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Imperialismo "etico" tedesco-europeo

0) LINKS su "imperialismo etico" e polo imperialista europeo dopo il referendum "Brexit"
1) Dagli Usa a Berlino. Cambia la leadership del capitalismo multinazionale? (A. Avvisato) / Confronting New Wars / Vor Neuen Kriegen (GFP)
2) L’imperialismo europeo affila le unghie (Marco Santopadre / Guy Verhofstadt)
3) Superpower Europe / Die Supermacht Europa (GFP 16.11.2016)
4) После земљотреса „БРЕГЗИТ" пут ка ЕУ прекинут (Z. Jovanović, 4.7.2016.)


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LINKS su "imperialismo etico" e polo imperialista europeo dopo il referendum "Brexit"

Iperclassico:

Lenin sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa 
pubblicato per la prima volta nel Sotsial-Demokrat, n. 44, 23 agosto 1915
http://contropiano.org/documenti/2016/06/26/sulla-parola-dordine-degli-stati-uniti-deuropa-080928

Sul concetto di "Ethischer Imperialismus", elaborato da Paul Rohrbach nella fase di massima espansione del colonialismo tedesco, si vedano ad esempio:

Walter Mogk 
Paul Rohrbach und das "Größere Deutschland"
Ethischer Imperialismus im Wilhelminischen Zeitalter. Ein Beitrag zur Geschichte des Kulturprotestantismus 
Goldmann Wilhelm GmbH, 1972-1982

Paul Rohrbach

Lo "spazio vitale tedesco" (1995)

Su inquietudini e sviluppi nel polo imperialista europeo a seguito del referendum inglese sulla "Brexit":

GERMAN ARMY CREATES ‘REALITY SHOW’ TO BOOST POPULARITY, CRITICS WARN OF DISTORTIONS (RT, 31 Oct, 2016)
The German army (Bundeswehr) is set to launch a new reality show covering the daily life of fresh recruits. The project, aimed at boosting the popularity of the military, faces mounting criticism from politicians, the public and activists. The reality show, titled ‘The Recruits’, depicts the daily lives of 12 army newcomers during their basic training. The show is split into 90 episodes of about five minutes each and will be put on the Bundeswehr YouTube channel every day, starting from November 1. The project is part of a larger campaign by the government to fill the ranks of the Bundeswehr with new recruits...
VIDEO – DIE REKRUTEN | Offizieller Trailer - Bundeswehr: https://www.youtube.com/watch?v=arPvxu91F8w

SANZIONI ALLA RUSSIA, CI GUADAGNANO USA E GERMANIA (di Redazione Contropiano, 26/10/2016)
... «Nonostante le tensioni con gli Stati Uniti, abbiamo notato che gli scambi commerciali Usa-Russia sono raddoppiati». E lo stesso si può dire di Berlino, che pure figura tra i principali sponsor europei delle sanzioni: alla fine «le principali commesse vanno ai tedeschi. La riprova? «Il Nord Stream, a cui le aziende tedesche partecipano alla grande, ha avuto la meglio sul South Stream, a cui gli italiani non possono partecipare». Insomma, «Noi russi abbiamo la sensazione che tutte queste tensioni con Mosca servano a Stati Uniti e Germania per fare terra bruciata dei loro concorrenti». Il parallelo con le politiche di austerità dovrebbe venir immediatamente in testa a qualsiasi osservatore dotato di cervello....

BERLINO: SERVIZI SEGRETI LIBERI DI SPIARE CITTADINI, GIORNALISTI E PAESI DELL’UE (di Marco Santopadre, 25/10/2016)
La Germania, che nel 2013 arrivò a scatenare una crisi diplomatica con gli Stati Uniti dopo la scoperta che le agenzie di spionaggio di Washington intercettavano le conversazioni dei membri del governo di Berlino e della stessa Angela Merkel, si è dotata ora di una legge che permetterà ai suoi servizi segreti di fare altrettanto con praticamente tutti i cittadini europei...

RESOCONTO DELL’INIZIATIVA “L’EUROPA DELLE BANCHE E DELL’EURO DOPO LA BREXIT“, Parma 30 settembre 2016 (Ross@ Parma)
... la maggior parte del commercio comunitario è basato sul modello mercantilistico tedesco, cioè sul primato commerciale della Germania che deprime le economie degli altri paesi membri. Nonostante questa evidenza empirica, viene veicolata e sostenuta l’opinio communis che la maggiore competitività della Germania derivi dalla presunta virtuosità ed operosità teutonica e che il “ritardo” degli altri paesi dipenda dalla mancata attuazione delle riforme. La mezzogiornificazione dell’Europa è dovuta, invece, proprio al vantaggio competitivo dato dal combinato disposto di deflazione salariale e moneta forte. In altre parole, dalla fissazione del tasso di cambio, che impedisce un riallineamento delle economie, specie durante periodi di crisi come questo. In conclusione l’euro rappresenta un attacco alle classi lavoratrici. “L’euro è uno strumento del capitale”, ha affermato Pavarani, che avvantaggia la concentrazione della ricchezza in alcuni paesi e va a favorire alcune classi sociali, a discapito di altri paesi, delle fasce deboli della popolazione e di un ceto medio sempre più impoverito. È, insomma, uno strumento della lotta di classe condotta dall’alto, un mezzo pensato per essere impugnato dal capitale, mai dal popolo"...

GENTILONI: L’UNIONE EUROPEA VA RISTRETTA AL “NUCLEO DURO” (Alessandro Avvisato, 5 settembre 2016)
... Saltato il tappo rappresentato dalla Gran Bretagna, i sostenitori di una maggiore centralizzazione dei paesi aderenti all'Unione Europea in materia monetaria e militare, sembrano aver trovato maggiore determinazione... L'agenda della discussione nei due vertici europeo sono il documento franco-tedesco (“A strong Europe in a world of uncertainties”) reso noto all'inizio dell'Estate. Il documento propone sostanzialmente un rafforzamento dell’integrazione “con chi e per chi ci sta” su materie come la sicurezza, l'unione bancaria ecc... Che il vertice di Ventotene del 22 agosto tra Renzi, Merkel, Hollande si sia tenuto sulla portaerei Garibaldi non è stato affatto un caso nè una semplice scelta organizzativa. Era un segnale.

BREXIT: A DIFFERENT DEMOCRACY, A DIFFERENT FUTURE (Christopher Black, 2 July 2016)
The historic Brexit vote marks a victory of the working people over the capitalist elites who have used the European Union as a means of extending their exploitation of them to the limits, and which now, along with its imperial rival and overlord, the United States, is arming and preparing for a world war with Russia...

THE EUROPEAN WAR UNION (GFP 2016/06/28)
Together with his French counterpart, the German foreign minister has announced the EU's transformation to become a "political union" and its resolute militarization for global military operations. In a joint position paper, Frank-Walter Steinmeier (SPD) and Jean-Marc Ayrault (PS) are calling for the EU's comprehensive military buildup, based on a division of labor, to enable future global military operations. Following the Brexit, the EU should, step-by-step, become an "independent" and "global" actor. All forces must be mobilized and all "of the EU's political instruments" must be consolidated into an "integrated" EU foreign and military policy. Steinmeier and Ayrault are therefore pushing for a "European Security Compact," which calls for maintaining "employable high-readiness forces" and establishing "standing maritime forces." The European Council should meet once a year as "European Security Council." Before this paper was made public, Germany's foreign minister and chancellor had made comments also promoting a German global policy and massive rearmament, possibly also with EU-support...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58954
ORIG.: DIE EUROPÄISCHE KRIEGSUNION (GFP 2016/06/28)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59398

UN'ALTRA EUROPA È POSSIBILE. UN'ALTRA UE NO. Dichiarazione del Partito Comunista di Irlanda, 28 Giugno 2016
Il Partito Comunista di Irlanda esprime la sua solidarietà e accoglie con favore la decisione dell'elettorato britannico, con i lavoratori che hanno giocato un ruolo decisivo nel voto per lasciare l'Unione Europea... I lavoratori della Gran Bretagna hanno inviato il sonoro messaggio a Londra e Bruxelles che ne hanno abbastanza del bullismo, abbastanza dell'austerità permanente, abbastanza del fatto che gli interessi delle grandi imprese siano posti al di sopra di quelli del popolo. E' anche un significativo rifiuto delle economie da camicia di forza dell'UE. La strategia politica ed economica dell'UE è un affronto alla democrazia e alla capacità dei popoli di decidere democraticamente in merito alle priorità economiche e sociali dei loro paesi e della possibile direzione alternativa...
ENLARGEMENT OF EU QUESTIONABLE (Belgrade Forum, Monday, 27 June 2016)
... BREXIT will doubtless deepen the concept of EU system based on the deprivation of authorities of national states and concentration of the authorities within the bureaucratic Brussels center which is without meaningful control. EU region has entered a long period of political instability and uncertainty. Fleeing of corporate capital from EU appears as inevitable process with all consequences for development, socio-economic aggravation and political turmoil. After illegal secession of Kosovo and Metohija in which, paradoxical, Great Britain together with USA played major role, separatism in Great Britain and the whole of Europe has got new encouragement...
ORIG.: ПРОШИРЕЊЕ ЕУ ДОВЕДЕНО У ПИТАЊЕ (Beogradski Forum, понедељак, 27 јун 2016)
... БРЕГЗИТ даље продубљује кризу концепта ЕУ који је заснован на одузимању надлежности националних држава и концентрацији власти у бирократизованом центру  без контроле. Подручје ЕУ ушло је у дуги период политичке нестабилности и неизвесности. Сеоба корпоративног капитала из ЕУ је неизбежан процес са свим последицама на развојном, социјално економском и политичком плану. Како ће се, кад и по коју цену наћи излаз, остаје нејасно. После илегалног отцепљења Косова и Метохије, сепаратизам у Европи овим је добио нови подстицај...

FLEXIBLE UNION WITH A EUROPEAN FBI (German plans for reorganizing the EU – GFP 2016/06/27)
Berlin is applying intense pressure in the aftermath of the Brexit, to reorganize the EU. Under the slogan, "flexible Union," initial steps are being taken to establish a "core Europe." This would mean an EU, led by a small, tight-knit core of countries, with the rest of the EU member countries being subordinated to second-class status. At the same time, the President of the European Parliament and Germany's Minister of the Economy (both SPD) are calling for the communitarization of the EU's foreign policy, reinforcement of its external borders, the enhancement of domestic repression and the creation of a "European FBI." The German chancellor has invited France's president and Italy's prime minister to Berlin on Monday to stipulate in advance, measures to be taken at the EU-summit on Tuesday. German media commentators are speaking in terms of the EU's "new directorate" under Berlin's leadership. At the same time, Berlin is intensifying pressure on London. The chair of the Bundestag's EU Commission predicts a new Scottish referendum on secession and calls for Scotland's rapid integration into the EU. German politicians in the European Parliament are exerting pressure for rapidly implementing the Brexit and reorganizing the EU. Chancellor Merkel has reiterated her veiled threat that "reconciliation and peace" in Europe are "anything but self-evident," should European countries choose to no longer be integrated in the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58953)
ORIG.: FLEXIBLE UNION MIT EUROPÄISCHEM FBI (GFP 27.06.2016)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59397

LA LOTTA DEL NOSTRO TEMPO (di Alessandro Mustillo | senzatregua.it, 24/06/2016)
...  Dall'eurocomunismo in poi l'accettazione dell'orizzonte comune europeo ha modificato una visione internazionalista nell'accettazione dell'Europa unita e delle sue istituzioni, dei suoi meccanismi, come terreno di azione nella ricerca della modifica riformista della politica europea. Un errore storico enorme...
http://www.senzatregua.it/la-lotta-del-nostro-tempo/
oppure http://www.resistenze.org/sito/os/ep/osepgf24-018110.htm

THE FIRST EXIT (UK votes against EU membership – GFP 2016/06/24) 
The British people's vote yesterday to take their country out of the EU is shaking up the EU, and Berlin's plans to use the EU for its own hegemonic policies. With a 72 percent turnout, 52 percent of the British voters opted to wave good-bye to the EU. This vote has a major impact on Berlin, not only because Europe's second largest economy - after Germany's - and a prominent military power will be leaving the EU and therefore no longer be available for German hegemonic policies imposed via the EU. It also can lead to a domino effect. Calls for referendums are being raised in other EU member countries. In several member countries, the EU's growing unpopularity is reinforcing centrifugal forces. The Swedish foreign minister has explicitly warned of a "spill-over effect" that could lead to a Swedish EU exit. In the German media, demands are being raised to simply ignore the referendum and let the British parliament vote in favor of remaining in the EU. Berlin has already begun reinforcing its national positions - independent of the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58952
ORIG.: DER ERSTE AUSTRITT (GFP 2016/06/24) 
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59396


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Dagli Usa a Berlino. Cambia la leadership del capitalismo multinazionale?


di Alessandro Avvisato

La leadership del capitalismo del dopo Trump potrebbe parlare tedesco. Sono in molti oggi a scrutare dietro e intorno la visita di congedo di Barak Obama in Germania. La visita avviene, tra l'altro, nei giorni in cui la cancelliera Merkel ha fatto sapere di volersi ricandidare al governo. Osservatori acuti come Danilo Taino sul Corriere della Sera non nascondono affatto l'impressione che con la visita di Obama "il mantello di difensore della libertà e dei valori occidentali passerà alla leader tedesca". Insomma un cambiamento epocale non indifferente, per l'Europa sicuramente ma anche per le relazioni internazionali nel loro complesso. 

"Trump costringe l'Unione Europea a guardarsi nello specchio", commenta Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore. Un'assunzione di responsabilità nella leadership dell'occidente che pone la Germania al centro, ma trascina con sè l'intera Unione Europea.

A conferma di questo possibile passaggio di testimone dagli Usa "trumpizzati" alla Germania dominus sull'Unione Europea, c'è la notizia di una sorta di supervertice a Berlino in occasione della visita di Obama. Sono infatti stati invitati Hollande, Renzi, Rajoi, e anche Theresa May, per la Gran Bretagna del dopo Brexit. Insomma le principali potenze europee converranno nella capitale tedesca e non certo per una commovente cena di commiato con Obama.

E' ormai evidente da anni come la competizione globale prima, e il picco di crisi del 2007 poi, abbiano accentuato le contraddizioni dentro le borghesie imperiali. Uniti come mai contro i lavoratori, i vari segmenti delle classi dominanti sono stati squassati e ridefiniti piuttosto bruscamente. Alcuni sono andati giù, perdendo posizioni e peso, perchè troppo legati a mercati interni depressi; altri invece hanno aumentato il loro peso proprio perchè più internazionalizzati, dunque perfettamente inseriti nella dimensione globale della competizione e degli apparati creati per gestirla. 

Questo scontro è stato ben visibile nelle accelerazioni impresse dentro l'Unione Europea (di cui l'adozione l'euro è stato un fattore decisivo), che ha lasciato morti e feriti non solo tra i lavoratori e le classi popolari. E' evidente che una parte dei sentimenti antieuropeisti – come emerso con la Brexit – rappresentino anche questo tipo di contraddizioni. 

Ma con l'elezione di Trump, lo scontro tra i segmenti del capitalismo più multinazionalizzati e quelli legati alla crescita o depressione dei mercati interni, si è fatta più detonante, soprattutto perchè ha avuto l'epicentro negli Stati Uniti, conferendogli così un riflesso internazionale di enormi proprozioni. 

Lo stallo negli Usa indebolisce la leadership globale esercitata fino ad oggi e richiede che qualcun altro provi a prendere in mano questa fase di incertezza, di evidente transizione di fase storica.

Le ripercussioni erano già visibili neanche troppo sottotraccia nei mesi scorsi. All'indomani della Brexit britannica, l'Unione Europea aveva tolto il freno a mano e proceduto rapidamente nella definizione di un progetto comune in materia politico/militare.  Su questo terreno occorre sottolineare che entro dicembre 2016 verrà definito il piano di attuazione dell'Eugs, ovvero la Strategia Globale dell'Unione Europea presentato a giugno da Lady Pesc, Federica Mogherini, in coordinamento con i quartieri generali di Bruxelles. Contestualmente si riunirà il coordinamento tra la Nato e il Seae ossia il Servizio Europea per l'Azione Esterna.

Inutile dire che su questa accelerazione nella definizione delle ambizioni e delle responsabilità globali dell'Unione Europea, un ruolo centrale lo avrà la Germania. Anche sul piano militare e strategico. Lo scorso 13 luglio è stato pubblicato il nuovo "Libro Bianco" della Bundeswehr (la Difesa tedesca). Questa edizione ha aggiunto alla politica mondiale tedesca ulteriori e più ambiziosi obiettivi rispetto a qualsiasi altro documento scritto in precedenza. 

"L'orizzonte della politica di sicurezza tedesca è globale", è scritto esplicitamente nel documento, che annuncia al mondo: "Berlino, in considerazione della sua forza economica, politica e militare" intende contribuire a "plasmare attivamente il nuovo ordine mondiale". La Repubblica Federale è pronta non solo "a presentarsi nel dibattito internazionale come una forza decisiva e pragmatica", ma anche ad "assumere la leadership nella politica internazionale". Le ambizioni della politica di Berlino non si riferiscono solamente alle rotte commerciali globali su acqua, terra o in aria, ma anche "alla cibernetica, all'informazione e a allo spazio".

Un articolo scritto a quattro mani da due responsabili della Difesa tedesca, [commentato] su German Foreign Policy, ritiene che le ambizioni politiche espresse nel “Libro Bianco” sono ormai di carattere globale e in futuro dovranno essere messe in pratica e riempite di dettagli.  Secondo i due dirigenti tedeschi anche l’UE si trova davanti ad una nuova fase di militarizzazione: sotto la guida tedesca, ormai apertamente proclamata, diversi capi di stato e lo stesso commissario europeo Juncker si sono pronunciati a favore della creazione di un esercito europeo.

Ormai dobbiamo dircelo con franchezza: non c'è ambizione di leadership globale senza gli strumenti per attuarla. L'aria che si respira in Europa e che spira da Berlino è questa. Prima se ne diventa consapevoli e meglio è. Ragione in più per cercare di mettersi di traverso al consolidamento del polo imperialista europeo e dei suoi apparati. 

Rompere e uscire dall'Unione Europea non è un atto di egoismo nazionalista (come nei vaneggiamenti fascioleghisti), ma è un tentativo concreto di inceppare una macchina pericolosa per le popolazioni europee e per l'umanità.

16 novembre 2016


Link all'articolo cui si riferisce Alessandro Avvisato:

CONFRONTING NEW WARS (GFP 2016/08/31)
The German Bundeswehr's new "White Paper" is conceived as just a milestone in the ongoing development of German global policy and its instruments, according to an article published by Germany's leading foreign policy periodical. According to the article's two authors, who had been in charge of elaborating the "White Paper" for the German Defense Ministry, the White Paper's explicit claim to shape global policy and policy for outer space must be implemented and "brought to life" in the near future. While the German government is initiating new projects for upgrading military and "civil defense" measures, the EU is boosting its militarization: A growing number of government leaders of EU member states are supporting the creation of an EU army under openly proclaimed German leadership. According to a leading German daily, the balance sheet of recent German military involvements is "not exactly positive," but this should not discourage future military interventions. One should, however, not expect too much and harbor "illusions about rapid successes."...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58966
AUF DEUTSCH: Vor neuen Kriegen (GFP 31.08.2016)
Das neue "Weißbuch" der Bundeswehr ist lediglich als "Meilenstein" auf dem Weg einer stetigen Weiterentwicklung der Berliner Weltpolitik und ihres Instrumentariums konzipiert. Dies geht aus einem Beitrag hervor, den zwei Weißbuch-Verantwortliche aus dem Bundesverteidigungsministerium für die führende deutsche Außenpolitik-Zeitschrift verfasst haben. Demnach muss der "Gestaltungsanspruch" des Weißbuchs, der sich ausdrücklich auf die gesamte Erdkugel sowie den Weltraum erstreckt, in der nächsten Zeit umgesetzt und "mit Leben" gefüllt werden. Während die Bundesregierung neue Hochrüstungspläne und neue Maßnahmen der zivilen Kriegsvorbereitung in die Wege leitet, steht auch der EU ein neuer Militarisierungsschub bevor: Unter offen proklamierter deutscher Führung sprechen sich immer mehr Regierungschefs von EU-Mitgliedstaaten für den Aufbau einer EU-Armee aus. In einer führenden deutschen Tageszeitung heißt es, zwar sei die Bilanz der bisherigen deutschen Kriege "nicht gerade positiv". Das solle aber nicht von künftigen Militärinterventionen abhalten; man müsse lediglich die Erwartungen an sie klar herunterschrauben: Es gelte, sich keinerlei "Illusionen über rasche Erfolge zu machen"...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59430


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http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/11/18/difesa-comune-imperialismo-europeo-086061

Verso la ‘difesa comune’. L’imperialismo europeo affila le unghie


di Marco Santopadre

Viviamo tempi di notevole accelerazione sul fronte degli equilibri internazionali, di cambiamenti repentini sull’onda di processi che hanno incubato per decenni, di decisioni più o meno irrevocabili. E’ il caso dell’integrazione dell’Unione Europea anche a livello militare, un progetto vecchio quanto la stessa Comunità Economica Europea e lungamente rimasto nei cassetti di qualche burocrate.
Sembra però che, dopo numerosi tentennamenti e rinvii ma anche qualche passo in avanti – perché negli ultimi anni, in realtà, molto è stato fatto in vista della creazione di una soggettività coordinata continentale anche sul fronte militare – l’acuirsi della competizione internazionale tra blocchi geopolitici e il declino della superpotenza statunitense stiano trasformando il fumoso progetto in una realtà concreta.

Difficile dire quali saranno i tempi di concretizzazione di quella che eufemisticamente i tecnocrati e gli euro burocrati chiamano ‘difesa comune’; ma a leggere quanto affermano e decidono i capofila dell’establishment dell’Unione Europea pare proprio che stavolta si stia facendo sul serio.
In effetti i passi concreti decisi dalle riunioni dei ministri degli Esteri e della Difesa tenutesi a Bratislava nel settembre scorso e direttamente a Bruxelles pochi giorni fa appaiono più che significativi. L’Unione Europea viaggia speditamente verso la costituzione di un suo esercito, di un suo meccanismo di gestione separato rispetto a quello dell’Alleanza Atlantica, di un comune quadro di intervento nelle crisi internazionali in difesa dei propri obiettivi egemonici e dei propri interessi.

Nel Consiglio Europeo degli Affari Esteri del 14 novembre scorso il consenso nei confronti delle proposte di Federica Mogherini e dei governi che recentemente hanno deciso di accelerare il passo sulla necessità di una indipendenza militare dagli Stati Uniti è stato ampio, anche più del previsto.
Fino ad ora alcuni governi dell’Europa Orientale avevano puntato i piedi contro lo sviluppo di una capacità militare europea, considerata perniciosa per la sovranità dei singoli governi sugli eserciti nazionali e in contrasto con il quasi totale controllo esercitato finora dagli Stati Uniti direttamente o attraverso la Nato. Ma la vittoria della Brexit nel referendum britannico di inizio estate ha sottratto a Londra – da sempre capofila del ‘no’ all’esercito europeo in nome della solidarietà transatlantica – il notevole potere di interdizione esercitato finora. La recente sconfitta di Hillary Clinton indebolisce inoltre la posizione e gli argomenti di quei paesi che vorrebbero continuare ad affidare il capitolo difesa ad una amministrazione statunitense in pectore che però lancia bordate contro la stessa Nato e minaccia di abbandonare a sé stessa l’ingrata e tirchia Unione Europea.

E quindi nonostante la contrarietà dei rappresentanti britannici – con un piede dentro ed un piede fuori in attesa di capire se e quando il voto popolare sulla Brexit verrà concretizzato – e i mugugni di quelli di alcuni paesi dell’Europa Orientale, i 56 ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi membri dell’Ue hanno dato il proprio via libera alla “Global Strategy on Foreign and Security Policy”, il progetto presentato a giugno dall’Alto Rappresentante Federica Mogherini.

Si tratta, dicevamo, di passi importanti, anche se i promotori dell’accelerazione sul fronte della creazione dell’esercito e di un complesso militare-industriale europei si sono sforzati di evitare l’uso di categorie ed etichette che possano eccessivamente allarmare i governi e i settori critici.
Al di là delle denominazioni soft e degli eufemismi abilmente impiegati, il piano prevede l’implementazione di una politica militare europea unica e integrata, mirante a fronteggiare crisi esterne, ad assistere eventuali partner nello sviluppo delle loro capacità di difesa, a “proteggere” l’Unione Europea. Come si vede la proiezione esterna e le ambizioni egemoniche dell’operazione sono più che evidenti, a smentire l’utilizzo dell’assai più rassicurante termine “difesa europea”.
Il documento licenziato a Bruxelles infatti elenca una lunga serie di tipologie di interventi militari all’esterno dei confini dell’Unione: dalle operazioni in situazioni definite ad alto rischio in territori circostanti l’Unione Europea, a quelle di ‘stabilizzazione’ a quelle di ‘reazione rapida’, a quelle di sorveglianza e pattugliamento dei confini e dei mari, alle missioni di addestramento di forze militari di altri paesi ecc. Inoltre nel novero delle operazioni che l’Ue si incarica di intraprendere all’esterno dei propri confini vengono incluse quelle svolte da un certo numero di “corpi civili”, ovviamente sempre sotto il controllo dei meccanismi di gestione unitaria del comparto militare (del resto già ampiamente rodati nella gestione dell’interventismo militare europeo nei Balcani negli ultimi decenni).

Il documento evita accuratamente di parlare di ‘esercito europeo’, ma pone comunque l’accento sulla necessità di implementare e utilizzare i cosiddetti “battlegroups”, delle unità di intervento rapido formati da contingenti militari provenienti da vari paesi del continente che rispondano ad un’unica catena di comando svincolata dai singoli paesi. Infatti il piano prevede la formazione di una struttura di coordinamento europeo, un vero e proprio Quartier Generale basato a Bruxelles, incaricato di gestire un numero di missioni, operazioni ed incombenze che si annuncia in rapida crescita. L’organismo, composto di due catene di comando che agiranno di comune intesa – una pienamente militare e l’altra civile – dovrà rispondere direttamente al Comitato Politico e di Sicurezza dell’Unione Europea; non si tratta ancora dello Stato Maggiore Unificato Europeo che Francia, Germania, Italia, Spagna ed altri paesi invocano da tempo, ma poco ci manca.

Il piano europeo afferma che la Nato resta l’organismo incaricato di assicurare la difesa collettiva di tutto gli stati membri, ma che sul fronte della difesa dei cittadini da eventuali minacce esterne – terrorismo, attacchi informatici ed altro – e su quello della protezione dei confini contro l’immigrazione irregolare, la palla passa a organismi comunitari ad hoc. Di qui la conferma della creazione di un’agenzia comune per il controllo delle frontiere e dei flussi migratori e di una Guardia di Frontiera e Costiera continentali.

Per bypassare le resistenze di alcuni paesi e accelerare l’integrazione militare continentale, il piano approvato il 14 novembre, anche in questo caso su iniziativa dei paesi più importanti, prevede l’utilizzo della “Cooperazione strutturata permanente” (Pesco) prevista dal Trattato di Lisbona. Per evitare di attendere che tutti i paesi aderenti all’Ue siano e pronti ad intraprendere lo storico passo, ci si affida ad una cooperazione maggiore tra i paesi immediatamente disponibili nel campo della ricerca militare e tecnologica, dello sviluppo, della produzione e dell’ammodernamento di piattaforme e sistemi militari necessari a consentire all’esercito europeo di svolgere i compiti fissati dal documento approvato. Si sancisce di fatto anche in campo militare – così come già avvenuto in passato sul fronte della moneta unica – la strutturazione di un’Europa a due velocità, con la creazione di due diversi livelli di integrazione. Ovviamente prevedendo che i paesi ‘più lenti’ e ‘meno convinti’ prima o poi dovranno necessariamente adeguarsi al grado di integrazione maggiore i cui tempi e modi verranno dettati dai paesi del “nucleo duro” dell’Unione, cioè Francia e Germania. Un capitolo, questo, che ovviamente riguarda anche gli investimenti nell’industria militare e nel complesso militare-industriale europeo, senza il quale è difficile pensare che il progetto di un esercito continentale indipendente nei confronti di Washington e della Nato possa avere una qualche chance. A coordinare il tutto dovrebbero essere organismi come l’Agenzia di Difesa Europea e il Comitato Militare Europeo, con l’attribuzione anche alla Commissione Europea nella sua interezza e ai singoli commissari di un maggiore potere di indirizzo ed intervento in campo militare oltre che nell’orientamento della spesa e degli investimenti nel settore ‘difesa’. Inoltre il piano licenziato a Bruxelles dal Consiglio Europeo sancisce anche l’inserimento di un capitolo, nel bilancio settennale dell’Ue, dedicato alla spesa militare e alla ricerca tecnologica, oltre che la possibilità per la Banca Europea degli Investimenti di finanziare il complesso militare-industriale europeo.

Come si vede si è ampiamente superato il piano della speculazione politica e dei buoni propositi. Le ambizioni imperialiste ed egemoniche che la borghesia transnazionale europea da tempo coltiva richiedono la rapida realizzazione di strumenti e di meccanismi in grado di difenderle ed imporle nei confronti degli avversari ma anche degli alleati di un tempo, ormai di fatto dei competitori su uno scacchiere globale in cui gli attori dello scontro sono sempre più numerosi e determinati.

Qualche giorno fa, proprio a commento e a sostegno dell’importante passaggio realizzato a Bruxelles, la Ministra della Difesa italiana, Roberta Pinotti, aveva affermato che è ormai “giunto il tempo che l’Europa assuma maggiori responsabilità comuni e una propria capacità nel settore della Difesa”, indipendentemente da quello che farà il futuro presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L'Ue dovrebbe "spendere di più e soprattutto spendere meglio. Negli ultimi 10 anni sono stati fatti dei tagli notevoli, senza precedenti, al bilancio della difesa: si sono tagliati a volte anche gli stessi assetti" ha aggiunto la Ministra Pinotti, aggiungendo che "i paesi che hanno ridimensionato (la loro spesa per la difesa, ndr), lo hanno fatto in una prospettiva esclusivamente nazionale". "In Italia, comunque – si è vantata la Ministra della Guerra del governo Renzi -, non si sta più tagliando: c'è una stabilizzazione e anche una ripresa della consapevolezza dell'importanza di investire nella difesa. Ciò detto, riuscire a integrare le nostre risorse nelle eccellenze necessarie per il futuro, che sono molto costose, credo che ci permetterebbe di spendere molto meglio e in modo molto più efficace", ha concluso il ministro.

Alle esplicite dichiarazioni dell’esponente del governo italiano fanno seguite quelle, ancora più nette e di valore strategico, contenute in un intervento del dirigente liberale belga ed europeo Guy Verhofstadt, pubblicato questa mattina sul quotidiano di Confindustria. Senza peli sulla lingua e nonostante alcuni giustificazionismi di ordine ideologico, il rappresentante dell’establishment europeo dichiara apertamente quali devono essere gli obiettivi di una politica militare comune europea che invita a rilanciare con urgenza, rivendicando esplicitamente le pretese egemoniche di Bruxelles su quello che viene considerato il proprio ‘cortile di casa’ – dal Medio Oriente all’Ucraina – in contrapposizione tanto alla Russia quanto agli Stati Uniti. Quella del liberale belga è una dichiarazione programmatica delle ambizioni e delle mire imperialiste dell’Unione Europea che ha ben poco da invidiare a quelle declamate dai neocon statunitensi nei decenni scorsi.

Ovviamente Verhofstadt addebita a Trump la responsabilità di abbandonare l'Ue a sè stessa dal punto di vista militare obbligandola a compiere un passo – l'indipendenza militare – troppe volte rimandato. Ma ovviamente la verità è che Trump potrebbe essere il primo presidente degli Stati Uniti costretto a palesare una inimicizia tra due ex alleati, Usa e Ue, che nel tempo si sono allontanati in virtù proprio della tendenziale inconciliabilità dei rispettivi interessi e della competizione sulle stesse aree di influenza (i riferimenti al Ttip da una parte e alle offese di Victoria Nuland sono nell'intervento di Verhofstadt assai indicative).

Continuare a denunciare e a contrastare il solo imperialismo di Washington, come si ostinano a fare ancora alcune aree della sinistra radicale e non, a questo punto rischia di configurarsi come un oggettivo e irresponsabile sostegno nei confronti delle ambizioni sempre più concrete dell'imperialismo europeo.
 

Marco Santopadre

 

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Perché non è più rinviabile una Difesa comune

di Guy Verhofstadt (Il Sole 24 Ore del 18 novembre 2016)

Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, un evento che celebra il trionfo del nativismo sull’internazionalismo. Nel confronto tra società aperte e chiuse, le seconde escono palesemente vincitrici, mentre la democrazia liberale si appresta a diventare un movimento di resistenza.

Con Trump alla Casa Bianca, gli Usa diventeranno l’ossessione di se stessi. Ormai si può affermare con certezza che il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra gli Stati Uniti e l’Unione europea è destinato al fallimento. Ma la presidenza Trump avrà un impatto negativo sull’Europa per molti altri aspetti. In gioco adesso c’è l’integrità territoriale dell'Ue stessa.

Trump ha detto senza mezzi termini che le sue priorità in politica estera non includono la sicurezza europea. Egli, inoltre, non riconosce la necessità strategica della Nato e ha dimostrato qualche interesse per le relazioni transatlantiche solo alludendo a dei conti in sospeso. Una presidenza Trump determinerà un cambiamento geopolitico di portata epica: per la prima volta dal 1941, l’Europa non potrà contare sull’ombrello difensivo americano e si ritroverà da sola.

L’Europa si è fin troppo crogiolata in un’esistenza facile. Durante il secolo scorso, le relazioni transatlantiche hanno tacitamente obbedito a una dinamica perversa, in base alla quale quanto più gli Usa erano attivi, tanto più l’Europa sonnecchiava. Quando gli Americani sono intervenuti all’estero, come nel caso dell’Iraq, l’Europa ha risposto con pompose prediche sull’ingerenza imperialista. E quando gli americani non sono riusciti a intervenire, o l’hanno fatto in ritardo o in modo inefficace, come in Siria e Libia, gli europei hanno invocato più leadership americana.

Quell’epoca è ormai finita. Trump sa che l’Ue ha i fondi, la tecnologia e le competenze necessarie per essere una potenza globale al pari degli Usa, e non è un suo problema che le manchi la volontà politica di sfruttare appieno il proprio potenziale.

Per troppo tempo noi europei abbiamo dato per scontato che è più economico e sicuro lasciare che gli Stati Uniti ci tolgano le castagne dal fuoco, anche quando i problemi sono in casa nostra. Con l’elezione di Trump (e considerato il discutibile retaggio dell’America in politica estera), dobbiamo abbandonare questa convinzione.

L’Ue dovrebbe interpretare l’elezione di Trump come una chiamata a riprendere in mano le redini del proprio destino. Conflitti quali la sanguinosa guerra civile in Siria e l’annessione della Crimea o l’intervento nell’Ucraina orientale da parte della Russia hanno un impatto diretto sulla sicurezza, le economie e le società degli stati membri dell’Ue. Eppure, finora sono stati i russi e gli americani, anziché gli europei, a determinare il destino dell’Ucraina, così come quello di altre zone di confine europee. L’Ue, pertanto, ha abdicato al controllo ultimo della propria sicurezza, rapporti commerciali e flussi migratori.

Nel 2014 è stata intercettata e postata sul web un’eloquente conversazione tra il vicesegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici Victoria Nuland e l’ex ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt. Parlando della risposta Usa in Ucraina – dopo che l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych era fuggito in Russia – Nuland dice, «L’Ue? Si fotta». Questo è un atteggiamento che l’Europa ha consentito, e se è già grave che un funzionario dell’amministrazione Obama abbia espresso un pensiero simile, si può solo immaginare cosa succederà con Trump, che potrebbe non prendersi neppure la briga di nominare un funzionario per gli affari europei ed eurasiatici.

Ecco perché l’Ue non può più rimandare la creazione di una propria Comunità europea di difesa e lo sviluppo di una propria strategia di sicurezza. Il primo intervento dovrebbe puntare a snellire ed espandere i rapporti bilaterali e regionali, non da ultimo con e tra i paesi baltici e scandinavi, nonché tra Belgio e Paesi Bassi, e Germania e Francia. Tutte queste relazioni eterogenee vanno riunite sotto un unico comando europeo, finanziato da fondi comuni e con un sistema di approvvigionamento condiviso d

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Pagati per scendere in piazza. Gli annunci sul web, "vi diamo 15 dollari all'ora per protestare contro Trump"


di Augusto Rubei, 15/11/2016

Seattle, 9 novembre 2016, 24 ore dopo l'elezione di Donald Trump. Leggiamo: "Combatti l'Agenda Trump! Assumiamo attivisti a tempo pieno. Washington Can! È la più radicata associazione politica no-profit del nostro stato. Da oltre 35 anni ci battiamo a livello locale e nazionale su tematiche quali le questioni razziali, il sociale, la sanità, i diritti degli immigrati, l'equità fiscale. Siamo alla ricerca di persone motivate, che sia per un part-time o a tempo pieno. Offriamo dei posti fissi e abbiamo diverse posizioni di lavoro. Offriamo assistenza medica, ferie pagate, giorni di malattia retribuiti, aspettativa. Viaggi. La paga media varia tra i 15 e i 20 dollari l'ora". 

Come facilmente si intende, trattasi di un annuncio di lavoro, anche se non è chiaro di che tipo. Piuttosto chiara è l'associazione promotrice: Washington CAN! è l'acronimo di Washington Community Action Network, una piattaforma molto vicina alla sinistra borghese statunitense. Il messaggio conclude con i recapiti del caso: "Se sei disponibile full time chiama Sol, 206-805-668. Per il part time chiama Nathan, 206-805-6678".

Philadelphia, annuncio più breve ma dello stesso tenore. Data: 5 novembre 2016. Tre giorni prima dell'elezione di Donald Trump. Leggiamo di nuovo: "Stop Trump. Assumiamo subito! Chiama oggi e inizierai domani. Paghiamo dai 15 ai 18 dollari all'ora + bonus + straordinari e garantiamo fino a 77 ore alla settimana. Rimborso benzina, turni serali e di mattina. Non è richiesta alcuna esperienza pregressa, tempo pieno o part time, posizioni per lavorare il weeekend. No raccolta fondi! Nessuna commissione! Chiama 267-606-5147". 

Pittsburgh, sempre 5 novembre 2016. Medesimo annuncio, perfettamente identico a quello di Philadelphia. Cambia il numero di telefono da contattare: "Chiama il 412-417-7632". Il titolo è accattivante, si promettono 1.500 dollari a settimana (che corrispondono a oltre 5.500 euro al mese). Siamo al terzo, nel giro di una decina di giorni a cavallo con l'elezione del tycoon alla Casa Bianca. Cosa hanno in comune queste tre offerte? Primo: fermare Trump; secondo: la paga oraria (molto buona); terzo: il sito web dove sono pubblicate, vale a dire Craigslist, un database molto popolare negli Stati Uniti che ospita annunci dedicati al lavoro, eventi, acquisti, incontri.

Per mesi sono circolate voci in rete sulle manifestazioni di protesta pilotate contro Trump. Nei giorni scorsi è emerso il ruolo di MoveOn dietro la gran parte delle contestazioni sollevate a poche ore dal verdetto elettorale. Parliamo di un'altra piattaforma, che si definisce progressista e che ospita numerose petizioni sul modello di Change.org, fondata come risposta all'impeachment del presidente Bill Clinton, di area "democratica" e finanziata con decine di milioni di dollari da George Soros. 

Non a caso proprio il miliardario filantropo e diversi paperoni liberal che hanno inondato con altri milioni di dollari la campagna elettorale di Hillary Clinton si riuniranno da qui a breve in una tre giorni a porte chiuse per valutare le strade con cui combattere Donald Trump. L'incontro è sponsorizzato dal club dei finanziatori Democracy Alliance e include la partecipazione di alcuni politici di spicco, da Nancy Pelosi alla senatrice Elizabeth Warren.

È impossibile affermare con certezza - come accusato anche dallo staff di Trump in queste ore - che da Portland all'Oregon, passando per Los Angeles, Denver, Minneapolis, Baltimora, Dallas e Oakland, in California, ogni singolo raduno sia stato messo in piedi come se fosse una grande fiction hollywoodiana. Ma il sospetto c'è, così com'è assai probabile che i tre annunci di cui sopra siano orientati a reclutare manifestanti per sovvertire l'ordine, democratico, degli eventi.

A tal proposito, di testimonianze ce ne sono state eccome. La più scioccante è stata quella di un uomo di nome Paul Horner, che ha confessato all'Associated Press di essere stato pagato ben 3.500 dollari per prendere parte a una contestazione anti-Trump in marzo, a Fountain Hills, Arizona. 

Paul, 37 anni, ha spiegato di essere stato ingaggiato dopo aver risposto ad un annuncio su Craigslist. "Al momento del colloquio mi dissero che avevano bisogno di attori per un evento politico. Mi hanno fatto una breve intervista e ho ottenuto la parte. Non so chi fossero queste persone, la mia ipotesi è che facessero parte della campagna Clinton. Il gruppo si faceva chiamare "Le donne sono il futuro". Quando mi hanno assunto mi hanno detto che se qualcuno mi avesse fatto domande avrei dovuto iniziare a parlare di quanto sia bello e bravo Bernie Sanders".

Ma non è finita: "Quando sono arrivato alla manifestazione mi sono accorto di essere circondato da persone che avevo incontrato al colloquio. Ho parlato con alcuni di loro e ho capito che i latini li avevano pagati 500 dollari, 600 i musulmani, 750 gli afro-americani. Donne e bambini sono stati pagati la metà rispetto agli uomini, mentre i clandestini hanno preso 300 dollari. Penso di essere stato pagato più degli altri manifestanti perché ero bianco e avevo preso lezioni di lotta e boxe qualche anno prima".




(english / italiano)

Che dire di Trump?

1) L’alternanza del Potere imperiale (Manlio Dinucci)
2) Welcome to the Trump show! An interview with John Catalinotto


More links:

US ELECTIONS – THE END OF AMERICAN EXCEPTIONALISM? (Zivadin Jovanovic, Belgrade Forum for a World of Equals, 5.11.2016)
...  neither of the two candidates is ready to leave behind the global imperial USA role and strategy designed to suit the interest of  military industrial complex and global financial capital (Wall Street)...  Whoever is elected - Clinton or Trump – will inherit the deepest division in American society as extremely heavy reward to deal with, most likely, during the whole mandate...

JULIAN ASSANGE: “E’ STATA HILLARY A VOLERE LA GUERRA IN LIBIA” (di Stefania Maurizi – L'Espresso / Redazione Contropiano, 5.11.2016)
Un documento di estremo interesse, per chi vuol capire davvero come funziona il potere dell'imperialismo Usa oggi. E soprattutto perché l'informazione mainstream è – ovunque – pura propaganda...

SECRET WORLD OF US ELECTION: JULIAN ASSANGE TALKS TO JOHN PILGER (FULL INTERVIEW – RT, 5 nov 2016)
Whistleblower Julian Assange has given one of his most incendiary interviews ever in a John Pilger Special, courtesy of Dartmouth Films, in which he summarizes what can be gleaned from the tens of thousands of Clinton emails released by WikiLeaks this year.
READ TRANSCRIPT: http://on.rt.com/7ty5
TRAD.: John Pilger intervista Julian Assange (sakeritalia, 6 nov 2016)
Un passo dell'intervista che Julian Assange ha concesso al giornalista australiano John Pilger: l'ISIS è stato pagato dai governi dell'Arabia Saudita e del Qatar, gli stessi che hanno sempre finanziato la Fondazione Clinton. L'intervista completa è qui: https://www.youtube.com/watch?v=_sbT3_9dJY4

INSIDE THE INVISIBLE GOVERNMENT: WAR, PROPAGANDA, CLINTON & TRUMP (John Pilger, 27 October 2016)
... The same fate awaited Slobodan Milosevic once he had refused to sign an "agreement" that demanded the occupation of Serbia and its conversion to a market economy. His people were bombed, and he was prosecuted in The Hague. Independence of this kind is intolerable... If the winner is Clinton, a chorus of commentators will celebrate it as a great step forward for women. None will mention Clinton’s victims: the women of Syria, Iraq and Libya...


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L’alternanza del Potere imperiale 

di Manlio Dinucci, su il manifesto del 15 novembre 2016
rubrica "L'arte della guerra"

La sconfitta della Clinton è anzitutto la sconfitta di Obama che, sceso in campo a suo fianco, vede bocciata la propria presidenza. Conquistata, nella campagna elettorale del 2008, con la promessa che avrebbe sostenuto non solo Wall Street ma anche «Main Street», ossia il cittadino medio. Da allora la middle class ha visto peggiorare la propria condizione, il tasso di povertà è aumentato, mentre i ricchi sono divenuti sempre più ricchi. Ora, presentandosi come paladino della middle class, conquista la presidenza Donald Trump, l’outsider miliardario. 

Che cosa cambia nella politica estera degli Stati uniti con il cambio di guardia alla Casa Bianca? Certamente non il fondamentale obiettivo strategico di rimanere la potenza globale dominante. Posizione che vacilla sempre più. Gli
 Usa stanno perdendo terreno sul piano economico e anche politico rispetto alla Cina, alla Russia e ad altri «paesi emergenti». Per questo gettano la spada sul piatto della bilancia. Da qui la serie di guerre in cui Hillary Clinton ha svolto un ruolo da protagonista. 

Come risulta dalla sua biografia autorizzata, fu lei che in veste di first lady convinse il consorte presidente a demolire la Jugoslavia con la guerra, iniziando la serie degli «interventi umanitari» contro «dittatori» accusati di «genocidio». Come risulta dalle sue mail, fu lei che in veste di segretaria di stato convinse il presidente Obama a demolire la Libia con la guerra e a iniziare la stessa operazione contro la Siria. Fu lei a promuovere la destabilizzazione interna del Venezuela e del Brasile e il «Pivot to Asia» statunitense in funzione anticinese. Ed è sempre stata lei, tramite anche la Fondazione Clinton, a preparare in Ucraina il terreno per il putsch di Piazza Maidan che ha dato il via alla escalation Usa/Nato contro la Russia. 

Dato che tutto questo non ha impedito il relativo declino della potenza statunitense, spetta all’amministrazione Trump correggere il tiro mirando allo stesso obiettivo. Irrealistica è l’ipotesi che intenda abbandonare il sistema di alleanze incentrato sulla Nato sotto comando Usa: sicuramente però batterà i pugni sul tavolo per ottenere dagli alleati un maggiore impegno soprattutto in termini di spesa militare. 

Trump potrebbe ricercare un accordo con la Russia, anche con l’intento di dividerla dalla Cina verso la quale annuncia misure economiche, accompagnate da un ulteriore rafforzamento della presenza militare Usa nella regione Asia-Pacifico. 

Tali decisioni, che porteranno sicuramente ad altre guerre, non dipendono dal temperamento bellicoso di Donald Trump, ma dai centri di potere dove si trova il quadro di comando da cui dipende la stessa Casa Bianca. Sono i colossali gruppi finanziari che dominano l’economia (solo 
il valore azionario delle società quotate a Wall Street supera quello dell’intero reddito nazionale degli Stati uniti). Sono le multinazionali, le cui dimensioni economiche superano quelle di interi stati, che delocalizzano le produzioni nei paesi che offrono forza lavoro a basso costo, provocando all’interno chiusura di fabbriche e disoccupazione (da qui il peggioramento delle condizioni della middle class statunitense). Sono i giganti dell’industria bellica che guadagnano con le guerre. 

È il capitalismo del 21° secolo, di cui gli Usa sono la massima espressione, che crea una crescente polarizzazione tra ricchezza e povertà. L’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99%. 

Alla classe dei superricchi appartiene il neopresidente Trump, al quale il premier Renzi, in veste di Arlecchino servitore di due padroni, ha già giurato fedeltà dopo averla giurata al presidente Obama.
 

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USA : Welcome to the Trump show


The rise to power of the “real Donald Trump” has been met with fear and horror by most observers. Beyond his firebrand discourse against the elites and a campaign centered around awakening a national feeling with the slogan “Make America Great Again”, what will his policies mean for the 99% ? In order to separate truth from fiction in his programme, we have interviewed John Catalinotto, editor of the journal Workers World and keen observer of American politics.

 

Donald Trump will be the next president of the United States. How would you define him ?

Europeans could think of Donald Trump as a combination of the worst characteristics of Silvio Berlusconi and Marine Le Pen. He is personally rich, egotistic and arrogant. He’s taking an executive office to manage the biggest state budget and the most destructive military machine in the world. Plenty of other capitalist politicians, Republicans and Democrats, including Hillary Clinton, also support reactionary and pro-war politics, which are dangerous for the world. What’s different is that Donald Trump openly gives voice and a platform for anti-Muslim, anti-immigrant, racist and anti-women rhetoric and thus his victory promotes a mobilization of the most bigoted segments of U.S. society.

 

Comparing to the policies of the Obama administration, what could change for working class, afro american, latin american as well as for immigrant people?

In the United States, the working class consists of many people of Indigenous, African-American, Latin-American, east and west Asian and Pacific Island heritage, including many immigrants. The workers are men and women; they are LGBTQ. They are employed and unemployed. A large minority of workers are men of European heritage.

I would expect that Trump in the White House and the Republicans controlling both houses of Congress will mean an open attack on all workers, on their unions, on their social benefits. Something like what happened in Argentina when Macri replaced Cristina Kirchner. Something like what happened in the states of Wisconsin and also North Carolina when “Tea Party” Republicans became governors. It’s not that Clinton or even Obama promote workers’ rights, but they did not open a direct attack on these rights.

Obama deported 1-2 million undocumented workers. Trump says he will even more actively deport undocumented immigrants and his election has spread fear in the immigrant community. Trump has spoken out in support of aggressive police tactics, so we can expect Trump’s election to make the cops even more arrogant and aggressive in the Black communities. Trump vilifies Muslims and the worst racists are assaulting Muslims.

But his election has another side. Sophisticated politicians like Obama and even Clinton hide the utter decay of U.S. imperialism. Trump’s election exposes the rot. He is already recruiting his governing “team” from the cesspool of U.S. politics and media. It has aroused not only fear but rage. Tens of thousands of people have come into the streets, many who never demonstrated before in their lives. They now know they cannot remain neutral. They have been propelled to take a stand. Some feel personally under attack by a Trump presidency. Some feel solidarity with groups that are the direct targets and will join organizations that defend them. Whatever the initial spark, once they are in motion their lives can change. It is our job, as revolutionaries, to give direction to that change.

 

How was the mainstream media coverage of Trump’s campaign ? Is Trump the tree that hides the forest?

There are different wings of what I would call the corporate media. There is an establishment media: Wall Street Journal, New York Times, Washington Post, Los Angeles Times, the broadcast TV news and CNN and MSNBC. There is a large ultra-right wing media: Fox News, Murdoch’s newspapers, radio talk shows.

In the beginning of Trump’s campaign he got enormous free publicity from both wings of the corporate media. This was partly driven by Trump’s position as a bizarre billionaire celebrity. Covering him made profits for the media. Plus it injected a good dose of reactionary ideology into the campaign. It created a reactionary “populist” alternative to Bernie Sanders’ campaign.

This media coverage catapulted Trump into becoming the Republican candidate. At that moment, the establishment media tried to undo their creation. The New York Times and Washington Post attacked him in a dozen articles every day. It was too late. The right-wing media supported Trump throughout the campaign.

Regarding what comes next, one thing for sure is that Trump is incapable of “bringing jobs back to the U.S.” by renegotiating or breaking trade pacts. The industrial jobs are gone less because of globalization than because of the inexorable technological advance of capitalist industry. The economic crisis will deepen. Capitalism is at a dead end. The left must find a way to defend the most oppressed sectors of the working class – more than that, it is these sectors that will provide leadership – and unite the whole class first against the reactionary Trump policies and then against the whole rotten capitalist system.

 

What can we expect from his foreign policy?

Actually the decline of U.S. imperialism pushes the government toward adventurous wars no matter who the president is. Obama campaigned to end wars, but has intervened in at least seven countries with military forces and many more through subversion. Hillary Clinton is a pro-Pentagon warmonger. Trump is more erratic, a loose cannon, even though he claims to be ready to negotiate with Russia. He also says he wants to break the deal with Iran and with Cuba. And impose tariffs on China. We must be ready to oppose all new wars.

 

So you believe he will just follow the same course?

Both Trump and Clinton, both the establishment Republicans and the establishment Democrats and even the Bernie Sanders wing serve the interests of U.S. imperialism. Imperialism is not a policy of a group of politicians. It is an economic system that means the domination of finance capital. The current failure of this system to generate profits by relatively peaceful measure means that whoever is at the helm of U.S. imperialism has enormous pressures driving them toward war.

Everyone who is aware of the events of the last decade knows that Hillary Clinton supported all the wars: against Afghanistan, Iraq, Libya, Syria, the subversion against Venezuela and other progressive nationalist governments in Latin America. If they follow closely, they know that even though Obama came into office with plans to end the U.S. interventions in Afghanistan and Iraq, the Pentagon pushed him to first increase troops in Afghanistan and that the U.S. has now begun to reintroduce troops into Iraq. In Syria a temporary agreement between the U.S. and Russia was almost immediately sabotaged by a military attack that had the support of elements of the U.S. state apparatus, certainly of the Pentagon.

Trump has never been involved in U.S. foreign policy decisions so he has no track record. What he said during the election campaign was aimed at what he believed would help his chances for elections. It may have little to no relation to what he actually does in office. Sometimes what he says in the beginning of one sentence is contradicted by what he says at the end of the sentence. He said the U.S. will recognize Jerusalem as capital of Israel, that he will break the deal with Iran and with Cuba. He also said he would follow a more open policy of negotiations with Russia. I doubt any serious government has confidence in his words of peace. We in the small pro-communist movement here certainly have no confidence he will wage a less aggressive policy. We need to build a movement here that can fight both U.S. imperialism abroad and his reactionary policies at home.

 

And how should this movement emerge?

There is a certain amount of confusion in the anti-imperialist movement in Europe about Trump’s role. One can understand the Schadenfreude about Clinton’s defeat. They all know how aggressive Clinton is. They may have given up on the U.S. working class. But we in the United States need to develop a movement against U.S. wars. We can only do it if the most oppressed sectors of the U.S. working class not only join in but lead this struggle. Those abroad who gloat over Trump’s victory alienate the immigrants, the Black population, the activist women, the LGBTQ people, the Muslims, all who fear a Trump presidency or better, are moved to rage against a president who is “not their president.”

The only positive thing that came out of this disgusting 18-month-long bourgeois election is that thousands of people have been demonstrating day after day since the election against the new president. Some may be for Hillary Clinton for some misguided reasons, but mainly those in the streets are against Trump and all he stands for. They are not in the streets because he says he’ll negotiate with Russia. Those here who want to fight imperialist war have to be in the streets with all these people. They are frightened, they are angry, they are going through a change, they are reexamining all their ideas. We have to be with them to try to win them to fight not only Trump’s racism, sexism and xenophobia but all imperialist war.

 

John Catalinotto has been active in anti-imperialist politics since the October Missile Crisis in 1962. Since 1982, he has been managing editor of Workers World, the last pro-communist newspaper still published weekly in print in the USA. He was a co-organizer of the Yugoslavia War Crimes Tribunal in New York in June 2000 and the Iraq War Crimes Tribunal in New York in 2004, both with the International Action Center, a U.S.-based organization founded by Human Rights activist Ramsey Clark. He has edited and contributed to two books, Metal of Dishonor about depleted uranium and Hidden Agenda: the U.S.-NATO Takeover of Yugoslavia. He has an upcoming book, Turn the Guns Around: Mutinies, Soldier Revolts and Revolutions.

Alex Anfruns is a lecturer, journalist and editor-in-chief of independent media outlet Investig’Action in Brussels. In 2007 he helped direct the documentary “Palestina, la verdad asediada. Voces por la paz” (available with catalan, spanish, english and arabic subtitles). Between 2009 and 2014 he made several trips to Egypt and the occupied Palestinian territories. He has edited the monthly Journal de Notre Amérique since 2015.

 

Source: Investig’Action

This article is also available in : French




(français / srpskohrvatski / english / italiano)

Dittatura Mogherini in Montenegro

Tra brogli ai seggi, blocco delle comunicazioni whatsapp e addirittura una clamorosa messa in scena con l'invenzione di un colpo di Stato inesistente, il camorrista 
Milo Đukanović alle ultime elezioni ha mantenuto il suo potere dispotico. Pochi giorni dopo ha però annunciato che non ricoprirà la carica di primo ministro: al suo posto un fedelissimo. Una mossa che – pur garantendogli continuità di potere – è volta ad accontentare le cancellerie occidentali per le quali la figura di Đukanović è molto ingombrante, ma è indispensabile per garantire la adesione della repubblichetta alla UE ed alla NATO contro la volontà della maggioranza della popolazione.


1) ONG raccoglie 117 denunce penali e 490 segnalazioni per brogli elettorali, Mogherini-Hahn (UE): "Elezioni 'ordinate', ora accelerare con riforme" / MANS PODNIO 117 KRIVIČNIH PRIJAVA, PRIMILI POZIVE OD 490 GRAĐANA
2) Montenegro: nuovo premier, solito governo (Nela Lazarević, 28/10/2016)
3) FLASHBACK: NATO in Montenegro: Securing the rear before Barbarossa II? (Nebojsa Malic for RT – 26 May, 2016)


Altri link segnalati:

LA NATO SI ESERCITA IN MONTENEGRO, LA RUSSIA RISPONDE IN SERBIA (PTV News 4 Novembre 2016)

MONTÉNÉGRO : LE CHEF PRÉSUMÉ DES « TERRORISTES » DU 16 OCTOBRE AVAIT COMBATTU EN UKRAINE (Vijesti, 5 novembre 2016)
Il serait l’un des principaux organisateurs de la tentative de « coup d’État » ratée du 16 octobre dernier. Le ressortissant serbe Aleksandar Sinđelić est détenu depuis le 1er novembre à la prison de Spuž, au Monténégro. L’homme est également recherché par la justice ukrainienne, car il aurait combattu aux côtés des forces pro-russes dans ce pays...

MONTENEGRO: DJUKANOVIC IMBARAZZA L’OCCIDENTE (PandoraTV, 31.10.2016)

DIKIĆ TVRDI DA SU MU DOKAZI PODMETNUTI (Bojana Jovanović, oktobar 24, 2016)
Bratislav Dikić, bivši komandant Žandarmerije, koji je pre devet dana uhapšen u Crnoj Gori zbog sumnje da je planirao napad na državne institucije tokom izborne noći, rekao je da su mu dokazi podmetnuti, piše u izveštaju Saveta za građansku kontrolu rada policije... [<< Među stranim institucijama i fondacijama koje su pomogle naš rad do sada su: OCCRP, National Endowment for Democracy (NED), Open Society Foundations (OSF), Rockefeller Brothers Fund (RBF) i Civil Right Defenders (CRD)... >>]
TRAD.: VRAI FAUX PUTSCH RATÉ AU MONTÉNÉGRO : L’ANCIEN CHEF DE LA GENDARMERIE SERBE DÉNONCE UN COUP MONTÉ (Krik | Traduit par Chloé Billon | jeudi 27 octobre 2016)
Un putsch raté le soir des législatives ? L’ancien chef de la gendarmerie serbe, Bratislav Dikić, arrêté au Monténégro le 16 octobre avec dix-neuf individus, dénonce un coup monté. Les preuves contre lui ont été fabriquées de toutes pièces, affirme-t-il. Belgrade assure ne rien savoir. Mais d’autres personnes, soupçonnées de fomenter un coup d’État au Monténégro, ont depuis été interpelées en Serbie, a déclaré le Premier ministre serbe Vučić...

MONTÉNÉGRO : MILO ĐUKANOVIĆ NE SERA PAS PREMIER MINISTRE (Courrier des Balkans | Par la rédaction | mercredi 26 octobre 2016)
Après plus d’un quart de siècle au pouvoir, l’homme fort du Monténégro, Milo Đukanović, ne se représentera pas à sa propre succession au poste de Premier ministre, a annoncé son parti, le DPS. Il sera remplacé par un de ses proches alliés, Duško Marković...

HAOS U CRNOJ GORI: GLOBALNO SA BORISOM MALAGURSKIM (BN) (Boris Malagurski, 21 ott 2016)
Sezona 2 | Epizoda 1. Gosti: Adam Šukalo, Čedomir Antić, Darko Trifunović, Srđan Perišić
Tema: Šta se, zapravo, desilo na izborima u Crnoj Gori i šta se dešava u regionu?
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=oP0EdjFoMdQ
Emisija „Globalno sa Borisom Malagurskim“ bavi se svetskim temama iz domaće perspektive i domaćim temama iz svetske perspektive, kroz diskusiju sa relevantnim stručnjacima iz našeg regiona, kao i intervjue sa stranim ekspertima širom sveta.
Facebook: http://www.facebook.com/malagurski
Podržite novi film Borisa Malagurskog: http://www.WeightOfChains.ca/3/

LÉGISLATIVES AU MONTÉNÉGRO : LA « MANIP’ » DE TROP POUR MILO ĐUKANOVIĆ ? (par Andreas Ernst, Neue Zürcher Zeitung / Vijesti | Traduit par Jasna Tatar Anđelić | jeudi 20 octobre 2016)
Dimanche, le DPS de l’indéboulonnable Milo Đukanović a remporté un succès étriqué lors des législatives, nouvelle preuve de son essouflement après un quart de siècle de pouvoir ininterrompu. L’opposition dénonce de nombreuses irrégularités et une obscure « tentative de coup d’État » serbe orchestrée par le pouvoir pour mieux remobiliser ses troupes. Si le gospodar reste encore maître de la situation, le Monténégro est-il à la veille d’un chamboulement politique ?...

ELEZIONI IN MONTENEGRO: PAESE SPACCATO IN DUE. LA MOGHERINI DICE CHE TUTTO È ANDATO BENE (PandoraTV, 19.10.2016)
VIDEO: https://youtu.be/synEBPGUKI4?t=5m18s

MONTÉNÉGRO : L’OPPOSITION REFUSE DE RECONNAÎTRE LES RÉSULTATS DES LÉGISLATIVES (Courrier des Balkans | mardi 18 octobre 2016)
Les partis d’opposition s’allient pour dénoncer les fraudes et les irrégularités lors des élections législatives du 16 octobreIls dénoncent surtout l’instrumentalisation par le DPS de l’arrestation de 20 serbes soupçonnés d’avoir fomenté un coup d’État. Explications.

MONTENEGRO: ANCORA ĐUKANOVIĆ (17/10/2016 -  Nela Lazarević)
... Come durante tutte le elezioni precedenti, nemmeno questa volta sono mancate le accuse di abusi di potere, ma in assenza di una divisione tra i poteri dello stato più netta rimangono poco più che grida nel vuoto.
Nei giorni scorsi i media locali hanno riferito di numerosi casi di compravendita di voti, pubblicando liste con nomi di persone che hanno ottenuto soldi in cambio del proprio voto; di acquisti di carte d'identità da parte di attivisti del Dps e di centinaia di emigrati montenegrini rimpatriati con biglietti andata/ritorno pagati dal partito di Đukanović. Infine, durante la giornata elettorale, l'organizzazione non-governativa anti-corruzione Mans ha presentato 117 denunce di abusi, riferendo che elementi d'abuso sono stati registrati in quasi tutti i seggi, per lo più relativamente alla violazione del diritto ad un voto libero e segreto.
Anche questa volta si è parlato di come il potere di Đukanović fosse più debole che mai. Ma si fatica ancora a vedere, anche in futuro, un Montenegro senza di lui.
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Montenegro-ancora-Dukanovic-174936

DJUKANOVIC VINCE TRUCCANDO LE ELEZIONI (PandoraTV, news 17 Ottobre 2016)

IL MONTENEGRO TRA "MONDO LIBERO" E CREMLINO (JUGOINFO 16.10.2016)
... Il premier serbo Vučić opportunamente commenta: "A me che tutto questo succeda proprio il giorno delle elezioni pare molto strano, ma è meglio che sto zitto"...

FLASHBACK – INTERVISTA A ANDRJIA MANDIC: “In Europa sì, ma al primo posto l’interesse nazionale” (PandoraTV, 14/10/2016)
Domenica 16 ottobre 2016 si terranno in Montenegro le elezioni parlamentari. Il Partito democratico dei socialisti, capeggiato da Milo Đukanović, eletto da OCCRP “uomo dell’anno del crimine organizzato” nel 2015, spera di strappare un settimo mandato come primo ministro. A poche ore dalle elezioni, Giulietto Chiesa intervista in esclusiva per Pandora TV Andrjia Mandic, leader di Nuova Serbia Democratica, maggiore partito d’opposizione. Non si tratta di una sfida locale riguardante una popolazione di 600mila abitanti. La posta in palio è ben più alta perché, nemmeno troppo dietro alle quinte, ci sono anche gli interessi di Washington e Mosca. Se a vincere fosse ancora Đukanović, il Montenegro, a un passo dal divenire il 29esimo membro della NATO e impegnato nell’avvicinamento all’Unione europea, potrebbe rinfocolare tutte le perplessità sulla solidità delle sua democrazia.

Sul regime atlantista instaurato in Montenegro da un quarto di secolo si veda la documentazione raccolta al nostro sito:


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La ONG MANS ha raccolto 117 denunce penali e 490 segnalazioni per brogli elettorali:


KONAČNI PODACI ZA IZBORNI DAN: MANS PODNIO 117 KRIVIČNIH PRIJAVA, PRIMILI POZIVE OD 490 GRAĐANA (MANS 16.10.2016)

U toku izbornog dana MANS je kontaktiralo 490 građana, a na osnovu obezbijeđenih dokaza i svjedoka Specijalnom tužilaštvu smo podnijeli ukupno 117 krivičnih prijava zbog sumnji da su počinjena krivična djela protiv izbornih prava.
Većina krivičnih prijava se odnosi na kupovinu ličnih karata, pritiske i predizborna potkupljivanja birača.
Pozivamo Specijalnog tužioca da obavijesti javnost o rezultatima postupanja tužilaštva i policije po krivičnim prijavama podnešenim u toku izbornog dana.
MANS se zahvaljuje na ukazanom povjerenju svim građanima koji su nas tokom izbornog dana kontaktirali tražeći pomoć u ostvarivanju biračkog prava, ali i ukazivali i prijavljivali izborne zloupotrebe i krivična djela.

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Montenegro: Ue, elezioni 'ordinate' [sic], ora accelerare con riforme

Mogherini-Hahn, Paese continui integrazione euro-atlantica [sic]

ANSA – 18 ottobre – BRUXELLES - Le elezioni in Montenegro si sono svolte in maniera "calma e ordinata" [sic], ora "aspettiamo la costituzione di un nuovo parlamento, la rapida formazione di un nuovo governo e la continuazione del cammino stabile del Montenegro verso l'integrazione euro-atlantica" [sic]. Questo il commento dell'Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini, e del commissario all'Allargamento Johannes Hahn sull'esito delle elezioni in Montenegro, vinte [sic] dal Partito democratico dei socialisti (Dps) del premier uscente Milo Djukanovic. Le opposizioni hanno detto di non riconoscere il risultato delle elezioni a causa di presunte [sic] irregolarità.
"Gli osservatori dell'Odihr (l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell'Ocse, ndr) nel loro resoconto preliminare hanno affermato che le elezioni parlamentari si sono svolte in un ambiente competitivo [sic] e sono state caratterizzate da un generale rispetto delle libertà fondamentali" [sic]  fanno notare Mogherini e Hahn in una nota congiunta. "Qualsiasi caso di irregolarità procedurali osservato deve essere debitamente seguito [sic] alle autorità competenti" puntualizzano, indicando però che "i mesi a venire devono essere usati per rafforzare e accelerare le riforme economiche e politiche" nel Paese, "in particolare nello stato di diritto [sic], dove vogliamo vedere un'implementazione anche più forte" [sic].


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Montenegro: nuovo premier, solito governo


Đukanović non sarà più premier. Al suo posto il fedelissimo - ex capo dei servizi segreti - Duško Marković. I retroscena della recente tornata elettorale

28/10/2016 -  Nela Lazarević

Dopo aver ottenuto il 41% dei voti alle politiche dello scorso 16 ottobre, il Partito democratico socialista (DPS), che governa il Montenegro ininterrottamente dal 1991, ha nominato a guida del nuovo governo Duško Marković, ex capo dei servizi segreti, da decenni noto come uno dei principali uomini di fiducia del premier uscente, Milo Đukanović.

Per la terza volta da quando è al potere, Đukanović ha annunciato quindi il suo ritiro, sempre però con il vantaggio di essere lui stesso - dalla posizione di capo del partito - a nominare il proprio successore, mantenendo una forte influenza pur non governando direttamente. Non sorprende quindi che anche questa volta a rimpiazzarlo sia stato scelto un suo fedelissimo.

All’Ue e alla Nato quest’ultima mossa da scacchi di Đukanović fa comodo, in quanto toglie di mezzo, almeno in apparenza, uno scomodo e controverso leader che governa da quasi tre decenni un paese prossimo all’adesione. Per Đukanović, significa il lusso di poter mantenere le redini del potere, pur ritirandosi (o come sospettano alcuni, prendendosi una pausa) dall’incarico del quale si diceva stanco già dieci anni fa.

Elezioni "calme e ordinate"

Bruxelles è sembrato avere fretta nel definire le elezioni del 16 ottobre come ‘calme e ordinate’, svolte in un ambiente “competitivo”. Una valutazione in dissonanza con il (presunto?) tentato colpo di stato e la decisione del governo di bloccare Whatsapp e Viber il giorno delle elezioni.

Per Daliborka Uljarević, direttrice del Centro per la transizione democratica, CDT, le elezioni si sono svolte, “a dir poco, in un clima di tensione”, mentre le numerose irregolarità hanno “messo in seria discussione la legalità e la legittimità della giornata elettorale”.

Due settimane prima delle elezioni il ministro degli Interni Goran Danilović - rappresentante dell’opposizione nel governo Đukanović, rimpastato con lo scopo di garantire un maggiore controllo del processo elettorale - ha rifiutato di firmare il registro elettorale per via di decine di migliaia di nominativi ritenuti irregolari, senza però riuscire a bloccare le elezioni in attesa della soluzione delle irregolarità. Alcune ong, tra cui MANS, hanno parlato persino di 120 mila nomi irregolari sui 590 mila aventi diritto al voto in Montenegro: quasi un quinto. Mentre il Fronte democratico (DF), la maggior forza di opposizione, ha parlato di almeno 80 mila nomi falsi (morti, espatriati, ecc). Inoltre, numerose sono state le accuse di irregolarità durante la giornata elettorale (più di cento denunce presentate solo da MANS) e numerosi gli episodi di compravendita dei voti con tanto di prove riportate dai media locali.

Ma due episodi hanno particolarmente dato alla giornata elettorale un’aria da regime tutt'altro che libero e sicuro: il tentato colpo di stato e la decisione del governo di sospendere Whatsapp e Viber fino alla chiusura dei seggi.

Mentre i cittadini si recavano alle urne, le autorità annunciavano di aver arrestato 20 uomini di nazionalità serba con l’accusa di aver programmato di aggredire la polizia davanti al Parlamento e annunciare la vittoria di un partito, non meglio precisando quale, di loro scelta. Tra gli arrestati, l’ex capo della gendarmeria serba in pensione, Bratislav Dikić.

Molti, compresa la Uljarević di CDT, hanno descritto questo evento come “cinematografico” per via della tempistica e delle modalità con cui l’evento si è sviluppato, in contemporanea con la tornata elettorale. Mentre Đukanović insinuava il coinvolgimento delle forze vicine alla Russia, per l’opposizione si trattava di una messa in scena da parte di Đukanović stesso, che avrebbe potuto usarlo nel caso di sconfitta elettorale per annullare le elezioni e inasprire il suo controllo sul paese.

Intanto, anche il premier serbo Aleksandar Vučić ha annunciato lo scorso lunedì che le autorità di Belgrado hanno arrestato diverse persone con l’accusa di aver pedinato Đukanović programmando attività illegali in Montenegro, sottolineando l’assenza di collegamenti degli arrestati con il governo serbo.

Per Uljarević si è trattato di “un evento che ha disturbato i cittadini, mentre le istituzioni, fornendo informazioni selettive e agendo con modalità insolite, hanno innalzato la tensione durante la giornata elettorale aprendo la questione della legittimità o meno delle elezioni”.

Il blocco di Whatsapp e Viber

Il giorno delle elezioni, dalle 17 alle 19.30 Whatsapp e Viber non erano disponibili in Montenegro. L’ente competente, l’Agenzia per le comunicazioni elettroniche, si è giustificata annunciando che è stata una decisione mirata “a proteggere i cittadini” da un’inondazione di messaggi di contenuto politico. Una decisione del tutto legale e in linea con gli standard internazionali, hanno precisato.

Per Uljarević con questa decisione l’Agenzia si è messa “al servizio del partito di Đukanović”.

“L’agenzia è giunta a questa decisione per proteggere il DPS, contro il quale erano partiti numerosi messaggi. Questo tipo di limitazione dei mezzi di comunicazione contrario alla volontà degli utenti rappresenta una chiara violazione degli standard democratici”, ha osservato l’analista.

In effetti, come precisato dalla stessa Agenzia, si è trattato di messaggi anti-Đukanović, e in particolare di un messaggio in cui si invitavano i cittadini a votare, e si facevano riferimenti a episodi di compravendita di voti. Così recita il messaggio:

“Il Partito democratico socialista (DPS) sta organizzando i bosgnacchi e gli albanesi e l’intera diaspora e paga 250 a voto. Zijad Škrijelj, residente in Francia, ha detto al quotidiano Vijesti che è stato invitato da Izet Škrijelj, membro del consiglio comunale a guida DPS a Petnjica, promettendogli 250 euro per le spese di viaggio. Questo sta accadendo in tutto il Montenegro tra i bosgnacchi e gli albanesi. Non permettete al DPS di rubare altre elezioni - andate a votare!!!”

“In questo contesto, è difficile aspettarsi che il Montenegro possa ottenere un governo stabile e credibile solo col DPS e i suoi partner tradizionali, ed anche che un governo del genere sia capace di portare a termine le riforme e le sfide richieste dal processo di adesione all’Ue e alla Nato, con un consenso adeguato da parte dei cittadini”, ha concluso la Uljarević, sottolineando che “è riduttivo dire che che la scelta tra DPS e l’opposizione era una semplice opzione pro-Ue o pro-Russia”, dato che oltre all’euroscettica e pro-russa coalizione DF (20% di voti) tra le forze dell'opposizione vi era tutta una serie di piccoli partiti pro-europei che non hanno ottenuto risultati soddisfacenti pur essendo entrati in Parlamento.


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NATO in Montenegro: Securing the rear before Barbarossa II?

Nebojsa Malic for RT. Published time: 26 May, 2016

The strategic importance of Montenegro is inversely proportional to its size. With it, NATO will have full control of the Adriatic Sea, finish the encirclement of Serbia, and be emboldened to pursue a more aggressive stance towards Russia.
Last week, the government of Montenegro signed a protocol on joining the North Atlantic Treaty Organization. If ratified by the Alliance’s other 28 members – and it will be – the membership may become a formality by the end of this year. While the country has a population fewer than 700,000 and no more than 1,500 members of the military, the reason NATO wants Montenegro is not its military might, but in equal measures strategic location and symbolism.
Geographically speaking, the country is a natural fortress, and could be held against an invading force by a much smaller number of defenders, Thermopylae-style. That is precisely what the Montenegrin Army did at Mojkovac in 1916, protecting the flank of the retreating Serbian Army against a numerically superior Austro-Hungarian force.
Then there is the symbolism part. Back in the 15th century, even after they successfully overran the Serbian principalities of the central Balkans and advanced on Vienna, the Ottoman Turks found that they could never fully subjugate the mountain clans of Montenegro. After trying many times and failing, they settled for exacting tribute instead. This enabled the small Orthodox Serb community to preserve their faith, culture and memories – until their statehood could be resurrected in the 1800s. The Prince-Bishops of Montenegro were a loyal ally of Imperial Russia, to the point of declaring war on Japan in 1904 in solidarity with the Tsar.
Montenegro united with Serbia in 1918, and soon thereafter became part of the Kingdom of South Slavs, later known as Yugoslavia. It stayed in the union with Serbia even after Yugoslavia was dismembered by the EU and NATO in the early 1990s. It, too, was bombed by NATO airplanes in 1999, when the Alliance attacked Yugoslavia in support of the ethnic Albanian separatists in Kosovo. When NATO sought to drive a wedge between Serbia and Montenegro by sparing the latter, the following graffiti appeared in the city of Niksic: “Bomb us too, we’re not lepers.”
Yet the leader of Montenegro, Milo Djukanovic, decided to switch allegiances after that war. Having come to power in 1989 as a fierce supporter of union with Serbia, he reinvented himself a decade later into the biggest anti-Serb in the former Yugoslavia, a fairly daunting task.
Djukanovic aided the US-backed activists in their October 2000 coup that seized power in Belgrade, arguing that Montenegro’s suddenly-discovered problems with Serbia were due to a deficit of democracy. Within months, however, he was campaigning for independence. NATO and the EU were happy to oblige. They first negotiated an agreement between Montenegro and Serbia, abolishing the very name of Yugoslavia and proclaiming a “State Union.” Within three years, right on script, Djukanovic called a referendum on independence.
video surfaced of Djukanovic agents openly buying votes, persuading people to “break their minds” and vote yes. Tens of thousands of Montenegrins living in Serbia were disenfranchised, while buses and charter jets of ‘Bosnians’ and ‘Kosovars’ were brought in. On May 21, 2006, the separatists won by fewer than 2,000 votes, or 0.5 percent. The US-controlled government of Serbia shrugged and accepted the outcome.
Djukanovic proceeded to turn Montenegro into a virulently anti-Serb society, establishing a new “Orthodox Church,” proclaiming a new language, and essentially redacting all mention of the country’s Serb identity from history books and literature. The crowning achievement of this ‘identity change’ would be membership in NATO and the EU.
The regime in Belgrade, which oscillates madly between practical submission to NATO and gestures of eternal friendship towards Russia, doesn’t appear too concerned about Montenegro’s membership in the aggressive military bloc. Neither, for that matter, does Moscow.
“This is their personal matter, it’s their personal choice. It’s up to them to decide on this. If they think that this will benefit their national security, then this is so,” is how Yevgeny Lukyanov, Deputy Secretary of Russian Security Council, commented on Montenegro’s NATO membership to reporters on Monday, according to TASS.
Is it? So, one supposes, was the choice faced by Regent-Prince Pavle Karadjordjevic of Yugoslavia in March 1941, when Hitler and Mussolini pressured him to join the Tripartite Pact, promising safety in the Axis rear. Traumatized by the bloodbath of WW1, his government signed the pact, only to be overthrown in a coup two days later. The enraged Hitler – who needed the Balkans pacified before he could launch his invasion of the Soviet Union – ordered Yugoslavia “wiped off the map,” postponing Operation Barbarossa from mid-May to late June. The end of that particular story was commemorated on May 9 – though hardly by any NATO members, one should note.
Yugoslavia was literally decimated, and the USSR lost almost 27 million people fighting the Nazis, only for the modern map of Europe to look eerily like it did in 1942. Many of Hitler’s allies then are NATO members now, and German troops are once again in artillery range of Leningrad (now called St. Petersburg). Having secured Montenegro and expecting no resistance from “softly”occupied Serbia, NATO may be emboldened to act even more aggressively towards Russia. This is madness, of course, but there is an alarming lack of sanity in Brussels and Washington these days.
That is why Montenegro matters.



In anni recenti l'Italia ha partecipato a guerre di aggressione contro Stati vicini, senza nemmeno che il Parlamento fosse coinvolto attraverso la deliberazione dello stato di guerra come previsto costituzionalmente. La controriforma costituzionale, su cui i cittadini dovranno esprimersi il prossimo 4 dicembre, rende il passaggio parlamentare una pura formalità garantendo anche a un governo di minoranza (non rappresentante cioè la maggioranza assoluta dei votanti) il via libera per le guerre prossime venture. 
[In merito all'attentato contro la Costituzione perpetrato nella primavera del 1999 con l'aggressione alla vicina RF di Jugoslavia si veda la documentazione raccolta sul nostro sito: https://www.cnj.it/24MARZO99/giudiziario.htm ]


La riforma, la guerra e il “rischio Stranamore”


Il nuovo articolo 78 della Costituzione: «La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari». Sparito il Senato, decide la sola Camera eletta con la nuova legge elettorale che dà la maggioranza assoluta a una minoranza fedele al Presidente del Consiglio


Nella Costituzione vigente (quella approvata nel dicembre ’47 dall’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946) la guerra è regolata da due articoli: il primo, l’art. 78, recita «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari»; il secondo, l’art. 87 – che riguarda le attribuzioni del Presidente della Repubblica – recita al comma 9 che «[Il Presidente] dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere».
Nel progetto di revisione targato Renzi-Boschi i numeri degli articoli e dei commi restano immutati, salvo che all’espressione “le Camere” viene sostituita la sola “Camera dei deputati”. Leggiamo l’art. 78 nella sua interezza: «La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari».
Quindi una decisione così coinvolgente e devastante per il Paese intero – la guerra –, che competeva alle due Camere, viene ora attribuita alla sola Camera dei deputati, che delibera a maggioranza assoluta di entrare in una situazione che potrebbe risultare rovinosa per tutto il Paese e che trova una sanzione etico-politica fortissima nell’art. 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni…». Notiamo un particolare che ha un’importanza che si spiega da sola: le Camere di cui recita l’art. 78 della Costituzione “dei padri” erano elette con sistema elettorale proporzionale, sì che le loro decisioni rispettavano pienamente la più importante delle declamazioni della Costituzione, quella dell’art. 1, comma 2: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», poiché il sistema elettorale proporzionale garantiva la reale rappresentanza popolare, senza “forzature” di alcun tipo.
Ma questa formulazione dell’art. 78 (quello modificato) appare come un’altra mancanza di “coerenza interna” della proposta Renzi-Boschi. Infatti appare contradditorio (è stato uno degli argomenti dell’intervento del 6 settembre scorso) che al Senato, che «rappresenta le istituzioni territoriali» (art. 55 comma 4), si attribuisca poi il compito di esercitare la funzione legislativa «per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali» (oltre che per molte altre, secondo l’art. 70 comma 1, con le sue lunghe 193 parole), nonché quello della «ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» (art. 80) – questioni entrambe delle quali non si comprende il nesso con gli interessi precipui delle “istituzioni territoriali” –; appare poi una clamorosa “contraddizione nella contraddizione” che quel medesimo Senato non debba partecipare ad una decisione veramente “di vita e di morte” quale quella della “deliberazione dello stato di guerra”. Pare evidente che anche questo art. 78 rappresenti un “anello debole” – non l’unico, purtroppo – della riforma della Costituzione.
Fin qua si è all’interno del dominio costituzionale“. Ma c’è di più, perché sullo sfondo c’è, preoccupante e pericoloso, il “contesto elettorale” – che non è parte della Costituzione, ma ad essa è intimamente connesso – della legge denominata Italicum o, se pure questa venisse modificata (molti, anche all’interno del Pd, ora “spingono” in quella direzione perché temono che il ballottaggio potrebbe consegnare la vittoria non al loro partito ma all’aborrito M5S), di una legge elettorale comunque ipermaggioritaria, tale che assegna un impropriamente definito “premio di maggioranza” (un dispositivo che un costituzionalista come Gianni Ferrara ha definito «falso nel nome, nel contenuto e negli effetti») ad una lista nettamente minoritaria (si può dire meno minoritaria, ma pur sempre minoritaria), trasformando così la minoranza politica in maggioranza numerica. L’Italicum infatti (quello che conosciamo a tutt’oggi) come si sa attribuisce 340 seggi della Camera – pari al 54% dei 630 complessivi – alla lista che esce vincitrice dal ballottaggio, al quale accedono le due liste che prendono più voti al primo turno di votazioni, senza alcuna soglia di partecipazione minima di votanti né al primo turno né al ballottaggio (è giusto che si chiami “Italicum“: non c’è alcun altro Paese al mondoche adotti un sistema elettorale come questo. Ma non c’è da andar fieri di questa “unicità”). È del tutto evidente che in questo modo è sicuro che la maggioranza parlamentare assoluta venga assegnata ad un unico partito (è stato proprio questo, d’altronde, il fine dichiarato della legge) che rappresenta il 20% – o anche meno – degli elettori complessivi aventi diritto (come ad esempio il 30-35% dei consensi sul 50-60% dei votanti), con l’aggravante che quel partito è fortemente controllato – per i meccanismi di formazione delle liste prima ed elettorale poi – dal suo Capo. Che questa maggioranza assoluta così creata alla Camera, in realtà minoranza assoluta nel Paese, ed il Capo che la controlla, abbiano il diritto di decidere di portare il Paese alla guerra è un fatto che suona oltraggio alla logica prima ancora che alla democrazia, che viene deprivata del diritto di decidere sulla vita stessa dei cittadini con una maggioranza adeguata all’importanza del tema. Quantomeno si sarebbe dovuto alzare la soglia di decisione a due terzi della Camera dei deputati (una maggioranza qualificata) o, meglio ancora, fissare la condizione di una maggioranza qualificata delle due Camere in seduta comune: sia per rendere la decisione più inclusiva (e più difficile, perché no), sia per sottrarla alla potestà unica del partito che detiene, grazie al “premio”, la maggioranza assoluta.

Ciascuno di noi si può immaginare uno scenario (da incubo) nel quale sia arrivato al potere, per circostanze fortunose agevolate dalla “legge ipermaggioritaria”, un personaggio irresponsabile (quello che – ognuno a sua scelta – più disistima e detesta), che si troverebbe fra le mani un “giocattolo” mortale (la vecchia ma non dimenticata finzione cinematografica del “Dottor Stranamore” di Kubrick rischierebbe di trasformarsi in tragica realtà). Ciascuno di noi deve chiedersi: vogliamo davvero correre questo rischio, a prescindere da chi è oggi al Governo, ma in un futuro imprevedibile che non si può escludere? Potremmo mai perdonarcelo, se dovesse succedere? Una prospettiva del genere – nei tempi pericolosi ed ormai “stabilmente instabili” in cui viviamo, nei quali, purtroppo, la guerra è una possibilità tutt’altro che remota: gli ammonimenti di Papa Francesco, continui ed accorati, lo confermano – mette francamente i brividi: si devono assolutamente alzare le soglie di decisione e renderle più partecipate, non abbassarle e farle più ristrette.
Quell’anello costituzionale, da “debole” che già era, combinato con lo scenario elettorale diventa “debolissimo”, e rischia che nello spezzarsi ci faccia precipitare tutti in un gorgo: è un’altra delle ragioni di sostanza – e che sostanza! – per votare No.

PUBBLICATO LUNEDÌ 31 OTTOBRE 2016


(srpskohrvatski / italiano / français / english)

Ustascia e banderisti / 2:
Ufficiali Croati addestrano e giustificano i loro concittadini che si battono per il governo di Kiev

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Sullo stesso tema si vedano anche:

NAZIFASCISTI CROATI - USTASCIA - IN APPOGGIO A NAZIFASCISTI UCRAINI - BANDERISTI
Fotografie e links

НА ИСТОК ИДЕ САТНИЈА (ЉУБАН КАРАН, 11 јул 2016)
Зашто упућивање хрватске јединице на границу Русије изазива еуфорију и одушевљење код већине Хрвата? ...

CROATIE : LES VOLONTAIRES DU BATAILLON AZOV INTERDITS DE SÉJOUR EN UKRAINE (Bilten | Traduit par Chloé Billon | vendredi 27 mai 2016)
Après avoir longtemps eu recours à des bataillons d’irréguliers pour mener la guerre dans l’Est du pays, Kiev vient d’interdire l’entrée sur son territoire aux volontaires croates du bataillon Azov. Une reprise en main des forces de sécurité ukrainiennes qui s’effectue sous la pression des Occidentaux...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/retour-des-engages-volontaires-croates-en-ukraine.html

HRVATI KOJI RATUJU U UKRAJINI DOBILI ZABRANU ULASKA U ZEMLJU (22.05.2016. - Piše Marijo Kavain)
Izgleda da su ukrajinske vlasti počele 'čistiti' svoje oružane formacije od stranih boraca od kojih je najveći dio pristigao iz raznih europskih krajnje desničarskih grupa i pokreta...

CROATIAN VOLUNTEER FIGHTER HELPS UKRAINIANS DEFEND THEIR COUNTRY (UT Exclusive, 21 set 2015)
Ukraine Today talks to Denis Šeler Croatian volunteer fighter, Azov Regiment, who has been fighting in east Ukraine alongside Ukrainian armed forces for more than eight months. "The situation in Ukraine is very similar to what happened to Croatia 25 years ago"...

CROATIAN VOLUNTEERS AT UKRAINIAN POSITIONS NEAR MARIUPOL, DONBASS (UKRAINE HOT NEWS, 2 apr 2015)

NOVI FRONT IZMEĐU SRBA I HRVATA I TO U UKRAJINI (FACE HD TV, 12 feb 2015)
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Ufficiali Croati addestrano e giustificano i loro concittadini che si battono per il governo di Kiev

Scritto da Grey Carter

La ministra croata degli affari esteri ed europei Vesna Pusic ha confermato che mercenari croati combattono in Ucraina, ma, come dice lei, 'solo all'interno dell'esercito regolare dell'Ucraina.'

"Sono al corrente del fatto che ci sono soldati croati in Ucraina, all’interno dell'esercito ucraino", ha detto Pusic in risposta alle domande dei giornalisti prima della riunione del governo, ha riferito ieri l’agenzia Tanjug.

 "Tutto ciò è gestito dall'Agenzia di Sicurezza e di Intelligence, e non ha alcun collegamento con le unità paramilitari, e noi siamo in contatto permanente con l'agenzia", ​​ha detto la Pusic.

 Ha sottolineato che i croati stanno combattendo dalla parte ucraina (Kiev), e solo come parte del regolare esercito ucraino, ma non ha specificato quanti mercenari combattano all’interno delle formazioni neonaziste della Giunta ucraina. Allo stesso tempo, i media croati hanno scritto che decine di croati si sono uniti al famigerato battaglione Azov, un gruppo paramilitare di volontari con sede a Mariupol. Questa unità è sotto il comando del Ministero degli Interni ucraino ed è collegato all’estrema destra. La metà dei mercenari del battaglione Azov sono stranieri, riferisce la HINA.

Si tratta chiaramente di una storia che si ripete, dal momento che in entrambe le guerre mondiali il meschino vicino dei serbi, contribuì prima alle spedizioni austroungarico, e poi a quelle della Germania nazista nell’est Europa.

Il giorno dell'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, 22 giugno 1941, il "Poglavnik" (duce) dello Stato indipendente di Croazia, Ante Pavelic, incontrò la leadership militare e civile della Croazia per decidere quale sarebbe stato il modo migliore per sostenere il loro alleato tedesco. Tutti erano fortemente a favore dell'attacco tedesco, vedendo l'invasione come una battaglia tra le forze progredite dell'Europa contro le forze comuniste dell’Oriente. Tutti i presenti hanno convenuto che la Croazia dovrebbe partecipare all'invasione a fianco della Germania. A tal fine è stato contattato il rappresentante militare tedesco in Croazia, Edmund Glaise von Horstenau.

Von Horstenau suggerì che Pavelic preparasse una lettera a Adolf Hitler, per offrirgli la partecipazione di truppe croate sul fronte orientale. Pavelic preparò questa lettera il giorno successivo, il 23 giugno 1941. Nella sua lettera, Pavelic spiegava a Hitler il desiderio del popolo croato di unirsi alla battaglia di "ogni nazione amante della libertà contro il comunismo". Pavelic auspicò che le forze di terra, di mare e di aria, fossero impegnate "il più presto possibile" per combattere a fianco della Germania. Hitler rispose alla lettera di Pavelic il 1 ° luglio 1941, accettando l'offerta croata e ringraziando per il loro servizio. Hitler era del parere che le forze di terra potevano essere inviate rapidamente, mentre le forze aeree e navali avrebbero avuto bisogno di un tempo più lungo per essere adeguatamente addestrate e attrezzate. Il 2 luglio 1941, Pavelic ordinò che fossero chiamati volontari da tutti i corpi delle Forze Armate della Croazia per aderire alla guerra nell’est.

Il contingente di terra delle previste formazioni croate fu il primo a venir formato. I croati speravano di arrivare a un totale di 3.900 volontari, in modo da formare una unità del reggimento, ma al 15 luglio 1941, 9.000 uomini si erano già offerti per andare volontari! Visto l’alto numero di adesioni, furono considerevolmente resi più severi criteri per l'accettazione. Quando infine fu organizzato il reggimento, il 16 luglio 1941, gli fu dato il nome Verstärken Kroatischen Infanterie-Regiment 369, ovvero 369 Reggimento Croato Rafforzato di Fanteria.

Il Reggimento aveva 3.895 tra ufficiali, sottufficiali e soldati. Come parte della Wehrmacht gli uomini del gruppo dovevano indossare uniformi tedesche e utilizzare le insegne militari tedesche.

Il Reggimento era composto da 3 battaglioni di fanteria, una compagnia di mitragliatori, una compagnia anticarro, una di artiglieria e una di vettovagliamento.

Il Reggimento era stato definito "rafforzato" a causa delle artiglierie annesse, che non erano normalmente affidate ad una unità di reggimento di quelle dimensioni. Il comandante del reggimento era il colonnello Ivan Markulj.

Nello stesso tempo fu inoltre organizzato un battaglione di sostegno per il Reggimento. Aveva la sua base nella città di Stokerau in Austria, la sua funzione principale era quella di preparare le sostituzioni per i combattimenti del Reggimento che combattevano al fronte. Il reggimento fu trasportato a Döllersheim in Germania, dove fu equipaggiato e gli uomini fecero il loro giuramento al Fuhrer, al Poglavnik, alla Germania e alla Croazia. Ci furono poi tre settimane di addestramento, dopo di che il Reggimento fu trasferito in treno attraverso l'Ungheria a Dongena, in Bessarabia.

Da lì il reggimento partì con una marcia forzata di 750 km attraverso l'Ucraina per raggiungere le linee del fronte. La marcia durò 35 giorni, con un solo giorno di riposo. Dopo 35 giorni di marcia fu raggiunta la destinazione d Budniskaja in Ucraina e al reggimento fu concessa una settimana di riposo.

Durante la marcia forzata, 187 membri del Reggimento furono rimandati in Croazia per vari motivi di salute e due soldati furono giustiziati per aver lasciato le loro postazioni di guardia. A Budniskaja, un gruppo di esperti addestratori tedeschi raggiunse il reggimento per completare la sua formazione e introdurli sulla linea del fronte.I 9 Ottobre 1941, il Reggimento 369 fu assegnato alla divisione 100.Jäger. Il 13 ottobre, il reggimento partecipò alla sua prima battaglia a est del fiume Dnjeper. Da qui in poi si combatté intorno ai villaggi e le città di Petrusani, Kremencuga, Poltava, Saroki, Balti, Pervomajsk, Kirovgrad, Petropavlovsk, Taranovka, Grisin, Stalino, Vasiljevka, Aleksandrovka, Ivanovka, e Garbatovo. Quello che i documenti rivelano è che nel mese di luglio 1942, mentre il reggimento ha combatteva verso nord-est, e poi si spostava a sud-est lungo il fiume Don, i croati subirono pesanti perdite nelle battaglie intorno alla fattoria collettiva (kolhoz) nota come "Proljet Kultura" vicino alla città di Selivanova. Il 24 settembre del 1942, Ante Pavelic fece una visita al Reggimento e premiò con decorazioni vari uomini dell'unità.

Infine, il 26 settembre 1942, il reggimento ricevette l'ordine di spostarsi. Dopo una marcia di 14 ore, il reggimento arrivò nella periferia fatale di Stalingrado.

Il Reggimento 369 divenne così l'unica unità di non-tedeschi a partecipare all’attacco a Stalingrado. 'Questo è stato effettivamente considerato come un grande onore' - un premio per le sue battaglie dure e per gli ottimi successi fino a quel momento.

Gli uomini del Reggimento parteciparono all'aggressione, al tentativo di invadere ed occupare Stalingrado. Una tipica giornata di lotta a Stalingrado per gli uomini del Reggimento è stata descritta così dal loro Comandante nazista, tenente Bucar: "... Quando siamo entrati a Stalingrado, era distrutta e in fiamme. Ci siamo rifugiati in trincee e bunker, mentre il nemico ci colpiva con l’artiglieria, i razzi Katiusha, e con gli aerei. Ho avuto la fortuna di non perdere nessun uomo, ma il secondo plotone ha avuto un morto e 5 feriti, e il Terzo Plotone 13 morti e vari feriti. Intorno alle 06:00, gli aerei Stuka tedeschi hanno bombardato la zona davanti a noi, ed è stato ordinato un attacco verso la parte settentrionale della città. La missione del mio plotone era quella , in congiunzione con una unità tedesca, di “ripulire” la stazione merci, e quindi la diga della ferrovia, e raggiungere il fiume Volga. La notte giunse sotto un costante bombardamento. Non ho perso  neanche un uomo, ma la nostra unità di trasporto è stata colpita gravemente, e ho perso 10 uomini, 40 cavalli e un camion con attrezzature munizioni ...

"Al 13 ottobre il Reggimento 369 era ridotto a soli 983 uomini, compresi tutti i rinforzi arrivati ​​da Stokerau. Sempre in questo giorno, il Reggimento avanzò di ulteriori 800 metri nel settore settentrionale di Stalingrado.

Il 16 ottobre 1942, il colonnello-generale Sanne decorò il sergente croato Dragutin Podobnik con la Croce di Ferro di prima classe per estremo eroismo durante la presa della fabbrica Ottobre Rosso il 30 settembre. Il colonnello Pavicic  viene decorato con questa medaglia per il suo eccellente comando del Reggimento. Il 6 novembre, i resti del gruppo croato vengono congiunti al 212 ° reggimento di fanteria della Germania nazista.

E, infine, furono sconfitte le forze naziste: "All’arrivo di dicembre, i pochi soldati croati superstiti sono congelati, affamati e vi è una generale mancanza di munizioni e armi. Il comandante,  colonnello Pavicic, vive in un suo mondo, scrivendo irrilevanti ordini giornalieri per le truppe e le unità che non esistono più. Il 17 dicembre, il fiume Volga gelò permettendo ai sovietici di aprire un altro fronte su quel lato della cittàl.”

 Nel giorno di Natale del 1942, il tenente Korobkin scrisse:

(...) "Oggi, 25 dicembre, 1942, intorno a mezzogiorno, il nemico (i russi) ha attaccato ... I nostri difensori sono sotto costante fuoco dalla 'casa bianca piccola' attraverso l’edificio numero 2. Un cannone nemico ha distrutto la nostra mitragliatrice. Contemporaneamente a questo attacco al nostro fianco sinistro, il nemico ha attaccato il fianco destro. (...) Nel reggimento sono orgogliosi di avere guerrieri come noi croati in mezzo a loro. I sergenti Ante Martinovic e Franjo Filcic sono stati uccisi in questo contrattacco, 12 uomini sono feriti. "

Il 16 gennaio 1943 i sovietici lanciarono un attacco da tre lati alle postazioni croate,.che si ritirarono  indietro di parecchie strade e un gruppo guidato dal tenente Fiember rimase tagliato fuori. Sotto attacco pesante, questo gruppo di collaboratori nazisti a corto di munizioni fu successivamente distrutto.  “Il comando tedesco ha ordinato che gli ultimi croati sopravvissuti fossero portati via dalla prima linea e impiegati nello scavare le fortificazioni intorno alla ex  Accademia Sovietica d’Aviazione, che sarebbe servita come ultima linea di difesa dell’unità. "

Il 2 febbraio 1943, Stalingrado era libera.

La 369 divisione di fanteria (croata) -

A metà del 1941, visto il successo dei soldati croati sul fronte orientale, e cominciando ad aver bisogno di tutti gli uomini possibili per la guerra in corso, l'esercito tedesco decise di formare una divisione legionaria croata. Il piano era di inviare questa divisione a combattere in Russia.

Gli uomini furono organizzati in due Reggimenti di fanteria-granatieri, il 369 e il 370 reggimento croato. Ognuno era formato da tre battaglioni di fanteria e una compagnia di mortai. Un reggimento di artiglieria, il 369 Reggimento di Artiglieria Croato, formato a sua volta di due battaglioni leggeri di tre batterie e un battaglione pesante di 2 batterie ciascuna, fu anche costituito insieme a varie unità di supporto: un battaglione ingegneri, un battaglione segnali, una truppa di vettovagliamento, una compagnia di manutenzione , tre compagnie di gestione, una compagnia medica, una  veterinaria, e un distaccamento di polizia militare. La divisione ricevette il nome di "369 divisione di fanteria croata", ma fu chiamata dai suoi membri “Divisione Diavolo", "Vrazja".

Il nome "Vrazja" risale a una divisione croata (la 42 °) dell'esercito austro-ungarico nella prima guerra mondiale, nota per i crimini commessi in Macva, Serbia, dove massacrarono vecchi, donne e bambini. L’avvocato svizzero Archibal Reiss era sconvolto da ciò che vide in Serbia, una  brutalità e bestialità inimmaginabili per una persona sana di mente, come testimonia nei suoi rapporti.)

I tedeschi, d'altra parte, preferirono chiamare la divisione "Schachbrett" o "Scacchiera" , riferendosi al distintivo dei croati. La Divisione indossava uniformi  e insegne tedesche, e solo il distintivo croato per identificarla come unità di volontari croati. A differenza del primo Reggimento 369, la nuova Divisione 369  portava il suo distintivo sulla manica destra. Si noti che, dopo che il primo Reggimento 369 era statodistrutto a Stalingrado, la nuova divisione aveva intitolato uno dei suoi reggimenti "369" per 'onorare' i loro compagni caduti sul fronte orientale.

Nel gennaio 1943 fu deciso che la situazione in Croazia stava diventando critica a causa delle forze antifasciste della Serbia e del Montenegro, quindi la divisione fu inviata nei Balcani. Al suo arrivo in Croazia, la divisione nazista aveva circa 14.000 uomini nella sua prima operazione nel nord della Bosnia, che fu chiamata "Weiss" (bianco). Questa battaglia è a volte indicata come la Battaglia della Neretva. Gli antifascisti sfuggirono alla trappola pianificata sul fiume Neretva, così i croati non riuscirono a distruggerli. A novembre, la situazione militare in Croazia era diventata critica per l'Asse.

La 373 Divisione di Fanteria Croata. 

Il 6 gennaio 1943, l'esercito tedesco formava una seconda divisione tedesco-croata a Döllersheim (Germania), per utilizzarla in Croazia contro i Serbi e contro i partigiani.. Fu chiamata 373 Divisione di Fanteria Croata. La divisione fu soprannominata "Tigar" (Tiger) dai suoi uomini. Il comandante era il tenente generale tedesco Emil Zellner. La maggior parte degli ufficiali era tedesca, così come un gran numero di NCO, le.uniformi e le insegne erano tedesche, con il distintivo croato nazista sulla destra. La divisione fu organizzata in 2  Reggimenti di Granatieri-Fanteria, il 383 e il 384, un reggimento di artiglieria - il 373, e varie unità di supporto. La compagnia di vettovagliamento era fornita di cavalli.

Alla Divisione 373 fu assegnato uno spazio di operazioni che andava da Karlovac a est  fino a Sarajevo a ovest, e dalla costa adriatica della Croazia nel sud fino al fiume Sava nel nord. La maggior parte delle «attività» erano a Banja Luka – nell’area Bihac. Nel maggio del 1944, la 373  partecipò all’Operazione "Rosselsprung" (Movimento del cavaliere), che era il tentativo di catturare il leader partigiano comunista Tito. Nell'autunno del 1944, la Divisione inglobò la 2 ° brigata Jager  dell'esercito croato e il suo 3 ° Reggimento (385a croato Reggimento di Fanteria).

Il 6 dicembre 1944, la 373  partecipò ai massacri in zona Knin, dove fu pesantemente sconfitta. I sopravvissuti si ritirarono a nord-ovest verso Bihac. Nel gennaio del 1945, i resti della Divisione stavano combattendo nella zona di Bihac come parte del XV Corpo di Montagna tedesco.

Le battaglie continuarono con la Divisione che si spostava nella regione di Kostajnica a fine aprile del 1945.

I sopravvissuti si arresero ai partigiani ad ovest di Sisak nel maggio del 1945, e si unirono in massa alla resistenza partigiana.

La 392 Divisione di Fanteria Croata.

Il 17 Agosto 1943, l'esercito tedesco formò l'ultima delle divisioni tedesche-croato. Come il 373o prima di essa, la 392 è stata fondata a  Döllersheim (Germania) per essere utilizzata in Croazia. Chiamata 392 divisione di fanteria (croata), la divisione fu soprannominata "Plava" (blu) dai suoi uomini. Il comandante era il tenente generale tedesco Hans Mickl. La maggior parte degli ufficiali era tedesca, così come lo erano un gran numero di NCO. Uniformi e insegne erano tedesche, con il distintivo croato sulla manica destra.

La Divisione fu organizzata in 2  Reggimenti di Granatieri-Fanteria - il 364 ° ed il 365 ° , un reggimento di artiglieria - il 392 Reggimento di Artiglieria Croato (2 battaglioni con 3 batterie leggere ciascuno), e unità di supporto  Alla 392 Divisione fu assegnato uno spazio di operazioni che andava dalla Slovenia meridionale, lungo la costa adriatica croata, alla città di Knin. La divisione ha combattuto per lo più nella zona costiera settentrionale della Croazia, con le sue isole. Essa ha inoltre partecipato al tentativo di costruire un’area etnicamente pulita intorno alla Otocac – zona di Bihac, nel mese di gennaio, 1945. Durante un pesante attacco serbo, la 392 si ritirò verso ovest.

 Il 24 aprile 1945 i nazisti croati della 392 si arresero ai partigiani. In seguito furono riabilitati dal croato Tito.

Quando il 'poglavnik' Ante Pavelic fece un appello ai volontari croati per andare sul fronte orientale  (2 Luglio 1941), fu organizzata velocemente una unità di aviazione. -

Il colonnello Ivan Mrak fu nominato comandante della Legione. La Legione stessa fu trasformata in uno Squadrone di Combattimento (comandato dal Lt.Colonello Franjo Dzal) e uno Squadrone di Bombardieri (comandato dal Lt.Colonello Vjekoslav Vicevic). Lo Squadrone di Combattimento era ulteriormente suddiviso in 2 ali, come lo squadrone di Bombardamento. La Legione Aerea partì dalla Croazia per il periodo di formazione in Germania il 15 luglio 1941.

Lo Squadrone di Combattimento: un'ala dello Squadrone di Combattimento fu inviata nella zona di Furth, in Germania, per la formazione, l'altra ad Herzogen Aurah Airfield, nelle vicinanze. La formazione è iniziata il 19 luglio 1941, sulla Arado 96 e gli aerei Me D, e durò fino alla fine del mese di settembre 1941, da quel momento i legionari erano pronti per il fronte orientale e gli furono assegnati gli aerei da combattimento  Messerschmitt Bf109.

Durante il corso della loro formazione, gli uomini erano stati abbigliati con le uniformi della Luftwaffe  e con il distintivo croato dell’ Airforce Legione sulla destra del petto. Lo Squadrone ricevette il titolo ufficiale di 15’ (Kroatische) / JG 52 ', ed arrivò al suo primo campo di volo sul fronte orientale il 6 ottobre 1941, nei pressi di Poltava. Il 9 ottobre 1941, lo squadrone fece la sua prima azione nel settore di Ahtijevka-Krasnograd. Lo squadrone fu trasferito alla fine del mese di ottobre 1941 a Taganrog, e rimase in questa zona fino al 1 Dicembre 1941.

Il primo attacco di un pilota croato si verificò in questo periodo di tempo e lo attuò il capitano Ferenčina, il secondo fu attuato dal Lt.Colonel Dzal.

 "Il 1 ° dicembre 1941, lo squadrone croato fu trasferito a Marinpol. Gli attacchi furono effettuati su colonne corazzate sovietiche intorno a Pokorovskoje, Matvejeva, Kurgan, Jeiska e Uspenskoje, e sulla linea ferroviaria Marinpol-Stalino. Inoltre, lo squadrone scortava i bombardieri tedeschi nelle loro missioni. "

Nel mese di aprile 1942, lo squadrone volò in missioni di scorta per i bombardieri Stuka, e protesse il campo d'aviazione Marinpol, e mitragliò le truppe sovietiche nella zona del Mar d'Azov. Più di nove aerei sovietici furono abbattuti in questo periodo. "Nel mese di maggio, lo squadrone fu trasferito prima in  Crimea, e poco dopo  nella regione di Artemovka-Konstantinovka.

Da questa base di operazione, lo squadrone volò in missioni di scorta per i bombardieri che attaccarono Sebastopoli e pattugliò la zona del Mar d'Azov. Altri quattro aerei sovietici furono abbattuti, e una motovedetta sovietica fu affondata. Dalla fine di maggio, fino al 21 giugno 1942 (la data del 1000’ volo dello Squadrone), più di 21 aerei sovietici furono abbattuti. Da questa data fino alla fine del mese di luglio 1942, furono abbattuti più di 69 aerei. Nel luglio 1944 lo squadrone fu trasferito in Croazia per combattere la crescente resistenza antifascista serba. I suoi membri parteciparono al genocidio di serbi, rom ed ebrei.

"A questo punto, lo squadrone aveva effettuato 283 attacchi, aveva 14 piloti con la qualifica  Ace, e 4 piloti (Culinovic, Galic, Milkovic e Kauzlaric) che era stato decorato con la EKI e EKII."

Lo Squadrone Bombardieri: ufficialmente designato  15’ (Kroatische) / KG 53 ', lo squadrone fu dotato di aerei Dornier Do 17. Atrrivò sul fronte orientale il 25 ottobre 1941, dopo l'addestramento alla Grosse Kampfflieger Schule 3, a Greifswald, Germania. La loro prima area di operazioni fu vicino a Vitebsk.

Le restanti operazioni dello Squadrone di Bombardieri furono nel settore settentrionale del fronte orientale, compreso il bombardamento di Leningrado e Mosca. Il 9 novembre 1941, lo squadrone ricevette le congratulazioni del Fieldmarshall Kesselring per le sue azioni.

Dopo aver attuato 1247 sortite sul fronte orientale, lo squadrone fu sciolto nel dicembre del 1942, e integrato nelle Forze aeree croate per combattere contro i partigiani antifascisti.

Subito dopo l’appello di Pavelic ai volontari croati per combattere sul fronte orientale, fatto  il 2 luglio 1941, un numero consistente di ufficiali della marina e di uomini si fece avanti per formare la Brigata Navale Croata. Questa Brigata aveva in tutto 343 membri, di cui 23 erano ufficiali, 220 sottufficiali e 100 marinai. Poco dopo la formazione, la Brigata ricevette il titolo di "Legione Navale Croata" (Hrvatska Pomorska Legija), ed entrò a far parte della marina tedesca (Kriegsmarine ). Il primo comandante di fregata fu il capitano Andro Vrkljan. In seguito fu sostituito dal capitano di corazzata Stjepan Rumenovic. La Legione Navale fu inviata per la formazione da un altro alleato dei tedeschi, la Bulgaria,  a Varna, sul Mar Nero. Al suo arrivo a Varna il 17 luglio 1941, i Legionari croati ricevettero le loro uniformi e iniziarono l’addestramento su cacciamine e sommergibili tedeschi, in quanto dovevano essere i futuri equipaggi di queste navi nel Mar Nero. La formazione in questo periodo, al di là della formazione navale necessaria , consisteva nell’addestramento della fanteria, nello studio dei segnali, nel canottaggio, e nell'insegnamento della lingua tedesca. L’ammiraglio tedesco Schuster è stato uno dei dignitari che ha fatto visita ai legionari croati durante la loro formazione in Bulgaria. L’addestramento fu completato il 22 settembre 1941, e lo stesso giorno la Legione partì per l'Unione Sovietica, dove arrivarò il 30 settembre 1941. La denominazione ufficiale militare per la Legione era 23.Minesuch-Flottiglia, o 23 Sminare Flotilla.  Alla fine del settembre 1941, la Legione era di stanza a Geniscek. In quel momento solo la Legione Croata, una squadra di cavalieri rumeni e una piccola guarnigione tedesca rimanevano in città. "E 'interessante notare che, durante il loro turno di servizio in Crimea, Mar d'Azov e Mar Nero, i croati riuscirono a reclutare nei loro ranghi diversi ex marinai russi di nazionalità ucraina. "

Una batteria di artiglieria costiera croata fu aggiunta alla Legione durante l'estate del 1943.

I Legionari croati indossavano uniformi Kriegsmarine regolari, con solo lo scudo rosso-bianco a scacchiera della Croazia sul braccio sinistro per distinguerli.  L'artiglieria costiera indossava l’uniforme grigia tedesca con lo scudo sul braccio.

La Legione croata (italiano-croata) – Nel luglio  1941, il generale italiano Antonio Oxilio chiese  un incontro con il croato Ante Pavelic. Durante l’incontro, il Generale Oxilio si presentò a Pavelic con una lettera dell’alto comando italiano, chiedendo che si costituisse una legione croata, anche simbolica,  per il servizio nell'esercito italiano, sul fronte orientale.

Pertanto, il 26 luglio 1941, il comando dell'esercito croato diede l’ordine, e la "Legione croata" (Laki Prijevozni Zdrug) fu costituita. La maggior parte delle truppe venne da un battaglione di volontari utilizzati  come rinforzi per il Reggimento 369i in Russia. La Brigata era  costituita da 1100 soldati, 70 sottufficiali e 45 ufficiali (in totale1.215 ), suddivisa in 3 compagnie di fanteria,

1 Compagnia di mitraglieri, 1 Compagnia di mortai e 1 Batteria di artiglieria. Il comandante era il tenente colonnello Egon Zitnik (un croato). La prima base della  Brigata fu nella città di Varazdin, in Croazia, dove furono addestrati, e dove attesero che gli italiani organizzassero la spedizione. La Brigata operò nel Kordun, a Banija e Bosanska Krajina, dove partecipò alle esecuzioni di abitanti serbi ortodossi di queste regioni, ( "che combattevano contro il nuovo Stato croato.")



[ Hrvatske ustaše strijeljaju Srbe nad jamom 1941. (Genocide against Serbs, 19 feb 2014)
Isječak preuzet iz serijala "Jugoslavija u ratu 1941—1945." To je dokumentarni serijal Radio-televizije Srbije snimljen u periodu 1991—1992, koji se bavio ratnim i političkim dešavanjima na prostoru Jugoslavije tokom Drugog svjetskog rata. Dokumentarni serijal obuhvata 26 epizoda podijeljenih u četri ciklusa i jednu specijalnu epizodu.


Il 17 dicembre 1941 gli italiani finalmente ordinarono alla Brigata di spostarsi in Italia dove fu completato il loro equipaggiamento di armi e trasporti. Seguirono 3 mesi di addestramento intenso. Alla fine del programma di formazione, i Legionari furono visitati dal generale Ugo Cavallerio della sede italiana del personale, e dal Ministro della Difesa della Croazia, Slavko Kvaternik. A questa cerimonia fu presentata la bandiera della Brigata, e gli uomini prestarono giuramento all’ Italia, alla Croazia, al Duce, al re italiano, ed al Poglavnik.  La Brigata arrivò sul fronte orientale il 16 aprile 1942, vicino alla città di Harcjusk. Qui si unirono alla 3’ divisione italiana "Principe Amedeo Duca D'Aosta", e ricevettero il resto delle loro attrezzature e dei mezzi di trasporto (44 autocarri, 3 automobili e 6 motocicli ). L'11 maggio, vicino alla città di Pervomajska, questi fascisti  combatterono la loro prima battaglia, a fianco delle camicie nere dell’unità 63a "Tagliamento".

La Brigata, nel corso dei 10 mesi seguenti, combatterà intorno alle città di Stokovo, Greko-Timofejevka e Veseli-Nikitovo.

Il 28 luglio 1942, la Brigata attraversò il fiume Donjec a Lubanskoje.

Il 19 dicembre 1942, la Brigata teneva le colline 210 e 168 nei pressi di Hracin. Dopo brutali massacri furono circondati nel corso di un massiccio attacco sovietico.

Non ci furono sopravvissuti, l’unità fu completamente distrutta.

Dunque non è una sorpresa che i croati si siano schierati con i neonazisti Hunta in Ucraina. Questo è nelle loro tradizioni e sembra che ne siano orgogliosi. L’ironia della cosa sta nel fatto che essi, la cui secessione ha seppellito la Jugoslavia ed è stata la  scintilla della guerra civile, ora lottino contro la secessione delle zone russe dell'Ucraina.

Inoltre, la vera natura nazista della giunta di Kiev  è rivelata da un altro esempio: Hanno creato il loro inno di guerra, la canzone nazista di Tompson, noto croato neo ustascia 'musicista':


Tompsonova pedsma u Ukrajini (marko nede 11.2.2015)


24 ottobre 2016

“NA MORE CON AMORE”
Resoconto dell'iniziativa - Quarta Edizione, anno 2016


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Ciao a tutti, 
lo scorso mese di settembre si è conclusa la quarta edizione di “nA More con AMore” e, come sempre, sebbene con un po’ di ritardo dovuto agli impegni quotidiani non proprio volontari, vi partecipiamo di un breve resoconto dell’iniziativa estiva svolta a Santa Severa, con gli studenti della scuola “Sveti Sava” di Jasenovik, provenienti dai villaggi dell’area di Novo Brdo, nel territorio del Kosovo. 
Dal 29 agosto al 6 settembre siamo stati in lieta compagnia di 10 cari ospiti, Aleksandra, Ivana, Nevena, Dušan, Andjela, Saša, di nuovo Ivana, Miloš, Valentina e Sunčica. Nomi che proviamo a rendere meglio pronunciabili ai lettori italiani, con questa trascrizione: Alecsandra, Ivana, Nevena, Duscian, Angela, Sascia, Milosch, Valentina e Sunciza.


Cosa abbiamo fatto? Sebbene l’attività principale del soggiorno del gruppo sia stata quella balneare e ricreativa, sulla spiaggia e nel mare di Santa Severa, anche in questa edizione abbiamo svolto un programma piuttosto variegato.
Sorpresi da un acquazzone stagionale, durante la visita al bellissimo percorso naturalistico delle cascate di Diosilla nel Braccianese, sotto la guida della dolcissima Irene, ci siamo consolati e rifocillati con uno squisito pic-nic consumato in una grotta, preparato ed offerto dalla cheffissima Annamaria. Ma la meraviglia della vista che si è spalanca ai nostri occhi, a valle del sentiero, dell’antico abitato rudere della città di Monterano, lambito da uno scorcio di sole, ha asciugato velocemente abiti, capelli e cuori. Ne è valsa veramente la pena ed i bambini si sono divertiti molto. Non da meno è stata la istruttiva e simpatica visita presso la società cooperativa Agricoltura Nuova, sulla Via Pontina, un’operosa attività produttiva laziale, dove i bambini hanno potuto visitare la fattoria, i suoi animali, i laboratori di produzione propria, il caseificio ed il forno, accompagnati stavolta dal grande e grosso Fabrizio e dal nostro amico Enzo, fondatore della comunità di Colle Parnaso di Roma. Un copioso e delizioso pranzo rustico è stato offerto dalla mensa dell’azienda a tutto il gruppo, ma il loro succo di mela con i biscottini artigianali è stato indubbiamente lo spuntino più gradito della giornata, calda estiva, proseguita poi nel pomeriggio con un passaggio nella Roma antica e barocca, per qualche scatto davvero irrinunciabile.

Anche stavolta restiamo molto entusiasti dell’iniziativa, i bambini sono stati semplicemente e meravigliosamente bambini ma anche dei tesori. Purtroppo però qualcosa che ha sconvolto il popolo italiano ha turbato e dispiaciuto tutti noi. Per una mera fatalità, quest’anno “nA More con AMore” si è svolta proprio a ridosso della sciagura che ha colpito i comuni italiani col terremoto dello scorso 24 agosto. E non è mai facile accostare un’immagine di serenità e condivisione accanto ad una situazione tragica e di emergenza imprevedibile. Ma abbiamo ritenuto giusto non far pagare questo lutto ai nostri piccoletti, che ormai attendevano trepidamente da tempo questa esperienza, scrupolosamente organizzata con anticipo. Con i bambini le promesse vanno mantenute, finché è possibile. Nel far questo abbiamo anche tenuto conto però dell’autentica sensibilità e dei messaggi di solidarietà delle famiglie serbe dei piccoli ospiti, che la nostra referente Valentina ci ha trasmesso, in concomitanza degli eventi. Così, analogamente a quanto avvenne nel corso dell'edizione dell'iniziativa del 2014, per l'alluvione in Serbia e Bosnia, Jugocoord onlus si è attivata in solidarietà. Il concerto in programma de “I Beatles a Roma” che si è svolto domenica 4 settembre, presso il Castello di Santa Severa nell'ambito della manifestazione estiva "Note in blu", con la collaborazione gratuita di Coopculture e del Museo del Mare e della Navigazione Antica, è stata un’occasione per promuovere con Jugocoord onlus una raccolta fondi in favore della ricostruzione dei beni storici dei paesi italiani colpiti dal terremoto. Quest’impegno ad oggi viene mantenuto, essendo già entrati in contatto con il Comune di Valle Castellana, con il Comune di Monte Cavallo e stiamo proseguendo con altri. In tutti questi paesi hanno operato antifascisti jugoslavi durante la II guerra mondiale: è memoria storica da preservare. Restiamo pertanto soddisfatti e lieti di poter contribuire anche attraverso “nA More con AMore”.

Anche questa edizione dell’iniziativa è stata realizzata in collaborazione con le associazioni Jugocoord Onlus e Non bombe ma solo caramelle Onlus e con la Scuola Primaria “Sveti Sava”. 
Le spese sostenute, per un totale di 2.646,30 euro, hanno riguardato: biglietti aereo, assicurazione per infortunio e responsabilità civile, visti per l’Italia, servizio stabilimento spiaggia in Santa Severa, trasporto per e da Belgrado, trasporti per visita in Roma, affitto attrezzature per il concerto al castello, vitto (solo quota parte). La comunità di Santa Severa ed i suoi esercenti ci hanno sostenuto, per ridurre al minimo le spese, e noi siamo contenti di poterlo ribadire.

Per aver contribuito a sostenere economicamente l’iniziativa ringraziamo, per le sottoscrizioni:
Vincenza Ferrara e Sara, Associazione Orme, Stefano Peciarolo, Zivkica Nedanovska Stankovski, Alberto Tarozzi, Marcella Simonelli, Samantha Mengarelli, MM Agreement, Biosolidale, Zastava Brescia
per l’alloggio, per alcuni trasferimenti, per i costi del vitto, per l’interprete, per la guida turistica e per le visite culturali a Monterano (Bracciano) e Società Cooperativa Agricoltura Nuova, per l’evento de “I Beatles a Roma”: 
Augusto Mengarelli, Daniela Tiraboschi, Marzia Casale, Sandro Corciolini, Valerio Sallustio, Stefano Mattozzi, Samantha Mengarelli, Fabrizio Scandone, Dejana Perunicić, Suncica Vuković, Paolo Gentilini, Enzo Del Poggetto, Annamaria Cappelli, Irene Amore, I Beatles a Roma, la Pro Loco di Santa Severa, Museo della Navigazione Antica del Castello, Coopculture, Agricoltura Nuova, l'Alimentari panificio Fracassa Galli & C. snc, lo stabilimento Lido, il panificio Vapoforno. 
I fondi raccolti, insieme al 5X1000 del 2012 di Jugocoord onlus utilizzato per questa iniziativa, ci lasciano un residuo di 487,78 euro, che accantoneremo per le iniziative in favore dei Comuni terremotati.

Ringraziamo Valentina Ristić, insegnante della Scuola di Jasenovik, Milos Ristić, per la disponibilità, per la cura e l’attenzione verso i bambini, gli spazi condivisi e tutti noi. Apprezziamo inoltre la loro rinuncia al rimborso spese per i loro documenti di viaggio e per il trasporto da Jasenovik a Belgrado, quale contributo all’iniziativa. E grazie alla nostra giovane interprete, Suncica Vuković. Li salutiamo tutti e li ringraziamo.

Confidando nella possibilità di realizzare una prossima edizione di “nA More con AMore”, invitiamo chi vuole a visionare racconti e fotografie [ 
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NaMoreConAmore.htm#2016 ]. Buona lettura ed un saluto a tutti.

A Fiore ed Anna Maria
Certe case vivono e vivranno sempre il loro buon tempo, piene ed appagate delle voci e dei passi che le hanno attraversate…. (da: nA More con AMore, prima edizione) 

A cura di Samantha Mengarelli
Foto scattate da: Samantha Mengarelli, Valentina Ristić, Suncica Vuković, Miloš Ristić.




(deutsch / english / francais)

American Occupation of Europe Intensifies

0) More initiatives and links
– U.S. Hands Off Syria (IAC)
– ALERTE OTAN N°62
– Toying with a World War / II (GFP)
– Eskalation mit Nuklearpotenzial (GFP)
– Terrorism. A Matrix of Lies and Deceit (C. Black)

1) The deadly racism of the ‘anti-racist’ liberal imperialist (Neil Clark, 12.10.2016)

2) Die zivilen Opfer der Kriege (GFP, 10.10.2016)

3) Operation Barbarossa 2 – American Occupation of Europe Intensifies (Christopher Black, 17/02/2016)


=== 0: More initiatives and links ===

U.S. Hands Off Syria
An Urgent Message for Peace on the Eve of Wider War (IAC, October 13, 2016):

Dear friends of International Action Center,
Please review this statement issued by the newly-formed Hands Off Syria Coalition. It follows a lengthy round of discussions among several antiwar and social justice organizations and leading individuals about the urgent need for a broad coalition to confront the escalating war in Syria. International Action Center- IACenter.org is supportive of this process and a signatory to this statement. We invite you to join the rapidly growing coalition and encourage others to join.
Solidarity,
Sara Flounders for IAC

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ALERTE OTAN N°62 - 3e trimestre 2016
Parution du nouveau bulletin du Comité Surveillance OTAN: 

Au sommaire de ce numéro: 
Editorial: L'antagonisme entre l'OTAN et la lutte pour le désarmement nucléaire
Mensonges et Vérités sur Hiroshima (D. Johnstone)
Déclarations des associations à la Commémoration
L'ingénierie sur le sentier de la guerre (L. Mampaey)
Un sommet de l'Otan à Varsovie ou à quoi sert l'Otan en 2016 (N. Bardos)
OTAN EXIT: objectif vital (M. Dinucci)
Constitution de l'Alliance pour la neutralité du Montenegro
Communiqué du Comité sur la rupture du cessez-le-feu en Syrie

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Toying with a World War / II (GFP 24.10.2016)
While jihadi militias pursue their military offensive launched on the weekend in Aleppo, the German government is increasing its pressure on Russia. "As the most important supporter of the regime" in Damascus, Moscow must provide "a sound agreement for Aleppo," demanded German Foreign Minister Frank-Walter Steinmeier. But it was in fact the militia that broke the ceasefire initiated by Russia late last week and it was they who were also preventing the evacuation of the civilian population by firing at the escape corridors, as a British journalist reported from Aleppo. Similar practices are being used by the militia in the Iraqi town of Mosul, however these are being described for what they are, i.e. the IS is using civilians as "human shields." The German government is intensifying its pressure on Russia, at a moment when Moscow is reinforcing its military strength in the Eastern Mediterranean with the deployment of an aircraft carrier battle group near the Syrian coast, aimed at achieving an equal footing with the western powers. A German Bundeswehr frigate is accompanying the French aircraft carrier "Charles de Gaulle" in the same region, where the Russian aircraft carrier "Admiral Kuznetsov" is going. Particularly the German Green Party leadership is raising demands for declaring a no-fly zone over Syria - preparing another escalation, risking a direct war with Russia...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58978
ORIG.: Spiel mit dem Weltkrieg / II (GFP 24.10.2016)

Eskalation mit Nuklearpotenzial (GFP 5.10.2016)
Berliner Regierungsberater und Außenpolitik-Experten warnen vor einer weiteren Zuspitzung der NATO-Eskalationspolitik gegenüber Russland. Im Hinblick auf die gefährlichen Zwischenfälle bei militärischen Flugmanövern beispielsweise über der Ostsee führe "früher oder später" an "einem Umgang miteinander kein Weg vorbei", erklärt ein hochrangiger NATO-Funktionär in der führenden Zeitschrift des deutschen Außenpolitik-Establishments. Man müsse Sorge dafür tragen, dass der Machtkampf zwischen der NATO und Russland "sich nicht zu einem Großkonflikt auswächst", warnt ein renommierter russischer Experte eines US-Think-Tanks: Der Machtkampf sei zwar "keineswegs trivial", doch sei er "einen europäischen Krieg ... zweifellos nicht wert"...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59454

Terrorism – A Matrix of Lies and Deceit (by Christopher Black, 17.6.2016)
... Individual acts of terror, carried out by the lone terrorist or small group are carried out because they have no other political power than to try to frighten the populace. But acts of terror carried out by those factions of society that hold state power proves that they know their objectives and methods are criminal. That is why they have to resort to the terrorism of their own peoples in order to maintain control and dominance. And this is the state of affairs to which the world has been reduced after a century of war beginning with The Great War, World War I, through the Second, and the Third, euphemistically called the Cold, War, and now the Fourth, and final war that is now on-going and has been since the NATO terrorist bombing of Yugoslavia...
http://journal-neo.org/2016/06/17/terrorism-a-matrix-of-lies-and-deceit/


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The deadly racism of the ‘anti-racist’ liberal imperialist


by Neil Clark*, 12 Oct, 2016

When it comes to hypocrisy, the pro-war Western ‘liberal’ is in a class of his own. While professing opposition to racism, the pro-war liberal is cheerleader for the most dangerous and deadly form of racism in the world today - contemporary US/Western imperialism.
A racism that is scarcely reported, but which has laid waste to entire countries and killed millions - and which now threatens to drag us into potentially catastrophic military confrontation with Russia.
We can see this abhorrent racism on display again in the current debates in elite circles in the West over Syria. It’s taken as a given that ‘We’ i.e., the US and its allies, have a right to declare who is or is not the legitimate government of Syria. We can demand ‘Assad must go’ but of course no Syrian government official can demand one of OUR leaders must go. The very thought of it!
We have the right to impose ‘No Fly Zones’ which of course won’t apply to OUR aircraft - only to THEIRS. We have the right to bomb or illegally invade countries at any time we want to - for whatever fictitious reasons - but if the people of the targeted country dare to fight back, we’ll call them “genocidal” and accuse their leader (and his allies) of war crimes and push for them to be sent to The Hague. Our leaders meanwhile can break international law and kill hundreds of thousands with total impunity.
If you doubt the inherent racism of the current world order, and think I’m overstating the case; then consider what’s been going on at the International Criminal Court (ICC). During its 14 years of existence the only people indicted and tried by the ICC have been Africans.
What would you say if there was a domestic court in England that only ever tried Africans? And that Europeans, whatever heinous crimes they’d committed, were never brought before the court. You’d call the whole set up racist, and you’d be right.
But it happens at the ICC and pro-war ‘anti-racist’ liberals are silent. Showing that on an international scale you can get away with the most blatant levels of discrimination that you’d never get away with domestically.
Regrettably, a sizable section of the anti-racist left in the West has bought into this pernicious liberal racism, probably without even being aware of it. Evidence of this is how few people feel brave enough to publicly declare: 'Actually the Syrian government does have the right to fight back against US- backed jihadists’.
Again, it's taken as a 'given' that countries of the global south targeted by the US and its allies have absolutely no right to engage in violent resistance; their governments are expected to roll over and die. If they dare to resist and fight back with force as Syria’s has done, then some in the anti-war movement even portray them as equally culpable as the aggressor.
Remember the outrage from the ‘Exceptional Nation’ and its allies when Yugoslav forces downed a US Stealth Bomber in 1999! 'How dare they! We have the right to bomb your country back to the Stone Age for 'humanitarian' reasons - but you have no right to try and down our aircraft!’
When three US soldiers were captured, President Bill Clinton warned the Yugoslavs that they had no authority to put the men on trial, while stressing that the illegal US-led bombing of Yugoslavia would continue. 
Again, the only way you could support such blatant double standards is if you believe that Americans and their NATO allies are superior to Yugoslavs. And that would be racism.
The dehumanization of the many victims of military aggression carried out by the West and its allies is another example of ‘acceptable’ liberal racism.
The millions killed by US/Western imperialism in Iraq, Pakistan, Afghanistan, Syria, Libya, Yemen, Yugoslavia and elsewhere, are not commemorated on any special day of the calendar. They’re most unlikely to be honored in any blockbuster Hollywood films.
While ‘regret’ is sometimes expressed over ‘accidental’ civilian casualties, there is no pretense at sorrow when soldiers fighting for armies of targeted states are incinerated in large numbers. Did you see any concern from pro-war Western liberals, when the US and its allies murdered 62 Syrian soldiers last month bringing the ceasefire to an end? No, me neither.
It’s doubtful the ’humanitarian’ pro-war ‘anti-racist’ liberals now clamoring for a ‘No Fly Zone’ to be imposed in Syria (or rather a We Can Fly But They Can’t Zone), have ever met any soldiers from the Syrian Arab Army. But I have.
A few years back I was in Latakia, Syria, waiting for a bus to take me back to my flat in Damascus. I’d missed the last one but a special army bus was waiting to depart. I was invited to travel on it. Throughout the journey the soldiers generously shared their food, drink and smokes with me. They sang songs, we joked and laughed. It was a great journey.
I always think of these Syrian soldiers whenever I hear a pro-war ‘anti-racist’ liberal feign humanitarian concern for Syria. Because for them, Syrian soldiers loyally defending their country aren’t human beings at all; they can be slaughtered in large numbers and when they do it’s a cause for celebration.
When are humans not human?” asked my fellow RT OpEdge contributor Dan Glazebrook in his Morning Star column from August 2012. The answer is when they’re soldiers from global south countries resisting a US-backed invasion. Glazebrook notes that while soldiers of the occupying army are “always human no matter what atrocities they have taken part in,” those from armies that are defending their countries from Western aggression “are never human”…”even if they’ve never fired a shot in their life.”
The sad truth is that too many ‘anti-racists’ in the West are more concerned with bad things certain individuals say than with countering the most deadly and virulent form of racism affecting the world today; the racism that underpins the foreign policy of the US and its closest allies.
Just imagine if widespread racist pogroms against black people were to be launched by far-right groups in France. There would, I’m sure, be enormous and totally justified outrage. The perpetrators would be brought to book, and rightly so. But as Dan Glazebrook has pointed out, racist pogroms against black people were ‘characteristic’ of the Western-backed Libyan rebellion in 2011 from the very start. Yet Western ‘anti-racist’ liberals still supported the rebellion and Western ’humanitarian’ air strikes in favor of racist ‘rebels‘. How can you denounce racist pogroms against black people in Europe yet support them in Libya? Well ‘anti-racist’ liberal imperialists can. As Maximilian Forte wrote: “If this was ‘humanitarianism’ it could only be so by disqualifying Africans as members of humanity.”
The truly genuine anti-racist (as opposed to the fake ‘anti-racist’ liberal imperialist) believes that all countries are equal and that the US and its allies have no more right to threaten Syria than Syria has to threaten the US and its allies. Genuine anti-racists believe that all human life is equal too. And that international law should apply to all and that the US, Britain, Israel and their allies should not be exempt. It's time genuine anti-racists reclaimed anti-racism from pro-war Western liberals. Before the racist, virtue signaling phonies start their ‘humanitarian’ World War Three.


* Neil Clark is a journalist, writer, broadcaster and blogger. He has written for many newspapers and magazines in the UK and other countries including The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week, and The American Conservative. He is a regular pundit on RT and has also appeared on BBC TV and radio, Sky News, Press TV and the Voice of Russia. He is the co-founder of the Campaign For Public Ownership @PublicOwnership. His award winning blog can be found at www.neilclark66.blogspot.com. He tweets on politics and world affairs @NeilClark66


=== 2 ===


Die zivilen Opfer der Kriege
 
10.10.2016
BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Angehörige ziviler Opfer eines auf deutschen Befehl begangenen Massakers in Afghanistan haben keinen Anspruch auf Entschädigung. Wie der Bundesgerichtshof letzte Woche bestätigte, kann Deutschland sich gegen afghanische Kläger auf das Prinzip der "Staatenimmunität" berufen und die Zahlung von Entschädigung grundsätzlich verweigern. Damit setzt die deutsche Justiz ihre Rechtsprechung zugunsten der Bundeswehr und den Militärs anderer NATO-Streitkräfte fort. Bereits im Fall eines mutmaßlichen NATO-Kriegsverbrechens in der jugoslawischen Ortschaft Varvarin hatte das Bundesverfassungsgericht bekräftigt, es gelte die Staatenimmunität. Mit derselben Argumentation haben deutsche Gerichte und der Internationale Gerichtshof (IGH) in Den Haag die Bundesrepublik zudem von der Zahlung einer Entschädigung an Opfer von Wehrmachts- und SS-Massakern in Griechenland befreit. Die Staatenimmunität, die Berlin für sich in Anspruch nimmt, befreit die Kriegführung von größeren finanziellen Risiken. Allein durch NATO-Luftangriffe im Afghanistan-Krieg kamen von 2008 bis 2015 mehr als 1.700 afghanische Zivilisten zu Tode. Bringen deutsche Militärs Zivilisten um, dann muss Berlin nach dem jüngsten Urteil nicht mehr damit rechnen, finanziell zur Verantwortung gezogen zu werden.
Die Tanklaster von Kunduz
Die Angehörigen der Opfer eines Massakers in Afghanistan, das ein deutscher Oberst befohlen hat, haben keinen Anspruch auf Entschädigung. Dies hat der Bundesgerichtshof in der vergangenen Woche bestätigt. Gegenstand des Verfahrens war die Bombardierung zweier entführter Tanklaster nahe Kunduz am 4. September 2009. Der Oberst der Bundeswehr Georg Klein hatte die Bombardierung befohlen, obwohl in unmittelbarer Nähe der Tanklaster über hundert Personen zugegen waren, deren chaotisch anmutendes Hin- und Herlaufen vermuten ließ, dass es sich um Zivilisten handelte. Dies war tatsächlich der Fall. Klein hatte zudem fünfmalige Bitten der beiden US-Piloten, die den Angriff durchführten, abgelehnt, vor der Zerstörung der Tanker die mutmaßlichen Zivilisten mit einem Tiefflug warnen zu dürfen, um unnötige Todesopfer zu vermeiden. Bei dem Angriff kamen ungefähr hundert vollkommen unschuldige Menschen ums Leben. Nach dem Massaker wurden die zwei US-Piloten strafversetzt, Klein hingegen wurde zum Brigadegeneral befördert. Über Kleins Massakerbefehl vom 4. September 2009 urteilt der Vorsitzende Richter am Bundesgerichtshof Ulrich Herrmann nun, die "militärische Entscheidung" sei "völkerrechtlich zulässig" gewesen.[1] Ohnehin hätten individuelle Opfer nicht das Recht, einen fremden Staat auf Entschädigung zu verklagen; es gelte das Prinzip der Staatenimmunität. Laut Bundesgerichtshof können die Kläger sich auch nicht auf das Amtshaftungsrecht berufen. Wolle man dieses auf die Auslandseinsätze der Bundeswehr anwenden, dann könne es zukünftig "in mehrfacher Hinsicht zu Beeinträchtigungen" nicht nur der "Bündnisfähigkeit Deutschlands", sondern darüber hinaus "des außenpolitischen Gestaltungsspielraums" kommen.[2] Dies wiederum ist unerwünscht.
Die Brücke von Varvarin
Das aktuelle Urteil des Bundesgerichtshofs schließt an ältere Urteile zu einem NATO-Luftangriff vom 30. Mai 1999 auf die jugoslawische Ortschaft Varvarin an. Damals hatten zwei Kampfjets der NATO die Brücke von Varvarin zerstört - dies, obwohl das jugoslawische Militär in dem Ort nicht präsent war und die Brücke keine militärische Bedeutung hatte. Auch in diesem Fall unterließ die NATO jegliche Vorwarnung an die Zivilisten, die erkennbar die Brücke überquerten; tatsächlich töteten sie einige, die den ersten Angriff überlebt hatten und sich an Brückenteile klammerten, mit einer zweiten Bombe. Zehn Menschen kamen bei der Attacke ums Leben, 30 wurden teils schwer verletzt. Angehörige der Opfer klagten in Deutschland, scheiterten jedoch: Individuellen Opfern stehe das Recht nicht zu, von fremden Staaten Entschädigungen einzuklagen, bestätigte das Bundesverfassungsgericht. Allenfalls "Serbien als Staat" habe die Möglichkeit, "einen Anspruch gegen die Bundesrepublik Deutschland oder gegen andere NATO-Staaten geltend zu machen" [3], erklärt der Völkerrechtsprofessor Stefan Talmon von der Universität Bonn. Serbien freilich hätte, versuchte es Entschädigungen einzuklagen, mit massiven politischen Repressalien aus Berlin zu rechnen, weshalb es den Schritt bis heute gezwungenermaßen unterlässt.
Das Massaker von Dístomo
Mit Verweis auf die Staatenimmunität, die es individuellen Opfern untersage, Staaten auf Entschädigung für Kriegsverbrechen zu verklagen, hat die Bundesrepublik sogar die Forderung nach Entschädigung für die Opfer von Wehrmachts- und SS-Massakern erfolgreich zurückweisen können. Exemplarisch ist dies anhand einer Klage zum Massaker von Dístomo geschehen. In dem griechischen Ort hatten Angehörige der 4. SS-Panzer-Grenadier-Division unter dem SS-Hauptsturmführer Fritz Lautenbach am 10. Juni 1944 alle Bewohner ermordet, die sie antrafen - 218 Menschen. 1995 klagten Angehörige der Opfer in Deutschland auf Entschädigung. In letzter Instanz entschied der Bundesgerichtshof am 26. Juni 2003, es bestehe kein Anspruch auf Entschädigung, da "etwaige Schadenersatzansprüche" gegen das Deutsche Reich "nicht einzelnen geschädigten Personen, sondern nur deren Heimatstaat" zustünden.[4] Genauso entschied, auf Prozesse in Griechenland und Italien Bezug nehmend, am 3. Februar 2012 der Internationale Gerichtshof (IGH) in Den Haag. Im August hat nun allerdings der griechische Ministerpräsident Aléxis Tsípras angekündigt, Griechenland werde Entschädigung für die Opfer von Wehrmachts- und SS-Massakern einfordern - als Staat.[5] In diesem Fall böte das Prinzip der Staatenimmunität Deutschland keinen Schutz. Konkrete Schritte hat Athen allerdings bislang noch nicht unternommen. Ob der griechische Staat, der durch die seit Jahren anhaltende Krise in komplette Abhängigkeit von der Bundesrepublik geraten ist, sich Prozesse gegen die EU-Hegemonialmacht politisch überhaupt leisten könnte, kann bezweifelt werden.
Tausende Tote
Wie nützlich der Grundsatz der Staatenimmunität für die Bundesrepublik und ihre Verbündeten heute ist, zeigen exemplarisch Untersuchungen über zivile Opfer von NATO-Angriffen am Hindukusch. Eine vor kurzem an der Universität Boston erstellte Studie beziffert die Zahl der Zivilisten, die von 2008 bis 2015 durch Luftangriffe in Afghanistan ums Leben kamen, auf 1.766. In wieviele Fälle deutsche Soldaten als Teil der Kommandokette oder im Zuge der Aufklärung involviert waren, ist unbekannt. Hinzu kommen die zivilen Todesopfer aller anderen Operationen, die von den westlichen Streitkräften und ihren afghanischen Verbündeten durchgeführt wurden; durch sie kamen laut der Studie von 2008 bis 2015 genau 2.492 Zivilisten um.[6] Auch in diesem Fall bleibt der deutsche Mordanteil unklar. Die Angehörigen der Opfer haben, wendet man das Prinzip der Staatenimmunität an, keinerlei Anspruch auf Entschädigung, solange der afghanische Staat sie nicht einfordert; das aber kann als politisch ausgeschlossen gelten. Zu den Opferzahlen hinzugerechnet werden müssen laut der Bostoner Studie noch die zivilen Opfer von US-Drohnenattacken in Pakistan. Deren genaue Zahl ist unbekannt; Schätzungen reichen bis zu mehr als 2.600 Personen. Von 2007 bis 2015 töteten darüber hinaus die Streitkräfte des mit der NATO kooperierenden Pakistan tausende Zivilisten. Eine Gesamtbilanz müsste die zivilen Opfer der Kriege im Irak, in Syrien, in Libyen und in weiteren Ländern, in denen NATO-Streitkräfte operieren, berücksichtigen; zudem ist in den erwähnten Opferzahlen eine relevante Dunkelziffer ungeklärter Fälle nicht enthalten.
Krieg ohne Risiken
Bereits im August 2014 hatte die Menschenrechtsorganisation Amnesty International energisch gegen die Straflosigkeit bei der Tötung von Zivilisten im Afghanistan protestiert. Seit 2009 habe es lediglich sechs Strafverfahren gegen US-Soldaten wegen Mordes an Zivilpersonen gegeben, stellte Amnesty fest; letztlich seien nur zehn Täter bestraft worden.[7] Die NATO-Streitkräfte müssten endlich die Mordtaten ihrer Militärs entschlossen bestrafen sowie alles tun, um weitere Verbrechen zu verhindern. Beides ist nicht geschehen. Im ersten Halbjahr 2016 nahm die Zahl der Zivilisten, die bei Operationen der afghanischen Streitkräfte und ihrer westlichen Verbündeten ums Leben kamen, sogar erneut zu und stieg auf 383. Zuletzt verloren bei einem US-Drohnenangriff in Afghanistan am 28. September mindestens 15 Zivilpersonen ihr Leben. Das Verbrechen erfolgte knapp ein Jahr nach dem US-Luftangriff auf ein Krankenhaus der Organisation "Ärzte ohne Grenzen", bei dem 42 Zivilisten umkamen. Hinzu kommen weitere zivile Todesopfer auf anderen Kriegsschauplätzen, etwa in Syrien. Die Staatenimmunität sorgt nun dafür, dass Opferklagen gegen die NATO-Mächte aussichtslos sind. Finanzielle Risiken, wie sie mit Entschädigungsklagen einhergingen, muss die Bundeswehr bei ihren heutigen und bei ihren künftigen Kriegen nicht mehr in Rechnung stellen.

[1] Keine Entschädigungen für Hinterbliebene von Kundus-Luftangriff. www.rp-online.de 06.10.2016.
[2] Deutsches Amtshaftungsrecht ist auf bewaffnete Auslandseinsätze der Bundeswehr nicht anwendbar ("Fall Kunduz"). juris.bundesgerichtshof.de 06.10.2016.
[3] Saša Bojić: Kein Schadensersatz wegen Nato-Angriffs. www.dw.com 12.09.2013.
[4] BGH, Urteil vom 26. 6. 2003 - III ZR 245/98.
[5] S. dazu Die Regelung der Reparationsfrage.
[6] Neta C. Crawford: Update on the Human Costs of War for Afghanistan and Pakistan, 2001 to mid-2016. Boston University, August 2016.
[7] Amnesty International: Left in the dark. Failures of accountability for civilian casualties caused by international military operations in Afghanistan. London, August 2014.


=== 3 ==

À voir aussi: Communiqué du Sommet de l’OTAN à Varsovie : préparer le crime d’agression (par Christopher Black)
See also: NATO’s Warsaw Communiqué: Planning the Crime of Aggression (18.07.2016 Author: Christopher Black)


http://milosevic.co/552/christopher-black-operation-barbarossa-2-american-occupation-of-europe-intensifies/

Christopher Black: Operation Barbarossa 2 – American Occupation of Europe Intensifies

17/02/2016

On February 1 the New York Times ran a front page story by two of their journalists confirming the intentions of the United States to increase its occupation of and military presence in Europe particularly the east. Under the title “U.S. Fortifying Europe’s East to Deter Putin” the story sets out just one in a continuing series of acts of aggression against Russia. At the same time as the Americans announced this action they pretended to negotiate with Russia in Geneva about a solution to the American and allied aggression against Syria.

Of course, the story begins with the lie in the headline of a need to “deter Putin.” It then continues with the standard set of lies and propaganda about world events that we always get from the government of that country. No one outside the United States can read these things without laughing or crying, but of course they are intended to justify the criminal actions of the American government and ruling elite to the people who have to pay for the criminal wars they conduct, that is, to justify the unjustifiable, to the citizens of the United States.

There is no need to enter once again into the real history of events in Ukraine, Syria, Europe, Asia, Africa and all the places in the world where American and European meddling have wreaked havoc and loosed Chaos with the dogs of war. The history is well known by those who are interested. But there is a need to comprehend the meaning of what the United States is doing by announcing that it will increase its military budget for eastern Europe by 400%, from a current budget of $789 million to $3.4 billion in 2017. Since the Russians are not the threat in the region, but the United States and NATO are, the placement of military hardware to support a full armoured combat brigade in the region, and right on top of Russia’s borders can have only one other purpose, aggression.

Once can even argue that the pattern of moving equipment and forces continually nearer to Russia’s border, the continuous military exercises and their increasing control of the governments of the east European states in lockstep with this military build up, looks far too much like Nazi Germany’s build of forces prior to Operation Barbarossa, the Nazi invasion of the Soviet Union in 1941. History never repeats itself exactly, we have learned that much. But the overall pattern is very similar and the objectives and motivations remain the same.

The story also quoted American officials as stating that the equipment could be used in Syria, another threat to Russia. But the main threat is against Russia itself. Indeed the writers stated,

“Still, there is no doubt the primary target of the funding is Russia.”

The Times admits that the 1997 agreement known as the NATO-Russia Founding Act stipulates that neither side can place forces along their respective borders and admits that the deployment of American and NATO troops along Russia’s borders is a clear violation of the agreement. But, being the weasels that they are, they always state that wrong is right and so they simply deny they are in violation of the agreement or excuse it based on ”Russia’s incursion” into Crimea. This makes no sense of course since the United States took over Ukraine as its protectorate in the coup in 2014. Its forces have been there ever since and it has been in violation of the agreement from the day it was signed as NATO occupied, one by one, the countries formerly protected from NATO by the Soviet Union. The agreement means nothing to them. They just shrug their shoulders if it is mentioned and chew their gum.

Since the build-up of American forces in Europe is explicitly directed at Russia and since a few months ago an American general stated that they expected Russia to engage in “hybrid warfare” in the Baltic states and regard this as a “certainty” for which NATO has to prepare, an objective observer must ask whether the US itself intends to stage a series of provocations in the Baltic and blame them on Russia.

The Americans, British and Turks have created a series of provocations in the past weeks, accusing Russia of killing civilians in Syria, of violating Turkish, therefore NATO airspace, of murdering Russians abroad on the personal orders of President Putin, and as with other leaders they have attacked and murdered in the past, now accuse President Putin of corruption, a charge they levelled at President Milosevic when he was attacked and then finally arrested in Serbia.

This writer had the opportunity of meeting with Serbian officials who were in charge of the case against Milosevic at that time and I asked them if the corruption charges were true. They told me that they were completely false but that the Americans pushed them to charge Milosevic in order to undermine support for him in Serbia and as an excuse to hold him until they could kidnap him and take him in chains to their NATO tribunal in The Hague. They further told me that the Americans had threatened to bomb them again if they refused to cooperate.

The accusations made against President Putin are in line with this strategy of setting him up to be labelled in the west as a criminal with whom negotiations are impossible and therefore, setting the stage for sowing confusion amongst the Russian people about their own leaders, and undermining support for their government. But this is only one purpose and since the Russian people are very aware of how the game works, it is unlikely that this campaign of defamation against President Putin will have any success inside Russia. So, the primary objective is to demonise him in the eyes of the western public in order to justify further aggression against Russia and since these stories receive saturation coverage in the west, the NATO propagandists are succeeding.

It took nearly ten years for Operation Barbarossa to be set up and put into effect, from the time that Hitler was made Chancellor of Germany and began to discuss with the British and French his intentions of attacking the Soviet Union. The British and French were very content for the Nazis to do that and there is no doubt that the primary objective of Hitler was always the crushing of Russia. That the attack failed is one of the reasons the NATO leaders snubbed the Moscow Victory Parade last summer since they now identify themselves with the objectives of the defeated Nazi regime.

Some doubt that the NATO powers will actually attack Russia and risk a world war and point out that the forces being placed in eastern Europe are too weak to mount any attack. But they miss the point, which is that the build up is steady, and it is increasing, along with the propaganda and increased economic warfare. The Americans are really prepositioning resources, stores, equipment and headquarters and logistics bases that can be rapidly used to build up NATO forces at the right moment. The question is when that moment will be.

Unless the European powers can escape the American pressure and become independent states once again and unless a new regime dedicated to peace arises in the United States, neither of which look likely for the foreseeable future, it rests with us, the citizens of the world to get off our chairs and get on the streets and demand that these preparations for world war be stopped. For, unless that happens, the march to war by the Americans and their NATO lieutenants appears to be inexorable.






A cinque anni dal barbaro assassinio di Gheddafi

di Domenico Losurdo – 20 Ottobre 2016

5 anni fa, il 20 ottobre 2011, veniva barbaramente assassinato il leader della Libia anticolonialista Mu’ammar  Gheddafi. Per ricordarlo e a eterna vergogna dei responsabili di questo crimine, da Sarkozy alla signora Clinton, che ora non a caso si appresta a divenire Presidente degli USA, riprendo alcune pagine del mio libro La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Carocci, Roma (DL).

L’esultanza della signora Clinton per il crimine

Quante vittime ha provocato una guerra, che peraltro «non ha portato ai libici la “libertà dal tiranno” ma ha creato l’ennesimo Stato fallito, in preda a bande armate» e all’«estremismo islamico» (Panebianco 2013)? Per rispondere a questa domanda diamo la parola a un filosofo di fama internazionale: «Oggi sappiamo che la guerra ha fatto almeno 30.000 morti, contro le 300 vittime della repressione iniziale» perpetrata dal regime che la NATO era decisa a rovesciare (Todorov 2012). Occorre aggiungere che la repressione colpiva una rivolta che certo aveva basi anche endogene ma alla quale erano tutt’altro che estranei i servizi segreti occidentali, a cominciare da quelli inviati dal governo di Londra i quali – ha rivelato la stampa britannica più autorevole – già da un pezzo si proponevano di assassinare Gheddafi, ricorrendo a ogni mezzo (infra, cap. 3, § 7). E, in effetti, la guerra sanguinosa del 2011, scatenata mentre non pochi paesi in particolare dell’Africa e dell’America Latina premevano per una conferenza internazionale e per la ricerca di una soluzione pacifica, si concludeva con il linciaggio di Gheddafi e lo scempio del suo cadavere.

Appresa questa notizia, esultava scompostamente Hillary Clinton. Scimmiottando il celebre «veni, vidi, vici» di Giulio Cesare e aggiungendo un tocco di brutalità all’originale, l’allora segretario di Stato esclamava: «venimmo, vedemmo, egli morì!» (we came, we saw, he died!»). Interrogata da un reporter presente all’esternazione se la sua visita a Tripoli avesse avuto qualcosa a che fare con la fine di Gheddafi, la signora rispondeva orgogliosa: «Sono sicura di sì». Qualche tempo dopo, in occasione di una trasmissione televisiva, un giornalista di «Fox News» chiedeva a Hillary Clinton se per caso rimpiangeva il suo precedente commento imperiale, dato che l’uccisione del leader libico era stata definita un «crimine di guerra» da diversi studiosi di diritto. Il giornalista era costretto a ripetere la domanda, ma l’unica risposta che riusciva a ottenere era: «Non intendo commentare». Il significato della guerra e della sua conclusione era comunque chiaro. Il notiziario di «Fox News» titolava: «Obama brandisce un altro scalpo» (Forte 2012, pp. 130-31).

Sarebbe tuttavia errato perdere di vista il ruolo essenziale svolto dai servizi segreti francesi nel crimine di guerra di cui qui si parla. Diamo la parola al «Corriere della Sera»: «E’ un segreto di Pulcinella che a Parigi volevano eliminare il Colonnello»; l’allora Presidente Nicolas Sarkozy era deciso a evitare in ogni modo che si venisse a sapere dei massicci finanziamenti elettorali a lui versati dal «dittatore» (Cremonesi 2012a). Dunque, colui che è stato forse il campione più zelante della «guerra umanitaria» era in realtà il principale beneficiario dei petrodollari del «dittatore», prima accolto con tutti gli onori all’Eliseo e poi messo a tacere con un regolamento di conti privato e dunque con un assassinio di stampo mafioso. Si poteva pensare o sperare che queste rivelazioni avrebbero provocato un sussulto di indignazione. Nulla di tutto questo è accaduto: evidentemente, il comportamento appena visto viene considerato più o meno normale dalle cancellerie occidentali e dall’opinione pubblica prevalente in Occidente. Il successore di Sarkozy, François Hollande, si è affrettato a sottolineare la continuità della politica estera della Francia. Il presidente “socialista“ e i suoi omologhi “democratici” non hanno cambiato idea, nonostante che sia paurosamente aumentato il numero dei profughi provenienti dalla Libia: essi fuggono da un paese “fallito”, o più esattamente costretto dalla NATO al “fallimento”, partendo da «campi» controllati dalle milizie, «dove si stupra sistematicamente, dove si tortura sistematicamente, dove vengono stabilite le tariffe per essere imbarcati verso l’ignoto, dove nessun controllo può essere effettuato da alcuno» (Venturini 2014).

Gheddafi e i leader terzomondisti

[Con l’appoggio di Camusso e Rossanda alla guerra contro la Libia] di nuovo emergeva la devastazione culturale e politica che aveva investito la sinistra. Dileguata era la memoria storica: cento anni prima l’Italia aveva scatenato contro la Libia una guerra coloniale, essa sì non priva di pratiche genocide. E a trattenere le due illustri esponenti della sinistra italiana non servivano neppure le prese di posizione dei leader dei Terzo Mondo che si pronunciavano per una soluzione negoziata o che, per voce del presidente del Nicaragua Daniel Ortega, chiamavano a difendere il «fratello» Gheddafi contro la «feroce campagna», mediatica prima ancora che militare, scatenata contro lui dal neocolonialismo. Sulla stampa italiana e internazionale si poteva leggere tranquillamente delle covert actions messe in atto dai servizi segreti occidentali già diversi anni prima dello scoppio della crisi; vedremo che gli stessi giornali e riviste impegnate ad appoggiare la guerra contro la Libia di Gheddafi tracciavano un quadro tutt’altro che lusinghiero dei ribelli, i quali si abbandonavano a saccheggi contro il loro stesso popolo, passavano per le armi i soldati fatti prigionieri, sfogavano la loro rabbia contro neri e migranti neri, sbrigativamente assimilati a mercenari del regime e trattati di conseguenza. Facendo ricorso a un’informazione appena più sofisticata, si poteva ricavare un quadro più equilibrato dei mutamenti intervenuti in Libia sull’onda della rivoluzione anticoloniale a suo tempo guidata da Gheddafi: la durata media della vita dei libici era passata da 51 a 74 anni, era stata realizzata l’alfabetizzazione di massa anche per le donne, il reddito pro capite era aumentato in misura assai notevole. Sul piano internazionale il regime si era opposto all’installazione di basi militari straniere, si era battuto per lo sviluppo autonomo e per l’unità economica e tendenzialmente politica dell’Africa. Su questa base il leader libico si era attirato sì l’ostilità implacabile dell’Occidente ma si era anche guadagnato, nonostante il carattere personale e autoritario del suo potere, la stima di non pochi leader del Terzo Mondo, compreso Nelson Mandela (Forte 2012, p. 143 e passim). Tutto ciò era ignorato da Rossanda. Ma anche a voler sottoscrivere l’analisi da lei tracciata della Libia del 2011, resterebbe pur sempre da rispondere alla domanda: per una leader storica del movimento di ispirazione marxista e comunista, le promesse non mantenute della rivoluzione anticoloniale sono un motivo sufficiente per schierarsi con la controrivoluzione neocoloniale?

Forse, a spiegare la presa di posizione di Camusso e Rossanda è stata la fretta, la mancanza di informazioni adeguate; ma, se si è realmente verificato, il ripensamento non è stato reso pubblico. Ancora una volta impietosa si rivela l’ironia della storia. A suo tempo, mentre infuriava la carneficina del primo conflitto mondiale, furono i bolscevichi a rivelare, assieme ad altri accordi dello stesso genere, l’accordo Sykes-Picot propriamente detto, e a denunciare la realtà della spartizione delle colonie che si occultava dietro l’ideologia della guerra dell’Intesa, ipocritamente impegnata a difendere la causa della democrazia e della pace nel mondo. Ai giorni nostri, ad avallare di fatto il nuovo Sykes-Picot sono stati il segretario di un grande sindacato che nel corso della sua storia si è distinto anche sul fronte della lotta anticolonialista e antimilitarista, e una figura di spicco di un «quotidiano comunista» che generalmente ha svolto e svolge un ruolo significativo nel contrastare le avventure belliche del potere dominante.

Come al susseguirsi delle guerre neocoloniali così all’aggravarsi del pericolo di guerra su larga scala la risposta della sinistra occidentale è debole o del tutto inesistente; eppure, si vanno estendendo i focolai di un conflitto che potrebbe essere catastrofico e varcare persino la soglia nucleare. Si direbbe che sia dileguata persino la memoria storica di una grande stagione di lotta contro la guerra e i pericoli di guerra!




Ripetere ostinatamente gli errori del passato

1) Limes, l’UE e la falsa coscienza (di Andrea Martocchia / CNJ ONLUS e CUA-BO, 14.10.2016)
2) I ripetenti della Storia (di Giorgio Stern, 14.10.2016)
3) Nasce, in segreto l’Esercito Europeo. Il silenzio a sinistra (di Fosco Giannini / PCI , 9.10.2016)
4) Aggressione della NATO: c'è una via d'uscita? (di Christopher Black, 14.4.2016)


Segnaliamo anche (in ordine cronologico inverso):

INIZIATIVE

“NO al referendum, NO alla guerra”
Una mostra NO-WAR a Piazza San Giovanni (SibiaLiria 16.10.2016: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3277 )
Il 21 e 22 ottobre, gli attivisti della Rete No War esporranno la mostra “NO al referendum, NO alla guerra”, a Piazza San Giovanni  (Roma),  nell’”accampata” che precederà il corteo del No Renzi Day.
La mostra (supportata da Sibialiria [ http://www.sibialiaria.org/ ] e L’Antidiplomatico [ http://www.lantidiplomatico.it/ ]) mette in evidenza l’impatto che la nuova Costituzione, imposta dal Governo Renzi, avrebbe anche in materia di proclamazione dello Stato di guerra.
I pannelli della mostra illustrano il ruolo nefasto – diretto o indiretto – del governo italiano rispetto ad alcuni scenari di guerra: Siria, Yemen, Libia, Ucraina…
La mostra, inoltre, potrà essere liberamente scaricata in formato PDF e sarà quindi a disposizione di tutti coloro che vogliono sviluppare nei loro territori iniziative per il No al referendum e NO alla guerra.
La URL da dove scaricare (o visionare)  la mostra è: https://drive.google.com/drive/folders/0B_WENlEYeAwqaXp2MkZjV05ETVE?usp=sharing
Il videoclip promozionale dell’iniziativa è visionabile su Youtube: https://youtu.be/dmIrnQScrtU

TESTI

Siria: chi sono i criminali di guerra (di Domenico Losurdo, 17 Ottobre 2016)
In questi giorni una sistematica campagna di disinformazione di cui sono protagonisti in particolare USA, Gran Bretagna e Francia, bolla quali «criminali di guerra» Assad e Putin. È la preparazione multimediale dell’ulteriore scalata dell’aggressione contro la Siria a cui mirano Obama (appoggiato e stimolato da Hillary Clinton) e gli alleati e vassalli di Washington. Per chiarire chi sono i veri criminali di guerra riporto (con nuovi sottotitoli) quello che ho scritto in miei due recenti libri (La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Carocci, 2014; Un mondo senza guerre. L’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci, 2016), basandomi per altro su fonti esclusivamente occidentali. La scalata a cui si prepara l’imperialismo potrebbe avere conseguenze tragiche per la pace mondiale. È per sventare questo pericolo che occorre mobilitarsi sin d’ora...

Sudditi di nessuno (di Manlio Di Stefano / M5S, #ObiettivoEsteri – 14.10.16 - #IoVoglioLaPace)
Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, è colui che pochi mesi fa, a Davos, dichiarava: "Nel lungo periodo, l'organizzazione si potrebbe adattare a seconda della situazione. Si potrebbero affrontare sfide quali la guerra nucleare". Dobbiamo preparaci ad una guerra nucleare secondo costui. Jens Stoltemberg è il Segretario di un'organizzazione che sta facendo di tutto per arrivare a questo punto di rottura e a questo scenario. Il livello di esercitazioni militari e di accerchiamento della Russia ad est è senza precedenti...

Sergio Romano: «Nuova guerra fredda con la Russia? È colpa nostra. Di Putin non abbiamo capito nulla» (di Francesco Cancellato, 13.10.2016)
... Quando nel 2008 il governo georgiano decise di invadere l’Ossezia del sud, c’era sul territorio georgiano un contingente americano di 800 addestratori. Non credo che i soldati americani ignorassero quello che stava per accadere...

L'ultima guerra (di Piotr, 7 ottobre 2016)
È col cuore grave che sono costretto a prendere atto che dal giorno 6 ottobre 2016 una guerra tra la Russia e gli USA è possibile in ogni momento... Perché un'affermazione così brutale (o catastrofista, come mi vien detto)? Bene, questo è lo svolgimento del dramma, in tre atti:
Atto 1. A margine dell'Assemblea Generale dell'ONU di qualche giorno fa, il segretario di Stato, John Kerry, si incontra con esponenti dei "ribelli" siriani...
Atto 2. L'addetto stampa della Casa Bianca, John Earnest, fa sapere ai giornalisti che si sta discutendo sulla possibilità di una campagna militare diretta contro la Siria... Questa dichiarazione è raddoppiata dalle parole - nascoste dai nostri media - pronunciate dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito degli Stati Uniti, Mark Milley, a una conferenza delle Forze Armate statunitensi... "Voglio essere chiaro con coloro che, in tutto il mondo, vogliono distruggere il nostro stile di vita e quello dei nostri alleati e amici. Noi vi fermeremo e vi colpiremo più duramente di quanto siate mai stati colpiti. Non c'è alcun dubbio a riguardo."...
Atto 3. Ed ecco come reagisce la Russia. Non lo sapete perché i grandi media non ve lo dicono... Il portavoce del ministero russo della Difesa, il generale Igor Konashenkov, ha per prima cosa rammentato agli Stati Uniti la gittata e le capacità di intercettazione dei missili dei sistemi di difesa antiaerea S-300 e S-400 schierati in Siria. Ha poi sottolineato che questi sistemi sono in Siria non in funzione offensiva ma per difendere le forze russe ivi dislocate e che gli Stati Uniti sono invitati ad essere matematicamente certi che saranno usati se i soldati russi verranno attaccati da chicchessia. E infine - ecco dove si voleva arrivare - ha ricordato che i soldati russi operano sul terreno con le forze armate siriane e che quindi ogni attacco a queste sarà considerato un attacco alle forze armate russe...
... Lo shock del bombardamento di Belgrado fu quello - per chi si degnò di capirlo - della prima capitale europea bombardata in cinquant'anni dalla fine della II Guerra Mondiale. Lo shock del conflitto in Novorussia - per chi si degna di essere scioccato - è quella di una feroce guerra al centro della civile Europa. Europa! De te fabula narratur!

Una guerra fredda al servizio di una guerra geoeconomica (di Alberto Rabilotta e Michel Agnaïeff – da alainet.org, 3 Ottobre 2016)
... "la geoeconomia è la continuazione delle antiche rivalità tra le nazioni per mezzi industriali", e ... i nemici degli USA in questo "confronto geoeconomico sono Cina, Russia ed altri Stati capitalisti nei quali i governi nazionali sono i principali attori sul terreno dei commerci"...

Il vero ruolo dell’America in Siria (di Jeffrey D. Sachs* | da project-syndicate.org – 30.8.2016)
La guerra civile in Siria rappresenta la crisi più pericolosa e distruttiva del pianeta... A gennaio il New York Times ha riportato alcuni fatti legati ad un ordine segreto presidenziale del 2013 alla CIA di armare i ribelli siriani. Secondo il resoconto del giornale l’Arabia Saudita fornirebbe un consistente finanziamento per gli armamenti, mentre la CIA, su ordine di Obama, garantirebbe supporto organizzativo e la formazione... Gli sforzi guidati dagli Stati Uniti per rovesciare Assad non hanno lo scopo di proteggere il popolo siriano come hanno suggerito diverse volte Obama e la Clinton, ma sono in realtà una guerra per procura contro l’Iran e la Russia con la Siria come campo di battaglia...
ORIG.: America’s True Role in Syria (JEFFREY D. SACHS, 30.8.2016)


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Limes, l’UE e la falsa coscienza

di Andrea Martocchia, 14.10.2016

Ho ascoltato ieri sera, 13 ottobre 2016, la conferenza organizzata dal LIMES CLUB a Bologna nell'Aula Magna della Facoltà di Scienze Politiche (*).
Ci siamo ritrovati un una sala letteralmente gremita: i posti a sedere erano tutti occupati e molte decine di persone, tra cui il sottoscritto, sono dovute rimanere ad ascoltare in piedi o accovacciate. Credo di poter valutare in circa 300 i partecipanti. Voglio sottolineare questo per dare la misura del bisogno di iniziative sui temi di politica internazionale, rispetto ai quali in alcuni settori della nostra società c'è evidentemente sete di conoscenza, una sete che l'apparato dei media evita di soddisfare se non con bevande avvelenate: anche in questa occasione, come in tante altre simili, pure da parte dei relatori si è apertamente lamentata tale (dolosa) sottrazione di informazione.

È stata insomma una grande occasione, ma voglio parlarne perché ne sono uscito con il sentimento forte di avere assistito alla ennesima occasione sprecata.

È pur vero che sarebbe ingenuo aspettarsi troppo da iniziative di questo tipo. Conosciamo LIMES dalla sua fondazione e ne abbiamo constatato un certo declino, da rivista preziosa nata proprio per esporre ciò che i media e la politica ci negano di conoscere, a periodico "ecumenico" imbrigliato nel conformismo dei rapporti accademici nostrani e dalle compatibilità del gruppo editoriale L'Espresso, in un panorama editoriale in cui è tutta una gara al ribasso. Programmaticamente non-ideologica, la narrativa di LIMES è confinata nell'angusta dimensione della geopolitica come se quest'ultima esistesse davvero come disciplina autosufficiente, evitando perciò di scavare tra le cause strutturali dei conflitti e soprattutto impossibilitata a riconoscere nella guerra la manifestazione più eclatante e consueta delle crisi di sovraccumulazione del capitale. La ossessione invece di "dare voce a tutte le parti" ha reso vieppiù enigmatici i numeri della rivista; ciononostante, proprio in virtù della sua programmatica ecumenicità, LIMES è diventata la vetrina ambita anche da giovani studiosi, soprattutto da chi esce da studi di politica internazionale o simili e legittimamente cerca il suo posto al sole nel giornalismo, nell'accademia o persino nella diplomazia. (E vaglielo a dire, a quale prezzo è possibile oggi come oggi conseguire tali posti: per le menti più critiche e brillanti, il prezzo da pagare è quantomeno la rinuncia alle proprie convinzioni.)

In quella gremita platea la grande maggioranza erano infatti e giustamente studenti. Mi chiedo però che cosa abbiano imparato dalla conferenza. Inizialmente i relatori si sono presentati ed hanno esposto alcuni loro punti di vista, con toni non particolarmente accesi nonostante il titolo della serata: NATO-RUSSIA LA GUERRA POSSIBILE, che opportunamente ribaltava e precisava il titolo del numero della rivista oggetto della presentazione: RUSSIA-AMERICA LA PACE IMPOSSIBILE. Le cose più gravi – come la notizia che saranno prossimamente schierati decine di soldati italiani nei Paesi Baltici a pochi metri dal confine russo – sono state dette con un candore disarmante (magari lo fosse davvero...). Si è parlato di provocazioni da parte USA che ci sono già state – come il bombardamento della base militare siriana poche settimane fa mirato a far saltare la tregua appena raggiunta, o l'abbattimento del jet russo da parte turca, o ancora il colpo di Stato a Kiev scattato proprio all'indomani di un altro accordo del quale si era fatta garante una trojka europea – e di altre provocazioni che sarebbero possibili e potrebbero far precipitare "incidentalmente" o "colposamente" la situazione. Di tante altre provocazioni che pur ci sono state non si è invece parlato – dal terrorismo ucraino in Crimea, ai colpi ucraini caduti in territorio della Federazione russa nel 2014, all'abbattimento da parte ucraina dell'aereo di linea malaysiano – ma certo non si poteva parlare di tutto. Di qualcosa però non si è voluto parlare, o meglio ci si è affrettati a liquidarlo come se fossero inezie inutili da discutere, per la serie: stendiamo un velo pietoso.
Eh no! Al pacato Lucio Caracciolo, che a un certo punto ha detto: "Meglio dunque che lasciamo stare l'Unione Europea", replichiamo che l'Unione Europea non la lasciamo stare proprio per niente. 

Sulla Unione Europea hanno fatto a gara a minimizzare, a dire che è impotente, inutile e divisa, che di fronte alle scelte cruciali si ritrova sempre in ordine sparso... È una opinione consolatoria, questa, che però è anche (auto)assolutoria e non coglie il punto. 
In realtà, la Unione Europea ha responsabilità-chiave nell'infiammarsi di scenari come quello ucraino. In questo non c'è niente di nuovo, poiché essa persegue la continuità di secoli e secoli di politiche russofobiche e antislave, tra le quali 2 (due, finora) Guerre Mondiali: non si capisce allora perché eludere il problema con battutine sarcastiche sulla irrilevanza della UE rispetto agli USA. In piazza Majdan ad aizzare la folla dei teppisti nazisti antirussi c'erano Gianni Pittella e Margaret Ashton, oltre a MacCain e Nuland. A piazza Majdan, in effetti, era in corso EURO-Majdan, e a sventolare erano essenzialmente bandiere della UE, non statunitensi; e a premere su sempre nuove sanzioni contro la Russia è sempre Angela Merkel. 
Se tale atteggiamento della Unione Europea – vale a dire del suo "nocciolo duro" franco-tedesco à la Schäuble, di che altro parliamo? – è sconcertante, lo è solo nella misura in cui esso è tragicamente simile a quello tenuto rispetto alla crisi jugoslava, dalla quale – è evidente – ci si ostina a non voler apprendere proprio nulla. Eppure fu LIMES, tramite Gianni De Michelis, a rivelarci che a Maastricht quella notte di dicembre 1991 si era barattata l'adozione dell'euro in cambio del sangue dei popoli jugoslavi: vale a dire che l'Unione Europea a guida tedesca scelse lo squartamento di quel paese, riponendosi in piena continuità con il suo macabro passato. È proprio questa Europa qui che continua ad essere levatrice della guerra, epicentro – e ovviamente, stoltamente vittima essa stessa – di grandi guerre.

Ci ha lasciato davvero di stucco, su questo, la posizione del Console Onorario di Russia a Bologna, tra i relatori alla conferenza, che ha voluto più volte sottolineare la sua origine "per metà bosniaca" e fare ripetutamente riferimento alla guerra in Jugoslavia ed alle mancanze o "errori" commessi in quel caso. In realtà non ci furono errori, ma piuttosto crimini: crimini perpetrati in piena facoltà di intendere e di volere dalla leadership europea, cioè tedesca. Fa anche cadere le braccia che, dopo tanti anni, si continui a dipingere la aggressione NATO contro i serbi di Bosnia come quell'intervento salvifico che portò alla pace di Dayton, laddove però per i tre anni precedenti era stato tutto un susseguirsi di provocazioni, strategia della tensione, boicottaggio dei piani di pace (come quello Cutilhero), rifornimenti palesi e occulti di armi alle parti filo-occidentali e filo-europee attraverso le azioni coperte della stessa NATO... La Unione Europea fu tenuta a battezzo con quei crimini infami, per i quali certamente è la mano USA-NATO a sporcarsi per prima, ma questo sempre in virtù del fatto che i provocatori USA sanno che la UE cade volentieri in tutte le provocazioni di quel genere.

Da quella sala sono uscito perciò fondamentalmente indignato. Indignato in generale, per la occasione perduta nonostante le potenzialità di un evento pubblico del genere. Indignato anche con me stesso, per non avere alzato la mano subito, avendo capito troppo tardi che tutto sommato sarebbe stato importante intervenire davanti a quel pubblico di giovanissimi ignari, che difficilmente in questo "mercatino delle opinioni e degli aneddoti" possono prendere vera coscienza dei problemi del mondo in cui vivono. Perché talvolta la falsa coscienza non è dovuta all'essere ideologici, ma alla convinzione di non esserlo, che ci costringe nel circolo vizioso del non-detto e del conformismo dei giornalisti e dei commentatori mainstream; laddove invece condizione necessaria per provare a scongiurare il rischio della guerra è riconoscere e dichiarare a quale schieramento si appartiene.

Andrea Martocchia
(Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia e Comitato Ucraina Antifascista Bologna)



=== 2 ===

I ripetenti della Storia

di Giorgio Stern
14 ottobre 2016 (via email)
 

Stoltenberg il capo della NATO ha dato ordine al Governo italiano di mandare soldati ai confini della Russia. 

Nessuno di noi ha eletto lo Stoltenberg, che, con il nome che si ritrova potrebbe essere benissimo una delle macchiette naziste del film di Charlie Chaplin “Il Grande dittatore”.

Il governo italiano, che nessuno di noi ha eletto, obbedisce allo Stoltenberg e manda i soldati in Lettonia, in Polonia e lungo i confini della Russia.

Nel 1939 la guerra cominciò così. Prima la Polonia, poi la Francia e la Gran-Bretagna, poi la Russia (allora U.R.S.S.). 

Doveva essere una Blitzkrieg, una guerra lampo. L’Italia per non perdere il suo posto al tavolo dei vincitori (così sembravano allora i nazisti) inviò soldati con scarpe di cartone e pezze da piedi al posto di calze, tanto dovevano tornare da trionfatori entro l’autunno.

Non andò così, ma così cominciò. Con una banda di criminali buffoni che si definivano statisti e portarono l’umanità dentro la più grande tragedia della storia.

Vogliamo ripeterci…?


=== 3 ===


Nasce, in segreto l’Esercito Europeo. Il silenzio a sinistra

di Fosco Giannini*

Ricordate le vecchie Finanziarie della Democrazia Cristiana, dei governi Craxi-Forlani, che venivano votate in Parlamento attorno a ferragosto, in modo che quasi nessuno se ne accorgesse?  Evidentemente, questo stile di lavoro – operare nell’ombra, lontani dall’attenzione di massa – ha fatto scuola, poiché con le stesse modalità, oggi, sembrano lavorare il governo Renzi e la stessa Unione europea.

Mi riferisco, soprattutto, al lavorio – oscuro quanto inquietante – portato avanti in questa fase da “un nucleo duro” di governi dell’Ue ( tra i quali, molto attivo, quello italiano) per la costruzione dell’esercito europeo. C’è innanzitutto da osservare come questa “tessitura notturna”, tenuta accuratamente lontana dai riflettori mediatici, stia dando i suoi frutti: della costruzione in atto dell’esercito europeo non parla nessuno e nemmeno le forze più avanzate della sinistra italiana e del movimento contro la guerra stanno affrontando la questione, per quanto essa meriti. Lo stesso quotidiano “il Manifesto”, che pure, sul terreno della lotta contro il riarmo è, solitamente, presente, sull’attuale processo di costruzione dell’esercito europeo sta tacendo. Speriamo per disattenzione e non per un’ambiguità di linea politica.

Che cosa sta accadendo? Essenzialmente questo: un gruppo originario di governi dell’Ue ( Italia, Spagna, Francia, Germania), constatando che in gran parte degli altri membri dell’Ue vi sono ancora perplessità (o totali contrarietà, come quelle della Gran Bretagna, dell’Olanda, della Svezia) alla costruzione dell’Armata Europea, stanno accelerando il processo di costruzione dell’esercito sovranazionale europeo, offrendosi (con l’appoggio totale di Bruxelles) come primo nucleo militare organizzato, come primo – ma quanto forte e significativo ! – nucleo dell’esercito europeo.

Il processo sta avanzando tanto rapidamente quanto ( lezione della vecchia Democrazia Cristiana) segretamente. Soprattutto, lontano dagli occhi delle sinistre e dal movimento contro la guerra, che sembrano assenti.

Ciò che è accaduto tra lo scorso 27 settembre e lo scorso 5 ottobre la dice lunga sull’accelerazione dei lavori per la costruzione dell’esercito europeo, come il silenzio delle sinistre e del movimento contro la guerra la dice lunga sulle modalità ultrasegrete di questo lavorio (  dicendola lunga, con ogni probabilità, anche sull’attuale debolezza delle sinistre e del movimento).

Il 27 settembre scorso i ministri della difesa dell’Ue si sono incontrati a Bratislava. Sul tavolo dei lavori vi erano, tra l’altro, tre progetti  per la costruzione dell’esercito europeo: dell’Italia, della Francia e delle Germania. Tre proposte, sostanzialmente simili, che hanno trovato il pieno accoglimento da parte dell’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa dell’Ue, la “renziana” Federica Mogherini, che ha sintetizzato i tre progetti presentandoli, infine, come il progetto unico di Bruxelles.

Il progetto unico della Mogherini e di Bruxelles, come sintesi delle proposte italiane, francesi e tedesche, è semplice: di fronte alle attuali indecisioni degli altri partner europei, l’esercito dell’Ue comincia dall’unità militare tedesca, francese, italiana e spagnola.

A Bratislava, di fronte alla determinazione militare del nucleo duro europeo, si è levata, contraria, la voce del ministro della difesa britannico ( primo elemento positivo della Brexit) Michael Fallon, alla quale si sono aggiunte quelle, diversamente critiche, dell’Olanda, della Svezia, della Polonia, della Lituania e della Lettonia.

La determinazione con la quale, tuttavia, sta andando avanti il progetto di costruzione dell’esercito europeo da parte del “nucleo duro” è stata dimostrata dall’incontro “a latere” – a Bratislava – tra la ministra tedesca della difesa, Ursula von de Leyen, il francese Jean-Yves Le Drian e la ministra italiana Roberta Pinotti ( del tutto casuale l’assenza del ministro della difesa spagnolo, d’accordo col progetto del nucleo duro militare iniziale).

A dimostrazione della razionalità delle tesi dei comunisti ( contrarie all’esercito europeo poiché – nelle condizioni storiche date – altro non sarebbe che l’esercito delle politiche neo imperialiste,  iperliberiste e reazionarie di questa, concreta, Ue, un esercito, tra l’altro, succube della NATO ) due notazioni: primo, va notato come il nucleo dei Paesi Ue ostinatamente volto alla costruzione dell’ esercito sovranazionale ( tolta la Gran Bretagna della Brexit) rappresenti, in verità, il nucleo ( Germania, Francia, Italia) imperialista storico d’Europa. Secondo, va notato come la stessa tesi ( che viene pericolosamente avanti persino da settori della sinistra, italiana ed europea) secondo la quale un esercito europeo libererebbe l’Ue dal dominio della NATO, è stata platealmente, sonoramente sconfessata proprio a Bratislava, dove, all’incontro “a latere” tra i ministri della difesa del governo italiano, francese e tedesco ha – significativamente – partecipato anche il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, che certo, nel summit, non ha svolto un ruolo di secondo piano.

Stoltenberg ha innanzitutto smentito categoricamente il ministro britannico della difesa ( che continua a rimarcare, dal suo punto di vista, una contraddizione tra esercito europeo e NATO), affermando in modo netto che “non c’è alcuna contraddizione tra un sistema di difesa europeo forte e una NATO forte, e che, anzi, l’uno sarà complementare all’altro”. “Complementare”, ha rimarcato il segretario generale della NATO, svelando chiaramente il disegno USA di sottomettere ai propri disegni imperialisti anche l’eventuale esercito europeo. Avendone tutte le carte, tutte le condizioni oggettive di fase. Ma Stoltenberg, ad ulteriore dimostrazione dell’intento egemonico della NATO sul futuro esercito del nocciolo duro europeo, ha anche aggiunto che “ i progetti militari NATO ed esercito europeo dovranno essere complementari, ma non segnati da duplicazioni sul terreno militare reale”, alludendo chiaramente al fatto che l’esercito europeo non  dovrà  portare ad un doppio Quartier Generale militare in Europa, “poiché – ha ribadito categoricamente Stoltenberg – l’unico Quartier Generale dovrà rimanere il SHAPE ( Supreme Headquartiers Alied Powers), quello  dell’Alleanza Atlantica, con sede a Mons, Belgio ”. E c’è poco da commentare…

Ma, dicevamo, occorre tener d’occhio ciò che è accaduto tra il 27 settembre ed il 5 ottobre. Dopo Bratislava, infatti – e, con ogni probabilità, sotto la stessa spinta dell’incontro tra Italia, Francia, Germania e il segretario generale della NATO – , vi è stata la “calata”, in Italia, del direttore Esecutivo dell’EDA ( Agenzia europea per la Difesa, che coordina l’attività militare e industriale in materia di armamenti), lo spagnolo ( a dimostrazione di quanto anche la Spagna sia tra i soggetti del nucleo duro militare europeo) Jorge Domecq.  Chi incontra, Domecq, in Italia? Incontra – nella segretezza quasi assoluta –  i massimi responsabili delle Forze Armate italiane e i massimi rappresentanti dell’industria bellica in Italia.

Quali questioni pone Domecq, negli incontri? Fondamentalmente, il direttore dell’EDA, “denuncia” la diminuzione, da parte dei Paesi europei del nocciolo duro militare, degli investimenti nella ricerca militare e tecnologica a fini bellici, rammentando agli italiani  che “ Gli Stati Uniti hanno appena varato un progetto che consente al Pentagono di investire 18 miliardi di dollari all’anno ( bene a sapersi! n.dr.) per stimolare le industrie più innovative, in particolare quelle di Silicon Valley, nella nuova ricerca bellica”. Proseguendo, Domecq è stato chiaro con gli italiani ( Forze Armate e industriali della guerra): “ Dopo dieci anni di tagli dovuti alla crisi, nel 2015 le spese per la Difesa, in Europa, hanno ricominciato a crescere. Ma quelle per la ricerca no…”. Un declino europeo, su questo terreno militare? Potremmo chiederci. Ma Domecq smentisce: “ No. La Global Strategy lanciata da Federica Mogherini si abbina ad un progetto di investimenti che vede per la rima volta risorse del bilancio europeo destinate alla Difesa. Già l’anno prossimo saranno stanziati, dall’Ue, 25 milioni di euro per la ricerca bellica. E se l’Action Plan presentato dalla Commissione sarà approvato, nel bilancio quinquennale 2017-2021 ci potranno essere 3,5 miliardi di euro da investire su progetti militari congiunti”. Investimenti bellici ponderosi e davvero inquietanti, in relazione ai tagli drastici – sia al welfare che ai diritti e ai salari – che l’Ue impone ai popoli e agli Stati che ad essa aderiscono…

Ma, progetti militari per quali obiettivi ? Domenecq lo svela : “ Per il rifornimento degli aerei da guerra in volo; per un sistema di droni europeo; per una nuova generazioni di satelliti ad uso bellico; per la difesa del cyber spazio; per la produzione del nitruro di gallio, essenziale per una nuova generazione di sensori ad uso bellico; per la produzione di “fibre tessili intelligenti” per le nuove tute dei militari al fronte”.

Una richiesta di enorme spostamento di risorse economiche verso il fronte militare che la dice lunga sulla stessa natura neo imperialista dell’Ue. Che la dice lunga su quale disegno persegua il nocciolo duro dei Paesi dell’Ue che oggi, compresa l’Italia, punta alla costruzione dell’esercito sovranazionale: rafforzamento delle spinte imperialiste e neocolonialiste di una Unione europea legata al carro della NATO; e ripresa delle economie nazionali attraverso il riarmo bellico. Un classico imperialista, che si ripete con gli abiti dell’Ue.

Ciò che stupisce, rispetto a tutto ciò, è il silenzio e la passivizzazione delle forze della sinistra italiana e del movimento contro la guerra. E’ davvero ora di cercarsi e di unirsi per definire un’analisi comune e una lotta comune contro l’esercito europeo in costruzione. Se non ora, quando?

*segreteria nazionale PCI; responsabile dipartimento esteri

9 ottobre 2016


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Aggressione della NATO: c'è una via d'uscita?

Scritto da Christopher Black

Il 23 marzo Generale Breedlove, Capo di Stato Maggiore del Comando Americano Europeo, ha fatto una dichiarazione al Ministero della Difesa della Georgia, annunciando nuove manovre militari congiunte americane-britanniche-georgiane che si svolgeranno nel maggio di quest'anno sotto il nome in codice Noble Partner (Nobile Compagno) 2016.

In quel discorso ha messo in chiaro la reale intenzione dell'elite americana al potere : la guerra con la Russia.

Ed ai suoi burattini georgiani ha dichiarato quanto segue, a quanto pare rimanendo impassibile:
"Per quanto riguarda la mia visita qui. La situazione della sicurezza in tutta l'Europa continua ad evolversi e diventare sempre più complicata. Noi continuiamo ad affrontare sfide dirette alla  sicurezza da due diverse direzioni. A est, ci troviamo di fronte ad una Russia riemergente ed aggressiva, che ha scelto volontariamente di essere un nemico e di essere una minaccia aggressiva e a lungo termine per gli Stati Uniti e per i nostri alleati e partner europei.

"Al Sud ... l'Europa è di fronte alla sfida spaventosa di migrazioni di massa, causate dal collasso e dall'instabilità dello stato ... e  che maschera i movimenti di criminali, terroristi e foreign fighters (combattenti stranieri).  Come risultato del conflitto nella regione, "Daesh" - si sta diffondendo come un cancro, approfittando dei percorsi di minor resistenza, minacciando nazioni europee - e la nostra - con attacchi terroristici.  La sua brutalità porta alla fuga di milioni di persone  dalla Siria e dall'Iraq ... provocando una sfida umanitaria senza precedenti.
"Mentre lavoriamo con gli alleati ed i partner per rispondere e superare queste gravi minacce, diamo il nostro totale appoggio alla sovranit
à e all'integrità territoriale della Georgia. Oggi ho avuto il privilegio di visitare la Linea di Confine Amministrativo con il vostro Capo della Difesa e il nostro Ambasciatore. E qui sono stato testimone della illegittima divisione del popolo georgiano. Come la vostra coraggiosa, valorosa nazione èstata diretta testimone, la Russia continua a cercare di estendere la sua influenza oppressiva e distruttrice alla sua periferia, e ora sta anche cercando di ristabilire un ruolo aggressivo e di comando sulla scena mondiale. La Russia in ultima analisi cerca di ribaltare le regole ed i principi stabiliti del sistema internazionale, di incrinare l'unità del mondo libero e di sfidare la nostra determinazione." 

Ed eccola qua, una dichiarazione di guerra a tutti gli effetti.
Non ci vuole un genio militare per guardare una carta geografica e capire che l'ammassamento di forze NATO, in particolare Americane, sulla frontiera occidentale della Russia, da Camp Bondsteel nella provincia serba del Kosovo, attraverso la Bulgaria e la Romania, dall'Ucraina fino in Polonia e nei Paesi Baltici, è costante e sempre più allarmante.
La crescente concentrazione di forze intorno a Kaliningrad, l'enclave russa che gli americani considerano una minaccia al loro controllo del Baltico,  e che si avvicina alla Russia, le  sempre più frequenti e violente violazioni dell'Accordo Minsk 2 lungo la linea di contatto nel Donbass, e il continuo sostegno alle forze in disfacimento dell'ISIS in Siria e in Iraq, nonostante le dichiarate promesse per la lotta contro il "terrorismo", tutto indica che i piani per un confronto diretto con la Russia si stanno realizzando.

Si può anche ridere della assurda descrizione della realtà da parte del generale Breedlove, ma questa è la propaganda che viene somministrata alle sue truppe e a tutte le persone che in Occidente sono legate a mezzi d'informazione completamente controllati dai servizi segreti della NATO.

 La serie di misteriosi attentati e di sparatorie degli ultimi mesi sia in America che in Europa, che ci hanno detto siano state commesse da "terroristi" legati all'ISIS, ha avuto due risultati visibili: l'aumento della sorveglianza e del controllo delle persone, che sono sempre più demoralizzate, arrabbiate e affamate di capri espiatori, e l'uso di queste persone come scusa  per chiedere una guerra contro la Siria al fine di eliminare i "terroristi" che essi stessi hanno creato, armato e addestrato.
Il ruolo della Russia nella distruzione dell'ISIS in Siria insieme all'Esercito Siriano e gli altri alleati, dall'Iran a Hezbollah, viene eliminato dal racconto o, peggio ancora, viene accusato di "complicare le cose", nel senso che la vittoria sulle forze ISIS ha reso molto più complicata la guerra Americana contro il governo Siriano.
Gli americani sono chiari a questo riguardo ed ora cercano di sminuire questa vittoria, mettendo in giro la falsa informazione che la Russia avrebbe preso accordi con loro per emarginare il presidente Assad.   Il governo Russo nega e la cosa non ha comunque senso, dal momento che il governo di Assad ha dimostrato di essere resistente e determinato a sconfiggere i suoi nemici ed è un alleato fidato della Russia. Ma ancora una volta, la disinformazione viene usata per creare sospetti tra Siria e  Russia e per abbattere il morale delle Forze Armate Siriane.

Chi scrive ha appena ricevuto una lettera dal Ministro della Difesa Canadese in risposta ad una domanda circa la legittimità dei bombardamenti del Canada in Siria, con in allegato una lettera dell'ambasciatore Canadese al Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La lettera è rivelatrice. Si tenta di giustificare la partecipazione del Canada alla
aggressione contro la Siria. Essa afferma, in parte, che gli Stati Uniti e il Canada stanno bombardando la Siria perché
".... Gli Stati devono essere in grado di agire per autodifesa, quando il governo dello Stato ove vi sia una minaccia, non vuole o non può prevenire gli attacchi provenienti dal suo territorio. "
Naturalmente l' ISIS non rappresenta una minaccia per il Canada, anche se i canadesi ne sono convinti. Ma, cosa ancora più importante, il governo della Siria ed i suoi alleati sono perfettamente in grado, efficacemente e con forza, di prevenire tali attacchi. Ma i successi e le vittorie del governo Siriano degli ultimi mesi, da quando la Russia si è attivamente impegnata in Siria, vengono completamente ignorati.

La lettera si conclude con una dichiarazione ancora più significativa:
"Le azioni militari del Canada contro ISIL in Siria .... Non sono rivolte al popolo siriano, né  comportano un supporto al regime siriano ".
L'uso della parola "regime" indica sempre che quelli che bombardano un paese vogliono anche rovesciare quel "regime".
La parola è usata per umiliare il governo legittimo e dipingerlo come illegittimo ed è stata usata come mezzo di propaganda in tutte le aggressioni NATO, fin dalla Jugoslavia.

Le distorsioni dei fatti contenuti in quella lettera sono coerenti con l'affermazione di altri leader della NATO, da Londra a Berlino, e, ancora, letta nel suo contesto, la lettera equivale a una dichiarazione di guerra contro la Siria e conferma il ruolo servile del Canada ai generali americani come Breedlove che vagano per il pianeta progettando nuove conquiste.
Ma per tornare al generale Breedlove, è stato lui che ha detto qualche mese fa che sa "con  certezza" che la Russia sta per impegnarsi in una guerra ibrida nella zona del Baltico, che significa, naturalmente, che la NATO si impegnerà in operazioni sotto falsa bandiera, da imputare alla Russia, per cercare di costringere la Russia fuori da Kaliningrad come hanno cercato di fare in Crimea.
Pochi giorni fa Breedlove ha chiesto il rinnovo dei voli degli aerei spia U2 i vicino a confini russi, che sono utili solo se sorvolano il territorio russo. L'unico scopo di tali voli è quello di raccogliere informazioni sulle capacità di difesa e sulla disposizione delle forze in Russia e queste informazioni sono utili solo per preparare una guerra.
In cambio il ministero della difesa russo ha dichiarato che risponderà in modo asimmetrico e ha assicurato i russi che nessun U2 sorvolerà la Russia.

Ma i russi sanno che gli americani cercheranno di fare come hanno fatto in Cina e come hanno fatto ai tempi dei Sovietici.

Nel frattempo, sul lato orientale dell'Asia, gli Americani continuano le loro provocatorie  esercitazioni militari in opposizione alla Corea del Nord, prove che il governo della Corea del Nord teme giustamente potrebbero trasformarsi da un momento all'altro in una vera e propria guerra.
Di conseguenza hanno avvertito gli americani che, invece di aspettare di essere attaccata, la Corea del Nord può a sua volta aggredire gli Stati Uniti con armi nucleari in un attacco preventivo.  Eppure le esercitazioni continuano ogni giorno.
Il 1° aprile anche la Cina ha inviato un simile segnale allarmante affermando che da questo momento metterà tutti i suoi missili nucleari in condizioni di pronta risposta.  L'obiettivo è lo stesso,  scoraggiare un attacco americano.
Allo stesso tempo, le proteste di piazza in Serbia sembrano aver convinto il governo fantoccio di Belgrado a ritardare l'adesione alla NATO, la banda criminale che ha attaccato la Jugoslavia nel 1999 e che ha minacciato di radere al suolo Belgrado se il governo del presidente Milosevic non avesse accolto i suoi diktat. Ma in aggiunta all'umiliazione del popolo serbo, questa
settimana il tribunale per la Jugoslavia, controllato dalla NATO, ha svolto il suo ruolo di propaganda condannando il Dr. Karadzic per i crimini della NATO, ma assolvendo il dottor Seselj. Entrambe le decisioni sono state prese per motivi politici, entrambe servono gli stessi interessi e possono essere considerate nient'altro che un imbroglio per il popolo serbo ed un processo politico per fini propri della NATO.

Siamo in una posizione estremamente pericolosa. Vorrei citare una dichiarazione di Zivadin Jovanovic, Presidente del Forum di Belgrado per un mondo di Eguali, comparsa nel suo testo del 23 marzo perché chiarisce la situazione meglio di me.
Egli afferma:
"Coloro che hanno goduto dell'impunità, calpestando i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite, generando caos e 'conflitti a bassa intensità', esautorando leader di altre nazioni, quelli che non tengono conto dei legittimi interessi di altre nazioni e stati, quelli che fanno pagare agli altri i fallimenti delle loro politiche, e quelli abituati ad avere sempre l'ultima parola, ingannando il proprio popolo e il mondo intero, certamente non smetteranno di cogliere l'occasione!  E proprio questo è fonte di grande pericolo." 

C'è una via d'uscita? Anche in questo caso, cito e chiudo con la dichiarazione del Presidente del Forum di Belgrado;


"La via d'uscita sta nel ripristino del rispetto dei principi fondamentali delle relazioni internazionali e del diritto internazionale, e più in particolare, nel rispetto del principio di uguaglianza sovrana di tutti gli stati.

In un senso più ampio, la via d'uscita sta nel rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite e nel rispetto e nel riconoscimento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come il corpo più importante per le questioni di pace e sicurezza;  nel riconoscere che la multipolarizzazione delle relazioni globali è un processo che non può essere fermato o arrestato con nessun mezzo; che, alla luce dei maggiori poteri di Russia, Cina e altri paesi BRICS, questa multipolaritàè inevitabile; nella tendenza alla democratizzazione delle relazioni globali che, in sostanza, significa il riconoscimento del fatto che anche i paesi medi e piccoli hanno il diritto di curare i propri interessi; nel rinunciare all'uso improprio della lotta contro il terrorismo al fine di diffondere e imporre gli interessi geopolitici delle grandi potenze;  nel fermare il finanziamento, l'inserimento, la formazione e l'invio di terroristi nelle aree di crisi;  nel prestare attenzione alla soluzione dei crescenti problemi socio-economici in Africa, Medio e Vicino Oriente e in tutte le altre parti del mondo, in particolare, quelle da cui provengono estremismo, terrorismo e crimine organizzato internazionale.
Al momento, per avere pace e sicurezza, 
è fondamentale trovare una soluzione politica e pacifica per la guerra in Siria, nel rispetto degli interessi di tutti i fattori politici, escludendo i terroristi di tutti i tipi e di qualsiasi parte politica".


Christopher Black è un avvocato penalista internazionale con sede a Toronto, èmembro della Law Society del Canada Superiore ed è conosciuto per aver seguito una serie di casi di alto profilo su diritti umani e crimini di guerra, in particolare per la rivista online New Eastern Outlook.

14/04/2016

Traduzione di Giorgio F. per Forum Belgrado Italia/civg.it




www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 22-09-16 - n. 603

Perché il fascismo?

Annie Lacroix-Riz * | initiative-communiste.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/08/2016

Prima parte

Note contemporanee sull'aspetto non ideologico del fascismo: crisi di sovrapproduzione e guerra ai salari

In un'epoca in cui la "sinistra di governo" pretende di contrastare la spinta dell'estrema destra e grida al lupo mentre maltratta e insulta i salariati, è utile riflettere su quello che è successo in Germania durante la crisi del 1930 e in particolare sulle conseguenze della politica nota come "il male minore".
Il testo seguente, completato da due documenti d'archivio inediti, è un contributo a questa riflessione.



Il fascismo è spesso presentato come una "contro-rivoluzione preventiva" delle classi dirigenti per impedire il rinnovarsi dei disordini politici e sociali che seguirono la prima guerra mondiale (caso tedesco, novembre 1918-gennaio 1919 e italiano 1919-1920). [1]

Esso fu soprattutto una risposta feroce alla crisi di sovrapproduzione che minacciava di far crollare i profitti. Mi limito qui all'esempio del fascismo tedesco, succeduto a quello italiano (ottobre 1922), ma considerato più "perfetto": l'allineamento delle classi dirigenti dell'Europa continentale su questo modello e la notevole attrazione che ha esercitato su quelle degli Stati Uniti e del Regno Unito ha avuto le stesse motivazioni socio-economiche.

L'accordo ingannevole tra capitale e lavoro del novembre 1918

Il grande padronato tedesco aveva mal digerito le concessioni pubbliche che aveva dovuto fare il 15 novembre 1918 per soffocare la "rivoluzione" che minacciava di seguire la capitolazione del Kaiser Guglielmo II, il 9 novembre. Il "contratto sociale" della Repubblica di Weimar, si basava su una falsa resa. L'ADGB (Confederazione Generale Sindacale Tedesca), maggioritaria, organicamente legata alla SPD e anche essa contro la rivoluzione sociale, aveva contemporaneamente firmato con i delegati padronali un protocollo segreto liberandoli dai loro impegni: i contratti collettivi sui salari e le condizioni di lavoro non si applicano che "in conformità con le condizioni del settore industriale interessato"; "giornata di 8 ore in tutti i settori" se "le principali nazioni industriali" vi aderiscono.

Questo accordo coperto tra Capitale e Lavoro fu l'equivalente sociale dell'alleanza politica segreta "con le forze del vecchio regime", stretta nel mese di ottobre-novembre dalla SPD con lo Stato Maggiore del Reichswehr, portavoce nel 1918 delle classi dominanti. Completato da una caccia spietata ai rossi, nella quale si distinsero le future "eccellenze" naziste, questo patto "contro natura" lasciava poche possibilità di sopravvivenza alla "Repubblica di Weimar". [2]

Debito privato e fallimento della Germania

Odioso patto verso quella Repubblica (per quanto buona figlia fosse) nata dalla loro sconfitta pubblica, aristocrazia e grande borghesia la svuotarono subito della sua immagine ingannevole di "sinistra" iniziale. La base sociale di "Weimar" resistette fino all'uragano del 1930 che ha devastato la Germania. Le aziende, i comuni, lo Stato si erano fortemente indebitati presso le grandi banche internazionali dopo la stabilizzazione del marco del 1923-1924 operata sotto tutela americana, per sviluppare le capacità produttive, in particolare al servizio della rivalsa militare.

Così il Reich divenne il più grande debitore internazionale, verso gli Stati Uniti e tutti i paesi del "centro" imperialista. Il capitale finanziario straniero fu dunque un protagonista principale, come negli anni 1920 verso l'enorme debitore italiano, delle drastiche misure adottate dalla Banca dei Regolamenti Internazionali durante le turbolenze dell'estate del 1931 per prorogare il debito tedesco. I dettami di questo club privato di banche centrali fondato dal Piano Young, antenato (ancora in vita) poco noto delle istituzioni americane di Bretton Woods, prefigurarono esattamente quelli adottati nell'ultima fase acuta della crisi sistemica, sotto la tutela delle grandi banche di ogni paese, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale.

Guerra ai salari e politica del "male minore" della SPD

Il crollo dei mercati e dei profitti e l'imperativo di regolare il "debito privato internazionale" esigeva di "schiantare", oltre gli stipendi, tutti i redditi non monopolistici: questo obiettivo mobilitò le bieche classi dirigenti e i loro creditori statunitensi, inglesi, francesi, ecc. Tra le condizioni imposte nel mese di luglio 1931, per "salvare" il Reich figurava l'integrazione del NSDAP [Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori], vincitore elettorale nel settembre 1930 [si affermava secondo partito, dopo SPD, ndt] grazie al supporto di lunga data (in particolare dal 1923 e l'occupazione della Ruhr) degli industriali in particolare dell'industria pesante, seguiti dal resto del padronato: questa formula inclusiva della destra permetteva, con i suoi metodi di terrore (e seduzione), di spezzare i salari delle vittime senza temere una reazione.

Prima che la NSDAP assumesse il governo nel febbraio del 1933, a fianco della destra "classica", la missione era stata affidata a organizzazioni operaie "consensuali". Esse facevano appello ai loro membri di partecipare ai sacrifici presentati come indispensabili per l'interesse nazionale, riducendo i loro salari: il leader di ultra-destra (SPD) del sindacato del legname e dirigente nazionale dell'ADGB, il deputato dell'SPD (1928) Fritz Tarnow nel 1931 sostenne "un matrimonio di convenienza con i padroni" ("non saremo i medici al capezzale del capitalismo?"). La SPD sostenne il suo Cancelliere Hermann Müller, che investito dopo il successo elettorale della sinistra, governò con la destra "classica" e tentò una prima "riforma" (di riduzione) delle indennità di disoccupazione (giugno 1928-marzo 1930).

La SPD inoltre sostenne il successore di Müller, Brüning (maggio 1930-maggio 1932) e la rielezione di Hindenburg alla presidenza del Reich (aprile 1932), rimanendo disarmata davanti al colpo di stato della destra alleata con i nazisti (Goering) in Prussia (luglio 1932), dicendo di contare sulle elezioni generali successive (novembre 1932). Tutto in nome del "male minore" contro Hitler mentre la destra, Bruening e Hindenburg in testa, preparavano apertamente l'ascesa del NSDAP. I fautori del "fronte repubblicano" del 21° secolo dovrebbero riflettere sui risultati politici del 1930.

Sinistra tedesca e nazismo

Le chiacchiere sulla colpevolezza di "estremismo di sinistra" del KPD nasconde le responsabilità schiaccianti, percepite come tali dal 1933, della dirigenza della SPD e delle sue organizzazioni, tra cui ADGB [3]. La passività davanti ai padroni e la loro soluzione nazista, spinta fino all'offerta di servizi, servirà da passaporto per la carriera "occidentale" nel dopoguerra, come nel caso di Tarnow: accondiscendente nel 1933 ma respinto dai nazisti e costretto in esilio, rientrò dalla Svezia nel 1946 su sollecitazione statunitense che lo aveva scelto per guidare, contro il rischio di unione con i comunisti nella Bizona del 1947, in Germania Ovest nel 1949 la vecchia federazione sindacale diventata DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund).

Non furono i disordini sociali nel 1933 a determinare l'avvento di Hitler al potere: fu il rifiuto della maggior parte delle classi danneggiate di respingere questo assalto contro il loro reddito o la loro passività di fronte a questa "strategia dello shock", per riprendere l'espressione di Naomi Klein. Contro questa linea, fissata dalle organizzazioni maggioritarie della "sinistra di governo", combattivi ma isolati, per lo più operai del KPD e della sua "Organizzazione sindacale rossa" (GERD), lottarono valorosamente, prima e dopo il febbraio 1933, ma invano. È urgente riflettervi di fronte a questa crisi sistemica del capitalismo, dove "il medico [di sinistra alla Tarnow] al capezzale del capitalismo" fa finta di credere alla magia degli incantesimi "antifascisti" [4].

Note

*) Annie Lacroix-Riz, professore emerito di Storia Contemporanea, Università Parigi

[1] Pierre Milza, Les fascismes, Paris, Points Seuil, 1991.

[2] Gerald Feldman, Army, Industry and Labour in Germany, 1914-1918, Princeton, 1966, chef-d'œuvre non traduit en français; Gilbert Badia, Histoire de l'Allemagne contemporaine 1933-1962, Paris, Éditions sociales, 1962, et Les spartakistes, 1918: l'Allemagne en révolution, Paris, Julliard, 1966.

[3] RG Préfecture de police, sur « Les événements d'Allemagne » 8 mai, et RG Sûreté nationale SN JC5. A. 4509, Paris, 18 mai 1933, F7 (police générale), vol. 13430, Allemagne, janvier-juin 1933, Archives nationales, second document publié ci-dessous; et Derbent, La résistance communiste allemande, Bruxelles, Aden, 2008 (et transcription en ligne).

[4] Badia, Histoire de l'Allemagne; Lacroix-Riz, Industrialisation et sociétés (1880-1970). L'Allemagne, Paris, Ellipses, 1997; comparaison fascisme français et allemand, Le Choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930, Paris, Armand Colin, 2010, et De Munich à Vichy, l'assassinat de la 3e République, 1938-1940, Paris, Armand Colin, 2008; sur Tarnow, Scissions syndicales, réformisme et impérialismes dominants, Montreuil, Le Temps des cerises, 2015, p. 172, 207-209 et 232. Le document de 1939 publié ci-dessous montre l'effet ravageur sur les salaires et conditions de vie populaires du triomphe patronal de 1933.


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 09-10-16 - n. 605

Perché il fascismo?

Annie Lacroix-Riz * | initiative-communiste.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/08/2016

Seconda parte

In un'epoca in cui la "sinistra di governo" pretende di contrastare la spinta dell'estrema destra e grida al lupo mentre maltratta e insulta i salariati, è utile riflettere su quello che è successo in Germania durante la crisi del 1930 e in particolare sulle conseguenze della politica nota come "il male minore".
Il testo disponibile nella prima parte, completato dai due seguenti documenti d'archivio inediti, è un contributo a questa riflessione.


La scoperta e trascrizione di tali documenti è dovuta a Annie Lacroix-Riz

Rammentiamo l'animosità degli apparati della polizia di Stato verso il comunismo.


1. Sinistra tedesca e trionfo del nazismo: un giudizio della polizia francese

Fonte, RG Sicurezza nazionale SN JC5. A. 4509, Parigi, 18 maggio 1933, F7 (archivio della polizia generale), vol. 13430, Germania, gennaio-giugno 1933, Archivi Nazionali, dattilografato, 7 p., i passaggi sottolineati nel testo sono resi in corsivo.

«Il ruolo e il destino dei comunisti e dei socialisti tedeschi.

La totale eliminazione delle organizzazioni marxiste tedesche davanti al nazismo trionfante è senza precedenti. Non c'è dittatura che non abbia incontrato, almeno al momento della sua costituzione, qualche tentativo di resistenza o reazione. Niente di tutto questo in Germania. Se si verificavano degli scontri, a volte cruenti, generalmente tra razzisti e sinistra rivoluzionaria - quasi sempre comunisti - quando il NSDAP era un partito di opposizione, ora che Hitler ha preso il potere questi scontri si sono drasticamente interrotti.

Eppure, all'epoca, i sostenitori del nuovo cancelliere e dei suoi alleati nazionalisti non rappresentavano più della metà della popolazione del Reich. La partita per le forze rivoluzionarie, anche se era difficile, poteva almeno essere tentata, e bisognava, in ogni caso, salvare l'onore dopo l'appello di fiducia fatto all'estero per "la Germania repubblicana". Non hanno fatto nulla, nessuna intrapresa. Questa domanda non ha solo un interesse storico. Perché ci si chiede che cosa ne è stato della massa, quella che i partiti socialisti e comunisti pretendevano di condizionare; quali sono i sentimenti di questa massa dopo il fallimento o la perdita dei capi.

Ma bisogna distinguere tra socialisti e comunisti. Si noti innanzitutto che nessun dirigente del partito comunista si è piegato di fronte alla rivoluzione nazionale. Erano tutti in prigione, in fuga o nascosti. Sono principalmente comunisti quelli che sono andati a riempire i campi di concentramento. In questi campi si troverebbero attualmente 50.000 rivoluzionari. Tra i dirigenti imprigionati citiamo:

Ernst Thälmann, dirigente del Partito Comunista.
Torgler Ernst, capo del gruppo comunista al Reichstag;
Willi Kasper, capo del gruppo parlamentare del Landtag prussiano
Ernst Scheller, Anton Jadasch [Fritz] Selbmann, Willi Kunz, etc.

Altri hanno cercato di andare all'estero. Il loro comportamento è stato severamente criticato dalla Terza Internazionale, che li vede come "disertori". Coloro che sono fuggiti in Russia sono stati invitati a tornare ai loro posti e continuare la lotta in clandestinità. Altri che sono riusciti a varcare i confini occidentali del Reich, sono stati invitati a tornare in Germania.

Coloro che hanno rifiutato sono stati espulsi dal partito. Così, alla fine di aprile, la Arbeiter Zeitung, organo comunista di Saarbrücken, ha pubblicato il seguente avviso: "Il Distretto Baden-Palatinato ci ha chiesto di pubblicare la seguente esclusione: il deputato al Reichstag Bennedom-Kusel, installato da poche settimane nella Saar e avendo ricevuto dalla direzione l'ordine esecutivo di tornare in Germania, non ha ottemperato a tale richiesta. E' stato espulso quindi dal Partito comunista tedesco per codardia di fronte al nemico di classe".

Quali compiti si propone ai dirigenti restati ai loro posti? Ecco quelli definiti dal Comitato Esecutivo della Terza Internazionale: a) Sviluppare organizzazioni clandestine; b) Estendere la rete della stampa clandestina del partito; c) Infiltrarsi nelle organizzazioni dei partiti opposti; d) Agire principalmente nelle fabbriche.

Tutto questo, naturalmente, non manca il passo. Ma i risultati non sono quelli che tali disposizioni potrebbero far credere. La necessità per i dirigenti rimasti al loro posto di nascondersi e lavorare clandestinamente riduce molto la loro azione, ed è dubbio che il loro lavoro possa durare a lungo in presenza di un'attività di indagine di polizia così intensa.

Sicuramente la stampa comunista estera ha enfaticamente annunciato che i Servizi hitleriani hanno sequestrato copie di giornali o opuscoli pubblicati clandestinamente, cosa che vorrebbe dare dimostrazione di una abbondante letteratura rivoluzionaria distribuita illegalmente. Ma la maggior parte di questi sequestri risalgono ai primi giorni di aprile, e l'ultimo numero di Bandiera Rossa (giornale del KPD) illegale è del 15 aprile. Se è stato licenziato, è difficile che sia stato largamente diffuso.

Si segnalano anche manifestazioni di fabbrica, ma l'ultima è di marzo. Alcuni "consigli di fabbrica" (Betriebsraete), infine, composti da elementi di sinistra sarebbero stati rieletti all'ultimo rinnovo, ma ciò ha avuto luogo più di un mese fa e nessuna reazione si è verificata davanti alle misure di polizia adottate immediatamente contro il Betriebsraete in questione.

Inoltre, i dirigenti comunisti non possono nascondere completamente che gran parte delle loro truppe abbiano lasciato o siano scoraggiate. Il militante Erich, uno dei dirigenti della Rote Gewerkschaft (organizzazione sindacale rossa) ha scritto nella Rundschau, bollettino pubblicato oggi a Basilea: "La Rote Gewerkschaftsorganisation [RGO] ha sofferto molto il terrore fascista. Questo terrore ha avuto l'effetto che una parte dei nostri compagni hanno lasciato le nostre bandiere e che altri hanno adottato un atteggiamento assolutamente passivo".

Se i comunisti che, ripetiamo, hanno dimostrato un coraggio innegabile fino allo scorso marzo, sono arrivati a questo punto, si può facilmente immaginare quanto lontano siano andati i socialisti. I comunisti hanno sempre accusato i socialisti di essere motivati da uno spirito piccolo-borghese e, in un certo senso, conservatore. Niente di più vero. Dopo aver raccolto senza danni nel 1918 i frutti di una rivoluzione matura, i socialisti tedeschi hanno saputo solo costruire strutture burocratiche, che potevano illudere l'estero e di cui la Seconda Internazionale non ha mancato di servirsi nella sua propaganda, ma che in realtà, erano senza anima e del tutto incapaci di interrompere il corso di eventi fin troppo prevedibili.

Questi eventi hanno, tuttavia, dimostrato che i dirigenti socialisti, sulle cui dichiarazioni poggiavano le speranze di una larga parte dell'opinione straniera per il futuro della Repubblica tedesca, non avevano fede. Essi hanno saputo solo piegarsi o fuggire come Braun, Grzesinski, Breitscheid, Dittmann, Crisprein, Noske, Bergemann sempre che non apportassero al nuovo regime una adesione più o meno velata come Leipart, Grassmann, Tarnow, Wels , Stampfer, Hilferding.

Ricordiamo la sottomissione sensazionale del dirigente socialista Wels e la dichiarazione del 21 marzo del comitato direttivo della Allgemeiner Deutscher Gewerkschaftsbund (Confederazione generale del lavoro) consentendo alla sua inclusione - respinta con disprezzo - all'organizzazione sindacale del Terzo Reich. La federazione degli impiegati socialisti (Afa Bund) e la Federazione dei funzionari socialisti (Allgemeiner Deutscher Beamter Bund) hanno seguito lo stesso percorso e centinaia di migliaia di membri delle organizzazioni sportive operaie sono state consegnate dai loro capi al regime di Hitler.

Il Reichsbanner, organizzazione costruita per difendere la Repubblica, cade spontaneamente a pezzi. Eppure comprendeva un milione di membri inquadrati. Ma coloro che conoscevano gli affari della Germania erano ben consapevoli che lo spirito combattivo delle truppe, guidate da burocrati, era quasi pari a zero e che era imprudente puntare su di esso. La Reichsbanner aveva ricevuto dai suoi avversari il soprannome di Papenhelm (elmetto di cartone). Per quanto riguarda le sezioni della Gioventù Socialista, esse sono state trasformate in innocenti associazioni turistiche, nonostante l'opposizione meritoria di Erich Schmitt, capo della sezione di Berlino.

La sottomissione totale della socialdemocrazia non ha, tuttavia, impedito del tutto le rappresaglie e le sanzioni. L'ex ministro Sollmann è stato gravemente malmenato a Colonia. I leader sindacali Leipart, Grassmann e Wissel sono stati arrestati, anche se avevano dato la loro adesione alle aziende hitleriane. Il dirigente della Reichsbanner, Holtermann, datosi alla fuga, è ricercato. Eppure sotto la sua amministrazione, precisamente il 6 aprile, il distretto di Berlino-Brandeburgo della Reichsbanner aveva definito l'atteggiamento dell'organizzazione in un modo che doveva, evidentemente, dare soddisfazione ai nazisti. Questo distretto aveva, in effetti, il 6 aprile, rivolto alle sue sezioni una circolare, in cui si diceva in particolare:

"Abbiamo tre possibilità:
- Adottare metodi comunisti violenti. Ma è chiaro a tutti i nostri compagni che questi metodi sono criminali e devono essere ignorati.
- L'astensione.
- La ricerca di una collaborazione nella vita pratica.
Da anni portiamo nei nostri cuori la fede nella Germania e nel suo futuro. Ecco perché noi rivendichiamo il nostro posto nella nuova vita dello stato tedesco e noi faremo per la Germania quello che si spetta: il nostro dovere. Il comitato direttivo sta negoziando con i servizi competenti circa l'attività della nostra associazione. I seguenti punti sono fondamentali: la cultura di amicizia; l'assistenza agli ex-combattenti; l'educazione della gioventù, la preparazione militare; il lavoro volontariato".

Ecco tutto quello che si è trovato su un'organizzazione di autodifesa socialista, fatta per proteggere il regime repubblicano, quando questo crollava.

Lo stesso atteggiamento da parte dell'organizzazione sportiva operaia. La Zentral Kommission für Arbeitersport und Koerperpflege ha rilasciato la seguente dichiarazione: "La Commissione Centrale Sportiva Operaia afferma che è pronta a lavorare con fedeltà nell'ambito del regime nazionale a beneficio del popolo. Ella è dell'avviso che questa collaborazione deve aver luogo su una base neutra. Le associazioni sportive dei lavoratori sono disposte a confluire senza riserve nell'organizzazione sportiva dello stato e di fare per questo, tutti i sacrifici necessari. Esse fanno appello allo spirito cavalleresco del nuovo governo, senza negare vigliaccamente la loro posizione precedente. Per esse, fare sport era servire il popolo. Sarà così anche in futuro".

Tanta piaggeria fu inutile. La collaborazione offerta disprezzata, le organizzazioni sciolte, respinti e denigrati i leader. Il nuovo regime ha fatto tutto da solo e costruito sulla sua base. Ma le truppe socialiste? Le truppe potevano contraddire la consegna che veniva dall'alto? Che l'atteggiamento dei capi potesse irritare alcuni attivisti, è possibile. Ma questi sono stati impotenti, in balia dello scoraggiamento e della codardia generale, e nessuna reazione, per quanto minima, si è verificata. Ovviamente il tradimento dei capi ha spezzato tutte le energie disponibili. Le ha annientate anche per il futuro, rivelandosi più dannoso per il repubblicanesimo e il liberalismo tedesco che le battaglie sfortunate che avrebbero potuto essere avanzate».


2. Il super-sfruttamento operaio in Germania, febbraio 1933 - febbraio 1939

Fonte, RG Prefettura di polizia, Informativa, 20 febbraio 1939, BA 2140, Germania, 1928-1947, Archivi della Prefettura di polizia

«I lavoratori tedeschi nelle industrie di guerra sono sottoposti ad una disciplina particolarmente severa.

Gli operai dell'industria chimica sono soggetti alla legge militare [. i] regolamenti delle grandi aziende della IG Farben. Negli impianti di Leuna un vero e proprio esercito di agenti della Gestapo e spie professionali sorvegliano gli operai durante e dopo il lavoro. E' vietato ai lavoratori entrare in laboratori se non quelli dove lavorano. Alcuni laboratori sono interdetti anche ai capi e agli ingegneri. Ciascun operaio deve assumere l'impegno per iscritto di non rivelare nulla sul suo lavoro in fabbrica. Il regolamento di fabbrica prevede un sistema di sanzioni che comporta perfino la pena di morte.

L'industria chimica ha avuto un'enorme espansione a causa dei preparativi di guerra del fascismo hitleriano. Dal 1935, il numero delle fabbriche chimiche è cresciuto di 2.520 impianti, il numero di lavoratori aumentato di 131.415 unità, cosicché nel 1938 l'industria ha occupato più di 500.000 persone.

Il piano quadriennale ha provocato, in particolare, un aumento della produzione di prodotti sostitutivi, grazie alle sovvenzioni del governo straordinario. Nel 1938, la Germania ha prodotto 165.000 tonnellate di lana vegetale, il Giappone 130.000, l'Italia 100.000; questo significa che le potenze dell'Asse sommano l'81% della produzione mondiale, che ha raggiunto 440.000 tonnellate.

Non è sorprendente che l'industria chimica è stata in grado di registrare negli ultimi anni dei forti profitti nonostante il fatto che i prodotti sostitutivi non siano redditizi. La IG Farben ha registrato un utile netto [dichiarato] di

49,14 milioni nel 1933
50,98 milioni nel 1934
51,44 milioni nel 1935
55,40 milioni nel 1936.

Si arriva, considerando altre fattori, ad una somma di 1.500 milioni di marchi per i primi quattro anni del regime di Hitler.

Nonostante l'aumento della produzione e il maggiore sforzo richiesto agli operai, questi hanno avuto una riduzione dei salari. Le statistiche naziste ammettono che lo stipendio annuale di un operaio dell'industria chimica nel 1930 era in media di 2.543 R.M. contro 2.193 del 1936. Ma questi sono solo i salari lordi. Si devono detrarre le ritenute, cresciute dal 20 al 25%, e le "donazioni volontarie" che vengono imposte ai lavoratori.

Con questi stipendi non si riesce a far quadrare il bilancio. I tribunali hanno constatato che molti operai impiegati nelle fabbriche di esplosivi a Coswig-Anhalt devono lavorare nel tempo libero come garzone o musicista. I padroni rendevano noto nello stesso tribunale che "gli operai giungono al lavoro dopo aver lavorato altrove", cioè, lavorano oltre 16 ore.

[Il Dr. Ley ha riconosciuto in un discorso a Essen il 30 ottobre:] "Finora abbiamo avuto in ogni azienda un maggiore sforzo di almeno il 30%; in una grande fabbrica di gomma, una delle più grandi, abbiamo avuto un aumento della produzione del 60%. Le persone erano stanche e crollavano... Questa è la fabbrica di Phoenix ad Amburgo".

Questo aumento dello sfruttamento, questo tasso esagerato e bassi salari, le cattive condizioni di lavoro, la mancanza di cibo provocano un aumento degli infortuni sul lavoro. Il Fronte del Lavoro, sezione chimica, ammette che dal 1933 il numero degli infortuni sul lavoro è cresciuto costantemente. La funesta contabilità ha censito nel 1936, 32.453 incidenti di cui 144 mortali, nel 1937, 40.225 tra cui 188 morti e questi dati sono aumentati di nuovo nel 1938. Si sono infatti superati i 200 decessi. Nonostante questa situazione, si vuole ottenere un aumento del rendimento attraverso nuove misure di razionalizzazione. Questo sfruttamento spudorato si scontra, però, con la resistenza crescente".

*) Annie Lacroix-Riz, professore emerito di Storia Contemporanea, Università Parigi



(srpskohrvatski / english / italiano)

Il Montenegro tra "mondo libero" e Cremlino

<< Lo scontro indiretto tra mondo libero e Cremlino nella regione torna ad alti livelli di pericolosità >>, scrive Andrea Tarquini de La Repubblica. Il quale, nello scacchiere montenegrino dello scontro, ha già preso la parte di Djukanović perché paventa << quanto siano minacciosi in tutta l’ex Jugoslavia i nostalgici di Milosevic, nemici di ogni leader riformatore locale e spesso in strettissimo legame operativo con la malavita organizzata >>... laddove Djukanović è invece un onest'uomo.

Tanto onesto, il camorrista Djukanović, satrapo al potere da un quarto di secolo, da far scattare una sfacciata provocazione a fini repressivi e intimidatori la mattina stessa delle elezioni da cui dovrebbe uscire perdente.
Il ministro degli Interni Danilović dice di essere all'oscuro di tutto ma invita la popolazione "a non uscire di casa" quando saranno annunciati i risultati elettorali; i leader della opposizione negano qualsiasi relazione con gli arrestati, tra i quali spicca peraltro l'ex capo della Gendarmeria della Serbia Bata Dikić, in rapporti amichevoli piuttosto con la polizia ed i più stretti collaboratori di Djukanović (Veselin Veljović e Beba Popović).

Il premier serbo Vučić opportunamente commenta: "A me che tutto questo succeda proprio il giorno delle elezioni pare molto strano, ma è meglio che sto zitto".

Andrea Tarquini de La Repubblica è l'unico a non farsi domande. Non farsi domande e propalare stolidi luoghi comuni è in effetti l'attività con cui si procaccia il salario.

(a cura di Italo Slavo)

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Montenegro, nel giorno delle elezioni blitz anti-terrorismo: almeno 15 arresti

Il piccolo Paese balcanico al voto, tra un premier filooccidentale e le pressioni russofile. Tra i fermati un ex comandate della gendarmeria nazionale serba

di ANDREA TARQUINI, 16 ottobre 2016


BELGRADO – Massiccio blitz antiterrorismo e anticrimine delle forze di sicurezza del Montenegro la notte scorsa, sullo sfondo delle difficili elezioni politiche di oggi. Polizia e agenti speciali agli ordini del governo della capitale Podgorica hanno arrestato tra quindici e venti persone in tutto il paese.

Secondo i comunicati ufficiali riferiti dalle agenzie di stampa, sarebbero tutti membri di un’organizzazione criminale di ultrà serbi – cioè nostalgici di Milosevic, russofili, in contatto col crimine organizzato che Belgrado combatte con l’aiuto italiano. Si tratterebbe dunque di estremisti ostili sia all’indipendenza del Montenegro sia al premier europeista serbo Aleksandar Vucic.

Il gruppo, dicono sempre le fonti ufficiali montenegrine, aveva approntato un piano per condurre attacchi terroristici e provocare scontri armati in tutto il paese, magari proprio oggi nel giorno delle elezioni. Alla guida del commando eversivo, informa l’emittente locale PinkM, sarebbe Bratislav Bata Dikic, nemico dichiarato dell’indipendenza montenegrina e dell’attuale leadership riformista di Belgrado. Dikic era infatti un ex comandante della gendarmeria nazionale serba, e le autorità serbe lo avevano immediatamente rimosso dall’incarico e condannato a dure pene per le sue attività illecite e criminali quali omicidi, traffico di droga, estorsioni. Il gruppo colpito dalla retata avrebbe introdotto ingenti quantità di armi in Montenegro.

Si conferma così quanto siano minacciosi in tutta l’ex Jugoslavia i nostalgici di Milosevic, nemici di ogni leader riformatore locale e spesso in strettissimo legame operativo con la malavita organizzata. Tanto che la Serbia come l’Albania e alcuni altri Stati locali contano con successo sull’aiuto italiano, visto anche che i criminali dispongono delle armi migliori e del miglior livello di uso di internet ed elettronica.

Le elezioni (i seggi si chiuderanno alle 20 locali e italiane) sono cruciali. Il premier filo-occidentale ma accusato di corruzione Milo Djukanovic vorrebbe un ingresso del paese nella Nato. Lo appoggiano paradossalmente, tra gli altri, i ricchi russi residenti sulla bella costa, per sentirsi più sicuri sotto l’ombrello atlantico. Ma Mosca soffia sul fuoco aizzando le forze russofile e parlando di pericolo di nuovo squilibrio geopolitico nei Balcani.

Lo scontro indiretto tra mondo libero e Cremlino nella regione torna ad alti livelli di pericolosità.
 E come se non bastasse, nei sondaggi Djukanovic e il suo partito (partito democratico dei socialisti) sono favoriti, ma quotati attorno al 40 per cento. Non avrebbero dunque certezza di ottenere maggioranza di governo e dovrebbero avviare la difficile ricerca di un partner di coalizione. 

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Tužilaštvo: Dikić planirao likvidacije


Autor: Novica Đurićnedelja, 16.10.2016.

Od našeg stalnog dopisnika

Podgorica – Direktor crnogorske policije Slavko Stojanović saopštio je da je tokom noći (u subotu) uhapšeno 20 državljana Srbije, osumnjičenih za stvaranje kriminalne organizacije i terorizam. Prema saznanjima TV Pink M, među uhapšenima je i bivši šef srpske Žandarmerije Bratislav Dikić.

U vezi s ovim događajem, crnogorski mediji preneli su i izjavu predsednika Vlade Srbije koji je rekao da ne želi da komentariše hapšenje bivšeg šefa srpske Žandarmerije Bratislava Dikića u Crnoj Gori kako ne bi ni na koji način uticao na parlamentarne izbore u toj zemlji, ali je primetio da je „čudan dan na koji se to desilo”.

„Osnovano se sumnja da je početkom oktobra u Srbiji i Crnoj Gori formirana kriminalna organizacija, s ciljem uticaja na zakonodavnu i izvršnu vlast u Crnoj Gori. Sumnja se da je plan ove organizacije bio da u vreme proglašenja rezultata na parlamentarnim izborima, uz upotrebu oružja, napadnu okupljene građane ispred Skupštine Crne Gore i službenike Uprave policije, a da potom zauzmu prostorije Skupštine, s namerom da proglase izbornu pobedu određenih političkih partija”, navedeno je u izjavi za javnost crnogorskog Tužilaštva.

Takođe se, piše dalje u tom saopštenju, „sumnja da je plan kriminalne organizacije bilo lišavanje slobode premijera Crne Gore. S ciljem realizacije navedenog plana organizator grupe, B. D. je, u ranim jutarnjim časovima, došao u Crnu Goru s namerom dalje realizacije kriminalnog plana i komandovanja naoružanim licima u nameri da zauzmu Skupštinu Crne Gore i druge državne institucije”.

Tužilaštvo navodi da su osumnjičeni, „prema dobijenim uputstvima i kriminalnom planu, privatnim vozilima došli u Podgoricu, gde su se radi nastavka realizacije kriminalnog plana rasporedili u najmanje tri grupe”.

„Članovi kriminalne organizacije dobijali su uputstva da raspodele unapred pripremljeno oružje radi dalje realizacije kriminalnog plana. Po nalogu Specijalnog državnog tužilaštva službenici Specijalnog policijskog odeljenja i Uprave policije lišili su slobode organizatora i članove ove kriminalne organizacije u trenutku kada su pošli da provere unapred pripremljeno skriveno skladište i dopremljeno oružje i municiju”, ocena je Tužilaštva”. U toku postupka utvrđeno je da su kriminalnu organizaciju, osim lica koja su lišena slobode, činila i lica na čijoj se identifikaciji i lišavanju slobode intenzivno radi”.

Uhapšeni su: B. D. (1970), K. H. (1977), V. B. (1995), N. Đ. (1995), S. V. (1991), G. K. (1999), B. K. (1976), L. Đ. (1998), B. M. (1955), M. D. (1957), D. M. (1976), S. Đ. (1964), A. Č. (1983), A. A. (1974), N. Đ. (1982), S. Ć. (1979), D. S. (1974), M. A. (1990), I. M. (1980) i P. A. (1977).

Svi državljani Srbije osumnjičeni za pripremanje terorističkih napada, dovedeni su u zgradu Specijalnog tužilaštva na saslušanje.

Policija traga za jednom osobom.

Predsedništvo Demokratskog fronta (DF) saopštilo je da niko iz opozicije nije imao kontakt s Bratislavom Dikićem.

„Predsedništvo DF-a je održalo još jednu vanrednu sednicu, konstatujući da najnovija akcija režima ’hapšenja’ bivšeg komandanta Žandarmerije Srbije i dvadeset anonimnih lica predstavlja nastavak bljutave kampanje”, piše u saopštenju DF-a.

DF dodaje i da je nepobitna činjenica da „Dikića dobro poznaju bivši šef crnogorske policije Veselin Veljović i nezvanični savetnik premijera Đukanovića Vladimir Beba Popović”.

„Niko iz opozicije s Dikićem nikad nije imao bilo kakav kontakt, tako da je logičnije da ako je ova uhapšena grupa planirala da nekom nešto nažao uradi pre će biti da je to bilo usmereno protiv opozicije, nego što im je bio cilj da naude starim prijateljima iz crnogorskog režima”, navodi DF.

DF je pozvao vrhovnog državnog tužioca da ne sakriva informacije od crnogorske javnosti i da se „ne stavlja u propagandnu službu režimskih medija pošto se direktno meša u izborni proces i čini krivično delo”.

 

Kontroverzni general

Minulih godina, Bratislav Dikić je u srpskim medijima bio optuživan da je napravio kriminalnu organizaciju, koja se bavila trgovinom droge, plaćenim ubistvima, iznudom, reketom i ostalim kriminalnim delima.

Među navodnim skandalima vezanim za Dikića, pominjali su se formiranje posebnog odreda po uzoru na JSO, zakletva koju je lično napisao, a koja glasi „Pobedićemo ili poginuti za Srbiju koje nema bez Kosova”, prisluškivanje najbližih saradnika...

A polovinom decembra prošle godine, kada je podneo zahtev za penzionisanje zbog teške bolesti, Dikić je podsetio je da je nakon napada u medijima „nepravedno i nezakonito smenjen s mesta komandanta Žandarmerije” i na uvid javnosti stavio potvrde sudova i tužilaštava da se protiv njega nije vodio niti se vodi bilo kakav postupak.

Zanimljivo je da su mediji novembra prošle godine objavili da je Dikić bio u Podgorici tokom demonstracija opozicije. Međutim, takve tvrdnje on je demantovao na svom fejsbuk profilu, objavivši fotografiju iz svoje kuće.

Dikić je u Žandarmeriji bio od osnivanja 2001. godine, a na čelo te formacije imenovao ga je 2009. tadašnji ministar unutrašnjih poslova Ivica Dačić, na predlog direktora policije Veljovića.

Ministar Dačić ga je nekoliko meseci ranije unapredio u pukovnika, a general policije je od januara 2011. Bratislav Dikić je rođen u Nišu, 19. maja 1970.

Pre nego što je juna 2009. postao komandant Žandarmerije Srbije bio je komandant Niškog odreda Žandarmerije. Do imenovanja za komandanta Žandarmerije Dikić je 20 godina radio u MUP-u, od čega 10 godina u Specijalnoj antiterorističkoj jedinici (SAJ) i još deceniju u Žandarmeriji.

General Dikić smenjen je s mesta komandanta Žandarmerije jula 2013, a odmah potom je postao pomoćnik direktora policije.

Toma Todorović

 

Vučić: Bolje je da prećutim

Premijer Srbije Aleksandar Vučić nije hteo da komentariše hapšenje bivšeg šefa srpske Žandarmerije Bratislava Dikića u Crnoj Gori kako ne bi ni na koji način uticao na parlamentarne izbore u toj zemlji, ali je primetio da je „čudan dan na koji se to desilo”.

„Nemamo nikakve podatke o tome. Ministar policije Srbije me je obavestio. Čudan mi je dan na koji se to dešava i to je sve što ću o tome da kažem”, rekao je Vučić novinarima i podsetio da je Dikić, inače, penzionisan. „Za sve ostalo bolje da se ugrizem za jezik tri puta i da prećutim”, rekao je Vučić, preneo je Tanjug. Premijer je dodao da će o tom slučaju više govoriti danas.

Premijer je, međutim, ponovio da će se Srbija žestoko obračunati s kriminalom bez obzira na cenu koju može da plati. Vučić je poručio kriminalcima iz drugih zemalja da se vrate u svoje države, jer u Srbiji to više neće moći da rade.

„Žestoko ćemo se obračunati s onima koji misle da im je Beograd prćija i da po Beogradu mogu da ubijaju kako stignu, pa nek’ dobro razmisle da li su jači od države ili nisu”, rekao je Vučić. On im je poručio da će Srbija da pobedi bez obzira na cenu koju će morati da plati.


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20 Serbs arrested in Montenegro over planning armed attacks on election day - police 

Published time: 16 Oct, 2016

Montenegrin police detained a group of Serbs suspected of planning armed attacks on Sunday, the day of the country’s tense parliamentary elections. The group had also allegedly intended to capture Prime Minister Milo Djukanovic.
Police chief Slavko Stojanovic said in a statement that 20 Serbian citizens suspected of planning armed attacks after Sunday’s parliamentary vote were arrested. He said one more was on the run.
They entered Montenegro intending to get automatic weapons, and later this evening to attack institutions, the police, and representatives of the state, including top state officials,” Stojanovic said in the statement as cited by Reuters.
A later statement from a Special State Prosecutor on Sunday confirmed the group had intended to capture Prime Minister Milo Djukanovic.
Earlier, local TV Pink M reported that Bratislav Dikic, the former commander of the specialized police force Gendarmerie of Serbia, and his group which included more that 15 members, had “large quantities of weapons and ammunition” in their possession. They were picked up in the Podgorica area Saturday night after entering Montenegro, reports B92 broadcaster.
The group were charged with “forming a criminal organization and terrorism” according to Stojanovic’s statement.
Serbia's prime minister Aleksandar Vucic said Sunday that he has been informed of the arrests and that authorities have no information about the group “the day this is happening is strange, and that is all I will say,'' Vucic said before adding that he will issue further comment on Monday, once the election in Montenegro is over.
Montenegro is experiencing rising tensions amid its national vote as Djukanovic has presented it as a choice between becoming closer with NATO and the European Union or returning to Russia under the opposition.
Everyone is aware that the fate of the state will be decided... whether Montenegro will become a member of the EU and NATO, or a Russian colony,” he said on Friday.
Opposition groups have accused Djukanovic of “corruption, nepotism and economic mismanagement.”
Polling stations close at 18:00 GMT, with initial results expected an hour later.

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Nedelja, 16 Oktobar, 2016

Danilović nije obaviješten o hapšenju, poziva građane da ne izlaze na ulice

Autor: Balša Knežević

Ministar unutrašnjih poslova Goran Danilović kazao je da ima samo nezvanične informacije o današnjem hapšenju 20 osoba iz Srbije, ali da zna da iza toga ne stoji nijedan politički subjekt iz Crne Gore. Danilović je, zbog nezvaničnih informacija koje je dobio, apelovao na lidere političkih partija da ne pozivaju građane da se okupljaju na ulicama Podgorice nakon zatvaranja birališta.

"Nijesam dobio nijednu informaciju. Ali sam zabrinut ako je u zemlju došlo 20 ljudi da na dan izbora pravi haos. Tražio sam sastnak sa dirketorom UP policije ali sam dobio odgovor da je na terenu. Neko će morati da odgovara za ovo i naša policija će morati da uspostavi komunikaciju sa organima Srbije da se što prije ovo razriješi. Jedino što znam je da nijedan politički subjekt u CG ne stoji iza ovoga", rekao je Danilović.

Ministar je kazao da se baš juče desilo da padne video sistem koji na granici registruje ko ulazi u zemlju.

On se zapitao ko ima pravo da njega zaobiđe sa ovom informacijom.

"Nezvanično imam informacije ali očekujem da me UP obavjesti zvanično. Zabrinut sam što me ne obsvještavaju. Direktor UP čak neće da odgovori na moj poziv. Rijetke su zamlje u Evropi gdje se takva stvar može desiti a da ministar ne bude obaviješten. Obaviještavan sam i za mnogo manje prekršaje a za ovo nisam", rekao je Danilović.

Takođe je apelovao na lidere političkih partija da ne pozivaju građane da se okupljaju na ulicama Podgorice nakon zatvaranja birališta.

"Molim i tražim od političkih predstavnika da budu na visini zadatka i da sačuvamo građane", rekao je Danilović, istakavši da je to njegova molba na osnovu nezvaničnih informacija.