Informazione

[Una facile ricerca internet sul "Pane di Sant'Antonio" ci ha consentito di risalire ai seguenti documenti, tuttora leggibili online. Li riportiamo all'attenzione di tutti, credendo di fare cosa utile anche ai tanti cattolici e religiosi onesti, che insieme a noi condividono il ripudio della guerra senza "se" e senza "ma". CNJ]

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http://www.diario.it/cnt/articoli/INVIATI/articolo33.html

"Diario" da mercoledì 19 a martedì 25 maggio 1999

I Nostri Inviati tra gli «Amici» dell'Uck


La Caritas modello bresciano

Una storia in cui, incredibilmente, convivono veri frati, falsi volontari e incalliti mercanti d'armi. Tutti vecchie conoscenze

di Luca Rastello
Milano

Pane amaro, marcio pane di sant'Antonio. Strano che nessuno ricordi questa sigla: «Il pane di sant'Antonio», nota copertura di traffici mortali nella guerra di Bosnia. Di solito la si trova in calce a un simbolo apparentemente pacifico con la croce e le spighe, già macchiato di sangue italiano: il
sangue di Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni, assassinati il 29 maggio del 1993 sulla strada che da Gornji Vakuf porta a Novi Travnik, nella Bosnia centrale. Eppure ancora oggi, quando «Il pane di sant'Antonio» si ripresenta sulle banchine del porto di Ancona con il suo consueto carico di morte,
sembrano cadere tutti dalle nuvole, a cominciare dai volontari della Caritas, che manifestano sorpresa e indignazione per l'uso indebito delle loro insegne da parte dei trafficanti.
Anche l'usurpazione del nome Caritas, però, non è una assoluta novità, come sanno molto bene dalle parti di Brescia, capitale italiana della produzione d'armi e, nello stesso tempo, degli aiuti umanitari.
I fatti, quelli recenti: il 12 aprile scorso, tre grandi camion con le insegne Caritas, provenienti da Sarajevo e diretti a Scutari, in Albania, vengono fermati dalla guardia di finanza italiana al porto di Ancona. È un controllo casuale, dovuto in larga parte al ritardo nelle operazioni di carico della motonave diretta a Durazzo su cui i Tir devono essere imbarcati: i militari italiani quasi non credono ai loro occhi davanti all'arsenale che salta fuori sotto le merci, peraltro avariate, catalogate come aiuti umanitari. Due dei tre camion sono stati modificati per nascondere in appositi tramezzi uomini e armi, e dietro le patate in germoglio e il mangime per polli scaduto, spuntano cose come missili anticarro e antiaereo, mortai, lanciagranate, un cannone senza rinculo, ma anche valigette per puntamento e innesco di ordigni elettronici a distanza: trenta tonnellate di sofisticatissime attrezzatur per la produzione di morte che viaggiano con i documenti dell'associazione «Il pane di sant'Antonio», organo
esecutivo per gli aiuti umanitari della Caritas francescana di Sarajevo.
«Siamo stati ingannati», dice Silvio Tessari, uno dei responsabili Caritas che dall'Albania aveva telefonato al porto di Ancona sollecitando lo sdoganamento del convoglio: «Il marchio su quel camion è solo un'imitazione. Se qualcuno se ne appropria commette un atto illegale di cui non siamo responsabili».
Solo che non è la prima volta.

LA BRAVA GENTE E I FRATI.
I fatti, quelli antichi: «Il pane di sant'Antonio» è l'organizzazione diretta dal frate croato Bozo Blazevic
che si occupa di smistare gli aiuti umanitari in Bosnia centrale nel corso della guerra croato-musulmana del 1993. Centro logistico delle operazioni di Blazevic e compagni è la Caritas francescana di Spalato, diretta da padre Leonard Orec, dove arrivano i convogli dall'estero, in massima parte dall'Italia. «Il pane di sant'Antonio» ha un suo agente di collegamento in Italia: la signora Spomenka
Bobas, residente a Modena. Proprio Spomenka viene in contatto con un gruppo di preghiera costituitosi a Ghedi (Brescia) intorno alla figura di Giancarlo Rovati, industriale di grande prestigio nella zona che si pone il problema di intervenire in soccorso delle vittime di guerra. È la fine del 1992, il gruppo di Rovati conta cinque o sei membri, ma la volontà è forte e i mezzi non mancano: il contatto con Spomenka e i francescani d'Erzegovina fornisce l'occasione per il salto di qualità: «Grazie all'appoggio dei frati», raccontava Rovati, «eravamo in grado di servire, viaggiando ogni settimana, oltre sessanta località in Bosnia centrale». È l'inizio della primavera del 1993, le Nazioni Unite
considerano la Bosnia centrale «zona instabile», eufemismo che copre i più spaventosi massacri di quegli anni, e hanno sospeso i loro convogli in quell'area.
Rovati e compagni con il pane di sant'Antonio viaggiano invece al ritmo di venti Tir la settimana. L'associazione si chiama «Caritas di Ghedi». Attenzione: non Caritas, sezione di Ghedi ma, come se fosse tutto attaccato, «Associazione Caritas di Ghedi».
«No», dice don Alberto Nolli, allora responsabile della Caritas di Brescia, «non erano Caritas, ma era brava gente e permettevamo loro di usare quel nome. Sa, a quel tempo era un po' come un lasciapassare, aiutava...». Ecco come fu che il nome dell'associazione di Rovati dovette cambiare. Il 29
maggio del 1993 un piccolo convoglio di un gruppo di volontari bresciani viene contattato a Spalato da Spomenka Bobas e padre Orec. Poiché vanno in Bosnia centrale, i religiosi li pregano di consegnare quattro pacchi a Vitez: con questa scusa li forniscono di documenti con il marchio del pane di
sant'Antonio, un po' come se firmassero l'ignara spedizione dei bresciani. A fare da garante è
Fabio Moreni, che collabora con Rovati da qualche settimana e ora accompagna i bresciani nel loro viaggio. Poche ore dopo, appena transitati da Gornji Vakuf, i cinque bresciani vengono intercettati da una banda di irregolari bosniaci che sequestra il carico e i documenti e uccide a freddo Moreni insieme a Sergio Lana e Guido Puletti.
Stranamente è presente in zona proprio padre Blazevic, il capo dell'organizzazione francescana che si trova a Gornji Vakuf per contrattare con il comandante bosniaco Goran Cisic il rilascio di un altro convoglio marcato pane di sant'Antonio, ben più consistente di quello bresciano, da un paio di
giorni sotto sequestro. Blazevic non si fa vedere dai volontari che ha segnato con il proprio marchio mentre vanno alla morte. Ma non si turba più di tanto: sei mesi dopo, alla testa di un grande convoglio, viene fermato su quella stessa strada, nello stesso punto dove erano stati intercettati i bresciani, al canyon di Opara. È il 22 dicembre 1993, a fermare il convoglio è il comandante Goran Cisic, l'interlocutore di padre Blazevic: la vecchia trattativa è andata a buon fine, dato che Cisic non si scompone quando sotto i generi alimentari chiamati «aiuto umanitario» saltano fuori i soliti lanciarazzi, mortai a treppiede eccetera. Si limita ad arrestare i due giornalisti italiani involontariamente testimoni dei traffici in corso - sono Ettore Mo ed Eros Bicic - e lascia ripartire
il carico verso la zona controllata dai croati a cui era diretto. La morte dei tre ignari volontari italiani era probabilmente un segnale nel linguaggio tipico di questo tipo di trattative, un messaggio in codice fra soci in affari che non si sono ancora messi bene d'accordo e forse vogliono alzare il prezzo.

LE VIE DELLA CONNIVENZA.
Guido, Sergio e Fabio sono morti, padre Blazevic, amico personale del presidente Tudjman, è parroco a Okucani in Slavonia e minaccia in nome della sicurezza nazionale croata chi prova a tirarlo in ballo, Rovati è una potenza intercontinentale degli aiuti umanitari e spedisce convogli in tutto il mondo, dal Perù al Burundi alla Romania: è comparso alla televisione italiana, a Pinocchio, dove è stato definito
«il volto pulito dell'Italia, quello che ci piace guardare». Ha continuato anche a lavorare con i frati d'Erzegovina, ed è tornato a Gornji Vakuf, per progetti di ricostruzione e per portare il suo perdono agli assassini di allora. Ovviamente la sua associazione non si chiama più Caritas di Ghedi: il nome nuovo è «Associazione 29 maggio», i nomi delle tre vittime compaiono sui teloni dei Tir in partenza per i cinque continenti.
Strana storia, quella del pane marcio di sant'Antonio, e triste storia, quella della leggerezza con cui si instaurano relazioni pericolose quando a legittimare i gesti avventati è la ragione umanitaria. L'interesse per il volontariato non sempre risponde a nobili ragioni, e l'uso strumentale delle azioni di pace da parte di strateghi e profittatori di guerra è ormai la regola, non più l'eccezione. In queste condizioni l'ingenuità è semplicemente un placido modo della connivenza. Anche se, magari, sulle strade dello sforzo di pace si verificano formidabili conversioni, come quella dell'ex maresciallo Germano Tessari, ben noto ai lettori di Diario della settimana (1999, numero 15) per il suo coinvolgimento nei processi sui traffici d'armi del Sisde in Val di Susa. Proprio a Scutari, centro della
missione in Albania della Diocesi di Susa, Tessari si è recato in passato a portare aiuti umanitari e mezzi da trasporto. Se lo ricorda bene una suora della Fondazione Monsignor Rosaz, a Susa. La polizia italiana segnala, fra l'altro, il transito a Valona di mezzi pesanti recanti, magari abusivamente, il marchio della Sitaf, la società delle autostrade del Fréjus, di cui l'ex maresciallo è stato a lungo consulente per la sicurezza, negli anni degli attentati e dei miliardi pubblici intascati
da comitati d'affari in vario modo legati all'azienda. Come si convertono gli individui si convertono anche le grandi aziende.
Ma di quando in quando qualche pecorella smarrita si fa cogliere in flagrante, sulle banchine di Ancona, intenta ai vizi d'un tempo.

©diario della settimana

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http://www.lapadania.com/1999/maggio/04/040499p02a3.htm

Per i servizi segreti americani l'Uck è legato alla mafia albanese e autofinanzia la guerriglia con il traffico di eroina

La via della droga passa per il Kosovo

Intanto i "basisti" dell'Esercito di liberazione hanno trasformato Bari nel loro quartier generale

di Elisa Carcano

Non c'è nessun nuovo indagato nell'inchiesta condotta dal sostituto procuratore della Repubblica di Ancona Cristina Tedeschini sui tre tir bloccati dalla Guardia di Finanza e dalla dogana nel porto di Ancona lo scorso 12 aprile (ma la notizia del sequestro è stata data solo l'altro giorno): seppur carichi d'aiuti umanitari per i profughi del Kosovo, i camion trasportavano nei doppifondi un enorme carico d'armi diretto all'Uck. Al centro dell'interesse del magistrato ci sarebbe per ora la figura di un prete, probabilmente coinvolto nella vicenda. I tre tir viaggiavano sotto le insegne dell'organizzazione
umanitaria "Kruh Svetog Ante" (Il pane di Sant'Antonio) di Sarajevo ed erano diretti, secondo la bolla d'accompagnamento, alla "Caritas" di Scutari (che però si è chiamata fuori dicendo "quei camion non sono nostri"). Il religioso potrebbe essere o l'ultimo destinatario, in Albania, dell'ingente quantitativo
di armi ritrovato sui tre tir o il penultimo intermediario, sempre albanese, in grado di indicare a chi, nel territorio controllato dall'Uck, avrebbe dovuto essere consegnato alla fine le armi. Un vero e proprio arsenale, con armi anche sofisticate, di cui facevano parte fra l'altro cinque valigette per puntamento e innesco elettronico a distanza di ordigni, missili anticarro e antiaereo, armi con puntamento laser, bazooka, mortai, munizioni, esplosivi - in gran parte dell'ex Urss e dell'ex Jugoslavia - mitragliatrici belghe, cinesi e americane e un gran numero di granate Usa. Il presidente dell'organizzazione umanitaria mittente, padre Stipo Karajica, ha già dichiarato, attraverso il proprio procuratore legale ad Ancona, che la "Kruh Svetog Ante" è totalmente all'oscuro delle armi e che ha
solamente provveduto alla raccolta degli aiuti affidandone l'invio a terzi. Quanto ai tre autisti, bosniaci (ma uno di loro ha un cognome tedesco), sono ancora in carcere ad Ancona.

Da Ancona spostiamoci a Bari, diventata importante snodo di guerriglieri dell'Uck. Nel porto della città pugliese sono infatti dislocati i basisti dell'Esercito di liberazione del Kosovo che assistono i combattenti, acquistano per loro i biglietti di viaggi, forniscono cibo e acqua, provvedono al trasporto dei volontari dalla stazione ferroviaria al porto. Un'organizzazione, si direbbe, svizzera.
Come svizzera è l'originaria appartenenza dei trenta camion militari bloccati dalla Guardia di Finanza a Bari. Guidati da autisti kosovari, gli automezzi sono in attesa dell'autorizzazione necessaria alla partenza per Durazzo: trasportano sì generi alimentari ed altri aiuti umanitari, ma una volta in Albania
non sarebbero più utilizzati come spola per gli aiuti e rimarrebbero invece a disposizione dell'Uck a scopi militari. Finora, nel giro di quattro settimane, sono passati dal porto di Bari tremila combattenti kosovari: si imbarcano su traghetti di linea diretti a Durazzo, da qui poi raggiungono il confine con il Kosovo per combattere contro i serbi. Secondo la Guardia di Finanza il flusso è molto cambiato negli ultimi giorni: da una fase caratterizzata da una "chiamata alle armi" per certi versi spontanea, si è passati ad un vero e proprio viaggio verso il fronte organizzato nei minimi particolari. Nei primi giorni, per esempio, decine di uomini si presentavano già in tuta mimetica nel capoluogo pugliese, ora invece per non destare eccessivamente l'attenzione delle forze di polizia, proprio i "basisti" hanno disposto che i volontari dell'Uck vengano in borghese.
Intanto in America mostra la corda il fronte pro guerriglieri: ai due parlamentari Usa che vorrebbero armarli e finanziarli con i soldi dei contribuenti (il repubblicano Mitch McConnell e il democratico Joseph Lieberman), il "Washington Post" replica, citando documenti dell'intelligence statunitense e di altri paesi, con un articolo in prima pagina secondo cui l'Uck "è un'organizzazione terroristica che trae gran parte delle sue risorse dal traffico di eroina". Secondo questi documenti, agenti antidroga di cinque nazioni (tra cui gli Usa) ritengono che l'Uck abbia stretti legami con il crimine organizzato albanese, responsabile del traffico di eroina e cocaina verso i mercati europei occidentali e, in misura minore, verso gli Stati Uniti. La "mafia albanese", scrive ancora il giornale, è legata ad un'organizzazione per il narcotraffico con base a Pristina in Kosovo, e ha tra i suoi capi diversi responsabili del Fronte nazionale
del Kosovo, il braccio politico dell'Uck. Questo cartello sarebbe oggi uno dei più potenti del mondo, e gran parte dei suoi proventi servirebbero a finanziare le armi dell'Uck.
La "rotta" dell'eroina gestita dagli albanesi del Kosovo attraversa Grecia, Jugoslavia, Turchia e Bulgaria, è chiamata dagli agenti dell'antidroga, "la strada dei Balcani". Il 75% dell'eroina sequestrata in Europa lo scorso anno ha seguito questa rotta. "Un anno fa erano semplici terroristi ed ora,
per politica, sono diventati combattenti per la libertà", ha dichiarato al quotidiano un agente antidroga americano.

DOPO AVERE SPACCATO TUTTO, VOGLIONO RICOSTRUIRE LA "FEDERAZIONE BALCANICA"

Ma stavolta sulla bandiera, anziche' un'unica stella (rossa) potrebbero metterne 12 (gialle), o forse piu' di cinquanta (bianche). Su sfondo blu.

IDEA TO SET UP BALKAN FEDERATION IS RESURFACING - PAPANDREOU

BRUSSELS, Jan 5 (Tanjug) - Greek Foreign Minister George Papandreou told the German daily Sueddeutsche Zeitung in an interview that an old idea to create a federation of Balkan states is being mentioned in Greece again and has been received well by the European Union.
The Greek EU Presidency quoted Papandreou as saying that there were no more black holes in the Balkans and that many Balkan countries were striving to enter the European Union, which he said would happen very soon.
Papandreou failed to specify what "very soon" meant, but said that Balkan countries must have a future in Europe and that Greece, as the EU president, would do its best to speed up the process of accession of the Balkan countries to the European Union.
The Greek presidency of the EU will be crowned by a summit of EU and Balkan countries in Thessaloniki in June.

RITORNO DALLA ZASTAVA DI KRAGUJEVAC
Viaggio del gennaio 2003
(resoconto di viaggio a cura di Gilberto Vlaic del gruppo ZASTAVA
Trieste)

Questa relazione e' suddivisa in tre parti:
A) Cronaca del viaggio
B) Le ultime informazioni sulla Zastava.
C) Conclusioni

Cronaca del viaggio

Vi inviamo un resoconto del viaggio appena concluso alla Zastava di
Kragujevac e ad altre realta' in Serbia.
Siamo partiti in macchina da Trieste venerdi' 31 gennaio 2003 a
mezzanotte.La delegazione era formata da 3 persone: Lino in
rappresentanza del coordinamento RSU, Maurizio a nome della
associazione "Il nido del cuculo" di Rimini e Gilberto del gruppo
ZASTAVA Trieste. Le spese di viaggio sono state come al solito
sostenute direttamente dai partecipanti, senza incidere quindi sul
denaro raccolto per le varie iniziative in corso.
Avevamo con noi alcune scatole di regali per famiglie di Kragujevac,
soprattutto provenienti da Brescia.

La prima sosta e' stata a Belgrado, sotto un leggero nevischio, dove
verso le 8 del mattino abbiamo consegnato una ventina di costosissimi
flaconi di chemioterapici e materiale per trapianti di midollo osseo,
dono di un sottoscrittore di Trieste, al reparto di oncologia
pediatrica dell'Ospedale pediatrico "Maiku i Dete" di Belgrado, per un
valore di circa 10.000 euro.
L'incontro con la direttrice del reparto e' stato particolarmente
toccante.
Questa struttura e' pubblica, ma riceve dallo Stato finanziamenti
assolutamente insufficienti per le terapie a cui questi sfortunati
bambini devono essere sottoposti, e le famiglie, di norma poverissime,
dovrebbero supplire con farmaci comprati soprattutto tramite il mercato
nero.
Vi sono casi in cui le terapie costano anche 300 euro al giorno.


Siamo arrivati a Kragujevac verso le 11, senza alcun problema durante
il viaggio, se si eccettua il freddo intenso e una buona quantita' di
ghiaccio sulle strade di Kragujevac. Il pomeriggio del sabato e parte
della domenica sono stati impiegati per la discussione del "progetto
forno" a cui si e' gia' accennato in relazioni precedenti e per
raccogliere ulteriri informazioni sulla situazione occupazionale e
produttiva.

Nel pomeriggio di domenica abbiamo fatto visita a due famiglie, tra le
piu' sfortunate tra quelle che seguiamo.

Inoltre abbiamo discusso con i responsabili dell'ufficio adozioni come
si potra' distribuire nel prossimo viaggio una cifra abbastanza
importante ricevuta dalla provincia di Biella per onorare la memoria di
un operaio ancora giovane improvvisamenete deceduto.

Per quanto riguarda il progetto forno, sono stati identificati i locali
in cui installarlo e definiti gli interventi elettrici, idraulici ed
edili per mettere questi locali in condizione di ricevere questo forno.
Ricordiamo che le potenzialita' di produzione sono di 24 quintali di
pane al giorno.
Si spera quindi di poterlo trasportare da Rimini dove attualmente si
trova a Kragujevac in un futuro assai prossimo.

Il lunedi' mattina siamo partiti per Belgrado; li' abbiamo passato
tutto il pomeriggio in visita all'Istituto per ragazzi con difficolta'
nello sviluppo mentale.
Si tratta di una struttura pubblica che ospita 350 ragazze e ragazzi.
Mancano di tutto.
L'associazione "Il nido del cuculo" aveva gia' preso contatti con loro
a novembre scorso, e aveva gia' portato un carico di vestiario
invernale.
Tra la direzione dell'Istituto e l'associazione riminese e' stata
discussa la continuazione della collaborazione; "Il nido del cuculo"
mettera' a disposizione dell'Istituto un altro forno di panificazione,
piu' piccolo di quello che verra' inviato a Kragujevac; inoltre ha gia'
a disposizione per il laboratorio artigiano dell'Istituto una macchina
professionale per la lavorazione del legno e un gabinetto odontoiatrico
per l'infermeria. Verso aprile inoltre, in una logica di scambio
culturale, si prevede di organizzare una serata musicale con artisti
italiani e serbi, tra cui la No Smoking Band, di Nelle Karajilic; per
intenderci quelli che lavorano alle colonne sonore dei film di Emir
Kusturica.

La sera in centro a Belgrado abbiamo incontrato Nelle Karajilic, che ha
confermato la sua presenza all'iniziativa. L'incontro e' avvenuto nel
grande viale in cui hanno sede le ambasciate e diversi ministeri. Devo
dire che sono rimasto assai impressionato nel vedere i vari palazzi
completamente sventrati che disseminano il viale.
Particolarmente impressionante e' il grande complesso del ministero
della difesa totalmente distrutto, che occupa due angoli di una piazza,
di fronte alla sede del governo.
La notte tra lunedi' e martedi' siamo rientrati a Trieste; in Slovenia
abbiamo incontrato una vera e propia bufera di neve che ci ha
rallentato molto.
Alle 8 del mattino ci siamo salutati.


I resoconti di tutti i viaggi precedenti sono reperibili su diversi
siti.
Il piu' completo e' il sito del coordinamento RSU, all'indirizzo:
http://www.ecn.org/coord.rsu/
seguendo il link Solidarietà con i lavoratori della Jugoslavia:
http://www.ecn.org/coord.rsu/guerra.htm
dove sono anche descritte in dettaglio tutte le iniziative in corso, e
riportati i resoconti anche di altre associazioni.
I resoconti dei viaggi di ottobre e dicembre 2002 sono particolarmente
ricchi di notizie sulla situazione dei lavoratori della Zastava.

Gli stessi resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages
che contiene inoltre centinaia di articoli sulla situazione nei Balcani
difficilmente reperibili sulla stampa nazionale.




Le ultime informazioni sulla Zastava.

Ricordiamo innanzitutto che i dati ufficiali affermano che circa i 2/3
della popolazione serba spende meno di 1 euro al giorno pro-capite, e
che un terzo spende meno di mezzo euro al giorno; il 60% della spesa e'
per il cibo. La disoccupazione dilaga ed interessa centinaia di
migliaia di lavoratori, su circa undici milioni e mezzo di abitanti a
cui vanno sommati circa un milione di profughi.

Per quanto riguarda la Zastava si deve segnalare una importante
vittoria del Sindacato. La mensa aziendale, che era stata posta tra le
unita' da privatizzare, e' stata riconosciuta come bene sociale
patrimonio dei lavoratori, e quindi non e' piu' al momento
privatizzabile.

Per quanto riguarda la produzione la previsione per il 2003 segna un
incremento rispetto al 2002, quando si erano prodotte 12.000 vetture.
Sono previste 7.000 automobili con motore Peugeot con rispetto delle
normative anti-inquinamento Euro3 per l'esportazione e circa 20.000 per
il mercato interno, con motore Zastava che attualmente e' a livello
Euro2, e quindi non esportabile.
Cio' ha significato il richiamo di 400 lavoratori dall'ufficio
collocamento della Zastava ZZO (Zastava Zaposljvanje i Obrazovanje);
per intenderci meglio questo ufficio gestisce i lavoratori in cassa
integrazione a zero ore, che percepiscono una indennita' di 50 euro al
mese..
Ricordiamo che al luglio 2001 essi erano 9200; circa 1800 si sono
allontanati ricevendo una cifra di 100 euro per ogni anno di anzianita'
lavorativa; rimangono quindi a zero ore 7.000 lavoratori circa.

Il faccendiere Malcom Brikin, che annuncio' in pompa magna l'acquisto
di Zastava automobili nell'ottobre 2002 ha speso per ora solo parole.
Sembra che abbia promesso di farsi vivo nel prossimo aprile e di voler
conquistare i mercati latino-americani e africani. Sembra che nessuno
creda piu' a questo individuo e ai suoi fantasmagorici piani
industriali.




Conclusioni

Riporto come conclusioni esattamente le frasi gia' scritte nella
relazione di dicembre, in quanto nulla sostanzialmente e' cambiato

La cosa che cambiera' dalla prossima relazione e' che non scrivero'
probabilmente piu' Jugoslavia per identificare la regione del mondo
dove cerchiamo di portare solidarieta' e fratellanza, in quanto anche
questo nome verra' dimenticato e cancellato dalla storia.

La situazione sindacale in Jugoslavia è ovviamente molto problematica.
Oltre alla Zastava sono centinaia le fabbriche bombardate e sono oggi
oltre 600.000 i lavoratori licenziati a causa delle bombe della NATO.
La Classe lavoratrice Jugoslava è quindi oggi in condizioni di
oggettiva debolezza e deve fare i conti con la necessità di una
ricostruzione post-bombardamenti che assume ormai una chiara direttrice
iper-liberista.
Lo Stato, governato da una coalizione di centro destra e fortemente
allettato e subordinato alle promesse di aiuto occidentali, ha lasciato
al libero mercato ogni decisione. Così i prezzi aumentano, le scuole e
la sanità diventano prestazioni disponibili solo per i più ricchi, le
fabbriche, le zone industriali sono all'asta di profittatori
occidentali che comprano tutto a prezzi bassi e ponendo condizioni di
lavoro inaccettabili.


Non possiamo e non dobbiamo lasciare soli, abbandonati e invisibili, i
lavoratori e le lavoratrici jugoslavi e le loro famiglie.
Dobbiamo intensificare i nostri sforzi affinche' giunga a loro la
nostra solidarieta' e fratellanza materiale e politica.

IRAQ: RUGOVA, SE A FAVORE PACE GUERRA PUO' ESSERE MORALE

(ANSA) - TERNI, 13 FEB - ''La guerra e' sempre il mezzo estremo, ma quando e' a favore della pace e non della distruzione, allora puo' essere considerata morale'': lo ha detto il presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova, che e' in visita ufficiale a Terni, dove gli sono stati conferiti oggi il premio ''San Valentino un anno d' amore'' e la cittadinanza onoraria. Stamani Rugova ha incontrato un centinaio di studenti delle scuole superiori della citta'. Presenti il vescovo, mons. Vincenzo Paglia, e il sindaco, Paolo Raffaelli. Rispondendo alle domande dei ragazzi, il presidente del Kosovo ha aggiunto che ''oggi per quel che riguarda l' Iraq, il mondo civile sta facendo tutti gli sforzi per evitare la guerra, ma purtroppo questa puo' essere un impegno per evitare che armi pericolose per tutta l' umanita' vengano lasciate nelle mani di persone irresponsabili''. E ha anche paragonato Milosevic e Saddam Hussein: ''Hussein e Milosevic - ha detto - in quanto dittatori si assomigliano. Il problema che si pone il mondo civile e' quello di annullare le potenzialita' dei dittatori, per andare sempre piu' verso la democrazia''. Ad un' altra domanda, Rugova ha risposto: ''Noi kosovari dobbiamo ringraziare Dio per l'intervento della Nato che e' servito a salvare un popolo e una civilta'''. (ANSA). YMT-PE
13/02/2003 15:00

http://www.ansa.it/balcani/kosovo/20030213150032473255.html


---------- Initial Header -----------

From : "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia" <jugocoord@...>
Date : Mon, 17 Feb 2003 15:30:52 -0000
Subject : [JUGOINFO] Iraq, Jugoslavia, di nuovo Iraq / 9 BIS


CON QUESTA "SINISTRA" LA GUERRA NON LA FERMEREMO MAI...

La posizione del giornalista kosovaro-albanese Veton Surroi -
favorevole ad una aggressione militare USA contro l'Iraq - e' stata
da questi espressa anche in un articolo su "Le Monde" che
riproduciamo di seguito.

Si noti che Surroi e' uno dei leader kosovaro-grandealbanesi dei
quali la "nuova sinistra" occidentale ha tessuto sperticate lodi
negli anni passati. In particolare, la "guru" dei balcanologi di "Le
Monde Diplomatique" Catherine Samary - recentissimamente al centro
di una accesa polemica con Michel Collon attorno a queste questioni -
ha dichiarato che Surroi e' uno di quei kosovaro-albanesi dei quali
ha grande stima, insieme ad Adem Demaci (gia' leader politico dei
tagliagole assassini dell'UCK).

All'indomani delle oceaniche manifestazioni contro la guerra in
tutto il mondo, dobbiamo purtroppo registrare la mancata presa
d'atto di tutte queste incongruenze ed il persistere di una
ipocrita "rimozione" della vicenda jugoslava e "kosovara" in tutta
la "sinistra" non-antimperialista. Se continuiamo ad affidarci a
questa "sinistra" sciovinista filo-occidentale le guerre, stiamone
certi, non le fermeremo mai.

Italo Slavo

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Les tyrans ne tombent que sous les bombes

par Veton Surroi
Le Monde du samedi 15 février

J'étais membre de l'opposition irakienne contre Saddam Hussein
aujourd'hui, je ressentirais ce que j'ai ressenti il y a cinq ans en
écoutant les arguments, émanant surtout des Européens, expliquant
pourquoi il ne fallait pas utiliser la force militaire contre la
Serbie de Slobodan Milosevic.

Les arguments sont similaires dans les deux cas. Dans les deux cas,
ils sont devenus partie intégrante de la tactique pour gagner du
temps avant les bombardements. La litanie est la suivante : "Il faut
donner une chance à la paix." "Les bombes ne peuvent pas apporter la
démocratie." "Une attaque militaire menacerait la stabilité de la
région." "Les Etats-Unis utilisent la puissance militaire pour
établir leur domination."
Tous ces arguments se sont révélés faux dans le cas du Kosovo.

Dans ce cas, le désir européen de gagner du temps n'a pas tenu
longtemps. Milosevic n'a pas saisi la dernière chance d'un accord de
paix lors des négociations de Rambouillet, et la France et
l'Allemagne ont été contraintes de rejoindre l'alliance américano-
britannique, très déterminée, pour faire cesser le génocide au
Kosovo.
Bien que, grâce aux négociations parrainées par l'Europe, il y ait
eu une chance de paix, Milosevic s'est servi de ces discussions pour
consolider sa position au Kosovo. Finalement, seul le bombardement
de la Serbie de Milosevic a arrêté le génocide des Kosovars, inversé
le processus de nettoyage ethnique et permis le retour chez eux de
près de 1 million de réfugiés.

Les bombes seules, naturellement, n'ont pas amené la démocratie, mais
elles étaient une condition préalable : le Kosovo a eu l'occasion,
pour la première fois dans son histoire, de mettre en place des
institutions démocratiques.
La débâcle qu'a apportée la pluie de bombes de l'OTAN sur la Serbie
a été le début de la fin pour Milosevic. Aujourd'hui, la Serbie
construit péniblement et patiemment un état démocratique.

Les Etats-Unis n'ont pas établi leur domination. En fait, ils ont
plus ou moins laissé la zone sous la responsabilité de l'Union
européenne et des Nations unies par le biais de leur protectorat au
Kosovo.

Comment la situation d'alors est-elle comparable avec la période
préparatoire qui précède une éventuelle guerre contre l'Irak ? Les
raisons majeures pour s'opposer à la guerre contre l'Irak ont changé
au fil des semaines.
D'abord, les principales autorités européennes ont insisté sur le
fait qu'elles s'opposeraient à une action unilatérale américaine et
demanderaient l'aval des Nations unies. Maintenant que la résolution
1441 du Conseil de sécurité, approuvée par les Européens, autorise
de facto toute action nécessaire contre le régime de Saddam Hussein,
elles soulèvent d'autres arguments allant de "il n'y a pas de
preuves" à "on ne peut pas bombarder tous les régimes qu'on n'aime
pas" ou "toute cette affaire revient au fait que l'Amérique veut
avoir la mainmise sur les gisements de pétrole irakiens".
Mon expérience au Kosovo avec Milosevic laisse penser que l'argument
devrait être retourné : quelqu'un espère-t-il avec réalisme que
Saddam Hussein quittera le pouvoir de son plein gré ou par un
processus électoral démocratique ? S'il n'abandonne pas le pouvoir
de l'une de ces deux manières, existe-t-il une autre façon d'arrêter
le mal qu'il inflige, en particulier à son propre peuple ? Saddam
Hussein est un tyran et constitue une menace contre la loi
humanitaire internationale, la stabilité de la région et la paix
mondiale au même titre que Milosevic. Pourtant, alors que le boucher
des Balkans est jugé pour crimes contre l'humanité à La Haye, on
accorde le bénéfice du doute au tyran de Bagdad.

C'est là que la guerre entre en jeu. La plus terrible des activités
humaines, la guerre, est sur le point de commencer. Si mon
expérience peut servir de guide, cette guerre abattra malgré tout le
régime de Saddam et créera les conditions d'une démocratie pour le
peuple irakien. Saddam étant du même acabit que Milosevic, nous
savons une chose sur eux : seule une pluie de bombes leur fera
lâcher leur emprise sur le pouvoir.

Quand cela se sera produit, de nouvelles questions émergeront
néanmoins.
Qu'arrivera-t-il dans l'Irak de l'après-Saddam ? Quelle sera la
nature de l'autorité internationale ? Quel genre de transition vers
la démocratie peut se faire dans un Irak souverain ? Et comment ce
genre d'autorité va-t-il affecter l'équilibre régional des Etats
voisins qui ne sont pas des démocraties, mais des retombées de la
fin de l'Empire ottoman ainsi que de la pax britannica ?

Si j'étais membre de l'opposition irakienne, ou encore une partie
concernée appartenant à l'Occident ou à la région, je commencerais
alors à m'inquiéter.
Au cours des derniers mois, un débat a eu lieu sur l'opportunité de
faire la guerre contre Saddam. Il est désormais clos pour
l'essentiel, car les forces présentes sur le théâtre des opérations
ont atteint un point de non-retour.

Je sais par mon expérience au Kosovo que les lendemains arrivent
beaucoup plus tôt qu'on ne les attend. L'opposition doit être prête
à embrasser la cause pour laquelle la bataille a été gagnée.

Le monde doit se rappeler comment la guerre au Kosovo s'est déroulée
et comment les peurs sans fondement qui inquiétaient tant les
Européens ne se sont jamais matérialisées. Il doit tirer la leçon du
cas Milosevic : il faut une puissance militaire pour renverser les
tyrans lorsque tout, y compris les négociations ou les inspections,
a échoué. Le changement ne viendra que lorsque les bombes
commenceront à pleuvoir.


Veton Surroi est rédacteur en chef et éditeur de Koha Ditore au
Kosovo.


--- In crj-mailinglist@...., "Coord. Naz. per la
Jugoslavia" ha scritto:

Iraq, Jugoslavia, di nuovo Iraq / 9: Kosovaro-albanesi al fianco
degli USA contro l'Iraq

Il noto "giornalista indipendente" albanese-kosovaro Veton Surroi -
uno di quelli legati al carrozzone dei media jugoslavi antiMilosevic
stipendiati dalla CIA attraverso la Fondazione Soros e presentati in
Italia come simboli della "lotta per la democrazia" - ha dichiarato
recentemente tutto il suo appoggio agli USA in caso di aggressione
all'Iraq. Sull'"International Herald Tribune" Surroi ha fatto un
parallelo esplicito tra l'intervento "umanitario" del 1999, che
avrebbe "fermato il genocidio in atto nella Kossova", ed il
paventato intervento USA contro l'Iraq.

http://www.rferl.org/newsline/2003/02/4-SEE/see-110203.asp

Radio Free Europe/Radio Liberty
February 11, 2003

KOSOVAR LEADER CALLS FOR MILITARY STRIKE ON IRAQ

Veton Surroi, who is Kosova's best-known journalist
and a highly respected political figure, wrote in the
"International Herald Tribune" of 11 February that the
current Western debate on Iraq reminds him of the
discussion regarding Kosova at the start of 1999.
Surroi argues that "though peace was given a chance
through European-sponsored negotiations, [President
Slobodan] Milosevic only used those talks to entrench
his position in Kosova. In the end, it was only the
bombing of Serbia that stopped genocide of Kosovars
and ultimately allowed the return of almost a million
refugees to their homes." He added that "since Saddam
is of the same ilk as Milosevic, we know something
about them both: Only falling bombs will shake them
from their hold on power.... I know from my experience
in Kosova that the day after comes far earlier than
you expected. The [Iraqi] opposition must be prepared
to take up the cause for which the battle was won."
Surroi concluded, "The world ought to recall how the
war for Kosova unfolded and how Europe's unfounded
fears never materialized. One should remember from the
case of Milosevic that it takes military might to
topple tyrants, after everything else has failed." PM

--- Fine messaggio inoltrato ---



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> http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/doccnj.htm

L'utilizzo, da parte tua, di Yahoo! Gruppi è soggetto alle http://it.docs.yahoo.com/info/utos.html

--- In Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., "Miroslav Antic" wrote:

<http://www.freerepublic.com/focus/news/841600/posts>

NATO Split Opens Window for Tensions in Kosovo
STRATFOR


NATO Split Opens Window for Tensions in Kosovo
Feb 12, 2003



Serbian authorities put police and army units patrolling the border
with Kosovo on a state of alert Feb. 12. Belgrade said the move was
in response to reports claiming that "terrorists" in Kosovo are
planning to move into southern Serbia, and it follows the recent
arrests of seven ethnic Albanians in that area.

However, Serbia's order is more likely a politically motivated
response to the Kosovar parliament debate over a sovereignty and
independence declaration during the past week. The declaration
reportedly has the support of at least one-third of parliament
members. Although the assembly speaker took the motion off the
parliamentary agenda Feb. 12, sources told Belgrade's Radio B92 that
it could be put back on very soon.

As the motion was being debated, Serbian Prime Minister Zoran
Djindjic said that his country's forces should return to Kosovo. But
that possibility was discounted as unworkable by Fabio Mini,
commander of KFOR, the NATO-led international force responsible for
establishing and maintaining security in Kosovo.

The growing tension between Serbia and Kosovo coincides with a
widening split within the NATO alliance and inside the U.N. Security
Council over Iraq. With NATO and the United Nations distracted and
divided, Albanian nationalists in Kosovo and perhaps Macedonia -- as
well as the government in Serbia -- have an opportunity to make
incremental gains in their positions. Both sides are also patient,
however, so the tensions are unlikely to break out into conflict
soon. Nevertheless, they will create an unneeded distraction for
Europe on its southern flank.

--- End forwarded message ---

---------- Initial Header -----------

From : "Maurizio Dotti"
Date : Mon, 17 Feb 2003 12:55:26 +0100
Subject : Vespa su Foibe e Porzûs

Vespa su Foibe e Porzûs


ROMA - Dell'esodo degli italiani costretti a lasciare l'Istria e la Dalmazia, del dramma delle foibe, della strage di Porzûs si parla a «Porta a porta» in onda oggi, alle 23.30, su Raiuno. Nel corso della trasmissione si parlerà, inoltre, della crisi irachena all'indomani della riunione Nato a Bruxelles. Tra gli ospiti di Bruno Vespa: Gianfranco Fini, Luciano Violante, Arrigo Petacco, Ottavio Missoni e Abdon Pamich.

IL PICCOLO

http://www.dedefensa.org/article.php?art_id=96

(...2/2)

Comment les « Top Guns de la communication » sont arrivés à
Bruxelles pour sauver la campagne

Certes, l'OTAN/Shea n'était pas prête. La raison est très simple :
l'OTAN tant vantée, qu'on embrasse constamment pour mieux la tenir
enfermée, est un fameux bouc-émissaire. Quand les choses vont mal,
comme à Evere-Kosovo au printemps 1999, tout le monde dira en finale
que c'est de la faute de l'OTAN. La malheureuse OTAN n'a rien
d'autre à faire qu'à subir, car elle n'a pas les moyens de faire
autre chose. Dans la logique de cette situation, tous les membres
qui ne cessent de lui tresser des lauriers lui mesurent chichement
ses moyens. Il faut voir l'ébahissement du poids lourd (au moins un
quintal) Joe Lockhardt, porte-parole de Clinton, lorsqu'il
rapporte : « J'ai 30 personnes qui travaille dans mon groupe
[services du porte-parole], ici, à la Maison-Blanche. Alors, j'ai
été choqué d'apprendre que Jamie Shea n'avait que 4 ou 5
personnes ... » [Cette position initiale de Shea est d'une
importance fondamentale. C'est à cause de ces difficultés initiales
que le porte-parole de l'OTAN s'empara du thème du "génocide" dès
que les premiers réfugiés se précipitèrent sur les routes du Kosovo.
Cette idée de génocide, totalement outrancière, absolument démentie
par les constats que l'on fit ensuite, allait influencer la
stratégie, la politique, obliger à certaines décisions, amener à
accroître décisivement certains soutiens (à l'UCK notamment) et
finalement installer la situation si dommageable qui a suivi la
guerre et dont on subit les conséquences aujourd'hui.], Vis-à-vis
des militaires du quartier-général SHAPE — c'est-à-dire vis-à-vis
des Américains — Shea et l'OTAN ne sont pas mieux lotis. Ainsi le
porte-parole de l'OTAN apprend-il en regardant la télévision de
Milosevic, au 21e jour de l'offensive, qu'il y a eu une "bavure"
majeure de l'OTAN (le train attaqué sur un pont). Il s'informe
auprès de SHAPE, pour obtenir, après beaucoup de réticences, une
confirmation partielle ; puis, un peu plus tard, un document
prétendument décisif (un film dans un cockpit d'avion américain) qui
s'avérera être un faux. Même désordre, mêmes réticences des
militaires pour la deuxième bavure majeure (un convoi de Kosovars
attaqué par erreur). Shea est en grande difficulté. Il l'est à cause
du système lui-même, qui se sert de l'OTAN mais ne ménage pas les
chausse-trappes à l'Organisation. C'est alors qu'on décide de
renforcer Shea. Les termes employés sont martiaux, comme si nous
étions sur le théâtre des opérations : « Tony Blair et Bill Clinton
décident d'envoyer des renforts à Bruxelles » Et le commentateur de
Canal +, suivant le chemin tracé, commente : « En 48 heures, trente
Top Guns de la communication débarquent à Bruxelles ». Bref, Evere,
c'est là que tout se passe, c'est là qu'on fait la guerre. Mais,
certes, c'est une guerre très particulière. Le commentateur de Canal
+ observe que « pour Allistair Campbell, une bonne image vaut mieux
que toute action politique ». Allistair Campbell, conseiller en
communication de Tony Blair, est en effet déplacé à la tête des «
Top Guns de la Communication ». Plus tard, en juillet, Campbell
expliquera, résumant parfaitement l'enjeu d'Evere contre l'enjeu du
Kosovo, que la bataille pour le Kosovo était gagnée d'avance, et que
la vraie bataille, la plus indécise, c'était celle qui se livrait
pour les esprits et les coeurs des citoyens des pays occidentaux
engagés dans la guerre, pour ou contre la guerre. Le document nous
montre aussitôt les spin doctors. Il faut faire court, — des phrases
courtes, des phrases-chocs, que Shea est prié de lâcher durant sa
conférence de presse ; un thème chaque jour, si possible simple,
frappant, bouleversant, avec un peu de folie sadique (des viols
collectifs, des Kosovars forcés de donner leur sang). Un conseiller
de Clinton, Jonathan Price, expédié sur place (à Bruxelles) : «
Trouver le mot juste, qualifier ces exactions, constamment diriger
les journalistes vers ces sujets, exposer ces faits du mieux que
nous pouvions alors que nous n'étions pas sur le terrain. » Et la
réalité ? Le commentateur de Canal : « Ces affirmations sont basées
sur des témoignages de réfugiés, invérifiables, elles ne seront
jamais confirmées. » Aujourd'hui, bien entendu, la réalité est à peu
près connue. On sait que ces rêcits relevèrent pour l'essentiel du
phantasme, de la rumeur, de l'erreur humaine et ainsi de suite. Mais
seul compte l'instant et ce qui est dit dans l'instant, et l'effet
obtenu dans l'instant. « Les vendeurs de guerre ont réussi leur
coup », explique le commentateur. Le mot de la fin, sur ces
activités et sur les techniques employées, on le tient de Jamie
Rubin, porte-parole d'Albright. Il est interrogé sur le résultat des
frappes au Kosovo : 14 chars détruits confirmés, alors qu'on en
avait annoncé plus de 100, peut-être 150. Constat intéressant :
Rubin ne nie pas (au contraire du Pentagone, par exemple) que le
véritable "score" soit de 14 chars détruits. Et alors ? Semble-t-il
dire. Il conclut : « But it works ! » Autrement dit : les gens ont
marché, ils y ont cru, l'affaire est bouclée. Le maître-mot de
Rubin, c'est « créativité » : les spin doctors doivent en montrer,
tout comme les journalistes eux-mêmes. Nous ne sommes plus dans le
monde de l'information (journalistes), nous sommes dans le monde
des "créateurs d'événements" (publicitaires). Dans son livre Dans
les griffes des humanistes, Stanko Gerovic, dissident serbe et
journaliste à Radio France International, remarque : « Les médias
occidentaux savent désormais si habilement occulter la réalité
qu'ils créent l'illusion qu'on peut mener une politique tout en la
niant. » Gerovic nous rappelle opportunément que les spin doctors ne
sont pas seuls. La situation n'est pas si simple qu'elle le serait
s'il s'agissait simplement de propagande, avec le rapport du fort
(l'État autoritaire) au faible (la presse aux ordres). « C'est bien
plus subtil que de la propagande », disait-on plus haut ; nous
nuancerions : c'est bien plus compliqué que de la propagande.

Tentative de dissection et d'anatomie de la campagne stratégique de
la "guerre d'Evere"

Comment peut-on synthétiser et classifier l'analyse de cette période
de la "guerre d'Evere", au travers du documentaire que nous avons
détaillé ? Nous avons déterminé trois tendances, trois attitudes
différentes et complémentaires, et l'ensemble devrait effectivement
tracer le tableau dans lequel les événements d'Evere ont évolué. Ces
trois attitudes sont les suivantes :


Le front et l'arrière.

L'indifférence pour la réalité : cloisonnement et professionnalisme.

L'esprit critique dans les bornes du conformisme. Le premier point
est la question du front et de l'arrière. Lors de la Grande Guerre,
à cause de la stratégie d'un front quasiment immobile avec ses
tranchées, la distinction et l'identification entre le front et
l'arrière pouvait aisément être faite et c'est de ce temps-là que
date la distinction. Dans le cas de la guerre du Kosovo, on reprend
cette distinction, mais en l'inversant. Allistair Campbell nous le
laisse clairement entendre lorsqu'il dit, en juillet 1999, que la
guerre que menait l'OTAN au Kosovo ne pouvait être perdue, qu'en un
sens elle était jouée d'avance, presque comme s'il eût été inutile
de la faire, parce que la puissance de l'OTAN ne pouvait évidemment
souffrir le moindre soupçon de défaite face à la Serbie ; que la
vraie guerre, finalement, c'est bien la "guerre d'Evere". Ainsi le
front s'est-il déplacé à Evere, et l'"arrière" de la guerre, c'est
le Kosovo. Il y a une transformation psychologique remarquable qui a
certainement contribué à donner à ce conflit cette impression
d'irréalité si remarquable. La décision extraordinaire pour les
alliés de tout faire pour éviter la moindre victime du côté allié,
la tactique du zéro-mort, participe également à cette démarche :
cette décision a évidemment pour but de renforcer, dans la "guerre
d'Evere", le parti des spin doctors. Ce phénomène est marqué dans le
documentaire de Canal +, notamment dans les commentaires qui
l'accompagnent. Il est éclatant dans le tournant de cette "guerre
d'Evere", lorsque le commentateur décrit comme pathétique l'état de
la communication de l'OTAN et annonce la décision du "haut
commandement" de la guerre de la communication : « Tony Blair et
Bill Clinton décident d'envoyer des renforts à Bruxelles. » Les
termes sont complètement militaires, dans ce cas comme dans nombre
d'occasions (les « Top Guns de la communication »), et c'est
d'ailleurs dans la logique de la démarche constante des milieux de
la communication, qui raisonnent effectivement en termes militaires
(la "stratégie" d'une "campagne" publicitaire). La guerre au Kosovo
devient secondaire. Elle tend à prendre une place annexe, une place
complémentaire. On en vient à se demander s'il s'agit vraiment de la
guerre. On en vient à s'interroger, comme le poilu de 1914 dans sa
tranchée, qui s'interrogeait plutôt sarcastiquement : « tiend- ront-
ils ? » C'est-à-dire, transcrit en termes militaires : effectueront-
ils leurs missions selon ce qu'on en attend, zéro-mort du côté
allié, pas de "bavures" médiatiquement désastreuses (c'est-à-dire,
pas d'incidents collatéraux avec présence de la TV pour en faire la
publicité ; on ne parle pas ici en termes humanitaires, pour éviter
trop de pertes à l'adversaires ; on parle en termes d'efficacité et
d'image : il ne faut pas d'incidents médiatisés allant contre le
plan prévu). Ce phénomène qui transporte le front à l'arrière et
fait du front l'arrière, entraîne sur le nouveau "front", à Evere,
l'esprit même de la guerre en train d'être menée, et c'est l'esprit
absolument, totalement partisan, on dirait même : l'esprit
vitalement partisan (quand on doit gagner une guerre, on se trouve
devant une fonction vitale). Il s'ensuit le deuxième point, qui est
l'indifférence totale pour la réalité, ce qui fait en général le
principal matériel pour déterminer la vérité : la recherche de la
vérité, démarche nécessairement objective, n'a pas sa place
puisqu'on est par nature partisan. Il n'y a pas là, en aucune façon,
la moindre détermination, le moindre plan, encore moins, le moindre
machiavélisme (on n'est pas contre la réalité/la vérité, on y est
indifférent). Il n'est d'ailleurs plus question du fond (qui a
raison ? Que nous enseignent les informations venues de la guerre ?
Pourquoi cette guerre ? Est-ce la bonne façon de faire cette
guerre ? Et ainsi de suite). Il n'est plus question que des moyens,
de la méthode, du "comment" : comment faire passer ce message,
comment illustrer le plus favorablement ce que fait l'OTAN (pour les
spin doctors) ; comment débusquer l'erreur de la communication,
comment prendre le porte-parole en flagrant délit d'approximation
(pour les journalistes). L'enquête habituelle, le constat et le
rapport de la réalité, le commentaire qu'on en fait, qui sont les
activités habituelles du journaliste, sont remplacés par le
professionnalisme et le cloisonnement du travail : il s'agit, pour
les journalistes, de surveiller le travail des spin doctors et
éventuellement de les prendre en flagrant délit de faiblesse
professionnelle (comment ils ne sont pas assez convaincants, comment
il ne nous vendent pas assez bien leur salade, etc) ; il s'agit de
s'attacher à chaque détail du jour, celui que nous servent les spin
doctors, et de jauger leur professionnalisme dans ce cadre. Il y a
longtemps que la réalité du monde (de la guerre) n'est plus le
problème central, naturellement, et si on la rencontre, c'est
accidentellement, "professionnellement". Ainsi distingue-t-on déjà
le troisième point parce qu'il est inévitable, et il est essentiel, —
car, finalement, c'est ce qui distingue la guerre du Golfe de la
guerre du Kosovo : la complicité des journalistes. En s'installant à
Evere, les journalistes ont accepté les règles des spin doctors,
c'est-à-dire les règles du conformisme, nullement en témoins trompés
mais en acteurs complices. Ils suivent la performance de Shea avec
le coup d'oeil professionnel, plutôt critique (« Jamie est un
universitaire », s'exclame Rozensweig, et cela dit tout, notamment
le manque de souplesse et de vigueur de Shea) ; ils apprécient les
performances des nouveaux-venus, les spin doctors de la bande à
Campbell, qui leur vendent enfin la salade qu'ils attendent, et ils
la vendent, comme on dit, et le terme est bienvenu, — sans bavures.
Lorsqu'un journaliste (anglais, sans aucun doute, pour avoir ce ton
péremptoire) s'adresse à Jamie Shea pour lui dire (c'est au moment
de la deuxième bavure, celle du 23e jour de l'offensive, celle du
convoi kosovar attaqué par erreur) : « Désolé Jamie, mais, cette
fois, vous ne vous en tirerez pas comme ça. Nous comprenons que vous
vouliez laisser cela, cet échec, derrière vous, mais il n'y a qu'un
moyen : nous dire tout ce que vous savez. » (Le paradoxe tragi-
comique est que Shea ne sait rien, les militaires de SHAPE jouant le
jeu de leur côté.) En fait, on a moins l'impression d'un enquêteur à
la recherche de la réalité d'un point particulier pour parvenir à la
vérité générale, que d'un censeur (de lycée) réprimandant l'acteur
(l'élève) qui a laissé la pièce transgresser ses rêgles (c'est la
bavure), et ainsi déranger l'agencement général. La dénonciation de
la bavure ne sert en aucun cas à établir (rétablir) une réalité au
service de la vérité, elle sert à rappeler les règles qui régissent
l'appréciation conformiste du monde à laquelle les journalistes sont
totalement, professionnellement, et, l'on dirait encore plus,
moralement partie prenante. Les journalistes sont, encore plus que
les spin doctors, les principaux combattants de cette "guerre
d'Evere". Au contraire de la guerre du Golfe où ils avaient été
manipulés, ils ont été, en cette occurence, du côté des tireurs de
ficelle.
Conclusion : comment, finalement, il s'agit des mêmes Bouvard et
Pécuchet at war

Maintenant (en guise de conclusion disons), il s'agit d'être
sérieux. Lorsque le commentateur très style-Canal, voix métallique,
banalités péremptoires, commente l'arrivée de Tony Blair à l'OTAN,
Tony venu « remettre de l'ordre dans la communication de l'OTAN »,
il faut finalement en arriver à se pincer. Ainsi, on devrait
réaliser où l'on est et de quoi l'on parle, et ce qui est dit. Le
présentateur-Canal nous parle et nous présente les choses en termes
pompeux, enthousiastes et sourcilleux, c'est selon, comme s'il
décrivait le comportement de Napoleon à Austerlitz, — c'est-à-dire,
que l'on aime ou pas Napoléon, le comportement du génie stratégique.
Dans le cas de Blair et compagnie, c'est au niveau de la parole
qu'on nous invite à reconnaître ce qui semble un comportement
assimilable au génie stratégique de Napoléon à Austerlitz.
Justement, il y a les paroles, c'est-à-dire le contenu. Ce que nous
dit Blair, finalement, c'est le mensonge plus court, plus
péremptoire en un sens (voilà ce que nous montre le documentaire,
tous comptes faits). Du coup, le regard plus clair, l'on comprend à
qui l'on a à faire. (L'on se prend à noter que Campbell pourrait
aussi conseiller à Blair, pendant qu'il y est, de changer, et de
tailleur, et de chemisier et de coiffeur). Alors, quel est le gênie
de Blair ? Le mentir-court, le mentir-Fleet Street ? Il ment plus
court que les autres, donc il distance les autres ? (Et le plus
fort, et cela situe l'esprit de nos dirigeants et la confusion où
ils évoluent, notre certitude est que, lorsqu'il parle et qu'il est
emporté par l'atmosphère, Blair ne doit pas se voir mentir, il a
l'impression de parler vrai. « Our cause is just » : effectivement,
une phrase si courte ne laisse guère de place au mensonge.) Pour
autant, le lieu commun reste le lieu commun. Nous dire que « our
cause is just » et que « nous faisons cette guerre et nous allons la
gagner » (Blair dixit), cela n'a pas vraiment de quoi bouleverser,
et cela ne distingue pas de façon décisive notre époque de celles
qui ont précédé ; un truc comme « la route du fer est coupé », ou
bien « nous gagnerons parce que nous sommes les plus forts », ou
bien encore « la mobilisation n'est pas la guerre », aurait eu
certainement sa place à Evere. Non, ce qui nous inquiète, c'est que
ces 400, 500 journalistes écoutent cela, presque religieusement, et
semblent y croire, et y croient finalement, et, un an ou deux ans
plus tard, vous font des émissions qu'ils ponctuent d'un : «
chapeau », ou d'un : « Bien joué ». Nous allons devoir vivre avec ce
doute formi- dable concernant cette profession si importante des
journalistes. Nous devons aussi nous rassurer. Finalement, la guerre
d'Evere n'a pas été une intense machination, une formidable machine
de désinformation, une incroyable campagne de propagande subtile, «
quelque chose de bien plus subtil que la propagande », non. Ces
explications sont plus accessoires qu'on croit, même si elles ont
leur place et si l'on doit en tenir compte. C'était simplement la
traditionnelle, l'habituelle, la lourde et légère à la fois, la
sottise bien-connue, multipliée par les moyens fantastiques de la
technologie et de la communication. C'était « Bouvard and Pécuchet
at war », mais en moins bourgeois, en moins flaubérien, en plus high
tech, plus hip hop. Rassurez-vous, c'est toujours Bouvard et
Pécuchet. Il y a quelque chose comme la constance et la continuité
de la tradition.


(1) Nous avons donné un nom à ce phénomène, que nous tendons à
considérer comme une sorte de doctrine, d'idéologie : le
virtualisme. (Voir Analyse, Volume 15, n°01, du 10 septembre 1999.)



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CON QUESTA "SINISTRA" LA GUERRA NON LA FERMEREMO MAI...

La posizione del giornalista kosovaro-albanese Veton Surroi -
favorevole ad una aggressione militare USA contro l'Iraq - e' stata
da questi espressa anche in un articolo su "Le Monde" che
riproduciamo di seguito.

Si noti che Surroi e' uno dei leader kosovaro-grandealbanesi dei
quali la "nuova sinistra" occidentale ha tessuto sperticate lodi
negli anni passati. In particolare, la "guru" dei balcanologi di "Le
Monde Diplomatique" Catherine Samary - recentissimamente al centro
di una accesa polemica con Michel Collon attorno a queste questioni -
ha dichiarato che Surroi e' uno di quei kosovaro-albanesi dei quali
ha grande stima, insieme ad Adem Demaci (gia' leader politico dei
tagliagole assassini dell'UCK).

All'indomani delle oceaniche manifestazioni contro la guerra in
tutto il mondo, dobbiamo purtroppo registrare la mancata presa
d'atto di tutte queste incongruenze ed il persistere di una
ipocrita "rimozione" della vicenda jugoslava e "kosovara" in tutta
la "sinistra" non-antimperialista. Se continuiamo ad affidarci a
questa "sinistra" sciovinista filo-occidentale le guerre, stiamone
certi, non le fermeremo mai.

Italo Slavo

---

Les tyrans ne tombent que sous les bombes

par Veton Surroi
Le Monde du samedi 15 février

J'étais membre de l'opposition irakienne contre Saddam Hussein
aujourd'hui, je ressentirais ce que j'ai ressenti il y a cinq ans en
écoutant les arguments, émanant surtout des Européens, expliquant
pourquoi il ne fallait pas utiliser la force militaire contre la
Serbie de Slobodan Milosevic.

Les arguments sont similaires dans les deux cas. Dans les deux cas,
ils sont devenus partie intégrante de la tactique pour gagner du
temps avant les bombardements. La litanie est la suivante : "Il faut
donner une chance à la paix." "Les bombes ne peuvent pas apporter la
démocratie." "Une attaque militaire menacerait la stabilité de la
région." "Les Etats-Unis utilisent la puissance militaire pour
établir leur domination."
Tous ces arguments se sont révélés faux dans le cas du Kosovo.

Dans ce cas, le désir européen de gagner du temps n'a pas tenu
longtemps. Milosevic n'a pas saisi la dernière chance d'un accord de
paix lors des négociations de Rambouillet, et la France et
l'Allemagne ont été contraintes de rejoindre l'alliance américano-
britannique, très déterminée, pour faire cesser le génocide au
Kosovo.
Bien que, grâce aux négociations parrainées par l'Europe, il y ait
eu une chance de paix, Milosevic s'est servi de ces discussions pour
consolider sa position au Kosovo. Finalement, seul le bombardement
de la Serbie de Milosevic a arrêté le génocide des Kosovars, inversé
le processus de nettoyage ethnique et permis le retour chez eux de
près de 1 million de réfugiés.

Les bombes seules, naturellement, n'ont pas amené la démocratie, mais
elles étaient une condition préalable : le Kosovo a eu l'occasion,
pour la première fois dans son histoire, de mettre en place des
institutions démocratiques.
La débâcle qu'a apportée la pluie de bombes de l'OTAN sur la Serbie
a été le début de la fin pour Milosevic. Aujourd'hui, la Serbie
construit péniblement et patiemment un état démocratique.

Les Etats-Unis n'ont pas établi leur domination. En fait, ils ont
plus ou moins laissé la zone sous la responsabilité de l'Union
européenne et des Nations unies par le biais de leur protectorat au
Kosovo.

Comment la situation d'alors est-elle comparable avec la période
préparatoire qui précède une éventuelle guerre contre l'Irak ? Les
raisons majeures pour s'opposer à la guerre contre l'Irak ont changé
au fil des semaines.
D'abord, les principales autorités européennes ont insisté sur le
fait qu'elles s'opposeraient à une action unilatérale américaine et
demanderaient l'aval des Nations unies. Maintenant que la résolution
1441 du Conseil de sécurité, approuvée par les Européens, autorise
de facto toute action nécessaire contre le régime de Saddam Hussein,
elles soulèvent d'autres arguments allant de "il n'y a pas de
preuves" à "on ne peut pas bombarder tous les régimes qu'on n'aime
pas" ou "toute cette affaire revient au fait que l'Amérique veut
avoir la mainmise sur les gisements de pétrole irakiens".
Mon expérience au Kosovo avec Milosevic laisse penser que l'argument
devrait être retourné : quelqu'un espère-t-il avec réalisme que
Saddam Hussein quittera le pouvoir de son plein gré ou par un
processus électoral démocratique ? S'il n'abandonne pas le pouvoir
de l'une de ces deux manières, existe-t-il une autre façon d'arrêter
le mal qu'il inflige, en particulier à son propre peuple ? Saddam
Hussein est un tyran et constitue une menace contre la loi
humanitaire internationale, la stabilité de la région et la paix
mondiale au même titre que Milosevic. Pourtant, alors que le boucher
des Balkans est jugé pour crimes contre l'humanité à La Haye, on
accorde le bénéfice du doute au tyran de Bagdad.

C'est là que la guerre entre en jeu. La plus terrible des activités
humaines, la guerre, est sur le point de commencer. Si mon
expérience peut servir de guide, cette guerre abattra malgré tout le
régime de Saddam et créera les conditions d'une démocratie pour le
peuple irakien. Saddam étant du même acabit que Milosevic, nous
savons une chose sur eux : seule une pluie de bombes leur fera
lâcher leur emprise sur le pouvoir.

Quand cela se sera produit, de nouvelles questions émergeront
néanmoins.
Qu'arrivera-t-il dans l'Irak de l'après-Saddam ? Quelle sera la
nature de l'autorité internationale ? Quel genre de transition vers
la démocratie peut se faire dans un Irak souverain ? Et comment ce
genre d'autorité va-t-il affecter l'équilibre régional des Etats
voisins qui ne sont pas des démocraties, mais des retombées de la
fin de l'Empire ottoman ainsi que de la pax britannica ?

Si j'étais membre de l'opposition irakienne, ou encore une partie
concernée appartenant à l'Occident ou à la région, je commencerais
alors à m'inquiéter.
Au cours des derniers mois, un débat a eu lieu sur l'opportunité de
faire la guerre contre Saddam. Il est désormais clos pour
l'essentiel, car les forces présentes sur le théâtre des opérations
ont atteint un point de non-retour.

Je sais par mon expérience au Kosovo que les lendemains arrivent
beaucoup plus tôt qu'on ne les attend. L'opposition doit être prête
à embrasser la cause pour laquelle la bataille a été gagnée.

Le monde doit se rappeler comment la guerre au Kosovo s'est déroulée
et comment les peurs sans fondement qui inquiétaient tant les
Européens ne se sont jamais matérialisées. Il doit tirer la leçon du
cas Milosevic : il faut une puissance militaire pour renverser les
tyrans lorsque tout, y compris les négociations ou les inspections,
a échoué. Le changement ne viendra que lorsque les bombes
commenceront à pleuvoir.


Veton Surroi est rédacteur en chef et éditeur de Koha Ditore au
Kosovo.


--- In crj-mailinglist@...., "Coord. Naz. per la
Jugoslavia" ha scritto:

Iraq, Jugoslavia, di nuovo Iraq / 9: Kosovaro-albanesi al fianco
degli USA contro l'Iraq

Il noto "giornalista indipendente" albanese-kosovaro Veton Surroi -
uno di quelli legati al carrozzone dei media jugoslavi antiMilosevic
stipendiati dalla CIA attraverso la Fondazione Soros e presentati in
Italia come simboli della "lotta per la democrazia" - ha dichiarato
recentemente tutto il suo appoggio agli USA in caso di aggressione
all'Iraq. Sull'"International Herald Tribune" Surroi ha fatto un
parallelo esplicito tra l'intervento "umanitario" del 1999, che
avrebbe "fermato il genocidio in atto nella Kossova", ed il
paventato intervento USA contro l'Iraq.

http://www.rferl.org/newsline/2003/02/4-SEE/see-110203.asp

Radio Free Europe/Radio Liberty
February 11, 2003

KOSOVAR LEADER CALLS FOR MILITARY STRIKE ON IRAQ

Veton Surroi, who is Kosova's best-known journalist
and a highly respected political figure, wrote in the
"International Herald Tribune" of 11 February that the
current Western debate on Iraq reminds him of the
discussion regarding Kosova at the start of 1999.
Surroi argues that "though peace was given a chance
through European-sponsored negotiations, [President
Slobodan] Milosevic only used those talks to entrench
his position in Kosova. In the end, it was only the
bombing of Serbia that stopped genocide of Kosovars
and ultimately allowed the return of almost a million
refugees to their homes." He added that "since Saddam
is of the same ilk as Milosevic, we know something
about them both: Only falling bombs will shake them
from their hold on power.... I know from my experience
in Kosova that the day after comes far earlier than
you expected. The [Iraqi] opposition must be prepared
to take up the cause for which the battle was won."
Surroi concluded, "The world ought to recall how the
war for Kosova unfolded and how Europe's unfounded
fears never materialized. One should remember from the
case of Milosevic that it takes military might to
topple tyrants, after everything else has failed." PM

--- Fine messaggio inoltrato ---

Precisazione di complemento alla precedente lettera di protesta



All'attenzione della Redazione RAI,

Faccio presente che "la fredda accoglienza" ai profughi dalla
Jugoslavia, così ampiamente descritta e dolorosamente gridata dai
giornalisti alla tv, ha significato:

1- maggiore punteggio per entrare nella amministrazione statale e
nella scuola, superando a volte chi era stato allontanato dalla
precedente amministrazione statale fascista, per "scarso adattamento
al regime",

2- Un "regalo" di 10 (dieci) anni per la pensione.



Conosco questi fatti come dipendente statale e per motivi personali,
in quanto amici di famiglia hanno usufruito abbondantemente di
queste agevolazioni.



I detenuti politici antifascisti invece non hanno ottenuto nulla,
perché quelli sopravvissuti, "avevano sopportato un carcere duro, ma
non particolarmente, altrimenti sarebbero morti e le domande non si
fanno da morti".



Distinti saluti

Boris Bellone



-----Messaggio originale-----
Da: bellone
Inviato: lunedì 10 febbraio 2003 17.28
A: rai-tv@r...



Alla Redazione di RAI 1

p.c. La Repubblica, La Stampa, Radio Iran, Radio Cuba, Luna Nuova,
Dialogo in Valle, La voce del Gamadi, L'incontro, Liberazione, ANPI,
ANPPIA, L'antifascista, Les amis de Robespierre, Libero Pensiero
Giordano Bruno, sindacato jugoslavo, Giorgio Bocca, Eugenio Scalari,
Politecnico di Torino



Con grande dispiacere ho ascoltato la notizia da voi trasmessa oggi
10 febbraio 2003 al TG delle ore 13:30, riguardo la questione dei
"profughi" italiani, dopo la seconda guerra mondiale, dalle isole
jugoslave (oggi croate). Avete descritto il fatto come un "mini"
olocausto. Ricordo che gli Italiani hanno avuto la possibilità di
scegliere se stare in Jugoslavia o tornare in Italia, non sono stati
né massacrati, né giustiziati, né tantomeno allontanati, né con le
buone, né con le cattive. Quanto avete riferito è pertanto falso e
offende chi ha combattuto il fascismo che, come è noto alle persone
sincere e documentate, ha contribuito in maniera sostanziale allo
sterminio del popolo jugoslavo, innalzando ben 200, dico duecento,
campi di concentramento, dove donne e bambini (gli uomini venivano
subito uccisi davanti ai loro figli e alle loro mogli) morivano
perfino di sete.

Come figlio di un noto comandante partigiano della Valle di Susa e
responsabile del sabotaggio e controsabotaggio in Piemonte e nipote
di Virgilio, giornalista e direttore didattico allontanato
dall'insegnamento per "scarso adattamento al fascismo", come membro
dell'ANPPIA, protesto per queste menzogne vergognose, probabilmente
suggerite per far piacere al ministro Tremaglia, noto fascista, che
certamente non si è mai vergognato dei campi di sterminio.

Allego alcune lettere che potrebbero farvi riflettere.

Distinti saluti

Boris Bellone

Iraq, Jugoslavia, di nuovo Iraq / 11

I T N - BUGIARDI DI PROFESSIONE


E' stato fatto recentissimamente notare dagli amici di "Un Ponte per..." (vedasi allegati) il ruolo della "corporation" britannica ITN nella costruzione del consenso per la programmata aggressione contro l'Iraq.

E' importante sapere che la ITN non e' nuova a campagne di disinformazione strategica strutturate e persistenti. La truffa mediatica sul "Lager di Trnopolje", organizzata dal network inglese, e' stata smascherata circa dieci anni fa da parte del giornalista tedesco Thomas Deichmann, che in merito ha
pubblicato reportage su varie riviste, prima tra tutte "Living Marxism" (T. Deichmann, "The Picture That Fooled the World," Living Marxism, Feb. 1997). Sul caso e' stato prodotto anche un eccezionale documento video: "The Judgement", a cura di "Emperor's Clothes" (http://www.emperors-clothes.com/Film/judge.htm), che si puo' vedere integralmente via web alla URL: http://www.chiffonrouge.org/ nello spazio "luxfiat".

Il giornalista tedesco Thomas Deichmann nell'articolo aveva svelato la truffa mediatica del "campo di
concentramento" di Trnopolje, presso Prijedor, nel quale i serbi avrebbero arbitrariamente rinchiuso civili musulmani, tenendoli in condizioni di indigenza e maltrattandoli. Deichmann sosteneva che i giornalisti della ITN autori del principale reportage-scandalo su Trnopolje, Penny Marshall e Ian Williams, avevano in realta' costruito un caso "a tavolino", tra l'altro chiedendo ad un detenuto malato (Fikret Alic) di sistemarsi dietro al filo spinato della recinzione di una centralina elettrica per ottenere riprese che destassero indignazione nell'opinione pubblica mondiale.

Dopo essere stata querelata e condannata ad un esborso enorme "per danni all'immagine della ITN", la rivista "Living Marxism" ha dovuto chiudere i battenti dichiarando il fallimento. Da due anni infatti il sito internet di "Living Marxism" e' stato rimosso. Anche i gestori dei siti "Emperor's Clothes" e "Srpska Mreza" hanno avuto problemi legali a causa della denuncia delle attivita' disinformative della ITN, ma sono riusciti a sopravvivere.

Si noti bene: "Living Marxism" non e' stata condannata dai tribunali britannici per diffamazione o per aver detto il falso, ma solamente per aver "danneggiato l'immagine" della ITN.

Sul caso si vedano anche:
* George Kenney, HOW MEDIA MISINFORMATION LED TO BOSNIAN INTERVENTION, in "Living Marxism" (London), April, 1997 (http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/358).
* Thomas Deichmann, CENSORSHIP IN POST-MODERN "LIBERAL DEMOCRACY": THE CASE OF "THE PICTURE THAT FOOLED THE WORLD". WHY LM LOST THE LIBEL CASE
(http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/305)
* Altri link:
http://www.srpska-mreza.com/lm-f97/lm-f97.html
http://www.informinc.co.uk/ITN-vs-LM/story/LM97_Bosnia.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/142
* L'articolo iniziale di Deichmann apparve originariamente su "Living Marxism" (LM), poi sulla stampa tedesca (KONKRET) e sul libro, curato dall'IAC, "NATO in the Balkans" (in italiano "La NATO nei Balcani", Editori Riuniti 1999).


Ed ora, ecco di nuovo l'ITN alla carica. stavolta contro l'Iraq:

---

http://www.unponteper.it/it/news

NOTIZIE DAL PONTE ANNO 2 NUMERO 1

MEDIA CON L'ELMETTO - LA ITN E LA GUERRA ALL'IRAQ

Non si può mai sottolineare abbastanza il ruolo cruciale che giocano i mass-media nel preparare
l'opinione pubblica ad accettare se non addirittura a sostenere la guerra.
Anche la Gran Bretagna, patria presunta del giornalismo "obiettivo", non fa eccezione, anzi. Solo che
qui i meccanismi sono assai sofisticati e destrutturarli non è facile.
E' il servizio - davvero impagabile - che svolge Media Lens (http://www.medialens.org/): un Media Watch - ovvero un osservatorio sui media - on line, gestito con grande passione, e soprattutto competenza, da volontari, che tiene sotto tiro soprattutto i media cosiddetti "liberal", o presunti tali -
come i quotidiani Guardian e Independent, il settimanale Observer, e persino la tanto celebrata BBC - smontandone appunto i sofisticati meccanismi di manipolazione.
Da quando i tamburi della guerra all'Iraq hanno iniziato a rullare, il sito ha dedicato numerosi Media
Alert al ruolo dei media e alla loro responsabilità - nella manipolazione dell'opinione pubblica.
Il contributo che segue - che pubblichiamo nella traduzione italiana - è uscito il 19 dicembre 2002.

Messaggio dall'America - La ITN dichiara guerra all'Iraq

Qualunque idea residua secondo la quale abbiamo un sistema dei media libero e indipendente si sta
certamente volatilizzando sotto il gran peso delle prove che emergono mentre Stati Uniti e Gran Bretagna manipolano e ingannano il loro cammino verso una guerra per il controllo del petrolio iracheno.
Prendiamo il servizio incredibile di stasera nelle news delle 18.30 sull'ITN.
La conduttrice - Katie Derham - ha aperto il servizio sull'Iraq, dichiarando:
"Saddam Hussein ha mentito alle Nazioni Unite e il mondo è un passo più vicino a una guerra con
l'Iraq. Questo è il messaggio stasera dall'America, mentre il capo degli ispettori dell'Onu ha ammesso che nel dossier di Saddam sugli armamenti non c'è nulla di nuovo.
La Casa Bianca ha confermato poco fa che il presidente Bush sta ora andando velocemente verso un attacco." (19 dicembre 2002)
Ancora una volta, il ruolo dei media è semplicemente quello di riferire il punto di vista del potere.
Dato che le cose stanno così, il potere è libero di fare esattamente ciò che vuole: al pubblico verrà detto ciò che il potere ritiene giusto, sbagliato, buono e cattivo. Senza nessuna contestazione razionale, ignorando tutti gli altri punti di vista come non pertinenti, il pubblico non sarà in grado di contraddire il "messaggio dall’America".
La Derham ha passato la parola al caposervizio esteri, Bill Neely, che ha chiesto: "Che cosa manca?" nel dossier iracheno sugli armamenti. Questa la risposta:
"L’Iraq non dà conto delle centinaia di granate di artiglieria riempite di iprite che gli ispettori sanno che possedeva. L’Iraq in passato ha detto di averle perdute!".
Non c’è bisogno di mettere in discussione se queste granate mancanti vengono proposte in tutta serietà come motivo per lanciare una guerra imponente. Non c’è bisogno di mettere in discussione se l’uso di queste armi terrificanti – descritte dagli ispettori come armi di importanza minima sul campo di battaglia – potrebbe venire scoraggiato dalle 6.144 testate nucleari degli Stati Uniti. Non c’è bisogno di mettere in discussione perché, se queste armi sono una minaccia così spaventosa, agli ispettori è stato permesso di andare e venire a loro piacimento in Iraq.
Parlando sotto un grafico intitolato "Verso la guerra", il conduttore della ITN, Nicholas Owen, ha detto:
"Sembra che la questione non sia più se attaccheremo l’Iraq, ma quando e come. Quindi, che cosa succederà adesso? Qual è il percorso verso la guerra?"
Tutte le domande che potrebbero essere fatte da qualunque individuo ragionevole in questo momento critico possono essere allora lasciate tranquillamente cadere, con il giudizio che una guerra imminente è ora semplicemente un fatto concreto che deve essere accettato. Se i potenti hanno deciso una linea di azione, chi siamo noi per mettere in discussione o contestare ciò che hanno deciso di fare?
Owen ha continuato:
"A differenza dell’ultima guerra del Golfo, non esiste l’opzione di lasciare l’Iraq con Saddam Hussein ancora al potere. Questa guerra ci sarà e ci si sbarazzerà di Saddam, e questo messaggio arriva dall’alto." (Nicholas Owen)
Ancora una volta, il "messaggio dall’America", questa volta dal presidente stesso, è: guerra!
E così Owen dichiara la guerra una certezza e preannuncia la caduta di Saddam Hussein.
Il lavoro dei media è semplicemente quello di trasmettere il messaggio: preoccupazioni razionali e morali non hanno interesse per la nostra libera stampa.
Owen è passato poi a discutere "i rischi", sotto un titolo con le stesse parole, che indicavano la possibile necessità di combattimenti corpo a corpo nelle strade di Baghdad:
"Un incubo di guerra urbana nel quale potrebbero esserci molte vittime … Una strategia rischiosa per qualunque presidente Usa in un paese che non è pronto ad accettare che i suoi soldati tornino a casa dentro sacchi di plastica."
Immaginate se una grande superpotenza straniera stesse prendendo in considerazione combattimenti corpo a corpo nelle strade di Londra. Ben altri i rischi che potrebbero venire in mente.
Ma, come in Afghanistan, gli orrori che ha di fronte una popolazione prigioniera schiava di un dittatore e nel mirino delle nostre bombe non sono una nostra preoccupazione.
Quindi, l’inviato John Irvine, da Baghdad:
"Stasera in News at Ten, parlerò dei problemi che qualunque forza di invasione potrebbe trovarsi di fronte in questo paese. Dopo la guerra del Golfo, gli americani hanno esperienza di combattimenti nel deserto. Ma questa volta il premio finale sarà diverso: la conquista di questa città, Baghdad."
Si noti che Irvine, che si trova nella capitale bersaglio, in mezzo a una popolazione civile completamente schiacciata da guerre precedenti (ad esempio, dalle 88.500 tonnellate di bombe sganciate durante la guerra del Golfo: l’equivalente di sette bombe del tipo di Hiroshima) e da un decennio di sanzioni genocide, può riferirsi a problemi solo ai problemi cui si troverà a far fronte una "forza di invasione".
I problemi cui si troveranno a far fronte centinaia di migliaia di persone attorno a lui – come quello di restare mutilati, inceneriti e uccisi – non sono ora e non sono mai stati un tema per i nostri media.
Sotto un grafico intitolato "Guerra contro Saddam", Owen ha proseguito:
"Come ha detto, John ci dirà di più su una Guerra contro Saddam stasera nelle News at Ten."
A poche ore dall’annuncio degli Usa di una "violazione sostanziale", anche mentre il ministro degli Esteri, Jack Straw, insiste ingannevolmente che ciò non significa automaticamente guerra, la ITN ha deciso, nella sua infinita sapienza, e servilità, che questa è adesso una "Guerra contro Saddam".
Infine, Robert Moore da Washington ha dichiarato:
"La conclusione qui alla Casa Bianca, certamente, è che il presidente Bush ritiene che Saddam Hussein abbia perduto la sua ultima opportunità di salvare il suo regime."
Perciò, con perfetta simmetria, il servizio è finito come era cominciato, con un "messaggio dall’America", dai potenti: l’unico messaggio che conta in un mondo dei media totalmente perduto nell’ignoranza, brutalità indifferente e servilità.

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NOTIZIE DAL PONTE ANNO 2 NUMERO 3

LETTERA APERTA AI MEDIA SULL'IRAQ
di Wakefield

Ai primi di gennaio, Grant Wakefield, autore di The Fire This Time (http://www.firethistime.org/), un CD che analizza la guerra del Golfo, smontando la propaganda dei mass media, e descrive gli effetti delle sanzioni all’Iraq, ha inviato una lettera ad alcuni giornalisti britannici in merito alla "copertura" della crisi irachena.
La lettera è stata diffusa il 17 gennaio 2003 da Media Lens (http://www.medialens.org/), - osservatorio on-line sui media (vedi Notizie dal Ponte no.1-2003) – con una introduzione dei suoi due curatori.
Data l’importanza e l’incisività di questo documento, abbiamo pensato fosse assai utile pubblicarne una versione italiana integrale, preceduta da alcuni estratti dell’introduzione.
Ne raccomandiamo caldamente la lettura anche ai giornalisti nostrani. Quanto suggerito vale – a maggior ragione – per loro.

Stiamo assistendo a un conflitto drammatico e importante fra l’opinione pubblica e dei processi politici decisionali irresponsabili.
Un sondaggio di Channel 4 (16 gennaio 2003) mostra che non meno dell’81% della popolazione britannica ritiene che non sia stata data una buona giustificazione per fare una guerra all’Iraq, e tuttavia i politici britannici sono chiaramente decisi a portare il loro popolo in guerra.
Un sondaggio della ITN (13 gennaio 2003) riferisce che solo il 3% della popolazione crede che l’obiettivo di un attacco all’Iraq sarebbe quello di ridurre il rischio di terrorismo, ma gli Usa e la Gran Bretagna insistono che il motivo è la minaccia del terrore.
Circa il 30% della popolazione crede che il vero obiettivo sia il petrolio, ma Bush (già alto dirigente della società petrolifera Harken), Dick Cheney (già direttore generale della società petrolifera Halliburton),
Condoleeza Rice (già alta dirigente della società petrolifera Chevron) respingono tutti questa motivazione come sciocchezze. Gli altri 32 principali componenti dell’Amministrazione Bush che hanno legami finanziari significativi con l’industria degli armamenti, e i 21 componenti che hanno legami con l’industria energetica, anch’essi insistono che è di per sé evidente che i veri motivi sono i diritti umani e la lotta al terrorismo.
I livelli attuali di dissenso pubblico sono ancora più eccezionali se consideriamo la misura in cui il pubblico è stato spietatamente bombardato dalla propaganda governativa e dei media, che suggeriscono che il terrorismo ci sta minacciando da ogni parte, facendo collegamenti impliciti ed espliciti fra queste "minacce" e l’Iraq.
Il disaccordo fra la propaganda politico/aziendale mediatica da un lato, e il senso comune pubblico dall’altro, è stato nuovamente rivelato nell’ultimo servizio della ITN, nel quale il conduttore, Nicholas Owen, ha dichiarato:
"Il rullo dei tamburi di guerra sembra farsi sempre più forte. Quindi: quale potrebbe essere il conto alla rovescia verso un conflitto?" (Nicholas Owen, ITV Lunchtime News, 17 gennaio 2003)
E’ ben vero, il rullo dei tamburi si sta facendo più forte, ma fra coloro che li suonano ci sono dipendenti dei media dominanti, come Owen e i suoi colleghi, che un mese fa hanno ritenuto opportuno dichiarare inevitabile la guerra:
"Sembra che la questione non sia più se attaccheremo l’Iraq, ma quando e come. Quindi: che cosa succederà adesso? Qual è il percorso verso la guerra?" (Owen, ITN Evening News, Evening News, 19 dicembre 2002)
Nel momento sicuramente più surreale della ITN, da quando essa ignorò la condizione drammatica di 7 milioni di afghani che morivano di fame, concentrandosi invece su Marjan, "il leone con un solo occhio" dello zoo di Kabul, nel 2002, Owen ha intervistato il Generale di divisione aerea Tony Mason.
Le 11 testate vuote trovate in un bunker iracheno costituiscono una "pistola fumante" ? [prova inconfutabile, cioè NdR], ha chiesto Owen. Il Generale Marshall ha risposto che bisognava prima essere sicuri di quello che le testate effettivamente contenevano, aggiungendo:
"Naturalmente la vera pistola fumante sarebbe se si scoprisse che una di queste testate contiene ancora una miscela chimica".
In altre parole, un attacco massiccio di 200.000 soldati contro un paese di 26 milioni di abitanti impoveriti, seduti su 200 miliardi di barili di petrolio, sarebbe giustificato dalla scoperta di una granata di artiglieria di 122 mm, con una gittata di 4 miglia, dato che quest’unica granata si presume costituisca un’arma di distruzione di massa, e quindi una violazione della risoluzione Onu 1441.
(…)
In discussioni con amici, redattori di Media Lens, e guardando sporadiche interviste sui media con membri del pubblico, siamo costantemente colpiti dalla differenza fra i servizi che fanno i media e le opinioni del pubblico. Mentre la versione del sensato e del razionale che danno i politici e i giornalisti ci lascia con la sensazione che essi siano scesi da un altro pianeta, il pubblico parla in modo diretto, chiaro e razionale di ipocrisie, menzogne e assurdità ovvie.
Come osservò una volta dei politici l’attore comico Bill Connolly - "Non sono come noi!" - e come John Simpson della BBC ha detto dei giornalisti:
"C’è un po’ qualcosa che non va nella maggior parte di noi, non vi sembra? Siamo merci avariate, di solito con vite private leggermente sballate ed esperienze non convenzionali. Outsider che guardano agli altri dall’esterno." (Travels with Auntie, intervista di Lynn Barber a John Simpson, Observer, 24 febbraio 2002)
I giornalisti sono resi outsider dal fatto che agiscono in collusione con gli insider a Downing Street e alla Casa Bianca per ingannare il pubblico. Sono pagati per mettere in secondo piano le loro preoccupazioni umane morali e razionali, e per sostituirle con verbosità intricate, che confondono, e sciocchezze favorevoli all’establishment approvate dagli interessi costituiti che li ricompensano così bene.
(…)
Abbiamo ricevuto copia di tante lettere straordinariamente e meravigliosamente ispiratrici, che sono state inviate ai media dai lettori. Le leggiamo tutte e a volte alcune ci colpiscono particolarmente.
La lettera che segue è stata inviata la scorsa settimana da Grant Wakefield a un certo numero di giornalisti. Crediamo che contrasti enormemente con molto di quanto scrivono i media dominanti.
Wakefield è autore di un CD molto apprezzato sull’ultima guerra del Golfo, The Fire This Time (…).

David Edwards e David Cromwell
Curatori – Media Lens

Caro Signore,

i curatori di Media Lens raccomandano sempre di mantenere nelle lettere ai media un tono calmo ed educato, ma devo confessare che sto trovando sempre più difficile mantenere la mia compostezza continuando a vedere la copertura totalmente vergognosa sull’’Iraq che attualmente passa per informazione.
Tanto per dire una novità particolare su Saddam "…. mentre passa in rassegna le sue truppe, un sigaro in mano … il volto sorridente. In attesa …" vorrei offrire i miei consigli su quanto i media britannici potrebbero fare anch’essi mentre fumano un sigaro e aspettano la morte di 10.000 iracheni innocenti in quello che la CIA ha definito uno "scenario medio":

1) Siete esseri umani responsabili delle vostre azioni. Fare semplicemente "il vostro lavoro" non vi esonera dalla responsabilità delle conseguenze prevedibili delle vostre azioni, come i processi di Norimberga hanno portato all’attenzione del mondo così efficacemente. Pensateci.

2) Le vostre azioni hanno conseguenze di vasta portata e completamente letali per gente innocente. Pensateci.

3) Le azioni di coloro che voi descrivete come i leader del "mondo libero" hanno conseguenze che possono essere inimmaginabili, cioè il primo attacco con impiego delle armi atomiche. Pensateci.

4) Un attacco all’Iraq garantirà quasi certamente una rappresaglia terrorista, con conseguenze che possono essere inimmaginabili, mettendo a rischio vite innocenti inglesi e americane. Pensateci.

5) Voi potreste essere una delle vittime. Pensateci.

Solo pochi anni fa, anche se sembra una vita, la copertura degli eventi internazionali in Gran Bretagna era forse la migliore del mondo. Ricordo ancora vividamente lavori e documentari eccellenti, come Threads e QED’s Guide To Armageddon, nonché le inchieste enormemente incisive di Panorama su argomenti come l’uso di scienziati nazisti da parte degli Usa nel loro programma spaziale, e la guerra dei Contras contro il Nicaragua appoggiata dagli Usa.
Posso, quindi, nel modo più educato possibile, se non altro in nome dei vecchi tempi, evidenziare i seguenti fatti verificati, e chiedervi come minimo di inserirli nella vostra copertura?

1. I maggiori esponenti dei governi americano e britannico hanno affermato ripetutamente che le sanzioni non saranno MAI tolte finché Saddam Hussein sarà al potere. Questo fatto evidente rende straordinaria la piena collaborazione da parte degli iracheni con le ispezioni sugli armamenti, dato che essi non hanno assolutamente alcun incentivo a cooperare con chiunque su qualunque cosa, se non per il fatto che verranno uccisi se non lo fanno. Questo fu chiarito dall’ex Direttore dell’UNSCOM, Rolf Ekeus, nel 1994, anche se egli fu abbastanza diplomatico da lasciar fuori la parte sull’uccisione.
L’ex Segretario di Stato Usa, Warren Christopher, rimosse unilateralmente perfino la frase sulla levata delle sanzioni dalla risoluzione 687 del Consiglio di Sicurezza, rendendo inutile la collaborazione degli iracheni, anche se essi tuttavia collaborarono, e continuano a farlo. Ecco una scelta di citazioni:

"Tutte le sanzioni possibili saranno mantenute finché Saddam Hussein non se ne andrà".
Marlin Fitzwater, ex portavoce della Casa Bianca, maggio 1991

"Faremo pagare il prezzo agli iracheni finché Saddam Hussein sarà al potere. Qualunque alleggerimento delle sanzioni verrà preso in considerazione solo quando ci sarà un nuovo governo".
Robert Gates, ex Consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Los Angeles Times, 9 maggio 1991
(Si noti che Gates ha detto "gli iracheni", non il regime iracheno).

"[L’embargo non finirà] … finché Saddam Hussein sarà al potere".
George Bush, ex presidente Usa, 20 maggio 1991

"[La Gran Bretagna porrà il veto a qualunque tentativo dell’Onu di attenuare le sanzioni] … finché Saddam Hussein rimarrà al potere".
John Major, ex Primo Ministro britannico, 10 maggio 1991

"Non siamo d’accordo con quei paesi che sostengono che se l’Iraq adempirà ai suoi obblighi sulle armi di distruzione di massa, le sanzioni dovrebbero essere tolte".
Madeleine Albright, ex Segretario di Stato Usa, parlando a un convegno sull’Iraq alla Georgetown University, Usa, 26 marzo 1997

"Le sanzioni rimarranno in eterno, o finché egli [Hussein] rimarrà".
Bill Clinton, ex presidente Usa, citato dal New York Times, 23 novembre 1997

"La nostra politica è liberarci di Saddam, non del suo regime".
Richard Haas, ex direttore per gli Affari del Medio Oriente del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, citato in Out of the Ashes: The Resurrection of Saddam Hussein, di Andrew e Patrick Cockburn, 1999.
Haas fece in origine la dichiarazione nel 1991, ed essa fu citata nel documentario di Cockburn The War We Left Behind, realizzato per la serie Frontline, e trasmesso negli Usa nel novembre 1991.

2. I governi di Stati Uniti e Gran Bretagna furono i principali fornitori di armi all’Iraq, con responsabilità che ricadono sui capi di Stato ai massimi livelli, e lo fecero in violazione di dozzine di divieti e leggi internazionali sugli armamenti, fornendo tutta l’alta tecnologia necessaria per i programmi chimici, biologici e nucleari dell’Iraq.
La Gran Bretagna fu fra i co-sponsor della Fiera degli armamenti di Baghdad nel 1989. Deputati e senatori in quantità visitarono tutti l’Iraq negli anni ’80 e strinsero la mano al "macellaio di Baghdad", mentre i contribuenti americani e britannici pagarono il conto per armarlo attraverso il Dipartimento garanzie crediti all’esportazione (GB: £ 670 milioni), e segretamente attraverso il Dipartimento all’Agricoltura e altri (Usa: le stime superano il miliardo di dollari).
Essi lo fecero essendo pienamente a conoscenza degli attacchi brutali dell’Iraq contro i kurdi e del suo uso di armi chimiche contro di questi e gli iraniani.
Come facciamo a saperlo? Perché membri del personale dell’ambasciata americana intervistarono alcuni sopravvissuti kurdi ad Ankara e passarono le informazioni alla CIA, la quale trasmise un rapporto al Segretario di Stato George Schultz, il quale riconobbe che sapevano della guerra chimica.
Perché i leader kurdi scrissero una lettera diretta a Margaret Thatcher, supplicandola di porre fine al suo sostegno a Saddam Hussein, e fecero uno sciopero della fame fuori della sede dell’Onu a New York per attirare l’attenzione sulle atrocità. Nessuno prestò la benché minima attenzione, e il sostegno continuò.

3. Stati Uniti e Gran Bretagna sono i maggiori mercanti di armi al mondo, e gli Usa hanno la maggiore riserva di armi di distruzione di massa di qualunque paese al mondo, e sono il solo paese ad aver mai usato armi atomiche. Gli Usa hanno venduto armi per un valore di 50-150 miliardi di dollari ai paesi del Golfo fra il 1991 e il 1993, violando effettivamente la risoluzione 687 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che chiedeva il disarmo del Medio Oriente come "obiettivo" nel momento stesso in cui autorizzava l’UNSCOM a disarmare l’Iraq.
La fornitura decisiva di armi all’Indonesia da parte della Gran Bretagna ha messo in grado quel regime brutale di continuare nel massacro della popolazione di Timor Est. In otto anni dal suo arrivo al potere, Blair ha aumentato in modo massiccio il livello di vendite all’Indonesia.

4. L'Iraq è il paese più completamente disarmato al mondo in termini relativi, e quella dell’UNSCOM è stata una storia di straordinario successo come misura di controllo internazionale sugli armamenti.
Attualmente, l'’UNMOVIC si sta dando da fare per continuare questo successo, pertanto l’Amministrazione Usa ha già iniziato a diffamare diversi membri del suo team.
Per 12 anni l’intera giustificazione logica delle sanzioni è stata che l’Iraq non stava cooperando con gli ispettori. Appena esso ha manifestato la propria disponibilità ad ammettere una nuova squadra (in cui non ci fossero agenti della CIA e altri che raccogliessero informazioni mirate come venne riferito ampiamente all’epoca), l’Amministrazione Usa ha dichiarato immediatamente che essi non avrebbero accettato ispezioni sugli armamenti. Ciò era evidentemente insensato. Venne riassunto nel migliore dei modi dal portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, quello della dichiarazione sul "fumo invisibile di una pistola nascosta". "La nostra politica è il cambiamento di regime, con o senza ispezioni".

5. Secondo stime di Scott Ritter, ex ispettore capo UNSCOM, sono 2000 gli iracheni che ogni anno vengono uccisi dal regime brutale in una drastica repressione politica. Quasi tutte le agenzie umanitarie del mondo confermano che fra i 4000 e i 7000 iracheni muoiono OGNI MESE a causa delle sanzioni, che vengono a quanto pare giustificate dal comportamento del regime iracheno in materia di diritti umani.
Anche questo è evidentemente insensato, e il più chiaro indice del fatto che gli iracheni stanno meglio sotto la repressione di Hussein che sotto le nostre sanzioni, anche se, naturalmente, devono far fronte a entrambe le cose.

6. La storia dell’intervento di Usa e Gran Bretagna in altri paesi, e i bagni di sangue che sono stati provocati dai loro attacchi e dal sostegno a brutali leader fantoccio, fanno sembrare il comportamento di Saddam Hussein piuttosto dilettantesco. Il regime dello Shah in Iran fu particolarmente brutale, con la sua polizia segreta addestrata nientemeno che da Norman Schwartzkopf Sr.
Dopo che lo Shah venne rovesciato, gli iraniani trovarono film prodotti dalla CIA che illustravano in dettaglio i metodi migliori per torturare le donne.

7. Gli Usa e la Gran Bretagna sono alleati di stati islamici brutali, fondamentalisti, che hanno dichiarato apertamente il loro sostegno a gruppi terroristi. L’Arabia Saudita è un candidato evidente, con il suo sostegno finanziario privato ad al Qaida, e per essere il luogo di provenienza di 15 dei dirottatori dell’11 settembre.
Hamas è sostenuto apertamente dalla Siria, il cui presidente ha preso di recente il tè con la regina, dopo una visita amichevole al no. 10 [Downing Street NdR].

8. Ho conservato la migliore per ultima. L’Iraq era un amico privilegiato e alleato degli Usa (e della Gran Bretagna), e lo è stato dal 1963: anno in cui la CIA aiutò il partito Ba’ath di Saddam Hussein ad andare al potere, descrivendo il colpo di stato che costò la vita a 3000 persone come " … una grande vittoria; fu una operazione in cui vennero messi tutti i puntini sulle ‘i’ …".
Il 12 aprile 1990, mentre era ancora molto nelle grazie degli Usa, Saddam Hussein offrì di distruggere il suo arsenale di armi chimiche e non convenzionali se Israele avesse acconsentito a distruggere le sue armi nucleari e non convenzionali. Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Richard Boucher, trasmise la risposta di un gruppo di senatori Usa, che dissero agli iracheni che essi vedevano con favore l’offerta ma erano contrari al collegamento
" … ad altri problemi o sistemi di armamenti …"
Boucher non poté neanche menzionare la parola "Israele" nella risposta, perché questo avrebbe messo in discussione come mai hé tutti gli aiuti Usa a Israele non fossero illegali in base al Foreign Aid Act che vieta gli aiuti ai paesi impegnati nello sviluppo clandestino di armi nucleari. E così l’offerta di Saddam venne garbatamente respinta e la questione fu lasciata cadere.
Ritorniamoci sopra, perché sembra difficile da credere: Saddam Hussein era un alleato, offrì di distruggere le sue armi di distruzione di massa nel 1990, e gli Usa lo respinsero.

Se non è abbondantemente chiaro che "noi" non saremmo nella condizione in cui i nostri "leader " ci assicurano che "siamo", se "essi" non avessero sostenuto così clamorosamente questo pazzo all’inizio, ora dovrebbe esserlo. E DOVREBBE ESSERE DETTO.
Come disse così mirabilmente un giornalista della BBC già nel gennaio 1991: "L’Occidente ha di nuovo armato un mostro che non può controllare?" Osservate in particolare che disse "ancora una volta" …
Troverete tutte queste informazioni, e molte altre, con fonti dettagliate, sul mio sito web www.firethistime.org.
Vi consiglio in particolare di leggere tutta la pagina delle CITAZIONI CLASSICHE.
Nel frattempo, vi allego una foto di Donald Rumsfeld che stringe la mano a Saddam Hussein nel 1984, mentre agiva in qualità di inviato di Ronald Reagan per riaprire le relazioni diplomatiche fra Usa e Iraq all’apice dell’uso della guerra chimica da parte di quest’ultimo.
Cordialmente, stupito che continuiate a far propaganda in modo così sfacciato, e ancor più stupito che la maggioranza degli inglesi non se ne lasci ingannare. Buon per loro. Vergogna per voi.

Grant Wakefield

Ciao,

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jugocoord <jugocoord@...>

Kosovar Albanians Prepare Invasion of South Serbia and Declaration of
"Independence" (by Sergei Stefanov)
http://english.pravda.ru/main/2003/02/13/43352.html


Pravda.RU:Top Stories:More in detail

13:00 2003-02-13

Kosovar Albanians Prepare Invasion of South Serbia and Declaration of “Independence”

Serb military contingent on Kosovo border is in full operational readiness. Albanian terrorists are preparing invasion of South Serbia, Serb officials state. These days, tension was redoubled in the province. UN mission representatives to Kosovo, as usual, possess no information and know nothing about the terrorist intentions.

Belgrade however, raised the alarm. The Serb leadership called the UN mission head to Kosovo, Michael Steiner, and NATO military command in the province to taking urgent measures to prevent the attack on South Serb provinces.

Prime Minister Zoran Jinjic added Serb force structures in turn “will not tolerate terrorist actions.” Jinjic says the terrorist threat originates from Kosovo, though he does not exclude the offensive is also planned by Albanian extremists from Macedonia.

Now, while the world attention is focused on the coming war with Iraq (nobody questions this possibility), Kosovar Albanians can easily carry out an operation to “strengthen their links” to terrorist and criminal elements in the south of the republic.

Moreover, not long ago, a third of deputies of Kosovar parliament overfilled with radical Albanian parties, spoke in support of “the province independence from Serbia.” Final decision however was postponed. Though, now the parliament could again return to the question.

“Independence initiative” was supported by Kosovar Prime Minister Bajram Rexhepi and his government, however Rexhepi says it is too early to speak about the definitive status of the province. The Serb bloc representatives to Kosovar parliament decided to leave the sitting hall as a protest, if Albanian deputies offer for discussion so-called “Independence Declaration of Kosovo.” Serb say all these initiatives are possible because of the Steiner “conciliatory position.”

P.S. According to Radio Jugoslavija, the police chief in Medvedj, South Serbia, Zoran Andjelic said at night February 11 to 12, 33 powerful explosions had been registered on Kosovo border. The explosions were supposedly produced on the territory of Kosovska Kamenica community, where, according to Serb special services, a group of militants is being trained.

Sergei Stefanov
PRAVDA.Ru

Translated by Vera Solovieva
Read the original in Russian: http://www.pravda.ru/1/last_news_1.html

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SEE ALSO:

Presevo Albanians Eye Autonomy (by Belgzim Kamberi)
http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200302_406_2_eng.txt