бити доказ у историјским расправама, „али то је ипак пресуда Караџићу, а нечија кривица се може утврдити или негирати у спору где је тај окривљени у главној улози”.
Саговорник „Политике” укључен у рад међународних судова каже да је у деловима пресуде Караџићу потврђена не само Милошевићева невиност за геноцид у Сребреници, него и за злочине у општинама у БиХ за које је тужилац Серж Брамерц окривљавао Караџића, укључујући и опсаду Сарајева.
„То није ослобађање, али је екстремно значајно да Караџићево веће сматра да Србија није одговорна. Хашки трибунал је, заправо, отишао даље од пресуде Суда правде, јер се она односила само на Сребреницу, а Караџићу се није судило само за Сребреницу. Наравно, ово нема снагу пресуде, али има снагу онога што се у праву зове ’дикта’, односно оно што суд закључи у пресуди, а што се не односи непосредно на предмет судског поступка”, објашњава наш саговорник и додаје да су у праву они који тврде да је реч о историјски значајним доказима.
Уосталом, како подсећа, Милошевић, за разлику од, рецимо, Фрање Туђмана, ниједном пресудом није оглашен кривим за учешће у Удруженом злочиначком подухвату (УЗП). У случају Туђмана то је констатовано пре три године у „случају Прлић”, кад је у пресуди шесторици Хрвата речено да су УЗП у Херцег-босни предводили Туђман, Шушак и Бобетко.
Ових дана и један италијански новинар прикључио се нападу на Хашки трибунал. Новинар Ђулијето Кијеза на порталу „Глобалист синдикејшн” написао је да је „Запад уништио Југославију, убио Милошевића и оптужио га за злочине које он није извршио”.
Саговорник нашег листа закључује да је ова пресуда важна и због тога што је у њој СДА из БиХ тражио основ за ревизију поступка за геноцид против Србије, али је оваквим закључцима „изгубио тло под ногама”.
Урош Шуваковић
субота, 20. август 2016.
Christopher Black and Alexander Mezyaev: Death of President Slobodan Milosevic in NATO Prison Remains a Central Question in International Justice
On March 11, 2006, President Slobodan Milosevic died in a NATO prison. No one has been held accountable for his death.
– In the 7 years since the end of the lonely struggle to defend himself and his country against the false charges invented by the Nato powers, no country has demanded a public inquiry into the circumstances of his death. The only demand for any investigation was made by the Russian Foreign Minister, Serge Lavrov, when he stated that Russia did not accept the ICTY’s denial of responsibility and demanded an investigation be conducted. The ICTY then made its own investigation and as expected exonerated itself from all blame.
Yet, his death cannot lie unexamined, the questions unanswered, those responsible unpunished. The world cannot continue to accept the substitution of war and brutality for peace and diplomacy. It cannot continue to tolerate governments that have contempt for peace, for humanity, the sovereignty of nations, the self-determination of peoples, and the rule of law.
The murder of countless civilians in the Nato led wars since the end of the Second World War is a crime of such immensity that mankind itself stands condemned for letting it happen. First, there was Korea, perhaps 5 million people killed, then Vietnam, another 3 to 5 million killed. These were followed by smaller wars and counter-insurgency operations by countries against their own citizens, but the suffering was the same; Africa, Latin America, Asia; few have been spared.
But since the temporary eclipse of Russian influence and prestige in the early 1990’s the Nato powers, in particular the United States of America, have not only killed the populations of countries resisting their aggression. They have progressed to the murder of the national leaders of those countries, an act considered to be a war crime because it is not only the murder of a person, but an attack on the nation itself, a negation of its right to exist.
Since 1950 the list of national leaders who have been assassinated directly or with the aid of the United States and its allies is
legion-Lumumba of the Congo, Diem of Vietnam, Torrillos of Panama, Allende of Chile, Hussein of Iraq, Habyarimana of Rwanda, Ntayaramira of Burundi, Arafat of Palestine, Ghaddafi of Libya, are but a few. Sometimes they dress up the murders in legal cloth by purporting to issue “indictments” against their victims issued by tribunals set up or controlled by the Nato
powers whose one purpose is to create propaganda to attempt to justify their crimes. Others have been thrown into prisons on false charges and outside of any lawful jurisdiction or fair process; Noriega of Panama, Gbagbo of Ivory Coast, Taylor of Liberia, Kambanda of Rwanda, Hussein of Iraq. The tragic Muammar Ghaddafi was hunted down and murdered like a dog
in the street, so far have these powers sunk below morality and civilised behaviour. One must ask whether the murder of Muammar Ghaddafi would have happened if those responsible for the death of President Milosevic had been exposed and brought to justice.
In fact, in 2010 Ghaddafi called the United Nations to conduct an investigation of all the coup-d’etats in UN member states and “an investigations of all heads of UN member states assassinations.” These proposals were never acted on by the GeneralAssembly.
The death of Slobodan Milosevic was clearly the only way out of the dilemma the Nato powers had put themselves by charging him before the ICTY. The propaganda against him was of an unprecedented scale. The trial was played in the press as one of the world’s great dramas, world theatre in which an evil man would be made to answer for his crimes. But of
course, there had been no crimes, except those of the Nato powers, and the attempt to fabricate a case against him collapsed into farce.
The trial was necessary from Nato’s point of view in order to justify the aggression against Yugoslavia and the putsch by the DOS forces in Belgrade supported by Nato, by which democracy in Yugoslavia was finally destroyed. His illegal arrest by Nato forces in Belgrade, his illegal detention in Belgrade Central Prison until his illegal rendition to the former Nazi
prison near The Hague and the show trial that followed were all part of the drama played out for the world public and it could only have one of two endings, the conviction or the death of President Milosevic.
Much has been said about the death of President Milosevic and about the show trial they forced upon him. I will not repeat what others have said. His wife and friend, Mira Markovic, unable to attend his funeral in Serbia for fear of arrest by the Nato installed regime, referred, in a letter read at the funeral, to “the criminals who murdered you in The Hague.” John Laughland in his brave book, Travesty, wrote that the ICTY, “having abused numerous fundamental judicial principles during the trial,…abused the most elementary humanitarian considerations too…”
Since the conviction of President Milosevic was clearly not possible when all the evidence was heard, or at least a conviction that could be supported by any evidence, his death was the only way out for the Nato powers. His acquittal would have brought down the entire structure of the propaganda framework of the Nato war machine and the western interests that use it as their armed fist. Nato clearly did not expect President Milosevic to defend himself nor with such clarity and determination. The media coverage of the beginning of the trial was constant and front page. It was promised that it would be the trial of the century. Yet soon after it began the media coverage stopped and the trial was buried in the back pages. Things had gone terribly wrong for Nato right at the start. The key to the problem is the following statement to the judges of the ICTY made by President Milosevic:
“This is a political trial. What is at issue here is not at all whether I committed a crime. What is at issue is that certain intentions are ascribed to me from which consequences are later derived that are beyond the expertise of any conceivable lawyer. The point here is that the truth about the events in the former Yugoslavia has to be told here. It is that which is at issue, not the procedural questions, because I’m not sitting here because I was accused of a specific crime. I’m sitting here because I am accused of conducting a policy against the interests of this or another party…..
The prosecution, that is the United States and its allies, had not expected a real defence of any kind. This is clear from the inept indictments, confusion as to the actual charges, the complete failure to bring any evidence that could withstand even basic scrutiny. The prosecution case fell apart as soon as it began. But once started it had to continue. Nato was locked into a box of its own making. If they dropped the charges or if he was acquitted, the political and geostrategic ramifications were enormous. Nato would have to explain the real reasons for the aggression against Yugoslavia. Its leaders would face war crimes charges. The loss of prestige cannot be calculated. President Milosevic would once again be a popular political figure in the Balkans that they could not deal with. Since there was no real evidence against him, the only way out for Nato was to end the trial but without releasing Milosevic or admitting the truth about the war. This logic required his death in prison and the abandonment of the trial.
One of the writers was engaged by the family of President Milosevic to investigate his death and determine what could be done to bring those responsible to some justice. It is now clear that this objective cannot be realised without a full public and international inquiry into the circumstances of his arrest, his detention and the circumstances of the trial. There is much to be learned. The wikileaks revelation that the UN detention unit commander McFadden, had provided information on Milosevic
to the US embassy in violation of his role and prison rules, and subsequent whitewash of these actions by the ICTY sheds light on who really controlled the situation and is an important circumstance to be investigated in relation to his death. The Parker Report itself, the report issued by Judge Parker of the ICTY soon after the death provides a clear basis for such an inquiry. It contains within it circumstances that require thorough investigations and the calling and examination of witnesses. The ICTY prison rules call for an inquiry according to the kaws of the host nation in the event of the death of a prisoner. In the Netherlands, this entails a simple police inquiry. But if the ICTY had been based in Britain, the inquiry would have to be a public one with the hearing of witnesses and the presentation of evidence. Since this matter concerns the death of a head of state and in UN hands, a simple inquiry conducted by the Dutch police, the police of a Nato state are worthless. The only way forward is an international public inquiry.
This analysis of the Parker Report sets out the grounds for seeking such an inquiry.
Its purpose is to determine whether the Parker Report provides a basis for a criminal case to be made against the ICTY authorities of the UN who are responsible for his death. This analysis is necessary as we are unable to have access to all the information available concerning his death which has been refused to us and because no public inquiry has been conducted into the circumstances leading up to his death.
President Milosevic died between 7am too 9am alone in his cell. The Report states on page 4 that the guards failed to check on Milosevic even though he did not respond to the guards attempt to wake him . The Report states that “The actions of the guard in not taking a closer look at Mr. Milosevic cannot be fairly criticised in the circumstances as they represented themselves to the guard at the time.”
However, the circumstances at the time included the fact that Milosevic was reporting hearing problems, was being seen by several teams of doctors and had complained the night before of chest pains. This must have been noted in the logbook for those in charge of his prison wing and known to the Commanding Officer and all his staff. So, it is disturbing that the guard did not immediately check to see if he was alright and, if not, that he did not summon immediate medical attention. Yet no inquiry seems to have been made by anyone, including Judge Parker, as to why the guard was not questioned and his instructions determined. If the guard had not been made aware of Miloevic’s condition-why was that not done? For all anyone knows his death could have come at 9am, just as the guard went to the cell and perhaps he was revivable at that point.
A more disturbing fact is that information exists that the surveillance cameras in his cell were turned off the night before he died and no explanation has been given as to why. What would the cameras have recorded if they had been working?
The cell was not checked again until 10:05am. It took 30 minutes for Dr. Falke to arrive after that. In that time no attempt to resuscitate Milosevic was made.
This amounts to gross negligence. They assumed he was dead. No one bothered to try to stimulate the heart until a doctor came. There is no reason given in the Report why they failed to take this basic step. Was it due to lack of training, that they did not care, something else?
Dutch coroners do not arrive until 6 hours later-at 16:15 and then 4 hours after that they take the body to the morgue. There is no reason given for the delayed arrival of the coroners. But this delay would affect any toxicological tests as with time substances degrade and disappear. Why was there such a long delay in this team arriving when it concerned such an important person?
The Report sets out Milosevic’s physical condition in some detail when he first arrived and after. It states that the UN treating cardiologist advised the Tribunal that he required reduced trial days and less stress due to his condition. It was known as far back as 2003 that he had heart problems that were significant.
The Report confirms that on December 12, 2005, Milosevic, in open session asked to be allowed to go to Russia for treatment which request was denied over two months later on February 23, 2006. Milosevic appealed this refusal on March 2, just before he died on March 11.
This is proof that CO McFadden and his staff were very aware of Milosevic’s state of health and makes it difficult to swallow the Report’s conclusions that the guards have no responsibility in the matter.
Milosevic died as he was preparing a very important witness, Momir Bulatovic, President of Montenegro. This witness never testified and nor have the rest of the defence witnesses been allowed to present the evidence so that Milosevic had the chance to present to the world his defence in toto. Instead of accepting to hear the evidence already scheduled and then rendering a judgement for the deceased-the trial was abruptly cancelled. To whose benefit was this? Clearly only to NATO.
In April 2006, Dr. Zdravko Mijailovic informed the Parker Inquiry that he had been forbidden to assist the Inquiry with his observations by the interference of the “authorities of Serbia and Montenegro”. Conveniently the Inquiry did not press the Serbian “authorities” to cooperate with the ICTY, a remarkable fact when ICTY pressure against Serbia has always been
rewarded with action.
The question is raised; why the Serbian “authorities” interfered in such an important matter. The Report does not state who exactly interfered not in what form and if in writing where the document now is. One would think the government of Serbia would want to assist in the Inquiry not withhold evidence relevant to it. This makes it look as if the Serbian ‘authorities” wanted to suppress facts for their own interests. Why and what were those interests?
The Report states that no traces of rifampicin had been found in the autopsy yet it had been found in his blood from a sample dated the 12th of January 2006. The Report states, “Rifampicin is an antibiotic usually used to treat leprosy and tuberculosis, which has a side effect by which the therapeutic effect of some antihypertensive drugs can be diminished or neutralised.”
It has this effect because it eliminates other drugs from the body more rapidly. This begs the question as whether it was used to mask other drugs or a poison.
One possibility is that the Report states that aside from several hypertension drugs and tranquilizers, the Institute fur Rechtsmedizin, Universtatsklinikum, in Bonn, Germany, “noted that there has been an indication of a possible but unconfirmed presence of a conversion product of droperidol, an antipsychotic, in the urine.”
The Report states that this drug had never been administered to him or prescribed. (page 11). And that, “this could have no relevance to his death.”
Yet it is clearly relevant as droperidol is also an anaesthetic and can be used to sedate patients and its presence risks a drops in blood pressure and death and is not recommended for older persons. Clearly the presence of both rifampicin on January 12 and droperidol later are relevant especially when rifampicin speeds up the metabolism of drugs like droperidol and droperidol itself has a very rapid rate of breakdown in the body. Less than two hours by some reports. Add to this the unexplained delay in the arrival of coroners at the site of death of 6 hours and the further 4 hour delay until taken to the morgue and a further delay until an autopsy the next day and a reasonable person can ask why Parker would say these facts combined together are not relevant and make no further inquiry.
At paragraph 36 the Report states that Milosevic died of a heart attack and that Dr. Bokeria of Russia agrees with this. But this does not explain what caused the heart attack to occur at the time it did. We have asked for all the reports discussed in the Report but have been told we cannot have them.
Paragrphs 40, 41, 42 of the Report detail the initial examination and treatment of Milosevic on arrival at the ICTY prison and after. At paragraph 42 the Report states,
“Dr. Mijailovic in 2001noted further that Mr. Milosevic was at a high risk of a stroke, a heart attack, a sudden cardiac death, or a sudden malignant heart rhythm disorder … for which he recommended several medications and reduction of “workload, stress…” Despite this diagnosis, the trial commenced instead of being postponed until Milosevic was in a better condition.
In other words, the Tribunal, instead of acting according to doctors instructions and reducing his stress, deliberately decided to increase it with an order to commence the trial which began in February 2002. H
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Redazione Senza Tregua – 28 febbraio 2017
13. Sastanak komunističkih omladina Evrope (MECYO)
Između 24. i 26. veljače 2017. godine u Istanbulu održan je 13. Sastanak komunističkih omladina Evrope (MECYO) na kome je prisustvovao predstavnik Mladih Socijalista Socijalističke Radničke Partije Hrvatske. Domaćin ovog događaja bila je Komunistička omladina Turske (TKG). Učešće na njemu ove godine uzelo je 30 delegata iz 13 zemalja predstavljajući ukupno 15 omladinskih organizacija. Ovogodišnji MECYO je posvećen stogodišnjici Velike socijalističke Oktobarske revolucije. Ovogodišnja konferencija održana je pod geslom: “Učeći stotinu godina nakon Velike socijalističke Oktobarske revolucije, borimo se za socijalističku budućnost!”
Konferencija 24. veljače održana je pod sljedećim naslovom: “Dižemo zastavu Oktobra sto godina nakon Velike socijalističke Oktobarske revolucije! Jačajmo borbu mladih Europe za novo društvu, u kojemu imperijalistički ratovi, krize, izbjeglice, nezaposlenost, siromaštvo i kapitalistička eksploatacija neće postojati. Socijalizam je naša budućnost!”
Prvog dana sve organizacije su pročitale referat u kome se opisivalo stanje svojih zemalja i razdoblje socijalističke izgradnje ukoliko su dolazile iz bivših socijalističkih zemalja, povezavši ih s tekovinama Velike socijalističke Oktobarske revolucije.
Drugog dana je održan seminar pod temom: “Da bi opovrgnuli antikomunističke laži koje se šire u institucijama kapitalističkog sustava, potrebno je analizirati objektivne razloge buržoaskog straha od komunizma, braneći baštinu SSSR-a i narodnih republika Europe borimo se protiv antikomunizma”. Rasprava na seminaru dokazala je da antikomunizam ima u suštini mnoge zajedničke značajke, ali se javlja u različitim oblicima u pojedinim zemljama.
Dana 26. veljače, međunarodna delegacija sastala se sa sekretarom centralnog komiteta Komunističke partije Turske, drugom Kemalom Okuyanom s kojim je održan razgovor o političkoj situaciji u Turskoj. Nakon toga, sudjelovali su na dva predavanja. Prvo o imigrantskoj krizi i njenom utjecaju na klasnu borbu u Njemačkoj. Drugo predavanje je održano pod naslovom “Klasna borba u Rusiji sto godina nakon Oktobarske revolucije”.
Tokom uspješnog 13. MECYO dogovarane su aktivnosti u svim zemljama kako bi se tokom cijele godine obilježavala 100. godišnjica Oktobarske revolucije.
Na Sastanku prihvaćene su dvije rezolucije: “O podršci Sirijskom narodu u borbi protiv imperijalizma” i “O solidarnosti s drugovima izloženim antikomunističkom nasilju”.
Član Izvršnog Odbora Mladih Socijalista Socijalističke Radničke Partije Hrvatske
Davor Rakić
Između 24. i 26. februara 2017. godine u Istanbulu održan je 13. po redu sastanak komunističkih omladina Evrope (MECYO) na kome je učešće i ove godine uzeo Savez komunističke omladine Jugoslavije. Domaćin ovog događaja bila je Komunistička omladina Turske . Učešće na njemu je ove godine uzelo 15 omladinskih organizacija. SKOJ su na ovom skupu predstavljala dva delegata, Bojana Đorđević, članica CK SKOJ-a Milan Petković, član sekretarijata SKOJ-a. Ovogodišnji MECYO je posvećen stogodišnjici Oktobarske revolucije.
Prvog dana sve organizacije su imale ovodnu reč u kojoj su povezivale današnju situaciju u svojoj zemlji i socijalističku izgradnju u njoj ukoliko dolaze sa postsocijalističkog prostora sa tekovinama Velike oktobarske socijalističke revolucije. Posebnu pažnju izazvao je tekst SKOJ-a koji je propraćen i diskusijom i kasnijim čestitkama i dodatnim pitanjima članova organizacija učesnica. Nakon toga se pristupilo dvodnevnom sastavljanju zajedničke deklaracije ovogodišnjeg sastanka.
Drugog dana je održan ideološki seminar „Naši zaključci nakon 100 godina od Velike oktobarske socijalističke revolucije. Borimo se za socijalizam koji je budućnost!“. I u ovom seminaru je SKOJ uzeo učešće.
Trećeg dana organizacije koje dolaze iz zemalja u kojima se događaju trenutno važna društvena kretanja su održale predavanje koje su pored delegata MECYO-a slušali i članovi Komunističke omladine Turske(TKG). Ova predavanja su održana u kulturnom centru Komunističke partije Turske koji nosi naziv slavnog turskog komunističkog pisca, Nazima Hikmeta. Prvo predavanje je bilo o izbeglicama, i držala ga je organizacija iz Nemačke, zemlje koja je cijl izbeglica sa bliskog istoka, SDAJ. Drugo predavanje je bilo posvećeno Oktobarskoj revoluciji i reviziji istorije u Rusiji. Ovo predavanje je držala organizacija RKSM(B) iz Rusije.
SKOJ je ovime nastavio sa praksom međunarodne proleterske solidarnosti i organizovanja na internacionalnom što će i u budućnosti biti slučaj.
Sekretarijat SKOJ-a,
01. 03. 2017.
source: https://youtu.be/v9TPPokqZ4k
Hundreds of inhabitants of Donetsk protested before the hotel where members of OSCE observation team reside...
Several OSCE representatives came out to meet the protesters but refrained from making any comments.
“If only the OSCE had monitored the situation more objectively, we would have had peace here a long time ago… The OSCE monitors are telling us nothing, saying only that they will make protocols, nothing else,” Donetsk News Agency quoted one of the protesters as saying.
Another protester, from the nearby town of Gorlovka, shamed the monitors for keeping mum while the Ukrainian military was reducing his town to rubble.
The demonstrators then left, leaving behind a collection of dolls, teddy bears and other children’s toys, which they had smeared with red paint to symbolize the blood of children in the Donbass region who had been killed by Ukrainian troops.
Thursday morning few hundred residents of Donetsk came to the protest rally at the Park Inn hotel, where OSCE monitors are staying. The goal was to express their discontent with the work of special monitoring mission of OSCE in Donbass. People accused the OSCE employees of lack of objectivity.
The OSCE representatives came out to meet the protesters. According to "Interfax", the OSCE mission promised people to visit areas which are bombed daily by the Ukrainian forces.
"We are visiting on a regular basis the shelled areas and city districts you mentioned. We promise you that we will visit them once again. Thank you for being here today, and we'd like to emphasize that we are not against peaceful rallies and meetings, "- said the OSCE representative to the protesters.
OSCE Missions Infiltrated By Intelligence Services – Willy Wimmer (07.08.2015)
About 500 OSCE observers are currently monitoring the situation in eastern Ukraine, causing criticism among many Donbass residents.
People in eastern parts of Ukraine accuse the organization of biased reporting on the conflict. Donbass activists even recently organized a protest in front of the OSCE base in Donetsk to express its disapproval of the Organization’s activities.
According to former OSCE vice-president Willy Wimmer, the demo was a warning and an important lesson for the Organization.
It should not be like that, that one has to demonstrate before the OSCE finally starts to do its job, Wimmer told Sputnik. The Organization should perceive it as a warning and take it into account in its further activities, he added.
The official also noted that there had already been bad experiences in the past, when the Organization was misused and its work — since the war in Yugoslavia — has been infiltrated by intelligence staff.
Another weak point of the OSCE activities, according to Wimmer, is its transparency shortcomings.
The work of the observers may well be very careful. But you never know what happens with their official reports on their way to the OSCE Ministerial Council, Wimmer said, adding that there were cases when the reports were rewritten by American operatives.
Nevertheless, Wimmer hopes that the Organization will eventually return to its original vision and play its key role in the prevention and resolution of military conflicts in accordance with its mandate.
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Vehicles on the Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE) mission parking space in Donetsk were covered up on Sunday, after four armoured vehicles of the special mission in Ukraine were burnt the previous night...
Nel villaggio di Zhovanka, situato nel centro di Zaytsevo controllato dalle forze di sicurezza di Kiev, è stata attaccata una pattuglia della missione di monitoraggio dell'OSCE. Gli osservatori hanno riferito di aver trovato riparo dalle granate nascondendosi dietro la macchina...
http://it.sputniknews.com/mondo/20160410/2446778/Ucraina-bombardamento.html
“The disclosed facts prove that the Ukrainian special services ignore international law,” the message read.
Russian counter-intelligence officers said that Shestakov gathered information about the political economic and military situation in the republic and transferred it to the SBU. In particular, he gave Kiev the coordinates of Lugansk’s militia units, the cellular phone numbers of their commanders, and data about the movements of troops and combat vehicles.
The conflict in eastern Ukraine, which many now describe as a civil war, began in April of 2014, when the freshly installed nationalist regime in Kiev sent military forces and neo-Nazi “volunteer units” to the country’s southeastern regions of Donetsk and Lugansk, which refused to recognize the coup-imposed government in the capital.
According to UN estimates, over 9,000 people have died in two years of constant fighting, many of them civilians, including women and children. In February of 2015, the warring sides managed to secure a peace deal through the mediation of Russia, Germany, and France. However, the conflict is still far from settled.
In late May, Russia and Ukraine conducted a prisoner exchange in which a Ukrainian military officer named Nadezhda Savchenko was swapped for Yevgeny Yerofeyev and Aleksandr Aleksandrov, who are both Russian citizens. Savchenko was serving a prison term in Russia after being convicted of complicity in killing two Russian reporters who were covering the military conflict in Donbass, as well as of illegally crossing the Russian border. The two Russians had been jailed in Ukraine for “terrorist activities” – a term used by the court in Kiev to describe the fight of the self-proclaimed republics of Donetsk and Lugansk for more autonomy. Both of them had pleaded not guilty.
On June 15, Russian presidential press secretary Dmitry Peskov told reporters that he did not exclude the possibility of more prisoner exchanges between Kiev and Moscow.
https://it.sputniknews.com/mondo/201702084045054-kiev-piano-osce-pace-donbas/
VIDEO: https://youtu.be/J9z5cokk6_o?t=3m5s
96. GODIŠNJICA LABINSKE REPUBLIKE
UZ 96. GODIŠNJICU POBUNE RUDARA, DOGAĐAJA POZNATOG KAO
LABINSKA REPUBLIKA
1. II. 1921. godine, vraćajući se iz Trsta, istaknuti sindikalni i socijalistički vođa Ivan Pipan napadnut je i maltretiran u Pazinu od strane fašista. Po dolasku predstavnika vlasti, fašisti su već bili otišli, a Pipanu su savjetovali da više ne dolazi u Pazin.
Stigavši u Vinež, o događajima u Pazinu informirao je rukovodstvo sindikata, a vijest o tome proširila se Labinštinom. Ozlojeđeni tim, a i ostalim nasillnim ispadima fašista, sindikat donosi odluku o stupanju u protestni štrajk koji je počeo 2. III. 1921. u 13 sati.
Štrajk je prešao prvobitno zamišljene okvire. Razvio se u pobunu i pokret političkog, ekonomskog i revolucionarnog karaktera. Trajao je 37 dana, a ugušen je vojnom intervencijom. U njemu je učestvovalo više od 2.000 ljudi, pripadnika najmanje sedam različitih nacionalnosti.
Vjerodostojnih dokumenata iz Socijalističke stranke Italije ili iz sindikalne federacije nema pa se sva saznanja o događaju baziraju na službenim talijanskim izvorima i na kazivanju svjedoka. Po tome izlazi da je odluku o štrajku donijela sindikalna federacija 2. III. prije podne. Prijedlog je podnio sekretar federacije Ivan Pipan.
Za sljedeći dan, 3. III. sazvana je skupština u 9 sati u Vinežu na koju je došlo i mnogo mještana iz okolnih sela. Na skupu je potvrđeno stupanje u štrajk u znak protesta protiv sve većeg fašističkog terora. Po svršetku skupa došlo je do incidenta između štrajkaša i fašista prilikom čega je bilo i povrijeđenih.
Nacionalni zadružni konzorcij za proizvodnju ugljena i njihovih ekstrakata iz Firence pozvao je rudare proglasom da od dotadašnjih vlasti ugljenokopa u Italiji preuzmu u svoje ruke rudnike ugljena i njihovih ekstrakata. Poziv je glasio ovako:
RUDARI !
Vi sigurno znate da je u ovo posljednje vrijeme konstituiran, sa sjedištem u Firenci, Nacionalni zadružni konzorcij za industriju ugljena i njihovih derivata.
Konzorcij je zadružna asocijacija radnika.
Njegovo se članstvo sastoji isključivo od radnika: on pripada Generalnoj konferenciji rada i Nacionalnom savezu kooperativa. Cilj Konzorcija je u tome da se u formi zadruga iskorištavaju rudnici, isključujući odatle državnu birokraciju i kapitalističku špekulaciju. Naš je program da bez plaćanja odštete zaposjednemo ugljenokope, proširujući to dalje i na ostale grane ekstraktne industrije. Socijalizacija podpovršine je krajnji cilj za kojim teži djelovanje Konzorcija. IZ SVIH RUDNIKA TREBA DA BUDU UKLONJENI VLASNICI, privatni kapitalisti i izrabljivači radničkog truda!
U svakom rudniku neka se konstituira po jedna radnička zadruga, organ Konzorcija, koja treba da preuzme upravu rada pod svojim rukovodstvom. SVE KORISTI I DOHODAK INDUSTRIJE TREBA DA PRIPADNU RADNIČKOJ MASI!
Konzorcij namjerava da na području rudarstva započne novi život, novi početak rada i neposredna oživotvorenja velikih socijalnih ideala koje razvija radnički svijet…
Ovaj poziv odaslan je prije 2. III. i sa sigurnošću možemo pretpostavit da je Ivan Pipan bio u Trstu radi zauzimanja stavova o tome.
Osim napada fašista na Pipana i poziva Konzorcija iz Firence, na odluku o izlasku u štrajk utjecalo je i opće stanje u rudnicima, niske plaće, slabi uvjeti života, visoke norme.
Oktobra 1920. godine, rudari su sklopili s upravom nepovoljni kolektivni ugovor. Po njemu, za jedan dan neopravdanog izostanka s posla mjesečno, imao je za posljedicu gubitak cijele zarade. Zatim, prethodni austrijski sistem priznavao je 24 praznika godišnje, a novi talijanski 12.
Sam tok štrajka govori o visokom stupnju organiziranosti. Štrajku se pridružio i dio uprave. Postavljen je i novi direktor, rudari su preuzeli rudnike, postrojenja, separaciju na Štalijama, skladište eksploziva i luku Brščica.
Formiran je Centralni komitet koji rukovodi svim aktivnostima. Organizirano je prikupljanje hrane u okolnim selima. Osnovane su Crvene straže koje su branile pristup rudniku, minirana su skladišta, rudarska okna, separacija, a u svrhu obrane od napada. Naoružanje kojim su rudari raspolagali sastojalo se od desetak pušaka, nešto bombi i revolvera i eksploziva.
Zadatak komiteta bio je i održavanje reda i mira, rješavanje eventualnih sporova, a uhapšena je i grupa rudara sa Sicilije koja je surađivala s vlastima.
Preuzimanje rudnika pod parolom „KOVA JE NASA“, isticanje crvene zastave i obnova proizvodnje, bili su ona razdjelnica koja dijeli klasični štrajk od pobune, odnosno revolucionarnog pokreta koji se dogodio u ovom slučaju. Štrajk podrazumijeva prestanak radnih aktivnosti. Ovdje imamo slučaj da su radnici 21. III. nastavili s vađenjem ugljena, ali za svoj račun.
7. IV. isplovio je brod pun ugljena iz luke Štalije koji, međutim, nije bio isplaćen zbog gušenja pokreta.
Iako je među fašistima prevladavala želja da se pobunjeni rudari napadnu, već na početku vlasti nisu bile sklone takvom ishitrenom rješenju. Računali su da će štrajk biti kratak, a i kao nova vlast na ovom području priželjkivali su prihvaćanje, a ne odbojnost domicilnog stanovništva.
Kako je vrijeme odmicalo tako se kod vlasti učvršćivalo saznanje o potrebi razbijanja štrajka. To je vršeno kombiniranim konkretnim akcijama u više pravaca: pregovorima, pokušajima podmićivanja i prijetnjama. Kako sve to nije dalo rezultata, 7. IV. dana je naredba da se nasilno zauzme Labinština. U tu svrhu angažirano je oko 1.000 dobro naoružanih vojnika, a u Štalije su uplovila dva ratna broda s vojskom.
Vlasti su u razgovoru s Pipanom predložile rudarima kapitulaciju, što je sindikalni vođa u ime rudara odbio i prihvatio borbu s vojskom. Vojna akcija protiv rudara započela je 8. IV. u jutarnjim satima kod sela Štrmac. U 13 sati zauzet je rudnik u Krapnu. U 13:30 zauzet je rudnik u Vinežu. Skladište na Štalijama zauzeli su financi iz Pule. Izgleda da je svaki otpor rudara prestao u popodnevnim satima.
Na strani rudara poginula su dva rudara: Maksimilijan Orter i Adalbert Sikura, a bilo je i ranjenih. Na strani vojske bilo je dvoje ranjenih. Uhapšeno je 40-ak rudara koji su sprovedeni u zatvor u Rovinj, gdje su dvojica podlegla usljed zlostavljanja.
Istraga je trajala sedam mjeseci, a glavna rasprava zakazana je 16. XI. 1921. godine pred Okružnim sudom u Puli. Ukupno su bila optužena 52 rudara.
Iz optužnice je vidljivo da su vlasti štrajk i događaje na Labinštini tretirale kao uspostavljanje sovjetskog režima. Tužilac tretira optužene kao pobunjenike, a branitelji smatraju da su optuženi u nepovoljnijem položaju u odnosu na slično optužene u Italiji jer se na njih primjenjuju austrijski zakoni. Traže da se na njih primijeni dekret o amnestiji.
Kako novoj vlasti koja se još učvršćivala nije bilo stalo do zatezanja odnosa s lokalnim stanovništvom, donesena je oslobađajuća presuda i rudari su pušteni kućama.
Dio rudara, bojeći se represija, emigrirao je u Jugoslaviju i druge evropske zemlje i Ameriku. Centralni rudarski komitet se raspao, ali aktivnost rudara na Labinštini nije prestajala.
Životne su prilike bivale sve teže pa je u augustu 1922. g. ponovno izbio
štrajk koji nije bio uspješan kao prethodni jer je i nova vlast u međuvremenu ojačala. Tom je prilikom dosta rudara otpušteno.
30. X. 1922. g. na vlast dolazi Musolini, Squadre d’azione krstare gradovima i selima i teroriziraju stanovništvo.
27. IV. 1923. g. dekretom se daju ovlaštenja da se slavenski nazivi naselja promjene u talijanska, a isto to je učinjeno i s prezimenima u nastojanju talijanizacije Istre.
Novonastala Komunistička Partija Italije postaje onaj politički subjekt u kojemu rudari prepoznaju sebi najbližu političku opciju. U Crvenu federaciju, koju vodi Komunistička partija, učlanjeno je 850 rudara.
U izvještaju fašističke milicije od 9. VI1. 1925. godine navodi se: „Grad Labin je, kao što je poznato, uvijek glavni centar boljševizma u Istri.“
Usprkos nastojanja fašista da onemoguće bilo kakvu aktivnost, 1925. g. rudari ponovno štrajkaju. Tom su prilikom izborili 25% povećanje plaće.
6. XI. donesen je zakon o zaštiti države po kojemu je osnovan SPECIJALNI SUD ZA ZAŠTITU DRŽAVE koji je najviše sudio komunistima i ostalim rodoljubima.
Imajući u vidu događaje koji su se odvijali i dostupna saznanja o njihovoj uzročno-posljedičnoj vezi i postavljenim ciljevima, nameće se pitanje: je li LABINSKA REPUBLIKA imala u sebi elemente državnosti? Iz analiza svjedoka i dokumentacije nema potvrda da je LABINSKA REPUBLIKA zbog toga proglašena niti formalno organizirana. Narod je govorio o SLOBODNOJ REPUBLICI. U štampi ovaj se pokret nazivao: LA REPUBBLICA ROSSA, SAN MARINO COMUNISTA ili COMUNE PARIGINA ISTRIANA.
Drugo pitanje koje se nameće: da li je ta zamisao bila utopija? Uzimajući u obzir ukupno stanje stvari, ne bi se to moglo reći. Naime, rudari su bili duboko uvjereni da je Italija pred revolucijom i da je samo pitanje vremena kad će ona izbiti. Treba imati na umu da se događaj o kojemu je riječ zbio za manje od četiri godine nakon uspjele Oktobarske revolucije u Rusiji i svega dvije godine nakon neuspjele Berlinske revolucije u Njemačkoj. Za pretpostaviti je da se tim uvjerenjem vodio i Nacionalni zadružni konzorcij iz Firence prilikom upućivanja proglasa rudarima u Italiji. U tom kontekstu oni svoju akciju nisu vidjeli kao izolirani slučaj.
U stvari, bila je to istinska prirodna emancipatorska želja čovjeka za svojim oslobođenjem i željom da ovlada rezultatima svoga rada. Pokušaj realizacije Marxove misli „tvornice radnicima“, drugim riječima: samoupravljanje.
To je na ovim prostorima uspjelo dva i pol desetljeća kasnije kada su bili ispunjeni i ostali socijalni, klasni i povijesni uvjeti potrebni za ostvarenje tih vrijednosti. A epizoda Labinske republike svakako je poslužila kao dobar putokaz i korisno iskustvo u izgradnji potrebne klasne svijesti, ali i revolucionarne prakse, nadolazećoj generaciji koja je ideju uspješno sprovela.
Vladimir Kapuralin
Da: Partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana <partigiani7maggio @ tiscali.it>
Oggetto: A 73 anni dalla strage di Pozza
Data: 7 marzo 2017 22:10:44 CET
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Per le FOTOGRAFIE si veda al link diretto: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/cap4.htm#iii_ext_pozza