Informazione


Attualità del colonialismo

1) Colonialismo, neocolonialismo e balcanizzazione: le tre età di una dominazione (S. Bouamama)
2) Michel Collon: “il Medio Oriente è l’oggetto di una guerra di ricolonizzazione” (#politicanuova, maggio 2016)


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www.resistenze.org - pensiero resistente - imperialismo - 30-05-16 - n. 591

Colonialismo, neocolonialismo e balcanizzazione: le tre età di una dominazione

Saïd Bouamama | investigaction.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/05/2016

Iraq, Libia, Sudan, Somalia, etc., la lista di nazioni che sono andate a pezzi dopo un intervento militare statunitense e/o europeo non cessa di aumentare. Sembra che al colonialismo diretto di una "prima età" del capitalismo e al neocolonialismo di una "seconda età", succeda adesso la "terza età" della balcanizzazione. Parallelamente si può constatare una mutazione delle forme del razzismo. Dopo la Seconda guerra mondiale, il razzismo culturale prese il posto di quello biologico e da diversi decenni il primo tende a presentarsi a livello religioso, sotto la forma attualmente dominante dell'islamofobia. A nostro parere, siamo in presenza di tre storicità strettamente vincolate: quella del sistema economico, quella delle forme politiche della dominazione e quella delle ideologie di legittimazione.

Ritorno a Cristoforo Colombo

La visione dominante dell'eurocentrismo spiega l'emergere e la successiva estensione del capitalismo a partire da fattori interni delle società europee. Da qui deriva la famosa tesi che alcune società (alcune culture, religioni, etc.) siano dotate di una storicità, mentre altre ne siano carenti. Quando Nikolas Sarkozy afferma nel 2007 che "il dramma dell'Africa è che l'uomo africano non è entrato sufficientemente nella storia" (1) non fa altro che riprendere un tema frequente delle ideologie di giustificazione della schiavitù e della colonizzazione:

"La "destoricizzazione" svolge un ruolo decisivo nella strategia di colonizzazione. Legittima la presenza di colonizzatori e certifica l'inferiorità dei colonizzati. La tradizione delle storie universali e poi le "scienze coloniali" imposero una postulato sul quale si è costruita la storiografia coloniale: l'Europa è "storica" mentre è "l'astoricità" che caratterizza le società coloniali definite come tradizionali e immobili. […] Mossa dai suoi valori intellettuali e spirituali, l'Europa svolge attraverso la missione coloniale una missione storica, facendo entrare nella Storia i popoli che ne sono privi o che sono rimasti fermi ad uno stadio dell'evoluzione storica superato dagli europei (stato di natura, medio evo, ecc.)" (2)

Sia l'antichità di questa lettura essenzialista ed eurocentrica della storia del mondo che la sua ricorrenza (al di là delle diverse forme in cui si presenta) mettono in evidenza la sua funzione politica e sociale: la negazione delle interazioni. Da quando Cristoforo Colombo ordinò ai suoi soldati di sbarcare, la storia mondiale si è convertita in una storia unica, globale, collegata, mondializzata. La povertà degli uni non si può più spiegare senza interrogarsi sui nessi di causalità con la ricchezza degli altri. Lo sviluppo economico degli uni è indissociabile dal sottosviluppo degli altri. Il progresso dei diritti sociali qui è possibile solo per mezzo della negazione dei diritti lì.

L'invisibilità delle interazioni richiede una mobilitazione dell'istanza ideologica per formalizzare alcuni schemi esplicativi gerarchizzanti. Questi schemi costituiscono il "razzismo", sia nelle sue costanti che nelle mutazioni. C'è invariabilità perché tutti i volti del razzismo, da quello biologico all'islamofobia, hanno un risultato comune: la gerarchizzazione dell'umanità. C'è anche mutazione perché ogni volto del razzismo corrisponde a uno stadio del sistema economico di depredazione e a uno stadio dei rapporti di forza politici. Al capitalismo monopolista corrisponderà la schiavitù e la colonizzazione come forma di dominazione politica, e il biologismo come forma di razzismo. Al capitalismo monopolista globalizzato e senile corrisponderà la balcanizzazione e il caos come forma di dominazione, e l'islamofobia (in attesa di altre versioni per altre religioni del Sud in funzione dei paesi da balcanizzare) come forma di razzismo.

Tempo fa, nella sua analisi sull'apparizione del neocolonialismo come successore del colonialismo, Mehdi Ben Barka mise in evidenza le relazioni tra l'evoluzione della struttura economica del capitalismo e le forme di dominazione. Analizzando le "indipendenze concesse", le pone in relazione con le mutazioni della struttura economica dei paesi dominanti:

"Questo orientamento [neocoloniale] non è una semplice opzione nel dominio della politica estera. E' l'espressione di un cambiamento profondo nelle strutture del capitalismo occidentale. Dal momento in cui, dopo la Seconda guerra mondiale e grazie all'aiuto [del Piano] Marshall e a una interpenetrazione sempre maggiore con l'economia statunitense, l'Europa occidentale si allontana dalla struttura del XIX secolo per adattarsi al capitalismo statunitense, diventa normale che inizi anche ad adottare le relazioni degli Stati Uniti con il mondo. In una parola, che avesse anch'essa la sua "America Latina". (3)

Per il leader rivoluzionario marocchino ciò che suscita il passaggio del colonialismo al neocolonialismo è in effetti la monopolizzazione del capitalismo. Allo stesso modo, la precocità del processo di monopolizzazione negli Stati Uniti è una delle cause della precocità del neocolonialismo come forma di dominazione in America Latina.

Frantz Fanon, da parte sua, mise in evidenza le relazioni tra la forma della dominazione e le evoluzioni delle forme del razzismo. La resistenza che suscita una forma di dominazione (il colonialismo, ad esempio) obbligano questa a mutare. Tuttavia, questa mutazione richiede il mantenimento della gerarchizzazione dell'umanità e, in conseguenza, chiama una nuova età dell'ideologia razzista. "Questo razzismo", precisa Fanon, "che si vuole razionale, individuale, determinato, genotipico e fenotipico si trasforma in razzismo culturale". Per ciò che si riferisce ai fattori che portano alla mutazione del razzismo, Frantz Fanon menziona la resistenza dei colonizzati, l'esperienza del razzismo, ossia, "l'istituzione di un regime coloniale in piena terra d'Europa" e "l'evoluzione delle tecniche" (4), ossia, le trasformazioni della struttura del capitalismo, come rilevava Ben Barka.

Conseguentemente, senza entrare in un dibattito complesso di una periodizzazione del capitalismo datata con precisione è possibile porre in relazione i tre ordini di fatti che sono le mutazioni della struttura economica, le forme della dominazione politica e le trasformazioni dell'ideologia razzista. Le tre "età" del capitalismo chiamano tre "età" della dominazione, che suscitano tre "età" del razzismo.

L'infanzia del capitalismo

Lo stesso capitalismo come modo di produzione economica, a causa della sua legge del profitto, necessita di una estensione permanente. E' immediatamente in mondializzazione, anche se questa conosce i suoi limiti di sviluppo. Ossia, si tratta dell'ingannevole discorso attuale della globalizzazione, presentata come un fenomeno completamente nuovo, legato ai mutamenti tecnologici. Come mette in evidenza Samir Amin, la nascita del capitalismo e la sua mondializzazione vanno di pari passo:

"Il sistema mondiale non è la forma relativamente recente del capitalismo, risalente solo all'ultimo terzo del XIX secolo, quando si costituisce "l'imperialismo" (nel senso che Lenin diede a questo termine) e la spartizione coloniale del mondo ad esso associata. Al contrario, noi affermiamo che questa dimensione mondiale trova immediatamente la sua espressione, dall'origine, e prosegue come una costante del sistema attraverso le tappe successive del suo sviluppo. Ammettendo che gli elementi essenziali del capitalismo si cristallizzino in Europa a partire dal Rinascimento (la data del 1492, inizio della conquista dell'America, sarebbe la data di nascita simultanea del capitalismo e del sistema mondiale), entrambi i fenomeni sono inseparabili". (5)

In altre parole, sia il saccheggio e la distruzione delle civiltà amerindie che la schiavitù furono le condizioni affinché il modo di produzione capitalistico potesse esser dominante nelle società europee. Non ci fu nascita del capitalismo e successivamente sua estensione, ma un saccheggio e una violenza totali che riunirono le condizioni materiali e finanziarie affinché si installasse il capitalismo. Sottolineiamo inoltre con Eric Williams che la distruzione delle civiltà amerindie si accompagna alla loro schiavizzazione. Così, la schiavitù non è conseguenza del razzismo, ma quest'ultimo è il risultato della schiavitù degli indios. "Nei Caraibi", sottolinea questo autore, "il termine schiavitù si è applicato esclusivamente ai neri. […] Il primo esempio di commercio di schiavi e di manodopera schiavistica nel Nuovo Mondo non riguarda il nero ma l'indio. Gli indios soccombettero rapidamente all'eccesso di lavoro e al cibo insufficiente, morirono di malattie importate dai bianchi". (6)

Quindi la colonizzazione non è che il primo processo di generalizzazione dei rapporti capitalistici al resto del mondo. E' la forma di dominazione politica che infine si è trovata per l'esportazione e l'imposizione di questi rapporti sociali al resto del mondo. Per questo, era necessario distruggere le relazioni sociali indigene e le forme di organizzazione sociale e culturale che avevano generato. L'economista algerino Youcef Djebari dimostrò la grandezza della resistenza delle forme anteriori di organizzazione sociale e l'indispensabile violenza per distruggerle: "In tutti i suoi intenti di annessione e dominazione in Algeria, il capitale francese si trovò di fronte una formazione sociale e economica ostile alla sua penetrazione. Dispiegò tutto un arsenale di metodi per schiacciare e sottomettere le popolazioni autoctone" (7). Per questo la violenza totale è consustanziale alla colonizzazione.

Il razzismo biologico appare per legittimare questa violenza e questa distruzione. Fanon mette in evidenza che il razzismo "entra in un insieme distinto: quello dello sfruttamento spudorato di un gruppo di uomini sugli altri. […] Per questo l'oppressione militare ed economica prevede quasi sempre il razzismo, lo rende possibile e lo legittima. Bisogna abbandonare il costume di ritenere che il razzismo sia una disposizione dello spirito, una tara psicologica". (8)

Conseguentemente, il razzismo come ideologia di gerarchizzazione dell'umanità che giustifica la violenza e lo sfruttamento non è una caratteristica dell'umanità, ma una prodotto ritracciabile storicamente e geograficamente: l'Europa dell'emergere del capitalismo. Il biologismo come primo volto storico del razzismo conosce la sua età dell'oro nel XIX secolo, insieme all'esplosione industriale da una parte e alla febbre coloniale dall'altra. Il medico e antropologo francese Paul Broca classificò i crani umani con fini comparativi e concluse che "rispetto alla capacità craniale, il negro d'Africa occupa una posizione approssimativamente media tra l'europeo e l'australiano". (9) Di conseguenza, esiste qualcuno inferiore al nero, l'aborigeno, ma uno superiore indiscutibilmente, l'europeo. E siccome tutte le dominazioni richiedono dei processi di legittimazione, se non simili quanto meno convergenti, estende il suo metodo alla differenza di sesso per concludere che "la piccolezza relativa del cervello della donna dipende a sua volta dalla sua inferiorità fisica e dalla sua inferiorità intellettuale". (10)

1. Monopoli, neocolonialismo e culturalismo

Il XX secolo è quello della monopolizzazione del capitalismo. Questo processo si sviluppa a ritmi differenti per ognuna delle potenze. I grandi gruppi industriali dirigono sempre più l'economia e il capitale finanziario diviene preponderante. La relazione fisica e soggettiva tra il proprietario e la proprietà sparisce a beneficio della relazione tra il coupon dell'azione borsistica e l'azionista. Il grande colono proprietario di terre cede il passo all'azionista di miniere. Questa nuova struttura del capitalismo richiede una nuova forma di dominazione politica, il neocolonialismo, che Kwane Nkrumah definisce nel modo seguente: "L'essenza del neocolonialismo è che lo Stato sottomesso ad esso è teoricamente indipendente, possiede tutte le insegne della sovranità sul piano internazionale. Ma in realtà la sua economia e di conseguenza la sua politica sono manipolate dall'estero". (11)

Naturalmente, la presa di coscienza nazionalista e lo sviluppo delle lotte di liberazione nazionale accelerano la transizione di una forma di dominazione politica all'altra. Ma siccome l'obiettivo è mantenere la dominazione, continua ad esser necessario giustificare una gerarchizzazione dell'umanità. La nuova dominazione politica richiede una nuova età del razzismo. Il razzismo culturalista emergerà progressivamente come risposta a questa necessità facendosi dominante nei decenni che vanno dal 1960 al 1980. Adesso non si tratta di gerarchizzare biologicamente, ma culturalmente. L'esperto e il consulente si sostituiscono al colono e al militare. Adesso non si studia "la diseguaglianza dei crani" ma i "freni culturali allo sviluppo". Siccome adesso non si può legittimare su base biologica, la gerarchizzazione dell'essere umano si dispiega in una direzione culturale, attribuendo alle "culture" le stesse caratteristiche che prima determinavano in modo presunto le razze biologiche (immobilità, omogeneità, ecc.).

Sul piano internazionale il nuovo volto del razzismo permette di giustificare il mantenimento di una povertà e di una miseria popolare nonostante le indipendenze e le esperienze di emancipazione che ci sono state. Come si eludono le nuove forme di dipendenza (funzionamento del mercato mondiale, ruolo dell'aiuto internazionale, il franco CFA, ecc.), si trovano come cause esplicative alcuni aspetti culturali che presumibilmente caratterizzano i popoli delle ex colonie: l'etnicismo, il tribalismo, il clanismo, il gusto per le cose sfarzose, spese sontuose, ecc. Si dispiega così tutta una corrente teorica denominata "afro-pessimista". Stéphan Smith considera che "l'Africa non funziona perché continua ad esser "bloccata" da alcuni ostacoli socioculturali che essa sacralizza come i suoi gris-gris [amuleti] identitari" o anche che "il dattilografo, adesso provvisto di un computer, non ha più la fronte macchiata dal nastro della macchina da scrivere a forza di fare la siesta su di essa" (12). Gli fa eco Bernard Lugan, secondo cui la carità, la compassione e la tolleranza e i diritti umani sono estranei alle "relazioni africane ancestrali". (13)

Sul piano nazionale il razzismo culturalista assolve la stessa funzione, ma rispetto alle popolazioni sorte dall'immigrazione. Spiegare culturalmente alcuni fatti che segnalano le diseguaglianze sistemiche di cui sono vittime permette di delegittimare le rivendicazioni e le rivolte che suscitano queste diseguaglianze. Il fallimento scolastico, la delinquenza, il tasso di disoccupazione, le discriminazioni, le rivolte dei quartieri popolari, ecc., adesso non si spiegano per mezzo di alcuni fattori sociali ed economici, ma per mezzo di alcune causalità culturali o identitarie.

2. Capitalismo senile, balcanizzazione e islamofobia

Da quella che è stata chiamata "mondializzazione", il capitalismo si trova di fronte a nuove difficoltà strutturali. L'aumento costante della competizione tra le diverse potenze industriali rende impossibile la minima stabilizzazione. Le crisi si succedono una dietro l'altra senza interruzione. Il sociologo Immanuel Wallerstein considera che:

"Da trent'anni siamo entrati nella fase terminale del capitalismo. Ciò che differenzia fondamentalmente questa fase della successione ininterrotta di cicli congiunturali precedenti è che il capitalismo non riesce adesso a "fare sistema", nel senso che lo intende il fisico e chimico Ilya Prigogine (1917-2013): quando un sistema, biologico, chimico o sociale, si devia troppo e troppo spesso dalla sua situazione di stabilità non ottiene di recuperare l'equilibrio e si assiste allora ad una biforcazione. La situazione si rende allora caotica, incontrollabile per le forze che la dominavano fino ad allora". (14)

Non si tratta semplicemente di una crisi di sovrapproduzione. Contrariamente a questa, la recessione non prepara nessuna ripresa. Le crisi si succedono e si incatenano senza ripresa alcuna, le bolle finanziarie si accumulano ed esplodono sempre più regolarmente. Le fluttuazioni sono sempre più caotiche e, pertanto, imprevedibili. La conseguenza di ciò è una ricerca del massimo profitto con qualsiasi mezzo. In questa competizione esacerbata in situazioni di instabilità permanente, il controllo dei flussi di materie prime è una questione più importante che nel passato. Adesso non si tratta solo di aver accesso per sé alle materie prime, ma di impedire che vi accedano i competitori (e in particolare le economie emergenti: Cina, India, Brasile, ecc.).

Minacciati nella loro egemonia, gli USA rispondono attraverso la militarizzazione e le altre potenze la seguono per garantire anch'essi l'interesse delle loro imprese. "Dal 2011", segnala l'economista Philip S. Golub, "gli Stati Uniti hanno intrapreso una fase di militarizzazione e di espansione imperiale che ha alterato profondamente la grammatica della politica mondiale" (15). Dall'Asia Centrale al Golfo Persico, dall'Afghanistan alla Siria passando per l'Iraq, dalla Somalia al Mali le guerre seguono il cammino dei luoghi strategici del petrolio, del gas, dei minerali strategici. Ora non si tratta di dissuadere i competitori e/o avversari ma di realizzare "guerre preventive".

Alla mutazione della base materiale del capitalismo corrisponde una mutazione delle forme della dominazione politica. Il principale obiettivo adesso non è insediare dei governi fantoccio che non possono più resistere in forma duratura alla collera popolare, ma balcanizzare per mezzo della guerra per far sì che questi paesi siano ingovernabili. Dall'Afghanistan alla Somalia, dall'Iraq al Sudan il risultato delle guerre è ovunque lo stesso: la distruzione della base stessa delle nazioni, la decadenza di tutte le infrastrutture che permettono la governabilità, l'installazione del caos. Da adesso si tratta di balcanizzare le nazioni.

Tale dominio ha bisogno di una nuova legittimazione, formulata in base alla teoria dello scontro di civiltà. Questa teoria vuole indurre certi comportamenti di panico e di paura, con l'obiettivo di suscitare una richiesta di protezione e approvazione delle guerre. Dal discorso del terrorismo, che richiede guerre preventive fino alla teoria della grande sostituzione passando per le campagne sull'islamizzazione dei paesi occidentali e sui rifugiati vettori di terrorismo, il risultato atteso è sempre lo stesso: paura, panico, richiesta di sicurezza, legittimazione delle guerre, costruzione del musulmano come nuovo nemico storico. L'islamofobia è, effettivamente, una terza età del razzismo che corrisponde alle mutazioni di un capitalismo senile, ossia, che non può più apportare nulla di positivo all'umanità, ma solo guerra, miseria e la lotta di tutti contro tutti. Non esiste uno scontro di civiltà ma una crisi di civiltà imperialista che esige una vera rottura. Ciò che cercano di evitare con tutti i mezzi non è la fine del mondo, ma la fine del loro mondo.

Note

(1) Nicolas Sarkozy, discorso di Dakar del 26 luglio 2007, http://www.lemonde.fr/afrique/article/2007/11/09/le-discours-de-dakar_976786_3212.html .

(2) Pierre Singaravelou, Des historiens sans histoire? La construction de l'historiographie coloniale en France sous la Troisième République, Actes de la Recherche en Sciences Sociales, n° 185, 2010/5, p. 40.

(3) Mehdi Ben Barka, Option révolutionnaire au Maroc. Ecrits politiques 1957-1965, Syllepse, París, 1999, pp. 229-230. [Mehdi Ben Barka è stato un politico marocchino, combattente per l'indipendenza e più tardi dissidente del regime di Hasan II, cofondatore dei partiti politici Istiqlal e Unione Nazionale delle Forze Popolari, e segretario della Conferenza Tricontinentale].

(4) Frantz Fanon, "Racisme et Culture", Pour la Révolution africaine. Ecrits politiques, La Découverte, París, 2001, p. 40.

(5) Samir Amin, "Les systèmes régionaux anciens", L'Histoire globale, une perspective afro-asiatique, éditions des Indes savantes, París, 2013, p. 20.

(6) Eric Williams, Capitalisme et esclavage, Présence Africaine, 1968, p. 19.

(7) Youcef Djebari, La France en Algérie, la genèse du capitalisme d'Etat colonial, Office des Publications Universitaires, Argel, 1994, p. 25.

(8) Frantz Fanon, Racisme et culture , op.cit., p. 45.

(9) Paul Broca, Sur le volume et la forme du cerveau suivant les individus et suivant les races, Volumen 1, Hennuyer, París, 1861, p. 48.

(10) Paul Broca, Sur le volume et la forme du cerveau suivant les individus et suivant les races, op.cit., p. 15.

(11) Kwame Nkrumah, Le néocolonialisme, dernier stade de l'impérialisme, Présence Africaine, París, 1973, p. 9.

(12) Stephen Smith, Négrologie: Pourquoi l'Afrique meurt, Fayard, París, 2012, p. 49 et 58.

(13) Bernard Lugan, God bless Africa. Contre la mort programmée du continent noir, Carnot, Paris, 2003, pp. 141-142.

(14) Immanuel Wallerstein, "Le capitalisme touche à sa fin", Le Monde, 16 de diciembre de 2008, http://www.lemonde.fr/la-crise-financiere/article/2008/12/16/le-capitalisme-touche-a-sa-fin_1105714_1101386.html

(15) Philip S Golub, De la mondialisation au militarisme: la crise de l'hégémonie américaine, A Contrario, 2004, n°2, p. 9.


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Michel Collon: “il Medio Oriente è l’oggetto di una guerra di ricolonizzazione”

Pubblicato il 17 luglio 2016   in Internazionale/Interviste   di Aris Della Fontana e Raffaele Morgantini

Proponiamo di seguito l’intervista integrale al giornalista d’investigazione belga Michel Collon apparsa sull’edizione di maggio 2016 del quadrimestrale d’approfondimento marxista #politicanuova, a cura di Aris Della Fontana e Raffaele Morgantini.


  1. Quali sono le principali caratteristiche dei rapporti tra Occidente (Usa ed Europa) e Medio Oriente a partire dai momenti conclusivi del Novecento? Quale funzione svolge il Medio Oriente all’interno delle strategie geo-politiche e geo-economiche occidentali?

Il Medio Oriente, inteso in senso ampio, quindi comprendente anche il Maghreb, la penisola arabica, il Corno d’Africa e paesi asiatici quali l’Afghanistan e il Pakistan – di fatto quel “Grande Medio Oriente” concepito dall’amministrazione statunitense -, è l’oggetto di una guerra di ricolonizzazione, innescata nel 1991 con la prima guerra del Golfo. A quel tempo Saddam Hussein cadde in una trappola: gli si fece credere che gli Stati Uniti non si sarebbero mossi laddove egli avesse tentato di recuperare il Kuwait, sottratto all’Iraq dal colonialismo britannico; ma George Bush senior, invece, intervenne. Lo scopo degli Stati Uniti era quello di distruggere l’Iraq assieme a Saddam Hussein perché quest’ultimo aveva commesso l’imperdonabile errore di sollecitare gli arabi e più in generale il Medio Oriente alla ricerca dell’indipendenza rispetto agli Stati Uniti, alla resistenza rispetto ad Israele e all’utilizzo del petrolio al fine di ingenerare uno sviluppo autonomo che mettesse fine alla colonizzazione economica della regione. Così facendo Saddam Hussein, come tutti quei dirigenti arabi che storicamente si sono mostrati troppo indipendenti rispetto agli Stati Uniti e al colonialismo in generale, firmò la sua condanna a morte: si tentò dunque di abbatterlo, ma la resistenza irachena si rivelò molto forte, e inoltre non si riuscì a contare su personaggi corrotti interni al paese né ad organizzare la divisione tribale di quest’ultimo. La guerra, in ogni caso, indebolì molto l’Iraq, e servì da avvertimento generale ai paesi arabi, africani e asiatici. Possiamo dire che, con il 1991, si aprì un periodo nuovo: parallelamente alla caduta dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti avviarono la ricolonizzazione di tutto quanto, precedentemente, avevano perduto: i paesi del Terzo mondo divenuti indipendenti nel Medio Oriente e in Africa, assieme ai paesi dell’Europa dell’Est. L’obiettivo era quello di instaurare un nuovo ordine a livello mondiale in cui gli Stati Uniti si fossero imposti quale unica superpotenza – e, in tal senso, era ottimo che la Russia eltisiniana si fosse fortemente indebolita, mentre l’Europa andava mantenuta quale vassallo subordinato e il processo di crescita della Cina andava in qualche modo depotenziato.


  1. Quali fattori hanno portato gli Stati Uniti ad avviare una tale dinamica? E, all’interno di quest’ultima, quale funzione ha svolto il Medio Oriente e quale invece Israele e le petro-monarchie del Golfo? L’Europa, dal canto suo, come si posiziona?

Ragione principale alla base d’un tale progetto è stata la crisi economica che attanagliava gli Stati Uniti dal 1973, se non da prima: il paese si era indebolito economicamente, il tasso di profitto evidenziava un’importante caduta, e inoltre, se, da una parte, la delocalizzazione delle aziende di vari settori produttivi (tessile, automobilistico, informatico) aveva fatto aumentare i guadagni delle multinazionali statunitensi e permesso agli Stati Uniti di avvantaggiarsi rispetto ad Europa e Giappone, dall’altra, essa aveva assestato un duro colpo alla base economico-produttiva nazionale e, ancora, aveva indebolito in modo importante il potere d’acquisto dei consumatori statunitensi. Di conseguenza, dati questi presupposti, gli Stati Uniti, con uno squilibrio della bilancia dei pagamenti e con un profondo deficit dei conti statali – reso maggiormente acuto dalle dispendiose politiche militari -, sono via via diventati dipendenti dal credito.
Nel quadro del processo di rivalsa coloniale e soprattutto nel tentativo di acquisire un potere mondiale unipolare, il controllo del Medio Oriente si è rivelato, per gli Stati Uniti, un’arma d’importanza basilare: l’obiettivo, a tal proposito, non era tanto quello di assicurare le proprie forniture petrolifere – gli Stati Uniti importavano petrolio prevalentemente da territori vicini quali il Messico e il Venezuela (dall’Arabia Saudita proveniva solo il 19% della quantità totale) – quanto quello di controllare – in termini strategici – l’approvvigionamento dei rivali (Europa, Giappone, Russia e Cina). Oggi, 25 anni dopo la prima guerra del Golfo, la strategia in questione si è rafforzata. Obama ha indicato con chiarezza che l’obiettivo centrale è il controllo dell’Asia: egli, del resto, non fa altro che applicare le indicazioni del suo maître à penser, Zbigniew Brzezinski, il quale, a suo tempo, spiegò che se gli Stati Uniti avessero voluto restare i signori del mondo avrebbero dovuto controllare l’Eurasia, ossia la zona ove è presente la maggior parte della popolazione, della produzione e della ricchezza mondiale – e la crescita della Cina ha confermato ciò. Secondo Brzezinski, al fine di controllare effettivamente l’Eurasia, occorre impedire ai vari vassalli di unirsi: Russia e Cina, a tal proposito, devono rimanere ben divisi – politicamente ed economicamente – dall’Europa e, in modo particolare, la Russia non si deve connettere alla Germania. Di fatto, quindi, i paesi dell’Europa non posseggono un’indipendenza integrale rispetto agli Stati Uniti. Emblematica, in tal senso, la celeberrima esclamazione dell’inviato speciale statunitense per l’Ucraina Victoria Nuland, «Fuck the EU», che evidenzia la ben scarsa considerazione, da parte statunitense, delle posizioni dei partner europei1.
Israele e le petro-monarchie del Golfo rappresentano dei pilastri molto importanti al fine di mantenere il controllo sul Medio Oriente: gli Stati Uniti, infatti, non sono in grado di garantire un attivo e sistematico intervento nella regione – cioè attraverso invasioni via terra o colpi di stato, entrambe le azioni essendo alquanto pericolose – e quindi Israele, una forza di valenza militare, e le petro-monarchie del Golfo, una forza di valenza economica, si rivelano funzionali a dividere il Medio Oriente.


  1. Il concetto di «primavere arabe» ha raccolto nello stesso contenitore numerosi processi aventi carattere regionale e/o nazionale. Ritieni che tale concetto sia effettivamente in grado di contenere in modo esaustivo quanto sotto di esso è stato posto?

Quello di «primavere arabe» è un concetto fasullo [concept bidon], fabbricato dagli esperti di comunicazione psicologica e di manipolazione dell’opinione. Esso è funzionale a velare due fondamentali elementi. In primo luogo, il fatto che gli Stati Uniti e l’Europa hanno sostenuto [maintenu en place] e protetto sino all’ultimo momento dittatori arabi come Ben Ali e Mubarak. In secondo luogo, il fatto che gli Stati Uniti – molto lungimiranti e con ciò sempre pronti ad anticipare il maturare dei processi -, sapendo che Ben Ali e Mubarak erano personaggi politici finiti – rivolte terribili non potevano che sorgere sia date una dittatura e una corruzione inaccettabili sia dato l’accumulo scandaloso di ingenti quantità di ricchezza in antitesi a una condizione di spaventosa povertà -, hanno preparato la loro sostituzione. A tal proposito, in Egitto e in Tunisia, si sono avuti degli scioperi operai e delle rivolte molto importanti, ma sono stati stroncati dal governo con l’aiuto e il sostegno di Stati Uniti ed Europa. La strategia occidentale consisteva nel tentativo di controllare l’esplosione delle proteste affinché si potessero alleviare [soulager] le frustrazioni ma, nel contempo, impedire che a livello politico qualcosa effettivamente cambiasse: ciò è stato conseguito sacrificando qualcheduno, come Mubarak, Ben Ali e i loro più stretti seguaci, ma mantenendo al loro posto sia le élite sia le istituzioni militari, dividendo i giovani e in generale la società civile e organizzando delle elezioni. Il libro che Investig’Action ha recentemente pubblicato, “Arabesque$. Enquête sur le rôle des États-Unis dans les révoltes arabes”2, scritto da Ahmed Bensaada, mostra con evidenza il modo con cui gli Stati Uniti hanno individuato, comprato, condotto negli Stati Uniti e formato i cosiddetti young leaders – i dirigenti di domani –, preparati appositamente al fine di giocare un ruolo nell’ammaestramento della rivolta popolare affinché essa non si sviluppasse in una direzione eccessivamente radicale e cioè che non diventasse una vera rivoluzione sociale e politica.


  1. Per il caso libico e per quello siriano si può parlare di uno snaturamento sostanziale delle proteste ad opera degli attori esterni? Cioè, se inizialmente si sono presentate legittime ragioni di malcontento relative a contraddizioni interne, successivamente c’è stata una deformazione e con ciò un ingigantimento dei motivi e dei moti di protesta? Come districare la matassa che lega protestanti sinceri, fondamentalisti e attori eterodiretti?

In Libia e in Siria – certamente – vi erano delle legittime ragioni di manifestare.
Per la Libia non parlerei di problematiche sociali: Gheddafi ridistribuiva i proventi del petrolio e, inoltre, aveva concesso [avait accordé] un livello di vita estremamente elevato a tutti i libici: l’educazione e la sanità erano gratuite, e le politiche dell’alloggio avevano permesso una buona accessibilità. Vero è che negli ultimi anni si erano avute delle misure che avevano ridotto questo Stato sociale – misure che, peraltro, erano state prese a seguito della pressione e dei consigli degli Stati Uniti e degli altri popoli sedicenti liberi; ma, ciononostante, in Libia c’era il più alto livello di vita dell’Africa. La Libia, d’altro canto, non era definibile una democrazia liberale: essa aveva bensì l’aspetto d’un regime autocratico. E però, a tal proposito, il dato centrale risiede nel fatto che in Medio Oriente c’erano e ci sono ordinamenti politici ben peggiori, come l’Arabia Saudita, il Qatar e il Kuweit – di conseguenza, se veramente gli Stati Uniti avessero voluto solamente instaurare una democrazia liberale (che, in ogni caso, non può essere imposta dall’esterno con le bombe), avrebbero dovuto cominciare da questi ultimi. In Libia la protesta – come ho spiegato nel mio libro “Libye, Otan et médiamensonges”3 – è stata manipolata e, molto velocemente, orientata [détournée] verso un altissimo contenuto di violenza, della quale sono stati responsabili i terroristi islamisti rispondenti alla sezione libica di al-Qaida: dal secondo giorno di manifestazioni sono apparsi missili e armi anticarro, e si è assistito all’attacco delle prigioni finalizzato alla liberazione dei terroristi ivi prigionieri. Insomma, non si è trattato propriamente di manifestazioni pacifiche.
In Siria c’erano legittime ragioni di carattere politico che hanno portato a manifestare. Anche la Siria, infatti, non può essere definita una democrazia liberale. C’erano inoltre delle ragioni di carattere socio-economico, date dal fatto che anche in questo paese si era avuto un ridimensionamento dello Stato sociale (e, come nel caso libico, gli Stati Uniti si sono distinti per le pressioni volte al varo di riforme neoliberali) – la Siria era un paese meno ricco rispetto alla Libia, ma comunque pure ivi erano attive forme di socialità relativamente consistenti se paragonate alla miseria di altri paesi circostanti. Ad essere colpiti in modo particolarmente acuto da queste riforme sono stati i contadini, i quali parallelamente avevano dovuto sopportare due annate filate di siccità: essi si sono perciò ritrovati in grosse difficoltà a livello finanziario e sociale. Il copione, a questo punto, è grosso modo lo stesso: le legittime ragioni di protesta sono state ben presto messe a frutto dagli attori esterni, Stati Uniti in primis, la cui volontà di rovesciare Assad era tale già da diversi anni: l’ex Ministro degli affari esteri di Francia Roland Dumas (1984-1986, 1988-1993) ha dichiarato che, nel 2009 – cioè ben due anni prima delle manifestazioni -, era stato avvicinato, a Londra, da agenti inglesi i quali, comunicandogli che la Siria sarebbe stata presa di mira, lo interrogarono circa la volontà francese di partecipare a ciò4. Ci sono poi molti altri documenti e rivelazioni di giornalisti, statunitensi e non, che mostrano con chiarezza l’effettiva preparazione di un’offensiva nei confronti della Siria.
Appare alquanto chiaro come una grande potenza non abbia alcun motivo valido di sferrare un attacco contro un paese per il fatto che all’interno di quest’ultimo si stiano svolgendo delle manifestazioni di protesta, ché di esse ve ne sono pressoché dappertutto tutti i giorni. Gli Stati Uniti, invece, intervengono al fine di esacerbare le tensioni, operare delle provocazioni, trarre un pretesto dal caos ingenerato per pretendere e prendere delle sanzioni economiche e militari e, infine, effettuare un cosiddetto regime changhe.


  1. Nei tuoi interventi hai sostenuto l’operare di una «propaganda di guerra» finalizzata a legittimare l’intervento militare occidentale. In tal senso, hai individuato i cinque principi costituenti di tal narrazione: ce ne puoi parlare?

C’è una cosa che una grande potenza intenzionata a muovere una guerra non potrà mai dire: la verità. «Facciamo questa guerra per impadronirci della ricchezza della regione»; «questo paese mette in pericolo la nostra supremazia»; «questa guerra è necessaria per i profitti delle nostre multinazionali»: sono tutte dichiarazioni che mai si sentiranno pronunciare ufficialmente. Queste ragioni vanno oscurate, perché evidentemente c’è bisogno che l’opinione pubblica – il contribuente finanziario – sostenga queste onerose operazioni. La cinque regole della propaganda di guerra rispondono a questa necessità.

  1. Nascondere il fatto che, alla base, stiano determinati interessi economici. Se il Medio Oriente non fosse un campo di petrolio bensì di carote, gli Stati Uniti avrebbero le stesse ragioni per spendere, ogni anno, tre o quattro miliardi di dollari per fare d’Israele il guardiano della regione? E se l’Iraq non contenesse nient’altro che sabbia, e non quindi petrolio, gli Stati Uniti avrebbero speso molte energie per far sloggiare un dittatore quando invece, nel contempo, essi ne proteggono molti altri?
  2. Invertire i ruoli tra vittima e aggressore: colui che sferra l’attacco militare non può definirsi l’aggressore, egli è infatti la vittima o, anche, il protettore che accorre a soccorso della vittima. Quando Israele passa all’offensiva per annettere dei territori palestinesi, pretende sempre di agire in posizione di legittima difesa contro gli Arabi, che o l’avrebbero attaccato o si preparerebbero a farlo.
  3. Offuscare la storia e con ciò fabbricare un pretesto plausibile e inattaccabile – proprio ché non si possono comprendere gli antecedenti e le cause profonde d’un conflitto – per poter intervenire in una data regione. In Ruanda, Francia e Belgio si presentano come forze neutrali; in realtà essi hanno aizzato le etnie una contro l’altra al fine di meglio dividere e con ciò indebolire la loro resistenza.
  4. Demonizzare l’avversario – crudele, immorale e pericoloso – e di riflesso convincere l’opinione pubblica del sincero desiderio, da parte delle forze governative, di proteggerla tramite l’eliminazione della minaccia da esso rappresentata. Si tratta, in fondo, di manipolare le emozioni dell’opinione pubblica – che si impaurisce oppure si indigna – impedendole di analizzare lucidamente i reali interessi in gioco.
  5. Monopolizzare l’informazione, dando prevalentemente voce alle fonti e agli esperti organici agli interessi dominanti, impedendo così alla popolazione di riflettere sulla base dei due o più punti di vista in campo. Come dimostrato da Noam Chomsky, esiste una vera e propria censura che non pronuncia il proprio nome e che impedisce un effettivo dibattito sul ruolo delle multinazionali, degli Stati Uniti e dell’Unione Europea in Medio Oriente, come anche in America latina o in Africa. Il discorso massmediatico viene fatto virare su questioni secondarie o totalmente false, ed esso, inoltre, non presenta adeguatamente le posizioni dell’altra parte in causa e in generale le prospettive alternative come quelle proposte dagli analisti che rilevano l’ingiustizia e la strumentalità di queste guerre.

  1. Spesso e volentieri, le letture di largo respiro, cioè quelle analisi costruite da ramificazioni causali che tendenzialmente assorbono le varie dinamiche in un disegno complessivo, vengono accusate di avere una natura “complottista”. Come è più adeguato rispondere a questo tipo di accuse – nel caso concreto finalizzate a svalutare l’attendibilità delle posizioni anti-imperialiste?

In genere nei miei scritti cito testi, dichiarazioni e rapporti provenienti dai dirigenti politici degli Stati Uniti oppure dai responsabili della strategia di questo paese: li faccio parlare. Domandiamoci: quando Hillary Clinton afferma che gli Stati Uniti hanno creato al-Qaida, è anch’essa complottista? E quando il già citato Brzezinski ammette di essere il responsabile dell’invio di Osama bin Laden in Afghanistan e della crescita dell’islamismo, è anch’egli un complottista? E, se io li cito, divento un complottista? Non credo proprio.
Credo occorra porsi altre tre domande.
I complotti esistono? Sì, essi hanno un’esistenza reale. La definizione che ne dà un vocabolario è molto chiara: stiamo parlando di una manovra, di una cospirazione, di un’intesa segreta, tra più soggetti, finalizzata a conseguire uno o più obiettivi. Nella storia politica degli Stati Uniti – come in quella degli altri paesi – ci sono stati dei complotti, ad opera di determinate personalità, le quali hanno mantenuto le loro azioni celate all’opinione pubblica nazionale e internazionale. La faccenda relativa al presunto possesso, da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, di armi di distruzione di massa, è un caso emblematico: George W. Bush e Tony Blair hanno fatto in modo fossero redatti falsi rapporti che dimostrassero le loro pretestuose tesi. Ma si pensi anche all’Operazione Gladio, promossa dalla Cia in Europa al fine di seminarvi il panico, giustificare l’adozione di politiche repressive e impedire ai comunisti di andare al governo: essa rappresenta un complotto i cui dettagli sono oggi appurabili. E, di complotti di tal genere, se ne svolgono in modo periodico. E – detto tra parentesi – ci sono pure i “complotti di sinistra”: quando Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara organizzano di nascosto il rovesciamento della dittatura militare di Fulgencio Batista e con essa la dominazione statunitense su Cuba, essi effettuano nient’altro che una cospirazione, che fortunatamente ha avuto successo.
Ma, alla luce di ciò, possiamo comprendere tutta la politica e la storia facendo uso dei complotti? No. Oggi, pensatori appartenenti all’estrema destra francese ed europea credono di poter spiegare la crisi economica, la crescita delle ineguaglianze, la povertà, come se tutto ciò fosse un complotto ordito dalle banche, o dagli ebrei, o dai massoni o, ancora, dai dirigenti statunitensi. Credo che di fronte a tali questioni si debba essere chiari: non esiste nessuno in grado di controllare l’economia al punto da poter provocare una crisi. L’economia capitalista funziona attraverso leggi intrinseche e cioè in modo tendenzialmente autonomo rispetto alle volontà e ai progetti degli attori umani (singoli o collettivi). L’economia capitalista – concretamente – si basa sulla proprietà privata dei grandi mezzi di produzione: in virtù di ciò i proprietari possono decidere ciò che deve essere prodotto e a quale prezzo, e possono fissare le retribuzioni salariali; c’è poi anche il momento della concorrenza tra i capitalisti, che si lega a filo doppio all’assenza d’una pianificazione della produzione: ognuno, all’interno di questa dinamica, perseguendo la legge della massimizzazione del profitto, tenta di guadagnare più degli altri, sia attraverso la compressione dei costi del lavoro e delle materie prime, sia precipitandosi nei settori maggiormente redditizi e con ciò investendo nell’innovazione tecnologica funzionale all’incremento della produttività. Ma ciò genera tre conseguenze alquanto rilevanti: il montante sfruttamento del lavoro indebolisce il potere d’acquisto e di riflesso una quota maggiorata di prodotti resta invenduta; i capitalisti, investendo nello stesso momento in quei settori che appaiono più redditizi, elevano la capacità di produzione in modo sproporzionato rispetto alle reale possibilità di assorbimento del mercato (il caso dell’industria automobilistica è emblematico: ogni anno si sfornano 25 milioni di auto in più di quanto il mercato può assorbire) e così si genera un enorme spreco di forze produttive; il miglioramento delle tecniche produttive, dal canto suo, se da un lato aumenta la produttività, dall’altro, in termini complessivi, dato che comporta un relativo aumento del rapporto tra capitale costante e capitale variabile (il solo creatore di plusvalore e quindi di profitto), conduce ad una flessione del saggio di profitto complessivo. Così ha origine la crisi di sovrapproduzione, la quale porta con sé diminuzione degli investimenti, chiusura degli stabilimenti, licenziamenti, diminuzione dei salari e altre similari reazioni, che non fanno altro che incrinare ulteriormente la situazione economica complessiva. Grosso modo da quarant’anni ci troviamo in questo tipo regime. E non c’è alcun dirigente politico né capitalista – per nulla interessato al fatto che si produca in funzione dell’interesse della popolazione e secondo una forma di pianificazione – che possieda gli strumenti per risolverne le contraddizioni. Bisogna dunque smetterla di fantasticare pensando che la crisi sia il frutto d’un complotto voluto da banche o da non so chi altro; la crisi è un prodotto inevitabile del capitalismo, e le guerre sono condotte per conseguire interessi economici e sono la diretta conseguenza delle politiche economiche delle grandi potenze, intenzionate sia a controllare le materie prime, a non pagarle e ad impedire che i rivali se le aggiudichino, sia ad ottenere nuovi mercati per le loro merci, sia, infine, a procurarsi manodopera a basso costo. Come ebbe a dire all’inizio del XX secolo Jaen Jaurès, «le capitalisme porte en lui la guerre comme la nuée porte l’orage». Il complottismo, quindi, è un’assurdità dal punto di vista dell’analisi teorica – anche se, evidentemente, i complotti si fanno per fabbricare pretesti, nascondere le vere ragioni e per conseguire altri obiettivi strumentali.
Ma perché, allora, ci sono persone come Bernard-Henri Lévy o Caroline Fourest che utilizzano quale spauracchio la questione della teoria del complotto laddove si critichi la politica statunitense, europea ed israeliana, laddove si critichino le politiche coloniali? La ragione è semplice: essi non possiedono altri argomenti, non hanno assolutamente nulla da ribattere allorquando gli si presenta sotto gli occhi un’analisi basata sui fatti oggettivi, allorquando si dà la parola alle vittime, allorquando, in fin dei conti, si esce dal perimetro del pensiero dominante amministrato dalle élite occidentali. È continuamente in atto una battaglia ideologica che ruota attorno alla spiegazioni di fenomeni quali le contraddizioni economiche, le cause della povertà e delle ingiustizie, la guerra e il terrorismo. Le classi dominanti auspicano che i giovani e i lavoratori accettino le letture dominanti e che non si pongano altre domande. La precisa funzione di uno spauracchio quale la sempre in agguato accusa di complottismo, in questo senso, è quella di impedire che la gente rifletta autonomamente.


  1. Concretamente, i pacifisti e gli anti-imperialisti occidentali come si devono muovere?

Penso che la sparizione, in Europa occidentale, del movimento contro la guerra sia una vera e propria tragedia. Nel passato si sono avuti dei grandi movimenti che si opponevano alle politiche guerrafondaie: i lavoratori scioperavano per impedire che le navi caricassero le armi che sarebbero poi state usate nelle guerre coloniali, una quota importante di giovani rifiutava di servire negli eserciti, c’erano fenomeni di disobbedienza, e gli intellettuali si mobilitavano per lanciare appelli contro la guerra e per la costruzione di un movimento per la pace.
Dopo la prima guerra del Golfo si è avuta praticamente una guerra all’anno – considero anche le guerre non dichiarate e le cosiddette proxy wars. Ma la popolazione non si è mobilitata. È vero che nel 2003 c’è stato un grande movimento contro la guerra, quando George W. Bush attaccò l’Iraq; ma nel caso specifico va tenuto conto di due fenomeni eccezionali. Bush, coi suoi metodi, ha fatto ben comprendere a tutti che si trattava d’una guerra per il petrolio; inoltre, alcuni paesi europei si sono opposti denunciando l’azione statunitense (comprendendo come si trattasse, anche, di una guerra contro l’Europa): ciò ha aperto uno spazio di discussione che rese possibile che sui media si parlasse esplicitamente di “guerra per il petrolio”. Ma nel 2011 per la Libia od oggi per la Siria sui media non si può leggere che le guerre sono fatte per interessi economici; e come se non bastasse, non è sorto alcun movimento che sensibilizzi e faccia contro-informazione. Questo è anche la conseguenza della capitolazione della sinistra – per non parlare dei socialisti al governo – e dei suoi intellettuali; le “mediamenzogne” vengono accettate, senza ricercare altre spiegazioni, e, inoltre, non si osa difendere determinati governi i quali, pur non essendo delle democrazie liberali e pur non essendo di sinistra, difendono almeno la sovranità del loro paese e con essa il diritto alla libera gestione delle loro ricchezze. La sinistra occidentale, insomma, non conducendo più una lotta contro il colonialismo e la guerra, ha commesso un vero e proprio tradimento nei confronti della sua storia: di ciò non potranno non tenere conto i progressisti delle prossime generazioni, chiamate a ricostruire al più presto un movimento per la pace di cui i popoli del Sud hanno assolutamente bisogno.



[1] In italiano, una possibile traduzione della citata esclamazione potrebbe essere la seguente: «E per quel che riguarda l’Unione Europea […], vada a farsi fottere!». Viktoria Nuland è massimo responsabile statunitense per i rapporti con l’UE e all’epoca della presidenze di George W. Bush è stata consigliera in materia di politica estera del vicepresidente Dick Cheney. Nuland ha affermato quanto sopra durante una telefonata – realizzata nel gennaio 2014 – con l’ambasciatore americano a Kiev, Geoffrey Pyatt, in cui si è discussa la possibilità di trovare un accordo tra il governo ucraino di Viktor Ianukovich e l’opposizione guidata da Vitali Klitschko. Per maggiori informazioni, si veda s.n., “’L’Unione europea si fotta’, l’audio della diplomatica che imbarazza gli USA”, IlFattoQuotidiano.it, 6 febbraio 2014 (http://goo.gl/U269Gh). 
[2] Ahmed Bensaada, Arabesque$. Enquête sur le rôle des États-Unis dans les révoltes arabes, Investig’Action, 2015 
[3] Michel Collon, Libye, Otan et médiamensonges, Investig’Action – Couleur livres, 2011 
[4] Qui è possibile visualizzare il video della dichiarazione di Dumas: https://goo.gl/3xk5N4 




Solidarietà al Donbass e all'Ucraina Antifascista

1) 22–29/7, Incontri pubblici con un sindacalista del Donbass in Italia
– il calendario delle iniziative pubbliche
– flashbacks: la USB per il Donbass
2) Costituito il Coordinamento Ucraina Antifascista, CNJ-onlus aderisce
– Raccolta di beni di prima necessità e donazioni 
– Petizione contro il conferimento della cittadinanza onoraria di Verona al presidente ucraino Poroshenko.


=== 1 ===

22–29/7, Incontri pubblici con un sindacalista del Donbass in Italia

IL CALENDARIO:

SAVE DONBASS
FROM UKRAINIAN ARMY
22/29 luglio 2016
Settimana di solidarietà con il popolo del Donbass
Incontri con ANDREY KOCHETOV - membro del Presidium del Sindacato della Repubblica Popolare di Lugansk

ROMA 22/7 ore 10,30 USB – Federazione nazionale V. dell’Aeroporto 129
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=nMQaSg5-Ea4

ROMA 23/7 ore 19,00 USB e Carovana Antifascista – C.S. Corto Circuito V. Filippo Serafini

NAPOLI 24/7 ore 11,00 USB – Federazione regionale Campania – V. Carriera Grande 32
https://www.facebook.com/events/267839310252281/

PADOVA 26/7 ore 20,00 USB – Federazione provinciale V. Loredan 22
https://www.facebook.com/events/537153173134594/

BOLOGNA 27/7 ore 18,00 – Federazione Emilia Romagna V. Saffi 69




=== FLASHBACKS: LA UNIONE SINDACALE DI BASE PER IL DONBASS ===


No alla guerra! No al Fascismo! L’Unione Sindacale di Base aderisce e partecipa alla Carovana Antifascista per la resistenza del Donbass


Roma – giovedì, 16 aprile 2015

L’Unione Sindacale di Base aderisce, sostiene e partecipa alla Carovana antifascista a sostegno della resistenza del Donbass e per una pace giusta che preservi la popolazione da ulteriori  escalation e aggressioni militari.
L’ USB da sempre è schierata contro la guerra: nessuna scusa di pacificazione, o artificio politico come il peace enforcing, o il pretesto della difesa di popolazioni inermi, può nascondere le ambizioni egemoniche che animano la spinta interventista dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.

Quest’ingerenza politica, economica e militare in Ucraina ha sprofondato le popolazioni del Donbass nella miseria e nel dramma della guerra. Non è possibile rimanere indifferenti di fronte alla ricomparsa e alla legittimazione di organizzazioni che si richiamano apertamente al nazismo. Organizzazioni politiche armate come Pravyi Sector, Svoboda, e UNA-UNSO, agiscono sia sui fronti di guerra del Donbass e nella stessa Ucraina rendendosi protagoniste di crimini e linciaggi nei confronti delle popolazioni russofone e degli oppositori democratici e antifascisti.

Come era facile prevedere il cambio di regime in Ucraina non ha portato ad un miglioramento delle condizioni di vita per la popolazione, anzi:

- I governanti di Euro Maidan, con la copertura politica dell’UE e degli USA stanno demolendo la democrazia, agli attacchi squadristi si accompagna la messa fuori legge dei partiti e dei sindacati legati al movimento operaio.
- Le "riforme" economiche introdotte dall’attuale governo per ottenere prestiti dal FMI ed il sostegno politico e militare dell’UE e degli USA hanno prodotto
privatizzazioni, licenziamenti e tagli trascinando buona parte della popolazione nella miseria più di quanto non avvenisse già in passato.

-Il crollo della moneta locale, la grivna ucraina ha aumentato l’esposizione debitoria verso i prestiti in dollari del FMI.

-La guerra ed il nazifascismo sconfitti nel 1945 sono ricomparsi

Tra le tante forme di resistenza e protesta, ricordiamo quella dello scorso 23 marzo quando i Sindacati della Repubblica Popolare di Lugansk, sono scesi in piazza per rivendicare fine del blocco economico, l’applicazione degli accordi di Minsk ed il pagamento di salari e prestazioni sociali.

Come USB denunciamo le responsabilità della NATO e della leadership dell’UE che non si sono fatte nessuno scrupolo nell’armare e sostenere le bande paramilitari ultranazionaliste e apertamente neonaziste, e anzi continuano a spingere l’Ucraina verso un conflitto con il Donbass e la Federazione Russa che rischia di allargarsi pericolosamente. L’interventismo militare a difesa degli interessi economici e l’aumento dello sfruttamento dei lavoratori, sono le risposte alla crisi economica e alla competizione globale messe in campo dalla leadership europea.

L’USB condanna quest’ennesima escalation militare in Ucraina e contro la popolazione del Donbass.

Esprimiamo invece tutto il nostro sostegno alla Carovana Antifascista promossa dalla Banda Bassotti e invitiamo i nostri iscritti e militanti a sostenerla ed a pubblicizzarla.

Ai nostri sindacati fratelli del Donbass, della Novorossija e ai democratici e agli antifascisti dell’Ucraina rinnoviamo tutto la nostra solidarietà politica e umana.


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Fsm-Usb. Un mese di iniziative internazionaliste. Solidarietà al popolo siriano e ai residenti del Donbass (USB, 8 Settembre 2015)
... Dal 22 al 25 settembre il Dipartimento Internazionale USB rappresenterà tutta la Federazione Sindacale Mondiale a Lugansk, in una missione di solidarietà militante con i popoli del Donbass, aggrediti dal governo fascista di Kiev sostenuto dagli USA e dalla UE, per ribadire che la FSM ritiene irrinunciabile il principio della piena autodeterminazione dei popoli...
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Criminal case of Ukraine Government against WFTU cadre Pierpaolo Leonardi must be withdrawn now! (WFTU, 24 May 2016)
The WFTU denounces the Government of Ukraine for severe violation of trade union rights. The World Federation of Trade Unions representing 92 million members in 120, denounces the unacceptable action of the Government of Ukraine to start a criminal case against Pierpaolo Leonardi, General Secretary of USB Italy, General Secretary of TUI Public Services and Allied and an affiliate of the WFTU for “illegal entry in Donbass”. Pierpaolo Leonardi entered Donbass in his official capacity of trade union representative of WFTU and TUI Public Services to express solidarity with the people of Donbass heading an official solidarity mission of WFTU...

Il governo Renzi minaccia chi va a Lugansk e in Donbass, codice ucraino alla mano (di Redazione Contropiano, 24 maggio 2016)
... Qui la lettera dal tono vagamente minaccioso inviata a Pierpaolo Leonardi, dell’esecutivo nazionale Usb e segretario internazionale dei lavoratori del pubblico impiego per la Wtu-Fsm (la Federazione sindacale mondiale), andato di recente nelle Repubbliche Autonome per un congresso sindacale...



Pierpaolo Leonardi
May 24 2016
 
Il Ministero degli Affari Esteri è stato così gentile da comunicarmi che il Governo Ucraino ha aperto un procedimento penale nei miei confronti per "violazione delle norme interne in materia d'ingresso dei cittadini stranieri nei territori d'Ucraina temporaneamente occupati" in riferimento alla visita effettuata nella "cd Repubblica Popolare di Lugansk". Il MAE non si limita ad informarmi dell'apertura del procedimento penale ai sensi dell'articolo 322 comma 1 del Codice Penale Ucraino, ma si perita di " richiamare la sua attenzione sul non riconoscimento da parte dell'Italia delle sedicenti Autorità autoproclamatesi a Lugansk, come da orientamento conforme di tutti i Paesi membri dell'Unione Europea".
Il Ministero degli Affari Esteri non mi sembra sia stato altrettanto efficiente nel denunciare il massacro della Casa dei Sindacati di Odessa perpetrato da nazifascisti Ucraini sotto l'amorevole sguardo della polizia di Poroshenko o dal condannare le continue violazioni dell'Accordo di Minsk da parte delle truppe Ucraine e dei battaglioni nazisti nel Donbass. 
Chi va in Donbass a portare solidarietà ai lavoratori e alle popolazioni di quelle terre è da processare e il nostro governo si spertica a fare da passacarte, chi massacra gli innocenti è da proteggere... ce lo dice l'orientamento conforme dell'Europa tutta!

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NOTA DI PROTESTA USB AL GOVERNO DELL'UCRAINA


Roma – venerdì, 27 maggio 2016 – La Confederazione Italiana UNIONE SINDACALE DI BASE protesta formalmente per la comunicazione del Governo Ucraino, pervenuta tramite nota del Ministero degli Affari Esteri d’Italia, con la quale si dà notizia di un presunto ingresso in territorio Ucraino avvenuto in modo ritenuto illegale del nostro dirigente nazionale Signor Pierpaolo Leonardi.
Pierpaolo Leonardi, membro dell’Esecutivo nazionale confederale USB e Segretario Generale del Sindacato Internazionale dei Lavoratori Pubblici affiliato alla Federazione Sindacale Mondiale, si è recato nel territorio della Repubblica Popolare di Lugansk, quindi non in Ucraina, a capo di una missione internazionale di solidarietà ai lavoratori e alla popolazione di Lugansk promossa dalla Federazione Sindacale Mondiale.
La delegazione ha attraversato il confine tra la Russia e il Donbass senza trovare alcun ostacolo e senza che gli fossero richiesti visti di ingresso o particolari autorizzazioni in quanto giunti su esplicito invito del Sindacato dei Lavoratori della RPL affiliata alla Federazione Sindacale Mondiale.
Denunciamo quindi il tentativo di impedire il libero esercizio dell'attività sindacale e di solidarietà internazionalista ai dirigenti sindacali della nostra organizzazione e della Federazione Sindacale Mondiale a cui la USB è affiliata.
Il governo Ucraino non ha alcun diritto a definire illegale la visita della delegazione di solidarietà internazionale che è avvenuta non in territorio Ucraino bensì in territorio della Repubblica Popolare di Lugansk.
p/Esecutivo Nazionale USB

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Pierpaolo Leonardi
June 30, 2016

Oggi pomeriggio collegamento via Skype con i/le compagni/e del sindacato della Repubblica Popolare di Lugansk. Un'ora di confronto e di scambio di informazioni sulla drammatica situazione nel Donbass. Con noi i compagni della Banda Bassotti.
Abbiamo invitato un sindacalista a venire in Italia a raccontare cosa sta succedendo. Sarà in Italia dal 22 al 28 luglio e faremo iniziative a Roma Napoli Bologna e Padova
Partecipiamo tutti


SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE: CONFERENZA VIA SKYPE DONBASS - ITALIA

Roma – venerdì, 01 luglio 2016
Si è svolta ieri 30 giugno una conferenza via Skype tra la USB – Dipartimento Internazionale – e il Segretario Generale e alcuni membri del Sindacato dei Lavoratori della Repubblica Popolare del Donbass. Al meeting hanno partecipato membri della Carovana per il Donbass e della banda musicale “Banda Bassotti”.
L’incontro, durato circa 1 ora, aveva per oggetto la repressione del Governo Ucraino nei confronti dei sindacati internazionali che offrono solidarietà militante ai lavoratori e alla popolazione del Donbass.
Nel confronto sono stati ricordati gli episodi dell’incriminazione di Pierpaolo Leonardi, USB e Segretario generale della TUI PS&A, per illegale accesso in territorio Ucraino per essersi recato nella Repubblica Democratica di Lugansk, la protesta formale nei confronti del governo Austriaco per aver ospitato a Vienna la riunione della Segreteria Europea del WFTU a cui partecipava un membro del sindacato di Lugansk.
USB ha ribadito la propria intenzione di sviluppare la solidarietà internazionalista con il Sindacato e i lavoratori del Donbass ed ha formalmente invitato un membro della Segreteria del sindacato di Lugansk a venire in Italia per un tour di conferenza nelle maggiori città italiane.
Il tour si svolgerà dal 22 al 29 luglio. 


=== 2 ===

E' STATO COSTITUITO IL COORDINAMENTO UCRAINA ANTIFASCISTA

In continuità con i contatti e le iniziative intraprese da più di un anno a questa parte a sostegno della resistenza contro il regime golpista di Kiev e per fornire aiuti alle popolazioni vittime della guerra fratricida in Ucraina, il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS ha aderito al recentemente costituito Coordinamento Ucraina Antifascista (CUA), che riunisce i comitati che in Italia e dintorni sono impegnati in tal senso.

Tra le numerose attività in cantiere, segnaliamo di seguito la Raccolta di beni di prima necessità e donazioni e la Petizione contro il conferimento della cittadinanza onoraria di Verona al presidente ucraino Poroshenko.

Per altri aggiornamenti raccomandiamo di seguire la pagina facebook del CUA:

Si veda anche:
Solidarietà al Donbass, parlano due attiviste del CUA (di Francesco Fustaneo, 15 luglio 2016)

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Save Donbass People

Raccolta di beni di prima necessità e donazioni
CC. IT87C0335967684510700158166,
intestato a Nova Harmonia.

La guerra fratricida scoppiata in Ucraina nel maggio del 2014 ha causato fino ad oggi circa 10.000 vittime e decine di migliaia di feriti. Quella del Donbass è una guerra "che non c'è”, un conflitto oscurato dai media e dalla complice ignavia dei politici europei. Un’intera popolazione, la cui unica colpa è quella di voler decidere liberamente del proprio destino, sopporta quotidianamente la violenza dei bombardamenti, la penuria di viveri e di farmaci ed il blocco economico imposti dal governo golpista e filofascista di Kiev.
Nei villaggi a ridosso del fronte i civili sono allo stremo, molti malati non ricevono le cure adeguate e muoiono nel disinteresse della comunità internazionale; migliaia di bambini soffrono di forme di avitaminosi causate dalla malnutrizione, la sussistenza alimentare di intere famiglie è legata ai soli frutti dell’orto.
Quali antifascisti, sostenitori della lotta per l’indipendenza e la libertà dei popoli, donne e uomini di buona volontà, vogliamo manifestare la nostra solidarietà materiale ai nostri coraggiosi fratelli dell’Est!
Raccogliamo beni di prima necessità da inviare nel Donbass in sostegno alla popolazione colpita dalla guerra!
Occorrono: cibo in scatola, confezionato e non deperibile di qualsiasi genere; prodotti per l'igiene personale (shampoo, bagnoschiuma, schiuma da barba, lamette, dentifricio, assorbenti, pannoloni etc.); cibo e prodotti per l’igiene dei neonati (pappe, pannolini, oli e creme per il corpo, ciucci e biberon); materiale sanitario e medicine (siringhe, garze, ovatta, Paracetamolo, Ibuprofene, “Kreon 10000”, “Depakin 300 mg”); biancheria per la casa; vestiti per bambini; giocattoli.
Aiutaci a rompere il muro del silenzio!
Il Donbass vivrà, i fascisti non passeranno!»
COORDINAMENTO UCRAINA ANTIFASCISTA
Per info: ucraina.antifascista.bo@...

Coordinamento Ucraina Antifascista

evento facebook: 

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PETIZIONE

Nessuna onorificenza per Poroshenko

Noi sottoscritti, cittadine e cittadini italiani e non, premesso che il Consiglio Comunale di Verona ha approvato la proposta del sindaco Flavio Tosi di conferire la cittadinanza onoraria a Petro Poroshenko, quale segno di riconoscenza per il recupero dei quadri di Castelvecchio, siamo ad evidenziare quanto tale provvedimento si ponga in contrasto con i principi e i diritti fondamentali della persona umana, sanciti dalla nostra Costituzione e dalle norme del diritto internazionale sia consuetudinario sia convenzionale. La decisione di conferire tale onorificenza a Petro Poroshenko, divenuto capo dello Stato ucraino a seguito di elezioni svolte in un clima di violenze di piazza e guerra civile nel Donbass, offende il senso profondo della giustizia e del rispetto dei diritti umani universali. Il Presidente Poroshenko è, infatti, a capo di un sistema politico-istituzionale che trae il proprio fondamento dal colpo di Stato del febbraio 2014 che rovesciò il precedente Presidente Yanucovich, elettoralmente legittimato. Nel succitato colpo di Stato hanno avuto un ruolo decisivo forze neo-naziste alle quali appartengono anche ministri dell’attuale governo che persegue una politica di sistematica repressione del dissenso e di violazione dei diritti umani nei confronti della consistente componente russofona e, in generale, di tutte le minoranze. La popolazione russofona del Donbass è sottoposta a una costante opera di repressione militare che il governo di Kiev attua persino mediante bombardamenti indiscriminati contro civili. Le opposizioni all’attuale governo stanno subendo una spietata repressione. Basti solamente evocare gli innumerevoli episodi di eliminazione fisica, incarcerazioni senza garanzie processuali ed emigrazioni coatte. Tali violazioni sono ulteriormente sostanziate da una serie di gravissimi fatti di cui il governo, l’esercito ucraino e una serie di bande paramilitari si sono resi responsabili negli ultimi due anni. Fra i gravissimi fatti di cui sopra, ricordiamo la strage del 2 maggio 2014 a Odessa nella quale furono bruciati vivi moltissimi civili da bande paramilitari filonaziste e filogovernative. I rapporti dell'ONU e di Amnesty International, a tal riguardo, affermano che le indagini condotte dal governo di Kiev "non soddisfano i requisiti della Convenzione europea sui diritti umani " e che, dopo due anni dalla tragedia, non sono stati trovati i colpevoli poiché godono della complicità della polizia e della protezione del governo di Kiev. Ci appelliamo, pertanto, al Suo ruolo di Garante della Costituzione e alla Sua sensibilità istituzionale affinché intervenga nei modi che riterrà più opportuni, al fine di evitare il rischio che, attraverso l’onorificenza di cui sopra, si consumi una palese offesa ai principi di democrazia e al rispetto dei diritti dell’uomo. 
Auguri di buon lavoro, signor Presidente.

Primi firmatari
1. Coordinamento Ucraina Antifascista
2. Banda Bassotti
3. Lidia Menapace, partigiana, Comitato nazionale ANPI, politica, saggista
4. Licia Pinelli, Milano
5. Vittore Bocchetta, ex-deportato, antifascista, Verona
6. Luciano Perenzoni, partigiano, divisione pasubiana
7. Umberto Lorenzoni, partigiano divisione "Nannetti", Presidente provinciale ANPI Treviso
8. Riccardo Saurini, consigliere comunale, Verona
9. Gianni Benciolini, consigliere comunale, Verona
10. Valerio Evangelisti, scrittore
11. Giorgio Cremaschi, sindacalista
12. Pierpaolo Leonardi, Esecutivo nazionale USB, Segretario Generale del
Sindacato Mondiale dei Lavoratori Pubblici
13. Domenico Losurdo, professore universitario e direttore dell'Istituto di 
Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci" all'Università di 
Urbino
14. Angelo D’Orsi, professore universitario, Università di Torino
15. Massimo Zucchetti, professore universitario, Università di Torino
16. Alexander Hobel, professore universitario, Università Federico II, Napoli
17. Andrea Genovese, professore universitario, University of Sheffield (GB)
18. Daniele Butturini, professore universitario, Università di Verona
19. Giuseppe Amata, professore universitario, Università di Catania
20. Mauro Gemma, direttore Marx21
21. Sergio Cararo, direttore di Contropiano
22. Checchino Antonini, direttore di Popoff Quotidiano
23. Fabrizio Marchi, giornalista, pubblicista direttore del periodico on line L'Interferenza
24. Marco Santopadre, giornalista
25. Antonio Mazzeo, giornalista, attivista no muos
26. Franco Fracassi, scrittore, giornalista
27. Marinella Correggia, giornalista e scrittrice
28. Giuseppe Aragno, storico, Fondazione Humaniter, Napoli
29. Sandi Volk, storico, Commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di S. Sabba – Monumento nazionale.
30. Banda POPolare dell'Emilia Rossa

Questa petizione sarà consegnata al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella





(srpskohrvatski / italiano

Il principale dizionario di lingua tedesca DUDEN è stato costretto a cambiare la definizione del termine "ustascia" dopo lo scandalo suscitato da un riferimento chiaramente simpatizzante con gli "oppositori del centralismo serbo"...)


Duden Changes Definition of "Ustasha"

1) The Ustasha and the Rising Tide of Neo-Nazi Politics in Croatia
by Nenad Dumanovic and Daniel Jankovic – Global Research, July 13, 2016
2) POBEDA! Duden je promenio svoju definiciju reči "Ustaša"! VICTORY! Duden Changes their definition of "Ustasha" 
by "28. Jun", 9–19 July 2016.


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The Ustasha and the Rising Tide of Neo-Nazi Politics in Croatia

The European Union’s Balkan Double Standard

Global Research, July 13, 2016

Over the past several years, analysts and commentators have noticed a rising tide of domestic support for the Croatian homegrown Nazi movement of the Second World War, the Ustashe, which actively exterminated Serbs, Jews, and Roma in the territory it controlled from 1941-45. Far from condemning this alarming development, the Croatian government, the European Union, and non-state actors within it have tacitly and actively supported the rising tide of sympathy towards the Ustashe.

This disconnect between the ostensible “European values” of human rights and tolerance that the European Union claims to represent, and its tacit support of trends towards extremist politics in Croatia will have a significant impact on the increasing trend of Euroscepticism in Serbia and other Balkan states. Furthermore, the Union’s unabashed condemnation of legitimate populist movements in Europe, including but not limited to the Brexit campaign, as “racist” and “xenophobic,” while quietly supporting genuinely extremist political elements will contribute to the increasingly popular perception of the EU as a hypocritical entity.

Surge in Ustasha Sympathy

The Republic of Croatia has, since its independence, often reverted to the imagery of its Second World War predecessor; the Independent State of Croatia (NDH). The NDH was a puppet state sponsored by Nazi Germany and Fascist Italy, and was administered by the Ustashe.

During its brief four-year lifespan, the NDH made use of a form of clerical fascism built on the basis of discrimination and systematized liquidation of non-Croatian elements within its boundaries. It was responsible for the deaths of anywhere between 300,000 to 600,000 Serbs and tens of thousands of Jews and Roma.

While restricted by law, Ustashe symbolism is freely exhibited at sporting events, political rallies, and all manners of public gatherings. The penalties for these displays are often restricted to a small monetary fine. By comparison, German law (Strafgesetzbuch section 86a) stipulates that a fine and/or a sentence of up to three years imprisonment will be administered.

Ustasha support among football hooligans (including a recent event during Euro 2016 where Croatian fans openly brandished swastikas) has been popular for decades; a more alarming trend is the active and tacit support of the Ustashe movement and legacy coming from the Croatian government. Earlier this year, the government of Croatia was condemned for appointing Zlatko Hasanbegovic, a prominent and open admirer of the Ustashe regime to be the country’s minister of culture. Croatia’s president, Kolinda Grabar-Kitarovic, is an avid fan of the pro-Ustashe musician Marko Perkovic “Thompson” and, while describing the Ustashe regime as “criminal”, also stated in the past that the NDH “at least protect[ed] the interests of the Croatian people” during its short and incredibly violent reign.

Silence at Best, Encouragement at Worst

Despite ongoing reports by international NGO’s of state-sponsored discrimination against Croatian Serbs and routine desecrations of Serbian churches and cultural monuments at the hands of pro-Ustashe elements in the country, the European Union has remained almost completely silent on the issue of growing pro-Ustashe sympathies in the Croatian government and political scene.

Rather than condemn the rising tide of Ustashe sympathy in the country or denounce the appointment of Ustashe sympathizers to some of the Croatian government’s highest ministries, the European Union has chosen to tacitly support the creeping return of political extremism to Croatia. On June 15th, an exhibition dedicated to Cardinal Alojzije Stepinac was held at the European Parliament, one of the EU’s most important institutions of governance. Cardinal Stepinac, who served as the Croatian Catholic Archbishop of Zagreb from 1937 to 1960, was an active supporter of the Ustashe regime and according to prominent Balkan historian Bernd Jurgen Fischer “had close association with the Ustashe leaders as the archbishop of the capital city, had issued proclamations celebrating independent Croatia, and welcomed the Ustashe leaders.”

The European Union has yet to respond to any of the criticisms lodged against it for hosting an event dedicated to a key supporter of a Nazi-backed regime that murdered hundreds of thousands of innocent civilians during the Second World War.

A recent definition (pictured below) of the Ustashe regime in the leading German language dictionary ‘Duden’ as a “movement which fought against ‘Serbian centralism’” has also provoked a firestorm of controversy and a rapidly growing online petition sponsored by the humanitarian organization 28 Jun.(full disclosure: we are both members of this organization). The definition makes no reference to any of the Ustashe’s well-documented and numerous crimes against civilian populations, giving it the appearance of a legitimate political movement with reasonable aims. These recent events are contributing to the growing sentiment among many Serbs who feel alienated by the European Union, and as if a double standard is being applied with regards to Serbia.

Loss of Credibility 

Since Serbia attained candidate status in 2011, the European Union has imposed on it a host of requirements and stipulations that ostensibly deal with human rights and unresolved issues stemming from the Yugoslav Conflicts of the 1990’s. The Serbian government has largely complied with the conditions imposed on it by the European Union and has committed itself to the EU through acts such as extraditing members of its own government and “normalizing” relations with the Republic of Kosovo (a self-declared state which unilaterally declared independence from Serbia in 2008) at the behest of the European Union. Additionally, many EU states voted in favour of a failed UN resolution that sought to classify the controversial events in Srebrenica in 1995 as “genocide”.

Given the fact that the European Union has both passively supported the rise tide of extremist political inclinations in one of its member states by refusing to condemn it and actively supported it by hosting exhibitions in its honor, Serbs’ enthusiasm for joining the EU will likely continue to wane. The European Union has demonstrated a lack of integrity and even-handedness in upholding its stated human rights values by enforcing relatively harsh standards for Serbia while imposing virtually none on Croatia, even going as far as openly supporting some of Croatia’s worst historical human rights abusers. Coupled with growing Eurosceptic sentiments in both Serbia and Europe as a whole, the European Union’s quiet support of radicalized politics in Croatia could jeopardize the EU’s strategic goals of acquiring Serbia as a member.

Furthermore, the double standard shown by the European Union in its dealings with Croatia and Serbia represent yet another example of the moral hypocrisy of the European Union. While top EU officials were quick to denounce legitimate populist movements such as the Brexit campaign as racist and xenophobic, those same officials and institutions have done nothing but tacitly support genuinelyextremist politics in Croatia. Eurosceptic parties such as Front Nationale and the Austrian Freedom Party are routinely branded as “far right” and “radical” while political extremism in Croatia is allowed to flourish. If the European Union does not take steps to meaningfully combat this moral hypocrisy, then it is likely that the trend of increasing skepticism towards the Union will continue to rise unabated.


Nenad Dumanovic is the founder and principal of Impressify, an Alberta-based content marketing company. He is a graduate of the University of Alberta’s Honours political science program and wrote his thesis on Bitcoin and the political, legal, and regulatory ramifications of digital currency and financial technology. Nenad is an active member of 28. Jun, a Canada- based not-for- profit organization and is launching Konstantine, a digital magazine about current events in the Balkans in Winter 2016.

Daniel Jankovic is a graduate of the University of Alberta’s History and Economics program. He studies history and economics, and has an avid interest in political discourse and international relations, especially in regard to the Balkans of Southeastern Europe. He recently completed an in-depth analysis on the death of the residential bar and its social impact in the Balkans. The paper is slated to be published in several academic journals in the upcoming year. He is an active member of 28. Jun, a Canada-based not-for- profit organization and is launching Konstantine, a digital magazine about current events in the Balkans in Winter 2016.

The original source of this article is Global Research
Copyright © Nenad Dumanovic and Daniel Jankovic, Global Research, 2016


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Da: "28. Jun" <newsletter @28jun.org>
Oggetto: Stop Covering Up Nazi Ustasa Crimes on Serbs, Jews & Roma!
Data: 9 luglio 2016 12:07:41 CEST


The leading German language dictionary 'Duden' is whitewashing the genocide of 1 million Serbs, Jews and Roma during WW2. The 'Ustase' were/are a Croatian fascist, ultranationalist and terrorist organization. Its members murdered hundreds of thousands of Serbs, Jews, Roma and anti-fascist or dissident Croats in Yugoslavia during World War II.
Duden defines them as a movement which fought against 'Serbian centralism'. Let's help stop the promotion of Nazism in Germany and make Duden re-define these terrorist killers!
SIGN THE PETITION: http://www.ipetitions.com/petition/stop-covering-up-nazi-ustasa-crimes-on-serbs-jews


Водећи речник немачког језика Дуден заташкава геноцид над једним милионом Срба, Јевреја и Рома током Другог светског рата. Усташе су биле (и и даље су) хрватска фашистичка, ултра националистичка и терористичка организација. Њени чланови убили су стотине хиљада Срба, Хрвата и Рома, као и хрватских антифашиста и дисидената у Југославији током Другог светског рата. 
Дуден их дефинише као покрет који се бори против "српског централизма". Помозимо заустављање промоције нацизма и натерајмо Дуден да редефинише ове терористичке убице. 
Потпишите петицију испод: http://www.ipetitions.com/petition/stop-covering-up-nazi-ustasa-crimes-on-serbs-jews


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Da: "28. Jun" <newsletter @28jun.org>
Oggetto: POBEDA! Duden je promenio svoju definiciju reči "Ustaša"! VICTORY! Duden Changes their definition of "Ustasha"
Data: 19 luglio 2016 15:30:56 CEST


Tačno jednu nedelju nakon što je 28. Jun poslao peticiju Dudenu, vodećem nemačkom rečniku, da promeni svoju definiciju reči "Ustaša" od "borci za slobodu" u "genocidne fašiste" oni su napravili promenu!
Onlajn izdanje rečnika je već promenjen da  sadrži noviju definiciju i mi smo dobili email od Dudena gde su nam rekli da će u budućim, štampanim izdanjima takodje biti nova definicija. Dodatno, Duden se izvinuo svima koji su osetili ratne zločine Ustaškog režima za vreme Drugog Svetskog Rata i njihovog terorizma izmedju sedamdesetih i devedesetih godina prošlog veka.
28. Jun se želi zahvaliti srpskoj Ambasadi u Nemačkoj , Njenom visočanstvu Ambasadorki Republike Srbije Ljiljani Nikšić, Vukmanu Krivokući (direktoru Kancelarije za Saradnju sa Dijasporom) i našim partnerima u izraelskoj organizaciji StandWithUs za njihov doprinos našim naporima.
Uz naše humanitarne delatnosti, mi takodje vodimo organizaciju za dijasporu koja se aktivno bori protiv anti-srpske defamacije u medijama. Mi smo uspešno vodili globalnu kampanju #NoKosovoUnesco u kasnoj 2015. godini ali naš rad u ovoj oblasti postoji još od 2011. kada smo bili zaslužni da američka, televizijska voditeljka Chelsea Lately izgubi svoje sponzore zbog ksenofobičnih izjava protiv Srba.

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Exactly one week after 28. Jun petitioned Duden, the leading dictionary in the German language, to change their definition of 'Ustasa' from 'freedom fighter' to 'genocidal fascist' they have made the change!
The online edition has already been updated and we received an email from Duden saying all future print version will also have the new definition. Additionally, Duden apologized to all those effected by Ustase war crimes during WWII and their subsequent terrorism from the 1970s to 1990s.
28. Jun would wish to thank the Serbian Embassy in Germany, Ambassador Ljiljana Niksic, Vukman Krivokuca - Director for the Office for Cooperation with the Diaspora and our partners the Israeli organization StandWithUs for contributing to our efforts.
On top of of our humanitarian work, we are also the leading Diaspora organization which battles anti-Serbian defamation in the media. We successfully lead the global #NoKosovoUnesco campaign in late 2015 but our work in this field goes back to 2011 when we made American talk show host Chelsea Lately lose sponsorships over her xenophobic comments against Serbs.



(srpskohrvatski / english / italiano)

Vertice NATO a Varsavia e proteste


1) БЕОФОРУМ НА АНТИ-НАТО СКУПУ У ВАРШАВИ: By destabilizing Balkans USA and NATO are destabilizing Europe
2) Il patto d’acciaio Nato-Ue (Manlio Dinucci)


LINKS:

Sui presidi a Napoli, Venezia e Catania contro il Vertice Nato di Varsavia si vedano le foto e qualche link alla pagina del Coordinamento Ucraina Antifascista: https://www.facebook.com/CoordinamentoUcrainaAntifascista/

VERTICE NATO. OBAMA ZITTISCE TSIPRAS sull'ipotesi di normalizzazione dei rapporti con la Russia
(PTV news 13 luglio 2016)

World Peace Council protests against NATO summit in Warsaw (Milan Krajča, 11 lug 2016)
World Peace Council protests against NATO summit in Warsaw by demonstrating in the streets of the Polish capital under slogan "YES TO PEACE! NO TO NATO!"
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=ZpKJHV7ZGwk

Iniziativa Comunista europea: manifestazione anti-NATO a Varsavia!
L'Iniziativa comunista europea, ha tenuto una manifestazione a Varsavia in concomitanza al vertice NATO, venerdì 8 luglio... I delegati della "Iniziativa comunista europea" hanno partecipato alla manifestazione contro la NATO il sabato 9 luglio nel centro di Varsavia insieme al Consiglio Mondiale della Pace. (
Fonte: Iniziativa - CWPE | initiative-cwpe.org)


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У организацији Светског савета за мир (World Peace Council), 8.-9. јула 2016. године у Варшави, одржана је конференција под називом ,,ДА МИР, НЕ НАТО!'', на којој је представника имао и Београдски форум за свет равноправних. Беофорум је представљао господин Станислав Гашпаровски, који је говорио на задату тему, а затим и учествовао у анти-НАТО демонстрацијама, које су одржане у центру Варшаве, одакле су се учесници, симболично упутили према згради амбасаде Сједињених америчких држава.

У наставку можете прочитати говор господина Гашпаровског одржаног 8. јула у Варшави на тему ,,ДА МИР, НЕ НАТО!''

By destabilizing Balkans USA and NATO are destabilizing Europe

Ladies and Gentlemen, esteemed Comrades, protectors of the more peaceful, human and civilized tomorrow.
On my way to this event, that I am most privileged and honoured to take part in, I wondered what would have been my reaction if I was a wandering Alien and that I have stumbled upon this planet Earth of today?
As my ancestors most certainly would have been descendents of Irene, the goddess of Peace, I would doubtlessly be saddened  and  highly disillusioned by the world that I have discovered. This planet Earth that is bestowed to us with all her beauty, richness and abundance and able to provide peace and plenty to every single human and leaving creature, would look to me as the land of Ares, the nemesis. Dominated and run by brutal force and greed, by the lust for power, by wars and killings, by abuse and destruction, and by terror that is generating misery, famine, suffering and grief.
Dear friends, imagine if that confused and saddened creature has asked any one of us to help him to understand reasons for this appalling state of affairs in our world today, would you be able to explain it and what would be your response?
Mine would be quick, short and qualified: I will say NATO. 
As someone coming from a country, ex Yugoslavia, that was destroyed by NATO, and from today's Serbia that is still occupied by NATO, I am a witness of how brutal and destructive, but unjustified that force is.  
Seventeen economically and militarily biggest countries have waged a relentless war and destruction on my country with the pretexts of protecting human lives and democracy. We all know that their reasons were bogus and highly cynical and that nothing is further from the truth than these lies.
I wouldn't be dwelling upon the physical and human destruction that NATO has inflicted on Yugoslavia at the time of war, as such are well documented facts about NATO crimes that no one has yet paid for. However one crime that even today is killing people of southern Europe and Balkans is depleted uranium. A legacy of NATO aggression for hundred years in the future.   
Rather, I would like to talk about the ongoing aggression and domination by the western allies that is inflicted upon my country and beyond.

Serbia today is an occupied land in every way, but formal. Following the NATO aggression historical part of Serbia, Kosovo i Metohija are annexed territory that is run via the terrorist organization UCK, by NATO and EU. Americans have there a military base of huge proportions. EU and NATO are doing nothing but turning blind eye to the ethnic cleansing of Serbs and others. They don't prosecute or punish the crimes, the trafficking of drugs, slaves and human organs that are main businesses of this new "government".
In the rest of the Serbia proper, after the new so called democratic government has taken power some 30,000 qualified and experienced civil servants were replaced by uneducated, inexperienced, but politically suitable people. I guess, that it is easier to indoctrinate, control and govern someone who doesn't know what he is doing.
Economically and financially the country was firstly destroyed through corrupt privatization. Domestic banks were replaced by foreign ones, that are depriving citizens and industry of any investment funds. Stripped of all industry, resources and finance, but simultaneously opened by liberalization and free market to unfair competition from multi nationals. Serbia today is poor, fully IMF dependent country with high unemployment and low income. Our history is rewritten and our losses and victims are denied justice. More than 70% of our school books are made and printed in Germany. My country is a dominion of the NATO and EU.
Unfortunately, situation is not better in the rest of the Balkans. Further to the artificially created State of Kosovo, NATO is encouraging creation of the greater Albania by destabilizing Macedonia, further threatening Serbia, Montenegro and northern Greece.
Bosnia i Herzegovina is intentionally divided, and Serbs from Republika Srpska are denied right to self determination and rapprochement with Serbia. Such politics have only one objective in mind and that is to divide and rule.
By destabilizing Balkans USA and NATO are destabilizing Europe. By waging global wars and aggression USA and NATO are crating refuges and more terrorism. Isn't this maybe a way to a divided and broken Europe that is collapsing under the sheer weight of destituted victims of such USA and NATO policies?   
Coming back to me and my wandering Alien, it is highly possible that after hearing all this he will conclude that I am as much confused and saddened as he is. However, between two of us ll still be a big difference. He would be free to return to his peaceful and more human world, where I would have no other choice, but to stay here with you and fight for a better tomorrow.
Thank you


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Il patto d’acciaio Nato-Ue

di Manlio Dinucci | il manifesto, 12 luglio 2016

«Di fronte alle sfide senza precedenti provenienti da Est e da Sud, è giunta l’ora di dare nuovo impeto e nuova sostanza alla partnership strategica Nato-Ue»: così esordisce la Dichiarazione congiunta firmata l’8 luglio, al Summit Nato di Varsavia, dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.

Una cambiale in bianco per la guerra, che i rappresentanti dell’Unione europea hanno messo in mano agli Stati uniti. Sono infatti gli Usa che detengono il comando della Nato – di cui fanno parte 22 dei 28 paesi dell’Unione europea (21 su 27 una volta uscita dalla Ue la Gran Bretagna) – e le imprimono la loro strategia.

Enunciata appieno nel comunicato approvato il 9 luglio dal Summit: un documento in 139 punti – concordato da Washington quasi esclusivamente con Berlino, Parigi e Londra – che gli altri capi di stato e di governo, compreso il premier Renzi, hanno sottoscritto a occhi chiusi.

Dopo essersi estesa aggressivamente ad Est fin dentro il territorio dell’ex Urss e aver organizzato il putsch neonazista di piazza Maidan per riaprire il fronte orientale contro la Russia, la Nato accusa la Russia di «azioni aggressive, destabilizzazione dell’Ucraina, violazione dei diritti umani in Crimea, attività militari provocatorie ai confini della Nato nel Baltico e Mar Nero e nel Mediterraneo orientale a sostegno del regime siriano, dimostrata volontà di ottenere scopi politici con la minaccia e l’uso della forza, aggressiva retorica nucleare».


Di fronte a tutto questo, la Nato «risponde» rafforzando la «deterrenza» (ossia le sue forze nucleari in Europa) e la «presenza avanzata nella parte orientale dell’Alleanza» (ossia lo schieramento militare a ridosso della Russia).

Una vera e propria dichiarazione di guerra (anche se la Nato assicura che «non cerca il confronto con la Russia»), che può far saltare da un momento all’altro qualunque accordo economico dei paesi europei con la Russia. Sul fronte meridionale, dopo aver demolito la Libia con una azione combinata dall’interno e dall’esterno e aver tentato la stessa operazione in Siria (fallita per l’intervento russo); dopo aver armato e addestrato gruppi terroristi e aver favorito la formazione dell’Isis/Daesh e la sua offensiva in Siria e Iraq, spingendo ondate di profughi verso l’Europa, la Nato si dichiara «preoccupata» per la crisi che minaccia la stabilità regionale e la sicurezza dei suoi confini meridionali, per la tragedia umanitaria dei profughi; «condanna» le violenze dell’Isis/Daesh contro i civili e, in termini più forti, «il regime siriano e i suoi sostenitori per la violazione del cessate il fuoco». Per «rispondere a queste minacce, comprese quelle da sud», la Nato potenzia le sue forze ad alta capacità e dispiegabilità.

Ciò richiede «appropriati investimenti», ossia una adeguata spesa militare che gli alleati si sono impegnati ad accrescere. Dalle cifre ufficiali pubblicate dalla Nato durante il Summit, risulta che la spesa militare dell’Italia nel 2015 è stata di 17 miliardi 642 milioni di euro e che quella del 2016 è stimata in 19 miliardi 980 milioni di euro, ossia aumentata di 2,3 miliardi. Tenendo conto delle spese militari extra budget della Difesa (missioni internazionali, navi da guerra e altre), la spesa è in realtà molto più alta.

Stando alla sola cifra della Nato, l’Italia nel 2016 spende in media per il militare circa 55 milioni di euro al giorno. Mentre il premier Renzi si pavoneggia tra i «grandi» al Summit di Varsavia, e il parlamento (opposizioni comprese) gira la testa dall’altra parte, la Nato e la Ue decidono della nostra vita.






Dan Borca i Dan Ustanka u Srbiji


[Cronache dalle ricorrenze partigiane di Luglio in Serbia. Con "Politika", principale quotidiano del paese, oramai venduto (in senso letterale) ai tedeschi, che passa sotto silenzio le celebrazioni del 75.mo anniversario della insurrezione antifascista, e la RTS, televisione di Stato, che ne parla solo come un fenomeno d'opinione... Mentre migliaia di anziani ex-partigiani vivono oramai in miseria ed abbandono. 
Sullo stesso tema si veda anche il nostro post precedente: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8554 ]

Isto proćitaj:
ВЕЋИНА БИВШИХ ПАРТИЗАНА НЕЗБРИНУТА (Брига и заштита – 13. јула 2016.)
... По подацима Републичког фонда за пензијско и инвалидско осигурање, у Србији има још 785 носилаца Партизанске споменице, а на списку пензионера је и 7.320 бораца пре 9. септембра 1943. године. Бораца после тог датума има више – 27.326...

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Bela Crkva - Obeležena 75. godišnjica izbijanja antifašističkog ustanka (Ministarstvo RZS, 7 lug 2016)

BELA CRKVA - Polaganjem venaca i odavanjem počasti kod spomenika Žikici Jovanoviću - Špancu u Beloj Crkvi, delegacija Vlade Srbije, koju je predvodio ministar za rad, zapošljavanje, boračka i socijalna pitanja Aleksandar Vulin, danas je obeležena 75. godišnica antifašitičkog ustanka u Drugom svetskom ratu.


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Дан борца

ПОЧЕТАК ПРАВОГ ПУТА

Широм Србије одржане су, у оквиру традиционалне многољудне антифашистичке организације СУБНОР, свечаности поводом Дана борца и 75-те годишњице устанка у нашој отаџбини и свеопштег отпора oкупаторским хордама у Другом светском рату.

Један од скупова одржан је у Градском одбору Београда, где је председник Бора Ерцеговац говорио о значају Четвртог јула и отварању 1941.године новог правог пута наше земље са прогресивним силама што су се определиле против фашизма, поробљавања и у намери да се успоставе односи једнакости, правде и равноправног развоја. У истом тону је иступао и посланик у Скупштини Србије Мехо Омеровић, наглашавајући да је неопходно, поред осталог, законским прописима обезбедити да и наша земља, као што је међу свим слободарима у свету, поново добије државне празнике који су симболи славних времена.

Председник СУБНОР-а Србије Душан Чукић је нагласио да Четврти јул и Седми јул нико и нигде није у стању да порекне. Те странице историје су одавно склопљене, разумни не могу да потру улогу и исход ослободилачке партизанске борбе. Јалово је упињање неких новостасалих историчара, са реваншистичким и идеолошким поривом, да извитопирују дичну прошлост коју овом народу признају победници из антихитлеровске коалиције добро знајући ко је и с ким био током исрпљујуће борбе против фашиста током Другог светског рата.

СУБНОР Србије енергично, с тим у вези, тражи од власти да измени законским путем статус многољудне борачке организације и одреди, како важи свугде у цивилизованом демократском свету, право место ветеранима који својом прошлошћу и сада на домаћој и међународној сцени уздигнуто носе стег отаџбине доприносећи бољитку и општем угледу. Ововремски вештачки положај, наметнут прописима о удружењима, дубоко вређа укупно чланство и не одговара фактичком стању ствари.

Градски одбор је, такође, доделио више признања заслужним појединцима и пријатељима што имају разумевања за субноровску породицу.


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Шумадија

ПОШТА ХЕРОЈИМА

Поводом Дана борца и историјског датума кад је у Београду, Четвртог јула 1941, донета одлука Политбироа ЦК КПЈ о дизању устанка против окупатора, широм Шумадије одржани су масовни скупови. Свечано је било у Крагујевцу, Лапову, Книћу, Рачи и Баточини.

Венце на гробове истакутих бораца НОР-а положиле су делегације СУБНОР-а, чланови породица погинулих у ослободилачком рату 1941-1945. године, резервних старешина, органи локалне самоуправе.

У Крагујевцу су представници СУБНОР-а, у сарадњи са ОРВС, завичајним удружењем „Комови“ и потомцима, положили венце на гробницу хероја. Потом обишли старе борце, уручили пригодне поклоне и евоцирали успомену на дан када су пред очима немачких фашиста најбољи синови Србије, предвођени КПЈ, донели одлуку за будућност.


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Београд

ТРАЈНО СЕЋАЊЕ И ПОШТОВАЊЕ                               

Вила истакнутог активисте и власника предратног листа „Политика”, Владислава Рибникара, на Дедињу у Београду, позната је и по томе што је  4.јула 1941. Политбиро Централног комитета Комунистичке партије Југославије донео одлуку о подизању устанка против фашиста.

На историјској седници, која је трасирала пут наше земље према антихитлеровској коалицији и коначно победи у Другом светском рату, били су Тито, Александар Ранковић, Едвард Кардељ, Милован Ђилас, Светозар Вукмановић Темпо и Иво Лола Рибар.

Испред зграде је монументални споменик, подигнут после ослобођења, дело „Позив на устанак“вајара Војина Бакића. Делегација Општинског одбора СУБНОР-а Савског венца, коме територијално припада тај део Београда, положила је цвеће на споменик у знак трајног сећања и поштовања.

Поводом 75 година одлуке да се крене у оружани устанак против окупатора, Општински одбор СУБНОР-а је одржао свечану седницу. О значају Дана борца је говорила Славка Солар, председница Месног удружења Дедиње.


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Дан устанка

ПАРТИЗАН САМ, ТИМ СЕ ДИЧИМ!

У срцу Рађевине, под крошњама које памте, у Белој Цркви, у присуству више хиљада људи из разних крајева наше отаџбине, одржана је средишња прослава 75-тогодишњице устанка против окупатора у Другом светском рату.

Организатори окупљања били су Влада Републике Србије и СУБНОР Србије.

Уз звуке ”Партизан сам, тим се дичим”, химне масовне антифашистичке организације, баштиника славне народноослободилачке борбе, са низом родољубивих порука и застава, протекло је обележавање Дана устанка народа Србије.

Успомена на 7.јул 1941.године кад је Жикица Јовановић Шпанац, касније проглашен за народног хероја, са друговима говорио, одупирући се строгој забрани окупљања издатој од команданта немачких окупационих снага, на традиционалном сабору. У помоћ хитлеровцима су пристигли жандарми и покушали да спрече устанике који се били део партизанског одреда спремног да, по налогу КПЈ, ступи у оружану борбу са новонасталим поробљивачима наше земље и великог дела Европе и већ продрли дубоко на територију тадашњег СССР.

На спомен бисте у граниту првобораца револуције положени су многоброји венци. У име Владе Републике Србије пошту је одао министар Александар Вулин.

Поштовање устаницима на почетку Другог светског рата одали су представници Војске Србије и Општинске скупштине Крупањ.

Венац СУБНОР-а Србије положио је председник Душан Чукић са члановима Председништва Душанком Лукић Хавелка и Видосавом Ковачевићем.

На народном скупу говорио је најпре председник локалне самоуправе Иван Исаиловић и јасно дао до знања да славне симболе времена нико никад неће заборавити и у ине нових генерација који уживају плодове слободе што су извојевали храбри преци.

Обраћајући се у име СУБНОР-а Србије, заменик председника, генерал Видосав Ковачевић, посебно је истакао да се Седми јул слави као доказ несаломивости нашег слободарског народа који се определио на самом почетку Другог светског рата за антихитлеровску коалицију и одабирајући тај пут, као увек у својој богатој историји, завршавајући у редовима победника побрао сва признања разумног света.

ГОВОР ВИДОСАВА КОВАЧЕВИЋА МОЖЕТЕ У ЦЕЛОСТИ ПРОЧИТАТИ НА ОВОМ ПОРТАЛУ ПОД НАСЛОВОМ ”ВЕРА У БУДУЋНОСТ ЈЕ НАША СНАГА”.

На великом народном окупљању у Белој Цркви говорио је министар у Влади Републике Србије Александар Вулин:

”Ниједна генерација у историји српског народа није дала погрешан одговор на питање да ли је спремна да плати високу и највишу цену за слободу. Срби знају да су само слободни људи успешни и да је само слободна Србија успешна и развијена. Србија је била сиромашна и презрена само кад није била слободна и кад су други одлучивали о њој”.

Срби су пре 75 година стали – рекао је министар – на страну најбољих, међу оне што су се борили и изборили за слободу:

”Зато не може бити изједачавања оних који су се за слободу борили и оних који су пре 75 година сарађивали са окупатором или били окупатори. Нема изједначавања бораца за слободу и оних што су стрељали или чували стражу на Бањици, у Крагујевцу, Крушевцу, Новом Саду.

Ни једна земља у Европи није рехабилитовала квислинге. Седми јул је дан кад је Србија изабрала слободу. Поносни смо на ту генерацију која је извојевала победу у Другом светском рату, захваљујући њима можемо да кажемо да смо били на бољој страни света”.

Говор министра Александра Вулина био је прекидан аплаузом и узвицима сагласности окупљеног народа који је достојанствено обележио велики историјски датум тако значајан и признат у светској антифашистичкој заједници.

Седми јул, Дан устанка народа Србије против поробљивача у Другом светском рату, завршен је пригодним рецитаторским програмом у извођењу ученика школа у Рађевини.


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Дан устанка (2)

ВЕРА У БУДУЋНОСТ ЈЕ НАША СНАГА

На великом народном скупу у Белој Цркви, прослави Дана устанка, говорио је заменик председника СУБНОР-а Србије.

Генерал Видосав Ковачевић је рекао:

Јубилеј, 75 година, свеукупни празник народа Србије, камен темељац антифашизма по чему смо ушли на кључне странице светске историје и поштовани као непоколебиви борци против свих врста завојевача, прилика је да се осврнемо на славну прошлост која је определила будућност, јер седмојлуски устанак има непролазну, историјску вредност.

Други светски рат  је  агресијом Немачке, Италије, Мађарске и Бугарске – априла 1941. захватио и простор Краљевине Југославије. Она је у тој агресији била војнички поражена и као држава, вољом нацистичког Трећег рајха, престала да постоји.

Комунистичка партија Југославије, на челу са Јосипом Брозом Титом, која није признала капитулацију земље, организовала је и, само три месеца после слома војске и државе, у лето 1941. повела устанак, позивајући народе Југославије у народноослободилачки, антифашистички рат.

Тачније, 4. јула, Политбиро ЦК КПЈ донео је одлуку о покретању оружане борбе против окупатора, формирао Штаб партизанских одреда за Србију и у све крајеве земље упутио инструкторе да спроводе одлуку о устанку. И Покрајински комитет КПЈ за Србију позвао је народ у борбу против окупатора, издао окружницу којом се налаже партијским комитетима и организацијама да организују партизанске одреде.

 Током јуна и јула организационе припреме за организовање отпора, покретање оружане борбе биле су завршене, и у готово свим крајевима Југославије почеле су акције партизанских одреда које су биле различитог интензитета.

БРИГАДА ЗА БРИГАДОМ

У Србији је процес формирања партизанских одреда почео после седнице ПК КП за Србију 23. јуна а већ средином јула у Србији је формирано седам партизанских одреда а крајем августа 23 одреда. Њима руководи Штаб народноослободилачких партизанских одреда за Србију, на челу са Сретеном Жујовићем. Устанак је захваљујући напорима  организација и руководстава КПЈ ускоро захватио читаву Србију, створена су три устаничка жаришта, у Западној Србији, Шумадији и Поморављу, у Источној Србији и у Југо-источној Србији.

Већ крајем јуна формиран је Ваљевски партизански одред, а током јула и Космајско-посавски, први и други Шумадијски, а потом и Чачански, Ужички, Крагујевачки, Мачвански, Краљевачки, Расински, Пожаревачки, Топлички, Кукавички (Лесковачки), Врањански и други одреди.

Тим историјским чином отворено је у поробљеној Европи ново ратиште, а НОП ће у току 1941-1945, својим војним победама над заједничким непријатељем, пружити значајан допринос борби и победи Антифашистичке коалиције у Другом светском рату.

Устанак у Србији 1941. године има непролазну вредност. Њиме ће се историографија бавити не само у садашњости већ и у будућности. Нека само то чини како доликује и обавезује струка, руководећи се максимом да историчари не смеју некритички, ненаучно да просуђују историјске догађаје и личности, јер мерећи тако њих – они мере и своје време и свој учинак.

Целокупна пракса наше ослободилачке борбе показује како никада није било опасности да се наш оружани устанак сведе на ниво гериле или покрета отпора, јер се код нас одвијао бескомпромисни ослободилачки рат са далекосежним циљевима.

СВОЈИ  НА СВОМЕ

Шта је у том погледу било од посебног значаја?

Прво, доследна оријентација на перманентну оружану борбу и стварање јаке оружане силе.

Друго, ослонац на најшире народне масе у свим крајевима Србије и Југославије.

Треће, стварање слободних територија као битне претпоставке за војну и полтичку мобилизацију људства и организовање народне власти.

Четврто, успешно проналажење за сваку етапу рата и револуције најприкладнијих облика војне организације.

Пето, оргинална партизанска тактика, која  је омогућавала држање иницијативе и слободу маневра и која се непрекидно развијала сразмерно јачању војске.

Размере и резултати НОП и оружане борбе у 1941.години имали су велики одјек у поробљеној Европи, у редовима непријатеља и у редовима савезника.

Знање о двадесетом веку југословенског друштва, a српског народа посебно, данас је потребније него икада, јер познавање те прошлости значи разумети суштину прошлих догађања и процеса, а тиме и олакшати  држави да доноси мериторне одлуке о садашњости, да критички преиспита и себе и друге, да препозна и напусти митове, полуистине и идеолошке конструкције, да превазиђе полузнање, ослободи се заблуда, уочи суштинске процесе друштвеног развоја, идентификује идеје и путоказе који воде напретку и пронађе тачку ослонца за будућност.

За све нас у СУБНОР-у Србије, који смо доследни наследници традиције и чувари сећања на почетке, организаторе и учеснике оружаног устанка у Србији, на  НОП и НОБ у целини много је изазова  у условима у којима делујемо и у времену у коме живимо.

ПРОШЛОСТ  РАДИ  БУДУЋНОСТИ

Дан борца Четврти јул и, посебно, Дан устанка Седми јул су симболи слободарства које СУБНОР Србије часно баштини и чува да новокомпоновани фалсфикатори истине не оскрнаве, заметну погане трагове колабораната и разнолике слугане прогласе учесницима слободарског боја нашег народа у тешким годинама за животни опстанак под окупацијском чизмом немачких фашиста.

 СУБНОР Србије са преко 130.000 чланова,  бораца славне народноослободилачке партизанске борбе у Другом светском рату, са њиховим потомцима, симпатизерима, антифашистима, борцима из ратова 90. и 99.године, свим људима добре воље и патриотске савести, СУБНОР Србије оснивач и учесник широког фронта најјачих антифашистичких организација у свету, не одступа у најезди која је против интереса и бољитка наше отаџбине, општег мира, слободе и разумевања.

Вредности за које се СУБНОР Србије залаже и бори јесу трајне, опште људске и цивилизацијске и у томе лежи наша снага и вера у будућност.

На нама је да их стално и на сваком месту истичемо,  поштујући друге а чувајући своје и то све у част огромних жртава који положише своје животе за добробит нама једине отаџбине, слободарске и устаничке Србије.

ЖИВЕЛА СРБИЈА! – рекао је генерал Видосав Ковачевић, заменик председника СУБНОР-а Србије, на великом народном скупу у Белој Цркви, поводом прославе Седмог јула и 75-те годишњице устанка народа Србије на почетку Другог светског рата.


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Крагујевац

ЈУЛСКЕ ВАТРЕ ШУМАДИЈЕ

Поводом 7. јула – Дана устанка народа Србије, црвени град Самоуправе,  бунтовник, страдалник и град тринаест народних хероја, Крагујевац свечано је обележио јубилеј.

У Великом парку, крај спомен фонтане „Рањеник“, венце су положиле делегације Скупштине града, Војске Србије, СУБНОР-а Крагујевца и Шумадије, Удружења потомака старих ратника 1912 – 1920. године, Кола српских сестара, ОРВС, СПС Крагујевца као и чланови породица погинулих бораца НОВЈ.

Скупу се обратио првоборац НОР-а Владислав Влада Сретеновић који је евоцирао успомене на јулске дане 1941. године. Председник СУБНОР-а Крагујевац и члан Председништва СУБНОР-а Србије пуковник проф. Жељко В. Зиројевић је истакао да је СУБНОР од настанка баштинио патриотизам и славну народноослободилачку борбу и да ће и даље високо уздигнуто носити стег слободарства и антифашизма.

Признања за допринос СУБНОР-у уручена су Удружењу потомака старих ратника 1912 – 1920, Обрену Б. Ћетковићу и Петру Дрманцу. У име награђених је захвалио пуковник Марко Ковач. Колаж патриотских песама извела је песникиња Јасмина Ан Јовановић.

Медији су изузетно посветили пажњу обележавању јубилеја, бележећи да је приметан све већи број младих.


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Аранђеловац

ЈАСАН АНТИФАШИСТИЧКИ ПУТ

Поводом Дана устанка у Србији, Општински одобр СУБНОР-а Аранђеловац, уз присуство чланова и делегације Општине, СПС-а и грађана који подржавају антифашистичку борбу, организовао је подсећање на историјске дане отпора окупатору.

Положени су венци и одата пошта погинулим борцима за слободу у Другом светском рату испред споменика на ,,Партизанском гробљу’’ у Аранђеловцу.

У  пригодном обраћању присутнима председник СУБНОР-а Радомир Радосављевић истакао је опредељеност да се окупатору пружи одлучан отпор кроз формирање партизанских одреда и крене у борбу. Партизански покрет од почетка имао је јасно антифашистичко опредељење и сада када постоји тенденција мењања историје – такве појаве СУБНОР неће дозволити.

Присутни су саслушали и казивања учесника партизанског ратовања Бранка Луковића и Станимира Николића.

Скуп је медијски испраћен од локалних телевизијских станица.


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Фрушка Гора

ПЛАМЕН УСТАНКА ЈЕ ВЕЧАН

На Фрушкој гори, на Иришком венцу, у организацији СУБНОР-а АП Војводине, одржан је народни скуп бораца, грађана и омладине, у част обележавања јубиларне 75. годишњице од дизања устанка народа Србије.

Скуп је подржала Влада и Скупштина Војводине присуством потпредседнице Скупштине Снежане Седлар, потпредседника Владе Ивана Ђоковића, ресорног секретара Предрага Вулетића.

Потпредседник СУБНОР-а Србије и председник СУБНОР-а АПВ Светомир Атанацковић говорио је о историјском значају 4. и 7. јула 1941. године, почетку народноослободилачког антифашистичког и револуционарног рата и, поред осталог, истакао:

„Српски народ је током Другог светског рата много страдао. Није уништен ни национално ни верски, остао је стамен и веран отаџбини. Историја се мора поштовати, она се негује и преноси на генерације. Борци, њихови потомци и поштоваоци морају одржавати везу са прошлошћу и храбрости партизанских бораца који су дали животе, сломили фашизам и донели слободу своме народу, створили су у свету познату и признату државу. Зато ће пламен устанка у Белој Цркви трајати колико и историја“.

Потпредседник Владе АП Војводине Иван Ђоковић је посветио посебну пажњу времену и догађајима који су довели до устанка народа Србије 7. јула 1941. године, изражавајући захвалност борцима антифашистичког рата који су борбом сломили кичму нацифашизму. „Свако ко насрће на историју и истину о тој великој борби мора наићи на отпор оних који су слободу извојевали. Слобода је светиња, коју нико не може својатати и креирати према својим жељама“.

На народном збору били су и посланици, представници СУБНОР-а Вршац, Апатин, Сремска Митровица, Врбас, Ковачица, Кикинда, Темерин, гости из Републике Српске и Хрватске. Такође и изасланици амбасада Украјине и Азербејџана.

Изведен је богат културно-уметнички програм КУД-а „Сплет“ из Новог Сада и глумци СНП Миодрaг Петровић и Гордана Ђурђевић Димић.


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Алексинац

СПОМЕН ОЗРЕНСКИМ ПАТИЗАНИМА

Општински одбор СУБНОР-а Алексинац је на достојан начин обележио јубиларне јулске датуме народа Србије.

Поводом Дана борца је на Радио Алексинцу о значају јулских празника говорио секретар Општинског одбора Мића Милојевић. Потом су делегације СУБНОР-а, Савеза резервних војних старешина, Удружења пензионера и Покрета социјалиста положиле венце цвећа на спомен костурницу испред основне школе „Љупче Николић“ и поред спомен бисте народног хероја Момчила Поповића Озрена. За делегацију бораца организован је и пригодан пријем у локалној самоуправи.

Дан Устанка народа С

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(slovenščina / srpskohrvatski / italiano)

La Slovenia che insorge

1) Perquisizioni della polizia slovena negli uffici Bce, Draghi minaccia azioni legali
2) Slovenia: “insurrezione” a Koper-Capodistria contro la privatizzazione del porto / Radnički otpor u Luci Koper / Vstala Primorska, vstani Slovenija


Linkovi:

Civilna fronta Vstala Primorska - Vstani Slovenija
Sindikat Žerjavistov Pomorskih dejavnosti
http://szpd.si

"Vstajenje Primorske" / "L'insurrezione del Litorale" è anche l'inno antifascista degli sloveni della regione più occidentale del paese: 
https://www.youtube.com/watch?v=MLo6FANY9Lc


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Perquisizioni della polizia slovena negli uffici Bce, Draghi minaccia azioni legali

Il presidente della Banca centrale europea ha scritto una lettera a Juncker chiedendo di intervenire contro il "sequestro illegale" di informazioni 

Redazione, 7.7.2016

Bruxelles – Scontro istituzionale senza precedenti tra la Banca centrale europea e le autorità di polizia della Slovenia, che hanno fatto irruzione nella sede nazionale della Banca centrale sequestrando dati confidenziali. A denunciarlo è lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi che ha minacciato azioni legali e inviato una lettera al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker per chiedere che l’esecutivo comunitario intervenga. La polizia slovena ha condotto indagini in quattro diversi edifici di Lubiana, tra cui i locali della Banca centrale europea, in cerca di prove per un’indagine preliminare su possibili irregolarità commesse nel 2013, quando la Slovenia ha iniettato 4,5 miliardi di liquidità nelle proprie banche. Il caso sotto esame riguarda la decisione della banca centrale slovena di cancellare parte del debito del gruppo Nlb. Secondo i media sloveni quattro persone sarebbero indagate per abuso d’ufficio nell’ambito di una truffa da 257milioni.

Secondo la polizia slovena, le persone toccate dalle indagini non agiscono a nome dell’Unione europea ma come funzionari delle istituzioni slovene e della Banca di Slovenia e i suoi impiegati non godono di privilegi che li renderebbero esenti da indagini preliminari. Secondo la Bce, però, quello messo in atto dalla polizia slovena è un “sequestro illegale di informazioni della Bce”, visto che sono state sottratte informazioni sui computer del governatore della Banca di Slovenia, Bostjan Jazbec, parte del board della Bce, di un ex vice governatore e di alcuni membri del personale. “Questi computer contengono informazioni della Bce, protette da leggi Ue direttamente applicabili”, lamenta Draghi nella lettera inviata a Juncker e al procuratore generale di Stato della Slovenia. “La Bce esplorerà possibili mezzi di ricorso legali previsti dalla legge slovena”, avverte Draghi chiedendo alle autorità slovene di “rimediare all’infrazione”.
La Commissione europea ha confermato di avere ricevuto la lettera del presidente Draghi, spiegando che è “troppo presto” per commentare su un procedimento “in corso”.


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Slovenia: “insurrezione” a Koper-Capodistria contro la privatizzazione del porto

di Sandi Volk, 9.9.2016

Nel corso degli anni in Slovenia si sono susseguiti una serie di episodi di lotte anche molto dure da parte di quella classe operaia che a detta di molti dovrebbe essere scomparsa. Da ultimi erano stati i minatori delle miniere di carbone di Trbovlje e Velenje, che nel 2014 si erano auto-organizzati e avevano occupato le miniere per ottenere il rispetto del contratto, il pagamento regolare dei salari (che venivano pagati con mesi di ritardo) e contro il taglio delle ferie. Ora però a muoversi sono i stati i lavoratori di un settore strategico per il capitale e di quella che è la maggiore azienda slovena, il porto di Koper-Capodistria. Con il sostegno di buona parte della popolazione della città.

Il porto di Koper-Capodistria ha prodotto nel 2015 quasi 16 milioni di € di profitti. E’ gestito da una SPA, Luka Koper (Porto di Capodistria), che dal 2008 ha una concessione 35-ennale per la gestione esclusiva del porto ed è al 70% di proprietà diretta o indiretta dello stato sloveno. Nato nel 1957, il porto, che gode dello status di zona franca, è cresciuto in maniera spettacolare arrivando nel 2015 a 19 milioni di tonnellate di merce movimentata.

All’epoca della Jugoslavia l’azienda portuale aveva finanziato con mezzi propri il collegamento dello scalo marittimo alla rete ferroviaria slovena con una tratta ferroviaria a binario unico di una 30 di km (Koper- Divača), divenuta da tempo inadeguata a garantire il traffico generato dal porto. Da anni viene chiesto allo stato il raddoppio del tratto ferroviario, ma i governi succedutisi non hanno fatto nulla, se non proporre di affidare il raddoppio a privati, che avrebbero goduto non solo dei profitti della successiva gestione dell’opera, ma pure di contributi statali.

Di fronte a un atteggiamento generale del governo di assoluto disinteresse rispetto allo sviluppo del porto, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la richiesta dello Slovenski državni holding (SDH, Holding statale sloveno), la società che gestisce le numerose partecipazioni statali in aziende ed enti, di modificare l’ordine del giorno dell’assemblea degli azionisti di Luka Koper del 1 luglio aggiungendo la sostituzione di tre dei componenti del massimo organismo della società, il Consiglio di Sorveglianza (di cui fanno parte rappresentanti degli investitori, del Comune di Koper-Capodistria e dei lavoratori) con tre nuovi membri. Tra i nuovi componenti proposti c’era anche il tedesco Jurgen Sorgenfrei, con una carriera tutta svoltasi quale dirigente del porto di Amburgo nonché coautore di una relazione dell’OECD che affermava che il raddoppio del binario ferroviario non fosse necessario. A ciò si è poi aggiunta la notizia che il Ministro delle Infrastrutture aveva proposto già parecchi tempo fa al governo di “spacchettare” la concessione a Luka Koper per dare in concessione le singole parti/attività a aziende private.

Di fronte a quello che appariva chiaramente come un tentativo di mettere alla guida dell’azienda chi doveva smontarla per poi cedere le parti migliori ai privati, i lavoratori si sono mobilitati contro la privatizzazione e la svendita del porto e a difesa del loro lavoro, ed il 1 luglio, nel giorno della assemblea dei soci di Luka Koper, hanno bloccato tutte le attività portuali. A sostegno dei lavoratori è sorta l’”iniziativa civica ”Vstala Primorska – Vstani Slovenija” (Primorska (1) insorta – insorgi Slovenia) che ha organizzato un assemblea pubblica a Koper-Capodistria “contro la privatizzazione del porto, per il futuro nostro e dei nostri figli” con la partecipazione di circa 4.000 persone (in una città che conta si è no 30.000 abitanti). Niente di strano, visto che il porto da lavoro a buona parte degli abitanti della città e del circondario ed è una realtà economica che è ad esempio tra i massimi finanziatori dell’Università del Litorale di Koper-Kapodistria.

La lotta dei lavoratori, che hanno bloccato il porto fino al 3 luglio (cosa che ha portato anche alla paralisi completa del traffico ferroviario in tutta la Slovenia), ha avuto come risultato immediato l’annullamento della proposta di sostituzione di tre componenti il Consiglio di Sorveglianza e le dimissioni del presidente di SDH. Ma i lavoratori, che hanno affermato di essersi mobilitati perché stufi “della distruzione delle nostre aziende e delle nostre vite ...” e contro “le decisioni di persone che servono esclusivamente interessi lobbistici...”, hanno a quel punto chiesto anche le dimissioni del Ministro delle Infrastrutture e del sottosegretario al Ministero delle Finanze Dragonja, che aveva fornito dati falsi circa la “non-profittabilità” di Luka Koper.

Interessante la risposta del capo del governo sloveno, Cerar, che ha affermato “non permetterò che i lavoratori guidino l’azienda, e tanto meno lo stato” rifiutando decisamente i loro inviti ad un incontro. Rifiuto che si è però ben presto rimangiato incontrando i lavoratori il 7 luglio a Lubiana. Un incontro durante il quale i rappresentanti dei lavoratori hanno presentato a Cerar un documento con il quale chiedono: il massimo appoggio del governo allo sviluppo del porto, al mantenimento e ampliamento delle concessioni a Luka Koper e per la realizzazione delle opere già in programma con la messa in atto entro settembre di tutte le misure a ciò necessarie; la rinuncia a qualsiasi modifica del regime di concessione e dello status della società Luka Koper; l’impegno a trovare in tempi brevi soluzioni adeguate per assicurare i collegamenti ferroviari del porto; una presa di distanza ufficiale e totale del governo dalle proposte del Ministro delle Infrastrutture. L’incontro è stato di carattere interlocutorio e la vicenda rimane aperta, tanto che il segretario del sindacato dei gruisti di Luka Koper ha affermato che per ora i lavoratori hanno ottenuto quanto volevano, ma che la lotta e tutt’altro che finita, concludendo con un “ora ci sono le ferie, ci rivediamo a settembre”.

Ma l’”insurrezione” di Koper-Capodistria rischia di espandersi: durante l’incontro infatti qualche centinaio di “insorti” di ogni parte della Slovenia hanno manifestato davanti al palazzo del governo contro la distruzione delle condizioni di vita dei lavoratori e a sostegno dei lavoratori del porto di Koper-Capodistria. Vedremo a settembre.

(1) La Primorska è la regione più occidentale della Slovenia lungo il confine con l’Italia e va dalle Alpi Giulie al mare. Il nome è traducibile come Litorale.

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Radnički otpor u Luci Koper

Anej Korsika - 07.07.2016.

Plan slovenske političke elite da smjenama, postupnim komadanjem i infrastrukturnim zanemarivanjem postepeno likvidira poslovno uspješnu Luku Koper naišao je na odlučan radnički otpor. Ono što je u cijeloj priči posebno porazno jest činjenica da su te sluganske elite gotovo pa otvoreno radile u korist njemačkog i austrijskog kapitala.

Izgrađena 1957. godine, Luka Koper danas je jedno od najvažnijih pristaništa sjevernog Jadrana, a među vodećima je i prema prometu te čistom dobitku. Prošle godine, u odnosu na godinu ranije, Luka Koper bilježi porast pretovara od 2 milijuna tona, ostvaruje 184,3 milijuna eura čistih prihoda od prodaje, a čista dobit raste za 12%, na rekordnih 32,5 milijuna eura. Ta strateški važna luka, koja pruža logističke usluge cijeloj srednjoj Europi, još uvijek je u većinskom državnom vlasništvu. Kada ne bismo poznavali sluganski karakter slovenske političke klase, mogli bismo pogrešno zaključiti kako je takva Luka Koper za državu od posebne vrijednosti među preostatkom obiteljskog srebra, odnosno onom dijelu koje u posljednjih četvrt stoljeća nije rasprodan po diskontnim cijenama. No poznavajući gorenavedene okolnosti, postaje ipak razumljivija trenutna saga koja traje već gotovo mjesec dana, a u kojoj se državni vrh iz petnih žila trudi pobjedničkom konju pucati u nogu.

Situacija je takva da bismo lako mogli parafrazirati Hegela: “Luka Koper ostvaruje rekordne profite i ima sjajnu perspektivu? Tim gore po Luku Koper.” Na tom tragu i uz uvjerenje kako ništa nije toliko dobro da ne bi odmah moglo biti još gore, uprava Slovenskog državnog holdinga (SDH), kao komandni centar ekonomije u djelomičnom ili većinskom državnom vlasništvu, izdala je dekret o potrebi hitne smjene trojice dosadašnjih članova Nadzornog odbora Luke Koper. Marko Jazbec, predsjednik uprave SDH, u svojim je televizijskim nastupima običnim građanima strpljivo objašnjavao svoj sasvim neobjašnjivi potez… Naime, istina je da Luka posluje iznimno uspješno, ali baš kako bi osigurali nastavak tog pozitivnog trenda, u poslovanje je potrebno uvesti određene promjene, koje će omogućiti da se trend nastavi i u budućnosti. U prijevodu, Luka trenutno stvarno posluje uspješno, no još bi bolje bilo da ljude koji su tom uspjehu pridonijeli odmah smijenimo i zamijenimo drugima, jer nikad se ne zna što donosi neizvjesna budućnost.

Zanemarivanje željezničke infrastrukture

A s neizvjesnošću je u ekonomiji kao i u nogometu: kada ne znaš na koga bi se kladio, kladi se na Nijemce. Točno to je učinio Marko Jazbec kada je za jednog od novih nadzornika predložio Jürgena Sorgefreia, njemačkog stručnjaka za infrastrukturu, posebno lučki promet, i tako izazvao zajedničko protivljenje lučkih radnika, uprave i pratećih službi. Razlozi za ljutnju oko njegovog imenovanja sasvim su razumljivi, proučimo li Jürgenov CV koji uključuje rad za hamburšku luku, nedvojbenog konkurenta Luke Koper. Još više zabrinjava što je sudjelovao u izradi studije OECD-a koja je zaključila kako drugi željeznički kolosijek prema Luci ustvari nije potreban, odnosno, ne bi bio isplativ. Drugi kolosijek je već prilično udomaćena ekonomska ideja o kojoj se u slovenskoj javnosti  govori već barem dvadeset godina, a da se u svo to vrijeme nije položila niti jedna tračnica. Do Kopra tako i dalje vozi “prvi” kolosijek, kojim uz teretni prolazi i putnički promet.

“Prvi” kolosijek pritom demonstrira i izvanrednu privrženost tradiciji, s obzirom da još danas drži brzinu od oko 35 kilometara na sat, koja je vjerojatno ostvarena već u vrijeme njegove izgradnje, dakle u vremenu Marije Terezije i Austro-Ugarske. Brzina je to koja bezbrižnom putniku pruža prostorno-vremensku iluziju kako Slovenija ipak nije tako mala zemlja, kada po njoj možeš toliko dugo putovati. Naravno, brzina je to za koju već danas možemo vidjeti da će dovesti do zasićenja i značajno usporiti teretni promet iz i u Luku Koper. Iz Luke već danas svakoga dana kreće oko 60 željezničkih kompozicija, a uz nastavak ovakvog trenda porasta, za očekivati je kako će već za godinu-dvije doći do zasićenja kapaciteta željezničke linije, odnosno tzv. uskog grla. Upravo iz tog razloga, sve su dosadašnje uprave Luke Koper, uz punu podršku radnika, od države tražile izgradnju drugog kolosijeka, namijenjenog isključivo teretnom prometu. Aktualna vlada premijera Mire Cerara je čak ustvrdila kako je izgradnja drugog kolosijeka projekt od strateškog značaja te da će izgradnju bez sumnje i pokrenuti. Utoliko više iritira činjenica da sada jedna od vladi podređenih institucija (SDH) za člana nadzornog odbora predlaže osobu koja se izrazito protivi toj gradnji.

Snažna mobilizacija

Ipak, sve postaje mnogo jasnije ukoliko cjelokupnu situaciju sagledamo kao prvi korak prema komadanju i privatizaciji Luke Koper. U tom slučaju je trojanski konj u obliku Jürgena Sorgenfreia svakako odličan izbor. Očito se radi o sličnoj priči kao u slučaju Aerodroma Ljubljana kojeg je kupilo njemačko društvo Fraport, a “blagodarni” učinici te prodaje se već sada jasno pokazuju. Ljubljanski aerodrom tako ima, primjerice, manje veza od klagenfurtskog, iako je Klagenfurt tri puta manji grad. Iz te perspektive Sorgenfrei bi mogao biti korisna izvidnica za geopolitičke interese njemačkog kapitala. No niti on, niti Jazbec, niti slovenska vlada nisu računali na iznimnu mobilizaciju i odlučnost lučkih radnika i uprave. Pod sloganom Ustala Primorska (Vstala Primorska) pred Lukom se 28. juna održao prosvjed kojem je nazočilo oko četiri tisuće ljudi, a koji je ujedinio širok spektar progresivnih civilnodruštvenih i političkih pokreta, podržali su ga i pojedini studentski pokreti, a podršku su izrazile i najveće sindikalne središnjice. U svojoj izjavi su prosvjednici naglasili da je simptomatično kako je prvi kolosijek već 1967. renoviralo praktički samo društveno poduzeće srednje veličine, dok drugi kolosijek već više od dvadeset godina nije sposobna izgraditi cijela jedna kapitalistička država.

Pritom su izložili i tri štetna scenarija koja trenutno nudi vlada. Prema prvom, ukoliko vlada ustraje na modelu javno-privatnog partnerstva, a ne bude spremna subvencionirati privatne investitore, pruga neće nikada biti izgrađena. Prometni tokovi preselit će se u Italiju, Austriju i Mađarsku, jer će Luka Koper i cijela okolna željeznička mreža postati obična slijepa ulica. Drugi scenarij, prema kojem bi vlada ustrajala pri trenutnom planu, a uz to državnim subvencijama garantira profit privatnim investitorima, doveo bi, doduše, do izgradnje drugog kolosijeka, ali bi u tom slučaju postojala prijetnja da on postane druga Termoelektrana Šoštanj, odnosno njen šesti blok – rupa bez dna za sredstva poreznih obveznika. Treći scenarij, na kojeg su u izjavi upozorili prosvjednici, uključuje mogućnost da se investitori neće zadovoljiti samo subvencijama, već će zahtijevati i udjele u slovenskim poduzećima. Tu u prvi plan izbijaju prvenstveno geopolitički interesi austrijsko-njemačkog kapitala, u ovom konkretnom slučaju – njihovih željeznica. Umjesto toga, inicijativa Ustala Primorska predlaže da se bez odlaganja zaustave sve ideje i postupci usmjereni ka privatizaciji, a da se drugi kolosijek počne graditi po modelu kojim Austrija upravo gradi  željeznički bypass oko Slovenije: izgradnju obavljaju državna poduzeća s europskim sredstvima i povoljnim kreditima na temelju državnih jamstava.

Velika radnička pobjeda

Koliko moćni su interesi upleteni u igru oko Luke Koper, između ostalog pokazuje i bizarno anonimno pismo koje ne bi bilo ništa više od toga da s njime nije naokolo počeo mahati Metod Dragonja, državni tajnik pri ministarstvu financija. Primitivno anonimno pismo navodno otkriva stvarno stanje u Luki Koper u kojoj Slovenci ne mogu dobiti posao, u kojoj vlada dominacija “čefurskih”1 sindikata, itd. Ipak, ovoga puta su privatizacijski apetiti očito naišli na pretvrd zalogaj. Na sjednici nadzornog odbora u petak, na kojoj je trebalo doći do smjene trojice članova, to se ipak nije dogodilo. Prijedlog je, naime, na kraju bio u posljednji čas uklonjen s dnevnog reda.

U međuvremenu su lučki radnici blokirali ulaz u Luku te potpuno zaustavili promet, uz iznimku pošiljki lako kvarljive robe. Time je zaustavljen i kompletan slovenski teretni željeznički promet. U tom je trenutku i arhitekt ideje o zamjeni članova nadzornog odbora te predsjednik uprave SDH, Marko Jazbec, ponudio svoju ostavku. Radnici Luke Koper zahtijevaju i ostavke ministra infrastrukture, Petra Gašparšiča, te ranije spomenutog tajnika Dragonje, koji su jednako predano radili na smjeni članova nadzornog odbora. Smirenju situacije sigurno nije pridonijela niti izjava Milana Brgleza, predsjednika parlamenta, koji je blokadu Luke nazvao atentatom na poduzeće i državu, a radnicima priprijetio da vlastite  interese prestanu stavljati ispred interesa Luke Koper, obale i Slovenije.

No niti takve neprimjerene izjave iz samoga državnog vrha ne mogu promijeniti činjenicu da se predložene smjene članova nadzornog odbora neće dogoditi, niti da je njihov inicijator Jazbec bio prisiljen ponuditi ostavku. Marko Jazbec i maskota otpora prema njemu, preparirani jazavac, tako su postali simbol organizirane radničke snage i jedne od najvećih protuprivatizacijskih pobjeda posljednjih godina, ako ne i desetljeća.

Sa slovenskog preveo Goran Matić

  1. Pogrdni slovenski izraz za osobe porijeklom iz ostalih jugoslavenskih republika []



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Vstala Primorska, vstani Slovenija

PRISPEVAL REDAKCIJA - SREDA, 22 JUNIJ 2016 09:15

Ustanovljena je bila fronta Vstala Primorska, vstani Slovenija. Na sestanku so bili prisotni  žerjavisti, KS-90, ZZB, delavci Vinakoper, sindikat Intereuropa, članica z Znanstveno raziskovalnega središča Univerze na Primorskem, predstavnik malih delničarjev, predstavnik špediterjev. in drugi. 
 
Tudi člani IDS. Srečanje je bilo sklicano z namenom ustanovitve neformalne koordinacijske skupine za organizacijo protesta proti poskusom menjave nadzornikov Luke Koper in njene kasnejše privatizacije, kI bo v torek, 28.6., ob 17.00 z zborom na parkirišču Luke Koper, nakar bi se skupaj odpravili na Titov trg, kjer se bo odvil uraden program protesta. Tekom razprave pa je bil večkrat izražen interes, da se po tem protestu nadaljuje z gradnjo fronte tudi v širših bojih.  S strani ministra Gašperšiča že dalj časa prihaja do pritiskov na predsednika uprave Dragomirja Matiča, da odpre koncesijsko pogodbo, kar bi bil prvi korak k privatizaciji, ker se jim ni uklonil, ga želijo zamenjati. Prvi korak je zamenjava nadzornikov. Delavci in delavke Luke Koper so se zato odločili, da organizirajo prvi zbor delavcev v zgodovini Luke Koper kot sredstvo za poenotenje vseh zaposlenih okrog zahtev okrog katerih ne bo popuščanja in kot poziv za udeležbo na protestu. Zbor delavcev bo potekal danes v sredo, 22.6., ob 13.00 v Luki Koper, ki je odprt za vse. Pričakuje se med 800 in 1000 zaposlenih. Delo v Luki Koper se bo za čas trajanja zbora popolnoma ustavilo. Gre za izjemno pomembno mobilizacijo delavstva, ki pa presegajo zgolj lastne ekonomske interese in izpostavljajo širše zahteve. Fronta pa kaže izjemen potencial tudi za širše gibanje. Delavci so namreč odločeni, da svoj boj nadaljujejo, dokler se privatizacija Luke Koper in drugih družb ne ustavi. Če nam uspe tokrat, bo to zelo spodbuden signal za ostala podjetja in podobne boje.

V okviru novo ustanovljene fronte se bo boj razširil tudi izven pristanišča, z vključitvijo organizacij in iniciativ, ki se tekom delovanja fronte lahko pridružijo. Že sedaj se vključuje nekaj drugih obalnih sindikatov, pa tudi delavci in delavke Vinakoper, saj so prav tako pod hudim pritiskom za privatizacijo, odvisni pa tudi od Luke Koper, ki je preko podjetja Adriafin tudi njihov lastnik (drugi lastnik Adriafina je Istrabenz, ki pa mora zaradi prisilne poravnave svoj delež v Adriafinu prodati). Istrabenz pa svoj delež že prodaja.




(Sullo stesso tema si vedano i materiali raccolti alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/karadzic.htm )


Radovan Karadzic condannato a 40 anni di carcere

di Pacifico Scamardella, 3 Aprile 2016

Nel 17mo anniversario dell’aggressione NATO alla Jugoslavia, una condanna che sa di giustizia coloniale.                                                                 


Il Tribunale dell’Aja, costituito con la risoluzione numero 827 del 25 maggio 1993, ha condannato il 24 marzo scorso Radovan Karadzic (età 70 anni) a 40 anni di carcere per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, e per aver avuto un ruolo sostanziale nel “genocidio”, dei mussulmani di Bosnia (il “massacro di Srebrenica” e “l’accerchiamento di Sarajevo”), dopo un processo che ebbe inizio nell’ottobre 2009.

La sentenza accerterebbe le responsabilità dell’imputato nel genocidio avvenuto nella piccola città Bosniaca di Srebrenica, ove, secondo le stesse ricostruzioni del tribunale, furono uccisi i maschi di “robusta costituzione” mussulmani, implicando serie conseguenze nella procreazione della popolazione, che ne avrebbe potuto comportare l’estinzione. Il tutto anche se donne e bambini furono risparmiate. Inutile dire che ciò è semplicemente ridicolo. Ammettendo che i fatti, così come descritti dal TPI, siano successi davvero, è possibile dar loro la definizione di genocidio? Considerando il fatto che molti degli uomini mussulmani che furono uccisi a Srebrenica non erano nemmeno originari del luogo, come può un atto di guerra essere definito genocidio?[1]

Non entrerò nel merito del procedimento specifico, in quest’occasione vorrei solamente esprimere alcune riflessioni su chi giudica e su come si possono istituire tribunali ad hoc, in piena violazione del diritto internazionale.

Con risoluzione 827 del 25 maggio 1993, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite da vita, operando nell’ambito dei poteri attribuitegli dal capitolo VII della Carta dell’Onu, al “Tribunale penale internazionale per perseguire i responsabili di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse nel territorio dell’ex Jugoslavia dal 1991”. Un Tribunale ad hoc che violerebbe i principi del giudice naturale. Trattasi di organo sussidiario del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, tuttavia non è soggetto all’autorità o al controllo del Consiglio per tutto ciò che riguarda l’esercizio delle loro funzioni giudiziarie. Il Tribunale è composto da civili e non vi siede personale militare e sono formati da tre organi fondamentali: corte, procuratore, cancelleria. L’organo giudicante si compone di due camere di primo grado per ciascuno dei due tribunali, formate ognuna da tre giudici e da una camera d’appello, formata da cinque giudici. La decisione di istituire tale Tribunale, è stato fatta a seguito di numerose iniziative politiche e militari, ove la comunità internazionale è intervenuta all’interno delle questioni jugoslave.

Il grimaldello giuridico che giustificherebbe l’istituzione del TPI sarebbe il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, interpretato in senso molto largo, cioè allargando il potere del Consiglio di istituire organi giuridici, mentre fino ad allora era stato usato solo per implicare gli Stati ad azioni collettive implicanti o meno l’uso della forza.

Sicuramente, una simile estensione dei poteri del Consiglio di Sicurezza non era originariamente prevista dagli estensori dello Statuto dell’Onu. Gli Statuti dei tribunali internazionali ad hoc indicano tra i crimini da perseguire, quelli già presi in considerazione dai Trattati internazionali in materia e catalogano espressamente i crimini di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (ratione materiae) e fissano espressamente la competenza dei Tribunali  stessi nei confronti di persone fisiche (ratione personae) che abbiano commesso crimini in periodi definiti di tempo (ratione temporis). La risoluzione con la quale il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite istituisce il Tribunale speciale per l’ex Jugoslavia afferma il principio secondo il quale il ricorso alla giustizia internazionale è mezzo imprescindibile per ottenere il ristabilimento della pace e della sicurezza. Tuttavia sulla base di questo principio ogni volta che dovesse ripresentarsi una situazione di conflitto e la conseguente commissione di crimini di diritto internazionale, le Nazioni Unite dovrebbero istituire un Tribunale ad hoc per portare i responsabili davanti alla giustizia. Questo non avviene però sempre e regolarmente; infatti, la limitatezza dell’area geografica rispetto alla quale il Consiglio di Sicurezza ha ravvisato la necessità di istituire i Tribunali a fronte delle numerose altre aree del mondo in cui si sono manifestate gravi violazioni del diritto umanitario, solleva il problema di una giustizia selettiva che risponde, secondo gran parte della dottrina, a esigenze politiche più che giuridiche. I tribunali ad hoc non sono, dal punto di vista giuridico, una soluzione ottimale per garantire la punizione di fatti di rilevanza penale, perché si tratta di una giustizia ex post facto, istituita cioè dopo la commissione dei fatti. La giustizia internazionale penale non può essere costruita attraverso eccezioni al principio di “irretroattività della legge penale”. Per poter ritenere un soggetto penalmente responsabile occorre che egli sappia non solo che esiste una norma che sancisce un certo comportamento, ma anche che esiste un giudice incaricato di applicarla. Alla giustizia internazionale parzialmente a posteriori è per questo preferibile l’istituzione di un Tribunale penale internazionale permanente. Caso vuole che i principali sponsor del TPI, gli Stati Uniti, siano allo stesso tempo coloro che hanno boicottato la Corte Penale Internazionale, istituita successivamente con lo Statuto di Roma nel 1998.

Tornando al capitolo VII della Carta dell’Onu, in nessuno dei suoi articoli, in effetti, si da potere al Consiglio di Sicurezza di istituire dei Tribunali come misura per contrastare la violazione della pace, o minaccia della pace, o aggressione. Il Consiglio si è insomma autoinvestito di un potere legislativo che non gli compete, sfruttando il proprio potere vincolante per porre gli Stati di fronte all’obbligo di accettare il fatto compiuto.  La questione fu sollevata subito dalla difesa di Dusko Tadic, che sollevava questioni di legittimità del Tribunale. Senza ripercorrere tutta la vicenda giudiziaria, ricordiamo in breve la sentenza del giurista italiano Antonio Cassese, presidente della Camera di secondo grado, che con sentenza del 02 ottobre 1995[2], stabilisce che il Tribunale afferma la propria competenza ad esercitare il controllo di legittimità sulle decisioni del Consiglio, motivandolo con l’esigenza di salvaguardare la stessa natura giurisdizionale del potere del quale è stato investito, non sussistendo nell’ordinamento internazionale alcun altro organo giudiziario in grado di farlo. In questo modo il Tribunale caratterizza nettamente gli organi giurisdizionali internazionali rispetto a quelli nazionali, descrivendoli come organi che, non essendo ancora inquadrati in un sistema giudiziario organizzato e unificato, sono “auto-sussistenti” e quindi giudici di se stessi”. Si è cioè realizzato il paradosso di affidare il controllo dell’atto di un organo (quello del C.d.S. che istituiva il tribunale), ad un organo istituito attraverso quello stesso atto.[3]

In base al diritto internazionale consolidato in norme consuetudinarie o da convenzioni vincolanti, lo Stato impegnato nel conflitto con un altro Stato (o altro ente di fatto) cui appartengono gli autori dei crimini di diritto internazionale, può sottoporre questi a giudizio e quindi eseguire l’eventuale condanna, durante il conflitto stesso. Come garanzia opera la reciprocità, anche se vi sono palesi rischi di parzialità[4]. Ma si può dire la stessa cosa del TPI?

Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini in ex Jugoslavia (TPI) sta operando, è caratterizzato da un assoluto e totale capovolgimento del diritto internazionale. Istituendo tale Tribunale prescindendo dalla sovranità e dal consenso degli Stati coinvolti, il Consiglio di sicurezza ha commesso un abuso dei propri poteri, violando i principi base del patto associativo regolato dalla Carta delle Nazioni Unite, nonché il principio della sovranità degli Stati, e dell’uguaglianza fra loro (“I Membri [delle Nazioni Unite] devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”- art. 2 Carta dell’ONU). Ciò che colpisce di più dell’iniziativa del Consiglio di Sicurezza, è il fatto che l’istituzione del tribunale, e il conferimento di un potere giurisdizionale non vengono rimessi ad un accordo interstatale. Altro invece si deve dire se l’istituzione del tribunale avviene solo sulla base della risoluzione del Consiglio di Sicurezza, e quindi sulla base di una decisione che coinvolgerebbe solo alcuni Stati, ad esclusione di quelli direttamente coinvolti, poiché in questo caso si verrebbe a creare la situazione di una decisione autoritaria nei confronti degli Stati esclusi (la risoluzione è stata cioè adottata dai soli 15 membri del Consiglio e non coinvolge gli Stati direttamente coinvolti). Gli Stati più direttamente coinvolti nel processo ad individui autori di crimini internazionali sono normalmente quelli che hanno la disponibilità dell’imputato, sui mezzi d’indagine, e maggiori possibilità di attuazione della condanna, in forza del rapporto organico o di cittadinanza che li lega agli imputati o alle vittime. Si tratta dunque dello Stato di cui è organo o cittadino l’autore del fatto, di cui è cittadina la vittima o nel cui territorio il fatto è stato commesso. Cardine delle Nazioni Unite è la sovranità statale, che può essere limitata se e solo se vi è previo accordo tra le parti. Altrimenti si violerebbe la sovranità indipendenza degli Stati, che sta alla base del principio di non ingerenza negli affari interni.  Inoltre lo stesso CdS (Consiglio di Sicurezza), non può oltrepassare gli specifici attributi che la Carta dell’Onu le da (art 24 della Carta). Ma questo pilastro è stato distrutto. Si passa dalla forza del diritto, al diritto della forza. In capo al CDS non vi è alcun Jus Puniendi (diritto a giudicare o condannare qualcuno), che è prerogativa del diritto dello Stato Sovrano. Nel sistema delle Nazioni Unite l'accettazione di obblighi internazionali da parte degli Stati è espressamente vincolato al rispetto dei dettati costituzionali interni. E questo è un principio fondamentale, come ha affermato un grande studioso austriaco di diritto internazionale, Alfred Verdross: l'ONU non ha sovranità direttamente sugli individui.[5] In quest'ambito bisogna rispettare la sovranità degli Stati, cosicché la diretta azione dell'Onu sugli individui, senza passare attraverso la struttura legislativa dello Stato, è esclusa. Quest’aspetto è essenziale, è uno dei motivi per cui un'iniziativa come il TPI è da respingere come totalmente illegale.

Tuttavia, a giustificazione di quanto fatto, spesso si fa un parallelismo col Tribunale di Norimberga, che però appare fuori luogo. Quel tribunale si giustificava col fatto che i crimini commessi dai nazisti fossero assolutamente unici e giuridicamente venne fondato sul fatto che lo stato tedesco si era totalmente estinto, per cui i poteri sovrani venivano esercitati in Germania dalle quattro potenze occupanti. Le basi del giudizio di Norimberga, e del giudizio di Tokyo degli altri processi instaurati dalle potenze vincitrici avevano una certa solidità, in quanto fondate sull’antica consuetudine della punizione dei criminali di guerra nemici, e i loro Statuti erano emanazione delle potenze occupanti. Inoltre la punizione dei crimini contro l’umanità commessi dal Giappone e dall’Asse era stata ripetutamente preannunciata come ineludibile almeno dal 1941 ed era diventata vincolante e precisa con la Dichiarazione di Mosca del 1943. L’apparente retroattività delle norme fu giustificata con l’argomento che si trattava -almeno per i crimini di guerra e contro l’umanità-di fatti già previsti in ogni paese civile come delitto. Altra differenza consiste nel fatto che in base all’art. 6 del Tribunale per l’ex Jugoslavia, la competenza si limita alle persone fisiche. Ciò esclude non solo la materia dei crimini degli Stati, ma altresì la competenza sulle persone giuridiche e sulle associazioni che era invece sancita invece dagli art. 9 e 10 dello Statuto di Norimberga e dall’art. 5 dello Statuto di Tokyo. Altro pilastro su cui fanno leva i “partigiani” della presunta giustizia internazionale targata NATO, è la cosiddetta Universalità della giurisdizione penale degli Stati per i crimini allarmanti, di particolare efferatezza: il concetto consiste nell’ affermare che quei crimini siano sempre e comunque da perseguire da ciascuno Stato. Tuttavia ciò potrebbe avvenire se e solo se si ha una soglia di collegamento con lo Stato che pretenda di giudicare tramite norme consuetudinarie o di trattato. Il lettore si immagini altrimenti la babele di giurisdizioni concorrenti, almeno in un mondo dove tutti gli Stati siano tutti uguali. I partigiani della presunta giustizia internazionale che vede come madrina una donna chiamata Albright (che in una conferenza stampa giustificava la morte di mezzo milione di bambini iracheni causati dall’embargo contro la repubblica dell’Iraq) però, sanno benissimo come vanno le cose nel mondo reale. Costoro, in maniera alquanto pudica, sottintendono che l’universalità potrebbe sussistere solo grazie alla presenza di Stati un po’ più uguali degli altri. Chi sono questi Stati? Naturalmente quelli che si autoproclamano civili, ovvero quelli occidentali, vale a dire quelli che predicano democrazia e libero mercato per la gioia immensa dei popoli del terzo mondo.

Si potrebbe rammentare che le Convenzioni di Ginevra del 1949 sul diritto bellico prevedono, per gli Stati parti, una obbligatoria universalità di giurisdizione per i crimini di guerra: ciò però solo davanti ai giudici dei contraenti. Non è prevista l’istituzione di un tribunale internazionale. In quest’ultimo caso si avrebbe una sorta di giudice speciale che giudicherebbe secondo i criteri del Diritto Penale del Nemico, con buona pace della presunzione di innocenza. Il regolamento dello stesso tribunale è una vera delizia per tutti i nostalgici della Santa Inquisizione. Il tribunale appare sia un corpo legislativo sia giuridico. I giudici scrivono le regole della Procedura e possono altresì fare emendamenti. La regola numero 6 inoltre precisa che il Presidente può apportare variazioni di sua iniziativa e ratificarle via fax ad altri giudici.  In poche parole, costoro applicano le leggi che loro stessi scrivono! Quest' assenza di separazione della funzione dalla funzione legislativa da anche la possibilità ai giudici di interpretare le norme come meglio credono senza che ci sia sorta di controllo alcuno. Così si impedisce alla difesa ogni possibilità di poter contestare l'interpretazione, anche nel caso in cui l'interpretazione stessa dovesse   risultare non corretta. Inoltre, il procuratore ha la possibilità di proporre emendamenti alla procedura. In questo tribunale manca totalmente il concetto di doppio grado di giudizio, poiché i membri della prima istanza in un giudizio possono essere gli stessi nella seconda in un altro giudizio, si intuisce facilmente che per quieto vivere, non si contrasteranno mai. Inoltre, non vi è nemmeno un giudice per le indagini preliminari che investighi sulle accuse. Si fa uso di testimoni anonimi, senza che la difesa possa realmente confrontarsi con costoro (l'articolo 75 del Rules of Procedure and Evidece stabilisce l'opportunità per il TPI di tener nascosta l'identità del testimone, anche grazie l'uso di tecnologia che ne alterino il suono della voce durante il dibattimento, nonché negare la possibilità ala controparte di controinterrogarli. Altro principio che impedisce un confronto ad armi pari tra accusa e difesa), può rifiutarsi di ascoltare gli avvocati della difesa, può detenere i sospettati per 90 giorni prima di formulare le imputazioni. Inoltre l’art. 53 del regolamento indica la possibilità per il tribunale di non far conoscere all’imputato il perché viene processato, tenendo gli elementi a suo carico nascosti. Questo è semplicemente inaccettabile.

L'articolo 94 al paragrafo A del Rule of Procedure Evidence introduce il principio del fatto notorio. Lo scrivente ritiene tale scelta un vero e proprio azzardo, se non una provocazione, poiché nei fatti di Jugoslavia il ruolo dei media, e delle loro menzogne, ha fatto la parte del leone.  A questo proposito si consideri l’eccellente lavoro di agenzie di comunicazione come Ruder&Finn Global Public Affaire, Hill&Knowlton, Saachi&Saachi, McCann&Erickson et Walter Thompson (queste ultime collaborano spesso con la CIA) è riuscito a creare l’immagine di vittime da un lato e di carnefici dall’altro, e a minimizzare l’orrore della guerra con la formulazione di slogan come “guerra umanitaria”, “azione di polizia internazionale”, “danni collaterali”. L’agenzia di comunicazione impiega una tecnica operativa, spesso mortale, tendente a piazzare il governo cliente in posizione vantaggiosa agli occhi del mondo. Gli schemi sono ripetitivi. Una campagna di martellamento diffamatorio viene lanciata nella stampa, dove una serie di rivelazioni ignobili sul comportamento della parte avversa crea un pregiudizio negativo che si ancorerà profondamente nell’inconscio collettivo. Un esempio: l’immagine del musulmano scheletrico dietro il filo spinato è rimasta istituzionale per rappresentare i nuovi nazisti. In realtà si trattava di un campo di rifugiati a Tiernopolje nella Bosnia serba, dove la gente era libera dei suoi movimenti. Infatti, l'équipe della televisione britannica ITN, che ha fatto lo scoopsi trovava dietro il filo spinato e aveva piazzato gli uomini intorno al luogo cintato dove stava per proteggere il suo materiale dai furti.

James Harff, all’epoca direttore della Ruder Finn Global Public Affairs, in un'intervista con il giornalista francese Jacques Merlino, riportata nel suo libro (Les vérités yougoslaves ne sont pas toutes bonnes à dire), parlando dei clienti nell’ex Jugoslavia, della strategia e dei successi raggiunti, diceva: "Fra il 2 e il 5 agosto 1992, il New York Newsday é uscito con la notizia dei campi. Abbiamo afferrato la cosa al volo e immediatamente abbiamo messo in contatto tre grandi organizzazioni ebraiche: B'nai B'rith Anti-Defamation League, American Committee e American Jewish Congress (...) l'entrata in gioco delle organizzazioni ebraiche a fianco dei bosniaci fu uno straordinario colpo di poker. Allo stesso tempo abbiamo potuto nell'opinione pubblica far coincidere serbi con nazisti (...) Il nostro lavoro non é di verificare l'informazione (...) Il nostro mestiere é di disseminare le informazioni, farle circolare il più velocemente possibile per ottenere che le tesi favorevoli alla nostra causa siano le prime ad uscire (...) Quando un’informazione é buona per noi, dobbiamo ancorarla subito nell'opinione pubblica. Perché sappiamo molto bene che é la prima notizia che conta. Le smentite non hanno alcuna efficacia (...) Siamo dei professionisti. Abbiamo un lavoro da fare e lo facciamo. Non siamo pagati per fare della morale. E anche quando questa fosse messa in discussione, avremmo la coscienza tranquilla. Poiché, se lei intende provare che i serbi sono delle povere vittime, vada avanti, si troverà solo (...)".

Alcune violazioni concrete le vogliamo ricordare esplicitamente: il caso Djukic, il 30 gennaio 1996 venne rapito da truppe musulmane durante un viaggio di cui erano state messe a conoscenza le truppe IFOR della Bosnia centrale, e che poi fu trasferito All'Aia tramite Sarajevo, benchè non ci fosse nemmeno l'ombra di un mandato d'arresto all'epoca. Djukic, malato di cancro, non fu ritenuto degno di essere curato, per cui morì il 18 maggio 1996. Sempre per negligenza del Tribunale, Milan Kovacevic nella sua cella All'Aia, muore di crisi cardiaca[6]. Il 5 gennaio 2006, soldati italiani delle truppe Eurofor stanziate in Bosnia, al momento dell'arresto di Dragomir Abazovic, uccidono la moglie Rada, inventandosi che La povera Rada avesse tentato un'improbabile difesa armata di Kalashnikov.

 Peccato però, che nessun soldato risultò ferito, e lei risulta uccisa con un solo proiettile.
Il 5 marzo 2006 si "suicida" Milan Babic, presidente della Krajna nel 1991 fino al 1995. Egli si era consegnato spontaneamente al tribunale.
Infine l'11 marzo 2006 muore Milosevic … che fu arrestato ed estradato a seguito di un mandato della canadese Louise Arbour, pubblica accusa al Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, che ha emesso il mandato di cattura per Milosevic sulla base di documenti ricevuti il giorno prima da una delle due parti in causa, il governo degli Stati Uniti.

Invece il generale croato Tihomir Blaskic affrontò il processo in una lussuosa villa protetto dalle sue guardie del corpo.

Il TPI non prevede nel suo Statuto forme di risarcimento per ingiusta detenzione. Anche qui si nota un netto contrasto con quanto dice l'articolo 9 del Patto internazionale sui diritti civili e politici al comma 5 dice: “Chiunque è stato vittima di arresto o detenzione illegali ha diritto a un indennizzo”.

 

La giustizia di un Tribunale ad Hoc, è dunque quella di una parte in causa contro l’altra: l’esatto contrario della giustizia imparziale. Il TPI è uno strumento politico, anzi di guerra, nelle mani della NATO contro l’ex classe dirigente della Jugoslavia dell’epoca. Lo stesso Jamie Shea, portavoce Nato durante i bombardamenti sulla Jugoslavia, ammise che gli stessi paesi Nato sono i finanziatori del Tribunale.[7] A questi si aggiungono il National Endowment for Democracy, l’Open Society e la Rockefeller family Associates, già note per il loro “disinteressato” appoggio a rivoluzioni colorate ed a improbabili primavere in giro per il mondo.


[1] Sulla ricostruzione dei fatti e sulle incongruenze delle accuse formulate dai giudici del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia rimandiamo a: Goran Jesilic Uomini e non uomini Zambon; AAVV Il dossier nascosto del genocidio di Srebrenica, La città del Sole. Inoltre segnalo gli articoli di Diana Johnstone http://www.counterpunch.org/2016/03/30/international-injustice-the-conviction-of-radovan-karadzic/ e di Nicola Bizzi http://press.russianews.it/press/finalmente-emerge-la-verita-su-srebrenica-i-civili-non-furono-uccisi-dai-serbi-ma-dagli-stessi-musulmani-bosniaci-per-ordine-di-bill-clinton/

[2] Prosecutor vs Dusko Tadic case no IT-94-1-AR72

[3] Carlo Magnani, Il diritto dell’impero: tra ingerenza umanitaria e tribunali internazionali, La città del Sole Napoli 2001 p.16

[4] Aldo Bernardini, La Jugoslavia assassinata, Napoli 2005 p.16 e ss.

[5] Citato da Aldo Bernardini durante la Conferenza tenutasi All’Aja il 26 Febbraio 2005 a cura dell’ ICDSM (International Committee to Defend Slobodan Milosevic “The Hague Proceedings against Slobodan Milosevic: Emergine Issues in International Law” scaricabile presso il sito www.icdsm.org

[6] per approfondimenti vedere l’articolo di Jurgen Elsasser reperibile dal sito www.jungewelt.de/2006/03-13/003.php

[7] Andrea Martocchia Diritto e… rovescio internazionale nel caso Jugoslavo 11 Aprile 2015 apparso su www.marx21.it



(français / italiano / english)

"Srebrenica" / 2: Serbian parliament resolution alert!


A lire aussi:
BOSNIE-HERZÉGOVINE : CETTE ANNÉE, ALEKSANDAR VUČIĆ NE SERA PAS INVITÉ À SREBRENICA (Courrier des Balkans, mercredi 29 juin 2016)
L’an dernier, Aleksandar Vučić avait été chassé des cérémonies commémoratives de Potočari, et cette année, il ne sera pas invité : les familles des victimes ont fermé la porte à ceux qui ne reconnaissent pas le caractère génocidaire du massacre de 8 000 Bosniaques, en juillet 1995. Une décision qui alimente de nouvelles polémiques...

Sul tentato linciaggio del premier serbo Vučić a Potočari (Srebrenica) in occasione della commemorazione del 2015 si veda:

Raccomandiamo anche la consultazione della nostra pagina dedicata alla disinformazione strategica su "Srebrenica":


----- Original Message ----- 
From: S. K.
To: undisclosed-recipients
Sent: Thursday, June 30, 2016 12:35 PM
Subject: Srebrenica Historical Project: Serbian parliament resolution alert!

SREBRENICA HISTORICAL PROJECT

Postbus 90471,

2509LL

Den Haag, The Netherlands

+381 64 403 3612  (Serbia)

E-mail: srebrenica.historical.project@...

Web site: www.srebrenica-project.org

____________________________________________

 

SREBRENICA RESOLUTION ALERT IN THE SERBIAN PALIAMENT

 

          The Srebrenica Lobby in Serbia yesterday launched a stealth campaign to pressure the Serbian Parliament to adopt a resolution about the “Srebrenica genocide” that allegedly took place in July 1995. The proposed resolution is scheduled to be presented to parliament for a vote following “fast track” procedure, designed to be completed in time for this year’s Srebrenica anniversary ceremony on July 11. Obviously, the timing was designed to ensure that maximum emotional pressure is put on parliamentary deputies, while giving them a minimum of time to hold an informed public debate on the underlying Srebrenica issue.

          This year’s resolution proposal is a replay of a similar attempt made in 2010 which resulted in a partial gain for the Lobby. They were frustrated, however, in their ultimate goal of making the Serbian parliament declare that what happened in Srebrenica was genocide for which Serbia was bound to suffer political, economic, and moral consequences. As a result of the vociferous public protests and debate which ensued once the terms of the proposed resolution in 2010 became widely known, parliament was compelled to strike the word “genocide” from the text and to express itself in more guarded terms concerning the controversial issue. The Srebrenica Lobby has apparently reached the conclusion that the time is ripe now to try again. Lessons were learned from the 2010 experience and the plan for the next couple of days is to not give opponents sufficient time to organize or parliamentary deputies who are so inclined the opportunity to study the matter more closely.

          As we have stressed continuously over the years, Srebrenica genocide has nothing to do with the facts of what actually happened or sympathy for the innocent victims who were executed. It is a thoroughly politicized affair which serves an agenda having nothing in common with the interests of Bosnian Muslims and everything to do with inciting enmity between the Muslim and Orthodox inhabitants of the Balkans. The objective is to push them into mutually debilitating strife, with the Western-NATO alliance dominating over both in the strategically important Balkans and plundering their resources in the process, while cynically playing one side against the other. The proposed resolution in the Serbian parliament classifying Srebrenica as genocide and implying that Serbia (and by extension the Serbian people) played a role in that false flag operation is part and parcel of this insidious agenda.

          We learned about the resolution only yesterday because it was deliberately kept under wraps until the last possible moment in order to ensure its stealth passage in parliament. We are, however, mobilizing all our resources to call for a transparent public debate about what happened in Srebrenica and what Serbia allegedly had to do with it. Deputies in parliament are paid their salaries in order to make informed decisions on behalf of their constituents, not to allow themselves to be manipulated by political pressure. In order to make sure that the Srebrenica issue is properly considered and debated, we need your help.

          Serbian people highly regard the opinion of qualified foreign observers. We are therefore asking you to take a few minutes and to send us a mail expressing your view of this matter. Is it the business of the Serbian parliament to pass politically inspired resolutions about Srebrenica, thus taking the onus for this crime on behalf of the Serbian people as a whole? Is it correct and in line with provable facts to call what happened in Srebrenica a genocide? Is it proper to ambush a country’s parliament on an important issue such as this without allowing sufficient time for a full and unfettered public debate?

          If you can comment briefly on this, we are asking you for permission to forward your comments, with proper attribution of course, to Serbian parliament members so that they can take your views into account before voting and make an informed and responsible decision about this very important resolution.

          We thank you very much for your time and engagement in ensuring that Srebrenica is given proper consideration in the Serbian parliament. 

 

Stephen Karganovic

Srebrenica Historical Project




(deutsch / italiano)

"Srebrenica" / 1: In Svizzera condanna per reato di opinione

1) Donatello Poggi sulla procedura penale avviata nei suoi confronti per “discriminazione razziale” per avere espresso una visione non omologata sui fatti di "Srebrenica" (6 giugno 2015)
2) Donatello Poggi condannato in primo grado per “discriminazione razziale” (giugno 2016)
3) Poggi wegen unliebsamer Äusserungen zu Srebrenica verurteilt (Kommunisten.ch)


Riceviamo e pubblichiamo questa notizia gravissima. A essere condannato è un uomo politico che ha espresso il suo punto di vista pubblicamente e il fatto specifico sembra non avere nient'altro a che fare se non con l'interpretazione dei fatti di "Srebrenica": è un precedente assoluto di censura su questi temi. 

Facciamo per inciso notare come in Italia su di un crinale delicato e ambiguo, che ci può potenzialmente portare alle stesse limitazioni della libertà di opinione e di ricerca storica, si trova il dispositivo di modifica della "legge Mancino" (13 ottobre 1975, n. 654) sul "reato di negazionismo", recentemente approvato in via definitiva:
Sul tema si vedano ad es. 
Negazionismo di Stato (Gherush92 Committee for Human Rights)
Arriva in Italia l’ambiguo reato di negazionismo (PTV news 9 giugno 2016)

(A cura di Italo Slavo)


=== 1 ===

http://www.ticinolive.ch/2015/06/06/la-procedura-penale-avviata-contro-donatello-poggi-di-donatello-poggi/

La procedura penale avviata contro Donatello Poggi 


di Donatello Poggi
6 giugno 2015

Nel novembre del 2012 scrissi una lettera a proposito della cittadina bosniaca di Srebrenica descrivendo tutte le incongruenze e la disinformazione portata avanti dalla stampa occidentale. Il mio scritto non presentava nessuna dichiarazione razzista o diffamatoria nei confronti della comunità musulmana nel paese balcanico ma mettevo semplicemente in dubbio la versione ufficiale secondo cui vi fu “genocidio” da parte dei serbi ortodossi. Oltretutto, il governo della Republika Srpska (l’entità serba di Bosnia) ha potuto documentare come quasi 4’000 serbi furono massacrati in quell’area attorno a Srebrenica dalle milizie estremiste di mussulmani guidati da Naser Oric.

Oltre a questo fatto, del tutto ignorato se non si è competenti nella storia dei conflitti che hanno dilaniato l’ex Jugoslavia, nessuno in pratica è a conoscenza delle diverse migliaia di serbi morti durante l’operazione “Tempesta” dell’esercito croato che voleva purgare la Slavonia orientale dall’etnia serba: circa 250’000 civili sono stati costretti ad abbandonare le proprie dimore sotto i colpi croati. In tal senso, credo che Srebrenica sia stata usata come “diversivo” per confondere l’opinione pubblica mondiale e per nascondere questa operazione militare appena descritta.

Sulla base di questo mio scritto, sono stato denunciato per “discriminazione razziale” ma questa imputazione non ha nessuna ragione di essere dato che ho semplicemente spiegato il mio punto di vista a proposito degli eventi appena descritti senza fare considerazioni a proposito di razza o di etnia: le ragioni che ho spiegato sono apertamente condivise da molte persone in Svizzera, Serbia, Russia, Stati Uniti e altri paesi del mondo: una recente e attesa (da parecchi anni) sentenza della Corte dell’Aja ha sancito che nessuno durante le guerre dei Balcani ha perseguito l’obbiettivo di genocidio. A maggior ragione questa denuncia nei miei confronti, portata avanti da una persona che lavora presso il Tribunale d’appello, appare ancor più fuori luogo. È ancora possibile esprimere la propria opinione, per quanto controversa sia, o dobbiamo arrenderci di fronte alla prepotenza di chi fa della giustizia lo strumento per i propri interessi?

Ricordando Srebrenica, ho poi illustrato come anche in Kosovo la stampa internazionale si è apertamente schierata con i miliziani dell’UCK (Esercito di liberazione del Kosovo) che hanno dato inizio alla situazione di ostilità verso quella che è diventata una minoranza in casa propria, quella serba, a partire dagli anni ’60 con attacchi a dimore, proprietà e luoghi di culto ortodossi. L’intervento “umanitario” a favore dell’UCK è stato fatto sulla base di un massacro, quello di Racak, falsamente attribuito ai serbi ma effettivamente perpetrato dai combattenti di etnia albanese.

Come non vedere un nesso tra le due situazioni? La superpotenza americana fa leva sulla comunità musulmana per vedere realizzati i propri obbiettivi geostrategici e, nel caso dei Balcani, volevano essere la fine dell’influenza russa nella regione, con la devastazione completa della Serbia che viene considerata nazione sorella appunto della Russia.

Spingendomi più in là, la “comunità internazionale” sostiene dal 2011 i ribelli siriani così detti “moderati” ma che di moderato non hanno proprio nulla: non si conta nemmeno più il numero di cristiani massacrati da fondamentalisti legati ad Al Qaeda istruiti alle armi dagli Stati Uniti in Turchia e finanziati dai cari alleati della potenza a stella e strisce e cioè l’Arabia Saudita.

Come non vedere un filo conduttore comune nel tentativo di “False flag” prodotto nell’agosto del 2013 che pretendeva di accusare il Governo Siriano dell’impiego di armi chimiche per dar così via ad un nuovo intervento della NATO che avrebbe semplicemente lasciato le frange più fondamentaliste la potere nel paese del vicino oriente?

Tutti noi abbiamo visto i risultati della guerra in Kosovo: da quella che secondo una risoluzione della Nazioni Unite è ancora una provincia serba, il flusso di emigranti è esploso negli ultimi mesi confermando che l’intervento militare occidentale non ha risolto assolutamente nulla. E se dobbiamo soffermarci sull’esplosione dei flussi migratori, come si può considerare la guerra in Libia come positiva quando il numero di rifugiati in partenza verso le coste europee è un problema destinato a durare, purtroppo, ancora diversi decenni?

E cosa sarebbe successo nel caso in cui gli Stati Uniti, fortemente appoggiati da Francia e Gran Bretagna, fossero riusciti nel loro intento terrorista di colpire al cuore il governo siriano, abbattere la nazione guidata da Assad per lasciarla in mano ai fondamentalisti dell’ISIS/Al Qaeda? Altri milioni di profughi in fuga dalle proprie dimore proprio grazie all’ ”intervento umanitario” invocato dalla NATO?

Oggi purtroppo siamo testimoni di un’altra situazione di grave instabilità che si sta verificando nella regione attorno a Kumanovo, una città della Macedonia che ospita una minoranza etnica albanese che negli scontri di due settimane fa ha potuto godere dell’appoggio proprio degli ex combattenti dell’UCK che hanno l’intenzione di creare la “Grande Albania” sottraendo con guerre e massacri porzioni di territorio alla Serbia (obbiettivo raggiunto), Macedonia (in corso), alla Grecia (non ancora tentato) e al Montenegro (non tentato ma nel paese ci sono state già tensioni). La storia prova che gli eventi dalla fine del blocco sovietico ad oggi, in particolare le guerre “preventive” portate avanti dalla NATO non sono state altro che una scusa per espandere l’influenza occidentale senza prendere in minima considerazione la sorte di milioni di persone.

Farsi una propria idea in base alla lettura di documenti che non sono diffusi dalle agenzie di stampa occidentali, per poi esprimerle pubblicamente, è considerato razzismo? Purtroppo c’è gente che deve svegliarsi e riconoscere che quello che sperava fosse un cambiamento positivo, si è invece rivelato come un disastro di proporzioni immani destinato ad influenzare la storia mondiale. Se poi la situazione nei paesi considerati, cioè principalmente Bosnia e Kosovo, perché le persone originarie di queste regioni non tornano alle proprie dimore d’origine? Provate a chiederlo a un albanese, e come risposta otterrete solo il silenzio o l’eco delle vostre parole. E questo è una spiegazione che vale più di mille testi accademici.

Non mi sento colpevole di nulla ed anzi provo uno stimolo ancora maggiore di prima perché se le mie parole danno fastidio a qualche piccolo funzionario che pensa di far della legge il suo strumento politico, allora farò in modo che non manchi mai la discussione, giusta, sana ed aperta, su vari temi di rilevanza mondiale. Non sarò mai servo delle “verità ufficiali e confezionate” di CIA e NATO. Sono un cittadino svizzero e libero e non un burattino.

Donatello Poggi


=== 2 ===


“Il mio è un processo politico”

l'ex granconsigliere Donatello Poggi deve rispondere di ripetuta discriminazione razziale in merito al genocidio di Srebrenica - La sentenza in giornata
31 maggio 2016

BELLINZONA - "È un processo politico". Ha esordito così Donatello Poggi oggi in Pretura penale a Bellinzona. Il 60.enne ex granconsigliere e municipale di Biasca deve rispondere di ripetuta discriminazione razziale per due opinioni pubblicate in Ticino in merito al genocidio di Srebrenica dell'11 luglio 1995.
"Non nego che ci sia stato un massacro (morirono oltre 8.000 mila musulmani bosniaci, ndr. [Non furono affatto 8000 e non fu una strage di civili, cfr.:  ndCNJ] ), ma vi sono stati anche dei morti serbi. E questi sono stati trattati come cittadini di serie B", ha precisato l'operaio delle Officine FFS di Bellinzona. Il dibattimento prosegue ora con la requisitoria della procuratrice pubblica Valentina Tuoni e l'arringa del difensore Andrea Rotanzi. La sentenza in giornata.


Accuse confermate, condannato Poggi

Ritenuto colpevole in Pretura penale a Bellinzona di ripetuta discriminazione razziale per le offese alle vittime di Srebrenica
31 maggio 2016

BELLINZONA – Condannato. Il giudice della Pretura penale di Bellinzona Siro Quadri ha ritenuto l'ex granconsigliere e municipale di Biasca Donatello Poggi colpevole di ripetuta discriminazione razziale per via di due opinioni pubblicate sui media ticinesi riguardanti il massacro di Srebrenica. "Ha fatto passare in secondo piano la tragedia, il genocidio, minimizzando la sofferenza dei parenti delle vittime", ha spiegato il pretore. Confermata quindi la tesi della procuratrice pubblica Valentina Tuoni, la quale si era battuta per una condanna con la condizionale a 45 aliquote da 130 franchi (così come confermato dalla sentenza), e del patrocinatore dell'accusatore privato, l'avvocato Paolo Bernasconi. Dal canto suo il legale difensore Andrea Rotanzi aveva chiesto il proscioglimento dell'imputato. Donatello Poggi ricorrerà quasi sicuramente contro la sentenza alla Corte di appello e di revisione penale. Ulteriori dettagli sull'edizione di domani del CdT. 


Donatello Poggi non ci sta

È dichiarazione di ricorso contro la condanna inflittagli in Pretura penale per aver minimizzato il genocidio di Srebrenica del 1995
03 giugno 2016

BELLINZONA - L'ex granconsigliere e municipale di Biasca Donatello Poggi non ci sta. Attraverso il suo legale, l'avvocato Andrea Rotanzi, ha inoltrato dichiarazione di ricorso alla Corte di appello e di revisione penale contro la condanna che gli è stata inflitta martedì in Pretura (pena sospesa di 45 aliquote giornaliere da 130 franchi). Il 60.enne è stato ritenuto colpevole di discriminazione razziale per aver «ripetutamente disconosciuto, minimizzato grossolanamente e cercato di giustificare» il genocidio di Srebrenica dell'11 luglio 1995. Il giudice Siro Quadri ha accolto in toto il castello accusatorio della procuratrice pubblica Valentina Tuoni. La difesa, per contro, si era battuta per il proscioglimento. Il legale Andrea Rotanzi attende ora le motivazioni scritte della sentenza per decidere se confermare o meno la dichiarazione di Appello.


Il caso-Poggi sconfina

La condanna dell'ex deputato biaschese per discriminazione razziale sui fatti di Srebrenica suscita l'interesse di giornalisti tedeschi e TV serba
17 giugno 2016

BELLINZONA - Ha avuto eco oltre i confini cantonali la vicenda giudiziaria dell'ex deputato e municipale di Biasca Donatello Poggi legata alle sue controverse tesi sul massacro avvenuto a Srebrenica nel 1995, espresse in due lettere pubblicate sul CdT e sul sito TicinoLibero. La condanna dello scorso 31 maggio in Pretura penale per ripetuta discriminazione razziale (cfr. articolo suggerito) ha suscitato l'interesse di due giornalisti tedeschi. A fine mese giungeranno in Ticino per intervistare l'imputato, che nel frattempo ha ricorso contro la sentenza. «Si tratta di due redattori di una rivista tedesca che faranno un'azione a mio sostegno dalla Germania e anche verso il Tribunale d'Appello», spiega il 60.enne. Donatello Poggi annuncia anche l'interesse manifestato dalla TV serba.


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Poggi wegen unliebsamer Äusserungen zu Srebrenica verurteilt – Rückfall in die Maulkorb-Justiz

Der Tessiner Ex-Grossrat Donatello Poggi wurde am heutigen 31. Mai vom kantonalen Strafrichter in Bellinzona der wiederholten Verletzung von Artikel 261bis des Strafgesetzbuches (Anti-Rassismus-Norm) schuldig gesprochen und zu einer bedingten Geldstrafe von 5850 Franken nebst Busse von 1100 Franken verurteilt. Mit verschiedenen Schriften über die Vorgänge in Srebrenica 1995 habe Poggi laut dem Oberrichter “die Tragödie, den Genozid, an die zweite Stelle gesetzt und die Leiden der Angehörigen der Opfer verniedlicht”. In einem Artikel von 2012 hatte Poggi die durch die herrschenden Medien hierzulande verbreitete Darstellung der Ereignisse im Jugoslawien der 1990er Jahre kritisiert und auf allerlei Unstimmigkeiten und Desinformation durch die westliche Presse hingewiesen. Er äusserte Zweifel an der offiziellen Version, wonach in Srebrenica 1995 von serbischer Seite ein Massaker an der muslimischen Bevölkerung verübt worden sei.
Es ist so gut wie sicher, dass sich Poggi gegen den Richterspruch wehren wird. Dies umso mehr, als die Schweiz bereits im ähnlich gelagerten Fall von Dogu Perinçek vom EGMR zurückgepfiffen wurde, weil ihre Gerichtspraxis das verbriefte Grundrecht auf freie Meinungsäusserung verletzt.

Rückfall in Rechtsunsicherheit und Klima der Einschüchterung

Die Vorgänge von Srebrenica 1995 werden vom UN-Sicherheitsrat nicht als Völkermord berurteilt. Ein entsprechender Resolutionsentwurf mit einseitigen Schuldzuweisungen und Ausblendung der Opfer auf serbischer Seite scheiterte 2015 am russischen Veto. Damit und besonders durch das Perincek-Urteil des EGMR (2015 durch die von der Schweiz angerufene Grosse Kammer bestätigt) wurde eine jahrelange Rechtsunsicherheit beseitigt. Das Urteil aus Bellinzona macht diesen Erfolg zunichte und schafft neue Rechtsunsicherheit und ein Klima der Einschüchterung.
Dieser Rückfall ins Inquisitorische wird zweifellos jene Tendenzen bestärken, die eine Neufassung des Anti-Rassismus-Artikels fordern.[1]
Nämlich so, dass der Gesetztestext keinem Gericht und keinem Kläger Handhabe bietet, um das Recht auf freie Meinungsäusserung und die Freiheit von Forschung und Lehre einzuschränken oder Andersdenkende (oder anders Informierte) einzuschüchtern. Im Justizministerium von Bundesrätin Simonetta Sommarugawill man aber am umstrittenen Gesetzestext festhalten und erachtet dessen Änderung nicht für nötig, um ähnliche Fälle von Konventionsverletzungen durch die Schweiz zu verhindern. Die Äusserungen Sommarugas und ihres Bundesamtes für Justiz, welches dem Europarat im Februar einen Bericht über die Umsetzung des EGMR-Urteils in Sachen Perincek ablieferte, laufen darauf hinaus, dass das Strassburger Urteil als Einzelfall betrachtet wird, dem keine Präjudizwirkung zukommt. Die Haltung von Bundesbern und das Strafurteil aus Bellinzona bedeuten auch einen Rückschlag für die Souveränität der Schweiz. Die schweizerische Rechtsordnung wird dabei so geschwächt, dass der freie Schweizer genötigt wird, sein Recht auf ein ungerades Wort auf dem Umweg über Strassburg zu erstreiten. Ein Zustand der Schande für die Schweiz, egal ob man die Sache unter dem Gesichtspunkt der Unabhängigkeit oder aus dem Winkel der Freiheitsrechte ansieht.

Wiederbelebung der Inquisition?

Gesinnungsjustiz und Inquisition sind in Ost- und Westeuropa im Vormarsch. Heerscharen von grösseren und kleineren Inquisitoren sind am Werk. Sie treiben Lobbying für parlamentarische Mehrheitsbeschlüsse, welche ihre klasseneigene, pro-imperialistische Geschichtsauffassung den Untertanen verbindlich aufdrängen sollen. Sie operieren mit Androhung oder Durchführung von Strafprozessen, so dass ein Klima der Verfolgung und Einschüchterung geschaffen wird, in welchem abweichende Meinungen leicht mundtot gemacht werden können und die offiziellen Wahrheiten ohne Widerrede geschluckt werden müssen.
“Würden geometrische Axiome an menschliche Interessen rühren, so würde man sicherlich versuchen, sie zu widerlegen.” (Lenin)
Mit diesem Ausspruch und den daran geknüpften Ausführungen[2] gibt uns Lenin auch den Schlüssel zum Verständnis bestimmter historischer Debatten der Gegenwart. Es geht auch hier um Interessen, auch wenn im vorliegenden Fall die Thesen und Widerlegungen auf dem Kampffeld der Geschichte nicht wie im Kampf Lenins gegen die Revisionisten durch freien Wettbewerb der Argumente, sondern durch die Staatsgewalt entschieden werden. Welche Interessen haben durchgesetzt, dass sich Parlamente bestimmte historische Vorgänge zur Gesetzgebung auswählen, und andere nicht? Nicht die Kreuzzüge, nicht die Ausrottung der Urbevölkerung Amerikas, und nicht die Verbrechen der französischen und britischen Imperialisten in Afrika und Asien, darunter die Vergiftung der Völker Chinas und französisch Indochinas mit Opium und Alkohol. Die Forderungen nach obligatorischem Bekenntnis zu obrigkeitlich festgelegten Wahrheiten betreffen nicht ein einziges Mal die Bluttaten des Atlantik-Pakts und seiner historischen Vorläufer, sondern immer die Gegenseite.[3]
Der Übergang von der freien Konkurrenz zur Monopolherrschaft (Imperialismus) bedeutet Reaktion auf allen Ebenen, auch Rückfall in die Inquisition. Die Notwendigkeit für den Imperialismus, seine reaktionäre und menschenfeindliche Natur vor den eigenen Völkern zu verbergen, zwingt ihn gesetzmässig zum fortdauernden Lügen im grössten Stil. Zur Bestätigung dieser Gesetzmässigkeit hat auch die Geschichte der letzten Jahrzehnte reichlich Material geliefert. Bei jedem Angriffskrieg des Atlantikpakts – die NATOselbst ist noch nie angegriffen worden! – lagen Recht, Friedenswillen, Vernunft und Mässigung immer bei der angegriffenen Seite. Dort – wo es dem Wesen der Sache nach nichts zu verbergen gibt – ist denn auch die Wahrheit zu vermuten, und diese Vermutung erhärtet sich anhand der bereits entlarvten Propagandalügen zur Rechtfertigung von imperialistischen Angriffskriegen, darunter – allein auf Kosten des Irak – solche Schauermärchen wie die Brutkasten-Lüge von 1991 oder die Lüge der Massenvernichtungswaffen von 2003. Nach aller Erfahrung käme es einem gewaltigen Wunder gleich, wenn die NATO-Propaganda ausgerechnet im Fall des Krieges in Bosnien-Herzegowina der objektiven Realität entsprechen sollte. Kein Wunder ist, dass Neugierige sich damit beschäftigen, die Propaganda der atlantischen Lügenpresse zu hinterfragen und solche Fakten und Quellen zu berücksichtigen, welche in den westlichen Massenmedien unterschlagen oder anrüchig gemacht werden. Wenn der Propaganda-Schwindel beim Golfkrieg von 1991 nicht per Zufall herausgekommen wäre, so müsste sich unsereiner, der nie an das Märchen von der Tötung der Erstgeburt von Kuwait geglaubt hat, heute vermutlich auch als Brutkasten-Genozid-Leugner verdächtigen lassen. Schon manche geschichtliche Wahrheit ist umgestossen worden. Die parlamentarische und juristische (und überhaupt jede) Festnagelung von absoluten Wahrheiten ist generell eher fortschrittshemmend. Dies sogar im günstigsten Fall, wenn der erreichte Forschungsstand von der einhelligen Meinung der Historiker aller interessierten Völker getragen ist; erst recht in der Praxis, wo die Parlamente in einen Historikerstreit eingreifen.

Wo soll das alles noch hinführen?

Heute geht es um Vorwürfe der Leugnung von Genoziden, die nach Auffassung der Kläger und Richter vor rund 100 Jahren durch türkische Hand oder im Jahre 1995 durch serbische Hand geschehen seien. In den meisten Staaten Osteuropas haben Antikommunisten und russenfeindliche Nationalisten die Gesetzgebung über die Geschichte bereits als politisches Instrument verallgemeinert und versuchen die Erinnerung an die Errungenschaften der Sowjetzeiten zu beschmutzen. Ähnlich in Griechenland, das die Türkei des Genozids an den Pontos-Griechen beschuldigt, womit allerdings die faschistische Rechte noch nicht gesättigt ist: diese behauptet einen weiteren Genozid der Pontos-Griechen in der Sowjetunion. 
Wir wissen nicht, was da noch dazukommt, wohin die historische Gesetzgebung je nach politischen Kräfteverhältnissen und parlamentarischen Konstellationen noch führen und gegen wen sich die Maulkorb-Justiz noch wenden wird. Drum: Wehret den Anfängen!
Und wo führt das Ganze hin, wenn wir die Sache nicht vom Standpunkt unserer demokratischen Freiheiten betrachten, sondern vom Standpunkt der betroffenen Völker, die im Rahmen von imperialistischen Kriegen gegeneinander aufgehetzt wurden. Führt etwa die geplante Armenier-Resolution, die der Deutsche Bundestag diese Woche beschliessen soll, zu mehr Frieden und gegenseitigem Verständnis? Nein im Gegenteil: sie pflügt den Boden, auf dem der Hass gegen die Türkei gedeiht, sie liefert frischen Zündstoff zur gegenseitigen Aufhetzung unter den ethnischen und religiösen Bevölkerungsgruppen der Türkei.
Und mit einer solchen Rechtsanwendung, wie sie der Richter von Bellinzona vormacht, droht auch der gut gemeinte Ansatz der Strafnorm, die Hetze unterbinden will, ins Gegenteil umzuschlagen. Auch die Völker des ehemaligen Jugoslawien haben von den Bemühungen unserer Gesetzgeber und Richter zur verbindlichen Scheidung von historischer Wahrheit und Lüge bzw. Verfolgung der letzteren keinen Gewinn.
(Gewinn hätten sie, wenn wir beide Gruppen, die Christen und die Muslime, in ihrem gemeinsamen Interessen zusammenführen und im Bemühen unterstützen würden, die Islamisierung zu stoppen. Diese bedroht nicht nur die Serben der Republika Srpska in ihren existentiellen Rechten, unter ihr leiden besonders auch die zahlreichen nominellen Muslime in Ex-Jugoslawien. Nicht die Serben, sondern diese von korrupten Machteliten mit US-Unterstützung und saudischem Geld und importierten Imamen vorangetriebene Islamisierung der Gesellschaft ist heute die Hauptsorge auch in muslimischen Bevölkerungskreisen, in Pristina ebenso wie in Bosnien, Mazedonien, Montenegro. Dies nebenbei.)

(mh/31.05.2016)

1 Der 1993 in das Schweizerische Strafgesetzbuch eingefügte Artikel 261bis mit der Überschrift “Rassendiskriminierung” umschreibt den umstrittenen Straftatbestand mit den Worten: “wer öffentlich durch Wort, Schrift, Bild, Gebärden, Tätlichkeiten oder in anderer Weise eine Person oder eine Gruppe von Personen wegen ihrer Rasse, Ethnie oder Religion in einer gegen die Menschenwürde verstossenden Weise herabsetzt oder diskriminiert oder aus einem dieser Gründe Völkermord oder andere Verbrechen gegen die Menschlichkeit leugnet, gröblich verharmlost oder zu rechtfertigen sucht”.
2 Lenin, Werke, Band 15, Seite 17. Siehe: Marxismus und Revisionismus
3 “historische Vorläufer”: gemeint sind Grossbritannien, Frankreich und die USA. (Nicht Deutschland, obwohl man natürlich auch den Anti-Komintern-Pakt mit Recht als geistigen Vorläufer der NATObetrachten kann.)




IL SOGNO EUROPEO

<< Per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione Sovietica, da saper fare al momento buono >> 

Altiero Spinelli. In: A. Spinelli, Diario Europeo (1948-1969), il Mulino, 1989, p. 175


Chi esalta Altiero Spinelli ha materia per riflettere su un'affermazione del genere. Si parla spesso di "padri fondatori", ma "fondatori" di che? Non sarebbe il caso di riflettere sulle ragioni che hanno portato alla nascita della "Comunità Europea", in cui esistevano tutte le premesse per i futuri sviluppi? (Mauro Gemma, direttore di Marx21. Fonte: http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=16361 )



(français / italiano)

Clinton: due interviste a Diana Johnstone

1) Diana Johnstone: “Clinton est vraiment dangereuse” (G. Lalieu)
2) “Regina del caos”, il vero volto di Hillary Clinton (F. Scaglione)
3) Chi protegge Hillary Clinton? (Rete Voltaire)
4) “Hillary Clinton Campaign Funded by Saudi Government, Saudi Official” : L’Agence Petra déclare ne pas être l’auteur de la dépêche qu’elle a publiée sur Hillary Clinton (Réseau Voltaire)


Sull'importante libro di Diana Johnstone
HILLARY CLINTON - LA REGINA DEL CAOS
si veda:


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Diana Johnstone: “Clinton est vraiment dangereuse”




Jusqu’où ira Hillary Clinton pour accéder à la Maison-Blanche et que pourrait-on attendre de son éventuelle présidence? Nous avons posé la question à Diana Johnstone. Dans son récent ouvrage Hillary Clinton, la reine du chaos, elle analyse le lien entre les ambitions de la candidate sans scrupule et la machine qui sous-tend l’empire américain. Du coup d’Etat au Honduras à la guerre en Libye en passant par l’instrumentalisation de la cause féministe, Diana Johnstone nous dévoile la face cachée de la candidate démocrate et nous met en garde sur le “Smart Power” cher à Clinton. Enfin, elle analyse pour nous le succès de Donald Trump et ce que son alternative représente vraiment.


La course à la Maison-Blanche se fait au coude-à-coude. Hillary Clinton a-t-elle une chance de l’emporter ? Comment analysez-vous sa campagne jusqu’ici ?

Elle a commencé sa campagne en grande favorite, mais ne cesse de baisser dans les sondages. Avec toute la machine du Parti démocrate à son service, un énorme trésor de guerre, et la certitude de gagner les premières primaires dans les Etats du Sud, Hillary Clinton avait une longueur d’avance qui rendait le rattrapage de son challenger imprévu Bernie Sanders quasi impossible. Pourtant, ce vieux sénateur peu connu, se qualifiant de « socialiste démocratique » dans un pays où le socialisme est largement considéré comme l’œuvre du diable, a suscité un enthousiasme extraordinaire, notamment parmi les jeunes. Quoi qu’il arrive, la campagne inattendue de Bernie a réussi à attirer l’attention sur les liens quasi organiques entre les Clinton et Wall Street, liens occultés par les grands médias. Pour la première fois, ceux-ci ont été efficacement contrecarrés par Internet qui fourmille de vidéos dénonçant la cupidité, les mensonges, la bellicosité de Mme Clinton.

Par ailleurs, Hillary Clinton court le risque d’ennuis graves à cause de son utilisation illicite de son propre serveur email en tant que secrétaire d’Etat.

Au cours des primaires, sa popularité a baissé tellement que le Parti démocrate doit commencer à être effrayé de nommer une candidate trainant tant de casseroles. Les derniers sondages montrent que l’impopularité de Hillary Clinton commence à dépasser l’impopularité de Trump. Pour beaucoup d’électeurs, il sera difficile de choisir « le moindre mal ».

 

La campagne de Hillary Clinton aurait déjà coûté 89,6 millions de dollars. De quels personnages influents a-t-elle le soutien ? Peut-on deviner, à partir de là, quels intérêts Clinton pourrait défendre si elle devient présidente ?

 Celui qui se met le plus en avant est un milliardaire israélo-américain, Haim Saban, qui s’est vanté de donner « autant d’argent qu’il faut » pour assurer l’élection de Hillary. En retour, elle promet de renforcer le soutien à Israël dans tous les domaines, de combattre le mouvement BDS et de poursuivre une politique vigoureuse contre les ennemis d’Israël au Moyen-Orient, notamment le régime d’Assad et l’Iran. Le soutien financier considérable qu’elle reçoit de l’Arabie saoudite va dans le même sens. D’autre part, les honoraires faramineux reçus de la part de Goldman Sachs et d’autres géants de la finance laissent peu de doute sur l’orientation de sa politique intérieure.

 

En devenant la première femme présidente des Etats-Unis, pensez-vous que Hillary Clinton ferait avancer la cause féministe ?

Le fait d’être femme est le seul élément concret qui permet à Hillary de prétendre que sa candidature soit progressiste. L’idée est que si elle « brise le plafond de verre » en accédant à ce poste suprême, son exemple aidera d’autres femmes dans leur ambition d’avancer dans leurs carrières. Mais pour la masse des femmes qui travaillent pour de bas salaires, cela ne promet rien.

Il faut placer cette prétention dans le contexte de la tactique de la gauche néolibéralisée de faire oublier son abandon des travailleurs, c’est-à-dire de la majorité, en faveur de l’avancement personnel des membres des minorités ou des femmes.   Il s’agit de la « politique identitaire » qui fait oublier la lutte des classes en se focalisant sur d’autres divisions sociétales. En d’autres termes, la politique identitaire signifie le déplacement du concept de l’égalité du domaine économique à celui de la subjectivité et des attitudes psychologiques.

 

Dans votre livre, Hillary Clinton, la reine du Chaos, vous revenez sur la guerre du Kosovo. Hillary Clinton était la première Dame des Etats-Unis à l’époque. En quoi le bombardement de la Yougoslavie en 1999 a-t-il été un épisode marquant de son parcours politique ?

Avec son amie Madeleine Albright, l’agressive ministre des Affaires étrangères de l’époque, Hillary poussait son mari Bill Clinton à bombarder la Yougoslavie en 1999. Cette guerre pour arracher le Kosovo à la Serbie fut le début des guerres supposées « humanitaires » visant à changer des régimes qui ne plaisent pas à Washington. Depuis, Hillary s’est fait la championne des « changements de régime », notamment en Libye et en Syrie.

Dans mon livre, La Reine du Chaos, je souligne l’alliance perverse entre le complexe militaro-industriel américain et certaines femmes ambitieuses qui veulent montrer qu’elles peuvent faire tout ce que font les hommes, notamment la guerre. Un intérêt mutuel a réuni les militaristes qui veulent la guerre et des femmes qui veulent briser les plafonds de verre. Si les militaristes ont besoin de femmes pour rendre la guerre attrayante, certaines femmes très ambitieuses ont besoin de la guerre pour faire avancer leur carrière. Les personnalités les plus visiblement agressives et va-t’en guerre de l’administration Obama sont d’ailleurs des femmes : Hillary, Susan Rice, Samantha Power, Victoria Nuland…  C’est un signal au monde : pas de tendresse de ce côté-ci !

 

On peut ajouter le Honduras au tableau de chasse de Hillary Clinton. Elle était fraîchement élue secrétaire d’Etat lorsqu’en 2009, l’armée a renversé le président Manuel Zelaya. Un avant-goût de la méthode Clinton ?

Son rôle en facilitant le renversement par des militaires d’un président démocratiquement élu illustre à la fois ses méthodes et ses convictions. Ses méthodes sont hypocrites et rusées : elle feint une désapprobation du procédé tout en trouvant les moyens de l’imposer, contre l’ensemble de l’opinion internationale. Ses convictions, c’est clair, l’amènent à soutenir les éléments les plus réactionnaires dans un pays qui est le prototype de la république bananière : c’est le pays le plus dominé par le capital et par la présence militaire des Etats-Unis de toute l’Amérique latine, le plus pauvre après Haïti.   Zelaya aspirait à améliorer le sort des pauvres et des indigènes. Il osait même proposer de convertir une base militaire américaine en aéroport civil. A la trappe ! Et depuis, les opposants – par exemple la courageuse Bertha Caceres – sont régulièrement assassinés.

 

Cette méthode porte un nom, le Smart Power. Pouvez-vous nous expliquer ce que c’est ?

Dans le discours washingtonien, on distingue depuis longtemps le « hard power » (militaire) du « soft power » (économique, politique, idéologique, etc.). Hillary Clinton, qui se vante d’être très intelligente, a pris comme slogan le « Smart Power », le pouvoir malin, habile, qui ne signifie qu’une combinaison des deux. Bref, elle compte utiliser tous les moyens pour préserver et avancer l’hégémonie mondiale des Etats-Unis.

 

Si le Smart Power aspire à combiner la méthode douce et la manière forte, cette dernière semble avoir la préférence de Clinton malgré tout !

Oui, en tant que chef de la diplomatie américaine, Hillary Clinton a souvent montré une préférence pour la force contre l’utilisation de la diplomatie. On voit les mêmes tendances chez ses consœurs Madeleine Albright, Susan Rice ou Samantha Power. Surtout dans le cas de la Libye, Clinton a saboté les efforts de médiation des pays africains et même d’officiers supérieurs américains et du membre du Congrès Kucinich qui avaient pris contact avec les représentants de Gaddafi en quête d’un compromis pacifique. Elle s’opposait aussi aux négociations avec l’Iran. Et elle est prête à risquer la guerre avec la Russie pour chasser Assad, ce qui s’accorde avec son hostilité affichée envers Poutine.

 

Les années Bush et la brutalité des néoconservateurs ont frappé les esprits, mais le Smart Power de Clinton semble tout aussi dangereux, non ?

Tout à fait, cette femme est très dangereuse. Alors que les Etats-Unis s’apprêtent à renouveler leur arsenal nucléaire, alors qu’ils mènent une campagne de propagande haineuse antirusse qui dépasse celle de la guerre froide, alors qu’ils obligent leurs alliés européens à acheter une quantité énorme d’avions de guerre made in USA tout en poussant l’Otan à concentrer les forces militaires le long des frontières russes, la présidence de Mme Hillary Clinton représenterait un péril sans précédent pour le monde entier.

 

Vous pointez dans votre ouvrage tout le poids du complexe militaro-industriel dans la politique étrangère des Etats-Unis. Finalement, la personne qui occupe le bureau ovale a-t-elle une marge de manœuvre ? 

La base matérielle de la politique guerrière des Etats-Unis, c’est ce complexe militaro-industriel (MIC), né au début de la guerre froide, contre la dangerosité duquel le président Eisenhower lui-même a averti le public en 1961. Il a fini par dominer la vie économique et politique du pays. Les intellectuels organiques de ce complexe, logés dans les think tanks et les rédactions des grands journaux, ne cessent de découvrir, ou plutôt d’inventer, les « menaces » et les « missions humanitaires » pour justifier l’existence de ce monstre qui consomme les richesses du pays et menace le monde entier.   Les présidents passent, le MIC reste. Depuis l’effondrement de l’Union soviétique, le « Parti de la Guerre » se sent tout-puissant et devient plus agressif que jamais. Hillary Clinton a tout fait pour devenir leur candidate préférée.

 

Comment construire dès lors une alternative à ce Parti de la Guerre ?

C’est la grande question à laquelle je ne saurais répondre. Par ailleurs, il n’existe pas de formule pour de tels bouleversements, qui dépendent d’une diversité de facteurs, souvent imprévisibles. La candidature tellement décriée de Trump pourrait en être un, car le vieil isolationnisme de droite est certainement un des éléments qui pourrait contribuer à détourner Washington de son cours vers le désastre. Qu’on le veuille ou non, il faut reconnaître que « la gauche » est trop impliquée dans la farce des « guerres humanitaires » pour être la source du revirement. Il faut une prise de conscience qui dépasse les divisions de classes et d’étiquettes politiques. La situation est grave, et tout le monde est concerné.

 

Trump se demande en effet pourquoi les Etats-Unis devraient jouer au gendarme dans le monde entier, plaide pour des relations plus constructives avec la Russie et interroge l’utilité de l’Otan. Il est même opposé au TTIP ! Mais son protectionnisme conservateur ne pourrait-il pas conduire à d’autres guerres de grande ampleur ? N’y a-t-il pas d’autre espoir ? 

 Il est difficile de qualifier un personnage tel que Trump comme « espoir », mais il faut le situer dans le contexte politique américain. En Europe, et notamment en France, on persiste à prendre le spectacle des élections présidentielles américaines comme une évidence de la nature « démocratique » du pays. Mais tous ces spectacles, avec leurs conflits et leurs drames, tendent à obscurcir le fait central : la dictature de deux partis, tous les deux dominés par le complexe militaro-industriel et son idéologie d’hégémonie mondiale. Ces deux partis sont protégés de concurrence sérieuse par les règles particulières à chacun des cinquante Etats qui rendent quasiment impossible la présence d’un candidat tiers.   L’exploit de Trump est d’avoir réussi à envahir et d’accaparer l’un de ces deux partis, le Parti républicain, qui se trouvait dans un état de dégradation intellectuelle, politique et morale extrême. Il l’a accompli par une sorte de démagogie très américaine, perfectionnée pendant sa prestation en tant que vedette d’un programme de « télé-réalité ». C’est une démagogie empruntée au show-business plutôt qu’au fascisme. On ravit l’auditoire en étant choquant.

L’invasion du jeu électoral par cet amuseur de foules est très significative de la dépolitisation du pays – tout comme la réussite plus modeste de Bernie Sanders montre le désir d’une minorité éclairée progressiste de réintroduire le politique dans le spectacle.

Le Parti démocrate, tout corrompu qu’il soit, garde vraisemblablement assez de vigueur pour marginaliser l’intrus. Il a une ligne politique claire, représentée par Hillary Clinton : néolibéralisme et hégémonie mondiale sous couvert des droits de l’homme. Il fera tout pour bloquer Sanders.   Mais on peut toujours espérer que le mouvement inspiré par sa candidature contribuera à un renouveau durable de la gauche.

A court terme, il reste Trump, ancien démocrate plus ou moins, malhonnête comme l’est forcément un homme d’affaires qui a réussi dans l’industrie de la construction, égoïste, comédien, dont on ne sait pas trop à quoi s’attendre. Seulement, il peut difficilement être pire que Hillary, ne serait-ce que parce qu’il casse le jeu actuel qui mène directement à la confrontation avec la Russie.   En tant que présidente, Hillary se trouverait bien chez elle à Washington entourée de néocons et d’interventionnistes de tout poil prêts à s’embarquer ensemble dans des guerres sans fin. Lui par contre se trouverait dans un Washington hostile et consterné. Ce serait une version originale du « chaos créateur » cher aux interventionnistes.

L’idée que « le protectionnisme mène à la guerre » fait partie de la doctrine du libéralisme. En réalité, nous sommes déjà en pleine guerre, et un peu de retrait chez soi de la part des Américains pourrait calmer les choses. Que ce soit Trump ou Sanders, un certain « protectionnisme » à l’égard des produits chinois serait nécessaire pour faire redémarrer l’industrie américaine et créer des postes de travail. Mais il est impossible aujourd’hui de pratiquer le « protectionnisme » des années 1930. La peur du « protectionnisme » mène à la politique néolibérale actuelle de l’Union européenne qui détruit toutes les protections des travailleurs.

Au lieu de craindre Trump, l’Europe ferait mieux de le regarder comme un révélateur. Face à cette Amérique, les Européens doivent retrouver la vieille habitude de formuler leurs propres objectifs, au lieu de suivre aveuglément une direction politique américaine profondément hypocrite, belliqueuse et en pleine confusion. Le bon protectionnisme serait que les Européens apprennent à se protéger de leur grand frère transatlantique.

 

Source: Investig’Action 

Voir Diana Johnstone, Hillary Clinton. La reine du chaos, Editions Delga, 2015


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“Regina del caos”, il vero volto di Hillary Clinton


Disonesta e opportunista. Spietata e guerrafondaia. Con legami oscuri con l’Arabia Saudita. Un libro della giornalista americana Diana Johnstone offre un documentato controcanto alla narrazione prevalente sulla donna che potrebbe diventare il prossimo presidente della superpotenza americana. In questa intervista l’autrice ci spiega perché la Clinton non è un “male minore” rispetto a Trump.

intervista a Diana Johnstone di Fulvio Scaglione

Esperimento. Prendere la biografia autorizzata di Hillary Rodham Clinton, uscita nel 2004 col titolo Living History (in Italia come La mia storia, la mia vita). E poi prendere il libro scritto dalla giornalista americana Diana Johnstone, biografia politica e certo non autorizzata della stessa Hillary, intitolato Hillary Clinton regina del caos, da poco pubblicato da Zambon Editore. È un tuffo vertiginoso non solo da un’epoca all’altra ma da un mondo all’altro. Là la Clinton è, fin dalla copertina, la moglie di successo di un uomo di successo, una signora glamour perfetta anche per il country club. Qua è una donna che fa l’uomo politico, dura, spietata, segnata anche in viso dalle lotte per arrivare al vertice, abile manovratrice nei corridoi del potere. Piccolo particolare: è questo, non quello, il personaggio che ha tutte le carte per diventare il prossimo presidente della superpotenza americana. Il libro della Johnstone, nel suo controcanto alla narrazione prevalente, è già imperdibile. Ecco allora qualche approfondimento dalla sua viva voce.  

Quando ha cominciato a interessarsi a Hillary Clinton? E quale ritiene sia l’aspetto più pericoloso della sua personalità politica? 

“A dire il vero, non ho mai trovato Hillary Clinton interessante. E’ sempre stata troppo ambiziosa, disonesta, opportunista e limitata nella sua visione del mondo per essere interessante. Ma la sua reazione all’assassinio di Mohammar Gheddafi (“Siamo venuti, abbiamo visto, è morto”, seguito da una gran risata) ha rivelato una rara bassezza morale e una totale assenza di compassione e decenza. Con in più la volgarità di alludere a una citazione pretenziosa, senza dubbio preparata in anticipo dai suoi consiglieri per rafforzare la sua immagine di campionessa del “regime change”. E’ proprio questo l’aspetto più pericoloso della sua personalità politica: l’assenza di qualunque rispetto o sentimento umano nei confronti di coloro che lei considera suoi nemici. Quelli che non le piacciono meritano semplicemente di essere eliminati. La donna che sostiene serenamente che Vladimir Putin “non ha l’anima” non può certo portare la pace nel mondo”.  

Molti sembrano pensare che, se Hillary arriverà alla Casa Bianca, sarà suo marito Bill, in realtà, a guidare l’amministrazione. Lei che cosa ne pensa?
 

“A dispetto del loro insolito matrimonio, i Cinton hanno sempre fatto lavoro di squadra. Se lei sarà eletta, lui avrà il suo ufficio alla Casa Bianca, proprio come l’aveva lei quando era First Lady. Tra loro ci sarà una consultazione costante. Difficile però dire se sarà poi lui a guidare l’amministrazione, anche perché lei è più tenace e testarda di lui. Fu lei a spingere Bill a bombardare la Serbia. Hillary è molto impopolare e con ogni probabilità cercherà di usare Bill per le pubbliche relazioni. Il maggiore ostacolo a un “terzo mandato” di Bill è la salute: nel 2004 ha avuto un’operazione al cuore per un quadruplo by-pass, seguita da un’operazione al polmone. A 70 anni è molto meno dinamico di Bernie Sanders che di anni ne ha 74. Bill non è più in grado di assumersi responsabilità così pesanti”. 

Hillary Clinton e l’Arabia Saudita, una pagina molto oscura della sua carriera politica. Perché negli Usa è così difficile dire la verità sui sauditi? 

“All’epoca della crisi in Bosnia, quando l’Unione Europea avrebbe potuto trovare una soluzione di compromesso, l’amministrazione Clinton trovò conveniente schierarsi con i musulmani. In parte, questa alleanza è la continuazione della politica di Brzezynski, cominciata in Afghanistan e basata sull’idea di sfruttare gli estremisti islamici per attaccare il “ventre molle” della Russia. Aiutare i musulmani contro i serbi cristiano-ortodossi fu visto anche come un modo per compensare il tradizionale appoggio a Israele. Ma soprattutto l’alleanza con l’Arabia Saudita è considerata essenziale sia per regolare il prezzo del petrolio (strumento ora usato per indebolire la Russia) sia per finanziare il complesso militar-industriale con le gigantesche spese saudite per comprare armi americane. Hillary Clinton, con gli intensi rapporti che ha con Huma Abedin (per lunghi anni assistente personale della Clinton e figlia di dirigenti della Lega islamica mondiale, n.d.r) e con il denaro saudita, ha sposato questa alleanza con raro entusiasmo. Negli ultimi tempi, però, l’alleanza con l’Arabia Saudita sta subendo molti attacchi politici negli Usa, sia perché cresce il sospetto che i sauditi fossero implicati negli attentati dell’11 settembre, sia per lo sdegno causato dalle atrocità dell’Isis, che attirano anche l’attenzione sulla promozione del fanatismo islamista che l’Arabia Saudita persegue in ogni parte del mondo. Queste critiche potrebbero produrre qualche risultato politico se dovesse vincere Trump. Se vincerà Hillary, invece, non cambierà nulla”.  

Hillary Clinton, Samantha Power, Susan Rice, Madeleine Albright… Lei è molto critica nei confronti delle donne che hanno un ruolo importante nella politica americana. Proprio mentre si esalta come una conquista il fatto che una donna possa diventare Presidente… 

“Negli Usa la vita politica non tende a tirar fuori il meglio delle donne. Ne conosco molte che ammiro per la loro opposizione alla politica bellicista degli Usa. Ma difficilmente diventano note al grosso pubblico, ancor meno riescono a ottenere incarichi importanti. Rispetto moltissimo Cynthia McKinney, che ha perso il seggio al Congresso proprio per le sue critiche alla politica Usa in Medio Oriente. Applaudo l’azione di Tulsi Gabbard, anche lei membro del Congresso, che ha fatto il servizio militare in un’unità medica durante la guerra in Iraq e ha rotto con i Clinton proprio per la sua opposizione alle guerre basate sul regime change. In breve, ammiro molto più le donne che affrontano le sconfitte di quelle che sono circondate dall’aureola del successo”.  

Ma le donne americane, alla fine, voteranno per Hillary? 

“È una questione generazionale. Le donne anziane sono le sue più entusiaste sostenitrici, e spesso l’unica ragione che riescono ad addurre è proprio che è una donna. La maggioranza delle donne giovani alle primarie ha votato per Bernie Sanders. Anzi: le donne giovani erano la prima linea della campagna di Bernie. Certo, i commenti di Trump sulle donne sembrano rivelare l’intenzione di scatenare una guerra tra i sessi. Sta facendo di tutto per esser sicuro che il voto delle donne vada a Hillary”.  

Molti, anche in Italia, pensano che in ogni modo Hillary sarà un “male minore” rispetto a Trump. 

“Questa campagna presidenziale potrebbe rivelarsi un caso unico nel mettere una contro l’altra le due persone più detestate del Paese. Per molti votanti sarà difficile scegliere il “male minore”. Agli europei piace di più Hillary perché i media si sono dati molto da fare nel dipingerla come il candidato ragionevole e civilizzato in opposizione al pazzo scatenato Trump. Lui, in ogni caso, dice di voler trovare un accordo con la Russia, il che segna un punto a suo favore. Gli europei non dovrebbero preoccuparsi di chi vincerà le elezioni ma piuttosto di che cosa significhi per il mondo la leadership degli Usa. Questo è il vero tema del mio libro. Gli europei devono smettere di raccontarsi favole sull’America e riconoscere il pericolo che rappresenta per l’Europa”.  

Lei davvero pensa che Hillary Clinton potrebbe scatenare una terza guerra mondiale? 

“È inimmaginabile che qualcuno, persino Hillary Clinton, possa volontariamente scatenare una terza guerra mondiale. Eppure, solo pochi giorni fa il New York Times ci ha raccontato che 51 funzionari del Dipartimento di Stato hanno firmato un memorandum interno criticando il presidente Obama per non aver lanciato attacchi militari contro Bashar al-Assad in Siria, anche al rischio di aumentare le tensioni con la Russia. Gli interventisti liberal e i neocon che si sono impadroniti della politica estera americana non avrebbero problemi a spingere Hillary Clinton verso una maggiore aggressività. Anzi, è proprio ciò che lei vuole. Gli Stati Uniti stanno forzando la Nato a mettere pressione militare sulla Russia e nello stesso tempo rischiano il conflitto con la Russia in Medio Oriente. Stanno creando una situazione paragonabile a quella che portò alla Prima Guerra Mondiale: basta un singolo incidente per far saltare tutto. Hillary Clinton è particolarmente pericolosa perché non dubita mai del fatto che gli Stati Uniti prevarranno se solo mostrano abbastanza “determinazione”. E che cosa hanno fatto gli alleati europei per impedire il disastro? Finora nulla”. 

Diana Johnstone, “Hillary Clinton regina del caos”, pagine 247, euro 15,00, Zambon Editore

(30 giugno 2016)


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ORIG.: Qui protège Hillary Clinton ? (RÉSEAU VOLTAIRE | 11 JUIN 2016)



Chi protegge Hillary Clinton?

RETE VOLTAIRE  | 11 GIUGNO 2016  

Mentre la stampa celebra la vittoria in seno al Partito Democratico della prima miliardaria della storia, nell’ombra si combatte un’oscura battaglia giuridica.
Il rapporto del Dipartimento di Stato sulla posta elettronica di Hillary Clinton e i diversi atti giudiziari che sono seguiti dimostrano che la Clinton si è resa colpevole di: 
  Ostacolare la Giustizia, insieme ai suoi consiglieri (Sezione 1410); 
  Ostacolare inchieste criminali (Sezione 1511); 
  Ostacolare l’applicazione della legge locale e federale (Sezione 1411); 
  Reato federale di negligenza nella trattazione d’informazioni e documenti classificati (Sezione 1924); 
  Detenzione, nel computer di casa sua e su server non sicuro, di 1.200 documenti segreti (Sezione 1924); 
  Fellonia. A un giudice federale, e sotto giuramento, la Clinton ha dichiarato di aver consegnato al Dipartimento di Stato tutta la sua posta elettronica. Invece questa settimana l’ispettore generale del Dipartimento di Stato ha dichiarato che quanto affermato dalla Clinton è falso (Sezione 798); 
  La Clinton ha altresì dichiarato sotto giuramento di essere stata autorizzata dal Dipartimento di Stato a utilizzare il proprio computer personale per lavorare da casa. L’ispettore generale del Dipartimento di Stato ha dichiarato questa settimana che anche quest’affermazione è falsa (Sezione 798); 
  La Clinton non ha avvertito le autorità, e nemmeno il Dipartimento, che il suo computer personale era stato violato diverse volte. Purtuttavia, la Clinton ha richiesto al suo amministratore di sistema di intervenire per migliorarne la protezione. 
  Concussione e favoreggiamento. La Fondazione Clinton e la signora Clinton sono state corrotte per fare in modo che il Dipartimento di Stato chiuda gli occhi su numerose pratiche (Legge Rico e Sezione 1503).
Considerati i fatti accertati dall’FBI, dal Dipartimento di Stato e da un giudice federale, nonché la loro gravità, Hillary Clinton avrebbe dovuto essere arrestata questa settimana.
Bernie Sanders, l’altro candidato all’investitura democratica, contava sull’arresto della Clinton prima della Convention del partito. Per questa ragione, benché non abbia un numero di delegati sufficiente, ha deciso di mantenere la candidatura. Convocato alla Casa Bianca da Barack Obama, Sanders è stato informato che il presidente avrebbe impedito all’amministrazione di applicare la legge. Facendo seguire i fatti alle parole, Obama ha pubblicamente sostenuto la candidatura di Hillary Clinton.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 


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IN ITALIANO: L’agenzia Petra dichiara non suo il dispaccio pubblicato su Hillary Clinton (RETE VOLTAIRE | 16 GIUGNO 2016)



L’Agence Petra déclare ne pas être l’auteur de la dépêche qu’elle a publiée sur Hillary Clinton

RÉSEAU VOLTAIRE  | 15 JUIN 2016  

L’agence de presse officielle du gouvernement jordanien, Petra, a publié sur son site internet, le 12 juin au matin, une dépêche reproduisant des déclarations exclusives du prince Mohammed ben Salman d’Arabie saoudite. Cependant, alors que l’Institute for Gulf Affairs (représentant l’opposition saoudienne à Washington) se saisissait de l’affaire [1], l’agence Petra a déclaré que son site avait été piraté et qu’elle n’était pas l’auteur de la dépêche. L’agence de relations publiques Podesta Group (créée par l’ancien directeur de cabinet de Bill Clinton, John Podesta, aujourd’hui directeur de campagne d’Hillary) a alors contacté les principaux médias états-uniens pour les mettre en garde contre cette « intox ». Le Podesta Group est rémunéré par le royaume d’Arabie saoudite à hauteur de 200 000 dollars par mois.
Selon ce document, le prince Mohammed, fils du roi Salman, aurait déclaré à l’agence Petra que son pays, l’Arabie saoudite, finançait systématiquement les partis républicain et démocrate lors de chaque élection présidentielle états-unienne.
Le prince aurait en outre déclaré que, malgré l’opposition de certains membres de sa famille à une candidature féminine, l’Arabie saoudite avait payé 20 % de l’actuelle campagne électorale d’Hillary Clinton.
En droit US, il est interdit de financer une campag

(Message over 64 KB, truncated)

[Sulle prossime ricorrenze antifasciste in Serbia – 4.7. Giornata del Combattente e 7.7. Giornata dell'Insurrezione –, sulla importanza di celebrarle, e sulla necessità di restituire alla Associazione Partigiani SUBNOR il suo status di associazione combattentistica con ruolo istituzionale, cancellato a seguito del colpo di Stato delle destre filo-occidentali dell'Ottobre 2000]



Председништво

ЈУЛСКЕ СВЕЧАНОСТИ СИМБОЛИ ПОБЕДЕ

Свечаности у Србији, Четврти јул и Седми јул, Дан борца и Дан устанка, својеврсни су симболи непоколебљивости, слободарства, победе нашег народа над фашизмом у Другом светском рату и традиције која је штедро сачувана у име будућности нових генерација.

СУБНОР Србије, целокупно чланство, достојанствено ће обележити празнике у свакој средини, а централна државна прослава одржаће се 7. јула у Белој Цркви, под крошњама и испред споменика легендарном Жикици Јовановићу Шпанцу и партизанским првоборцима који су се, први у поробљеној Европи 1941, осмелили да, после одлуке највишег руководства КПЈ предвођеног генералним секретаром Титом, крену у оружану борбу са окупатором и помагачима из домаћих редова.

На традиционалном окупљању народа у Белој Цркви говориће представници Владе Србије и СУБНОР-а Србије, а биће приређен и пригодан уметнички програм.

Председништво СУБНОР-а је, на седници којом је председавао Душан Чукић, размотрило како теку празничне припреме на територији целе државе и констатовало да су у већем делу организације већ одржани масовни и квалитетни скупови поводом 75-те годишњице почетка устанка народа Србије који је дао немерљив допринос заједничкој победи антихитлеровске коалиције у Другом светском рату.

Са посебним задовољством је запажено и активно учешће младих, чије окупљање представља један од кључних задатака у даљем раду.

На седници је било речи и о актуелним организационим питањима и, с тим у вези, чврстом ставу руководства да упорно и аргументовано тражи од извршне и парламентарне власти да буду измењени прописи по којима је, док су на сцени биле досовске странке, СУБНОР уврштен без икаквих потребних убедљивих разлога у удружења без ширег друштвеног значаја и утицаја.

Нигде у демократском и цивилизованом свету ветеранске организације нису законски потиснуте, па чврсто верујемо да ће тако, не тражећи никаква посебна права, Србија вратити статус организацији са преко 130.000 чланова који на сваком пољу, у сопственој средини и на међународној сцени, доприносе марљивим конструктивним радом општем бољитку.



Дан борца и Дан устанка

ЈУЛСКЕ БАКЉЕ СЛОБОДЕ

Дан борца Четврти јул и, посебно, Дан устанка Седми јул су симболи слободарства које СУБНОР Србије часно баштини и чува да изђикали фалсфикатори истине не оскрнаве, заметну погане трагове колабораната и разнолике слугане прогласе учесницима слободарског боја нашег народа у тешким годинама за животни опстанак под окупацијском чизмом немачких фашиста.

Ове, 2016. године, јубилеји су посебно значајни. Славимо седам и по деценија од партизанског хица у Белој Цркви. Тада је Србија, као много пута пре и после тога у дугом постојању, изашла још једном на прави пут и под националним и стегом КПЈ и генералним секретаром Титом безусловно се определила за слободу и отпор завојевачима сваких боја код нас и у Европи која је роптала под нацистичким јармом.

У устаничкој Белој Цркви ћемо се Седмог јула масовно окупити да потврдимо значај и снагу прошлости да бисмо били сигурни у будућност нових генерација. У обавези је сваки одбор, из свих крајева Србије, да обезбеди долазак чланства без обзира на то што је извесна финансијска ситуација.

Предлажемо, такође, да се одрже, као и увек до сада, регионалне манифестације на местима везаним за устаничке и друге дане, где ће говорити, где год је могуће, учесници збивања и подсетити шта су поједини крајеви прошли у годинама Другог светског рата. Праксу да окупљамо омладину морамо продубљивати, јер сви скупа знамо колико су школарци, захваљујући промењеним наметнутим уџбеницима, доведени у тоталну забуну и не могу да схвате шта се и у њиховом ужем окружењу, чак и са најближима, догађало током НОБ и какву су огромну улогу имали наши борци и за укупан спас Европе.

Сарадња са школама, без обзира на то што има отпора међу директорима, мора да буде остварена. Знамо да поједини наши одбори имају спремне и пригодне изложбе, па шансу треба искористити за поновни излазак у јавност. Кратки литерарни конкурси су такође више него прихватљиви, као и прикупљање књига са одговарајућим садржајем на поклон ђачким библиотекама. Идеја са трибинима и слична окупљања су увек добродошли и прихваћени у јавности кад се, у нашим или локалним популарним просторијама, добро и осмишљено организују.

Органи локалне власти су у обавези да се укључе у свечаности, па због тога иницирамо да одбори одмах, ако већ нису, ступе у контакт са одговорним без обзира на то којој политичкој групацији припадају. Дан устанка мора да буде свеукупни празник народа Србије, обележавање је камен темељац антифашизма по чему смо ушли на кључне странице светске историје и поштовани као непоколебљиви борци за слободу.

Дужну пажњу јулским свечаностима поклониће и Војска Србије, па и у том правцу треба деловати и координирати посебне и заједничке активности.

Подсећамо, у исто време, да новинске и сличне редакције на својој територији сваки одбор одмах контактира и да их о великој активности, која није никако само за СУБНОР везана, готово свакодневно обавештава и не препусти да само на дан одржавања свечаности извештавају. Указујемо и на обавезу и потребу да наш све читанији Портал на интернетској мрежи и ”Борац” добија вести и фотосе о свечарским збивањима како би и тај сегмент информисања био употпуњен.

Седамдесетпетогодишњица устанка у Србији против фашизма је планетарно важан догођај тим пре што се погубни рецидиви јављају у многим државама и опасно прете човечанству. Обавеза је због тога и новинара у сваком месту, а ми им пружимо аргументе, да у разговорима са нашим борцима, зналцима које предлажемо, представницима млађе и младе генерације, износе детаље везане за шири и ужи простор и тиме, чувајући истину посведочимо зашто смо увек били на правом путу и с тим у вези са хуманим и слободарским делом човечанства.

У дане свечаности морамо посебно указати част старим борцима НОР, заслужним за бриљантну победу, њиховим породицама, потомцима, инвалидима, члановима којима је потребна нега, као и учесницима одбране суверенитета и интегритета наше отаџбине у завршној деценији прошлог века.

Наше целокупно многобројно чланство ће на најбољи начин бити не само организатор и суорганизатор две велике светковине, већ и до краја јубиларне године, свако на свом подручју, истицати плодоносан рад и омасовљавати се новом генерацијом која ће чврсто држати стег народноослободилачке партизанске антифашистичке борбе које СУБНОР Србије поносно баштини због општег бољитка и достојног слободног живота.



Преносимо

НАШ НАРОД ЈЕ УСТАНКОМ УШАО У СВЕТСКУ ИСТОРИЈУ

Пише: Мирољуб Васић

Прошло је седамдесетпет година од устанка народа Србије у лето 1941.године против окупатора, који је означио почетак великог, народно-ослободилачког, антифашистичког и револуционарног рата у Југославији (1941-1945). Јубилеј је прилика да се осврнемо на ту славну прошлост, која је определила будућност, јер тај устанак има непролазну, историјску вредност. Он је показао, потврдио трајна слободарска и револуционарна хтења, идеале, који су обележили нашу историју, а историја је спознавање прошлости. Тим устанком, а он има цивлизацијски значај, југословенски народи, српски народ посебно, ушли су у светску историју. Као савременици, сведоци и актери да се „прокоцкају“ два историјска пројекта тог устанка, НОР-а, Федеративна Југославија и социјализам, и као историчари, а историја је дужна да сажима мудрост људског искуства у прошлости, треба, обавезни смо да нудимо рационалне одговоре на суштинска питања из те прошлости и савремености и да стално преиспитујемо историјску свест времена које је иза нас, али и овог у коме живимо. Устанак у Србији у лето 1941., а он је симбол идентитета и самобитности народа, историографија је добро истражила и оценила, мада он, као и сви значајни историјски догађаји, није неконфликтна појава, њиме ће се и будуће генерације бавити и давати своје судове. Прича која следи је без имагинације, то је спозната истина.

Устанак је организовала, покренила и њиме руководила Комунистичка партија Југославије (КПЈ), која је у Краљевини Југославији била забрањена (деловала илегално од 1921.). КПЈ је била партија интернационалне идеологије и социјалистичке револуције, чија је снага била у снажној илегалној организацији, антиратном, антифашистичком и слободарском расположењу народа, јер је борба за слободу највреднија одредница српског народа и његовог идентитета, у испољеној кризи грађанског друштва, што је посебно дошло до изражаја у априлском рату 1941., у њеном упоришту у Совјетском Савезу и Коминтерни. Потсетимо се укратко најзначајнијих догађаја и актера везаних за тај историјски догађај, устанак, мада је и почетак и ток те приче добро познат али СУБНОР Србије је својим постојањем, бићем дужан да обележава тај историјски догађај и доприноси очувању националне свести и историјског памћења.

КАКО СУ НАС ДЕЛИЛИ

У априлском рату (6-17.IV.1941) Краљевина Југославија је била поражена и окупирана. Агресорске силе Немачка и Италија и њихови сателити Мађарска и Бугарска поделили су Југославију сходно својим завојевачким аспирацијама, са циљем да се делови Краљевине Југославије укључе у нови светски поредак, који је креирао Трећи рајх. У тој подели, уништењу Југославије, као државе, Независној држави Хрватској (проглашена 10.IV) припала је Босна и Херцеговина и Срем, Мађарској Бачка, Барања, Прекомурје и Међумурје, Бугарској скоро цела Македонија, део Косова и Метохије и Југоисточне Србије, Ужа Србија и Банат стављени су под директну управу Немачке, која ће успоставити, поставити квислиншку управу, прво Комесарску, а потом тзв. владу Народног спаса, Црна Гора је потпала под Италију, а потом је Црногорски сабор (12.07) прогласио стварање Независне Црне Горе, у оквиру Краљевине Италије, Италија је анектирала Боку Которску, Санџак, сва острва у Хрватском приморју и део Далмације, највећи део Космета, појас између Црне Горе и Албаније и западну Македонију и прикључила квислиншкој Великој Албанији, Немачка и Италија су поделиле, присвојиле Словенију, Немачка Штајерску, Горењску, делове Долењске и Корушке, а Италија анектирала преостали југозападни део Словеније, назван Љубљанска покрајина.

У војно побеђеној и разбијеној Југославији најгоре је прошла Србија. Матица српског народа сведена је на границе из 1912. године. Српски народ поделио је судбину своје државе. Насељен широм југословенских простора он се нашао издељен и изложен опасностима биолошког, национаног и културног уништења, а посебно у НДХ где је драстично спровођен геноцид над Србима. Срби су свуда означавани као опасност за успостављене режиме. Окупационо подручје Србије имало је за Трећи рајх велики, статешки и ратно-привредни значај (храна, руде, комуникације према југу и Блиском истоку) и сл. Окупација је била испуњена терором, сваки отпор окупационом поретку најсвирепије је кажњаван. Септембра 1941. ступило је на снагу наређење Врховне команде Вермахта о стрељању 100 срба за једног погинулог немачког војника, односно 50 за рањеног. Влада тзв. Народног спаса генерала Милана Недића није успевала да ублажи казнене мере окупатора нити да приволи становништво на лојалност. Под притискм биолошког истребљења са Космета је 1941. исељено око 100.000 Срба, а ликвидирано око 10.000, а из Албаније доведено, насељено око 80.000 Албанаца. Репресалије над српским становништвом је основна карактеристика Мађарске окупационе управе у Бачкој и Барањи (убијено у Тителу око 7.000, у Жабаљском срезу око 2.000, Новом Саду око 2.000, Старом Бечеју око 1.000 Срба); биланс Бугарске окупације износио је око 20.000 убијених и преко 50.000 исељених Срба, активно, плански је рађено на денационализацији Срба, на расрбљавању македонског становништва. Највеће размере злочини су добили у НДХ где је расно законодавство давало легитимитет процесима биолошког истребљења Срба, на удару се нашло све – људски животи, писмо, културно наслеђе, имовина, вера.

У окупираној и растуреној Југославији окупатор је разместио своје трупе јачине 396.000 људи, од тога, Немачка је имала 141.000, Италија 180.000, Бугарска 55.000, Мађарска 20.000 војника, док су квислиншке формације износиле: у НДХ 114.000, у Србији 5.000, у Црној Гори 1.000 војника.

Априлски рат 1941. у Југославији дорпинео је померању напада Немачке на Совјетски Савез (план „Барбароса“, са 15. маја на 22. јуни 1941).

Разбијањем Југославије окупатори су настојали да разбију и јединство југословенских народа, да распире њихове националне, верске, страначке нетрпељивости. И само одвођење у заробљеништво војника и официра српске и словеначке нациналности сведочи о немачким претпоставкама који народи неће им бити покорни (укупно заробљено око 398.000 људи). У најтежем положају био је српски народ који се нашао под влашћу Немаца, Италијана, Мађара и Бугара, као и у НДХ, где је одмах почео геноцид над Србима. На положај појединих народа, Срба посебно под окупацијом, утицало је и држање три најбројније националне мањине – Шиптара, Немаца и Мађара, који су окупаторе дочекали пријатељски и ставили им се у службу.

После напуштања (бежања) из земље краљевска Југословенска влада је изјавила „Да наставља рат“, а као савезнике је видела Велику Британију, САД, и СССР. Влада ће постати центар за окупљање оних друштвених снага које су желеле обнову монархије и дотадашњег друштвеног поретка после пораза сила Тројног пакта. Најпознатији представници таквог мишљења, понашања били су Четници, чији настанак датира од маја 1941. на Равној Гори, на челу са пуковником Драгољубом Дражом Михајловићем, чији је циљ био стварање војске и покрета који се неће замерати окупатору због могућих репресалија, већ се спремати да у време колапса Сила осовине ступи у дејство. Југословенска влада је прихватила тај покрет и означила га као Југословенску војску у отаџбини, а за њеног команданта, поставила Дражу Михаиловића, кога је унапредила у чин генерала, а потом га прогласила министром војске и начелником Врховне команде.

Насупрот таквој политици, пракси, понашању постојала је и друга могућност – отпор, борба против окупатора, али је било питање – како и ко да је организује, а да буде успешна. Та снага је постојала, била је то КПЈ, која није признала капитулацију и разбијање Југославије. Организациона структута КПЈ била је чврста, уходана, кадрови прекаљени, на челу КПЈ био је Централни комитет КПЈ, који је руководио са ЦК КП Хрватске и ЦК КП Словеније, са покрајинским комитетима за Србију, за Босну и Херцеговину, за Црну гору, за Македонију, за Војводину и Обласним комитетом за Косово и Метохију, а ови са нижим партијским руководствима (месним, среским, градским и окружним комитетима). У лето 1941. КПЈ је имала око 12.000 чланова (у Србији око 2.500, у Војводини око 1.200, на Косову и Метохији око 270), а Савез комунистичке омладине Југославије око 50.000 чланова. Била је то добро организована, убојита снага. У таквим условима руководство КПЈ ће позвати народе Југославије на устанак, покренуће и подићи борбу за освајање слободе али и власти. Тај отпор биће назван Народноослободилачка, антифашистичка борба која је имала и револуционарни карактер (револуција).

ПОЗИВ НА ОТПОР

Централни комитет КПЈ већ 10. априла 1941. (дан проглашења НДХ), одржава у Загребу састанак, и позива комунисте и родољубе да пруже отпор агресору, одлучује да се приступи свестраним припремама за борбу против окупатора, именује Војни комитет, на челу ја Ј.Б. Титом, као руководећим органом препремама за борбу; а 15. априла упућује проглас „Народима Југославије“, којим осуђује стварање НДХ и позива на отпор фашистичким поробљивачима, у борбу која ће „на истинској независности створити братску заједницу свих народа југославије“. Руководство КПЈ крајем априла у свом првомајском прогласу „Радном народу Југославије“, позива све раднике, грађане „на окуп, потребно је ујединити све ваше снаге у борби за опстанак“, а на саветовању (почетком маја) у свом документу „Саветовање КПЈ“, потврђује курс на ослободилачку борбу против окупатора која се квалификује као борба за национално и социјално ослобођење. Од комуниста и радника се тражи да прикупљају оружје, стварају борбене групе, врше војну обуку, организују обавештајну службу, да се при руководствима КПЈ формирају војни комитети…

Током априла и маја КПЈ врши интензивне припреме за покретање оружане борбе, устанка против окупатора, о чему сведоче телеграми секретара КПЈ Тита Коминтерни, а тиме и Влади СССР-а (од 21. и 25. aприла, 2,13, и 30. маја) чека се погодан тренутак (војнички и политички) за почетак устанка. Тај тренутак руководство КПЈ је видело, означило нападом Немачке на Совјетски Савез 22. јуна 1941., јер је тај напад означио промену карактера рата од империјалистчког у антифашистички и ослободилачки и да зато треба пружити подршку СССР-у као водећој сили антифашистичке коалиције, Руководство КПЈ упутило је (истог дана) проглас „Радницима, сељацима и грађанима широм Југославије“ којим су позвани да се уједине и крену у борбу окупатора против „највећег непријатеља радничке класе“ с покличем „Напред у последњи и одлучни бој за слободу и срећу човечанства“.

Одлука о непосредним припремама за оружану борбу донета је на састанку Покрајинског комитета КПЈ за Србију (Београд, 23. јуна), упућени су инструктори у поједине крајеве Србије, наређено да се приступи стварању наоружаних ударних група, прикупља санитетски материјал, појача конспирација. На напад Немачке на Совјетски Савез руководство Коминтерне је реаговало упућивањем телеграма руководству КПЈ (свим својим секцијама), у коме је тај напад оцењен као напад „против слободе и независности свих народа“, а Југословенским народима поручено да „развијају сопствену ослободилачку борбу против немачких поробљивача“, уз упозорење да је у тој етапи борбе, рата, „реч о ослобођењу од фашистичких поробљивача, а не о социјалистичкој револуцији“.

У таквим условима ЦК КПЈ 27. јуна формира Главни штаб народноослободилачких партизанских одреда Југославије,на челу са Ј.Б: Титом и обавештава Коминтерну „ми припремамо народни устанак против окупатора“. Руководство Коминтерне 1. јула упозорава телеграмом КПЈ „да се води борба на живот и смрт од чијег исхода не зависи само судбина Совјетског Савеза већ и слобода вашег народа“, да је „куцнуо час када су комунисти дужни подићи народ на отворену борбу против окупатора, да организују партизанске одреде и покрену партизански рат“. Вођа совјетске државе и СКПб Ј.В. Стаљин позвао је својим говором 3. јула све слободољубиве и поробљене народе у борбу против фашизма. Већ сутрадан, 4. јула, Политбиро ЦК КПЈ донео је одлуку о покретању оружане борбе против окупатора, формирао Штаб партизанских одреда за Србију и у све крајеве земље упутио инструкторе да спроводе одлуку о устанку. Своју одлуку о покретању устанка руководство КПЈ је обзнанило 12. јула прогласом „Народима Југославије“, којим је комунистима наређено „хитно организујте партизанске одреде“ а народ позван „у бој, у последњи бој за уништење фашистичке заразе која тежи да истреби не само најбоље борце народа, већ и Словене на Балкану“.

И Покрајински комитет КПЈ за Србију позвао је (средином јула) народ(е) у борбу против окупатора, издао окружницу којом се налаже партијским комитетима и организацијама да организују партизанске одреде, да уништавају ратне фабрике и складишта, руше жељезничке пруге, телефонске мрже, онеспособљавају аеродроме, сакривају жито (храну) од окупатора, да формирају ударне групе по градовима и сл. Током јуна и јула организационе припреме за организовање отпора, покретање оружане борбе биле су завршене, и у готово свим крајевима Југославије почеле су акције партизанских одреда које су биле различитог интензитета. Тај бескомпромисан отпор, борбу најавили су пуцњи у Белој Цркви 7. јула 1941., чиме је почео први оружани отпор фашизму у поробљеној Европи.

У Србији је процес формирања партизанских одреда почео после седнице ПК КП за Србију 23. јуна а већ средином јула у Србији дела седам партизанских одреда а крајем августа 23 одреда. Њима руководи Штаб народноослободилачких партизанских одреда за Србију, на челу са Сретеном Жујовићем. Устанак је захваљујући напорима организација и руководстава КПЈ ускоро захватио читаву Србију, створена су три устаничка жаришта, у Западној Србији, Шумадији и Поморављу, у Источној Србији и у Југо-источној Србији. Већ крајем јуна створен је Ваљевски партизански одред, а током јула и Космајско-посавски, први и други Шумадијски, а потом и Чачански, Ужички, Крагујевачки, Мачвански, Краљевачки, Расински, Пожаревачки, Топлички, Кукавички (Лесковачки), Врањански и други одреди.

Крајем августа и током септембра партизански одреди прешли су у нападе на веће центре у Шумадији, Западној Србији и Поморављу. Дејство тих одреда усмеравао је Штаб партизанских одреда Србије и ПК КП за Србију у духу сугестија Главног шаба НОП одреда Југославије о стварању шире ослобођене територије. У тим акцијама дошло је и до делимчне борбене сарадње против окпатора са одредима четника Драже Михаиловића, који ће убрзо (почетком новембра) видећи у НОП-у свог главног војног, политичког и идеолошког противника, у колаборацији са окупатором, повести и водити до краја рата жестоку борбу против њега, што ће ослободилачком рату дати и карактер грађанског рата.

До почетка октобра ослобођени су – Крупањ, Бања Ковиљача, Лозница, Богатић, Ужице, Горњи Милановац, Бајина Башта, Ивањица, Гуча, Ариље, Пожега, Чачак, Љиг, Рудник. Партизански одреди израстали су у крупније војне формације, а оружане борбе добијале шире размере и у другим крајевима, две трећине Србије било је ослобођено. Крајем септембра 1941. ЦК КПЈ и Врховни штаб НОПО Југославије пренели су своје седиште из Београда у ослобођено Ужице.

ИСТОРИЈСКА ОДЛУКА

Упоредо са оружаним акцијама партизанских одреда у многим окупираним градовима, а особито у Београду, Крагујевцу, Нишу, Краљеву, Шапцу, извођене су бројне диверзије, саботаже и друге борбене акције.

Србија је почела да се буни, диже, бори, дух Цера, Колубаре, пробоја Солунског фронта, подстицао је патриотско, слободарско раположење. Тај бунт, отпор, народни дух („нека буде што бити не може“) и руководство КПЈ, изнедрили су јесен 1941. прву велику ослобођену територију у поробљеној Европи – Ужичку Републику, која је имала елементе државности.

Курс КПЈ на ослободилачку борбу потстакао је све организоване снаге да се активирају, окупљају, да се организују све антиокупаторске снаге. Све што се дешавало на терну потврђивало је реалност концепције КПЈ о покретању оружане ослободилачке борбе на принципима партизанске тактике и организације. Оружана борба у свим областима постала је опште обележје, које је наметало нове дилеме и задатке, који би се могле сажети у питање – да ли је могуће у датим условима (унутрашњим и међународним) обезбедити прерастање партизанске борбе у НОР за остваривање далекосежних циљева како их је поставила КПЈ. Каснији догађаји током II светског рата су потврдили да је то било могуће, устанак је прерастао у масован народноослободилачки покрет и бескомпромисни народноослободилачки, антифашистички рат који је добио и револуционарно обележје.

Обележавајући 75-ту годишњицу устанка против окупатора 1941. године, а то је празник којим одржавамо везу са прошлошћу, морамо посебно истаћи да је одлука руководства КПЈ о дизању устанка, покретању оружане борбе била тешка, одговорна, историјска. Њу су донели људи револуционарне зрелости, одлучности, високог патриотизма и интернационализма, свесни историјске одговорности, пуни љубави према свом народу, земљи, слободи, спремни на жртве, пуни вере у коначну победу. Та одлука и славни народноослободилачки, антифашистички и револуционарни рат (1941-45) изнедрили су Социјалистичку Федеративну Југославију.

Устанак у Србији у лето 1941. део је херојске ризнице и слободарске традиције њеног народа. Непролазне историјске вредности тог устанка траже да му се чeсто враћамо с поштовањем према његовим оргaнизаторима, борцима, (палим и живим), увек са жељом и циљем да се још боље изуче његови узроци, токови, актери и оцене његове војне, политичке, међународне, етичке, историјске и друге димензије. Тај устанак трајаће колико и историја, дужни смо да га изучавамо, обележавамо, славимо, јер „Сазнање је нужност да би се могло живети“ – рекао је Епикур.