Informazione


La notizia di Manlio Dinucci: Il «disarmo» nucleare di Gentiloni

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=-hquxihADio


L’arte della guerra 

Il «disarmo» nucleare di Gentiloni 

Manlio Dinucci 
  

La scena della folla presa dal panico in piazza San Carlo a Torino, con drammatiche conseguenze, è emblematica della nostra situazione. La psicosi da attentato terroristico, diffusa ad arte dall’apparato politico-mediatico in base a un fenomeno reale (di cui si nascondono però le vere cause e finalità), ha fatto scattare in modo caotico l’istinto primordiale di sopravvivenza. Esso viene invece addormentato col black-out politico-mediatico, quando dovrebbe scattare in modo razionale di fronte a ciò che mette in pericolo la sopravvivenza dell’intera umanità: la corsa agli armamenti nucleari. 

Di conseguenza la stragrande maggioranza degli italiani ignora che sta per svolgersi alle Nazioni Unite, dal 15 giugno al 7 luglio, la seconda fase dei negoziati per un trattato che proibisca le armi nucleari. La bozza della Convenzione sulle armi nucleari, redatta dopo la prima fase negoziale in marzo, stabilisce che ciascuno Stato parte si impegna a non produrre né possedere armi nucleari, né a trasferirle o riceverle direttamente o indirettamente. 

L’apertura dei negoziati è stata decisa da una risoluzione dell’Assemblea generale votata nel dicembre 2016 da 113 paesi, con 35 contrari e 13 astenuti. 

Gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato (Francia e Gran Bretagna), gli altri paesi dell’Alleanza e i suoi principali partner – Israele (unica potenza nucleare in Medioriente), Giappone, Australia, Ucraina – hanno votato contro. 

Hanno così espresso parere contrario anche le altre potenze nucleari: Russia e Cina (astenutasi), India, Pakistan e Nord Corea. 

Tra i paesi che hanno votato contro, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. Il governo Gentiloni ha dichiarato, il 2 febbraio, che «la convocazione di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisce un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare». 

L’Italia, sostiene il governo, sta seguendo «un percorso graduale, realistico e concreto in grado di condurre a un processo di disarmo nucleare irreversibile, trasparente e verificabile», basato sulla «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione, pilastro del disarmo». 

In che modo l’Italia applica il Tnp, ratificato nel 1975, lo dimostrano i fatti. Nonostante che esso impegni gli 
Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente», l’Italia ha messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per l’installazione di armi nucleari (almeno 50 bombe B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. 

Dal 2020 sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova arma da first strike nucleare, con la capacità  di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando. Una volta iniziato nel 2020 (ma non è escluso anche prima) lo schieramento in Europa della B61-12, l’Italia, formalmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.

 Che fare?  Si deve imporre che l’Italia contribuisca al varo del Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari e lo sottoscriva e, allo stesso tempo, 
pretendere che gli Stati uniti, in base al vigente Trattato di non-proliferazione, rimuovano qualsiasi arma nucleare dal nostro territorio e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12. 

Per quasi tutto il «mondo politico», l’argomento è tabù. Se manca la coscienza politica, non resta che ricorrere all’istinto primordiale di sopravvivenza.  

(il manifesto, 6 giugno 2017)   


en français: Le « désarmement » nucléaire de Gentiloni (par  Manlio Dinucci)
Les Nations Unies vont ouvrir, le 15 juin 2017, une véritable négociation visant à interdire les armes nucléaires. Jusqu’ici le Traité de non-prolifération est une mascarade visant exclusivement à maintenir l’avantage que détiennent les puissances nucléaires sur les autres. Bien entendu, toutes les puissances nucléaires, sans exception, ont tenté de s’opposer à cette initiative de l’Assemblée générale de l’Onu...



Un nazista ucraino ricevuto alla Camera dalla Boldrini


di Danilo Della Valle - Lantidiplomatico, 8 giugno 2017


Un nazista a Roma….a firmare un Memorandum d’intesa tra la Camera dei Deputati e la Rada ucraina che ha come obiettivo il rafforzamento della cooperazione parlamentare tra le due assemblee sia sul piano politico che su quello amministrativo.
La Presidente Laura Boldrini che ha accolto con tutti gli onori del caso il Presidente della Rada ucraina Andriy Parubiy, ha tenuto a precisare che “l’Italia ha sempre condannato l’azione illegale avvenuta ai danni di una parte del territorio ucraino come ha ripetutamente fatto anche l’Unione Europea”. Inoltre la Presidente Boldrini ha tenuto a precisare, in piena sintonia con Parubiy, che è in atto una grave campagna di disinformazione atta a destabilizzare il territorio ucraino. Fin qui tutto “nella norma”, viste le posizioni a dir poco miopi del nostro governo sulla questione ucraina, quello che però non è normale è altro.

Altrove, ad esempio in Uk, la visita del Presidente della Rada ucraina non è passata sotto silenzio, anzi, è stata oggetto di numerose critiche da parte dell’opinione pubblica e dei partiti politici sinceramente democratici ed antifascisti.

Perchè?

Perché, cara Presidente Boldrini, senza voler scendere troppo nel dettaglio chiedendole se lei conosca effettivamente ciò che succede non solo nei territori in cui il governo ucraino bombarda altri cittadini ucraini colpevoli di abitare ad est e parlare russo. Senza volerle chiedere se conoscA la repressione che subiscono le forze progressiste e comuniste nell’Ucraina “democratica” di Poroshenko, le chiediamo…..ma lei conosce almeno Andriy Parubiy, il presidente della Rada con cui ha detto di esser in sintonia?

Andriy Parubiy, che dice di essersi sempre ispirato ai valori della Eu e di guardare all’Europa come ad un traguardo da raggiungere per l’Ucraina, nel 1991 fondò insieme a Oleg Tyahnybok, attuale leader della formazione nazionalista Svoboda, il Partito Nazional Sociale Ucraino. La fonte di ispirazione per questi democratici ucraini era il Partito Nazional Socialista di Adolf Hitler, come nel 2015 scriveva la testata tedesca spiegel.de (http://www.spiegel.de/international/europe/ukraine-sliding-towards-civil-war-in-wake-of-tough-new-laws-a-945742.html) e solo gli “etnicamente ucraini” potevano farvene parte. Sempre a proposito del PNSU, in una ricerca del 2009 degli studiosi Andreas Umland e Anton Shekovstov, famosi per non esser popriamente dei propagandisti russi, il partito fondato da Parubiy veniva etichettato con le seguenti parole: “Dei vari partiti nazionalisti ucraini il Partito Nazional Sociale Ucraino era il meno incline a nascondere la sua ideologia neofascista. Il suo simbolo ufficiale era il Wolfangel usato dalla divisione tedesca SS Das Reich e da una serie di organizzazioni neofasciste europee dopo il 1945. L’ideologia ufficiale del partito era quella del “nazionalismo sociale” in riferimento alla ideologia nazional socialista di stampo Hitleriano. La piattaforma politica del PNSU si è sempre contraddistinta per il suo ultranazionalismo, per l’obiettivo dichiarato della presa del potere attraverso azioni violente e per incolpare la Russia di tutti i problemi che affliggevano ed affliggono l’Ucraina. Inoltre il PNSU è stato il primo partito a coinvolgere nelle proprie attività naziskin provenienti dagli ambienti calcistici ucraini”. 

http://www.academia.edu/5261476/Ultraright_Party_Politics_in_Post-Soviet_Ukraine_and_the_Puzzle_of_the_Electoral_Marginalism_of_Ukrainian_Ultranationalists_in_1994-2009


Dal 1998 al 2004 il democraticissimo Parubiy ha guidato la formazione paramilitare di estrema destra “Patrioti di Ucraina”sempre all’interno del PNSU. In questi anni la formazione paramilitare si è resa protagonista di pestaggi a Lvov durante le manifestazioni del Partito Comunista Ucraino (1998) e di commemorazioni inneggianti ai collaborazionisti nazisti della OUN – UPA capeggiati da Stephan Bandera, divenuto eroe nazionale in questi ultimi anni. Bandera si è reso responsabile della uccisione di migliaia di russi, bielorussi e polacchi, secondo gli studiosi le azioni dell’OUN – UPA sono da catalogarsi come pulizia etnica. http://www.academia.edu/7629265/Ethnic_Cleansing_Genocide_or_Ukrainian-Polish_Conflict_The_Mass_Murder_of_Poles_by_the_OUN_and_the_UPA_in_Volhynia

A proposito di Stephan Bandera, quando nel 2010 una risoluzione del Parlamento Europeo deplorava la decisione del governo Yushchenko di proclamare il collaborazionista nazista Bandera eroe nazionale, il sempre democraticissimo Parubiy vomitava parole d’odio verso la “democrazia europea” e verso la “sempre colpevole” Russia in difesa del nazismo.http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2010-0035+0+DOC+XML+V0//EN .

Tornando agli avvenimenti più recenti, Parubiy lo ritroviamo durante la rivolta di Maidan tra i protagonisti della “ribellione”, conosciuto come “comandante di Maidan”. Appare in molti scatti al fianco di manifestanti violenti soprattutto con i militanti di Pravji Sektor (Settore Destro), una delle organizzazioni paramilitari nazionaliste che stranamente è capeggiata dal pupillo di Parubiy ai tempi di “Patrioti Ucraini”, Andriy Biletskiy. Durante i giorni più caldi del Maidan che hanno portato poi alla destituzione del Presidente eletto Yanukovitch e al seguente colpo di Stato, Parubiy assume un ruolo importante nel coordinare le operazioni dell’ala paramilitare della protesta. Secondo la BBC ed altri studiosi dei tragici avventimenti ucraini la storia ufficiale del massacro di Maidan sarebbe ben diversa dalla realtà che viene fuori da varie testimonianze, e Parubiy sembra aver una fetta enorme di responsabilità su quanto è successo visto il suo ruolo di coordinatore dell’ala più oltranzista e la sua capacità di riunire sotto la propria ala protettrice tutti i gruppi più nazisti d’Ucraina. http://www.globalresearch.ca/who-was-maidan-snipers-mastermind/5384599

https://gordonhahn.com/2016/03/09/the-real-snipers-massacre-ukraine-february-2014-updatedrevised-working-paper/

http://www.bbc.com/news/magazine-31359021

Infine, per non farsi mancare niente, Andriy Parubiy lo possiamo vedere il 29 Aprile del 2014 quando si reca ad Odessa a regalare giubbotti antiproiettili ai “patrioti” Ucraini, ed in particolare lo possiamo vedere chiacchierare in maniera molto amichevole con Mykola Volkov, uno dei principali protagonisti dell’organizzazione del Massacro del 2 Maggio 2014, quando persero la vita migliaia di manifestanti pacifici che non volevano il colpo di Stato in atto a Kiev. In questi seguenti video possiamo vedere il momento della consegna dei giubboti e il ruolo di Volkov durante il 2 Maggio, quando lo si vede chiaramente sparare all’indirizzo della casa dei Sindacati. video widely available on the internethttps://www.youtube.com/watch?v=LLOD0aIcn_s

Sempre nel 2014, Andryi Parubiy fonda il Partito Fronte Popolare, partito che ha al proprio interno un “consiglio militare” composto dai Presidenti delle organizzazioni naziste paramilitari Azov e Aidar.

In conclusione ci chiediamo come sia possibile che un Paese come il nostro che si dichiara antifascista per vocazione costituzionale possa accogliere personaggi simili con tutti gli onori del caso e possa addirittura firmare memorandum di intesa con governi che perseguono questo tipo di politiche razziste nei confronti delle minoranze interne. Ci chiediamo come sia possibile che la Presidente Boldrini sempre attenta, a parole, a combattere ogni forma di razzismo possa fare dichiarazioni come quelle riporatate in apertura di articolo. A quanto sembra le uniche fake news sono proprio le sue e quelle del suo carrozzone politico politically correct a parole e non nei fatti.

Chiediamo quindi che tutte le formazioni sinceramente democratiche e autenticamente ancorate alla nostra Costituzione antifascista si facciano da portavoce per chiedere spiegazioni alla Presidente della Camera ed al governo Italiano che si sta rendendo complice di uno Stato che fa del razzismo il suo cavallo di battaglia.


===


Su Andrej Parubij, speaker del Parlamento ucraino, si vedano anche:

... il a créé le parti néo-nazi ukrainien « Parti social-national ukrainien » en 1991, devenu Svoboda en 2004...
http://cesteneurodictaturecapitaliste.skynetblogs.be/archive/2016/04/17/bien-sur-les-mediuas-ne-parleront-pas-de-celui-qui-est-prese-8596004.html

Verità per Andy Rocchelli, il presidente del parlamento ucraino rassicura l’Italia: «Le indagini proseguono» (5.6.2017)

LAURA BOLDRINI STRINGE LA MANO AD UN NEONAZISTA (Fort Rus, 6/6/2017)


Sulla complicità della politica italiana con il colpo di Stato e l'instaurazione del regime banderista in Ucraina si vedano anche: 

Gianni Pittella, eurodeputato PD vicepresidente del Parlamento Europeo, è tra i grandi sponsor del nazismo ucraino:

Febbraio 2014, Gianni Pittella accompagna Eugenia Timoshenko, figlia della oligarca mafiosa di estrema destra Julija, dalla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini (fonte: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10205309185236841&set=gm.1542284676041583&type=1&theater )

Manlio Di Stefano: "Il governo italiano alleato dei nazisti Ucraini" (Fort Rus, 19 mar 2015)
Intervento alla Camera del Parlamentare del Movimento 5 Stelle Manlio Di Stefano. 
In una lunga accusa alla politica estera del governo italiano, Di Stefano si focalizza anche sulla questione della guerra Ucraina. Il Governo del PD e di Matteo Renzi è complice di avere appoggiato il golpe che ha portato al potere in Ucraina dei criminali e dei neonazisti, che sono al servizio degli interessi geopolitici americani. "La distruzione economica e l'occupazione dell'Ucraina, segue un piano preciso di politica estera degli Stati Uniti: portare la NATO ai confini della Russia e rompere le relazioni tra Mosca ed UE, sia dal punto di vista commerciale che da quello energetico. Il governo italiano non è alleato degli Stati Uniti. Ne è proprio un suddito"...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=W0Ec5st9UNM

Opere d'arte italiane ostaggio dei golpisti ucraini
[In ostaggio di Poroshenko i quadri rubati nel museo di Castelvecchio]
Tele di Castelvecchio. Poroshenko ora risulta indagato (L'Arena 30.11.2016)
La denuncia presentata dall’avvocato Guariente Guarienti per l’appropriazione indebita di quei quadri sottratti, armi in pugno, al museo di Castelvecchio la sera del 19 novembre 2015 si è tradotta con l’apertura di un fascicolo d’indagine...
Pagato riscatto per i quadri di Castelvecchio (segnalazione di F. Muzzolon)
Dopo la restituzione seppur tardiva dei quadri di Castelvecchio in centro a Verona, rubati da una banda moldava con l'appoggio della guardia giurata, si è ipotizzato che sia stato pagato un riscatto. L'on. D'Arienzo è sbottato: “Il contributo di emergenza di un milione di euro all'Ucraina: 700.000 euro al Programma Alimentare Mondiale (PAM) per la distribuzione di razioni alimentari e di aiuti in contanti alle categorie più vulnerabili della popolazione civile e 300.000 euro all’UNICEF per finanziare la realizzazione di un progetto nel settore dello sminamento umanitario è frutto di decisioni prese circa tre anni fa, con l'allora Ministra degli Esteri Emma Bonino” sostiene il deputato PD Vincenzo D'Arienzo. Un PD sempre più renziano e con simpatie tosiane evidentemente:
http://www.veronasera.it/cronaca/quadri-castelvecchio-d-arienzo-riscatto-pagato-29-dicembre-2016.html
Così si è venuti a sapere che l'Italia ha versato in quella occasione alla nuova Ucraina di Petro Porosenko un milione di euro...

Le autorità italiane al servizio dei nazisti ucraini (PTV news 12 Aprile 2017)
[Sequestrati alla Fiera di Verona tutti i vini provenienti dalla Crimea]
Il vino della discordia. Lunedi' 10 aprile, la Guardia di Finanza ha sequestrato dalla fiera Vinitaly 2017 a Verona tutti i vini provenienti dalla Crimea. A quanto pare, su richiesta del governo ucraino. Gli imprenditori crimeani hanno partecipato alla fiera come parte della delegazione russa. Secondo Janina Pavlenko, a capo della famosa cantina “Massandra”, al momento del sequestro erano rimaste soltanto alcune decine di bottiglie, dato l’enorme successo ottenuto. Intanto, Kiev ha lanciato Stop List. Da oggi, chi visita la Crimea senza l'autorizzazione ucraina, potrà essere segnalato da chiunque, direttamente sul sito web della polizia di frontiera. Un evidente incoraggiamento alla delazione europea. E questi sarebbero i nostri futuri alleati?

---

Sulle attività di Mauro Voerzio (Fort Rus, 22.3.2016)
Il giornalista ucraino Anatoly Sharij, noto smascheratore di bufale e fake, esprime la sua opinione sulla brutta figura che fa l'Ucraina in Italia...

Deputato Pd introduce i nazisti nel parlamento italiano (PandoraTV, 5 apr 2017)
Martedì 4 aprile presso la sala stampa di Montecitorio si è svolta la conferenza stampa intitolata ‘Stop Fake una questione di libertà’ promossa dall’onorevole del PD Davide Mattiello, con la partecipazione di Yevhen Fedchenko, direttore della Mahyla School of Journalism nonché co fondatore del sito Stopfake.org e Mauro Voerzio di StopFake Italia...

"Mauro Voerzio: Chi lo muove?" (PandoraTV, 5 apr 2017)
Giulietto Chiesa intervistato da News Front. Traduzione a cura di Tamara Djiuranova.







Il grande architetto del terrorismo moderno: la vera storia di Zbigniew Brzezinski


di Henry Tougha *

È morto da pochi giorni Zbigniew Brzezinski, uno degli ispiratori della politica estera americana dai tempi della guerra russo-afghana fino al recente conflitto in Siria, uno dei più geniali e spietati ideatori della violenza imperialista statunitense. The AntiMedia ne riassume l’eredità: la costruzione metodica dell’estremismo islamico, di al-Qaeda, la destabilizzazione sistematica del Medio Oriente, l’induzione di uno stato di tensione continua contro la Russia.

di The AntiMedia, 27 maggio 2017

Zbigniew Brzezinski, ex consulente per la sicurezza nazionale del Presidente Jimmy Carter, è morto lo scorso venerdì in un ospedale della Virginia, all’età di 89 anni. Sebbene il New York Times ammetta che l’ex consulente del governo fosse un “falco della teoria strategica”, travisare la sua eredità come se fosse, per il resto, infinitamente positiva, non è così semplice come l’establishment vorrebbe credere.

Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’ISIS — e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marzialequasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’ISIS — la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno.

Come spiega il New York Times, il “profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica” ha guidato molta della politica estera Americana, “nel bene e nel male“. Così scrive il Times:

Brzezinsky sostenne l’invio di miliardi [di dollari] di aiuto ai militanti islamici che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. Incoraggiò tacitamente la Cina a continuare il suo sostegno a favore del regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Unione Sovietica, prendessero il controllo del paese”.

Sebbene sia un progresso, da parte del New York Times, notare il sostegno di Brzezinski verso i militanti islamici, minimizzare gli effetti della sua aggressiva agenda di politica estera con una semplice frase non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski.

Dopo che un colpo di stato in Afghanistan, nel 1973, aveva istituito un nuovo governo laico favorevole ai sovietici, gli Stati Uniti si impegnarono a rovesciare questo nuovo governo organizzando una serie di tentativi di colpi di stato tramite i paesi lacché dell’America, il Pakistan e l’Iran (che a quel tempo era sotto il controllo dello Shah, sostenuto dagli USA). Nel luglio 1979 Brzezinski autorizzò ufficialmente il sostegno ai ribelli mujaheddin in Afghanistan, tramite il programma della CIA denominato “Operazione Ciclone”.

Molti oggi difendono la decisione dell’America di armare i mujaheddin in Afghanistan, perché credono che fosse necessario per difendere il paese, e l’intera regione, dall’aggressione sovietica. Tuttavia le stesse affermazioni di Brzesinski contraddicono in pieno questa giustificazione. In un’intervista del 1998, Brzesinski ammise che, nel condurre questa operazione, l’amministrazione Carter stava “consapevolmente aumentando la probabilità” che i sovietici intervenissero militarmente (suggerendo così che avessero iniziato ad armare le fazioni islamiste già prima dell’invasione sovietica, rendendo dunque la giustificazione superflua, perché non ci sarebbe stata, a quel tempo, alcuna invasione sovietica da respingere armando i guerrieri afghani della libertà). Brzezinski disse poi:

Pentirci di cosa? Quella operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici varcarono ufficialmente il confine afghano scrissi al Presidente Carter: ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS il suo Vietnam”.

Questa affermazione andava aldilà del semplice vanto di avere istigato una guerra e il collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Nelle sue memorie, intitolate From the Shadows“, Robert Gates — ex direttore della CIA sotto Ronald Reagan e George H. W. Bush, e segretario alla difesa sia sotto George W. Bush che sotto Barack Obama — confermò direttamente che questa operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i sovietici in un pantano in stile vietnamita.

Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli americani e di combattenti addestrati dagli americani. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden — una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla CIA, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori:

Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?”

L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté:

Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno”.

Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: “Nonsense!

Cose di questo genere succedevano quando i giornalisti facevano ancora domande pressanti ai funzionari di governo, cosa che oggi accade assai di rado.

Il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di al-Qaeda, che letteralmente significa “la base”, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro l’invasione sovietica che si stava anticipando. Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze NATO.

Inoltre, nonostante le affermazioni di Brzezinski, che cerca di far passare l’idea di una sconfitta definitiva dell’impero russo, la verità è che, per Brzezinski, la guerra fredda non è mai terminata. Sebbene sia stato critico riguardo all’invasione dell’Iraq nel 2003, Brzezinski ha mantenuto un forte controllo sulla politica estera americana fino al momento della sua morte.

Non è una coincidenza che, in Siria, l’amministrazione Obama abbia adottato una strategia del tipo “pantano afghano” contro un altro alleato della Russia: il regime di Assad. Un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, che a quel tempo era incaricato di affari presso l’ambasciata americana a Damasco, diceva:

Pensiamo che le debolezze di Bashar stiano nel modo in cui lui decide di reagire ai problemi incombenti, sia reali che percepiti, come ad esempio il conflitto tra le riforme economiche (per quanto limitate) e la forza radicata della corruzione, la questione curda, e la potenziale minaccia al regime da parte di una crescente presenza di estremisti islamisti. Questo comunicato riassume la nostra valutazione su queste vulnerabilità e suggerisce che ci possono essere delle azioni, delle affermazioni e dei segnali, da parte del governo degli Stati Uniti, che potrebbero aumentare la probabilità che queste potenzialità si verifichino“.

Un po’ come con l’Operazione Ciclone, sotto Barack Obama la CIA ha speso cir


È morto da pochi giorni Zbigniew Brzezinski, uno degli ispiratori della politica estera americana dai tempi della guerra russo-afghana fino al recente conflitto in Siria, uno dei più geniali e spietati ideatori della violenza imperialista statunitense. The AntiMedia ne riassume l’eredità: la costruzione metodica dell’estremismo islamico, di al-Qaeda, la destabilizzazione sistematica del Medio Oriente, l’induzione di uno stato di tensione continua contro la Russia.

 

di The AntiMedia, 27 maggio 2017

Zbigniew Brzezinski, ex consulente per la sicurezza nazionale del Presidente Jimmy Carter, è morto lo scorso venerdì in un ospedale della Virginia, all’età di 89 anni. Sebbene il New York Times ammetta che l’ex consulente del governo fosse un “falco della teoria strategica”, travisare la sua eredità come se fosse, per il resto, infinitamente positiva, non è così semplice come l’establishment vorrebbe credere.

Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’ISIS — e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marzialequasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’ISIS — la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno.

Come spiega il New York Times, il “profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica” ha guidato molta della politica estera Americana, “nel bene e nel male“. Così scrive il Times:

Brzezinsky sostenne l’invio di miliardi [di dollari] di aiuto ai militanti islamici che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. Incoraggiò tacitamente la Cina a continuare il suo sostegno a favore del regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Unione Sovietica, prendessero il controllo del paese”.

Sebbene sia un progresso, da parte del New York Times, notare il sostegno di Brzezinski verso i militanti islamici, minimizzare gli effetti della sua aggressiva agenda di politica estera con una semplice frase non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski.

Dopo che un colpo di stato in Afghanistan, nel 1973, aveva istituito un nuovo governo laico favorevole ai sovietici, gli Stati Uniti si impegnarono a rovesciare questo nuovo governo organizzando una serie di tentativi di colpi di stato tramite i paesi lacché dell’America, il Pakistan e l’Iran (che a quel tempo era sotto il controllo dello Shah, sostenuto dagli USA). Nel luglio 1979 Brzezinski autorizzò ufficialmente il sostegno ai ribelli mujaheddin in Afghanistan, tramite il programma della CIA denominato “Operazione Ciclone”.

Molti oggi difendono la decisione dell’America di armare i mujaheddin in Afghanistan, perché credono che fosse necessario per difendere il paese, e l’intera regione, dall’aggressione sovietica. Tuttavia le stesse affermazioni di Brzesinski contraddicono in pieno questa giustificazione. In un’intervista del 1998, Brzesinski ammise che, nel condurre questa operazione, l’amministrazione Carter stava “consapevolmente aumentando la probabilità” che i sovietici intervenissero militarmente (suggerendo così che avessero iniziato ad armare le fazioni islamiste già prima dell’invasione sovietica, rendendo dunque la giustificazione superflua, perché non ci sarebbe stata, a quel tempo, alcuna invasione sovietica da respingere armando i guerrieri afghani della libertà). Brzezinski disse poi:

Pentirci di cosa? Quella operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici varcarono ufficialmente il confine afghano scrissi al Presidente Carter: ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS il suo Vietnam”.

Questa affermazione andava aldilà del semplice vanto di avere istigato una guerra e il collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Nelle sue memorie, intitolate From the Shadows“, Robert Gates — ex direttore della CIA sotto Ronald Reagan e George H. W. Bush, e segretario alla difesa sia sotto George W. Bush che sotto Barack Obama — confermò direttamente che questa operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i sovietici in un pantano in stile vietnamita.

Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli americani e di combattenti addestrati dagli americani. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden — una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla CIA, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori:

Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?”

L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté:

Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno”.

Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: “Nonsense!

Cose di questo genere succedevano quando i giornalisti facevano ancora domande pressanti ai funzionari di governo, cosa che oggi accade assai di rado.

Il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di al-Qaeda, che letteralmente significa “la base”, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro l’invasione sovietica che si stava anticipando. Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze NATO.

Inoltre, nonostante le affermazioni di Brzezinski, che cerca di far passare l’idea di una sconfitta definitiva dell’impero russo, la verità è che, per Brzezinski, la guerra fredda non è mai terminata. Sebbene sia stato critico riguardo all’invasione dell’Iraq nel 2003, Brzezinski ha mantenuto un forte controllo sulla politica estera americana fino al momento della sua morte.

Non è una coincidenza che, in Siria, l’amministrazione Obama abbia adottato una strategia del tipo “pantano afghano” contro un altro alleato della Russia: il regime di Assad. Un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, che a quel tempo era incaricato di affari presso l’ambasciata americana a Damasco, diceva:

Pensiamo che le debolezze di Bashar stiano nel modo in cui lui decide di reagire ai problemi incombenti, sia reali che percepiti, come ad esempio il conflitto tra le riforme economiche (per quanto limitate) e la forza radicata della corruzione, la questione curda, e la potenziale minaccia al regime da parte di una crescente presenza di estremisti islamisti. Questo comunicato riassume la nostra valutazione su queste vulnerabilità e suggerisce che ci possono essere delle azioni, delle affermazioni e dei segnali, da parte del governo degli Stati Uniti, che potrebbero aumentare la probabilità che queste potenzialità si verifichino“.

Un po’ come con l’Operazione Ciclone, sotto Barack Obama la CIA ha speso circa un miliardo di dollari all’anno per addestrare i ribelli siriani (affinché si impegnassero in tattiche terroristiche). La maggioranza di questi ribelli siriani condivide l’ideologia fondamentalista dell’ISIS e ha l’obiettivo esplicito di stabilire la legge della Sharia in Siria.

Proprio come in Afghanistan, la guerra in Siria ha coinvolto formalmente la Russia nel 2015, e l’eredità di Brzezinski è stata mantenuta viva attraverso gli avvertimenti di Obama al Presidente russo Vladimir Putin, che avrebbe spinto la Russia verso un altro pantano in stile afghano.

Da chi può aver acquisito, Obama, queste tecniche alla Brzezinski, gettando la Siria nell’orrore di sei anni di guerra e di nuovo trascinando una grossa potenza nucleare in un conflitto pieno di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità?

Ecco la risposta: le ha acquisite da Brzezinski stesso. Secondo Obama, Brzezinski è stato un suo mentore personale, un “amico eccezionale”, dal quale ha imparato moltissimo. Alla luce di questo, c’è forse da sorprendersi che siano sorti così tanti conflitti dal nulla durante la presidenza Obama?

Il 7 febbraio 2014 la BBC ha pubblicato la trascrizione dell’intercettazione telefonica di una conversazione tra l’assistente segretaria di stato Victoria Nuland e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt. In quella conversazione telefonica i rappresentanti stavano discutendo su chi avrebbero voluto piazzare al governo ucraino dopo il colpo di stato che aveva cacciato il presidente filorusso Viktor Yanukovych.

Ed ecco che Brzezinski stesso, nel suo libro del 1998, “Il Grande Scacchiere“, sosteneva la necessità di prendere il controllo dell’Ucraina, dicendo che l’Ucraina era “uno spazio nuovo e importante sulla scacchiera euroasiatica, un perno geopolitico, perché la sua stessa esistenza come nazione indipendente implicava che la Russia cessasse di essere un impero euroasiatico“. Brzezinski ammoniva contro l’eventualità di permettere alla Russia di prendere il controllo dell’Ucraina, perché “la Russia si riprenderebbe automaticamente i mezzi per tornare ad essere un potente stato imperiale, con influenze sia in Europa che in Asia“.

Dopo Obama, Donald Trump è salito in carica con tutta un’altra mentalità, con l’idea di lavorare con la Russia e con il governo siriano per combattere l’ISIS. Non c’è da sorprendersi che Brzezinski non abbia sostenuto la campagna di Trump per la presidenza, e abbia ritenuto che le idee di Trump sulla politica estera mancassero di coerenza.

Dopo tutto questo, l’anno scorso Brzezinski è sembrato aver cambiato posizione sugli affari globali, iniziando a sostenere un “riallineamento globale”, una redistribuzione del potere globale, alla luce del fatto che gli USA non erano più la grande potenza imperiale di un tempo. Tuttavia, Brzezinski sembrava ancora ritenere che, senza il ruolo di guida dell’America, il risultato sarebbe stato solo “il caos globale”. Pare perciò improbabile che il suo cambiamento di posizione fosse fondato su un cambiamento reale e significativo sullo scacchiere geopolitico.

La stessa esistenza della CIA è fondata sull’idea di una minaccia russa, come è stato evidenziato dall’aggressione decisa da parte della stessa CIA contro l’amministrazione Trump non appena si è delineata una possibile distensione con l’ex Unione Sovietica.

Brzezinski è morto nella tranquillità del suo letto di ospedale, a differenza di milioni di civili sfollati e assassinati, risucchiati nel contorto gioco di scacchi geopolitico di Brzezinski, fatto di sangue e follia. La sua eredità è la militanza jihadista, la formazione di al-Quaeda, il più devastante attacco su suolo americano che sia mai stato fatto da un’entità straniera nella storia recente, e la demonizzazione della Russia come eterno avversario, con il quale la pace non si può e non si deve fare.

 

ca un miliardo di dollari all’anno per addestrare i ribelli siriani (affinché si impegnassero in tattiche terroristiche). La maggioranza di questi ribelli siriani condivide l’ideologia fondamentalista dell’ISIS e ha l’obiettivo esplicito di stabilire la legge della Sharia in Siria.

Proprio come in Afghanistan, la guerra in Siria ha coinvolto formalmente la Russia nel 2015, e l’eredità di Brzezinski è stata mantenuta viva attraverso gli 


Roma, venerdì 16 giugno 2017
alle ore 17:00 presso la Casa della Memoria e della Storia – Via S. Francesco di Sales, 5

A.N.P.I. Provinciale di Roma
A.N.P.I. Sezione “Aurelio Del Gobbo” di Marino
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS

invitano alla proiezione del film serbo

SETTE DELLA DRINA

La storia dei 7 italiani che combatterono per la libertà della Serbia

del regista Nikola Lorencin

Esso narra la storia dei sette italiani che, ispirati da ideali garibaldini e internazionalisti, partirono volontari nel 1914, prima ancora dell'entrata in guerra dell'Italia, per combattere per la libertà della Serbia. Di loro, cinque caddero praticamente subito in combattimento, nella remota località di Babina Glava presso il fiume Drina...

Saluti:
Fabrizio De Sanctis, Presidente ANPI Provinciale di Roma
Interventi:
Ugo Onorati, membro del direttivo della sezione ANPI di Marino - “Eroi in camicia rossa
Andrea Martocchia, rappresentante del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS - “Il Risorgimento Serbo e Jugoslavo visto dall’Italia
Mirjana Jovanović-Pisani, giornalista e traduttrice serba

Alla presenza della Console della Repubblica di Serbia, Ljiljana Zarubica, e dell'Incaricata d'affari dell'Ambasciata signora Tatjana Garčević.


si veda anche la nostra pagina dedicata a questa vicenda e al film di Lorencin: https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/garibaldinci.htm



Le vittime del pogrom di Odessa, 2014

Vediamo i lenzuoli sui corpi di decine di persone, nelle videoriprese di Odessa, in Ucraina. Lì è in atto un pogrom antirusso in pieno XXI secolo, con lancio di molotov, granate artigianali, assedi, bastonature.


Manlio Dinucci
BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI 

PARTI 1... 5 (CONTINUA). Fonti:https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19855724
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19926482 
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19990202
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/20047091

===

Si vedano anche:

– il libro di Manlio Dinucci
L’arte della guerra. Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli. Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8419

– la serie di Manlio Dinucci del 2014-2015 sul riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda:
Prima parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8200 
Seconda e terza parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8208 
Quarta e quinta parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8225

Sulla storia della NATO ben prima del 1991 segnaliamo: 

LA NATO. IL NEMICO IN CASA (1968)
Regia: Giuseppe Ferrara. Casa di produzione: Pci. Sezione stampa e propaganda
Abstract: Il documentario, realizzato interamente con materiali di repertorio, è una ricostruzione degli eventi che precedettero la firma del Patto Atlantico e degli avvenimenti spesso drammatici che si sono succeduti in Italia e nel mondo. Le lotte popolari in difesa della pace e per l'indipendenza nazionale, i conflitti armati determinati in diversi paesi dalla politica aggressiva dell'imperialismo americano
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=bfPSPelQAqw

===


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 1) 

Manlio Dinucci

La Nato, fondata il 4 aprile 1949, comprende durante la guerra fredda sedici paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica federale tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza, gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia. Questo, fondato il 14 maggio 1955 (sei anni dopo la Nato), comprende Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica democratica tedesca, Romania, Ungheria, Albania (dal 1955 al 1968). 

DALLA GUERRA FREDDA AL DOPO GUERRA FREDDA
Nel 1989 avviene il «crollo del Muro di Berlino»: è l’inizio della riunificazione tedesca che si realizza quando, nel 1990, la Repubblica Democratica si dissolve aderendo alla Repubblica Federale di Germania. Nel 1991 si dissolve il Patto di Varsavia: i paesi dell’Europa centro-orientale che ne facevano parte non sono ora più alleati dell’Urss. Nello stesso anno, si dissolve la stessa Unione Sovietica: al posto di un unico Stato se ne formano quindici. 
La scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanze crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. Contemporaneamente, la disgregazione dell’Urss e la profonda crisi politica ed economica che investe la Russia segnano la fine della superpotenza in grado di rivaleggiare con quella statunitense.
La guerra del Golfo del 1991 è la prima guerra che, nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, Washington non motiva con la necessità di arginare la minacciosa avanzata del comunismo, giustificazione alla base di tutti i precedenti interventi militari statunitensi nel «terzo mondo», dalla guerra di Corea a quella del Vietnam, dall'invasione di Grenada all'operazione contro il Nicaragua. Con questa guerra gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo, dove si concentra gran parte delle riserve petrolifere mondiali. 
Allo stesso tempo Washington lancia ad avversari, ex avversari e alleati un inequivocabile messaggio. Esso è contenuto nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), il documento con cui la Casa Bianca enuncia, nell’agosto 1991, la nuova strategia.  
«Nonostante l'emergere di nuovi centri di potere – sottolinea il documento a firma del presidente – gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Negli anni Novanta, così come per gran parte di questo secolo, non esiste alcun sostituto alla leadership americana». 
Sei mesi dopo la direttiva presidenziale, un documento proveniente dal Pentagono -- Defense Planning Guidance for the Fiscal Years 1994-1999 (Guida alla pianificazione della Difesa per gli anni fiscali 1994-1999), filtrato attraverso il New York Times nel marzo 1992 -- chiarisce ciò che nella direttiva presidenziale doveva restare necessariamente implicito: il fatto che, per esercitare la loro leadership globale, gli Stati Uniti devono impedire che altre potenze, compresi i vecchi e i nuovi alleati, possano divenire competitive: «Il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell'ex Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia nell'ordine di quella posta precedentemente dall'Unione Sovietica. Dobbiamo impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale. Queste regioni comprendono l'Europa occidentale, l'Asia orientale, il territorio dell'ex Unione Sovietica, e l'Asia sud-occidentale. 
In tale quadro, sottolinea il documento, «è di fondamentale importanza preservare la Nato quale principale strumento della difesa e della sicurezza occidentali, così pure quale canale dell'influenza e della partecipazione statunitensi negli affari della sicurezza europea. Mentre gli Stati Uniti sostengono l'obiettivo dell'integrazione europea, essi devono cercare di impedire la creazione di dispositivi di sicurezza unicamente europei, che minerebbero la Nato, in particolare la struttura di comando dell'Alleanza», ossia il comando Usa. 

IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO DELLA NATO
Mentre riorientano la propria strategia, gli Stati Uniti premono sulla Nato perché faccia altrettanto. Per loro è della massima urgenza ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso dell’Alleanza atlantica. Con la fine della guerra fredda e il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, viene infatti meno la motivazione della «minaccia sovietica» che ha tenuto finora coesa la Nato sotto l’indiscussa leadership statunitense: vi è quindi il pericolo che gli alleati europei facciano scelte divergenti o addirittura ritengano inutile la Nato nella nuova situazione geopolitica creatasi nella regione europea. 
Il 7 novembre 1991 (dopo la prima guerra del Golfo, a cui la Nato ha partecipato non ufficialmente in quanto tale, ma con sue forze e strutture), i capi di stato e di governo dei sedici paesi della Nato, riuniti a Roma nel Consiglio atlantico, varano «Il nuovo concetto strategico dell'Alleanza». «Contrariamente alla predominante minaccia del passato – afferma il documento – i rischi che permangono per la sicurezza dell'Alleanza sono di natura multiforme e multidirezionali, cosa che li rende difficili da prevedere e valutare. Le tensioni potrebbero portare a crisi dannose per la stabilità europea e perfino a conflitti armati, che potrebbero coinvolgere potenze esterne o espandersi sin dentro i paesi della Nato». Di fronte a questi e altri rischi, «la dimensione militare della nostra Alleanza resta un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto ampio di sicurezza». Definendo il concetto di sicurezza come qualcosa che non è circoscritto all’area nord-atlantica, si comincia a delineare la «Grande Nato». 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 2) 

Manlio Dinucci

L’INTERVENTO NATO NELLA CRISI BALCANICA 
Il «nuovo concetto strategico» della Nato viene messo in pratica nei Balcani, dove la crisi della Federazione Jugoslava, dovuta ai contrasti tra i gruppi di potere e alle spinte centrifughe delle repubbliche, ha raggiunto il punto di rottura. 
Nel novembre 1990, il Congresso degli Stati Uniti approva il finanziamento diretto di tutte le nuove formazioni «democratiche» della Jugoslavia, incoraggiando così le tendenze secessioniste. In dicembre, il parlamento della Repubblica croata, controllato dal partito di Franjo Tudjman, emana una nuova costituzione in base alla quale la Croazia è «patria dei croati» (non più dei croati e dei serbi, popoli costituenti della repubblica) ed è sovrana sul suo territorio. Sei mesi dopo, nel giugno 1991, oltre alla Croazia, anche la Slovenia proclama la propria indipendenza. Subito dopo, scoppiano scontri tra l’esercito federale e gli indipendentisti. In ottobre, in Croazia, il governo Tudjman espelle oltre 25mila serbi dalla Slavonia, mentre sue milizie occupano Vukovar. L’esercito federale risponde, bombardando e occupando la città. La guerra civile comincia a estendersi, ma potrebbe ancora essere fermata. 
La via che viene imboccata è invece diametralmente opposta: la Germania, impegnata a estendere la sua influenza economica e politica nella regione balcanica, nel dicembre 1991 riconosce unilateralmente Croazia e Slovenia quali stati indipendenti. Come conseguenza, il giorno dopo i serbi di Croazia proclamano a loro volta l’autodeterminazione, costituendo la Repubblica serba della Krajna. Nel gennaio 1992 l’Europa dei dodici riconosce, oltre alla Croazia, anche la Slovenia. A questo punto si incendia anche la Bosnia-Erzegovina che, in piccolo, rappresenta l’intera gamma dei nodi etnici e religiosi della Federazione Jugoslava. 
I caschi blu dell’Onu, inviati in Bosnia come forza di interposizione tra le fazioni in lotta, vengono volutamente lasciati in numero insufficiente, senza mezzi adeguati e senza precise direttive, finendo col divenire ostaggi nel mezzo dei combattimenti. Tutto concorre a dimostrare il «fallimento dell’Onu» e la necessità che sia la Nato a prendere in mano la situazione. Nel luglio 1992 la Nato lancia la prima operazione di «risposta alla crisi», per imporre l’embargo alla Jugoslavia. 
Nel febbraio 1994, aerei Nato abbattono aerei serbo-bosniaci che violano lo spazio aereo interdetto sulla Bosnia. E’ la prima azione di guerra dalla fondazione dell’Alleanza. Con essa la Nato viola l’art. 5 della sua stessa carta costitutiva, poiché l’azione bellica non è motivata dall’attacco a un membro dell’Alleanza ed è effettuata fuori dalla sua area geografica. 

LA GUERRA CONTRO LA JUGOSLAVIA 
Spento l’incendio in Bosnia (dove il fuoco resta sotto la cenere della divisione in stati etnici), i pompieri della Nato corrono a gettare benzina sul focolaio del Kosovo, dove è in corso da anni una rivendicazione di indipendenza da parte della maggioranza albanese. Attraverso canali sotterranei in gran parte gestiti dalla Cia, un fiume di armi e finanziamenti, tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999, va ad alimentare l’Uck (Esercito di liberazione del Kosovo), braccio armato del movimento separatista kosovaro-albanese. Agenti della Cia dichiareranno successivamente di essere entrati in Kosovo nel 1998 e 1999, in veste di osservatori dell’Osce incaricati di verificare il «cessate il fuoco», fornendo all’Uck manuali statunitensi di addestramento militare e telefoni satellitari, così che i comandanti della guerriglia potessero stare in contatto con la Nato e Washington. L’Uck può così scatenare un’offensiva contro le truppe federali e i civili serbi, con centinaia di attentati e rapimenti.
Mentre gli scontri tra le forze jugoslave e quelle dell’Uck provocano vittime da ambo le parti, una potente campagna politico-mediatica prepara l’opinione pubblica internazionale all’intervento della Nato, presentato come l’unico modo per fermare la «pulizia etnica» serba in Kosovo. Bersaglio prioritario è il presidente della Jugoslavia, Slobodan Milosevic, accusato di «crimini contro l’umanità» per le operazioni di «pulizia etnica». 
La guerra, denominata «Operazione forza alleata», inizia il 24 marzo 1999. Mentre gli aerei di Stati Uniti e altri paesi della Nato sganciano le prime bombe sulla Serbia e il Kosovo, il presidente democratico Clinton annuncia: «Alla fine del XX secolo, dopo due guerre mondiali e una guerra fredda, noi e i nostri alleati abbiamo la possibilità di lasciare ai nostri figli un’Europa libera, pacifica e stabile». Determinante, nella guerra, è il ruolo dell’Italia: il governo D’Alema mette il territorio italiano, in particolare gli aeroporti, a completa disposizione delle forze armate degli Stati Uniti e altri paesi, per attuare quello che il presidente del consiglio definisce «il diritto d’ingerenza umanitaria». 
Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1100 aerei effettuano 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Il 75 per cento degli aerei e il 90 per cento delle bombe e dei missili vengono forniti dagli Stati Uniti. Statunitense è anche la rete di comunicazione, comando, controllo e intelligence attraverso cui vengono condotte le operazioni: «Dei 2000 obiettivi colpiti in Serbia dagli aerei della Nato – documenta successivamente il Pentagono – 1999 sono stati scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei». 
Sistematicamente i bombardamenti smantellano le strutture e infrastrutture della Serbia, provocando vittime soprattutto tra i civili. I danni che ne derivano per la salute e l’ambiente sono inquantificabili. Solo dalla raffineria di Pancevo fuoriescono, a causa dei bombardamenti, migliaia di tonnellate di sostanze chimiche altamente tossiche (compresi diossina e mercurio). Altri danni vengono provocati dal massiccio impiego da parte della Nato, in Serbia e Kosovo, di proiettili a uranio impoverito, già usati nella guerra del Golfo. 
Ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei italiani, che compiono 1378 sortite, attaccando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiara il presidente del consiglio D’Alema durante la visita compiuta il 10 giugno 1999 alla base di Amendola, sottolineando che, per i piloti che vi hanno partecipato, è stata «una grande esperienza umana e professionale».
Il 10 giugno 1999, le truppe della Federazione iugoslava cominciano a ritirarsi dal Kosovo e la Nato mette fine ai bombardamenti. La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu dispone che la presenza internazionale deve avere una «sostanziale partecipazione della Nato» ed essere dispiegata «sotto controllo e comando unificati». A chi spetti il comando lo chiaritsce il presidente Clinton, sottolineando che l’accordo sul Kosovo prevede «lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza con la Nato come nucleo, il che significa una catena di comando unificata della Nato». «Oggi la Nato affronta la sua nuova missione: quella di governare», commenta The Washington Post. 
Finita la guerra, vengono inviati in Kosovo dagli Stati Uniti oltre 60 agenti dell’Fbi, ma non vengono trovate tracce di eccidi tali da giustificare l’accusa, fatta ai serbi, di «pulizia etnica». Slobodan Milosevic, condannato a 40 anni di reclusione dalla Corte Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, muore dopo cinque anni di carcere. La stessa corte lo scagiona, nel 2016, dall’accusa di «pulizia etnica».  
Il Kosovo, dove gli Usa installano una grande base militare (Camp Bondsteel), diviene una sorta di protettorato della Nato. Contemporaneamente, sotto la copertura della «Forza di pace», l’ex Uck al potere terrorizza ed espelle oltre 250 mila serbi, rom, ebrei e albanesi «collaborazionisti». Nel 2008, con l’autoproclamazione del Kosovo quale Stato indipendente, viene ultimata la demolizione della Federazione Jugoslava. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 3) 

Manlio Dinucci

IL SUPERAMENTO DELL’ARTICOLO 5 E LA CONFERMA DELLA LEADERSHIP USA
Mentre è in corso la guerra contro la Jugoslavia, viene convocato a Washington, il 23-25 aprile 1999, il vertice che ufficializza la trasformazione della Nato in «una nuova Alleanza più grande, più flessibile, capace di intraprendere nuove missioni, incluse le operazioni di risposta alle crisi». 
Da alleanza che, in base all’articolo 5 del Trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che, in base al «nuovo concetto strategico», impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». 
A scanso di equivoci, il presidente democratico Clinton spiega in una conferenza stampa che gli alleati nord-atlantici «riaffermano la loro prontezza ad affrontare conflitti regionali al di là del territorio della Nato». Alla domanda di quale sia l’area geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, «il Presidente si rifiuta di specificare a quale distanza la Nato intende proiettare la propria forza, dicendo che non è questione di geografia». In altre parole, la Nato intende proiettare la propria forza militare al di fuori dei propri confini non solo in Europa, ma anche in altre regioni. 
Ciò che non cambia, nella mutazione della Nato, è la gerarchia all’interno dell’Alleanza. La Casa Bianca dice a chiare lettere che «noi manterremo in Europa circa 100 mila militari per contribuire alla stabilità regionale, sostenere i nostri vitali legami transatlantici e conservare la leadership degli Stati Uniti nella Nato». 
Ed è sempre il Presidente degli Stati Uniti a nominare il Comandante Supremo Alleato in Europa, che è sempre un generale o ammiraglio statunitense, e non gli alleati che si limitano a ratificare la scelta. Lo stesso avviene per gli altri comandi chiave dell’Alleanza.

LA SUBORDINAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA ALLA NATO 
Il documento che impegna i paesi membri a operare al di fuori del territorio dell’Alleanza, sottoscritto dai leader europei il 24 aprile 1999 a Washington, ribadisce che la Nato «sostiene pienamente lo sviluppo dell’identità europea della difesa, all’interno dell’Alleanza». Il concetto è chiaro: l’Europa occidentale può avere una sua «identità della difesa», ma essa deve restare all’interno dell’Alleanza, ossia sotto comando Usa.
Viene così confermata e consolidata la subordinazione dell’Unione europea alla Nato. Il Trattato di Maastricht del 1992 stabilisce, all’articolo 42, che «l’Unione rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite la Nato, nell’ambito del Trattato del Nord Atlantico». Questo stabilisce, all’art. 8, che ciascuno Stato membro «si obbliga a non sottoscrivere alcun impegno internazionale in contrasto con questo Trattato». 
E a ulteriore conferma di quale sia il rapporto Nato-Ue, il protocollo n. 10 sulla cooperazione istituita dall’art. 42 sottolinea che la Nato «resta il fondamento della difesa» dell’Unione europea.

L’ADOZIONE DA PARTE DELL’ITALIA DI UN «NUOVO MODELLO DI DIFESA» CHE VIOLA L’ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE
Partecipando con le sue basi e le sue forze armate alla guerra contro la Jugoslavia, paese che non aveva compiuto alcuna azione aggressiva né contro l’Italia né contro altri membri della Nato, e impegnandosi a condurre operazioni non previste dall’articolo 5 al di fuori del territorio dell’Alleanza, l’Italia conferma di aver adottato una nuova politica militare e, contestualmente, una nuova politica estera. Questa, usando come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale, affermato dall’Articolo 11, che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
È il cosiddetto «nuovo modello di difesa» adottato dall’Italia, sulla scia del riorientamento strategico Usa, quando con il sesto governo Andreotti essa partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. E’ la prima guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione.
Subito dopo la guerra del Golfo, durante il settimo governo Andreotti, il Ministero della difesa pubblica, nell'ottobre 1991, il rapporto Modello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90. Il documento riconfigura la collocazione geostrategica dell'Italia, definendola «elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». Considerata la «significativa vulnerabilità strategica dell'Italia» soprattutto per l'approvvigionamento petrolifero, «gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario», in particolare di quegli interessi che «direttamente incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo, in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso dell'attuale assetto politico e sociale della nazione». 
Nel 1993 – mentre l’Italia sta partecipando all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali», al fine di «garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici». 
Nel 1995, durante il governo Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale». 
Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi della difesa. «La politica della difesa – afferma il generale Angioni – diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera». 
Questa politica anticostituzionale, introdotta attraverso decisioni apparentemente tecniche, viene di fatto istituzionalizzata passando sulla testa di un parlamento che, in stragrande maggioranza, se ne disinteressa o non sa neppure che cosa precisamente stia avvenendo. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 4) 

Manlio Dinucci

L’ESPANSIONE DELLA NATO AD EST VERSO LA RUSSIA
Nello stesso anno – il 1999 – in cui lancia la guerra contro la Jugoslavia e annuncia di voler «condurre operazioni di risposta alle crisi, non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza», la Nato inizia la sua espnasione ad Est. Essa ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. 
Quindi, nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Federazione Jugoslava). Al vertice di Bucarest, nell’aprile 2008, viene deciso l’ingresso per l’anno seguente di Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e Croazia (già parte della Federazione Jugoslava).
Facendoli entrare nella Nato, Washington lega questi paesi non tanto all’Alleanza, quanto direttamente agli Usa. Romania e Bulgaria mettono subito a disposizione degli Stati Uniti le importanti basi militari di Costanza e Burgas sul Mar Nero. 
La Repubblica Ceca garantisce la disponibilità del suo territorio per la dislocazione di rampe missilistiche dello «scudo antimissili» Usa. 
La Lituania, ancor prima di entrare nella Nato, comincia ad acquistare armamenti statunitensi, a partire da 60 missili Stinger per un valore di oltre 30 milioni di dollari. 
La Polonia acquista nel 2002 48 caccia F-16 della statunitense Lockeed Martin e, per pagarli, usa un prestito statunitense di quasi 5 miliardi di dollari (con interessi non solo finanziari ma politici).  
La Bulgaria procede, su direttiva di Washington, a una drastica epurazione delle forze armate, espellendo migliaia di ufficiali (ritenuti non del tutto affidabili) per sostituirli con oltre 2 mila giovani e fidati ufficiali, formati da istruttori statunitensi e in grado di parlare un ottimo inglese, anzi americano. 
In tal modo gli Stati Uniti rafforzano ulteriormente la loro influenza in Europa. Sui dieci paesi dell’Europa centro-orientale che entrano nella Nato tra il 1999 e il 2004, sette entrano nell’Unione europea tra il 2004 e il 2007: all’Unione europea che si allarga a Est, gli Stati Uniti sovrappongono la Nato che si allarga a Est sull’Europa. Quale sia il reale scopo dell’operazione lo rivelano funzionari del Pentagono: i dieci paesi dell’Europa centro-orientale entrati nella Nato – essi dichiarano nel febbraio 2003 – «stanno prendendo rilevanti posizioni filo-Usa, riducendo efficacemente l’influenza delle potenze della vecchia Europa, come la Germania e la Francia». 
Si rivela così, chiaramente, il disegno strategico di Washington: far leva sui nuovi membri dell’Est, per stabilire nella Nato rapporti di forza ancora più favorevoli agli Stati Uniti, così da isolare la «vecchia Europa» che potrebbe un giorno rendersi autonoma. 
L’espansione a Est della Nato ha, oltre a queste, altre implicazioni. Inglobando non solo i paesi dell’ex Patto di Varsavia ma anche le tre repubbliche baltiche un tempo facenti parte dell’Urss, la Nato arriva fino ai confini della Federazione Russa. Nonostante le assicurazioni di Washington sulle intenzioni pacifiche della Nato, ciò costituisce una minaccia, anche nucleare, verso la Russia.  
Per tranquillizzare la Russia, la Nato afferma di «non avere intenzione, né piani, di schierare armi nucleari sul territorio dei nuovi membri» dell’Europa centro-orientale. Quanto valga tale impegno, lo dimostra il fatto che la Nato, dopo aver promesso solennemente di non mantenere unità da combattimento sul territorio dei paesi dell’Europa centro-orientale in procinto di entrare o entrati nell’Alleanza, subito dopo usa la base aerea ungherese di Taszar quale principale centro logistico delle forze statunitensi operanti nei Balcani. 
L’impegno a non schierare armi nucleari nei paesi dell’Europa centro-orientale viene smentito dal fatto che, tra le armi nucleari mantenute dagli Stati Uniti in Europa nel quadro della Nato, vi sono «bombe nucleari per aerei a duplice capacità». Poiché aerei di questo tipo, come gli F-16 della U.S. Air Force e i 48 acquistati dalla Polonia, operano nei paesi dell’Europa centro-orientale entrati nella Nato, la loro presenza in queste basi avanzate costituisce una potenziale minaccia nucleare nei confronti della Russia. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 5)

Manlio Dinucci

AFGHANISTAN: LA PRIMA GUERRA DELLA NATO AL DI FUORI DELL’AREA EURO-ATLANTICA 
Il reale motivo dell’intervento Usa/Nato in Afghanistan non è la sua liberazione dai taleban, che erano stati addestrati e armati in Pakistan in una operazione diretta dalla Cia per conquistare il potere a Kabul, ma l’occupazione di quest’area di primaria importanza strategica per gli Stati Uniti. 
L’Afghanistan è al crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale. In quest’area (nel Golfo e nel Caspio) si trovano le maggiori riserve petrolifere del mondo. Si trovano tre grandi potenze – Cina, Russia e India – la cui forza sta crescendo e influendo sugli assetti globali. Come aveva avvertito il Pentagono nel rapporto del 30 settembre 2001, «esiste la possibilità che emerga in Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse». 
La decisione di dislocare forze in Afghanistan, quale primo passo per estendere la presenza militare statunitense nell’Asia centrale, viene presa a Washington non dopo l’11 settembre 2001, ma prima. Lo rivelano attendibili fonti, secondo le quali «il presidente Bush, due giorni prima dell’11 settembre, era in procinto di firmare un piano dettagliato che prevedeva operazioni militari in Afghanistan» (NBC News, 16 maggio 2002): era già dunque sul tavolo del presidente, prima dell’attacco terroristico che ufficialmente motiva la guerra in Afghanistan, «il piano di guerra che la Casa Bianca, la Cia e il Pentagono hanno messo in atto dopo l’11 settembre». 
Nel periodo precedente l’11 settembre 2001, vi sono in Asia forti segnali di un riavvicinamento tra Cina e Russia, che si concretizzano quando, il 17 luglio 2001, i presidenti Jang Zemin e Vladimir Putin firmano a Mosca il «Trattato di buon vicinato e amichevole cooperazione», definito una «pietra miliare» nelle relazioni tra i due paesi. Pur senza dichiararlo, Washington considera il riavvicinamento tra Cina e Russia una sfida agli interessi statunitensi in Asia, nel momento critico in cui gli Stati Uniti cercano di occupare, prima di altri, il vuoto che la digregazione dell’Urss ha lasciato in Asia centrale. Una posizione geostrategica chiave per il controllo di quest’area è quella dell’Afghanistan. 
Con la motivazione ufficiale di dare la caccia a Osama bin Laden, indicato come mandante degli attacchi dell’11 settembre a New York e Washington, la guerra inizia il 7 ottobre 2001 con il bombardamento dell’Afghanistan effettuato dall’aviazione statunitense e britannica. Precedentemente vengono infiltrate in territorio afghano forze speciali con il compito di preparare l’attacco insieme all’Alleanza del nord e altre formazioni anti-talebane. Sotto i massicci bombardamenti e l’offensiva terrestre dell’Alleanza del nord, le forze talebane, cui si affiancano volontari provenienti dal Pakistan e altri paesi, sono costrette ad abbandonare Kabul il 13 novembre.
A questo punto il Consiglio di sicurezza dell’Onu autorizza, con la risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001, la costituzione dell’Isaf (Forza internazionale di assistenza alla sicurezza). Suo compito è quello di assistere l’autorità ad interim afghana a Kabul e dintorni. Secondo l’art. VII della Carta delle Nazioni unite, l'impiego delle forze armate messe a disposizione da membri dell’Onu per tali missioni deve essere stabilito dal Consiglio di sicurezza coadiuvato dal Comitato di stato maggiore, composto dai capi di stato maggiore dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Anche se tale comitato non esiste, l’Isaf resta fino all’agosto 2003 una missione Onu, la cui direzione viene affidata in successione a Gran Bretagna, Turchia, Germania e Olanda. 
Ma improvvisamente, l’11 agosto 2003, la Nato annuncia di aver «assunto il ruolo di leadership dell’Isaf, forza con mandato Onu». E’ un vero e proprio colpo di mano: nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza la Nato ad assumere la leadership, ossia il comando, dell’Isaf. Solo a cose fatte, nella risoluzione 1659 del 15 febbraio 2006, il Consiglio di sicurezza «riconosce il continuo impegno della Nato nel dirigere l’Isaf».
A guidare la missione, dall’11 agosto 2003, non è più l’Onu ma la Nato: il quartier generale Isaf viene infatti inserito nella catena di comando della Nato, che sceglie di volta in volta i generali da mettere a capo dell’Isaf. Come sottolinea un comunicato ufficiale, «la Nato ha assunto il comando e il coordinamento dell’Isaf nell’agosto 2003: questa è la prima missione al di fuori dell’area euro-atlantica nella storia della Nato». La missione Isaf viene quindi inserita nella catena di comando del Pentagono. Nella stessa catena di comando sono inseriti i militari italiani assegnati all’Isaf, insieme a elicotteri e aerei, compresi i cacciabombardieri Tornado. 


(CONTINUA)




Venezuela: da dove vengono le "fake news" e perché

1) Da "La Stampa" al "Fatto Quotidiano", ecco a voi il letame della stampa italiana (LINKS)
2) Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti finanzia media e giornalisti stranieri in funzione dei suoi piani d'intervento (Misión Verdad)
3) Amnesty International e il Venezuela: una lettera critica al portavoce italiano Riccardo Noury (di Adolfo Perez Esquivel e altri firmatari)
4) Venezuela. I consiglieri di Soros indicano la strada per il rovesciamento di Maduro (di Sergio Cararo)
5) COME FUNZIONANO LE “RIVOLUZIONI COLORATE”, DALL’EGITTO AL VENEZUELA. Gli inizi in Serbia... (Natalia Viana, 2012)


Si vedano anche:

Tutti gli articoli de L'ANTIDIPLOMATICO sul Venezuela
http://www.lantidiplomatico.it/argnews-Venezuela/58/

Chi c’è dietro il colpo di Stato contro il Venezuela? (Misión Verdad, TeleSUR 27 aprile 2017 – Global Research)
Creare un’immagine distorta della crisi umanitaria è il punto di partenza. Tracciare l’immagine di un Paese sull’orlo del collasso è l’alibi
https://aurorasito.wordpress.com/2017/05/07/chi-ce-dietro-il-colpo-di-stato-contro-il-venezuela/

Premio Nobel della Pace Esquivel: "i grandi mezzi di comunicazione producono notizie false per il deterioramento del Venezuela" (Telesur / L'Antidiplomatico, 1/5/2017)
... Per Esquivel, il Venezuela soffre una crisi imposta dagli Stati Uniti, che non vuole perdere il controllo continentale e cerca di impedire l'autodeterminazione dei popoli attraverso golpe morbidi...

Violenza e incitazione all’odio: così i siti dell'opposizione venezuelana preparno uno "scenario Ruanda" (di Geraldina Colotti, il Manifesto, 5 maggio 2017)
... non si tratta di manifestazioni pacifiche, come vorrebbe il racconto a senso unico dei media internazionali. Diversi leader di opposizione, mentre si fanno vedere in piazza a incitare gli incappucciati (Freddy Guevara)... basta farsi un giro tra i siti di opposizione per imbattersi nella rivendicazione piena di quel che sta avvenendo, con una cifra di violenza e di incitazione all’odio che ricorda in modo preoccupante quel che accadde in Ruanda nel 1994 e che portò al genocidio. Digitate per esempio su google «resistencia venezolana por la sexta Republica»...

Venezuela. Ex Generale dell'Aviazione: "Le violenze si sono trasformate in insurrezione armata su ordine del Comando del Sur (Usa)" (RT / L'Antidiplomatico, 05/05/2017)
... Per Izarra, l'azione di questi gruppi armati persegue "un piano del Comando Sur (degli Stati Uniti, ndr), che è quello che dirige le operazioni destabilizzatrici contro il Venezuela"...

"Purtroppo non ho avuto le risposte che mi aspettavo". Il video che prova la faziosità dei media contro il Venezuela (L'Antidiplomatico, 06/05/2017)
Javier Couso... euro-deputato di Izquierda Unida... ha letteralmente umiliato la faziosità e l'ignoranza dei media europei... E' il caso di questa giornalista di Deutsche Welle che si accanisce ai limiti dell'isteria per difendere le ragioni dell'estrema destra golpista venezuelana, come se ad essere minacciata fosse la sua stessa incolumità a Berlino...
QUI IL VIDEO: Eurodiputado de Izquierda Unida, Javier Couso Permuy, coloca en su lugar a periodista de DW TV (YVKE Radio Mundial Margarita, 4 mag 2017)

"Invitiamo a rispettare la nostra sovranità". Comunicato dell'Ambasciata del Venezuela in Italia (8/5/2017)

Venezuela: ONG finanziate da Washington per destabilizzare (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 11/05/2017)
... Già nel 2014, allorquando fu sviluppato il piano golpista ‘La Salida’ per cui Leopoldo Lopez sta scontando 13 anni di reclusione, la sola NED ha fornito alle ONG venezuelane ben 2 milioni 381 mila 824 dollari; mentre nel 2015, 1 milione 908 mila 087 dollari ; e nel 2016, 1 milione 611 mila 637 dollari...

Le sole due alternative per il Venezuela (Atilio Boron / marx21.it, 14/05/2017)
... Tutte queste proteste e i loro istigatori hanno un unico obiettivo: garantire la vittoria della controrivoluzione e restaurare il vecchio ordine pre-chavista attraverso il caos scientificamente programmato da gente come Eugene Sharp e altri consulenti della CIA che hanno scritto vari manuali di istruzione su come destabilizzare governi...

EE.UU. envía 5,5 mdd a Venezuela para financiar "democracia" (TeleSUR, 17 mayo 2017)
... El informe fiscal estadounidense de 2017 revela que Estados Unidos continúa financiando organizaciones en Venezuela, lo ha que sido denunciado por el Gobierno Bolivariano como un acto injerencista...
Venezuela. Ecco come gli Usa preparano l'invasione tramite la Colombia (di Geraldina Colotti / il Manifesto / L'Antidiplomatico, 19/05/2017)
... Il bilancio fiscale degli Stati uniti rivela che per “difendere le pratiche democratiche, istituzioni e valori che appoggiano i diritti umani”, gruppi e ong di opposizione (e giornalisti) hanno ricevuto 5,5 milioni di dollari nel 2017. Cifre che risultano alla pagina 96 del rapporto sul bilancio degl Congresso, Dipartimento di Stato, Operazioni straniere e Programmi annessi degli Stati uniti. Finanziamenti essenziali per acquistare e distribuire armi e il costosissimo equipaggiamento dei “guarimberos”. Per attrezzare un “pacifico manifestante” serve una cifra pari a oltre 20 salari operai...
Gli Usa inviano 5,5 milioni di dollari per "la democrazia" in Venezuela (L'Antidiplomatico, 19/05/2017)
... La cifra esatta emerge a pagina 96 del rapporto [ https://www.state.gov/documents/organization/252179.pdf ], come riporta Telesur....

Venezuela: il chavismo inonda le strade di Caracas (L'Antidiplomatico, 21/05/2017)
... Il popolo chavista in questo momento delicato scende in campo in massa per difendere le conquiste della Rivoluzione e impedire che l’opposizione possa imporre al paese un ritorno al nefasto neoliberismo che mise in ginocchio il paese...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-venezuela_il_chavismo_inonda_le_strade_di_caracas/5694_20193/

Documento USA trapelato. La lista dei politici e artisti venezuelani pagati per attaccare il governo sulle reti sociali (L'Antidiplomatico, 22/05/2017)
Un documento trapelato del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti mette in evidenza il finanziamento che avrebbero ricevuto alcuni personaggi pubblici e politici venezuelani da parte del paese nord-americano...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-documento_usa_trapelato_la_lista_dei_politici_e_artisti_venezuelani_pagati_per_attaccare_il_governo_sulle_reti_sociali/82_20207/

Venezuela. Perché è un vostro diritto pretendere che i fake media vi mostrino questo video (L'Antidiplomatico, 22/05/2017)
... Nel video potete osservare come paghino  i mercenari terroristi che durante la giornata incendiano ospedali, assediano edifici pubblici, danno fuoco a bus, tengono in ostaggio interi quartieri...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-venezuela_perch__un_vostro_diritto_pretendere_che_i_fake_media_vi_mostrino_questo_video/82_20208/

Il rapporto che smonta tutte le fake news dei media mainstream sulle morti in Venezuela (L'Antidiplomatico, 24/05/2017)
Il ministro del Potere Popolare per la Comunicazione e l’Informazione Ernesto Villegas; Il ministro degli Esteri del Venezuela Delcy Rodríguez e il Segretario Esecutivo del Consiglio Nazionale per i Diritti Umani, Larry Devoe, hanno tenuto una conferenza stampa con i mezzi d’informazione nazionali e internazionali, presentando un rapporto sui 51 giorni di violenza provocati dai partiti estremisti dell’opposizione, che hanno causato la morte di 60 persone...

Fronte popolare antimperialista e antifascista (PCV / Resistenze.org, 25/05/2017)
... Si richiede urgentemente un'azione congiunta e il coordinamento tra le organizzazioni rivoluzionarie, le forze del movimento operaio e popolare e degli ufficiali patriottici delle Forze Armate Nazionali Bolivariane (FANB). E' necessario un Piano Unitario Patriottico e Popolare per sconfiggere la destra terrorista e l'imperialismo. Il contrario significherebbe agire irresponsabilmente. Il contrario, nella pratica, corrisponderebbe a una resa. Le vere e i veri rivoluzionari non si arrendono, ma combattono uniti fino alla vittoria...

Il Venezuela accusa il Parlamento europeo di alimentare la violenza (30/5/2017)

Venezuela: terrorista confessa di ricevere vestiti e denaro per gli atti vandalici (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 30/05/2017)
... Attraverso un video che circola sulle reti sociali, viene mostrato uno dei terroristi che tiene sotto scacco gli abitanti di Altamira e Bello Monte (Caracas) che riconosce di essere remunerato dall’estrema destra venezuelana...

Venezuela: la Russia «estremamente preoccupata» per gli attacchi degli oppositori a scuole ed ospedali (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 31/05/2017)
... questa la denuncia forte della portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che in una conferenza stampa ha anche segnalato come Mosca sia «estremamente preoccupata perché scuole, ospedali e mezzi di trasporto sono bersaglio di attacchi». La portavoce del ministero russo ha inoltre denunciato i «casi di linciaggio» sofferti da sostenitori del governo Maduro per mano dei terroristi dell’opposizione...

Rapporto Nazioni Unite. Venezuela migliore in termini di uguaglianza sociale in America Latina, Colombia ultima (L'Antidiplomatico / TeleSUR, 31/05/2017)
Secondo i dati forniti da un nuovo rapporto della Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL, commissione regionale delle Nazioni Unite con sede a Santiago del Cile), il Venezuela e l'Uruguay hanno le migliori percentuali in termini di distribuzione della ricchezza. Colombia e Guatemale sono le peggiori...


=== 1 ===

Da "La Stampa" al "Fatto Quotidiano", ecco a voi il letame della stampa italiana (LINKS)

Più realisti del Re. La Stampa di Torino sul Venezuela rilancia perfino le fake news smentite dall'opposizione (di Fabrizio Verde, L'Antidiplomatico, 30/04/2017)
... Il giornalista del quotidiano torinese afferma che il giovane studente è stato colpito da una bomba lacrimogena al petto. Una menzogna colossale smentita dal quotidiano di opposizione ‘El Nacional’ e dal sindaco del municipio di Chacao...

Il Fatto Quotidiano e il Venezuela: il giornale di Travaglio si conferma la migliore "sponda dell'interventismo"
(L'Antidiplomatico, 01/05/2017)
... La disinformazione parte gia dal titolo: «Venezuela, ingiusto Maduro: il dittatore senza qualità con la paranoia di Chavez»...

Travaglio e il Fatto Quotidiano: Cavallini dell'Impero (L'Antidiplomatico, 04/05/2017)
... L’ennesima ‘perla’ del quotidiano diretto da Marco Travaglio, è regalata dal blogger Massimo Cavallini. Al pari di quei 'corrispondenti' dei vari quotidiani italiani che vengono spacciati per inviati a Caracas mentre scrivono i loro articoli comodamente dagli Stati Uniti. ...

Venezuela. Quella visione di Washington che trapela da La Repubblica (Sergio Cararo, Contropiano, 5/5/2017)
... Uno speciale di ben otto pagine che sui rivela però una sorta di monologo del corrispondente del giornale: Omero Ciai. Nessuna intervista, nessun documento, nessun altro contributo. Insomma è totalmente assente quella articolazione informativa che, di solito, dà sostanza e interesse ad uno speciale coerente con questo il senso comune che si dà a queste forme di approfondimento. E’ solo un monologo di un corrispondente con una visione ben precisa di come si debba raccontare una realtà...

L'ultima incredibile "fake news" di Repubblica. Senza rispetto neanche dei morti (di Alessandro Bianchi, L'Antidiplomatico 5/5/2017)
Laura Boldrini in un recente Convegno alla Camera ha chiesto impegni concreti, non solo parole, contro le fake news che inquinano un nostro diritto fondamentale. Dobbiamo agire, dichiara la Boldrini. Bene agiamo...

Venezuela, l'incredibile foto bufala de la Stampa: le fake news non sono sul web, le pagate 1,50 in edicola! (L'Antidiplomatico, 25/05/2017)
... la persona ritratta nella foto si chiama Orlando Figuera, ambulante di Caracas. Registra ustioni per l'80% del suo corpo e la sua vita è salva solo per l'intervento della polizia. La sua unica colpa è quella di aver confermato di essere chavista a questi terroristi, fascisti e mercenari...


=== 2 ===

ORIG.: El Departamento de Estado financia las noticias falsas en Venezuela (investigación) (MAYO 3 DE 2017)
El establishment de los Estados Unidos financia permanentemente a medios de noticias y periodistas extranjeros en función de sus planes de intervención en países esenciales para su control político global, como el caso de Venezuela...
http://misionverdad.com/columnistas/el-departamento-de-estado-financia-las-noticias-falsas-en-venezuela-investigacion

EN FRANCAIS: Le Département d’Etat USA finance les fausses informations contre le Venezuela
L’establishment des Etats-Unis finance constamment des médias de presse et des journalistes étrangers en fonction de leurs plans d’intervention dans des pays essentiels pour leur contrôle politique mondial, comme le Venezuela...



Ecco da dove arrivano le fake news sul Venezuela

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti finanzia media e giornalisti stranieri in funzione dei suoi piani d'intervento


da Mision Verdad

Organi di governo come il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa, la USAID e la NED finanziano lo «sviluppo dei media» in oltre 70 paesi, specificamente organizzazioni non governative straniere (ONG), associazioni di giornalisti, mezzi d’informazione e spazi accademici di giornalismo. 

 

Le corporation e i governi vogliono che l’esercizio della propaganda sia coperto con l’estetica e linguaggi apparentemente neutrali con elementi di rapidità e reattività, così il ricevitore dell’informazione può giudicare come ragionevole la viralizzazione del messaggio senza valutare l’interesse o l’intenzione che c’è dietro i dati forniti, lasciando come unico fattore di mediazione tra la ‘verità’ e il suo consumo le proprie emozioni e i sentimenti. 

 

Dollari per un difficile contesto operativo 

 

L’obiettivo di finanziare la destabilizzazione per favorire un contesto di guerra non convenzionale è portato avanti dal Dipartimento di Stato, come dimostra il Congressional Budget Justification o CBJ, presentazione annuale che l’organizzazione tiene davanti al Congresso degli Stati Uniti sulle operazioni che realizza all’estero.

 

Finanziando i mezzi di comunicazione venezuelani, gli Stati Uniti rafforzano una delle armi più potenti contro il chavismo. Mark Weisbrot, economista del Center for Economic and Policy Research, un think thank di Washington, ha affermato che «in un certo numero di paesi, tra cui Venezuela e Bolivia, l’USAID sta operando come un’agenzia coinvolta in operazioni segrete, come la CIA, piuttosto che un’agenzia per lo sviluppo», i nomi delle organizzazioni straniere che ricevono fondi non vengono rivelati in quanto segreti di Stato, esattamente come nel caso della CIA. 

 

Nei casi in cui vengono richieste informazioni sulle organizzazioni beneficiarie, l’USAID risponde che non può «confermare o negare l’esistenza di documenti».

 

Canali incrociati, finanziamento efficiente e diretto

 

Tra il 2007 e il 2009, il Dipartimento di Stato ha versato almeno 4 milioni di dollari (US$4MM) a giornalisti in Bolivia, Nicaragua e Venezuela attraverso la Fondazione Panamericana per lo Sviluppo (PADF) con sede a Washington, creata dal Dipartimento di Stato nel 1962 e affiliata all’OSA. 

 

Secondo il giornalista Jeremy Bigwood questo importo è stato destinato al finanziamento dei migliori mezzi di comunicazione venezuelani e al reclutamento di giovani giornalisti. I risultati di Bigwood si evincono da un documento del Dipartimento di Stato denominato ‘requisiti’ che attualmente non è disponibile online, dove vengono nominate le ONG Espacio Público e Instituto Prensa y Sociedad.

 

Un rapporto pubblicato nel maggio del 2014 dal think thank europeo di centrodestra FRIDE (rimosso dal sito web poco dopo la pubblicazione) ha rivelato il finanziamento statunitense al giornalismo venezuelano, dal 2002 gli Stati Uniti hanno investito tra 3 e 6 milioni di dollari ogni anno in «piccoli progetti con partiti politici e ONG». 

 

Secondo un rapporto ancora non completato dall’USAID, il finanziamento alle ONG, partiti e media venezuelani è calato dai 14 milioni del 2009 ai 5 del 2016. Questo importo rappresenta poco più della metà di quanto investito negli ultimi 15 anni. Quei fondi, che sicuramente sono stati dilapidati dall’opposizione, sono stati concentrati sull’attacco mediatico, che ha generato i maggiori risultati.

 

Menzogne potenziate e ampliate

 

Uno degli obiettivi nel 2016, secondo il CBJ, è stato potenziare « i media indipendenti, liberi e professionali». Durante quest’anno (2016) e il precedente è stato notevole l’emergere di nuovi media digitali così come il rafforzamento di altri già esistenti il cui dispiegamento nelle reti sociali continua a essere massiccio e crescente. Media come EL Pitazo, Caraota Digital, Efecto Cocuyo ed El Estimulo, tutti che in misura maggiore o minore, cercano di accreditarsi come «media indipendenti». 

 

Il Dipartimento di Stato afferma che le sue attività in Venezuela «non di parte», cercano di promuovere i valori della democrazia rappresentativa e i diritti umani, oltre a migliorare l’accesso del pubblico all’informazione.
Come vedremo in seguito questi media producono notizie false (o fake news). 

 

 Il circuito di elaborazione della notizia falsa comincia con la deformazione di un fatto che immediatamente viene ripreso dai media internazionali, il pezzo viene cancellato in un lasso di tempo che va da 1 a 4 ore ma l’informazione continua a circolare sui social network, quando emerge la versione reale nessun media internazionale corregge la notizia, o quantomeno viene utilizzata la stessa veemenza. Così è accaduto in occasione di varie morti verificatesi durante le guarimbas in corso e attribuite ai collettivi chavisti (definiti paramilitari dagli operatori politici). 

 

La linea editoriale delle fake news viene definita dal Dipartimento di Stato: accusare di terrorismo di Stato e crimini contro l’umanità il governo venezuelano (sfruttando la matrice dei ‘collettivi paramilitari’) per formare un assedio diplomatico e finanziario nei suoi confronti. Come già accaduto in Nicaragua, Haiti, Siria e Libia.
In merito a questo caso il Ministero degli Interni e Giustizia ha stabilito che il responsabile della morte è un militante di Vente Venezuela, Iván Alexis Pernía Pérez. Vente Venezuela è un partito di opposizione guidato da Maria Corina Machado. La giovane non partecipava alle proteste, come insinuato da Efecto Cocuyo. 

 

El Pitazo non si è tirato indietro ed essendo parte integrante dell’operazione di propaganda ha diffuso la falsa notizia.
Sulla stessa linea c’è El Estimulo che ha generato disinformazione, assicurando senza alcuna prova o testimoni credibili, che queste organizzazioni «reprimono» le manifestazioni pacifiche dell’opposizione. In questo caso cercando di sfruttare il fattore di sensibilità che suscita una donna. Sino a questo momento El Estimulo non ha presentato alcuna prova.
Altro aspetto non meno ingannevole è rappresentato dalla pubblicazione di immagini di altri luoghi per spaventare i cittadini e generare nevrosi mediatiche. Per Esempio Caraota Digital, che per documentare la repressione a El Paraiso…
Utilizza la stessa fotografia pubblicata dal portale Dolar Today per accusare «i collettivi» di provocare il caos in prados del Este, dove gruppi violenti dell’opposizione erano appostati dal pomeriggio. 

 

L’utilizzo di notizie false come arma di guerra psicologica e mediatica, è servito per forzare scenari di intervento contro Libia e Siria, come il presunto bombardamento della Piazza Verde a Tripoli nel 2011 o l’attacco chimico del governo siriano nello stesso anno. In Venezuela utilizzano lo stesso copione per ottenere lo stesso risultato.

(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)



=== 3 ===


Amnesty International e il Venezuela: una lettera critica al portavoce italiano Riccardo Noury

di Adolfo Perez Esquivel E Altri Firmatari

Signor Riccardo Noury,
Portavoce e responsabile della comunicazione di Amnesty International Italia

con grande rammarico e preoccupazione apprendiamo come la sua organizzazione sia tornata a prestare il fianco all’offensiva delle destre contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela. In un nuovo rapporto intitolato ‘Ridotti al silenzio con la forza: detenzioni arbitrarie e motivate politicamente in Venezuela’, Amnesty accusa le autorità venezuelane «di aver intensificato la persecuzione e le punizioni nei confronti di chi la pensa diversamente, in un contesto di crisi politica in cui le proteste che si susseguono in tutto il paese hanno dato luogo a diverse morti e a centinaia di ferimenti e arresti».
Si tratta di una ricostruzione falsa, tendenziosa e che getta ulteriore benzina sul fuoco delle violenze provocate da chi cerca, per la terza volta (2002 e 2014 i precedenti), di esautorare un governo legittimo con la violenza e con il terrorismo sulle strade.
I dirigenti dell’opposizione venezuelana hanno innescato una spirale di odio ormai sfuggito anche al loro stesso controllo. Gruppi di violenti – fascisti e mercenari con un tariffario preciso perlopiù – applicano con un’organizzazione paramilitare omicidi (che poi i media trasformano in “morti per la brutale repressione del regime”), rapine e devastazioni, oltre a veri e propri atti di terrorismo contro ospedali infantili, linciaggi in piazza, blocco di strade e distruzioni di edifici pubblici.

Se la situazione non fosse così grave per il futuro del Venezuela, suonerebbero quasi comiche le parole di Erika Guevara Rosas, direttrice per le Americhe della sua organizzazione, che arriva a parlare di una «campagna diffamatoria sui mezzi d’informazione nei confronti di oppositori politici». Siamo oltre il farsesco.

Quale sarebbe, signor Noury, secondo Lei la reazione di un qualunque governo occidentale se i dirigenti dell’estrema destra del paese scendessero in piazza a coordinare le azioni dei violenti, spesso armati, come fatto da Freddy Guevara di Voluntad Popular? Il Partito estremista e violento di Gilbert Caro e Stelcy Escalona, che citate nel vostro rapporto. Il dirigente e la militante del partito guidato dal golpista Leopoldo Lopez, sono stati fermati di ritorno dalla Colombia e trovati in possesso di un fucile FAL calibro 7,62 mm, di proprietà della Forza Armata Nazionale Bolivariana con il numero di serie cancellato; un caricatore con 20 cartucce; 3 stecche di esplosivo C4. Ci sembra quanto meno arduo prendere le difese di chi viene trovato in possesso di un vero e proprio arsenale.

Quale sarebbe, signor Noury, secondo Lei la reazione di un qualunque governo occidentale se uno dei leader dell’estrema destra del paese in un’intervista alla BBC, certamente non un organo che può essere additato di simpatie con l’attuale governo venezuelano, invitasse testualmente l’esercito e la polizia del paese a compiere un colpo di stato non obbedendo più agli ordini dello Stato? E’ quello che ha fatto recentemente Julio Borges, altro leader della destra venezuelana.

Come nel caso di Honduras, Haiti, Paraguay e Brasile, in Venezuela è in corso un nuovo tentativo di “golpe morbido”. E i mezzi di comunicazione, purtroppo, si sono posti al servizio dei grandi interessi economici e politici, con l’intento di screditare il governo venenzuelano attraverso notizie false che servono a provocare il deterioramento generale del paese. “Quello che mi spaventa di più del Venezuela è l’opposizione, o una gran parte di essa. Credo che ci sia un clima di radicalizzazione che si è trasformata in irrazionale e che nel lungo periodo finisca per favorire la destra. Questo è molto pericoloso dato che c’è Trump negli Stati Uniti. Siamo ormai abituati alla retorica della difesa della democrazia, dei diritti umani, contro le armi di distruzione di massa. E dopo arriva sempre il terribile intervento armato degli Stati Uniti. Il peggio che possiamo fare come latinoamericani è fare da sponda all’interventismo. La radicalizzazione e quello che sta facendo Almagro nell’OSA è un pericolo, non solo per il Venezuela, ma per tutto il continente”. Sono le parole illuminanti di Pepe Mujica, ex Presidente dell’Uruguay.

Ecco, signor Noury, perché la sua organizzazione ha deciso di fare da “sponda all’interventismo”? Prevenire le guerre di aggressione, come le tante che l’Occidente ha condotto in questi decenni, è un modo sicuro per evitare oceani di dolore e il disfacimento di interi paesi, che poi costringe a moltiplicare le organizzazioni addette all’emergenza umanitaria, bellica e post-bellica. Per prevenire le guerre occorre anche combattere le menzogne che le favoriscono, perché creano il pretesto. Quando – e solo ogni tanto – le menzogne sono smascherate, è troppo tardi e un paese è già distrutto.

Le ripetiamo, signor Noury: perché la sua organizzazione ha deciso di fare da sponda all’interventismo contro il Venezuela aiutando a creare il “pretesto”? Dopo ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Ucraina, Siria… la sua organizzazione non ha già visto troppi morti e sofferenza nel mondo prodotti dalla furia cieca dell’ingerenza occidentale?

E, per concludere, Signor Noury, non provate rimorso nei confronti delle famiglie delle vittime riunite nel ‘Comitato vittime delle Guarimbas e del Golpe Continuato’ che Lei, adducendo come motivazione la mancanza di tempo, ha rifiutato di incontrare l’anno scorso quando erano in visita in Italia? Sa signor Noury, quelle persone erano la testimonianza viva di quella violenza terrorista che oggi, come nel 2014, si ripete in Venezuela con gli stessi strumenti e protagonisti.

23 maggio 2017

Primi firmatari:

Adolfo Pérez Esquivel – Premio Nobel per la pace 1980. Carcerato e torturato dalla dittatura argentina.
Gianni Vattimo – Filosofo
Frei Betto – Teologo della liberazione brasiliano
Pino Cacucci – Scrittore
Gianni Minà – Giornalista e scrittore
Alessandra Riccio – Docente universitario e giornalista
Maïté Pinero – Giornalista 
Giorgio Cremaschi – Ex leader del sindacato Fiom 
Luciano Vasapollo – Docente universitario. Capitolo Italiano della Rete di Intellettuali in difesa dell’umanità



=== 4 ===


Venezuela. I consiglieri di Soros indicano la strada per il rovesciamento di Maduro

di Sergio Cararo, 31 maggio 2017

L’International Crisis Group, organizzazione creata e finanziata da Soros al tempo della disgregazione forzata della Jugoslavia, ha pubblicato una lunga analisi di un suo esperto, Phil Gunson, nella quale vengono delineati i passaggi del progetto di regime change in corso (un modo elegante per non pronunciare la parola gole, ndr).

Secondo l’ICS: “La pressione internazionale è fondamentale, ma deve essere attentamente calibrata con carote e bastoni, per fornire uno sbocco ai membri del regime che possono essere inclini a negoziare un ritorno alla democrazia. A questo proposito, l’Assemblea Nazionale dovrebbe prendere in considerazione le leggi che prevedono l’amnistia parziale e condizionale per i membri militari e civili del regime, segnalando l’intenzione di cercare la riconciliazione e di evitare una caccia alle streghe, nel caso di una transizione. Anche se la Corte Suprema quasi certamente porrà il veto, la legge avrebbe mandato un messaggio che potrebbe isolare i relativamente pochi seguaci del regime che non potrebbero beneficiare di un’amnistia, a causa del loro coinvolgimento in attività come il traffico di droga o di gravi violazioni dei diritti umani. Sanzioni individuali, come quelli già imposte dagli Stati Uniti contro alcuni dirigenti del regime potrebbero essere estese e avere come bersaglio individui associati con flagranti violazioni dei diritti umani, così come proposto da un progetto bipartisan in Senato (Usa,ndr) la scorsa settimana”.

In coerenza con scenari realizzati in altri paesi, il documento dell’International Crisi Group, prosegue indicando quasi praticamente le tappe da percorrere per l’abbattimento del governo Maduro. “Veri negoziati – a differenza dei “dialoghi” senza fine che predilige il governo – sono essenziali, e dovrebbero idealmente portare ad elezioni e ad un governo ad interim di unità nazionale in cui alcuni funzionari attuali (forse anche il procuratore generale Ortega) possono essere parte . Un risultato di questo genere dovrebbe includere a breve termine il riconoscimento dell’Assemblea Nazionale, e il rispetto per i suoi poteri. Non c’è più futuro per lo sforzo di mediazione guidato dall’ex primo ministro spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero, anche se alcuni dei suoi elementi possono essere incorporati in una struttura più stretta di negoziazione efficace. Questo dovrebbe essere un obiettivo primario dell’iniziativa dell’Organizzazione degli Stati Americani, che richiederà la creazione di un “gruppo di amici”, tra cui almeno un governo di un paese sostenitore di Maduro”.

Esaminiamo bene questo progetto. In primo luogo si dice no a qualsiasi mediazione che non sia finalizzata a buttare giù il governo Maduro (viene infatti dato il benservito al tentativo negoziale di Zapatero); in secondo luogo la creazione di un club di paesi – così come fatto con la Siria – per legittimare il dualismo di potere nel paese, con la perfidia di voler cercare di coinvolgere anche “un paese sostenitore di Maduro” per non dare l’idea di un patto sovranazional

(Message over 64 KB, truncated)



JUNCKER-KRAZIA

In ordine cronologico inverso:

L'Olanda ratifica l'Accordo di associazione UE-Ucraina bocciato dal referendum
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lolanda_ratifica_laccordo_di_associazione_ueucraina_bocciato_dal_referendum/11_20323/
30/05/2017 – Il senato olandese ha approvato la ratifica dell'Accordo di Associazione tra UE-Ucraina, portando a conclusione una saga politica che è iniziata più di un anno fa, quando gli elettori olandesi hanno respinto l'accordo in un referendum tenuto nell'aprile 2016 con il 61,1%.
Quasi due terzi del Senato ha votato per la ratifica, con l'opposizione proveniente per lo più da partiti di estrema sinistra e di estrema destra.
 "Il voto di oggi al Senato olandese manda un segnale importante dai Paesi Bassi e l'intera Unione europea ai nostri amici ucraini: il posto dell' Ucraina è in Europa", ha commentato il Presidente della Commissione Ue, JUNCKER.

Olanda: Parlamento contro popolo + Ucraina, lezioni di educazione civica (Pandora TV 20.4.2016)
[Parlamento olandese straccia il risultato del referendum]

In Europa si apre ufficialmente il fronte anti-ucraino. L’Olanda: «Non li vogliamo in Ue» (di Eugenio Cipolla, 31/03/2016)
... mentre Poroshenko è negli Usa per cercare di ottenere da Obama ulteriori aiuti economici e militari, in Europa si è aperto ufficialmente il “fronte anti-ucraino”, che potrebbe presto raccogliere le adesioni di diversi paesi dell’Unione. Intervista dal portale di notizie NU.nl, il premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, ha detto che il suo paese è contrario a un ingresso dell’ex repubblica sovietica in Europa. (...) Mercoledì 6 aprile, infatti, i cittadini dei Paesi Bassi saranno chiamati a esprimere la propria opinione sull’accordo di associazione tra Ue e Ucraina. (...) Jean-Claude JUNCKER ha avvertito i cittadini dei Paesi Bassi:«Non credo che diranno no all’accordo di associazione, perché questo aprirebbe la porta a una grande crisi continentale». Ad Amsterdam e dintorni sono avvertiti. 




Domenico Losurdo:
Il Marxismo Occidentale
Editori Laterza, 2017 

ISBN 9788858127476, 220 pagine; 20€ cartaceo, 11,99€ digitale

---


Aprire gli occhi sul mondo

di Luigi Sanchi per Marx21.it
19 Maggio 2017

A PROPOSITO DEL MARXISMO OCCIDENTALE DI DOMENICO LOSURDO

Il nuovo saggio di Domenico Losurdo offre un notevolissimo contributo al rinnovamento tanto filosofico quanto politico del marxismo, in Italia e negli altri paesi che, come l’Italia, sono stati segnati da un destino particolare : quello di avere visto la presenza di un potente movimento operaio, democratico e comunista pur essendo delle potenze chiaramente imperialiste, sia prima che dopo la creazione della NATO. Proprio questa situazione sembra aver presieduto all’involuzione del movimento di pensiero che si richiamava a Marx o che era sgorgato dalle fila delle internazionali socialiste in Europa occidentale. Un saggio non è un trattato : e così Losurdo non tenta di ripercorrere tutte le vie che hanno imboccato tutti i protagonisti e i teorici di questo movimento politico-filosofico. Non è qui il punto. Come infatti precisa il sottotitolo, e al di là del dichiarato contrasto con le tesi di Perry Anderson, il focus dell’autore è cercare di capire « come nacque » il marxismo occidentale (in opposizione al marxismo detto orientale), « come morì » e soprattutto – in tacita opposizione con la visione pessimistica di Costanzo Preve – « come può rinascere ».

La tesi centrale del libro consiste nel rilevare che la variante occidentale del marxismo ha trascurato sempre più la questione essenziale dell’imperialismo, prima chiudendola nel recinto del « terzomondismo » (definizione paternalistica e condiscendente), poi addirittura sostituendole la nozione di « totalitarismo », funzionale alla Guerra Fredda e all’attuale neocolonialismo guerrafondaio. Distorsione del pensiero più autenticamente marxiano che nasce dalla tendenza ad isolare in Marx il genio filosofico puro, dimenticando l’organizzatore politico e il pensatore enciclopedico e tentacolare, oppure a pensarlo come teorico di un capitalismo disincarnato, antiumanistico. Ora, basterebbe il concetto marxiano di divisione internazionale del lavoro in seno al modo di produzione capitalista e alla realtà del mercato mondiale a legittimare la teorizzazione dell’imperialismo prodotta successivamente da Lenin. Giacché i centri mondiali della produzione capitalistica impongono in effetti la divisione del lavoro tra i territori, siano essi Stati autonomi, colonie o semicolonie, con tutte le sofferenze e i costi, umani ed economici, che ne conseguono.

Una volta posta fra parentesi tale articolazione coatta del lavoro tra centro e periferie, ecco che riesce facile concentrarsi sulle contraddizioni fra capitale e lavoro nelle sole metropoli avanzate, relegando il resto del pianeta a « Terzo mondo ». Oppure, su un altro versante, restringere la filosofia di Marx ed Engels a puro dibattito nel salotto buono della storia della filosofia europea, perdendo di vista gli altri aspetti caratteristici della sfera marxiana e (come Losurdo dimostra brillantemente) ritornare nell’alveo dell’imperialismo più classico e indossare di nuovo i panni dell’intellettuale tradizionale, al servizio del potere neocoloniale e della sua propaganda « umanitaria ».

Le basi materiali di tali ritorni (o rinunce) non sono certo mancate : potente è stato, durante la Guerra Fredda, l’arruolamento tra le fila della piccola o media borghesia di tanti intellettuali dapprima critici del capitalismo o compagni di strada dei PC occidentali, via l’ampliamento e la progressiva massificazione delle università, in primo luogo di quelle umanistiche, notoriamente ripari di menti progressiste… da convertire quanto prima alle logiche del capitale e all’ideologia liberale. E una volta liquidato, in Italia, il PCI, è stato facile convicere i sedicenti neo-socialdemocratici della bontà della politica offensiva messa in atto dalla NATO dopo la fine della Guerra fredda.

Se questa è la costatazione di partenza, Domenico Losurdo offre al lettore lo squadernamento di un panorama totalmente altro – e quanto mai salutare. Lo fa in due modi : da un lato, sviluppando nei capitoli successivi una serrata argomentazione logica, che tocca tutti i principali nodi teorici in cui il marxismo occidentale si è in un primo tempo distaccato da quello, ben più efficace e realista, dei Paesi socialisti, e poi, in un secondo tempo, fuorviato nei buoni sentimenti dell’avversione al « totalitarismo » ; dall’altro lato, come in una sorta di spartito musicale, orchestrando e riprendendo nei punti-chiave del suo discorso i riferimenti a fatti macroscopici della storia mondiale che i marxisti occidentali e il loro pubblico dimenticano volentieri : per citare solo alcuni esempi, il ruolo direttore della rivolta degli schiavi di Santo Domingo e Haiti, la presenza di proprietari di schiavi nella storia dei governi statunitensi, la diversa cronologia della Prima Guerra mondiale se vista dal mondo coloniale e in particolare dalla Cina, l’anteriorità delle tesi razziste prodotte da esponenti delle potenze liberali rispetto alle teorizzazioni dei nazisti.

Di fronte alle esperienze emancipatrici, per quanto epiche e contraddittorie, emerse con le diverse creazioni di Stati che hanno cercato di rendersi realmente indipendenti dal sistema imperialistico, il marxismo occidentale ha spesso preferito velarsi gli occhi, rifugiandosi in un ribellismo miope e in utopie certo già presenti in Marx ed Engels, ma assolutizzate e usate questa volta strumentalmente contro il movimento di liberazione dall’orrore coloniale. Dal punto di vista di questa rigenerazione utopistica di marca millenarista (Losurdo preferisce dire « messianica »), sembrano grigie e povere le storie così avvincenti dei popoli che, sotto la guida di leader ispirati dal marxismo, hanno preso in mano il loro destino e vittoriosamente resistito agli attacchi delle potenze imperiali (di cui il nazismo è parte integrante), riuscendo non solo a rimettere in discussione la divisione internazionale del lavoro decisa dai centri del capitale, ma anche a recuperare in buona parte il tremendo distacco tecnologico rispetto ai Paesi ricchi, costruendo nazioni coese e capaci di resistere ai loro attacchi. L’esempio della Cina è sotto gli occhi di chiunque lo voglia prendere in considerazione.

Oltre alla fuga in avanti millenaristica, il marxismo occidentale ha spianato la strada ad un ritorno dell’eurocentrismo, quando non addirittura del neo-imperialismo trasfigurato nelle pretese guerre di esportazione della democrazia occidentale, veicolando un pregiudizio eurocentrico, inconsciamente razzista. Il nuovo contributo di Losurdo, facendo séguito a una stringente serie di saggi dedicati a grandi temi politici (dalla lotta di classe al pacifismo, dalla nozione di sinistra a quelle di liberalismo e di impero), aiuta quindi ad aprire gli occhi di certa sinistra post-marxista sulla realtà del mondo attuale così com’è. Perché il metodo messo magistralmente in opera da Losurdo e consistente nel vagliare alla luce di queste realtà rimosse o accantonate le tesi e le concezioni di vari pensatori, da Horkheimer a Negri-Hardt passando per la Arendt e Foucault, non è solo quello della proverbiale « cartina di tornasole ». La Cina, il Vietnam, Cuba (o, dall’altro lato, i Paesi martirizzati come l’Indonesia, il Cile, le Isole Filippine…) non sono né metafore né esempi : sono Paesi, parti del mondo, punti nevralgici della dialettica di classe nel mondo di oggi, instrinsecamente legati alla storia suscitata dalla Rivoluzione d’Ottobre e portata avanti con coerenza e sforzi sovrumani dall’Unione Sovietica.

Se tanta parte del marxismo occidentale ha preferito rimuoverli, non per questo tali giganteschi eventi cessano di esistere. Ben al contrario, essi sono al centro della transizione oggi in corso, di cui l’Europa occidentale o gli Stati Uniti d’America non constituiscono il punto d’osservazione più adeguato. In queste contrade del Primo mondo, solo alcuni analisti politici hanno le idee chiare. Si veda quanto scrive il politologo polono-statunitense (e influente consigliere di presidenti come Carter e Reagan) Zbigniew Brzezinski in un articolo dell’aprile 2016, intitolato Verso un riallineamento mondiale :

« Quanto avviene oggi nel Medio Oriente potrebbe essere solo l’inizio di un più ampio fenomeno che emergerà nei prossimi anni in Africa, Asia e persino tra i popoli pre-coloniali dell’emisfero occidentale. I periodici massacri dei loro non così lontani antenati, perpetrati da coloni e procacciatori di ricchezze ad essi associati e provenienti in larga parte dall’Europa occidentale (da paesi che oggi sono, almeno nelle intenzioni, fra i più aperti alla coabitazione multietnica), hanno avuto come risultato negli ultimi due secoli circa l’assassinio delle genti colonizzate su una scala paragonabile ai crimini nazisti della Seconda Guerra mondiale. Le vittime sono letteralmente centinaia di migliaia, addirittura milioni. L’autoaffermazione politica, che l’indignazione e il dolore differiti rafforzano, è un motore potente che oggi ritorna in campo, assetato di vendetta, non soltanto nel Medio Oriente musulmano, ma molto probabilmente anche in altre regioni. Gran parte dei dati non possono essere attestati con esattezza ma, presi nell’insieme, sono scioccanti . [1]» 

E prosegue enumerando i più gravi massacri della storia coloniale, dal secolo XVI in poi. Come suggerisce Losurdo, il marxismo occidentale per rinascere ed incidere di nuovo sulla realtà deve fare i conti con la realtà, con questa tragica storia, pena l’incomprensione totale e il rifugiarsi nella comoda postura dell’anima bella.

NOTE

1. Towards a global realignment, « The American interest », 11/6 : « What is happening in the Middle East today may be just the beginning of a wider phenomenon to come out of Africa, Asia, and even among the pre-colonial peoples of the Western Hemisphere in the years ahead. Periodic massacres of their not-so-distant ancestors by colonists and associated wealth-seekers largely from western Europe (countries that today are, still tentatively at least, most open to multiethnic cohabitation) resulted within the past two or so centuries in the slaughter of colonized peoples on a scale comparable to Nazi World War II crimes: literally involving hundreds of thousands and even millions of victims. Political self-assertion enhanced by delayed outrage and grief is a powerful force that is now surfacing, thirsting for revenge, not just in the Muslim Middle East but also very likely beyond. Much of the data cannot be precisely established, but taken collectively, they are shocking. »

---


Losurdo e i cattivi maestri del “marxismo occidentale” 

La critica corrosiva di Losurdo nel suo nuovo volume Il Marxismo Occidentale*.

di Alessandro Pascale  
27/05/2017

Domenico Losurdo si supera ancora. Dopo aver realizzato capolavori storico-filosofici come Controstoria del liberalismoStalin. Storia e critica di una leggenda neraLa non-violenza. Una storia fuori dal mito e La lotta di classe, uno degli ultimi grandi intellettuali marxisti-leninisti italiani realizza un'opera di cui oggi più che mai si sentiva un bisogno essenziale. 

Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, propone una novità dimenticata da molti, fin dalla ripresa della categoria coniata da Maurice Merleau-Ponty negli anni '50 e sviluppata da Perry Anderson negli anni '70: il fatto cioè che il marxismo non coincida esclusivamente con le elaborazioni intellettuali di stampo occidentale, né tantomeno con quelle critiche al sistema dei “socialismi reali”. Già dalla lettura de Il dibattito nel marxismo occidentale di Perry Anderson emergeva chiaramente come la divaricazione che si era venuta creando tra due marxismi (uno “occidentale eterodosso” e uno “orientale ortodosso”) fosse in realtà soprattutto un processo che accentuava la specializzazione settoriale degli autori occidentali su aspetti per lo più marginali e secondari della società, oltre che il distacco sempre maggiore tra teoria e prassi. Se i vari Kautsky, Luxemburg, Trockij, Lenin erano dirigenti di partito che non mancavano di realizzare opere complete di analisi economica e politica su ogni aspetto della realtà, non altrettanto facevano i marxisti successivi, i quali dalle aule universitarie concentravano sempre più l'attenzione sul campo della cultura e filosofia, perdendo il contatto soprattutto con le categorie economiche e politiche. 

L'accusa di Losurdo è però ben diversa, anche perché questo crinale rischierebbe di mettere in discussione anche autori ben riconducibili al marxismo-leninismo, come Lukàcs e Gramsci, i quali pure non hanno ad esempio mai affrontato uno studio sistematico e analitico delle questioni economiche. Losurdo contesta in realtà alla gran parte del pantheon del marxismo occidentale di aver dimenticato la grande questione della lotta anticolonialista, non capendo anzitutto gli enormi meriti storici del socialismo nell'aver favorito la decolonizzazione di gran parte del cosiddetto “Terzo Mondo”, ma anche la fine della segregazione razziale, della schiavitù formalizzata, oltre che del sostanziale asservimento femminile. 

Su questi temi Losurdo si era già espresso più volte in passato, mostrando adeguatamente i meriti storici immensi dei movimenti comunisti e dei “socialismi reali” e le enormi contraddizioni del movimento liberale. L'elemento di novità sta ora nell'andare a smantellare sistematicamente, uno dopo l'altro, tutti i numi tutelari che per decenni hanno sostituito i nomi di Marx, Engels, Lenin e Gramsci come punti di riferimento per le nuove generazioni di sinistra. A salire sul banco degli imputati, con accuse più o meno gravi, sono Della VolpeCollettiTrontiAlthusserBlochHorkheimerAdornoSartreMarcuseArendtTimpanaroFoucaultAgambenNegriHardtHollowayDavid Harvey, fino a giungere a Zizek e Badiou. Nessuno ne esce indenne.

Lo scontro è titanico e maestoso e non pretende di essere esaustivo, ma traccia un percorso illuminante con cui si chiarificano tutti i limiti intellettuali e politici di questa sfilza illustre di personalità; soprattutto si comprendono le origini degli errori ideologici introiettati in profondità negli strati sociali della sinistra attuale, sia in Italia che più in generale in campo europeo. Dal ragazzo che frequenta i centri sociali, all'elettore moderatamente progressista, dal militante iscritto ad un'organizzazione comunista al frequentatore di circoli ARCI, dal sindacalista più o meno radicale all'attivista per i diritti umani, tutto il mondo della sinistra è cresciuto negli ultimi decenni in un contesto culturale di sconfitta e incomprensione che è stato alimentato pervicacemente non solo dai media e dalle strutture dell'imperialismo, ma paradossalmente dalla stessa sinistra più o meno marxista, o autodicentesi tale. 

Da parte di Losurdo non arrivano scomuniche né accuse di tradimento, sia chiaro. Ma la lettura rende evidente come ci sia stato, in particolar modo dal secondo dopoguerra ad oggi, un profondo e costante cedimento culturale nel campo del marxismo occidentale, di fronte alle offensive ideologiche della borghesia. L'essersi affidati a dei “cattivi maestri”, oltre che l'incapacità di non aver saputo replicare agli attacchi della borghesia (agevolati, è sempre bene ricordarlo, dalla modalità disastrosa con cui il movimento comunista si è inflitto l'autoflagellazione della “destalinizzazione”) sono eventi causati secondo Losurdo all'aver “dimenticato” la questione coloniale. 

Sorge però l'impressione che il giudizio del professore sia fin troppo generoso e assolutorio. Ad essere venuti meno tra l'intellighenzia occidentale sono anzitutto la conoscenza essenziale dei pilastri del marxismo e del leninismo, la cui ignoranza o ripudio sono difficilmente ammissibili per degli intellettuali che hanno avuto un peso culturale così grande. Pesa come un macigno insomma l'incapacità di aver saputo maneggiare con adeguatezza le categorie del materialismo storico e del materialismo dialettico, a partire dal venir meno di una categoria essenziale per un filosofo marxista: quella della totalità. Senza capacità di avere una visione complessiva della realtà diventa impossibile svolgere un adeguato bilancio, non solo morale e storico, ma politico. E questa è l'accusa più generosa che si possa fare, per quanto sia già grave, perché le alternative sono ben peggiori: l'indifferenza o il pressapochismo con cui le questioni coloniali sono state trattate da certi autori potrebbero far sorgere il sospetto di un razzismo congenito, introiettato, forse non consapevole ma che implica l'adesione ad uno stretto eurocentrismo che non a caso ha avuto come conseguenza la rimozione della categoria dell'imperialismo, o la sua assurda estensione arbitraria a qualunque sistema capitalista che abbia relazioni economiche con altri Paesi, accettando come vie nazionali dei “socialismi di mercato”.

Altra tendenza deleteria, legata teoreticamente alle precedenti, è quella di scadere in un massimalismo messianico utopistico che porta al predominio di una critica fine a sé stessa, puramente distruttiva (non a caso percorso tipico di chi ha fatto del marxismo una pura “teoria critica”) e intrapresa da “anime belle” incapaci di elevarsi a soggetto compartecipe delle esperienze realizzate di emancipazione, e anzi ostili a qualsiasi modello socio-politico che non realizzi immediatamente tutte le proprie speranze ed esigenze. 

In conclusione Losurdo spiega bene come il “marxismo occidentale” sia nato, abbia “inquinato” le sinistre in campo cultural-politico e come pur continui a sopravvivere ridotto ormai ad una serie di autori per lo più autoreferenziali e sempre più inconcludenti o fallimentari

La pars destruens è perfetta. Manca forse una soluzione adeguata sul percorso da intraprendere. Il ritorno ad un marxismo-leninismo concretamente antirazzista e ben conscio della questione colonial-imperialista è senz'altro la base teorica di partenza. Sgombrare il campo dall'adesione acritica di ogni altra moda filosofica sinistroide è però passo necessario ma non sufficiente. Se la pars destruens è una boccata di ossigeno, la pars construens non può limitarsi solo alla difesa complessiva della Storia del socialismo, né alla difesa acritica dei governi socialisti esistenti. 

Il prossimo passo da compiere è una necessaria riflessione costruttiva sul marxismo-leninismo, capace non solo di analizzare i suoi immensi meriti storici (cosa qui già fatta egregiamente), ma che analizzi anche i suoi limiti, senza i liquidazionismi o revisionismi in cui sono caduti gli autori del marxismo occidentale, ma senza nemmeno evitare di affrontare la questione del perché i comunisti siano entrati storicamente in crisi proprio nei Paesi europei storicamente “colonizzatori”. 

Questo è un campo in cui i comunisti di tutto il mondo non si sono ancora avventurati con la necessaria serietà e consapevolezza. Il marxismo orientale perché aveva effettivamente problemi più importanti di cui occuparsi. Il marxismo occidentale perché ha sostanzialmente perso 70 anni di tempo a diventare subalterno all'ideologia borghese. Speriamo che la questione posta possa essere di spunto per il prossimo libro di Losurdo.



(français / srpskohrvatski / english / italiano)

Il Montenegro sotto occupazione come nel 1941

1) STOP NATO 2017! Contre-Sommet le 24-25 mai 2017 à Bruxelles
2) ИНТЕРВЈУ СА М. БУЛАТОВИЋЕМ: Враћам се да се борим против нових фашиста из НАТО-а / VIDEO (Sputnik 20/5/2017)
3) Montenegro defies democracy by ratifying NATO membership without referendum – Moscow (RT, 29 Apr, 2017)
4) Interview with Marko Milacic (Sputnik, 30.04.2017)
5) NATO mission creep on road to Russia reaches Montenegro (Danielle Ryan / RT, 30 Apr, 2017)
6) Montenegro: La lutte continue contre l'adhésion à l'Otan (Global Research / ALERTE OTAN, N°64-1er trimestre 2017)


MORE LINKS in inverse chronological order:

Crna Gora u NATO (Globalno sa Borisom Malagurskim (BN) – SEZONA 2 | EPIZODA 29)
Gosti: Marko Milačić, Aleksandar Radić, Vladislav Dajković. Tema: Ulazak Crne Gore u NATO.

LE MONTÉNÉGRO ADHÈRE À L’OTAN, LA RUSSIE MET SES VINS SOUS EMBARGO (CdB, 6 mai 2017)
Le calendrier a d’étranges « hasards ». Le 28 avril, le Monténégro confirmait son adhésion à l’Otan. Deux jours plus tôt, les services sanitaires russes découvraient des traces de pesticides dans les vins monténégrins et en interdisaient l’importation. La décision très politique de Moscou prive Plantaže d’un important marché, tandis que les Russes devront oublier le goût du vranac et du cabernet monténégrins...

Il Montenegro è ufficialmente nella NATO (PandoraTV news 2 Maggio 2017)

Montenegro Opposition Protesting Against NATO Membership on Voting Day (VIDEO)

Montenegro parliament ratifies NATO membership after US approval — RT News

Montenegro a due giorni dall’adesione alla NATO (PandoraTV 27.4.17)
VIDEO: https://youtu.be/FfMcI3mmmBI?t=1m28s

FLASHBACKS:
Montenegro, stretta sull'opposizione per il presunto golpe anti-Đukanović (F. Martino /OBCT/ Radio Capodistria, 16 febbraio 2017)
Sale la tensione in Montenegro, dove il parlamento ha privato ieri dell'immunità due dei leader dell'opposizione, accusati di aver partecipato al presunto golpe anti-Đukanović dello scorso ottobre. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria...
Fake news recycling’: Russian Embassy calls out UK media over ‘Montenegro coup plot’ report (RT, 20 Feb, 2017)
The Russian Embassy in London has rejected as pure innuendo a report in The Telegraph which claimed Moscow had conspired to overthrow Montenegro’s government during the 2016 poll, describing the report as recycled “fake news.”...


=== 1 ===


Contre-Sommet STOP NATO 2017!

Le Comité Surveillance OTAN (CSO) participe essentiellement à la réalisation de la CONFERENCE le 25 mai 2017 à Bruxelles.
 
Le programme détaillé de la Conférence: https://stopnato2017.org/en/conference-0
 
Nous vous informons ci-dessous des ateliers sur lesquels nous nous sommes concentrés: 
Atelier A1 de 11h30 =  "Elargissement de l'Otan" avec la participation de Marko Milacic, du Mouvement pour la Neutralité du Monténégro,  
Atelier C2 de 14.15h =  "Interventions Militaires de l'Otan", avec la présentation de Georges Berghezan sur la guerre de l'Otan contre la Yougoslavie.
 
En ce qui concerne LA MANIFESTATION DU 24 MAI, le CSO sera présent dans le groupe STOPNATO2017, qui se rassemble à 17 heures, au coin de la Tour Proximus , près de la gare du Nord.

Nous comptons sur votre participation à cet important Contre Sommet Otan!
Le CSO.


=== 2 ===

Интервју са М. Булатовићем: Враћам се да се борим против нових фашиста из НАТО-а (Sputnjik Srbija, 20 mag 2017)
Када сам на Дан победе против фашизма био у Москви, обећао сам себи да ћу, кад се вратим у Црну Гору, да се придружим политичким снагама и покретима који ће се мирним и демократским средствима борити против срамне одлуке о уласку Црне Горе у НАТО. Јер, баш НАТО је војни савез који представља савремени вид фашизма...



Враћам се да се борим против нових фашиста из НАТО-а (видео)

СПУТЊИК ИНТЕРВЈУ 20.05.2017
Предраг Васиљевић

Када сам на Дан победе против фашизма био у Москви, обећао сам себи да ћу, кад се вратим у Црну Гору, да се придружим политичким снагама и покретима који ће се мирним и демократским средствима борити против срамне одлуке о уласку Црне Горе у НАТО. Јер, баш НАТО је војни савез који представља савремени вид фашизма.

Ово је у разговору за Спутњик поручио Момир Булатовић, бивши председник Црне Горе и некадашњи премијер СР Југославије, који се 9. маја придружио паради Бесмртног пука на Дан победе против фашизма, што се симболично временски поклопило са одлуком Црне Горе о уласку у НАТО.

Јесу ли и ово логична исходишта политичког деловања Мила Ђукановића и вас као некадашњих политичких савезника — он у западну алијансу, а ви у Русију?

— Могуће је да постоји нека коинциденција. Лично, не бих то упоређивао зато што је Бесмртни пук универзална, глобална, вечита вредност, а улазак Црне Горе у НАТО је текућа, пролазна, људска глупост. Признајем да сам и у Москви осећао дубоку тугу што припадам држави која је на преваран начин и против воље свог народа ушла у НАТО. Претходница НАТО трупа и њихове логике налазила се у Вермархту, па чак и у оном Наполеоновом сулудом походу на Русију. Црној Гори ту није место.

А где је Црној Гори место, ако не тамо где сама одабере?

— Одлука о уласку у НАТО нема апсолутно никакав легитимитет јер је није подржао народ. Црна Гора не припада источном свету, већ антифашистичком блоку на чијем челу је била и остала Русија. Све друго су пролазне појаве. Неко је добро описао, био је 12. јул кад је основана независна Црна Гора, квинслишка творевина под патронатом Италије, али се после десио 13. јул и свенародни устанак. Нажалост, неће само један дан после одлуке о уласку Црне Горе доћи и до њеног изласка, али сам сигуран — доћи ће и тај тренутак. Немам дилему.

Колико ће воде протећи Морачом док не дође тај дан и док се не промени историјска одлука која засад има легитимитет Скупштине Црне Горе, а кажете, не и народа?

— Сав физички, умни и интелектуални напор уложићу да та одлука о уласку у НАТО заврши на ђубришту историје, где јој је и место. Против НАТО-а не жалим ниједан труд јер сам сигуран да је то у корист садашњих и будућих генерација. НАТО није ни добио ни изгубио уласком Црне Горе, а Црна Гора је изгубила много својих духовних, културних и историјских вредности. У суштини, није ово борба против НАТО-а, него за Црну Гору и њене вредности.

Значи ли то да се враћате активније и у дневну, страначку политику? Прво мора да се обори власт да би се оборила и одлука о НАТО-у.

— Постоје нека питања која су изнад странчарења. Толико сам дуго био у дневној политици Црне Горе да мислим да сам досадио и богу и народу. Али, дужан сам да изнесем свој став, да подржим оне политичке покрете којих има јако много у Црној Гори и који су све снажнији. Нема потребе да се неко из политичке пензије враћа и да навраћа воду на своју воденицу. Политиком се баве сујетни људи, а ја сам своју сујету давно, давно проживео.

Баш сте ви, као премијер СРЈ, на пролеће 1999. прогласили ратно стање кад је Југославију напао НАТО? Јесу ли и ту лични мотиви ваше нове борбе?

— Немам више никакву врсту политичке амбиције, али имам обавезу према сенама људи који су погинули 1999. године, јер сам и сâм тада имао у Југославији неку врсту команде. Морам и последњим снагама да се борим да докажем да њихова жртва није била узалудна и да се морало и исплатило борити против напада тих убица.

Баш сад се „повампирио“ и Вилијам Вокер, режисер случаја „Рачак“, после ког смо бомбардовани, а сада има нови пројекат — Албанија до предграђа Ниша…

— Вокер је обичан мали чиновник. Пион који је требало да одигра једну игру. Напад НАТО-а није се десио јер је Вокер видео „масакр у Рачку“. А после смо видели да масакра и није било. Такве војне акције НАТО припрема месецима и годинама, а после се нађе само један пион који треба нешто да изговори да би интервенција почела. Овај „повратак“ Вокера, Олбрајтове и осталих личи на фарсу. Однос снага у свету је другачији, промењене су околности и на Балкану, и мислим да је немогућ неки нови сукоб. Посебно не верујем да репрезент тога може да буде неки Вокер, ислужени шпијун ЦИА који није знао да одигра ни једну малу улогу додељену 1999. Ухватили смо га одмах у лажи, и није чак могао ни да побегне са Косова и Метохије пре бомбардовања, него смо му ми помогли са нашим специјалним снагама. Оставио је чак на КиМ и своја возила која смо употребили за одбрану земље.

Дакле, искључујете могућност новог балканског рата?

— Молим се богу да не буде рата. Рационалном анализом уверен сам да је рат немогућ. Не постоје унутрашње гориво нити погонска средства за то. Нема силе која може да га наметне, као што нам је Америка 1991. наметнула рат са циљем да покаже неспособност Европе да одржи мир у својој кући. Дејтонски споразум из 1995. идентичан је плану португалског дипломате Кутиљера из 1992. који је прихваћен у Босни, па на захтев Америке одбачен. Циљ је био да САД кажу Европи — ви сте неспособни, довешћемо све код нас у Дејтон и постићи ћемо мир.

Зар се утицај ЕУ не поклапа са политиком САД?

— Нажалост, живимо и диктат ЕУ. Па ми смо Европа. Русија је много више Европа него Америка. Па зар после свих ових година људи не виде да САД не желе стабилност у Европи? Кад срушите мостове на Дунаву, који је највећи европски пловни пут, какве то има везе са шиканирањем Албанаца на Косову. САД не желе мир и стабилност у Европи, већ контролисани хаос где су они главни. Али, истовремено се тај балон њиховог утицаја дебело и знатно издувао. Зато очекујем да ће утицај Русије бити све већи на Балкану, и то не да ће навијати за једну или другу страну. Кад је јака и стабилна Русија, онда је миран и Балкан. То нас учи и историја.

Ипак, Црна Гора се јасно определила. Како би Србија требало да се постави у турбулентним временима, окружена НАТО-ом, док јој се, после сецесије Косова, јавно прети даљем комадањем државе?

— Црна Гора се није определила, него се дефинитивно изгубила. Њена одлука не проистиче из рационалног и трезвеног разлога и нема демократски капацитет. Годинама проучавам шта ради НАТО и пратим економске последице. То је скаламерија лажи. Они хоће милитантну организацију да представе као хуманитарну установу или као дечји вртић. НАТО је изгубио рок трајања и хоће да пређе у политичку организацију, а знам много људи који су радили у централи НАТО-а, попут Вилија Вимера, и који отворено говоре да то није средство за ширење мира и демократије. Кад су видели како функционише тај систем, дигли су руке. Многи мислећи људи шаљу вапијући савет и Србији — не улазите у ЕУ и НАТО. Властодршци Црне Горе тај вапај нису чули. НАТО није ништа од онога што се прича, није ни водио ни победио ниједан рат. Не може у омер и склад да стави оно што им је ратна реторика и, са друге стране, реални потенцијал који губи. На Србији је да „сачува живце“, буде стрпљива, реално сагледа ситуацију и држи се онога — „у се и у своје кљусе“.

Како оцењујете други западни спин — да је дошло време за промене граница на Балкану? Колико су ти „пробни балони“ реални и може ли Србија у некој прекомпозицији да истакне право на уједињење са РС?

— Србија сада има реалну, стабилну и одмерену спољнополитичку позицију. Рекла је да неће да жури у том правцу кад је у питању РС. Овај избалансиран приступ користан је и за Српску. Што се тиче тих „пробних балона“, сматрам да Европа хоће да измести своје унутрашње проблеме јер не жели да се прича да у Унији влада хаос. Онда се неко сетио да измести тај хаос према „дивљим балканским племенима“. Београд треба да настави стабилну, солидну и одмерену политику, да развија односе са Русијом и Кином, настави пут ка ЕУ, шта год то значило. И ја се питам како је путовати у кућу у којој влада хаос, али у реду — дајмо и томе шансу. Свакако, полако испливава суштина — да је Србија најјача регионална сила. Ако буде мудрости, балкански проблеми решиће се између Албанаца и Срба на паметан начин. Све глупости смо потрошили, очекујем да извадимо арсенал мудрости.

Подмеће ли нам неко „кукавичје јаје“ кад се лансира прича о „новој промени граница“, а Запад овде покушава да промени само границе Србије?

— Тако је, увек нам се подмеће неко кукавичје јаје. Питао сам и деведесетих искусне политичаре, шта нам Америка својом политиком поручује. Ђилас и остали су нам говорили да су и њима после Другог рата подметали.

Брине ли се Београд довољно о Србима у Црној Гори?

— Нажалост, волео бих да Србија јаче штити права сународника, али је сада овако вероватно да се не би кварили билатерални односи држава. Бити Србин у Црној Гори најнепопуларније је стање и занимање. Не прихватам да су Срби национална мањина. У Црној Гори сада неко говори да је сто посто Црногорац, ако није, онда има црногорско име, а српско презиме. Бежи се од Петра Првога Петровића Његоша и Светог Петра Цетињског. Беже од историје, па упадају у сопствену негацију. Матија Бећковић је лепо рекао: Црногорке су једине жене које рађају децу две нације.

Верујете ли интимно да ће Србија и Црна Гора поново некад бити у заједничкој држави?

— Ја и сад осећам да је то тако. Граница ми је неприродна. Званично, тешко је да се у кратком року све врати на своје. Разбијена чаша тешко се саставља. Себе убеђујем да смо у једној држави и да практично све треба да функционише као што сада функционишу Србија и РС.

До краја сте остали пријатељ Слободана Милошевића, а били сте с њим и пред смрт. Која је његова највећа историјска грешка?

— То што се родио у погрешно време, на погрешном месту. У политици и историји неки људи су миљеници времена. Мислим да су то сада и Александар Вучић и Владимир Путин. Шта год да ураде политички се некако сложи баш са оним што ће и људи да прихвате. Милошевић је искрено волео свој народ. Сто пута ми је рекао: „Био бих највећи у очима Запада и њихов миљеник да сам рекао — ја сам председник Србије и не интересује ме положај Срба ван Србије“. Да је скрштених руку гледао погром над нашим народом. Народ у БиХ и Хрватској борио се за своју слободу, и ми често нисмо могли да их натерамо ни на мировне споразуме. Наше је било да им помогнемо, и то смо радили. Сад је друго време, ми као председници никад нисмо добили позив на Олимпијске игре, а данас иду и на Вимблдон. Е, то значи бити председник (смех).

После 2000. очекивали смо економски бум, отварање, партнерство са Западом, помирење са Албанцима, а доживели смо одвајање Црне Горе, отцепљење Косова, пљачкашке приватизације, а прети нам се и „Великом Албанијом“… Можемо ли ми било како да утичемо на процесе који се, изгледа, одвијају исто, ко го да је на власти?

— Убеђен сам да можемо. Али, после Петог октобра поверење су добили они чији је програм био више него шарена лажа. Причало се, ухапсите и изручите Милошевића и стићи ће милијарде инвестиција. Сада се види превара. Али, што би рекао Јустејн Гордер, комплетно сазнање о неком догађају добијемо тек кад више немамо оперативну вредност да нешто променимо. Али имамо могућност да нешто трасирамо за будућност.

Како вам делује економски развој Србије у калупима и матрицама ММФ-а и међународних финансијских институција? Има ли алтернативе?

— Ко следи инструкције ММФ-а, не може на зелену грану. Хвалим политику Владе Србије на спољном плану, али сматрам да је неодговорна и непромишљена на унутрашњем и економском плану. Владају флоскуле агенција за рејтинг, статистичке оцене, похвале ММФ-а. А много су важнији конкретни и реални проблеми грађана. Важније је да се реше Сартид и Бор него да вас похвали ММФ. Кога они похвале, може да рачуна на економску пропаст. Као Грчка.

Али, чини се да се све више повезујемо економски са Русијом и Кином. Премијер Вучић је управо стигао из Пекинга, најављују се нови пројекти. Да ли се довољно операционализују ти договори да би се преточили у реалан живот?

— Споро, а надам се да хоће. Виртуелна неолиберална економија показује степен напретка кроз дување банкарских рачуна или кроз БДП. Наспрам тога је реална економија коју гурају Русија и Кина. Проблем је што Србија не може да испуни услове, руско тржиште јесте велико али није дивље и неуређено. Србија би морала да помогне привреди и пољопривреди да испуни стандарде теже од оних које има ЕУ, да обједини потенцијале да изађе на то тржиште. А веће нам тржиште од руског и не треба.

Мејнстрим економисти би вам реплицирали да највише извозимо у ЕУ и да од тога не сме да се одустане. А да ли се споро развијамо баш зато што смо везани за ЕУ?

— Мејнстрим економисти плаћени су да бране такву позицију. Матрица је — прода се предузеће западној компанији, па она извози својој земљи и убира профит. То није довољно за развој. Купе Немци фабрику, а онда кажемо, извеземо у Немачку за милијарду евра. Па то је немачко од почетка до краја. Морамо више да користимо наше потенцијале. Пример је Кина, која је задржала државну индустрију, гринфилд инвестиције стимулисала и направила економски бум. Избила је на светско прво место економије. А чаробна формула је да сви грађани Кине треба да имају људска права, али да је највеће право да нико није гладан. Прво то.

Осим на економском плану, ЕУ нас кочи и у политичким и практичним односима са Русијом, што видимо на примеру Хуманитарног центра у Нишу који још не добија дипломатски статус. Треба ли Београд руским хуманитарцима да додели оно што им припада?

— Разуме се. Кад направите заједнички центар, обавеза је да се страним држављанима додели и одговарајући статус. Непристојно је да се са Запада мешају у то, а велики минус дајем Влади Србије која Српско-руском центру још није дала статус који заслужује. Јер они заслужују и много више.

Како гледате на односе Америке, Русије, Кине, Турске… Иде ли свет ка мирној прерасподели моћи или великим сукобима?

— Централно питање угледних америчких економиста и политичара било је какав ће бити пад Америке са светског трона. Да ли ће то бити меко приземљење или слободан пад. Надао сам се да ће после Трампове победе уследити меко приземљење и споразумно уступање моћи, али сад, после америчких ракета у Сирији и притисака унутар САД, бојим се да станару Беле куће припремају слободан пад. Не сумњам да пад Америке следи и да смена моћи мора да се изврши. То је почело и сада у Пекингу, када је показано да пројекти попут „Пута свиле“ одређују будућност планете, а не глупирање Американаца са бомбардовањем народа по свету.

Да се вратимо на повод — како вам је било у Москви на паради Бесмртног пука?

— Оно што је мене испунило осећајем задовољства јесте ретка прилика да човек учествује у једној таквој величанственој манифестацији. Кад долазите из мале државе, која има 600 хиљада становника, а учествујете на манифестацији на којој има скоро милион људи. Снажан је утисак кад видите да сви ти људи имају два основна карактера који их спајају, а то су осећај захвалности и осећај поноса.

Понели сте у Русију и фотографију оца…

— Парада бесмртних је прилика да понесете слике својих предака који су учествовали у борби против фашизма. Сви се поздрављају, честитају празник и захваљују — за слободу и за живот — ветеранима којих је, нажалост, све мање међу живима. Част је бити међу онима које повезује понос, који припадају једном великом народу и следе једну огромну идеју. Имао сам ту прилику да понесем слику свог оца, који је са 16 година отишао у партизане. Тако да сам умирио своју душу, донео сену оца у Москву и рекао шта ми је на души о уласку Црне Горе у НАТО.

За крај, зашто вас нема чешће у српским медијима?

— То долази у таласима и маховима. Очигледно је да дође неко време када некад неко пожели да чује мишљење старијег и искуснијег политичара из оне „далеке“ наше прошлости. Прошлости која је, нажалост, још жива. Чини ми се да је понекад живља него што је и онда била.


=== 3 ===


Montenegro defies democracy by ratifying NATO membership without referendum – Moscow

29 Apr, 2017

The ratification of Montenegro’s NATO membership by a parliamentary vote instead of a referendum is a violation of democratic norms, Russia’s Foreign Ministry said, adding that Moscow reserves the right to protect its national security after the move.

Russia’s Foreign Ministry has expressed “deep regret that the current leadership of [Montenegro] and its Western backers didn’t heed the voice of conscience and reason.”

“The adoption of fundamental acts, affecting the key issues of state security, by the vote of individual MPs on the basis of a formal majority without taking into account the opinion of the country’s people is a demonstrative act of violation of all democratic norms and principles,” the statement read.
The ministry said that the will of around half of the population was ignored by the Montenegrin authorities with the NATO vote.
“What cynicism should one have to state unabashedly that there was no need to clarify the opinion of the people for such a decision, like the Montenegro president, Filip Vujanovic, did the other day,” it said.
During the “shameful” NATO bombing of Yugoslavia in 1999 there were casualties in Montenegro as well, with children being among the victims, the Russian Foreign Ministry said. Blaming those deaths on Serbia, which is accused of having provoked the interference from the US-led military bloc, is a “hypocritical” interpretation of events, the ministry said.
“Those who voted in the Skupstina [parliament] for joining NATO under the pretext of an imaginary Russian threat should take responsibility for the consequences of implementing the plans of external forces, seeking to deepen the division in Europe and the Balkans, drive a wedge into the historically rooted friendly relations of Montenegrins with Serbs and Russians,” the statement read.
The Russian ministry said that “given the potential of Montenegro, the North Atlantic Alliance is unlikely to receive significant 'added value' thanks to the inclusion of its 29th member.
“But Moscow can’t ignore the strategic consequences of this step. Therefore, we reserve the right to adopt such decisions that are aimed at protecting our interests and national security,” the Foreign Ministry said.
Earlier on Friday, the Montenegro parliament ratified the law on the country’s accession to NATO, with all 46 lawmakers (out of the total of 81) present at the session supporting the country’s inclusion into the bloc.
The move took place in absence of the main opposition party, the Democratic Front, which instead staged a protest, demanding a referendum on whether to join NATO.
The vote in the Montenegrin parliament followed the decision by US President Donald Trump to approve the country’s membership bid on April 11. Accepting Montenegro into NATO will send a message to other aspirants that the “door to membership in the Euro-Atlantic community of nations remains open,” the White House said at the time.
Montenegro, a country with a population of around 622,000 people that seceded from Serbia in 2006, was granted a NATO Membership Action Plan (MAP) in 2009. Since then the country remained split on the issue, with protests against NATO across the country only intensifying as the republic drew closer to becoming a member of the bloc.


=== 4===


Montenegro: Ratification of NATO Treaty 'Goes Against the Will of People'

30.04.2017

The ratification of Montenegro’s NATO membership by a parliamentary vote instead of a referendum is a violation of democratic norms, the Russian Foreign Ministry said in a statement on Friday. Radio Sputnik discussed the issue with Marko Milacic, executive director of the Movement for Neutrality of Montenegro.

Marco Milacic described the ratification as one of the most shameful decisions in the country’s modern history.

“This decision goes against the will of the majority of the Montenegrin people. While 84 percent of our people want a referendum on the country’s participation in NATO and this decision, the authorities and the parliament, which is totally illegal because there is no opposition there, decide on this,” he said.

“I think that this is a short-term decision by a small group of people, a criminal regime that hasn’t changed for almost three decades. This is a tremendous manipulation by people who are deeply rooted in crime,” Milacic added.

When asked about the level of anti-NATO sentiment in Montenegro almost 20 years after the 1999 NATO bombings of Yugoslavia, Marko Milacic said that this sentiment was “very strong,” but that the government, which he described as “a puppet of Washington and NATO,” ignores this and keeps telling people that NATO is a guarantor of a safe future for the country.

“In fact, it only ensures safe future for this small clique of criminals now in power, for their families and businesses,” Milacic emphasized.

Speaking about Montenegro being part of NATO’s plan to control the Adriatic Sea region now that other Adriatic nations like Albania, Croatia and Italy are already in the alliance, Milacic said that in his opinion, NATO wanted Montenegro in as punishment for Russia, as a signal to Moscow that it is now in control of Russia’s zone of influence.

“The other reason is that NATO wants to put its flag on a 200 km stretch of the Adriatic coast which is not yet under their control,” Milacic said. He added that this could also cause “a militarization of neutral Serbia,” which is the biggest country in the Balkans, and “sow anti-Russia hysteria here.”

On Friday, Montenegrin MPs voted 46-0 for the Balkan country to join NATO. Opposition lawmakers, who account for almost half of the 81-seat legislature, boycotted the parliamentary session.

Russia believes that Montenegro’s accession to NATO will undermine stability in the Balkans and elsewhere in Europe.




=== 5 ===


NATO mission creep on road to Russia reaches Montenegro

Danielle Ryan, 30 Apr, 2017

This week’s vote by Montenegro’s parliament to ratify the protocol for the tiny Balkan nation’s admittance into the NATO alliance was a cruel irony.
Less than 20 years ago, during the Kosovo War, when the country was still part of Serbia, NATO jets were pounding Montenegro with depleted uranium bombs. Those bombs caused long-term damage to the nation’s health, which doctors today have linked to increases in systemic cancers among the population. Unsurprisingly, there remains some deeply anti-NATO feeling in the country today — and NATO membership is a hugely divisive issue.
Nonetheless, Montenegro’s government decided to forgo a referendum on NATO membership, denying the country’s citizens any say in the matter.
Why Montenegro?
American lawmakers have been enthusiastically anticipating Montenegro’s arrival into the alliance, but it has little to do with the country being of any significant military value — because Montenegro delivers absolutely nothing to NATO in terms of military strength. The country’s 2,000 troops are hardly a big draw, though its location is strategically significant and would give NATO almost full control of the Adriatic Sea, given that Italy, Croatia and Albania are already members).
The country is also unlikely to be facing down any major military threats from which it would need NATO’s protection. Nor are there any legitimate reasons to claim that Montenegro has any value to the US in terms of its national security interests.
The reasons for Montenegro’s ascension into NATO are therefore largely symbolic. Admitting the tiny Adriatic country as the bloc’s 29th member sends the message that the US-led alliance’s open door policy remains in place. It’s an opportunity to convey that the US ‘sphere of influence’ is ever-expanding and limitless. It’s the geopolitical equivalent of Washington sticking its tongue out at Russia and making childish noises to confirm its superior level of coolness. In other words, as one analyst noted, NATO is adding new members the way people add Facebook friends that deliver zero value or relevance to their lives, but the higher the number, the more popular you look.
Indeed, the Washington-based conservative think tank The Heritage Foundation argued in a recent paper that Montenegro’s membership would “send a message” of strength to Russia. If that’s the best reason they can come up with to justify adding a militarily insignificant new member to a military alliance, it’s a pretty weak case.
When the US Senate was debating Montenegro’s membership, avid warmonger and notoriously delusional senator John McCain accused Senator Rand Paul of“working for Putin” simply because he was against the country joining the bloc. This kind of baseless outburst only confirms that the likes of McCain and other pro-NATO expansionists have no real arguments to fall back on if they can only meet legitimate disagreements with accusations of “working for Putin”.
Shift to the West?
There is a clear temptation in Western reports to explain the move by Montenegro’s parliament as a ‘shift to the West’ for the country, but it is hardly so straightforward.
The opposition Democratic Front alliance believes that the government won’t allow a referendum on the issue because they would lose. This is not unlikely. Polls have shown that Montenegrins are deeply divided over whether to enter NATO. Anti-NATO members of parliament boycotted the vote and several hundred people showed up outside to protest it, chanting “treason!” and “thieves!”. One banner seen in photographs read: “Nato killers, you have blood on your hands.” The opposition say they will freeze the country’s membership if they win the parliamentary elections in 2021.
Montenegro is a notoriously corrupt country. Former prime minister Milo Djukanovic who ruled the country for 25 years (save a few short interruptions) has been accused of using the country as his own personal ATM and of muzzling the press. In 2009, he was implicated in a cigarette smuggling ring that reportedly laundered $1 billion in profits, but was never charged. In 2015, he earned himself the title “man of the year in organized crime” by the Organized Crime and Corruption Reporting Project.
Djukanovic called the October 2016 election a “referendum on NATO membership” — but the vote which sealed the nation’s fate regarding NATO membership was marred with serious allegations of fraud. One opposition leader called it“the most fraudulent we've ever had”. At the time, the EU called for an investigation, though in reality Brussels and Washington turned a blind eye given that the election results suited their own agenda. Similarly, the media weren’t overly interested the previous year when Montenegrins took to the streets to protest the pro-EU/NATO government.
The value placed on anti-corruption protesters around the world seems to be decided based more on their value to Western geostrategic interests than anything else. If those Montenegrins had been protesting a government regarded as friendly with Moscow, there would have been no end to the coverage — and no doubt, some American officials would have shown up in Podgorica to show their support.
Blaming Russia
Djukanovic stepped down and was replaced as prime minister by his ally Dusko Markovic after his party won the October election. Djukanovic has been eager to portray NATO membership and Russian influence as the biggest issue facing Montenegro. On election day, he announced there had been an attempted coup and Russian plot to assassinate him, with the aim being to prevent Montenegro’s entry into NATO.
Opposition parties say this “coup” was a fabrication; an attempt to rally support as people went to the polls. Knowing how well anti-Russian sentiment plays in the West these days, perhaps he thought a fake Russian plot would be a good way to get some attention.
It’s unlikely however, that Moscow sees the minuscule addition of Montenegro’s 2,000 troops as reason enough to assassinate a foreign leader to prevent it from happening — particularly when Vladimir Putin is already busy running rings around the rest of the world and hacking everything with an electric current.
Of course, Russia is not exactly delighted about Montenegro joining NATO — Moscow is against NATO expansion in general — but Putin is hardly quaking in his boots over this particular addition to the Western social club.
Given that NATO found itself without purpose in 1991 after the fall of the Soviet Union, it has struggled to maintain its relevance. This is why it engages in hair-brained and disastrous ‘humanitarian interventions’ in countries like Libya. It is also why NATO perpetuates the ridiculous notion of Russia as an existential threat to the Western world. NATO’s goal is to perpetuate its existence and stay relevant. Everything it does is in pursuit of this goal.
Adding members like Montenegro purely in an attempt to antagonize Russia is foolish. It serves only to confirm to Moscow that Washington disregards its interests an

(Message over 64 KB, truncated)


PER ANDREA ROCCHELLI E ANDREJ MIRONOV, TRE ANNI DOPO

1) Il fotoreporter morto in Ucraina. «È stato ucciso in un agguato»(C. Giuzzi / CdS, 6/5/2017)
2) Parlano per la prima volta i genitori del fotografo morto nel 2014 a Sloviansk (L. Sgueglia / L'Espresso, 10/10/2016)
3) Perché Kiev non dice la verità sulla morte di Andy Rocchelli? (M. Allevato / Il Foglio, 23/5/2015)


--- SUL DUPLICE OMICIDIO SEGNALIAMO ANCHE:

Professione reporter: ricordando Andy Rocchelli  (Radio3 Mondo, 01/05/2017)
Puntata speciale dedicata ad Andy Rocchelli, il giovane fotoreporter italiano ucciso insieme al suo interprete Andrei Mironov, durante la realizzazione di un reportage sulla guerra in Donbass, il 24 maggio di 3 anni fa... il documentario di Elisabetta Ranieri riproporrà gli audio ritrovati tra gli effetti personali del fotografo e restituiti alla famiglia, interviste realizzate durante i giorni chiave della proclamazione della Repubblica indipendente di Donetsk con la popolazione stremata nascosta nei bunker. Sarà un modo per ricordare il sacrificio di Andrea Rocchelli attraverso queste voci e attraverso le testimonianze di chi l’ha conosciuto, la sua famiglia, i suoi colleghi del collettivo di fotoreporter Cesura, gli organizzatori del Festival dei diritti umani di Milano che ricorderanno proprio in questi giorni questa triste vicenda che non vede ancora una colpevole. A Milano saranno anche in mostra gli ultimi scatti di Andy. Sarà il contributo di Radio3mondo, in questo 1 maggio, alla difesa di una professione, quella del giornalista, sempre più sotto attacco.
AUDIO: http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-1f3e7afd-b9a7-4995-90b5-8a4e5078fce4.html

--- ALTRE BREVI E LINK SULLA VIOLAZIONE DELLA LIBERTA' DI STAMPA IN UCRAINA:

Ucraina, torturato e ucciso il giornalista filorusso rapito (di Redazione Online CdS, 14 luglio 2014)
http://www.corriere.it/esteri/14_luglio_14/ucraina-torturato-ucciso-giornalista-filorusso-rapito-6da5fd04-0b36-11e4-9c81-35b5f1c1d8ab.shtml
L’uomo era sparito quasi un mese fa mentre raccoglieva informazioni sulle violazioni dei diritti umani delle forze ucraine
Serghei Dolgov, un giornalista di Mariupol (Ucraina orientale) sequestrato il 18 giugno scorso, è stato trovato morto vicino a Dnipropetrovsk (Ucraina centrale): lo ha reso noto su Facebook Konstatin Dolgov, co-presidente dell’organizzazione separatista filorussa Fronte popolare Novorossia, secondo il quale dopo il rapimenti il suo omonimo sarebbe stato portato a Dnipopetrovsk e torturato. La vittima era il direttore del giornale «Khaciu´ v Sssr» («Voglio tornare all’Urss») e raccoglieva informazioni sulle violazioni dei diritti umani delle forze ucraine nel conflitto nell’est del Paese.

Deputata PD sostiene chi uccide i giornalisti (fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 22/1/2015)
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/photos/a.588029701278288.1073741828.587994241281834/763652713715985/ 
La deputata PD Eleonora Cimbro racconta su FB [
]  dell'incontro con l'ambasciatore ucraino Perelygin, ovvero colui che lo scorso giugno a Catania gridava "viva Bandera!" - il nazionalfascista ucraino, collaborazionista dei nazisti, che durante la seconda guerra mondiale fece stragi di civili nell'Ucraina occidentale. Ci si sarebbe aspettata una discussione a proposito della repressione dell'opposizione, della violenta censura contro la stampa o dello stato delle indagini sull'assassinio del giornalista italiano Andrea Rocchelli - ucciso dall'esercito ucraino. Niente di tutto ciò. Alla Cimbro è parso più interessante discutere della situazione di tale Savchenko, militare ucraina di estrema destra, combattente nelle file del battaglione di volontari Ajdar, arrestata e reclusa in Russia in quanto sospettata di aver ucciso due giornalisti russi. E' spontaneo chiedere: per chi lavorano certi parlamentari?
*** A proposito di Perelygin: 
Catania. Contestato l'ambasciatore ucraino che inneggia al nazista Bandera (Redazione Contropiano, 20 Giugno 2014)

Giornalista “France-Presse” ferito in bombardamento esercito ucraino a Donetsk (14.06.2015)
Alexander Gayuk, giornalista dell'agenzia stampa “France-Presse”, residente nel quartiere Kuibyshevsky di Donetsk, è stato colpito alla gamba al momento di un bombardamento, ha riferito il capo della amministrazione del distretto cittadino Ivan Prikhodko...

Vi racconto la storia del mio arresto in Ucraina (di Franco Fracassi, 26 giugno 2015)
Arrestato a Kiev appena sbarcato con l’accusa di essere «nemico del popolo ucraino». Il mio reato? Aver fatto il mio lavoro di giornalista. E dopo l’arresto, la scoperta di far parte della lista nera degli squadroni della morte...

Ucraina, espulsa giornalista russa e il Cremlino replica: "Inaccettabile" (Andrea Riva - Gio, 02/07/2015)
Alexandra Tcherepnina, della tv russa Pervy Kanal, ha realizzato un documentario per provare la presenza nazista in Ucraina ed è stata accusata di "attività distruttive" dal governo di Kiev...
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ucraina-espulsa-giornalista-russa-e-cremlino-replica-inaccet-1147637.html

The revealing case of Ukrainian journalist Igor Guzhva. Editor-in-chief of largest daily to be silenced (By Sergei Kiritchuk, 17/08/2015)
Igor Guzhva is one of the most profiled journalists of Ukraine. He has been daring, however, not to follow the political narrative of the government and Ukrainian nationalism at large. Therefore the authorities have been prosecuting him and seem to take the final step in silencing one of the few remaining dissenting voices.
http://www.antiimperialista.org/igor_guzhva

#JesuisBBC: Poroshenko bans western journalists from Ukraine (RT, 17 Sep, 2015)
... President Poroshenko has distracted the Western media from its important role as a cheerleader for his government. Banning BBC journalists was a big mistake for the chocolate king...

Savchenko: Kiev e Washington comandano a Mosca la sua scarcerazione (di Fabrizio Poggi, 23 marzo 2016)
La procura aveva chiesto 23 anni di colonia per Nadežda Savchenko, riconosciuta colpevole di concorso in omicidio per la morte dei giornalisti russi Igor Korneljuk e Anton Vološin e tentato omicidio di civili di Lugansk e, alla fine, il tribunale l’ha condannata a 22 anni di colonia a regime ordinario...
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/03/23/savchenko-kiev-washington-comandano-mosca-la-sua-scarcerazione-076993

L’Ucraina diventa “antidemocratica” solo ora che attacca i giornalisti occidentali (di Eugenio Cipolla. 3.6.2016)
... il 7 maggio il sito web ucraino Mirotvorest (traduzione di Peacemaker), gestito da hacker anonimi filogovernativi, ha pubblicato una lista dei 4.000 giornalisti (con numeri di telefono, mail e indirizzi di casa) che almeno una volta, in questi ultimi due anni, sono stati accreditati in Donbass, per seguire gli sviluppi di un conflitto che, nel bene e nel male, ha influenzato gli equilibri politici mondiali. La pubblicazione aveva un titolo incontrovertibile: ”Canaglie”. Dentro ci sono i nomi di tutti. Reuters, Bbc, Sky news, ma anche Repubblica (Nicola Lombardozzi) e Corriere della Sera (Fabrizio Dragosei). E forse è proprio per questo che il quotidiano di Via Solferino si è improvvisamente svegliato...

Ucraina cuore nero dell’Europa. Arrestata giornalista antifascista (di Patrizia Buffa, 17 agosto 2016)
L’arresto di Miroslava Berdnik, avvenuto a Kiev, nella mattina del 16 agosto 2016, ancora una volta restituisce, con brutale realismo, il senso, la drammaticità e le dimensioni della violenza che il regime fascista di Kiev sta consumando alle porte dell’Europa...


=== 1 ===


Il fotoreporter morto in Ucraina. «È stato ucciso in un agguato»

Dopo quasi tre anni svolta nelle indagini sull’italiano Andrea Rocchelli: «Andy», fondatore e membro del collettivo di fotografi indipendenti «Cesura», è stato ucciso ad Andreyevka, vicino alla città ucraina di Sloviansk, il 24 maggio 2014

di Cesare Giuzzi, 6 maggio 2017

Andy non è morto per errore. Non è stato un «danno collaterale» della guerra del Donbass e dei ribelli filorussi. No, quello di Andrea Rocchelli, fotoreporter del collettivo indipendente Cesura, è stato un omicidio volontario. Un bombardamento ripetuto con 40-60 colpi di mortaio e durato più di mezz’ora. Un fuoco «continuato», come scrivono gli investigatori, con le truppe d’artiglieria che prima sparano colpi di mitra contro il taxi dove si trovavano Andy Rocchelli, il suo interprete e giornalista russo, Andrei Mironov e l’inviato francese William Roguelon. Poi si concentrano in modo specifico sulla «buca» dove hanno trovato riparo il fotografo e l’interprete. Fino ad avere la certezza di averli uccisi. 
Dopo tre anni da quel 24 maggio 2014, arriva la prima vera svolta nelle indagini sulla morte del fotoreporter in Ucraina. Il sostituto procuratore di Pavia Andrea Zanoncelli e l’aggiunto Mario Venditti sono convinti che Rocchelli, nato e cresciuto proprio sulle rive del Ticino, sia stato ucciso volontariamente in un agguato e non in un incidente di guerra. Una tesi che in qualche modo collima con quanto sostenuto dalla famiglia e anche dall’unico sopravvissuto all’attacco (l’autista del taxi non venne mai identificato), il francese Roguelon. Proprio il reporter transalpino è stato interrogato venti giorni fa a Milano dai carabinieri del Ros, guidati dal colonnello Paolo Storoni.

[VIDEO: Ucraina, morto Andy Rocchelli. Il racconto del collega francese (25.5.2014)

Gli inquirenti, dopo uno stallo durato più di due anni, sono riusciti a dare nuova linfa alle indagini sequestrando anche documenti inediti. Finora, nonostante gli appelli della famiglia, le rogatorie con Kiev e Mosca non avevano di fatto portato a nessun passo avanti nell’inchiesta (il fascicolo originariamente era stato aperto a Roma). Le risposte arrivate da Kiev sono state giudicate «non soddisfacenti» anche solo per ricostruire la dinamica della sparatoria. Gli investigatori sono adesso convinti di avere individuato una possibile pista dietro l’agguato e, anche se il riserbo resta massimo, potrebbero aver fatto luce anche sugli uomini che fecero parte del gruppo di fuoco di Andreyevka, vicino alla città ucraina di Sloviansk.

[FOTO: Ucraina, gli scatti di Andy Rocchelli

Tra il nuovo materiale sequestrato anche gli archivi sui quali Rocchelli conservava le fotografie scattate durante le giornate di lavoro, i supporti virtuali icloud con i quali inviava il materiale in Italia, a Pianello Val Tidone nel Piacentino dove ha sede il collettivo Cesura, e anche parte dei file che da quegli hardware erano stati cancellati. Il sospetto, ma al momento su questo non ci sono conferme, è che Rocchelli e il giornalista ed ex dissidente russo Mironov, siano stati ammazzati dal fuoco delle truppe ucraine. L’obiettivo principale sarebbe stato proprio Mironov. Ma anche Rocchelli, che già si era occupato della guerra in Cecenia, era un nome piuttosto noto tra i «war reporter» nell’ex Urss.

[VIDEO: Andy Rocchelli: «Ecco come lavora un reporter oggi» (25.5.2014)

I magistrati italiani stanno per chiedere una nuova rogatoria alle autorità ucraine. A questo si unisce la notizia di un secondo filone di indagini nel Maceratese che riguarda possibili contatti tra un trafficante d’armi ascolano e alcuni russi collegati all’inchiesta sulla morte di Rocchelli. L’indagine è condotta dal Ros di Ancona, ma gli investigatori escludono ogni collegamento tra i due fascicoli. Anche se sarebbero emersi elementi «suggestivi».


=== 2 ===

Vedi anche:

Andrea Rocchelli, attivista della verità (10 ottobre 2016)
Andrea è stato ucciso a 30 a colpi di mortaio, la sera del 24 maggio 2014, in Est Ucraina dove si trovava per documentare le sofferenze della popolazione civile. Nel 2015 gli è stato attribuito postumo il World Press Photo  

Gli ultimi scatti di Andrea Rocchelli prima di essere ucciso (di Tiziana Faraoni, 10 ottobre 2016)
Pubblichiamo un documento unico che ci dice molto  su “Andy”: le immagini scattate sono la testimonianza della capacità e della caparbietà dell’uomo e del fotoreporter, mosso da una tenacia militante e da una passione per la sua professione che lo hanno portato a mostrarci perfino i momenti 
che precedono la sua morte
http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2016/10/06/news/andrea-rocchelli-1.285200

---


Diteci perché è stato ucciso Andrea Rocchelli

«L’Ucraina vuole chiudere l’inchiesta. Senza cercare chi ha sparato. E ora l’unica speranza è che il governo italiano faccia vere pressioni su Kiev». Parlano per la prima volta Rino Rocchelli e Elisa Signori, i genitori del fotografo morto nel 2014 a Sloviansk 

di Lucia Sgueglia, 10 ottobre 2016

A oltre due anni dalla morte di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov a Sloviansk, sono arrivati i risultati dell’inchiesta ucraina, trasmessi da Kiev al Ministero di Grazia e Giustizia a Roma in risposta alla rogatoria internazionale lanciata nel 2015 dalla Procura competente di Pavia. Elisa Signori e Rino Rocchelli, i genitori di Andrea, in anteprima per “l’Espresso”commentano i contenuti del fascicolo, dicendosi «molto delusi». E lanciano un appello al governo Renzi: «Aiutateci a fare chiarezza, ora serve un intervento politico». Accompagnano l’intervista le ultime foto scattate da Andrea in punto di morte, totalmente inedite. 

Il lancio della rogatoria segue a una lunga fase di silenzio degli ucraini dopo l’accaduto. Le conclusioni vi soddisfano? 
E.S.: «Il dossier, molto corposo, è arrivato dopo ripetuti solleciti dell’ambasciatore italiano a Kiev, Fabrizio Romano, del ministro Gentiloni e della Procura di Pavia. A breve si attende anche l’esito dell’indagine francese. Il risultato per noi è molto insoddisfacente, carente, elusivo. A partire dalle testimonianze: la maggior parte irrilevanti, non pertinenti. Manca il testimone oculare più importante, il fotografo francese William Roguelon sopravvissuto miracolosamente all’attacco. E non è stato interpellato nessun militare, nonostante l’esercito di Kiev avesse una postazione fissa a poca distanza dal luogo della tragedia. Probabilmente c’erano anche postazioni mobili dei ribelli.
R.R.: «Anche la perizia balistica, condotta con un anno e mezzo di ritardo, è inconsistente: conclude che non si può stabilire né la provenienza né il tipo dei proiettili. La deposizione dell’autista, l’altro testimone oculare, contiene omissioni e falsi.

Nel dossier tuttavia per la prima volta l’Ucraina ammette ufficialmente la possibilità che a colpire possa essere stato il proprio esercito. 
E.S.: «Le conclusioni lasciano aperte due ipotesi: si dice che possono essere morti per fuoco dei ribelli separatisti, oppure “per errore” da fuoco militare ucraino. Con questo, senza nemmeno una conclusione univoca, le autorità ucraine dichiarano di chiudere il caso. Non siamo d’accordo, non ci basta. Indica mancanza di volontà di far chiarezza su un caso scomodo, un caso difficile.

Cosa volete da Kiev? 
R.R.: «Vogliamo che vengano svolte indagini serie. E stabilire una responsabilità precisa. Finora il governo ucraino non aveva nemmeno dato una versione ufficiale dei fatti. Nei giorni successivi alla morte di Andrea, i media ucraini avevano diffuso la tesi della responsabilità dei filorussi.

Che ruolo ha l’Italia nella vicenda? Cosa vi aspettate dal governo Renzi?
E.S.: «L’iter della giustizia internazionale ha sortito un risultato assai deludente. La Procura potrà chiedere un supplemento di indagine, ma è un cammino lunghissimo e non sembra che Kiev desideri una collaborazione costruttiva. La giustizia qui ha strumenti spuntati. Per impedire l’insabbiamento della vicenda, ora serve un salto di qualità, un intervento politico dall’Italia.
R.R.: «Serve fare pressione a livello politico-diplomatico, un passo più ufficiale. Il governo italiano non può considerare accettabile questo risultato. Occorre impugnare questa sorta di ambiguità e chiedere che venga fatta luce sulla morte violenta di un cittadino italiano, sulla quale finora non sono state date risposte adeguate. La nostra è una richiesta di aiuto: ora ci sono elementi perché la diplomazia si muova.

Cosa lo ha impedito finora?
E.S.: «C’è stata molta tolleranza del governo italiano nell’attendere oltre due anni una risposta che forse poteva venire prima. A lungo Kiev ha usato l’alibi della guerra in corso. Ma Sloviansk è in pace da molto tempo, il ritardo nella consegna del dossier è poco spiegabile. Roma ha scelto di attendere con fiducia i risultati di un paese che è amico e ha con noi relazioni commerciali».

Avete aderito in via privata alla petizione Regeni. So che non volete paragonare le due storie. Eppure hanno qualcosa in comune: l’età, le insinuazioni che Giulio o Andy se la siano “cercata”…
E.S.: «Siamo pienamente solidali con la famiglia Regeni e la loro necessità di giustizia. Ma i due casi sono diversi: lì il contesto dei servizi segreti, qui politica ed esercito. Di entrambi, è vero, è stato detto che sono giovani sprovveduti, e per parlarne si usa sempre l’espressione “ragazzi”: quasi a conferire un alone di immaturità e inesperienza che spiega ciò che gli è successo. In realtà sono giovani uomini che affrontano situazioni difficili con competenza. Nel caso di Andrea e Andrey, una coppia di giornalisti esperti. Andrea era stato per lavoro in diverse zone calde, anche di guerra. Mironov aveva la nostra età ed era noto per la sua prudenza e conoscenza delle situazioni di crisi. Non se la sono “andati a cercare”.
R.R.: «Certo, la situazione a Sloviansk si è aggravata ed è precipitata proprio in quel momento, in coincidenza con elezioni. Andrey e Andrea sono stati i primi due giornalisti vittime del conflitto in Ucraina. Dopo di loro ne sono stati uccisi altri, di nazionalità russa. Va ricordato tuttavia che ufficialmente per Kiev non c’è mai stata una “guerra civile” nell’Est del paese: ancora oggi viene definita dal governo una “operazione anti-terrorismo”».

Con Regeni l’Italia ha tentato pressioni sull’Egitto, pure paese “amico”. Come mai per Andy non è accaduto? 
R.R.: «L’Ucraina di fatto fa il primo passo solo adesso, dopo due anni. La sua strategia è stata prendere tempo, dilazionare, accettando al contempo formalmente le richieste italiane di collaborazione».

Un caso “ostaggio della geopolitica”? Nel conflitto ucraino Usa, UE e Italia si sono formalmente schierate con Kiev, contro la Russia che appoggiava i separatisti. Proprio pochi giorni fa si è conclusa l’inchiesta internazionale sull’abbattimento del Boeing MH17 a luglio 2014 vicino Donetsk, attribuendo la responsabilità ai russi: un macigno sui rapporti con Mosca.
E.S.: «Ne siamo consapevoli. La morte di Andrea e Andrey si è verificata sulla soglia tra la crisi ucraina e la guerra civile. Proprio quel 24 maggio 2014 è stata una delle giornate di passaggio tra i due momenti, di scivolamento verso un conflitto più duro. In un contesto internazionale molto difficile e complesso: l’Ucraina è ai confini dell’Europa, e il caso risente dei tanti intrecci di realpolitik che si giocano su questo tavolo».

Che valore hanno per voi le foto di Andrea pubblicate qui per la prima volta? Sono importanti ai fini dell’inchiesta?
E.S.: «Per noi sono immagini drammatiche, le ultime scattate da nostro figlio poco prima che venisse ucciso. Importanti almeno per due motivi: da un lato confermano la presenza di un quinto uomo nel gruppo, taciuta nell’inchiesta ucraina, un testimone oculare cruciale che andrebbe rintracciato. Dall’altro, come già emerso dal fotografo francese (che parla di 40-60 colpi diretti soltanto su di loro) e dall’autista, dimostrano un accanimento di chi ha sparato proprio sui giornalisti. Non vittime casuali di un tiro rivolto altrove, un fuoco incrociato tra esercito ucraino e ribelli come si era pensato inizialmente. Ma di un fuoco prolungato, che mira sistematicamente al fondo del fosso dove i cinque si erano rifugiati per sfuggire agli spari. Sulla strada adiacente ci sono ancora evidenti segni di bombardamento, li abbiamo visti noi stessi a maggio scorso quando ci siamo recati a Sloviansk. Forse mortai, o granate».
R.R.: «Le foto misurano bene la durata e costanza dei colpi: almeno 14 minuti fino a quando Andrea viene colpito, e muore, l’ultimo fotogramma. Sicuramente il tiro è durato di più».

Come ve lo spiegate? Ipotizzate che non si sia trattato di un mero incidente di guerra? 
E.S.: «Per noi non è un incidente, è un atto di guerra contro inermi. Andrea ha continuato a scattare fino all’ultimo e ci ha lasciato una documentazione di quello che stava succedendo. Forse aveva capito che stavano per morire. Per colpire in quel profondo fosso fino a uccidere due persone e ferirne una terza, bisogna sceglierlo come obiettivo. Non un tiro casuale che serve a spaventare o cacciare via degli intrusi. In quel momento in mezzo alla piana, “scoperti”, c’erano solo loro».
R.R.: «Certo, forse chi ha sparato li ha scambiati erroneamente per ribelli, o per altri soggetti, non lo escludiamo. Ma avevano avuto abbastanza tempo per studiarli, e capire che erano disarmati, civili: dopo l’arrivo hanno scattato foto indisturbati per almeno 10 minuti, in piena visibilità, soltanto dopo sono partiti gli spari.»

Qualcuno può averli presi di mira volontariamente?
R.R.: «Non erano schierati. Il loro compito principale a Sloviansk non era fotografare la prima linea o obiettivi militari, ma documentare le sofferenze dei civili nell’assedio, come nella celebre foto dei bambini rifugiati nel bunker. Andrea nelle sue telefonate ci raccontava sempre che erano ben accetti da tutti, accolti con tolleranza sia da filo russi che dalle forze ucraine. Non si sentivano in pericolo».

Quale giustizia vi aspettate? 
E.S. - R.R.: «Né noi, né sua sorella Lucia né la sua compagna Mariachiara abbiamo obiettivi di vendetta. Vogliamo però certo sapere com’è andata, conoscere la dinamica dei fatti. Che si faccia luce sul caso con serietà e onestà, senza mistificazioni, e venga fatta giustizia. È chiaro che chi fa questo lavoro si espone al rischio. Ma non deve passare con facilità l’idea che l’uccisione di un giornalista venga considerata un rischio fisiologico del mestiere, la sua morte un “danno collaterale” ,“normale” in situazioni di pericolo, o in una guerra non dichiarata come questa».


=== 3 ===


Perché Kiev non dice la verità sulla morte di Andy Rocchelli?

di Marta Allevato | 23 Maggio 2015

Mosca. Ci sono stati premi, riconoscimenti e promesse di indagini da parte delle istituzioni, ma ancora nessun colpevole per il primo assassinio di un giornalista straniero nel conflitto ucraino. Resta invece il dubbio che nella versione ufficiale del governo di Kiev qualcosa non torni. E’ passato così, per la famiglia Rocchelli, il primo anno dalla morte, il 24 maggio scorso, di Andrea (Andy per gli amici), il fotografo trentenne di Pavia rimasto ucciso da colpi di mortaio a Sloviansk, ex roccaforte delle milizie separatiste e obiettivo, allora, del primo grande assalto lanciato dall’esercito di Kiev contro i filorussi. La famiglia di Andy – Rino, il padre; Elisa, la mamma; Lucia, la sorella e Mariachiara, la compagna e madre di suo figlio – hanno scelto di non esporsi. Per il dolore e per la fiducia nel lavoro delle autorità competenti. I Rocchelli raccontano oggi questa storia dal loro punto di vista per ribadire le loro speranze, “acuite dal tempo che passa e dalla frustrazione di vedere che la morte dei giornalisti viene normalizzata come effetto collaterale delle guerre”.

Da mesi ci si aspetta “l’apertura di un’indagine esaustiva e trasparente da parte del governo ucraino, che ricostruisca la dinamica dell’assassinio, individui e persegua i responsabili”, dicono in un’intervista al Foglio. Le condizioni sul campo lo permetterebbero, essendo cessate le ostilità. Sloviansk è tornata sotto il controllo dei governativi. Dopo la presa di Debaltsevo da parte dei filorussi, la cittadina si è avvicinata alla linea del fronte, ma la situazione si è tranquillizzata e in Donbass vige un fragile cessate il fuoco. Alcuni colleghi di Andy, del collettivo di fotografi Cesura, sono andati a porre una piccola lapide sul luogo dove il giovane fotoreporter e l’attivista e giornalista russo Andrei Mironov, suo amico e conoscitore dell’Italia, sono stati uccisi: un passaggio a livello, punto di accesso a una collina strategica, allora avamposto dell’artiglieria ucraina. Da lì sono arrivati i colpi di mortaio. Il giornalista francese William Roguelon, che era nella macchina con i due ed è sopravvissuto all’attacco, ha ipotizzato in una delle sue prime interviste che a sparare siano stati i lealisti. Versione che contraddice quella fornita da Kiev alle autorità italiane e che attribuisce la responsabilità ai ribelli filorussi.
 
In questi mesi, i Rocchelli non hanno mai smesso di cercare la verità sulla dinamica del duplice omicidio: “Abbiamo contattato e parlato con Roguelon, letto la testimonianza che ha depositato alla Gendarmerie Française”. Se si chiede loro che idea abbiano sull’accaduto, rispondono con gentile fermezza che “le opinioni contano poco: quel che conta è che emerga perché e chi ha fatto oggetto di tiri mirati e sistematici tre giornalisti inermi, identificati come tali” (Roguelon al primo colpo ha subito alzato la macchina fotografica e gridato “siamo giornalisti”, ndr). “La qualità dei proiettili, la balistica dei tiri, l’ora e il luogo dell’attacco sono perfettamente identificati, non dovrebbe essere difficile stabilire chi era al comando di queste truppe e come sono andate le cose”. Nonostante le promesse di giustizia fatte all’allora ministro degli Esteri Federica Mogherini e al suo successore Paolo Gentiloni dai rappresentanti del governo ucraino, finora da Kiev nessuno si è mai messo in contatto con i Rocchelli, né con i testimoni a loro noti. “Le autorità italiane, ovvero la procura della Repubblica di Pavia incaricata dell’inchiesta, ci tengono invece costantemente informati, ma in un anno non pare che la giustizia abbia compiuto passi avanti”.
 
Nella famiglia di Andy il dolore non si è mai trasformato in rancore. “Pensiamo che questo anniversario possa avere un significato nella sfera pubblica: serve a riflettere su quanto il diritto all’informazione sia fondamento di una società civile e consapevole, ma anche sul dovere di difendere l’incolumità di giornalisti, che a quel compito consacrano i loro sforzi. Il numero delle vittime, è in costante aumento ma non si preparano strumenti e strategie per proteggerli, né per perseguire i responsabili della loro uccisione o di violenze loro inflitte”, dicono i Rocchelli, che l’anno scorso a Mosca hanno ritirato il premio Anna Politkovskaia, conferito ad Andy dall’Unione dei giornalisti russi. “Siamo orgogliosi dei prestigiosi riconoscimenti al suo valore professionale (tra cui il World Press Photo), sebbene gli siano stati conferiti postumi”.
 
Infine un appello alla comunità europea, perché “assuma queste vicende legate alle violazioni dei diritti umani come un proprio permanente ambito d’impegno, sperando che la realpolitik non oscuri la percezione di tale dovere”.





(français / srpskohrvatski)

Hronike radnika

1) GEOX, SRBIJA: Stvarni troškovi proizvodnje cipela [Sfruttamento dei lavoratori alla GEOX]
2) AGROKOR, HRVATSKA: Bivši Društveni pravobranilac samoupravljanja komentira [Effetto devastante del capitalismo in Croazia]
3) KOSOVO: Sindikalna bijeda [In Kosovo sono scomparsi i sindacati]


=== 1 ===

SERBIE : À VRANJE, GEOX PIÉTINE LE DROIT DU TRAVAIL (par Bojana Tamindzija / Mašina, 19 mai 2017
Moins de sept mois après son ouverture en janvier 2016, l’usine Geox de Vranje était déjà en grève. Le fabriquant italien de chaussures avait décidé de s’asseoir sur tous ses engagements pris avec le gouvernement serbe, qui a pourtant largement financé cette installation. Descente dans les enfers de la mondialisation...


Stvarni troškovi proizvodnje cipela


Nedavna pobuna radnica i radnika u Geoxu ukazala je javnosti na loše radne i materijalne uslove u toj fabrici. Iako poboljšanja postoje, najnoviji izveštaji pokazuju da i dalje postoji dosta nedostataka kao i njihovu uslovljenost tržišnim mehanizmima u industriji obuće. 

Kampanja „Abiti Puliti“ i inicijativa „Change your shoes“ su objavile izveštaj o načinu funkcionisanja proizvodnih lanaca u industriji obuće. Ovo istraživanje je zasnovano na uvidima u strategije proizvodnje tri svetski poznata brenda u proizvodnji obuće: TodsaGeoxa i Prade. Izveštaj pruža detaljan uvid u funkcionisanje lanca proizvodnje i snabdevanja luksuznih brendova, na čijem se jednom kraju nalaze marketinški rafinirano upakovani i skupi proizvodi, a na drugom kraju, skriveni od očiju javnosti, degradirajući uslovi rada u kojima je, širom sveta, primorana da radi sve jeftinija radna snaga.

Neumoljiva trka za uvećanjem profita konstantno menja globalne proizvodne putanje, gde mobilnost kapitala, strategije outsourcing-a i prilagođavanje međunarodnog i nacionalnog zakonodavstva, omogućavaju konstantno snižavanje troškova proizvodnje – relokacijom u područja jeftine radne snage – što posledično znači degradiranje radnih uslova na globalnom nivou, sve nesigurnije radno mesto i sve niže plate. Ogroman prihod1 koji beleže ove kompanije direktno je vezan za nove tržišne uslove i povlašćen položaj „velikih imena“ u proizvodnom lancu. Prihodi generisani sve većim disbalansom između troškova proizvodnje i finalne cene proizvoda se ne raspoređuju ravnomerno svim akterima proizvodnje.

Relokacija proizvodnje u Evropu

Izmeštanje proizvodnje u područja jeftine radne snage uglavnom u Aziji uslovilo je pad cene rada na globalnom nivou. Tako smo danas svedoci i procesa povratka proizvodnje u zemlje porekla brendova ili premeštanje proizvodnje u zemlje Istočne Evrope.2

Devastiran privredni sistem zemalja Istočne Evrope učinio je cenu rada nižom nego u pojedinim azijskim zemljama. Pored toga, vlade ovih zemalja se takmiče u privlačenju stranih investitora ili formiranjem tzv „Slobodnih zona“ sa specijalnim uslovima poslovanja ili obezbeđivanjem niza pogodnosti kao što je dodatno finansiranje subvencijama, besplatna infrastruktura, oslobađanje od uvoznih i izvoznih dažbina, poreske olakšice itd. Dodatnu pogodnost za poslovanje u Istočnoj Evropi olakšava i primena OTP-a (Outward Processing Trade) posebnog carinskog sistema koji omogućava kompanijama da van Evropske Unije izvoze sirovine, a da nazad uvoze poluproizvode ili gotove proizvode plaćajući porez samo na vrednost dodate obrade. Na ovaj način kompanijama je omogućeno da šire mrežu kooperanata bez velikih dodatnih troškova.

Tods dobavljače danas nalazi u italijanskim pokrajinama s jeftinom radnom snagom. Trenutna politika Prade je vraćanje proizvodnje u Evropu, u Italiju – a pre svega u zemlje Istočne Evrope. Svi Geoxovi glavni dobavljači su van Italije, uglavnom u Aziji i nekoliko u zemljama Istočne Evrope.

Proizvodni lanac i njegova hijerarhija

Delegiranje pojedinih delova proizvodnog procesa trećim licima nije ništa novo u načinu poslovanja velikih kompanija, ono što je novo u današnje vreme je postojanje kompanija koje više ne poseduju sopstvene fabrike – kompletna proizvodnja pod etiketom brenda outsorsovana.

Fragmentacija procesa proizvodnje uslovila je da se retko kad ceo proizvodni proces odvija u okviru jedne fabrike (fully in-house production chain). Redak primer je Tods koji visoko rangirane modele cipela kompletno proizvodi u svojim objektima i Geox koji poseduje fabriku u Srbiji u kojoj ima zatvoren proces proizvodnje za niže i srednje rangirane modele cipela (u ovoj fabrici se proizvodi samo 3% od ukupne proizvodnje kompanije Geox).

Potpuno eksternalizovan proizvodni proces (fully external production chain) je mnogo češća praksa. U tom slučaju su druge fabrike zadužene za kompletnu proizvodnju cipela. Iako se ugovor o snabdevanju potpisuje samo s jednim izvođačem u praksi najčešće postoji sistem u koji je uključeno mnogo različitih firmi. Ponekad je proizvodni proces mešavina oba (mixed chain shoe production) gde se najčešće sklapanje gotovog proizvoda dešava direktno u fabrikama kompanije, dok se delovi pribavljaju od podizvođača.

S obzirom na dominantnu poziciju koju veliki brendovi imaju na tržištu, veliki broj fabrika koje nemaju mogućnosti da plasiraju svoje proizvode spreman je da se angažuje kao njihov podizvođač. Velike kompanije su u poziciji da u potpunosti diktiraju uslove proizvodnje, što često znači da kooperanti bivaju prinuđeni da sklapaju nepovoljne ugovore. Prema nekim izveštajima cene koju su plaćali brendovi kooperantima nisu bile dovoljne za pokrivanje osnovnih troškova proizvodnje što je vodilo ka bankrotu malih fabrika i gubljenju radnih mesta.3 Veoma kratki rokovi isporuke i veoma niske cene, uslovljavaju delegiranje pojedinih delova proizvodnje niže pozicioniranim kompanijama, s lošijim uslovima rada i nižim zaradama. Fragmentacija procesa proizvodnje omogućava lakšu ekspoloataciju radnika, a ona je sve veća što se više krećemo od centrala brendova ka periferiji radnog procesa.

Izveštaj navodi primere u kojima su zbog pritisaka kompanija pojedini kooperanti prinuđeni da rade u sivoj zoni, što dovodi do sve nesigurnijih radnih uslova za radnike: rad od kuće ili plaćanje na crno. Iako formalno kompanije sklapaju ugovor najčešće samo s vodećim dobavljačem, kontrolu kvaliteta proizvodnje vrše u celom lancu, nezainteresovani za uslove u kojima se proizvodnja obavlja. Izveštaj, takođe, beleži i prakse kašnjenja u plaćanju kooperanata koje su se završavale neisplaćivanjem zarada radnicima na različitim nivoima proizvodnog lanca. U ovakvim uslovima sindikalno delovanje, ako nije u potpunosti onemogućeno onda je u velikoj meri otežano.

Poslovanje Geoxa u Srbiji

Deo istraživanja koji se odnosi na poslovanje kompanije Geox u Srbiji potvrđuje validnost medijskih natpisa o brojnim neregularnostima i kršenju radnih prava u okviru ove fabrike.

Izveštaj nas podseća da je Geoxova fabrika u Vranju otvorena januara 2016. godine uz subvencije vlade Republike Srbije u vrednosti od jedanaest miliona evra, na osnovu kojih je fabrika bila u obavezi da zaposli 1250 ljudi koji će primati platu u iznosu minimalne zarade plus 20%. Međutim, sve do septembra 2016. godine Geox je većini radnika i radnica uplaćivao minimalac, a na platnim listićima često nije bio evidentiran (ni plaćen) prekovremeni rad. Pored toga, radnici su prijavili neregularne ugovore o radu, neregularna otpuštanja, verbalno maltretiranje i nedostatak adekvatnih radnih uslova i zaštite na radu.

Medijski pritisak, do kojeg je došlo nakon što su neke od radnica odlučile da javno progovore o lošim radnim uslovima u ovoj fabrici, je donekle urodio plodom. Plate u Geoxusu povećane, prekovremeni rad je sveden u zakonske okvire i trenutno postoje dva sindikata registrovana u okviru fabrike.

Međutim, radnici i dalje izveštavaju o brojnim neregularnostima o kojima je „Campagna Abiti Puliti“ obavestila kompaniju 13. februara ove godine. Do objavljivanja izveštaja kompanija Geox se nije zvanično izjasnila po pitanju trenutnog stanja u fabrici.4 Izveštaj nas takođe upozorava da, čak i ako je plata porasla za ugovorom predviđenih 20% više od minimalca (prema poslednjem izveštaju radnika najniža plata u Geoxu iznosi oko 29.000 dinara), ona i dalje nije dovoljna za pokrivanje osnovnih životnih potreba, ako se uzme u obzir iznos prosečne potrošačke korpe za tročlanu porodicu u Srbiji, koja iznosi oko 65.000 dinara mesečno.

Pritisak koji brendovi vrše nad ostalim akterima proizvodnog lanca očitava se i u strahu da se o uslovima poslovanja, proizvodnji i radnim uslovima govori javno. Podizvođači strahuju od gubitka ugovora s kompanijama, dok se radnici boje gubitka posla.

Dugačka lista zahteva spram kompanija, vlada država EU i Evropskog Parlamenta, kojom se završava izveštaj, na neki način potcrtava da su globalni proizvodni lanci dizajnirani da podstiču trku do dna u urušavanju radnih prava gde god se radnici nalazili. Izveštaj skreće pažnju na važnost uloge obaveštenih potrošača, nezavisnih medija i međunarodnih mreža solidarnosti, koji uz delovanje sindikata treba da vrše pritisak na kompanije da bi se one ponašale odgovorno i u skladu sa nacionalnim zakonima, međunarodnim konvencijama i Rukovodećim načelima Ujedinjenih nacija o biznisu i ljudskim pravima.

  1.  Prema izveštaju Tods je u u 2016. godini ostvario prihod od 1.004 miliona evra, Prada 3.548 miliona evra , a Geox 900 miliona
  2.  Termini koji se koristi za označavanje ovog procesa je reshoring. Ili back-reshoring – povratak u zemlje porekla, i near-reshoring – premeštanje u zemlje Istočne Evrope.
  3.  Fabrika obuće Parlanti iz mesta Monsumano Terme (Toskana), koja je proizvodila i svoje robne marke istovremeno radila kao podizvođač za Pradu, zatvorena je 2014. godine, a sa njom je nestalo i 38 radnih mesta. Po mišljenju predstavnika sindikata jedan od razloga za propast firme su bile preniske nabavne cene koje je plaćala Prada, koje nisu pokrivale čak ni troškove proizvodnje, već su bile od njih niže za tri evra po paru cipela. Kompanija negira ove tvrdnje.
  4.  Prethodno pismo „Campagna Abiti Puliti“ poslala je Geoxu decembra 2016. godine. U originalnom izveštaju moguće je pročitati odgovor koji je tada kompanija poslala.



=== 2 ===


SLUČAJ AGROKOR POKAZATELJ JE NUŽNOSTI REFORME DRŽAVE I DRUŠTVA

Bivši Društveni pravobranilac samoupravljanja
komentira slučaj „AGROKOR“

 

 

Kako ne želim nikakve pridjeve, ponovit ću riječi koje sam izgovorio 2000. godine na sastanku predstavnika vanparlamentarnih partija na temu „Primjedbe na izborni Zakon“, s čime se složio i prisutni Gabelica, a one su: „Nikom ne dozvoljavam da ovu zemlju voli više od mene, kao niti sebi da je volim više od iskrenog hrvatskog rodoljuba.“

 

Sve što se događa u „Agrokoru“ već je ranije viđeno

 

Kad sagledavamo slučaj „Agrokor“, moramo odmah konstatirati da u tom slučaju nema ništa, baš ništa novo, a da nam se u Hrvatskoj već nije dogodilo. Da, nema ništa novo, samo nam se čini da je ovaj slučaj veći od onih ranijih, što i nije točno. Točno je jedino to – na propadanje privrede žmirilo se 27 godina i sad „car se drma, car je gol“. Suzio se u Hrvatskoj krug onoga što je ostalo od bivšeg sistema da se može pošto-poto prodati, a gotovo ništa novo u ovih 27 godina nije stvoreno. Stoga dolazi u opasnost daljnje preživljavanje vladajuće oligarhije, ali u opasnosti je i „raspad čitavog sistema“. Otuda se rješavanju slučaja “Agrokor” prilazi na poseban način u odnosu na npr. slučaj „Pevec“i drugih.

Devedesetih godina propadala su poduzeća, primjera radi samo nekih, u Zagrebu: druga tvornica alatnih strojeva u Evropi, „Prvomajska“ s 5.5oo radnika; „Rade Končar“ s 1.100 inženjera, u odjelu razvoja imao je 32.000 radnika (26.000 u Hrvatskoj) i u to vrijeme bio 111. poduzeće u svijetu, a prodan je prošle godine kad je spao na 3.200 radnika; „Tvornica parnih kotlova“ s 4.000 radnika; tvornica „Bratstvo“ sa 7.500 radnika; „Tvornica autobusa Zagreb“ s 1.300; „Auto Dubrava“ s 800 radnika; „Auto Zastava“ s 550 radnika; „Tempo“ s 3.000 radnika; građevinska industrija u Zagrebu je desetkovana, a činila je 27% građevinske industrije bivše Jugoslavije; tvornica „Nikola Tesla“ imala je 7.500 radnika, od toga 500 inženjera u vlastitom razvoju, a bila je druga u svijetu po proizvodnji telefonskih centrala, ispred „Ericssona“. Prodana je konkurentskoj firmi, „Ericssonu“, koji ju je ciljano kupio, desetkovao i pretvorio u jedan od pogona, uzevši joj tržište Kine i bivših zemalja SSSR-a. Mahom su to bila proizvodna izvozna poduzeća koja su se ravnopravno nosila na međunarodnom tržištu.

Zagreb je bio prvi industrijski grad Jugoistočne Evrope i Male Azije. Sada je industrijska ropotarnica čiji gradonačelnik zna za gradnju WC-a i fontana pa nije čudo da nam je industrija pala na 6% u odnosu na 1989. godinu.

Da, 45 godina je narod Hrvatske stvarao, odricao se i, poput radišnih pčelica, stvorio od jedne od najzaostalijih zemalja svijeta, moćnu evropsku industrijsku zemlju s podjednako razvijenih i ostalih 12 grana privrede. Stvarao je narod to i stvorio u danas osuđenom komunističkom i prešućivanom socijalističkom sistemu.

I sam sam 1990. godine bio za višepartijski sistem računajući kako ćemo, uz nacionalni program i izradu i primjenu nacionalne strategije razvoja, stvoriti međusobno stranačko natjecanje u provedbi usvojenih programa te na osnovu postignutih međustranačkih rezultata birati stranke i pojedince na vlast. Mislio sam da ćemo u društvenim poduzećima zadržati postojeće kriterije za izbor rukovodstava (bilo je 6 kriterija, a za državne funkcije i sedma: moralno-politička podobnost). Plaće rukovodstava poduzeća ostaviti vezane za rezultate rada i dijeljenje iste sudbine s radnicima. U poduzećima i poduzećima od posebnog društvenog interesa zadržati postojeći kontrolni sistem koji je tada relativno dobro funkcionirao.

I ja sam bio za ekonomsku samostalnost republika. Čak sam 1979. godine kao delegat Privredne komore Hrvatske u Privrednoj komori Jugoslavije izrazio protivljenje za bespovratno izdvajanje za nerazvijena područja.

Nažalost, dobili smo državu baš takvu kakvu danas imamo, za razliku od Tomislava Jakića (Novosti, 19.kolovoza 2016.) koji kaže da se je baš htjelo takvu. Da, dobili smo državu pod vodstvom Franje Tuđmana, nametnutih povratnika i prebjeglih članova Saveza komunista u HDZ; državu takvu kakvu su tada oni htjeli i stvorili. Državu koju su predali u ruke 200 obitelji, a narod za to nisu pitali. Stoga ne krivimo narod.

Na parlamentarnim izborima 2000. godine narod je rekao NE takvoj vladavini i doveo SDP na vlast, stranku koja je 1990.godine jedva prešla izborni prag, a do 1990. godine, kao SKH, vladala Hrvatskom. Očekivao je narod drastične promjene, sprječavanje pljačke i uvođenje reda u zemlji. Nije shvatio da je upravo rukovodstvo SDP-a izdalo narod i partiju napustivši „samoupravni socijalizam“, vrativši zemlju u najtruliji i najnepošteniji oblik kapitalizma.

Nije narod shvatio da je transformirani SDP devedesetih godina napustio, uz poštene i istinske komuniste i socijaliste, i mahom stručni kadar, ne priključivši se niti jednoj vladajućoj stranci.

Imao je i „samoupravni socijalizam“ svojih „bisera“, poput Laze Vračarića, aferu „Zelenjak“, aferu s mjenicama Fikreta Abdića i dr. Koja je to zemlja bez popova i lopova? Imao je, ali je držao pod kontrolom, za razliku od sadašnjeg slučaja „Agrokor“koji je, uz neznanje pa i očito svjesno prešućivanje pojedinaca, izmakao svakoj kontroli i proizveo bitno veći dug od naslijeđenog duga cijele bivše Republike Hrvatske (dug je tada bio svega 2,4 milijarde eura, uz povrat 13,1 tone zlata pa je bitno niži).

 

Smjena rukovodnog kadra u privredi bila je loš potez

 

U tim devedesetim godinama vladavine, HDZ je masovno smjenjivao rukovodstva poduzeća čiji se kadar nije njemu priključio, a u nadzorne odbore postavljao svoje osoblje, ne poštujući pravilo sposobnosti, već isključivo podobnosti. Uz rješavanje nacionalnog pitanja Srba (po javnom istupu predsjednika Franje Tuđmana da će se ih svesti na 3 do 4% stanovništva), a potom i kraćim ratom s Muslimanima u BiH, dolazi do masovnog otpuštanja radnika po nacionalnoj osnovi, što u poduzećima čini remećenje proizvodnje pa je i to jedan od razloga „propasti“ nekih poduzeća.

Govorio je Ante Marković Franji Tuđmanu: “Franjo, imaš dosta poduzeća koja loše posluju pa tamo meći svoje ljude.“ Zanemarena je osnovna činjenica da, bez obzira na društveno-političko uređenje jedne zemlje, svako poduzeće ima piramidalni organizacijski ustroj. Malen je broj stručnjaka koji vodi i zna da vodi poduzeća, konzorcije, kombinate. Fakultet ako da od 1.000 završenih studenata 4 sposobna rukovodioca, smatra se uspješnim.

 

Pretvorba društvene imovine je konfiskacija

 

Komunisti za vrijeme svoje vladavine na ovim prostorima proveli su dvije revolucije.

Prva revolucija dogodila se dizanjem narodnog ustanka 1941. godine protiv okupatora i domaćih izdajica koja je, kroz partizansku borbu za oslobođenje, okončana 1945. godine i putem izbora dovela komuniste na vlast te je provedena konfiskacija i nacionalizacija.

Druga revolucija je mirno napuštanje komunističkog oblika vlasti i uspostava novog društvenog poretka predajom sredstava za proizvodnju Vijećima proizvođača 1952. godine, a ozakonjeno Ustavom 7. 4. 1963. godine kojim je FNRJ proglašena Socijalističkom Federativnom Jugoslavijom. Tim Ustavom je definirano da društveno samoupravljanje predstavlja osnovu za društveno-političko uređenje zemlje.

Otuda je pretvorba, u koju se ušlo nasilnim lomovima cjelokupne privrede bez referendumskog izjašnjavanja, neustavan čin koji možemo nazvati konfiskacijom imovine hrvatskog naroda, a ne nacionalizacijom. Od strane države konfiscirana je narodu cjelokupna imovina stečena u razdoblju od 1952. do 1990. godine.

U pretvorbu se ušlo u periodu kada je trebalo sve snage usmjeriti na obranu od agresije (princip ratovanja se zna – penzioneri u tvornice, radnici na ratište; tvornice se stavljaju u funkciju proizvodnje ratnih potreba).

Uz to, izlaskom iz sastava bivše države zanemarila se komplementarna povezanost cjelokupne privrede pa su mnoga poduzeća, kao sudionici zajedničkog finalnog proizvoda, jednostavno s proizvodnjom stala.

 

Slobodno tržište je zavaravanje privredno nepismenih

 

Otvaranjem poluzatvorenog tržišnog sustava u otvoreni sustav nije se osmislila zaštita vlastite proizvodnje, što je u nelojalnoj konkurenciji sa stranim kompanijama dovelo do propasti mnogih naših poduzeća i dobrim dijelom ovog stanja u kojem se nalazi država i društvo.

Proklamacija slobodnog tržišta je iluzija, kao što je i komunizam: radi koliko možeš – uzmi koliko trebaš, a u slobodnom tržištu: tko je jači taj slabijeg tlači.

To su jugoslavenski komunisti znali i kada su 1952. godine napuštali iluzionizam i na području bivše Jugoslavije uspostavili novi društveni poredak, „samoupravni socijalizam“. Zaštitili su oni tržišni jugoslavenski prostor. Taj društveni poredak je svoj kapital zadržao na svojim prostorima, a svih 13 grana privrede zaštitio od strane nelojalne tržišne konkurencije. Privredni procvat rezultirao je da je Jugoslavija već 1975. godine postala srednje razvijena zemlja Evrope, svrstavši se među zemlje s najbržim razvojem u svijetu, zemlja koju se tražilo da uđe u današnju Evropsku uniju, a nije – zato što je bila zemlja rada, a ne zemlja kapitala.

Tezu slobodnog tržišta provlače visoko produktivne zemlje radi lakšeg plasmana svoje robe. Njihovo tržište je zaštićeno već time što im je produktivnost bitno veća od nerazvijenih zemalja pa im je tržište zaštićeno i cijenom i kvalitetom, ali i na niz drugih načina.

Prisjetimo se da su SAD do 1966. godine potencirale tezu o slobodnom tržištu bez carina. Kada su ih Japanci preplavili elektroindustrijskom jeftinom i kvalitetnom robom, da bi spasili svoju elektroindustriju, uvedoše Amerikanci carinu na japansku robu.

Prisjetimo se samo propasti naše autoindustrije: „Tvornica autobusa Zagreb“proizvodila je autobuse; „Autodubrava“, proizvodnja i popravci kombi i osobnih vozila; „Zastava“, sklapanje talijanskog Fiata 2100. S kooperantima, zapošljavale su cca 10.000 radnika, a hranile 40.000 hrvatskih žitelja. Padom samoupravnog socijalizma, Njemačka nam je darovala masu polovnih autobusa, Francuska novih kombija. Šta se događa? Ciljano su zasitili naše tržište. Koje poduzeće će kupiti novi autobus kad ima polovni na dar? Stala je prodaja autobusa „TAZ“, potom se ugasila proizvodnja, a na njezinom prostoru nikao je „Kaufland“. Kada sam to komentirao 1998. godine, čak je tadašnji predsjednik izjavio: „Šta će nama tvornica autobusa? Mi smo premala zemlja za takvu proizvodnju.“

Mi, tada industrijska zemlja; Rumunjska tada daleko iza nas – sa svojom „Daciom“danas zapošljava 200.000 radnika.

Dok smo mi napustili planski razvoj zemlje i društva i zaštitu vlastitog tržišta, razvijene zemlje Evrope i svijeta izvršile su planiranu invaziju na naše nezaštićeno tržište sufinancirajući prodaju svojih proizvoda, a time i stvaranje nelojalne konkurencije. Primjera radi: „Lidl“ i „Kaufland“, za širenje na jugoistok Evrope, a time i na tržište Hrvatske, dobili su 900 miliona eura kredita s kamatama od 1% od Svjetske banke i EBRD-a (Večernji list, 16. ožujka 2017. godine, Mislav Šimatović). Ne branim Todorića, ali te tvrtke ušle su u tržišno natjecanje na naše otvoreno tržište s 9%  konkurentne sposobnosti, ne računajući proizvodnu sposobnost, u odnosu na sve naše domaće tvrtke. Otuda je, između ostalog, uslijedio „pomor“ naših malih, nepovezanih proizvođača, prerađivača i prodavača. To su samo neki od razloga zašto tvrdim da ne smijemo imati slobodno otvoreno tržište, jer plasman vlastite proizvodnje nekog proizvoda naše zemlje na naše, a pogotovo na vanjsko tržište, ne ovisi o njegovoj cijeni, kvaliteti i tržišnoj konkurentnosti.

 

Banke i njihova uloga u društvu i „Agrokoru“

 

Morala nam je biti poznata uloga, a potom i sudbina stranih banaka u FNR Jugoslaviji, a potom i u SFRJ prije nego smo prodali svoje jer je i bankovni sustav u onom sistemu odigrao značajnu ulogu u njegovom tako brzom razvoju. Kada je Boris Kidrič davao ekspoze o prijedlogu Zakona o nacionalizaciji na Skupštini delegata SFRJ, dao je razlog zašto ide najprije u nacionalizaciju stranih banaka.

“Drugovi i drugarice, pa banke su već u drugoj godini rada u našoj zemlji iznijele sav svoj uloženi kapital i od tada rade s našim kapitalom i iznose ga van siromašeći našu zemlju.“

Primopredajom vlasti, HDZ je preuzeo moćnu privredu, banke u likvidnom stanju i socijalistički bankovni sistem. Pretvorbom i privatizacijom, dodjelom poduzeća podobnom, a ne stručnom osoblju i pljačkom, hrvatske banke su dovedene u postupak sanacije. Za sanaciju je, po jednoj izjavi na TV ministra Gorana Marića, utrošeno 82 milijarde kuna, a iste su prodane za jednogodišnju otplatu duga. Tako je Hrvatska ostala u većinskom vlasništvu samo „Poštanske banke“.

Zašto je Hrvatska dala u ruke stranim poduzećima (bankama) raspolaganje gotovo svim novčanim kapitalom i većim dijelom sredstava za proizvodnju pa i sirovina, tj. bogatstva zemlje, ostaje upitno. Zašto je prodan utjecaj na privredni razvoj Hrvatske? Zašto je od 1990. godine stao razvoj države i društva? Mislim da bi svakome trebalo biti jasno da s nama upravljaju drugi. Jer kako tumačiti bankovni kredit „Lidla“ i „Kauflanda“ po 1% i „Agrokora“ i njegovih 60 tvrtki + dobavljača koji za iste poslove dobivaju bankovne kredite po 10%? Koje oni to šanse imaju na otvorenoj tržišnoj utakmici kad se u ozbiljnim natječajima ide s 2% dobiti?

Od dana prodaje banaka, „izrabljivačke“ majke-banke od naših banki-kćeri iz Hrvatske godišnje iznose cca 17 milijardi kuna našeg kapitala, a tolika su približno naša godišnja zaduživanjaTe prodane banke nisu više u funkciji ciljeva našeg razvoja privrede(kojeg u 27 godina postojanja ove države nismo ni postavili, a kamoli definirali), već svojih zemalja, sa zadatkom da direktno utječu na njezino usporavanje. Prisjetimo se osporavanja kredita našim poduzećima „Rade Končar“ i „Gredelj“ za izradu zagrebačkih tramvaja s obrazloženjem da nisu za taj posao sigurni izvođači.