Informazione

Nota: per aderire rivolgersi ai numeri di telefono riportati in fondo
oppure via email a <moda@...>

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PROTI PREVRACANJU ZGODOVINE, PROTI IZENACEVANJU BORCEV ZA SVOBODO IN
TLACITELJEV

CONTRO LA MISTIFICAZIONE DELLA STORIA, CONTRO L'EQUIPARAZIONE DI
COMBATTENTI PER LA LIBERTA' E OPPRESSORI

Trzaska obcinska uprava namerava izpeljati novo pobudo za prevracanje
zgodovine. Na osrednjem trgu Goldoni namerava postaviti spomenik, ki
bo posvecen "zrtvam totalitarnih rezimov". S tem bodo vsi, ki so padli
v boju proti fasizmu in nacizmu izenaceni z fasisti, SS-ovci in
kolaboracionisti vseh narodnosti, ki so bili usmrceni po koncu vojne.
Kot dedici nekaterih padlih za svobodo ne nameravamo dopustiti, da bi
nase prednike izenacili z njihovimi preganjalci in krvniki. Pozivamo
vas, da bi nas podprli s tem da podpisete prilozeno izjavo, ki jo
nameravamo oddati trzaskemu zupanu


L'amministrazione comunale di Trieste intende portare a compimento una
nuova iniziativa di mistificazione della storia. Intende infatti porre
nella centralissima piazza Goldoni un monumento dedicato alle "vittime
dei regimi totalitari". Con questo monumento tutti coloro che sono
caduti nella lotta contro fascismo e nazismo verranno equiparati e
parificati ai fascisti, alle SS e ai collaborazionisti di tutte le
nazionalità che furono uccisi alla fine della guerra. Come discendenti
di alcuni dei caduti per la libertà non intendiamo consentire che i
nostri cari vengano equiparati ai loro persecutori ed assassini. Vi
chiediamo di sostenerci firmando la dichiarazione allegata, che
intendiamo consegnare al Sindaco di Trieste.


Neva Blasina - Volk
Tea Volk
Pavel Volk
Sandi Volk
Mara Blazina
Lucijan Malalan
David Malalan
Emilia Cok
Giorgio Braicovich
Jordan Jakomin
Igor Juren
Diomira Fabjan Bajc

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Il foglio raccolta firme per la petizione si puo' scaricare alla URL:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/
files/petiztrieste.doc

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Trzaskemu zupanu
Izjavljamo, da nasprotujemo namenu trzaske obcinske uprave, da na trgu
Goldoni v Trstu postavi spomenik posvecen "zrtvam totalitarnih
rezimov". Smatramo, da bi tak spomenik bil huda zalitev za vse, ki so
darovali zivljenje v boju proti fasizmu in nacizmu, ker bi jih
izenaceval z njihovimi krvniki, s fasisti, nacisti in njihovimi
pomagaci vseh narodnosti, ki so bili usmrceni ob koncu vojne. Pozivamo
zato zupana Trsta, kjer ni v mestnem srediscu nobenega spomenika vsem
padlim v boju za osvoboditev izpod fasisticnega in nacisticnega jarma,
da se odrece temu nacrtu in spomenik posveti cemu ali komu drugemu.

Al Sindaco di Trieste
Dichiariamo di essere contrari all'intenzione dell'amministrazione
comunale di Trieste di dedicare il monumento che dovrebbe essere
eretto in piazza Goldoni a Trieste alle "vittime dei regimi
totalitari". Un tale monumento sarebbe infatti un grave insulto alla
memoria di coloro che hanno dato la vita nella lotta contro il
fascismo ed il nazismo perché li metterebbe sullo stesso piano dei
loro carnefici, dei fascisti, dei nazisti e dei loro collaboratori di
tutte le nazionalità che sono stati uccisi alla fine della guerra.
Invitiamo perciò il Sindaco di Trieste, città nel cui centro cittadino
non esiste un monumento dedicato a quanti sono caduti nella lotta per
la liberazione da nazismo e fascismo, a rinunciare a tale progetto e
dedicare il monumento a qualcuno o qualcosa d'altro.

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Con preghiera di pubblicazione

Gentile direttore
Le scriviamo in relazione alla prevista erezione in piazza Goldoni di
un monumento "alle vittime di tutti i totalitarismi", ovvero "alle
vittime dei regimi totalitari". Un monumento voluto dalla precedente
amministrazione comunale con intenti "pacificatori", per ricordare
tanto coloro che furono perseguitati e uccisi da fascismo e nazismo
che coloro che vennero uccisi dagli "slavocomunisti".
Si tratta di una cosa che ci tocca personalmente in quanto
apparteniamo a una famiglia in cui le "vittime del totalitarismo" sono
state parecchie. Ci limiteremo a citare Giusto Blasina e suo fratello
Rodolfo, uccisi dai nazisti rispettivamente in via Ghega e a Opicina
in quanto militanti del movimento di liberazione sloveno. Crediamo
quindi rientrino a pieno titolo tra coloro cui dovrebbe essere
dedicato il monumento in questione. Assieme a loro il monumento
dovrebbe però ricordare anche le vittime del c.d "totalitarismo
comunista" nella sua versione "titoista". E tra questi naturalmente in
primo luogo le c.d. vittime delle foibe, p. es. l'agente di PS nonché
membro della banda Collotti Santo Camminiti, lo squadrista Arrigo
Chebat e la SS Ottocaro Crisa. E questo non intendiamo tollerarlo. Non
intendiamo tollerare che i nostri cari siano ricordati assieme a
coloro che combattevano, che li hanno perseguitati e uccisi. Perché
sarebbe per loro una beffa, una irrisione al loro sacrificio.
Nè intendiamo tollerare che i nostri cari vengano utilizzato per
mistificare la storia a scopo propagandistico. Perchè è questo l'unico
scopo di quel monumento. Mistificazione che inizia dall'utilizzo di
termini vaghi e ambigui come "vittime" e "totalitarismo". I nostri
cari non sono stati vittime di nulla, se non di qualche spiata, ma
hanno scelto di combattere per degli obiettivi in cui credevano,
consapevoli dei rischi che ciò comportava. E' solo per i motivi per
cui combattevano che la collettività può ricordarli. Il resto sono
affari privati dei suoi discendenti. Il "nostro" monumento dovrebbe
invece ricordare delle persone non per i motivi positivi per cui sono
morti, ma solo perché sono morti. Con l'aggiunta del piccolo
particolare che alcune delle persone a cui è dedicato il monumento
potrebbero essere gli assassini materiali di altre "vittime dei
totalitarismi". Quindi il monumento ricorderebbe assieme assassini e
assassinati. Legittimando così gli obiettivi ed i motivi per cui
combattevano squadristi, aguzzini, SS e altri personaggi del genere
facendoli passare quali vittime di una presunta "intolleranza
ideologica", come dei pacifici dissidenti uccisi solo per le loro
opinioni. È un falso e anche un insulto alla loro memoria - perché
come i nostri cari non si sono limitati ad avere delle opinioni, ma
agivano, ed è per le loro azioni che sono stati uccisi, lo
stesso vale per chi stava dall'altra parte.
Il termine totalitarismo, preso a prestito dalla storiografia e
peraltro ritenuto da buona parte degli storici tutt'altro che
scientificamente valido, serve invece solo a scaricare su dei regimi,
su delle idee, tutte le colpe di quanto accaduto. In particolare le
colpe di coloro che appartenevano alla stessa classe tanto del sindaco
precedente che di quello attuale, e che i programmi e la pratica di
Mussolini e Hitler li conoscevano molto bene, e che proprio per questo
li hanno appoggiati e finanziati, perché da loro si attendevano ed
hanno avuto lauti profitti. Perché Mussolini e Hitler al potere non ci
sono andati per intervento della Provvidenza, ma grazie al denaro dei
vari Agnelli e Krupp.
Dietro gli intenti "pacificatori" c'è invece la volontà, mettendo
sullo stesso piano i loro sgherri e chi li combatteva, di far passare
l'idea che chiunque abbia combattuto non semplicemente per il ritorno
all'epoca prefascista, ma per una società profondamente diversa, era
un criminale.
Tutto questo viene fatto per il presente, perché i monumenti sono dei
messaggi per l'oggi, non per il passato. Un presente tutt'altro che
pacificato, in cui le ragioni ed i motivi per cui hanno combattuto i
nostri cari sono tutt'altro che esauriti.
Siamo decisi ad impedire con tutti i mezzi che il monumento riguardi
anche le persone da cui con orgoglio discendiamo e rivolgiamo un
appello ai parenti e discendenti di caduti della guerra di
liberazione, di vittime della deportazione e della repressione
nazifascista e a tutti coloro che non intendono far passare una
operazione del genere perché vogliano unirsi a noi. Possono
contattarci allo 3495015941 o allo 3400802508.

Neva Blazina - Volk
Tea Volk
Pavel Volk
Sandi Volk

(za verziju na srpskohrvatskom:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2198)


Dalla rivista PATRIOT (Banja Luka)

L'ex presidente della Repubblica Serba di Bosnia, Biljiana Plavsic,
insieme ai suoi complici politici nazionali e stranieri, ha dato nuovo
vigore al Tribunale per i crimini di guerra dell'Aia:

Uno strumento contro la giustizia e la riconciliazione

di Zoran Zuza

Crimini certo, ci sono stati, è indiscutibile, ma la Plavsic,
nel citato documento, si spinge oltre dichiarando che i crimini
venivano decisi e istigati dalle più alte cariche statali. Ciò
rappresenta la tesi essenziale dell'accusa al tribunale dell'Aia, ma
non solo questo non corrisponde a verità, anzi si può dimostrare il
contrario.

La firma della Plavsic sul citato documento, che certamente la Del
Ponte userà come prova scritta in tutti i futuri processi contro gli
accusati serbi, non si può comprendere se non come una forma di
frustrazione vendicativa e come la continuazione della resa dei conti
iniziata tra i contendenti politici all'interno della Repubblica Serba
di Bosnia.
"La confessione di B. Plavsic non solo indica il tipo di crimine nel
quale è lei stessa coinvolta, ma conferisce anche legittimità al
tribunale dell'Aia e alle sue funzioni", ha detto Alex Borejn (ex
presidente della Commissione sudafricana per la verità e la
conciliazione) nella fase finale del processo contro la presidentessa
della RS di Bosnia.
Sembra che proprio questa frase definisca l'essenza e gli obiettivi
dell'inganno politico e giuridico che si è svolto durante la scorsa
settimana nel tribunale dell'Aia di fronte a tutto il mondo.
Riconoscendo la colpa ma anche le pesanti accuse contro altri leaders
serbi, uniti nell'azione criminale, come dicono gli accusatori, la
Plavsic ha terminato la sua missione politica come "insider" serbo
[infiltrata, ndT], iniziata già nella primavera del 1997, quando si è
incontrata a Sistri, cittadina portoghese, con il proprio riflesso
nello specchio - l'allora segretario di stato Usa Madeleine Albright.
Le due, spinte ognuna dai propri scopi, ma entrambe guidate dall'odio
e dalla ripicca - e determinate nei propri obiettivi politici - hanno
dato una nuova boccata d'aria al Tribunale dell'Aja, istituito dalla
Albright e dai suoi lobbisti nel 1993, la cui credibilità stava
vacillando anche presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.
La Albright, come pure la Procuratrice generale Carla Del Ponte (terzo
personaggio importante in questo scenario politico) userà questa
vergognosa confessione della Plavsic per dare legittimità al suo
sporco lavoro ed eseguire così la funzione essenziale del tribunale,
il cui scopo non è di affermare la giustizia e la riconciliazione nei
paesi della ex Jugoslavia, ma di falsificare la storia ed indicare dei
presunti colpevoli per le guerre e le sofferenze del popolo in
questi territori.
Quando lo farà, avrà concluso la sua "storica missione" e cesserà di
esistere, mentre sottratti alla giustizia - perché anche questo è
lo scopo del tribunale - rimarranno tra gli altri i veri istigatori
della guerra e i fondatori di questo tribunale.
La confessione della Plavsic ha di certo escluso per sempre la
possibilità che davanti a qualsiasi tribunale appaia ad esempio il
diplomatico Warren Zimmermann, l'uomo che persuase Alija Izetbegovic a
ritirare la sua firma dal piano di pace di Josè Cutillero.

La propaganda di una marionetta

Potete comprendere quale imbarazzo e quale panico, tra gli attori di
questo processo nel quale anche domande e risposte erano già
prestabilite, abbia suscitato la parola "marionetta" incautamente
pronunciata in tribunale nel contesto dei rapporti tra la Albright e
la Plavsic. La Albright non si è lasciata confondere, sicura che
nessuno in quella sala le avrebbe chiesto come fosse possibile che la
"propaganda belgradese collaborasse strettamente" con la Plavsic,
sapendo che era accusata per crimini di guerra. La domanda non è stata
posta ma la risposta è arrivata da Carla Del Ponte, definendo la
strada e la sorte finale di ogni marionetta! "La confessione della
colpevolezza di Biljana Plavsic non ci ha sorpreso. E' stata la
continuazione del suo nuovo percorso intrapreso nel 1995, subito dopo
la firma degli accordi di Dayton. Questo però non diminuisce
minimamente la sua responsabilità per aver partecipato ai peggiori
delitti commessi contro l'umanità".
La Del Ponte ha recitato magistralmente la sua parte in questa
spudorata commedia internazionale. Il suo compito era sicuramente di
recitare con severità e di proporre una pena quanto più alta per la
settantaduenne donna politica, a favore della quale si sono schierati
sia i giudici sia gli accusatori, per varie "circostanze attenuanti".
L'accanita Carla Del Ponte doveva persuadere l'opinione pubblica che
la Plavsic aveva rifiutato di cooperare, cioè di testimoniare
direttamente contro Slobodan Milosevic e Momcilo Krajisnik [Krajisnik
fu presidente della RS di Bosnia dopo la Plavsic, e forzatamente
trasferito al tribunale dell'Aia, ndT]. Tale testimonianza non
sarebbe stata presentata come tradimento del movimento da lei
rappresentato e degli scopi perseguiti fino al 1996, ma come
sacrificio perché al suo popolo venisse cancellata la colpa
collettiva. "Non sono ancora riuscita a persuaderla ad entrare
nell'ultima fase dell'assunzione delle proprie responsabilità, perché
si presentasse quale testimone agli altri processi", ha sottolineato
Carla Del Ponte, chiedendo per la Plavsic una pena non inferiore ai
quindici anni e non superiore ai venticinque di reclusione.

Il collaboratore più significativo del Tribunale

La verità vera sul ruolo della Plavsic viene rivelata dal suo avvocato
Robert Pavic, considerando che la confessione e la dichiarazione resa
davanti alla Corte dell'Aia martedì scorso rappresenta "la
massima cooperazione". Come denominare altrimenti il documento
intitolato "I concetti basilari dell'affermazione di colpevolezza" che
dal 15 settembre 2002 fino a lunedì scorso era rimasto sigillato?
Tolto il sigillo e messo in luce il documento, apparve chiaro cosa
fece la Plavsic e perché i suoi avvocati sono riusciti il 2 ottobre
2002 ad accordarsi facilmente con la Procura. A seguito di tale
accordo, sono stati ritirati tutti i punti d'accusa (anche quello di
genocidio e partecipazione ad un genocidio), eccetto quello che si
riferisce alla persecuzione razziale e religiosa, per la quale la
Plavsic ha confessato la sua colpa.
Nel documento, composto di 22 punti, che oltre alla Plavsic hanno
sottoscritto anche Eugene O'Sullivan e Robert Pavic, si tenta di
togliere vergognosamente gran parte delle responsabilità della Plavsic
e addossarle invece a Slobodan Milosevic, Radovan Karadzic, Momcilo
Krajisnik e al generale Ratko Mladic. "Lo scopo principale dell'SDS
[il partito di Karadzic, ndT] e anche della leadership dei Serbi
di Bosnia era che tutti i Serbi della ex Jugoslavia rimanessero nello
stesso stato". Uno dei metodi per raggiungere questo obiettivo era la
divisione su base etnica della popolazione della Bosnia. Fino
all'ottobre del 1991, tutti i capi serbo-bosniaci, inclusa la signora
Plavsic, ne erano consapevoli e intendevano includere anche
l'espulsione definitiva di determinati gruppi etnici, sia con
l'accordo che con la forza, quindi applicando una politica
discriminatoria verso la popolazione non serba per allontanarla dai
territori ai quali aspiravano i serbi.
Questa politica di divisione forzata della popolazione sarà menzionata
ulteriormente nei documenti, come obiettivo al quale contribuirono
molte figure, inclusi Slobodan Milosevic, Radovan Karadzic, Momcilo
Krajisnik e Ratko Mladic.
Tra queste persone esistevano delle differenze in quanto a
consapevolezza dei dettagli di questo obiettivo. La signora Plavsic ha
accettato e sostenuto il piano di divisione forzata dei gruppi etnici
e ha contribuito alla sua realizzazione. Ella però rivestiva un ruolo
meno importante degli altri.

La Costituzione violata

Nel documento si sottolinea che "i due capi più importanti dei
serbo-bosniaci" R. Karadzic e R. Mladic spesso andavano a consultarsi
da Milosevic a Belgrado, dal quale ricevevano indicazioni e sostegno
per raggiungere gli obiettivi previsti.
Si dice inoltre che la VRS (Esercito della RS di Bosnia) riceveva
aiuti finanziari e sostegno logistico dal vertice politico e
militare di Belgrado. Nel testo, pieno di mezze verità e di falsi, la
Plavsic e i suoi avvocati citano il 14 e il 15 ottobre del 1991,
quando l'Assemblea [Parlamento] della Repubblica di Bosnia ed
Erzegovina, in assenza dei deputati serbo-bosniaci, ha approvato il
Memorandum per la creazione della Bosnia ed Erzegovina sovrana; ma
sottolineano che in questo modo "per così dire è stata violata la
Costituzione della Bosnia ed Erzegovina". Si cita l'avvertimento di
Karadzic ai musulmano-bosniaci che saranno sconfitti se si arrivasse
alla guerra, ma si omette la "famosa" frase di Izetbegovic, "che verrà
sacrificata la pace per una Bosnia ed Erzegovina sovrana". Si citano
le persecuzioni subite dalla cittadinanza non serba, spietati
attacchi contro villaggi e cittadine, forzati trasferimenti,
carcerazioni illecite, la distruzione di obiettivi culturali e
religiosi, i saccheggi, i lavori forzati e l'uso di scudi umani.
Questi crimini furono certamente commessi e gli esecutori devono
essere puniti, ma la Plavsic, nel succitato documento, va anche oltre
a questo, e afferma ciò che per il tribunale dell'Aia è il dato
essenziale: che i crimini sono stati ordinati e istigati dai vertici
più alti. Questo non solo non corrisponde alla verità, ma è possibile
dimostrare il contrario - anche tra le mani della stessa Plavsic sono
passati centinaia di documenti, ordini e decisioni, con i quali si
chiedeva alle forze di polizia e dell'esercito della RS di Bosnia il
rispetto della Convenzione di Ginevra e si richiedeva l'arresto e la
condanna di tutti coloro che avrebbero commesso crimini di guerra e
contro l'umanità. Perciò la firma della Plavsic sul documento citato,
che siamo certi verrà usato dalla Del Ponte come deposizione scritta
in tutti i futuri processi contro i Serbi accusati, non si può
ritenere altro che la vendetta di una persona frustrata e la
continuazione di una disputa iniziata tra gli avversari politici della
RS di Bosnia.
"Credo sia chiaro che io mi sono allontanata da questi leaders, ma
troppo tardi. Eppure questa dirigenza, senza alcuna remora, continua a
chiedere la fiducia e il sostegno del nostro popolo. Ciò si ottiene
suscitando la paura, dichiarando mezze verità, nella convinzione che
tutto il mondo sia contro di noi. Ma i frutti del lavoro di questa
dirigenza sono chiari: le tombe, i profughi, l'isolamento e
l'esasperazione contro tutto il mondo che ci ha respinto proprio a
causa di questi leaders", dice Biljiana Plavsic, il cui odio cieco ha
trasformato l'aula del processo all'Aia nel balcone di Banski Dvor
[residenza del presidente croato a Zagabria, ndT].

La "verità" di Dodik

Proprio questo - la trasformazione del tribunale in un palcoscenico
politico contro l'SDS, iniziato prima contro il movimento del popolo
serbo e poi in seguito contro il partito politico - è stato
l'obiettivo conclusivo di questo processo.
Ecco il motivo per cui su questo palcoscenico dovrebbero sfilare le
Madeleine Albright, i Carl Bildt, i Robert Frowick, tutti i personaggi
che, usando la posizione e l'influenza di B. Plavsic, hanno spaccato
l'unità del popolo serbo nella RS di Bosnia ed hanno tracciato così
gli obiettivi politici. Nel ricordare questo triste e infelice
periodo, un vero e proprio vespaio che rischio' quasi di portare ad un
conflitto armato tra gli stessi Serbi, si è inserita anche la
testimonianza di Dodik [ex presidente della RS di Bosnia, ndT], che
dicendo "la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità" ci
ha riportato addirittura all'anno 1992?! Il leader della SNSD non ha
spiegato - e nemmeno gli hanno chiesto - come mai lui stesso,
quale ex delegato nel Parlamento della Repubblica di Bosnia ed
Erzegovina, si sia aggregato alla maggioranza dei delegati serbi, i
quali oggi vengono dichiarati dal tribunale dell'Aia "gruppo
ribelle con lo scopo di creare la grande Serbia". Come è possibile che
durante tutta la guerra in Bosnia abbia mantenuto rapporti politici e
di affari con Milosevic, il quale ora è accusato di essere "il
principale artefice del crimine intrapreso"? Come è possibile che
proprio a questa B. Plavsic, che durante il 1993-94 "si
scontrava con il resto della guida dell'SDS", R. Karadzic prima del
suo definitvo addio alla vita pubblica abbia trasmesso gran parte dei
poteri?

Né giustizia, né conciliazione

Quanto sia difficile capire le azioni della Plavsic lo dimostra il
fatto che lei, oltre ad avere accettato di diventare un'arma nelle
mani del tribunale, è profondamente consapevole che si tratta di un
tribunale politico, il quale sicuramente non eseguirà la missione per
cui è stato istituito, cioè giustizia e conciliazione dei paesi della
ex Jugoslavia. "Fate tutto ciò che è in vostro potere per essere
giusti di fronte a tutte la parti in guerra. Facendo ciò, forse sarete
nella possibilità di espletare la missione per la quale questo
tribunale esiste", ha raccomandato la Plavsic ai giudici accusatori e
procuratori del tribunale. In questa frase risiede tutto ciò che non
era neanche previsto dal ruolo che la ex presidentessa della RS di
Bosnia ha interpretato sul palcoscenico del tribunale. Malgrado
qualsiasi cosa abbiano confessato gli accusati, o che confesseranno
nel prossimo futuro, giustizia e conciliazione non ci saranno su
questi territori finché non si attesterà la responsabilità politica e
militare dei leaders delle altre due parti in causa, come anche dei
faccendieri internazionali nelle guerre e nella distruzione della ex
Jugoslavia.
Purtroppo, la storia di questi territori viene ancora dettata dai
potenti del mondo. La Plavsic ha recitato la sua parte alla perfezione
e per questo sarà adeguatamente ricompensata o condannata, a seconda
della prospettiva dei giudici del tribunale. Quello che non entrerà
nella storia scritta dai vincitori restera' nel ricordo popolare, e
diverrà un racconto o un poema e, dopo un certo periodo, leggenda e
mito. Non c'è da meravigliarsi se i cantori di queste leggende, in cui
sono entrati durante la vita o anche in seguito, invece del cognome
Brankovic [il traditore della battaglia di Kosovo Polje, che vide la
sconfitta dei serbi contro gli ottomani nel 1389, ndT] useranno il
cognome Plavsic.


[A cura di Ivan e Manuela, per il CNJ]

Artel Geopolitika
by www.artel.co.yu
office@...
Datum:17 januar 2003


Prof. dr SMILJA AVRAMOV: DESTRUKCIJA JUGOSLAVIJE

Izlaganje na okruglom stolu
BEOGRADSKOG FORUMA ZA SVET RAVNOPRAVNIH
Medija Center
Beograd, 12. decembra 2002. godine

Moram da obavestim ovaj auditorijum, da ja nisam pripremila
nikakav referat, niti je to bilo predvidjeno. Sa najve?im
zadovoljstvom prihvatila sam poziv da u?estvujem na ovom
Okruglom stolu. Ovo utoliko pre sto smatram da se danasnji
trenutak odnosa Srbije i Crne Gore ne mo?e posmatrati izolovano,
jer u biti svojoj nista tu nema novo. To je samo deo jednog
procesa koji je otpo?eo 1991. godine. Idejni temelji ovog Ustava -
za koga mi mislimo da su ga pisali nestru?njaci, nestru?na lica, ja
mislim da nisu i da im temelji po mom dubokom ubedjenju i po
ovom sto je danas pred nama, sa svim nelogi?nostima koja su
briljantno opisali referenti, postavleani su u ?uvenom
Karingtonovom papiru i onom sto je kasnije sledilo: Badinterovoj
komisiji. Tu je temelj i tu mo?emo povu?i jednu liniju. Taj proces
je otpo?eo u Hagu onog 18. oktobra 1991. kada nam je predo?en
Karingtonov papir, koji u novijoj istoriji civilizovanog sveta
predstavlja najte?u prevaru, prevaru utoliko pre sto je Brionska
deklaracija objavljena kao veliki domet koji obe?ava budu?nost.
Kroz Brionsku deklaraciju Evropska unija se obavezala da ?e
posredovati u cilju zastite teritorijalnog integriteta dr?ave
Jugoslavije. Umesto posrednika, umesto tra?enja izlaza unutar
granica Jugoslavije, na nase veliko zaprepas?enje, a danas su tu i
drugi u?esnici tog kriti?nog dana, kada smo u Hagu 18. oktobra
1991. godine bili suo?eni sa predlogom raspada Jugoslavije.
Raspada po modelu koji nam je sa?inio Karington, a kasnije ga
doradio Badinter.

Dakle, imamo od tog doba razloga da se pitamo sta je pozadina
toga? Jer, u to vreme, Evropa se pripremala za Mastriht. Dakle,
na jednoj strani Evrope imamo totalnu dezintegraciju, a na drugoj
strani imamo integraciju Evrope. U jednom, kako se kasnije mo?e
videti iz dokumentacije koja nam je danas pristupa?na, nosimo i
deo krivice. Kada ka?em krivice mislim, pre svega, na
intelektualnu elitu ove zemlje koja je do?ekala prelomne istorijske
trenutke potpuno nespremna, ne poznavaju?i infrastrukturu
tadaseg sveta i bez alternative za promene koje su nam nudili, a
koje su bile po nas pora?avaju?e. Stekao se ovde jedan ?udan
sticaj okolnosti koji je izazvao nasu definitivnu tragediju. Bio je
to,
s jedne strane, trenutak kada je Nema?ka ?elela da ostvari svoje
vekovne geostrategijske i geopoliti?ke interese i izasla otvoreno na
pozornicu sa zastavom. Takodje i Vatikan. Samo bih vas podsetila
da je Vatikan zahtevao jos davne 1982. godine - ?ak je to i
pismenim putem izmedju Regana i Pape Vojtile zabele?eno -
izdvajanje Hrvatske i Slovenije iz Jugoslavije, kao dveju katoli?kih
teritorija. Tre?e podizanje Austrije na jedan visi nivo sto smo i
do?ekali kasnije i stvaranje jednog mo?nog katoli?kog bloka u
Evropi. To nije odgovaralo amerikancima u to vreme, ali to je bila
cena koju je Amerika morala da plati za ustupke koje je Vatikan
u?inio Americi u Ju?noafri?koj Uniji i u razbijanju isto?nog bloka.

Naime Regan je sa svojom ekipom dosao do zaklju?ka da je na
vojnom polju isto?ni blok nepobediv. Da se na vojnom polju ne
mo?e resiti sudbina Istoka i Zapada, nego da je potrebno pomo?u
duhovnih snaga, pomo?u podzemnih metoda i?i na razbijanje
isto?nog bloka i to se zaista i dogodilo. Amerika suo?ena sa
jednim predlogom, sa jednim planom koji joj nije odgovarao,
uklju?ila je taj prostor u svoj eksperimentalni poduhvat, poduhvat
dekonstrukcije dr?ava i utapanja u siri proces globalizacije. Mi
smo, dakle, ?rtva vrlo heterogenih politi?kih procesa do kojih je
doslo, a sami smo do?ekali taj trenutak nespremni.

I da je taj proces jos uvek u toku, vidi se najbolje po tome sto se
tradiciionalno, nakon ratova, nakon prestanka rata, postavljaju
trajni temelji budu?osti jednog regiona, jedne dr?ave, a kod nas je
okon?an rat, a stabilnosti nema. Mi nismo imali sest ratova, to je
velika greska nase zvani?ne politike koja je to prihvatila, pa govori
o ratu u Sloveniji, ratu u Hrvatskoj, ratu u Bosni, neznam koliko
sad na Kosovu. Nema ratova, ima samo jedan jedini rat. Samo
jedna jedina agresija: to je rat protiv suverene dr?ave Jugoslavije,
to je i agresija koja je izvrsena na zemlju kombinovanim
unutrasnjim i spoljnim snagama. To je, ako ho?ete, empirijski i
teorijski jedini zaklju?ak, jedina istorijska istina, da se tako
izrazim. To sto se danas odstupilo od Povelje UN od Finalnog
akta u Helsinkiju, od Pariske povelje, to nikoga apsolutno danas
ne interesuje. Jer, ustvari, UN su opstale kao jedna skleroti?na
ustanova koja slu?i danas isklju?ivo ameri?kim ciljevima. Isto
onako, samo mo?da jednu paralelu, da napravim, ali da ne budem
krivo shva?ena, kao Drustvo naroda.

Drustvo naroda nestalo je onda kada je Engleska, posle invazije
Italije na Etiopiju, rekla: "Pa nemam ja nikakvih obaveza prema
toj zemlji", a zaboravila je obaveze koje je, preko Drustva naroda,
nametao Pakt Drustva naroda. I Hitler je vrlo posteno istupio tad i
rekao je: "Nema?ka istupa iz Drustva naroda jer u tim okvirima ne
mo?e ostvariti svoju politiku". Na kraju tada ?asno ako ho?ete.
Danas se desilo podlo, podmuklo, nisko. Ujedinjene nacije su
srusene, a ostala je neka fasada, obmana jedna pred svetom. I taj
poredak UN koji je vegetirao kroz hladni rat definitivno je srusen i
istorija ?e ga, duboko sam ubedjena, tako i zabele?iti. Srusen je na
terenu Jugoslavije i na rusenju originarnog ?lana UN, to ?e re?i
zemlje utemeljiva?a kroz Atlantsku povelju, kroz Deklaraciju UN,
koju smo potpisali 1. januara 42. godine, a zatim Povelju itd.

Slusaju?i briljantna izlaganja mojih predhodnika, mog uva?enog
kolege Perazi?a, koji je otvorio neku optimisti?kiju sliku ovih
dvaju sukoba izmedju Srbije i Crne Gore, podsetila bih ga na nase
ranije razgovore o tom pitanju. Na?alost, ja ne delim njegovo
misljenje i ne mislim da ?e se ista mo?i promeniti u onom sto je
sada. Jer mi smo deo, i ta Povelja je samo deo, tog destruktivnog
procesa koji je u toku. Destrukcija ove zemlje se dalje nastavlja i
ako je rat zavrsen i ako, kao sto sam rekla, posle mirovnih
ugovora dolazi do stabilizacije. Ovde rat nije zavrsen, odnosno rat
je kobajagi u Bosni zavrsen. Medjutim, destabilizacija regiona se
nastavlja, ?itava. I mi imamo ovde jedan specifi?an oblik rata koga
je nemogu?e uklju?iti u one tradicionalne pojmove rata. Nisam
sklona tom optimizmu, mnogo sam vise sklona da prihvatim
pesimisti?kije zaklju?ke kolege Kova?a koji ka?e nema dr?ave. I ja
mislim u ovoj fazi, eksperimentalnoj fazi, dr?ava nije
konstituisana i mi njen identitet nemamo. Ne mo?emo ocrtati
identitet te zemlje. Medjutim, ja sam optimista dugoro?no
posmatraju?i situaciju i to duboko ubedjeni optimista. Odmah ?u
vam re?i na ?emu zasnivam moj optimizam.

20-ti vek istori?ari, poznati, veliki istori?ari sveta, nazvali su
"vekom groblja imperija". Tako su ?ak i naslovili neke knjige koje
opisuju 20-ti vek. Krajem Prvog svetskog rata nestale su Ruska
imperija, Otomanska i Austrougarska. U Drugom svetskom ratu
nestaje Nema?ka imperija, ali nestaje i imperije Velike Britanije,
nestaje imperija pobedni?kih sila, dolazi do procesa
dekolonizacije. Hladni rat dovodi do poraza Sovjetske imperije i na
svetskoj sceni ostaje samo jedna imperija, odnosno ostaje SAD,
koje su savez koga su imali na neki na?in bacili pod tepih i
proglasili sebe liderom sveta; imperijom, jednom novom
imperijom.

Jedna od karakteristika svih imperija sveta je da ne priznaju
nikakve zakone, sem zakona svoje sile. Amerika danas ima silu
bez presedana u istoriji - 37 puta mo?e razoriti svet, ona ima
u?asnu destruktivnu mo? u svojim rukama. Ona mo?e da razori
zemlju, ona mo?e da pokori vojske, ali kao sto se pokazalo do
sada u toku te njene imperijalne vladavine koja traje od 90-tih
godina, ona nema mo? da vlada svetom. Znate, jos je poznati
Rimski vojskovo|a Demiskijus 385 g. pre nove ere, posle velikih
pobeda, rekao: "Nemojte se zavaravati, veli?ina Rima ne le?i u
gvozdenim oklopima ni u sabljama, ne le?i ni u ogromnoj masi
ljudi i vojske, veli?ina Rima le?i u razumu". A to je upravo ono sto
u ovom trenutku nedostaje Americi, toj novoj imperiji, zato
verujem u njenu vrlo skoru propast.

No, ostavimo se tih dugoro?nih stvari i posmatranja u perspektivi.
Mi patimo u?asno, mi smo dosli i nalazimo se u jednoj
katastrofalnoj situaciji. Ustvari, jedan paradoks je na delu tzv.
medjunarodne snage - KFOR, UNMIK i neznam kako sve i koje
su sve skra?enice imale - su stavljene u funkciju ne da stite ovaj
narod, ne da zavedu mir, nego da stite paravojne snage, da stite
teroristiske bande, da dr?e neuralgi?nim stanje na ovom delu
kugle zemaljske. Mi moramo biti svesni te ?injenice, i da smo
pokoreni narod, pora?eni smo, ne na vojnom polju. Rekla bih ?ak
vidite, da nismo pora?eni, ono sto narod naro?ito isti?e ni na
ideoloskom polju. Znate zasto? Mi do sada nemamo nijednu
temeljitu studiju o odnosu Kardeljizam - Titoizam - Marksizam
- mi to nemamo. Mi nemamo nijednu verifikovanu studiju koji bi
nam u tom smislu pomogla. Sem toga paradoks je jos jedan, koga
moram ista?i. Ta ?itava Jugoslavija je bila uklju?ena u
bezbedonosni sistem NATO-a. Ja sam dosla do tog originalnog
ugovora iz 1960. godine, kada je Gr?ka, u ime NATO-a,
zaklju?ila sporazum sa Jugoslavijom na osnovu koga je data
mogu?nost NATO trupama na prolaz kroz nasu teritoriju, ukoliko
budu napadnuti sa Istoka.

Par dana po smrti Josipa Broza, NATO je izvestio Predsednistvo
SFRJ da taj ugovor smatra i dalje va?e?im. Da li je to jedan
paradoks? Vi nigde na Zapadu nemate napad na re?im koji smo
mi imali 50 godina, re?im Brozovsko-Kardeljevski, vi imate
napad na Milosevi?a. Dakle to je dokaz da za njih nisu uopste
bitne te re?imske promene, a to dokazuje najbolje i oktobarski
izbori i dovodjenje na ?elo zemlje gospodina Kostunice. Nista se
promenilo nije. Sistem je i dalje na snazi.

Dakle, mi smo u jednom procesu, u procesu gde imamo jako
su?en manevarski prostor. Mi moramo jako oprezno, vrlo
studiozne korake povla?iti danas, vode?i strogo ra?una o tim
mdj|unarodnim tokovima, uz svest da nemamo i da ne postoji
jedna izgradjena i opste usvojena ideologija ili jedan
medjunarodno pravni model za 21. vek. Protivre?nosti unutar
samog zapadnog sveta danas postoje i one su ogromne. Mi tu ne
mo?emo da se takmi?imo, niti u te tokove da ulazimo, ali ima
jedino sto mo?emo ' da sa oprezom pratimo sve te tokove. A ja
duboko verujem u srpski narod (ili ako ho?ete srpsko-crnogorski,
nek me izvinu ovi crnogorci, jer ja sam u?ila gimnaziju pre
Drugog svetskog rata, tamo 30-tih godina, i jos sam malo
profesionalno deformisana u tom pogledu). Uvek u prelomnim
trenucima istorije, srpski narod je pokazao i dokazao da poseduje
jedan emancipatorski kapacitet. Ja duboko verujem da ?e ga
iskazati i ovoga puta.

http://www.apisgroup.org/article.html?id=1065

Kosovo i Metohija

Pocinje privatizacija firmi na Kosovu i Metohiji
po modelu UNMIK-a

Sladjan Nikolic

Uvod

Jedan od brojeva casopisa za geopoliticka
i strateska istrazivanja "Geopolitika", uz
aktivno ucesce autora ovog teksta, imao je
za temu najavljenu privatizaciju na KiM,
pisuci o njenim stetnim posledicama po
drzavu Srbiju a u cilju upozorenja i
stvaranja osnovne informacione podloge
koja bi omogucila donosenje kvalitetnih
politickih odluka. Sasvim je ocigledno da
do kvalitetnih politickih odluka nije doslo i da proces
privatizacije na KiM pocinje. O tom problemu
su pisali i analiticari APIS/group.org
pre izvesnog vremena, a problem je bio
i na dnevnom redu rasprava mnogih
politickih stranaka i koalicija u Srbiji..

U narednom delu teksta bice dati osnovni
elementi kojim drzava Srbija moze da se
sluzi kao argumentima, a u cilju
sprecavanja reazlizacije ovog projekta sa procenom
kakva nas steta moze zadesti ako se
ovakva privatizacija realizuje. Velicina stete
koju ovim projektom mozemo da pretripimo,
ako drzava Srbija nista ne ucini da spreci
njegovu realizaciju zavisice onda samo
od dobre volje onih koji projket realizuju.

UNMIK-ov model privatizacije nije primeren
nijednom poznatom svetskom standardu

UNMIK-ov model privatizacije predstavlja
model koji nije primeren poznatim
svetskim standardima u toj oblasti. Naime,
taj koncept projektovan u modelu spin-ofa
preporucuje prodaju neto-aktive, odnosno
imovine kosovskometohijskih firmi bez
dugova. Drugim recima, od majke-firme
preporucuje se stvaranje firmi-kceri, tako
sto se sva aktiva prenosi na kcerku a sva
dugovanja ostaju firmi-majki. Umesto efekta
obrtanja Stajnerov model privatizacije
imace za efekat "oguliti firmu-majku".
Ovakav jednostrani koncept koji resava
interese duznika a zapostavlja, ili bar privremeno
ostavlja po strani interese poverilaca
i vlasnika je nespojiv sa trzisnom logikom.
Ovakvim konceptom ne postoji sansa da
se formira stecajna masa koju ce naplatiti
poverioci, i sasvim je sigurno da on na
zapadu nigde ne bi mogao da bude sproveden
jer bi bio ocenjen kao cista prevara.

Iz takvog jednog koncepta proizilazi
da ce se devizni dugovi kosovskometohijskih
preduzeca vracati iz budzeta Srbije,
jer je NBJ bila supergrant kreditima koji su
nesebicno uzimani. Drzavi preostaje da
sa predstavnicima svetske banke nastavi
pregovore u kojima ce biti iznete nase
primedbe na UNMIK-ov koncept privatizacije.
Ono sto zabrinjava jeste to sto je Stajner
Uredbu o privatizaciji potpisao u prisustvu
predstavnika Svetske banke i ona kao da
ima za jedan od ciljeva da se Srbija uz
pomoc Svetske banke dovede do "prosjackog stapa".

Potpuno je nejasno da li ce Srbija moci da
koristi novac od prodaje imovine u koju je
minulih decenija ulozila cak 17 milijardi
dolara. Po svemu sudeci Srbija ce ostati
bez tog novca. Osim toga, u tom UNMIK-ovom
preuranjenom i diskutabilnom projektu nema
ni reci o socijalnom programu i brojnim
drugim pitanjima koja iskrsavaju u
procesu privatizacije. U njemu ocito nisu
zasticeni ni Srbi ni Siptari koji su nekad
radili u propalim i unistenim fabrikama.

Krsenje Rezolucije broj 1244 SB UN i
nepostojanje pravne utemeljenosti za
realizaciju modela privatizacije UNMIK-a

Privremena misija UN-a, kakvo joj je i
ime, ima pravo da privremeno upravlja i
administrira, ali po rezoluciji 1244 SB
UN, nema ingerencije da donosi odluke koje
izazivaju trajne posledice. Proces privatizacije
je proces u kome dolazi do promene titulara
svojine, i koji izaziva trajne posledice.
Prema tome misija UN-a, otpocinjanjem
procesa privatizacije izlazi izvanih svojih
ingerencija i time direktno krsi rezoluciju
1244 SB UN.

U konceptu privatizacije UNMIK-a ne postoji
ni pravna utemeljenost. Na osnovu
Ustavnog okvira, to bi se resavalo uredbama.
Uredbe i sam Ustavni okvir su privremeni
dokumenti. Uz to, ne moze se privatizovati
imovina nad kojom vlasnistvo nemaju ni
UNMIK ni privremeni organi samouprave.
Znatan deo imovine predvidjene za
privatizaciju je drzavno vlasnistvo SRJ
i Srbije ili je u vlasnistvu preduzeca iz
centralne Srbije.

Nepostojanje ukupnog ambijenta za otpocinjanje
procesa privatizacije

Ovakav projekat privatizacije se ne moze
staviti na red jer privremena misija UN-a
nije ispunila svoje obaveze iz rezolucije
1244 SB UN sto za direktnu posledicu ima ne
postojanje ambijenta za realizaciju jednog
ovakvog projekta. Nisu reseni osnovni
problemi - imovinska prava, povratak
prognanih, bezbednost, infrastruktura,
komunikacije, suzbujanje kriminala.
Projekt privatizacije se moze sprovesti samo u
regularnim trzisno uredjenom prostoru,
gde se oseca vladavina zakona, u
konkurentskom ambijentu, gde se pojavljuje
vise zainteresovanih kupaca. Na KiM ni
izdaleka nema tog ambijenta, nema
slobodnog kretanja osnovnih faktora proizvodnje

- ljudi i kapitala., pokiaden su sve
poslovne veze i kooperativni aranzmani izmedju
preduzeca i trziste je na najvecem stepenu
ekonomskog i politickog rizika. Na KiM
cveta kriminal, trgovina narkoticima,
sverc oruzja, ljudi cigareta... U odsustvu
investitora iz nase zemlje i inostranstva,
postojece firme bi kupovali samo samo
Siptari, i to najvise oni koji su do
kapitala dosli na kriminalan nacin.
Time bi oni oprali novac i ubacili ga u
legalne tokove. Tako bi se desilo da
siptarski kriminalci na KiM kontrolisu
legalnu ekonomiju.

Preovladjujuce stanoviste

Kod nas, medju ekonomistima koji se ovom
temom bave, a kojih je nazalost jako
malo, provladava misljenja da "stajnerova
privatizacija" nece uspeti, odnosno da
UNMIK, nece uspeti da proda vise od pet,
sest preduzeca. Smatram de je ova
procena pogresna, Siptari ce aktivno
ucestovati u procesu privatizacije, narocito oni
iz miljea organizovanog kriminala,
smatrajuci kupovinu firmi patriotskim cinom
i jos jednom merom kojom se drzava Srbija
proteruje sa prostora KiM, odnosno kidaju
veze s njom i njenim ekonomskim sistemom.

Informacije koje dolaze iz izvora bliskih
siptarskim separatistickim vrhovima govore
da ce oni kao jedne od kljucne argumenata
u prilog svojoj sepataristickoj ideji u
buducim pregovorima koji ce uslediti o
statusu pokrajine koristiti - vlasnistvo nad
zemljistem, zato je trend etnickog zaposedanja
teritorije KiM nastavljen i u porastu, i

privatno vlasnisto nad privrednim objektima.

Nematerijalne posledice privatizacije -
dalje iseljavanje i otezavanje povratka
prognanih

Doktorka Rada Trajkovic, bivsi sef Poslanicke
grupe Srba u Kosovskom parlamentu
u intervjuu objavljenom u listi "Identitet"
od 16.01.2003 godine. - tekst "Covic hteo da
me uhapsi" u kome iznosi niz optuzbi na racun
sefa koordinacionog centra za KiM u
ciju istinitost autor ovog teksta nece da
ulazi, izmedju ostalog kaze da je pogon
"Jumka" u Kosovu Polju na licitaciji. "Bez
posla ce ostati oko 200 srpsku radnika,
sto ce sasvim izvesno imati za posledicu
novi talas iseljavanja" kaze dr. Rada
Trajkovic. Gospodin Covic u odgvoru - tekst
"Neuspela afera" u istom listu
odgovara da Koordinacioni centar nema
informacija da je pogon "Jumka" prodat, jer
ovaj centar niti je konsultovan niti je zaduzen
za izdavanje bilo kakvih dozvola ove vrste.

Ako zanemarimo srpske medjusobne optuzbe,
dr. Rada Trajkovic je sasvim u pravu
da ce privatizacija pogona "Jumka" koji
postoji u Kosovu Polju imati za posledicu
novi talas iseljavanje Srba sa tog prostora
u potrazi za osiguranjem egzistencije i
prezivljavanja u uslovima sve jaceg
psiholoskog pritiska. Kad je rec o odgovoru
gospodina Nebojse Covica, tacno je da
Koordinacioni centar nema informacija da je
pogon "Jumka" prodat jer je bio na licitaciji,
a takodje je tacno i to da Koordinacioni
centar nije zaduzen za izdavanje bilo kakvih
dozvola te vrste. Osim pogona "Jumka",
na licitaciji je, izmedju ostalih privrednih
objekata, i dobro razradjen i opremljen
hotel na Brezovici. U sklopu svojih predizbornih
aktivnosti ovaj slucaj, a u vezi sa
iseljavanjem Srba sa prostora Brezovice i
Strpca ako on bude prodat Siptaru, pominjao
je gospodin Velimir Ilic, jedan od lidera
vladajuce koalicije u Srbiji, DOS-a.

Sve ukupno, ovo pokazuje da nadlezni drzavni
organi nisu uspeli da definisu pojavu
privatizacije i njene nematerijalne posledice,
kao i da je komunikacija izmedju
nadleznih drzavnih organa koji se sve ukupno
bave pitanjima vezanim za KiM na
izuzetno niskom nivou. Zato je zbog posledica
koje privatizacija na KiM moze da
donese a koje su vezane za dalji opstanak
Srba i njihov povratak na ovaj prostor cak
i da u najgorem slucaju UNMIK-ov koncept
privatizacije ostane ovakav kakv jeste,
investitori iz Srbije po svaku cenu u ime
nacionalnih interesa moraju biti animirani
od stane vlade Srbije da u toj privatizaciji
ucestvuju. Osim toga i vlada Srbije treba
da se pojavi kao kupac pojedinih vaznih firmi,
jer je to najbolji put povratka Srba na
KiM koji bi u tim firmama mogli da se
zaposle i na taj nacin obezbedjuju svoju
egzistenciju, jer je potpuno iluzorno
ocekivati da se Siptari koji budu postali vlasnici
firmi u njih zaposljavati Srbe.

Zakljucak

Ukoliko bi se ovakav jedan diskriminatoriski
projekt privatizacije koji nista ne
uvazava a omogucava Siptarima da prljavim
novcem otkupe sva preduzeca realizovao, on bi
na direktan nacin dezavuisao i obesmislio
sve price i resenja UN-a i UNMIK-a o
povratku Srba, ljudskim pravima, pravu na
egzistenciju i prosperitet. To bi bio jos
jedan element koji bi doprineo da prica o
multieticnom dustvu ostane samo mrtvo slovo na
papiru. Uz to, postoje velike sanse da
otplata kosmetskog duga inopoveriocima
padne na teret Srbije a firme iz Srbije
budu ostecene za milionske iznose.
Privatizacija u kojoj ce Siptari postati
vlasnici frimi, gde ni u jednoj firmi nece biti
vlasnik Srbin, direktno ce uticati na dalje
iseljavanje Srba sa KiM i bice jedan od elemenata
koji ce onemogucavati njihov povratak.

Sve cinjenice govore bi nam ovakvim projektom
privatizacije bila naneta orgomna
drzavna i nacionalna steta, zato drzava
Srbija po svaku cenu mora da zaustavi njegovu
realizaciju ili bar utice na to da se pojedini
delovi ovog koncepta koji mogu da prouzrokuju
direktnu stetu izmene. Takodje vlada Srbije
cak i da koncept privatizacije ostane takav
kakv jeste mora da uzme ucesceu njemu, ali i
u animiranju privrednika da u njemu ucestvuje
u ime buducnosti Srba na prostoru KiM.

Za sve to imamo jos izuzetno malo vremena i
prostora a ono sto izaziva dodatnu
zabrinutost jesu trenutna desavanja u
koaliciji "Povratak", sukobi na
relaciji pojedini poslanici te koalicije
Koordinacioni centar za KiM, pitanjem
privatizacije na KiM se ne bavi ni jedna
Skupstina, u medijima privatizaciju
na KiM niko vise i ne pominje...

I na kraju autor ovog teksta koji po
svojoj sustini predstavlja sintezu radova
razlicitih eksperata koji su drustvenu
pojavu privatizacije preduzeca na KiM,
razmatrali svako sa svog aspekta, i procenu
posledica koje tako realizovna privatizacija
moze da ima, bi bio najsretniji ako se
njegove procene nikad ne bi obistinile.


14. januar 2003. godine

RIA "Novosti": UNISTAVANJE PAMCENJA

Moskva, 13. januara 2003.
za Artel-Geopolitiku

Pogled iz Moskve Segej ROMANJINKO, magistar istorijskih nauka, stariji
naucni saradnik Instituta za medjunarodne ekonomska i politicka
istrazivanja Ruske akademije nauka

Pre izvesnog vremena evropske nacionalne agencije izvestile su o tome,
da su kosovski muslimani digli u vazduh jos dva pravoslavna hrama.
To je izazvalo krajnje emocionalnu (sasvim opravdanu) reakciju
hrisscana u celom svetu, a narocito u Rusiji.
U turistickom vodicu za staru, jos "titovsku" Jugoslaviju, izdatom
1983. godine u Beogradu. u odeljku posvecenom Kosovu, mirno su
koegsistirali znameniti istorijski spomenici - uglavom crkve,
manastiri i dzamije. Pravoslavni manastiri Sveti Stefan u Banjskoj
(1313-1317), u Decanima (1327-1335), Gracanici (1321), kompleks Pecke
patrijarsije (XIII-XIV vek), svrstani su i dalje spadaju u riznicu ne
samo srpske ili albanske, pravoslavne ili islamske, vec svetske
kulture, kao i Hadum dzamija u Djakovici (XVI vek), Bajrakli dzamija u
Peci (XV vek), Fatih dzamija u Pristini (XV vek).
Proteklo je manje od dve decenije i na koricama zbornika clanaka i
govora Partijarha Srpske Pravoslavne Crkve, Gospodina Pavla, izdatog
2002. godine, koji je krajem 50-ih bio episkop Rasko-Prizrenski,
oznacena je mapa na kojoj su crkve i manastiri podeljeni na jos
sacuvane i vec porusene. Uostalom, ona je i danas zastarela. Jos u
decembru 2001.
eksperti su naglasavali, da je u periodu od 9. juna 1999. godine,
tojest, posle potpisivanja Kumanovskog sporazuma izmedju NATO i
Jugoslovenske narodne armije o okoncanju operacija NATO protiv SR
Jugoslavije, poruseno je preko 140 spomenika srpske kulture.
U otvorenom pismu srpskog episkopa Artemija premijeru Kosova Bajramu
Redzepiju takodje se navodi brojka od "preko sto" porusenih
pravoslavnih crkava i "najmanje desetak" grobalja, koja su
oskrnavljena posle okoncanja vojnih dejstava na Kosovu i Metohiji.
Pri tom, kako je pisao bivsi direktor Oksfordskog instituta Lourens
Uzel, "ni jedna od eksplozija nije bila osudjena, a medju Srbima,
stradalim u napadima, ima i pravoslavnih monaha, koji su davali
utociste albanskim mirnim ziteljima za vreme rata, jos u ono vreme
kada albanci nisu bili progonitelji, vec progonjeni".
Situacija je postala toliko tragicna da su Patrijarh Pavle i
predsednik Jugoslavije Vojislav Kostunica pozvali UNESCO da zastiti
srpske pravoslavne svetinje na Kosovu i Metohiji. Imajuci u vidu da je
svako razaranje spomenika susto varvarstvo, i deleci zakonito
negodovanje predstavnika Srpske Pravoslavne Crkve, srpskih kulturnih
pregalaca i politicara, jednostavno, svih prosvecenih ljudi u celom
svetu, moramo postaviti nekoliko pitanja: u cemu je uzrok uzajamne
mrznje koja je ophrvala oba naroda? Kakvu ulogu u tome igra religiozna
svest? Da li je samo albansko-kosovska strana kriva za ono sto se
desava? Sadasnja situacija na Kosovu umnogome je rezultat politike
kako predjasnjih jugoslovenskih - Josip Broz Tito, tako i albanskih -
Enver Hodza, politickih lidera. Kosovo je bilo moneta za
potkusurivanje u politickim protivurecnostima izmedju Jugoslavije i
Albanije, sto je kasnije produbljeno i posledicama sovjetsko-
jugoslovenskog konflikta 1948-1955. godine, kada je Josif Visarinovic
Staljin podrzao Envera Hodzu protiv Tita.
Posle kraha tih komunistickih rezima, koji su oficijelno propovedali
internacionalizam i ateizam, etnoistorijska i konfesionalna svest
postali su osnova pogleda na svet onih, koji su tezili da se isscupaju
iz kandzi komunizma.
Medjutim, religiozna svest samo je jedan od elemenata nacionalne
samosvesti naroda rascepkane Jugoslavije. Ali elemenat koji zbog
okolnosti u datoj situaciji igra i politicku ulogu. A poistovecivanje
srpske nacionalne samosvesti iskljucivo sa pravoslavljem i albanske -
iskljucivo sa islamom ne samo da istorijski nije korektno, nego vodi u
politicki corsokak.
Srpsko-albanske protivurecnosti izazvane su drugim, slozenim
kompleksom socijalnih i nacionalnih okolnosti, u kojima religija igra
podredjenu ulogu. Cak stavise, konflikt na Kosovu je samo
medjunacionalni konflikt, i niposto nije epizoda "bespostedne borbe
islama protiv pravoslavlja" ili ozloglaseni "konflikt civilizacija".
Nacionalno orijentisani srpski istoricar Dusan Batakovic kritikuje
Slobodana Milosevica zbog toga sto je tu i tamo "koristio nacionalnu
frustraciju Srba" i "uz pomoc drzavnog aparata i populistickih metoda
oduzeo Srpskoj Pravoslavnoj Crkvi i kriticki raspolozenoj
inteligenciji barjak zastite nacionalnih interesa".
Sudbinu srpskih istorijskih i religioznih svetinja na Kosovu mogli
bismo poistovetiti sa dudbinama desetina hiljada Srba iz Bosne i
Hercegovine, Hrvatske i sa Kosova, koji su postali zrtve politicke
igre, koju je laicki izgubio Milosevic. Operacija NATO i kasnija
politika medjunarodnih organizacija na Kosovu - isto kao i u Bosni i
Hercegovini - izmedju ostalog imala je za cilj preporod multietnickog
drustva na Kosovu.
Da li je taj cilj ostvaren?
U vec spomenutom zajednickom pismu predsednika Kostunice i Patrijarha
Pavla Generalnom direktoru UNESCO naglaseno je, da se problem zastite
i ocuvanja kulturnih vrednosti na tim podrucjima ne moze resiti bez
medjunarodne pomoci. Efikanska zastita istorijskih spomenika i
kulturnih objekata, neizbezno i strogo kaznjavanje njihovih
rusitelja - to je duznost medjunarodne organizacije pred sveukupnom
svetskom kulturom. Medjutim, ne moze se ispred svakog hrama postaviti
strazar, narocito ne u situaciji kada je jos potrebno braniti ne
objekte, vec zive ljude.


ARTEL GEOPOLITIKA - http://www.artel.co.yu

S.O.S. ZASTAVA:
Relazione del viaggio a Kragujevac
dal 2 gennaio 2003 al 6 gennaio 2003


La delegazione Piemontese

La delegazione era composta di 15
compagni:
· 3 del Politecnico di Torino (2 lavoratori ed uno
studente)
· 2 della Camera del Lavoro di Novara
· Una delegata R.S.U. della "La Stampa" fotografa
· un giornalista del "Piccolo " di Trieste
· 4 della Camera del Lavoro di Torino
· 3 adottandi a distanza
· una consigliera comunale del Comune di Torino


Il viaggio d'andata

Ci ha preceduto nel viaggio un TIR che trasportava il
materiale raccolto in Piemonte.
Il TIR ha trasportato 1500 Kg di materiale sanitario
(medicine, siringhe monouso, ecc.), i pacchi regalo per i
bambini, 30 scatole di vestiario e 3 quintali di Nutella
regalati dalla Ferrero
Il 2 Gennaio siamo partiti noi della delegazione. Abbiamo
viaggiato con un pulmino per il trasporto delle persone da
nove posti, un pulmino per il trasporto merci da tre posti
forniti dal comune di Torino e con un'autovettura privata. I
costi del viaggio sono stati parzialmente coperti da comune
di Torino e CGIL Piemonte e non hanno gravato in alcun
modo sui fondi destinati alle adozioni: ogni partecipante ha
pagato di tasca sua la quota restante del viaggio e il
soggiorno.
Il viaggio non è stato particolarmente difficoltoso, e dopo
15 ore di viaggio si è giunti a Kragujevac.


La riunione con il gruppo dirigente del sindacato
autonomo della Zastava SAMOSTALNI SINDIKAT SRBIJA

Nella riunione i compagni del sindacato della Zastava
hanno aggiornato la delegazione sulla situazione. La
ZASTAVA è stata smembrata in 38 aziende attualmente
ancora pubbliche, ma in via di privatizzazione.
La produzione è stata riavviata e attualmente si producono
10.000 autovetture/anno occupando 4.500 operai, nel 1999
prima dell'aggressione lavoravano alla Zastava Auto 12.000
addetti e negli anni 80 si producevano 140.000 auto/anno.
E' stata riavviata anche la produzione dei veicoli
commerciali che ammonta attualmente a 600veicoli/anno
con un'occupazione di 1.500 addetti. Complessivamente
l'occupazione femminile si attesta intorno al 40% dei
lavoratori.
Lo stipendio medio mensile di un lavoratore in produzione
è di 9.200 Dinari per cinque giorni settimanali su un turno,
circa 150 euro. Un lavoratore fuori produzione percepisce un
salario assistenziale di 4.000 Dinari/mese, circa 65 ? che
durerà fino al 2004.
Un'azienda Canadese "NEW CAR" è in trattativa per
rilevare una quota del settore auto prevedendo l'assunzione
di 3.000 dipendenti, incrementando la produzione fino a
100.000 veicoli destinati al mercato sudamericano e
nordafricano, mercati che non impongono le normative
europee in materia di emissioni gassose.
La grave crisi della produzione di autovetture in Jugoslavia
indotta dalla legge che liberalizzava l'importazione delle
auto usate sta rientrando per la correzione di quella stessa
legge: ora si possono importare in Jugoslavia solo
autovetture con meno di sei anni.
Ancora oggi il SAMOSTALNI SINDIKAT SRBIJA
detiene l'85% delle deleghe nella fabbrica e il 55% nel
paese, con 1.700.000 iscritti è di gran lunga il sindacato più
rappresentativo, perché indipendente da sempre.
Oggi la sindacalizzazione nella Jugoslavia raggiunge un
lavoratore su due, suddivisi su sei confederazioni prima,
negli anni 80 non si andava oltre il 20% di lavoratori
sindacalizzati.
Recentemente il SAMOSTALNI SINDIKAT SRBIJA è
entrato nella CES, la confederazione sindacale europea, e
mantiene rapporti con la CGIL italiana e con l'IGM, il
sindacato metalmeccanico tedesco.


Le visite alle famiglie.

Come ogni volta che andiamo a Kragujevac una fetta
importante del tempo si trascorre facendo visita alle
famiglie, e ogni volta la delegazione incontra situazioni
sempre più disperate.
Le famiglie dei lavoratori pur mantenendo una dignità
impensabile in quelle condizioni economiche stanno
precipitando in una situazione da terzo mondo.
Manca tutto:
mancano i detersivi. il sapone, l'alimentazione è scarsa dal
punto di vista dell'apporto proteico, mancano le medicine
diventate carissime ed a pagamento; l'assistenza sanitaria,
nonostante l'impegno eroico di medici e paramedici risente
della carenza di denaro e quindi di apparecchiature e
farmaci.
La criminale guerra chimica scatenata dall'occidente
contro il popolo jugoslavo e mascherata come "effetti
collaterali" (i bombardamenti dei petrolchimici, delle
centrali termoelettriche ecc.) porta con sé un incremento
esponenziale dei casi di tumore tra la popolazione.
Abbiamo visitato famiglie dove uno dei due genitori è
morto e l'altro sta per raggiungere il consorte e i figli sono
coscienti di finire, da lì a poco, in qualche malsano
orfanotrofio. Molti di noi in queste visite non riescono a
trattenere l'angoscia: molti compagni escono dalle visite
alle famiglie con gli occhi lucidi per la rabbia di non essere
riusciti a fermare questo crimine contro l'umanità.
La povertà e il degrado sociale, indotti dalle devastazioni
operate dalla NATO, non hanno leso il tipico senso
dell'ospitalità del popolo jugoslavo. Ogni famiglia, pur
essendo ridotta in misere condizioni, ha accolto la
numerosa delegazione con calore, offrendo, oltre a prodotti
tipici del paese, un senso di solidarietà difficilmente
riscontrabile nelle nostre confortevoli case occidentali e che
nessuna bomba intelligente potrà sradicare.


La visita all'ospedale di Kragujevac

Abbiamo visitato l'ospedale insieme al dott. Denic
(pediatra) e al dott. Mihailovic, vice direttore dell'ospedale
e psichiatra. Gli interni sono stati rifatti e quindi l'ospedale
ha sicuramente un aspetto migliore. Tuttavia qui si lavora
ancora in condizioni d'emergenza: le attrezzature sono
vecchie e i medicinali scarseggiano. Ci siamo quindi
impegnati a reperire altro materiale da inviare entro giugno:
una macchina per la mammografia (quella dell'ospedale
non funziona più e obbliga le donne di Kragujevac ad
andare a Belgrado), una radiologia portatile, materiale per
le analisi di laboratorio, un respiratore e materiale di
consumo. E' inoltre emersa la necessità di aggiornamento
professionale per i medici e paramedici, la delegazione
torinese si è impegnata nella ricerca di una soluzione
praticabile.


La distribuzione delle quote delle adozioni e dei regali

Sabato 4, secondo giorno della delegazione a Kragujevac,
è avvenuta la distribuzione dei doni e delle quote delle
adozioni a distanza, presso la sala delle assemblee
nell'edificio principale dello stabilimento. L'evento era
talmente atteso che nelle ore precedenti, sfidando il freddo
del mattino, alcune famiglie si sono presentate nel piazzale
della fabbrica. E' stata l'occasione per i veterani del
progetto di ritrovare vecchi amici e compagni.
Successivamente ci si è riuniti nella sala che a stento
raccoglieva le centinaia di persone in attesa di ricevere il
proprio pacco, il cui contenuto (detersivo, sapone,
shampoo, spazzolino, dentifricio, cioccolate e caramelle,
per un ammontare in euro di 27,42 per pacco, un totale di 187
pacchi per l'ammontare totale di euro 5102,60) era stato
acquistato con i fondi messi a disposizione dal Politecnico
di Torino. Prima della distribuzione i delegati locali hanno
presentato i compagni provenienti dall'Italia e hanno
lasciato loro alcuni minuti per un intervento. Hanno preso
la parola i compagni Rino Lamonaca, delle R.S.U. del
Politecnico di Torino, e Maurizio Poletto, della Camera del
Lavoro di Torino. Smentendo la retorica ed il buonismo
che generalmente permeano questo genere di iniziativa, i
due relatori hanno ribadito il senso di solidarietà di classe
che sta alla base del progetto, sottolineando come il nemico
che bombardò il popolo jugoslavo sia lo stesso che porta
migliaia di lavoratori italiani sulla strada, licenziando e
mercificando il lavoro.
Il senso della festa imminente, la gioia di ricevere un dono
non hanno cancellato dagli occhi dei bambini il ricordo dei
giorni trascorsi nei rifugi, degli ostacoli che la vita pone
quotidianamente sulla loro strada e il marchio indelebile di
un'infanzia negata. I membri della delegazione che si sono
posti in mezzo alla folla hanno potuto percepire la fierezza e
la dignità di un popolo che resiste.


La visita alla città

Kragujevac è una città tipicamente operaia che mantiene
al suo interno realtà uniche.
In Jugoslavia, con buona pace della vergognosa
propaganda di guerra, hanno convissuto e continuano a
convivere differenti etnie, come si può facilmente
comprendere visitando una qualsiasi città e osservando i
volti dei passanti.
Nel tempo libero strappato agli impegni ufficiali, è stato
possibile vistare alcuni tra i quartieri più suggestivi della
città.
Attraversato il piccolo ponte antistante lo stabilimento
Zastava, ci si trova nel centro cittadino costituito da piccole
case in legno, di vaga memoria ottomana, edifici in pietra
tipicamente mitteleuropei dove hanno sede esercizi
commerciali e moderni caseggiati per le residenze popolari.
Lungo il fiume ci si può addentrare in un mercato dove la
convivenza etnica è palese. Dai chioschi si dipanano odori e
suoni che raccontano di una terra ricca di storia e di culture
che si sono affiancate e sovrapposte nei secoli. I volti e
l'abbigliamento dichiarano l'etnia dei venditori e degli
avventori, mescolati nella frenesia quotidiana.
Alle spalle dell'impianto Zastava, su una collina, ha sede
un quartiere di bassi fabbricati unifamiliari con giardino,
che tanto ricordano l'edilizia nostrana del dopoguerra. E' il
quartiere detto dei ROM, in cui lo straniero, nella
fattispecie noi, è accolto con calore e fraternità.
Nuovamente stupisce come, a fronte di tanta povertà,
l'ospitalità rimanga un dovere, anche a costo di sacrifici.
All'esterno di una casa troviamo un ricordo dei
bombardamenti, un cartello con un bersaglio, posto con
senso dell'ironia dal proprietario all'ingresso della propria
dimora.
Dalla parte opposta della città, nei pressi del grande bosco
che vide atroci omicidi per mano dei nazisti, ha sede il
quartiere degli operai, costituito da casermette ad un piano,
in legno, edificate oltre mezzo secolo fa dai tedeschi con
scopi militari. Attualmente vi risiedono centinaia di
famiglie che curano il proprio pezzo di giardino rendendo la
zona piacevole e decorosa., a dispetto dell'attuale
situazione economica. Entrando in una casa abitata da
Serbi si nota il fatto che sia uso lasciare le scarpe fuori
casa, abitudine che denota l'acquisizione di usanze
ottomane e smentisce ogni propagandistica menzogna
sull'odio etnico, là dove la cultura è frutto di un continuo
scambio.
Aggirandoci per la città passiamo davanti ad un
supermercato alimentare, identico ai nostri, con gli stessi
prodotti globalizzati, con la stessa disposizione delle merci
e purtroppo per gli Jugoslavi con prezzi non molto distanti
dai nostri: le merci costano mediamente il 30% in meno,
ma i salari sono 7/8 volte inferiori.


L'avvicinamento

7 compagni della delegazione, tra cui gli scriventi, ha
deciso, sulla via del ritorno in Italia di effettuare una sosta a
Belgrado, dove risiedono compagni e compagne che si
incontrerebbero con piacere e con i quali si è stabilito un
rapporto dai tempi dell'aggressione.
La delegazione raggiunge la capitale nel primo pomeriggio
di domenica 5. Il tempo è diventato nuvoloso e la città ci
accoglie con una foschia che le dona un ulteriore fascino.
Giungendo da sud si attraversano quartieri moderni, di
memoria titina; di colpo, dopo aver varcato un dedalo di
cavalcavia ci troviamo sul viadotto che porta a Novi
Beograd da cui ammiriamo il paesaggio offerto dalla città
storica, costruita su una rocca che domina la confluenza tra
Danubio e Sava.
Un volta trovata la strada giusta (cosa non facile per un
forestiero) giungiamo a casa di Gordana, la compagna che
ci ospita. Rivelando nuovamente uno straordinario senso
dell'ospitalità, inusuale per la nostra cultura individualista
e materialista, ci viene lasciato a disposizione
l'appartamento. Il pomeriggio trascorre in città a
fotografare gli edifici colpiti "per sbaglio" dai missili
intelligenti, i maestosi edifici del centro direzionale,
indelebile memoria di una nazione potente e indipendente,
la via pedonale arricchita di sfavillanti vetrine, simbolo del
miraggio capitalistico. Con dispiacere per i fanatici del
liberismo consumista, pur essendo la vigilia del Natale
Ortodosso (il Natale Ortodosso si festeggia il giorno della
nostra Epifania) i negozi sono chiusi e le strade poco
affollate. A conclusione della nostra permanenza in
Jugoslavia, Gordana ci offre una cena abbondante, con
manicaretti locali per cui ha lavorato un intero pomeriggio;
in un clima di festa trascorre la notte fino a quando, di
primo mattino, giunge il momento di salutare la nostra
amica e compagna belgradese e riprendere la via del
ritorno.


Il rientro in Italia

Scampando miracolosamente alla bufera che il giorno
precedente si era abbattuta in mezza Europa, abbiamo
intrapreso il nostro viaggio di ritorno lungo la dorsale che
collega Istanbul a Trieste. Le terre balcaniche, ingentilite
dal candore della neve, ci hanno offerto spettacoli
indescrivibili, se non attraverso la riproduzione fotografica.
Oltrepassato il confine con la Croazia l'autostrada si riduce
ad una strada a due corsie, non sgombrata dalla neve e
trascurata, fino ai primi insediamenti croati, come a volere
marcare il confine. La segnaletica e la toponomastica sono
state ripulite di ogni termine che ricordi la convivenza
passata e l'esistenza di una nazione ancora chiamata
Jugoslavia.


La Jugoslavia, accusata per oltre un decennio dalla
propaganda come fautrice di odio e pulizia etnica,
conserva al suo interno un patrimonio multietnico e
multiculturale ineguagliabile da nessuno stato nazione
europeo e, invece, proprio chi muoveva queste infamie
al popolo Jugoslavo, ha promosso e praticato la pulizia
etnica e la divisione dei territori balcanici per etnia e
religione.


Torino 13 gennaio '03
Rino e Simone - <teodoro.lamonaca@...>

La differenza dei calendari ci ha dato l'opportunità di prolungare le
feste!

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia
CSO La Fucina
Ass. Serbi del Nord Italia

Vi invitano a festeggiare insieme a noi il
CAPODANNO SERBO 2003!!!

Quando?
Ovviamente, il 13 gennaio 2003, dalle ore 21

Dove?
Naturalmente, alla "FUCINA", Via Falck 44, Sesto San Giovanni
MM1 Sesto Rondò o MM1 Sesto F.S.

Il principio è "ognuno porta qualcosa", se no... va bene lo stesso,
ci sarà da mangiare e bere + la musica balcanica e non

Buon anno!

---

Razlika u kalendarima nam daje priliku da produzimo praznike!

Narodni Centar "La Fucina", Udruzenje Srba Severne Italije i
Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju
pozivaju Vas da zajedno proslavimo
Srpsku Novu Godinu!!!

Kada?
Naravno, 13-og januara 2003, od 21h

Gde?
Kao i uvek, u "FUCINI", Via Falck 44, Sesto San Giovanni (Mi)
MM1 Sesto Rondò ili MM1 Sesto FFSS

Vece je po principu "svako nek' nesto donese", ako ne, svejedno je,
bice po nesto za svakoga: hrana, pice + nasa i ostala muzika.

Srecna Nova godina!

Da Boris Bellone riceviamo e volentieri diffondiamo:

---

Stimati Redattori di "Luna Nuova"
p.c.
Dialogo in valle
La Repubblica
La voce del GAMADI

L'anno scorso avete gentilmente pubblicato una mia lettera che
riportava un articolo di un giornale locale sloveno (riportato dalla
rivista "la voce del GAMADI" di Roma a cura di Miriam Pellegrini
Ferri, partigiana) riguardo ad un commento infelice del presidente
Ciampi su improbabili colpe di genocidio di italiani da parte
dell'esercito jugoslavo vincitore in Slovenia.
Quella lettera ha provocato la reazione di alcuni lettori che
probabilmente sognano ancora il Terzo Reich e, per fortuna, la
contro risposta di democratici e ex partigiani.
Se mi permettete, vorrei proporvi un altro articolo, questa volta
tratto dal numero di dicembre de "L'antifascista", mensile
dell'ANPPIA, dal titolo:

LA SLOVENIA A FERRO E FUOCO
Di Silvio Poletto

"Lo storico Marco Cuzzi ha svolto una ricostruzione storica
obiettiva nel volume "L'occupazione italiana della Slovenia 1941-
1943" edito nel 1998 dallo Stato Maggiore dell'Esercito-Ufficio
Storico.
60 anni fa, il 31 luglio, Mussolini ebbe una riunione con i generali
Cavallero, Roatta e Ambrosio circa la situazione in Slovenia e nelle
zone adiacenti la provincia. L'intervento del duce fu riportato da
Cavallero nel suo diario. La riunione si svolse a Gorizia.
Una delle poche considerazioni di Mussolini sulla provincia di
Lubiana: "Dopo lo sfacelo della Jugoslavia ci siamo ritrovati sulle
braccia la metà di una provincia e, bisogna aggiungere, la metà più
povera. I germanici ci hanno comunicato un confine: noi non potevamo
che prenderne atto. Aprile 1941. Inizialmente le cose parvero
procedere in modo migliore. La popolazione considerava il minore dei
mali di essere sotto la bandiera italiana… Il 22 giugno con l'inizio
delle ostilità con la Russia, questa popolazione che si sente slava
si è sentita solidale con la Russia. Da allora tutte le speranze
ottimistiche tramontarono.
"Anche nella Slovenia tedesca le cose non andavano bene- continuò
Mussolini. Io penso che sia meglio passare dalla maniera dolce a
quella forte piuttosto che essere obbligati all'inverso… Non temo le
parole. Sono convinto che al terrore dei partigiani si debba
rispondere con il ferro ed il fuoco. Deve cessare il luogo comune
che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri
quando occorre… Questa popolazione non ci amerà mai".
Il duce fu senza pietà: "Non vi preoccupate del disagio economico
della popolazione. Lo ha voluto… Non sarei alieno dal trasferimento
di masse di popolazione".
Il 31 luglio 1942 ero in Piazza Cesare Battisti, con le maestranze
della fabbriche- precettate per l'evenienza- con Sangalli, Caron, De
Giacomi, Spada, Ghirighelli, Gualdi, Cefis, Raffin del Cotonificio e
quelli delle altre aziende. Già da quel periodo una resistenza
passiva prendeva avvio di fronte alle assurde teorie dei capi del
fascismo.
E la Resistenza attiva, già consolidata fra gli sloveni, si
profilava nelle file degli italiani, con l'obiettivo di porre fine
alle avventure militari in cui era stata trascinata l'Italia. Quella
giornata rappresenta una condanna storico-morale della politica
fascista e una indicazione del necessario riscatto dei popoli per
sconfiggere Hitler e i suoi alleati".


Lo stesso numero de "L'antifascista" ospita un articolo di Paolo
Bagnoli su "la falsa retorica sui caduti di El Alamein" dal
titolo "Tutti uguali davanti alla morte, non davanti alla storia",
dove si lamenta e si condanna il tentativo di Tremaglia (e il poco
chiaro discorso di Ciampi), appellatosi al subdolo concetto di
pacificazione, di revisionare la realtà per riabilitare il regime
mussoliniano e rivisualizzarlo nella nostra vita comune in termini
positivi.
Ho visitato recentemente, insieme ai miei alunni di terza media, la
mostra sulla Resistenza dedicata a Bruno Carli e allestita a cura
del prof. Richetto al liceo scientifico di Bussoleno. Dopo questa
visita capisci che la Storia non può essere cambiata per far piacere
al primo governo - dell'Italia democratica - esplicitamente di
estrema destra (speriamo passeggero).
Mamma Carli non lo permetterà, finché ci saranno professori come
PierLuigi Richetto e giovani studenti che vogliono sapere!

Cordialmente
Boris Bellone

Da: Gian Che Dice?
Su: IRAQ: Spie, spioni e controllori (in)controllati
Inviato: 09/01/2003 12:14




IRAQ: Spie, spioni e controllori (in)controllati

Qualche giorno or sono Saddam Hussein durante una delle
frequenti dirette televisive annuncia la presenza di spie
americane tra gli ispettori delle nazioni unite; qualche
giornalista ha ritenuto le dichiarazioni di Saddam 'movente' che
spiega la crescita del contingente Usa nell'area irachena.
Inutile dire che il contingente è in crescita da mesi e che i
soldati ripresi dalle telecamere sono già dislocati nella
regione, sarebbe forse chiedere criticità agli scriba....

Ma anche sulle spie c'è molto da dire, tra i duecento
controllori c'è già qualche spia e ce lo spiega il Gazzettino (1).
A seguire, la storia di una spia tra i controllori di una precedente
missione 'pacificatrice' finita tragicamente, la storia
di William Walker (2), probabile spia della Cia e a tempo
perso capo commissiario in Albania nel 1998. Seguono le
dichiarazioni di Scott Ritter (3), ex controllore per
gli armamenti dell'Onu che accusa Richard Butler (l'ex
capo delegazione) di essere al soldo degli Stati Uniti....
nella missione di 'pace' ancora precedente...

=

Buone letture
=

Gian.


*1*

Il Gazzettino, Martedì 7 Gennaio 2003

Centocinquanta uomini dell'intelligence e delle forze speciali già in
azione in territorio nemico per aprire la strada all'intervento delle
truppe

Infiltrati della Cia in guerra da quattro mesi
Hanno il compito di individuare le rampe dei missili Scud e di
segnalare ai caccia i sistemi di contraerea

New York
NOSTRO SERVIZIO

Secondo la stampa americana la guerra in Iraq è già iniziata. Dopo
che da diverso tempo i media britannici avevano parlato di
infiltrazioni dell'intelligence straniera nel Paese, ieri la conferma
è arrivata anche da un quotidiano americano. Il Boston Globe, citando
fonti anonime bene informate, ha scritto che almeno un centinaio di
uomini delle forze speciali americane e una cinquantina di agenti
della Central Intelligence Agency, la Cia, starebbero operando
all'interno dell'Iraq da almeno quattro mesi. Anche se il giornale non
fornisce dettagli sulla collocazione geografica delle squadre speciali
americane (è molto probabile che da tempo l'intelligence Usa sia
presente nel Nord e nel Sud del paese e cioè nelle cosiddette zone di
non volo) per la prima volta si fanno dei numeri, si spiega in
dettaglio cosa starebbero facendo e viene aggiunto un particolare
clamoroso: secondo John Donnelly, l'autore dell'articolo sul Globe, vi
sarebbero infatti come appoggio anche alcuni commando britannici e
australiani e persino giordani.
Particolare clamoroso perché non solo confermerebbe come definitivo e
operativo il ruolo dell'Australia, che si è già molto esposta su un
eventuale aiuto nel possibile conflitto in Medio Oriente, ma per la
prima volta darebbe un ruolo di primo piano a un alleato arabo, per di
più vicino di casa dell'Iraq .

Secondo il quotidiano di Boston, gli operativi avrebbero il compito di
individuare le rampe dei missili Scud - gli unici che possono dare
fastidio agli aerei americani - tenere sotto controllo i siti
petroliferi e fare una mappatura dei terreni minati. Inoltre, gli
agenti segreti utilizzerebbero segnali laser per consentire ai veivoli
che sorvolano le no-flight zone di individuare i sistemi di contraerea
iracheni, consentendo la loro eliminazione. Il Globe sostiene che le
fonti non hanno collegato direttamente il lavoro delle squadre
speciali a quello degli ispettori Onu, che il 27 gennaio consegneranno
all'Onu il loro rapporto sugli armamenti dell'Iraq , ma non ha escluso
un lavoro in "parallelo". Che consentirebbe agli ispettori di fruire
di informazioni su siti sospetti sfuggiti al loro controllo.
L'affermazione è di una certa gravità e, se provata, confermerebbe le
accuse lanciate dal rais contro gli ispettori dell'Onu, accusati di
condurre un lavoro di intelligence che esula dal loro mandato e di
essere in sostanza delle spie. Richiesto di commentare le notizie
raccolte dal quotidiano, Timur J. Eads, un ex ufficiale delle forze
speciali statunitensi che prese parte alla guerra del Golfo nel '91,
ha spiegato che «stiamo praticamente bombardando ogni giorno mentre
pattugliamo le no-fly zone, mettendo fuori gioco le batterie di difesa
irachene. Penso che questo si possa chiamare l'inizio di una guerra».


Emanuele Giordana

http://www.gazzettino.it/main.php3?Luogo=Main&Pagina=3&Data=2003-1-7
=


*2*

[Il 15 gennaio 1999...] William Walker, il capo della missione Osce
(Kvm) incaricata da metà di ottobre 1998 di verificare l'applicazione
del cessate il fuoco tra serbi e kosovari concordato tra Milosevic e
Holbrooke, si recò sul luogo in tarda mattinata e convocò per il
giorno stesso una conferenza stampa, in cui affermò di aver trovato "i
corpi di oltre venti uomini che erano stati chiaramente giustiziati là
dove giacevano (...) Tutti erano in borghese; tutti apparivano come
umili abitanti del villaggio". Walker definì l'episodio "un massacro,
un crimine contro l'umanità" e non esitò ad attribuirne la
responsabilità alle truppe serbe, chiedendo l'intervento dell'allora
procuratore capo del Tribunale internazionale dell'Aja, la canadese
Louise Arbour [...]
L'esca di Racak - TIZIANA BOARI
"Il Manifesto" del 15/4/2000
=

Il massacro di Racak viene smentito il 21 gennaio del 1999 da
osservatori internazionali e dal quotidiano francese Le Monde.


Chi è William Walker, capo della missione "Kosovo Verification
Mission" dell'"Organization for Security and Cooperation in Europe
(OSCE)"

Un falco dietro alla politica statunitense sul Kosovo

L'ambasciatore Walker ha nascosto i massacri veri, in Salvador
Di Gary Wilson

Quando i media statunitensi hanno incominciato a riferire che un
massacro ha avuto luogo il 14 gennaio nella provincia jugoslava del
Kosovo, per le informazioni la maggior parte di loro si e' affidata
alle dichiarazioni dell'ambasciatore americano William Walker. A detta
di Walker, gli aereoplani da guerra USA-NATO potrebbero cominciare a
bombardare questo piccolo paese, che ha gia' visto la gran parte del
territorio venire strappata negli ultimi anni.
E' importante che il mondo sappia chi e' Walker: un veterano del
Dipartimento di Stato americano che diresse la sporca guerra contro El
Salvador ed il Nicaragua negli anni Ottanta, mentendo su ogni aspetto
di essa. Walker, che e' adesso il capo del team di ispezione imposto
dalla NATO in Kosovo, ha detto di aver visionato il sito del presunto
massacro ed ha dichiarato di conoscere tutti i fatti. Egli e' stato
contemporaneamente accusatore, corte e giudice. Nemmeno un procuratore
distrettuale di una qualche cittadina degli Stati Uniti potrebbe fare
una simile dichiarazione cosi' baldanzosamente. Innanzitutto il
colpevole - le prove dopo...
Il governo jugoslavo ha ordinato l'espulsione di Walker. I media
statunitensi hanno detto in coro che questa decisione mirava a
nascondere cio' che era veramente successo. Ma questo e' capovolgere
la realta' da cima a fondo. E' stato Walker ha rilasciare
dichiarazioni prima che i fatti potessero essere appurati. Pertanto
egli ha fatto in modo che la versione di Washington su cio' che era
successo diventasse la versione ufficiale. Ecco la vera copertura.

Chi e' l'ambasciatore Walker? E' lui il Richard Butler del Kosovo,
come ormai tanti nei Balcani ritengono?
Butler, un australiano attivo come capo della forza di ispezione delle
Nazioni Unite in Iraq, ha lavorato in segreto per i servizi militari e
di intelligence degli USA. Membri del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite lo hanno persino accusato di aver costruito il suo
ultimo rapporto, allo scopo di adempiere alle necessita' di Washington
giustificando la campagna di bombardamenti del Pentagono contro
l'Iraq, a dicembre.
Walker guida un team di ispezione della NATO in Kosovo. Da chi e'
composto il team?
"In numero consistente sono quelli con un retroterra militare; un po'
di meno, ma comunque tanti, vengono dai corpi di polizia", ha detto
Walker ad una conferenza stampa al Dipartimento di Stato l'8 gennaio
(trascrizione ufficiale, US Information Service). Quando gli e' stato
chiesto se il team in Kosovo non fosse altro che un team di spie, come
il gruppo USCOM in Iraq, Walker ha replicato: "Spero che ciascuno dei
componenti della mia missione cerchi di raccogliere quanta piu'
intelligence gli sia possibile".
Rispondendo ancora alla domanda: "Trasmettera' a Washington le
informazioni raccolte?", Walker ha detto: "Molte di queste
ritorneranno a Washington, ma servono a tutte le capitali [dei paesi
NATO]". Suona un po' come quello che e' successo in Iraq...
Walker e' forse uno di cui ci si puo' fidare che dira' la verita' su
cio' che sta avvenendo in Kosovo? Oppure la sua storia passata
dimostra che e' il "patron" delle bugie e delle coperture politiche?
Di solito Walker viene dipinto come un diplomatico di carriera dai
mezzi di informazione statunitensi, il quale sarebbe ora stato
assorbito dalla palude balcanica. Ma la realta' non e' proprio questa.
Walker ha fatto una lunga carriera nel Dipartimento di Stato
americano. Bisogna vedere in che modo, per capire quello che sta
facendo oggi.

Collaboratore di Eliot Abrams e Oliver North

Walker ha cominciato la sua carriera diplomatica in Peru' nel 1961.
Nel 1985 e' stato designato assistente segretario di Stato per
l'America Centrale. E' stato un uomo-chiave della operazione della
Casa Bianca reaganiana per buttar giu' il governo nicaraguense,
operazione guidata dal Col. Ten. Oliver North e dall'assistente
segretario di Stato Eliot Abrams. Walker e' stato assistente speciale
di Abrams, secondo le accuse rivolte dal legale indipendente Lawrence
Walsh presso la Corte distrettuale statunitense. Secondo le
registrazioni della corte, Walker e' stato il responsabile della
istituzione di una pseudo-operazione umanitaria all'areoporto di
Ilopango, nel Salvador. Questa era segretamente usata per far passare
armi, munizioni e rifornimenti ai mercenari "contra" che attaccavano
il Nicaragua.
Il legale Walsh ritenne che Walker fosse uno degli uomini-chiave nelle
operazioni di Oliver North, stando agli atti del processo.
In seguito, dal 1988 al 1992, Walker e' stato ambasciatore USA nel
Salvador. Era il periodo in cui gli squadroni della morte facevano il
bello ed il cattivo tempo.
Molti dei componenti di questi squadroni erano addestrati alla "Scuola
delle Americhe" [SOA] di Fort Benning, vicino Columbus, Ga., che fa
capo all'esercito statunitense.

La 'partecipazione silenziosa' all'assassinio dei gesuiti

Un documento presentato lo scorso 16 Novembre dagli antimilitaristi ad
una protesta all'esterno della "School of Americas" forniva dettagli
su uno dei massacri: "Il 16 novembre 1989 un gruppo di uomini armati
del battaglione militare salvadoregno di Atlacatl, la maggiorparte dei
quali formatisi alla SOA, irrompevano nel dormitorio della Universita'
del Centroamerica Jose Simeon Canas, tra le 2:30 e le tre del mattino.
Buttavano giu' dai loro letti sei preti e li uccidevano con un colpo
alla testa. Poi uccidevano il cuoco dei seminaristi e la sua figlia
quindicenne". I preti erano ritenuti simpatizzanti dell'esercito di
liberazione, che combatteva contro il governo appoggiato dagli USA. I
gesuiti accusarono Walker di essere stato un "partecipante silenzioso"
al massacro (*).
Anni dopo, il 6 maggio 1996, Walker era a Washington a condurre una
cerimonia per onorare i 5000 soldati americani che avevano combattuto
in segreto nel Salvador. Al tempo in cui Walker era ambasciatore, la
versione ufficiale era che in Salvador ci fossero solamente 50
"consiglieri" militari USA ("The Washington Post", 6 maggio 1996).

Un bugiardo professionista

Dunque Walker non e' uno abituato a dire la verita'. Onestamente non
potrebbe essere caratterizzato come un'osservatore indipendente o un
partigiano dei diritti umani. Probabilmente nel Kosovo ha rispolverato
i suoi vecchi trucchi. Stavolta, le sue azioni sono a sostegno di un
diverso esercito "contra", vale a dire l'"Esercito di Liberazione del
Kosovo" [UCK]. Alcuni giornali europei hanno cominciato ad alludere
alla NATO come "aviazione dell'UCK".
Le azioni di Walker sono chiaramente intese a destabilizzare il
governo jugoslavo. Le sue affermazioni potrebbero essere utilizzate
per giustificare un attacco militare della NATO, se il governo USA si
decide a tanto.
Il 12 gennaio, tre alte personalita' jugoslave, tra le quali un
importante oppositore del governo di Slobodan Milosevic, hanno tenuto
una conferenza stampa per rendere noto un documento della CIA sui
piani USA di sbarazzarsi di Milosevic. Secondo il documento, 35
milioni di dollari sono stati versati ai gruppi di opposizione in
Jugoslavia. Il senato USA ha passato una legge che chiede la caduta di
Milosevic. Una vera guerra e' stata dichiarata contro il governo
jugoslavo. Il cosiddetto Esercito di Liberazione del Kosovo, che ha
adottato l'uniforme degli occupatori fascisti della regione durante la
II Guerra Mondiale, ha il sostegno degli Stati Uniti, della Germania e
di Israele. Alla notizia del presunto massacro, l'esponente della
destra israeliana Ariel Sharon ha scritto una dichiarazione che e'
stata approvata dal Parlamento, nella quale si condanna il governo
jugoslavo e si chiede la sua dismissione.
Nessuno si faccia prendere dalla momentanea isteria dei mass-media: la
verita' su quello che e' avvenuto nel villaggio kosovaro di Racak
probabilmente non la sapremo mai. L'UCK ha impedito alla squadra dei
medici legali jugoslavi di visitare il luogo o di esaminare i corpi
prima delle dichiarazioni di Walker. La storia data in pasto al mondo
e' passata attraverso Walker ed il suo team di "esperti" militari.

---

(*) Ecco come il reverendo Santiago descrisse le violenze del
battaglione Atlacatl, che causarono circa 9000 vittime: "People are
not just killed by death squads in El Salvador - they are decapitated
and then their heads are placed on pikes and used to dot the
landscape. Men are not just disemboweled by the Salvadoran Treasury
Police; their severed genitalia are stuffed into their mouths... It is
not enough to kill children; they are dragged over barbed wire until
the flesh falls from their bones, while parents are forced to watch."
(n.d.crj)

dal numero del 28/1/1999 di "Workers World",
diffuso da Coordinamento Romano per la Jugoslavia martedì 2 febbraio
1999 13:59


*3*

Da una intervista a Scott Ritter ( Ispettore per gli armamenti dal
1991 al 1998 per la commissione per il disarmo in iraq - UNSCOM) di
Stefano Liberti e Tommaso di Francesco per il manifesto :

<<[...] Lei ha accusato Richard Butler, ex capo degli ispettori, di
aver provocato a bella posta la crisi del 1998 che ha portato
all'operazione Volpe del deserto. Chi è Butler?
- Richard Butler è un diplomatico australiano con un passato da
politico. Quando ha guidato il team delle ispezioni ha sfacciatamente
lavorato su indicazione di autorevoli esponenti del Dipartimento di
stato Usa per ottenere un casus belli. D'altronde la sua era una
posizione molto particolare. Bisogna infatti sapere che il capo degli
ispettori non è pagato dall'Onu, ma dal suo paese d'origine. Quando
Kofi Annan ha nominato Butler, il governo australiano ha dato il suo
assenso ma ha detto che non avrebbe pagato. Per far fronte
all'ostacolo, si è quindi trovato un escamotage: gli Usa avrebbero
versato all'Australia il denaro necessario per il salario di Butler.
Una manovra torbida, che ha sollevato un vero e proprio scandalo
quando è diventata di dominio pubblico.>>

1. Indagine epidemiologica sugli italiani presenti in
Bosnia-Erzegovina e Kosovo
2. A Firenze la prima udienza per gli incidenti al Consolato USA
(13/5/1999): una iniziativa in sostegno agli accusati


=== 1 ===

--- In Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., "Corrado Scarnato" ha scritto:

Sulla Gazzetta Ufficiale di oggi [3/1/2003] e' stato pubblicato
l'accordo tra Governo e Regioni per l'effettuazione dell'indagine
epidemiologica sugli italiani presenti in Bosnia-Erzegovina e Kosovo
dal 1994 ad oggi.

L'analisi e' rivolta, in forma volontaria, a militari e civili.
Serve a verificare se ci sono state esposizioni indebite alla salute,
e se pur non citato nell'accordo, si riferisce a quelle ad uranio
impoverito (DU).

Sara' compito delle regioni promuovere la partecipazione di quanti si
trovino nelle dovute condizioni.

Chiunque abbia svolto compiti di volontariato civile puo' partecipare
a questa campagna di monitoraggio.

Chi e' interessato a ricevere copia dell'accordo puo' scrivermi
direttamente (la rete non accetta allegati).

A presto

ACCORDO 30 maggio 2002

Accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento
e di Bolzano, sul protocollo operativo dell'indagine sulle condizioni
sanitarie dei cittadini italiani che hanno operato nei territori della
Bosnia-Herzegovina e del Kosovo. (GU n. 1 del 2-1-2003)


---------------------------------------------------------------
Corrado Scarnato
AUSL città di Bologna
Dipartimento di Sanità Pubblica
Via Gramsci, 12 - 40121 Bologna
tel. e fax 051-6079849
e-mail: corrado.scarnato@a...

------------------------------------------------------------

--- Fine messaggio inoltrato ---


=== 2 ===

Il 10 gennaio si terrà a Firenze la prima udienza a carico di 15
compagni per gli incidenti sotto il consolato USA in occasione della
manifestazione e sciopero generale dei sindacati di base durante la
guerra in Yugoslavia.
Oggi come allora, senza esserne usciti, viviamo in uno stato di guerra
permanente più o meno latente, di cui la repressione rappresenta il
fronte interno, lo strumento con cui la borghesia occidentale "deve"
affrontare i suoi antagonisti, ed in primis il suo antagonista
storico: il proletariato e le sue rivendicazioni politiche e sociali.

Sabato 11 Gennaio

ore 20.30 Cena di solidarietà per le spese legali

nella serata:
video sulle manifestazioni contro il Carcere Speciale di
Voghera
video scontri consolato 13 maggio 99
video repressione Praga, Napoli, Nizza

Mostra sulla repressione: dalla legge Reale ad Oggi, dal
Carcere Speciale al 41 bis

Centro Popolare Autogestito Firenze Sud
Via Villamagna 27a

Una strategia per obbligare gli sloveni ad aderire alla NATO

La Slovenia deve entrare nella NATO, volente o nolente. I parlamentari
sloveni, sottoposti a pressioni spaventose da parte dei poteri
euroatlantici, pensano allora di indire un referendum in fretta e
furia. Maggioranza ed opposizione stanno correndo contro il tempo per
far passare una legge che attribuisca un significato vincolante (non
solo consultivo) ai risultati di tale referendum.
Come e' noto, la popolazione slovena e' ben poco entusiasta della
eventualita' di un inglobamento nella NATO, ed e' previsto che in caso
di aggressione contro l'Iraq l'"indice di gradimento" della NATO sia
destinato a crollare ulteriormente. Il referendum sara' pertanto
accompagnato da una campagna mediatico-psicologica pesantissima, e
dovra' svolgersi prima dell'inizio dello sterminio del popolo iracheno
per essere vinto a tutti i costi, anche se "per il rotto della
cuffia", con un "SI" a favore della NATO. Per mischiare le acque e
confondere i votanti e' possibile che contestualmente gli sloveni
siano chiamati anche ad esprimersi sull'ingresso nella UE. (I. Slavo)



Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.

Date: Wed, 8 Jan 2003 21:55:41 -0800 (PST)
From: Rick Rozoff


http://www.ptd.net/webnews/wed/cg/Qslovenia-nato.R3M9_DJ8.html

Slovenia's parliament to pass law for NATO referendum


-[T]he government was seeking to hold a referendum as
soon as possible, fearing that an eventual US
intervention against Iraq could provoke a drop in
public support for NATO membership.
Public support for NATO membership is the lowest in
Slovenia among all the countries that have been
invited to join.




LJUBLJANA, Jan 8 (AFP) - Slovenia's parliament is to
pass a law to make a referendum in the former Yugoslav
republic on joining NATO binding on the government,
Slovenia's parliamentary speaker Borut Pahor said in
Ljubljana on Wednesday.

According to current law, such referendums are not
binding on government or parliament but the opposition
wants this changed, while the government is anxious to
have the vote by the end of March.

"We will try to bridge the differences between the
government, which wants the NATO referendum to be held
by March 30, and the opposition, which wants the
referendum to have a mandatory character - through a
special law on NATO accession," Pahor said after a
meeting of the parliamentary party leaders.

At its summit in Prague in November, NATO invited
Slovenia and six other former communists countries to
join the Alliance by 2004. An accession agreement is
expected to be signed in April.

Slovenia's government on Monday urged parliament to
call a referendum on NATO membership for early
February or, at the latest, on March 30.

"I would like to warn that our time is running out and
I personally grant you that we will carry out the
referendum by the end of March or the beginning of
April," Prime Minister Anton Rop said the following
day.

But the opposition objected that a referendum with
only an advisory character could be ignored by the
government if it [the parliament] decided against
joining NATO.

The newspaper Delo said in a comment Wednesday said
the government was seeking to hold a referendum as
soon as possible, fearing that an eventual US
intervention against Iraq could provoke a drop in
public support for NATO membership.

Public support for NATO membership is the lowest in
Slovenia among all the countries that have been
invited to join.

The government has also considered holding a
referendum on joining the European Union at the same
time as the NATO vote, but no decision has yet been
made.

Slovenia is among 10 candidate countries slated to
join the EU in 2004.

Date: Tue, 7 Jan 2003 04:26:14 -0800 (PST)
From: Rick Rozoff
Subject: One Month In NATO, Germans Dragoon Slovenes Into Afghan War

http://www.tol.cz/look/BRR/article.tpl?IdLanguage=1&Id
Publication=9&NrIssue=1&NrSection=1&NrArticle=8193

Transitions Online
(Open Society Institute)
January 6, 2003

NATO Beckons
By Ales Gaube

-The Slovenian daily Delo...says the army has already
received the informal hint to prepare for the mission
even though a final political decision has not been
reached.
-The ZLSD Youth Forum fears that Slovenian soldiers
might be used in combat operations against the
remaining Taliban forces that still control part of
Afghanistan. Luka Juri, head of the Youth Forum, said
on 30 December that the invitation for Slovenian
troops to join the ISAF is only the first of many
foreign policy and military tests that Slovenia will
be subjected to because of its new NATO membership.
Juri also said that he was disappointed that the
government intends to decide the issue without a
public discussion. He said that the public would have
no say in whether or not to send troops to
Afghanistan, where they would be “satisfying U.S.
interests and acting in contradiction to efforts for
international stability and development.”





LJUBLJANA, Slovenia--Only a month after Slovenia was
invited to join NATO at the alliance’s Prague summit,
the country’s willingness to cooperate in
international peace missions is being put to the test
with Germany’s request that Slovenia take part in the
International Security Assistance Force (ISAF) in
Afghanistan. Germany will take over the ISAF III
mission in mid-February.

Though the government has yet to make a final decision
on whether or not to send troops to war-torn
Afghanistan, the Slovenian Defense Ministry on 28
December did confirm that it is still inspecting the
possibility of a small-scale contribution to the
peacekeeping mission there. The Slovenian daily Delo,
however, says the army has already received the
informal hint to prepare for the mission even though a
final political decision has not been reached.

To some degree, Slovenia has already been involved in
the mission in Afghanistan--albeit from a safer
distance. In 2000 it sent humanitarian aid to
Afghanistan, and late last year it sent weapons that
the Slovenian army no longer needed, equipping Afghan
security forces with 1,800 guns, ammunition, and
explosives.

“If a decision to participate is made, only a small
unit of the Slovenian armed forces would be sent to
Afghanistan, performing its duties under the auspices
of a larger contingent,” Defense Ministry
representative Uros Krek told TV Slovenia on 28
December.

The Slovenian unit would probably be used to maintain
security in the Afghan capital of Kabul and the
surrounding area. The Slovenian soldiers would also
likely assist the temporary Afghan government in
setting up national security structures, rebuilding
the country, and training future security forces, the
ministry representative explained.

The busy holiday season for the most part kept
politicians from commenting on the issue to the local
media. Only the youth wing of the Unified List of
Social Democrats (ZLSD) coalition party was publicly
skeptical about the possibility of Slovenian soldiers
heading to Afghanistan. The ZLSD youth wing, however,
is known for its staunch opposition to Slovenia’s
membership in NATO. The party itself has supported
Slovenia’s bid to enter the alliance.

The ZLSD Youth Forum fears that Slovenian soldiers
might be used in combat operations against the
remaining Taliban forces that still control part of
Afghanistan. Luka Juri, head of the Youth Forum, said
on 30 December that the invitation for Slovenian
troops to join the ISAF is only the first of many
foreign policy and military tests that Slovenia will
be subjected to because of its new NATO membership.

Juri also said that he was disappointed that the
government intends to decide the issue without a
public discussion. He said that the public would have
no say in whether or not to send troops to
Afghanistan, where they would be “satisfying U.S.
interests and acting in contradiction to efforts for
international stability and development.”

It would not be the first time the Slovenian army has
stepped beyond the Balkans for peacekeeping efforts.
Currently, Slovenia is participating in the
peacekeeping mission in Bosnia and Herzegovina and in
the tense Yugoslav province of Kosovo. Slovenian
forces have been sent to join the United Nations
peacekeeping forces in Cyprus, as well as to the UN
Truce Supervision Organization that is monitoring the
cease-fire on the borders of Israel, Syria, and
Lebanon. It is also widely believed that Slovenia will
be invited to participate in a possible stabilization
force following what many fear to be the imminent war
in Iraq.