Informazione

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS si unisce al sentimento di tutti gli amanti della pace e della fratellanza tra i popoli del mondo augurando BUON COMPLEANNO al più grande leader internazionalista vivente FIDEL CASTRO RUZ!

CNJ ONLUS - www.cnj.it
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http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-leggere_fidel__leggere_il_futuro/82_16845/

Leggere Fidel è leggere il futuro

( a cura di Marinella Correggia)


Buon compleanno al Presidente di tutti. A Fidel Castro che da tanti decenni è un uomo politico generoso e solidale con il mondo. In omaggio ai suoi 90 anni ecco una piccola antologia dai suoi discorsi e scritti, su temi di rilevanza mondiale.


Leggere (o ascoltare) Fidel è leggere il futuro. Perché spesso le sue proposte hanno precorso i tempi e le sue previsioni si sono avverate. Un reportage di Telesur conclude con queste parole: «Fidel cumple años pero también cumple sueños».


Contro le guerre


«Lottare per la pace è il dovere più sacro di tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro religione, cittadinanza, colore della pelle ed età».


Fidel Castro si è sempre impegnato nella prevenzione e nella denuncia delle guerre imperialiste, in particolare a partire dall’intervento “Onu” in Iraq nel 1991. Nel 2009 chiede: «Perché Obama accettò il Nobel per la pace se aveva già deciso di portare la guerra in Afghanistan fino alle ultime conseguenze? Non era obbligato a compiere questo atto di cinismo.»


Libia: il 3 de marzo 2011 Fidel Castro spiega che la «colossale campagna di menzogne scatenata da tutti i mezzi di informazione ha provocato una grande confusione nell’opinione pubblica mondiale» e chiede «Perché questo impegno a presentare i ribelli libici come membri significativi della società che chiedono i bombardamenti di Stati uniti e Nato per uccidere libici?» Il 4 marzo, Fidel chiede al mondo di sostenere la proposta negoziale del presidente venezuelano Hugo Chávez : «Il presidente bolivariano, Hugo Chávez, sta compiendo uno sforzo encomiabile per trovare una soluzione che eviti l’intervento della Nato in Libia. Le sue possibilità di successo sarebbero maggiori se egli riuscisse nell’impresa di creare un ampio movimento di opinione a favore dell’idea, prima che si verifichi l’intervento armato e non dopo, per evitare che i popoli vedano ripetersi altrove l’atroce esperienza dell’Iraq»


La rivoluzione


(Discorso il 1 maggio 2000, Piazza della rivoluzione José Martí, L’Avana)

«La rivoluzione è il senso del momento storico; è cambiare tutto ciò che va cambiato; è uguaglianza e libertà piene; è essere trattati e trattare gli altri come esseri umani; è emanciparci grazie a noi stessi e ai nostri propri sforzi; è sfidare le potenti forze che dominano all’interno e all’esterno della nazione; è difendere i valori in cui si crede al prezzo di quasiasi sacrificio; è modestia, disinteresse, altruismo, solidarietà ed eroismo; è lottare con audacia, intelligenza e realismo; è non mentire mai e non violare principi etici; è la profonda convinzione che non esiste potere al mondo capace di schiacciare la forza della verità e delle idee. Rivoluzione è unità, è indipendenza, è lottare per i nostri sogni di giustizia per Cuba e per il mondo, questa è la base del nostro patriottismo, del nostro socialismo e del nostro internazionalimo».

( Fidel Castro, Ecología y desarrollo. Selección temática 1963-1992, Editora Política, La Habana). «Solo il socialismo può salvare l’umanità dai pericoli spaventosi che la minacciano: l’esaurimento delle risorse naturali che sono limitate, il crescente inquinamento ambientale, l’aumento incontrollato della popolazione, la tragedia della fame e la catastrofe delle guerre» (1974).


Sul dollaro, radice di molti mali

«L’impero ha dominato il mondo più con l’economia e la menzogna che con la forza. Aveva ottenuto il privilegio di stampare valute convertibili alla fine della Seconda guerra mondiale, monopolizzava l’arma nucleare, disponeva di quasi tutto l’oro del mondo ed era l’unico produttore su vasta scala di beni intermedi, beni di consumo, alimenti e servizi a livello mondiale.
Tuttavia, c’era un limite alla sua possibilità di stampare moneta: il collegamento con l’oro, al prezzo costante di 35 dollari l’oncia. Andò avanti così per 25 anni, finché il 15 agosto 1971 un ordine presidenziale di Richard Nixon ruppe unilateralmente questo impegno internazionale: truffando il mondo. Non mi stancherò mai di ripeterlo. In questo modo furono trasferiti sull’economia mondiale i costi del riarmo e delle avventure belliche, specialmente la guerra del Vietnam.
Oggi un milione di dollari vale 30 volte più di quanto valeva quando Nixon sospsese la convertibilità del dollaro in oro. (…) Se non si tiene conto di questo, le nuove generazioni non avranno un’idea chiara della barbarie imperialista. In virtù del privilegio di Bretton Woods gli Stati uniti, cancellando unilateralmente la convertibilità,pagano con pezzi di carta i beni e i servizi che comprano al resto del mondo. E quest’ultimo ha dovuto subirne le spese: le sue risorse naturali e il suo denaro hanno supportato il riarmo e coperto gran parte dei costi delle guerre imperiali.»
(tratto da Granma e Cubadebate)


La fame, lo sfruttamento e gli sprechi


Discorso al Vertice mondiale Onu sull’alimentazione - Roma 1996:

«La fame, inseparabile compagna dei poveri, è figlia dell’iniqua distribuzione delle ricchezze e delle ingiustizie di questo mondo.

(…) Il colonialismo non è estraneo al sottosviluppo e alla povertà di cui oggi soffre gran parte dell'umanità. Così come non gli sono estranei l'opulenza oltraggiosa e lo spreco delle società di consumo espresse da quelle antiche potenze coloniali che avevano sfruttato la maggior parte delle nazioni. Per lottare contro la fame e l'ingiustizia sono morte nel mondo milioni di persone. (…)
Quale cura applicheremo affinché entro i prossimi venti anni gli affamati siano 400 milioni anziché 800 milioni? Questi obiettivi, così modesti, sono una vergogna! (…) Se il mondo, giustamente, si commuove quando si verificano disastri, catastrofi naturali, o sociali che uccidono centinaia o migliaia di persone, perché non si commuove nello stesso modo di fronte a questo genocidio che ha luogo ogni giorno davanti ai nostri occhi? (…)
Sono il capitalismo, il neoliberismo, le leggi di un mercato selvaggio, il debito estero, il sottosviluppo, lo scambio ineguale a uccidere tante persone. (…) Perché si investono 700 miliardi di dollari ogni anno nelle spese militari e non si utilizza una parte di queste risorse per combattere la fame e frenare il degrado dei suoli, la desertificazione e la deforestazione di milioni di ettari ogni anno, il riscaldamento dell'atmosfera, l'effetto serra che incrementa cicloni, penuria o eccesso di pioggia, la distruzione dello strato d'ozono e altri fenomeni naturali che danneggiano la produzione di alimenti e la vita dell'uomo sulla Terra? (…)
Perché va avanti la produzione di armi sempre più sofisticate benché la guerra fredda sia finita? Per cosa si vogliono produrre queste armi, se non per dominare il mondo? Perché questa feroce concorrenza nel vendere armi a Paesi sottosviluppati - armi che non li renderanno più forti nel difendere la loro indipendenza-, dove quello che c'è da uccidere è la fame? Perché sommare a tutto questo politiche criminali, blocchi assurdi che comprendono alimenti e medicine per uccidere di fame e malattie popoli interi?
Dov'è l'etica, la giustificazione, il rispetto dei diritti umani più elementari, qual è il senso di tali politiche? Regni la verità e non l'ipocrisia e la menzogna. Prendiamo coscienza che in questo mondo devono cessare le tendenze egemoniche, l'arroganza e l'egoismo. Le campane che oggi suonano per coloro che muoiono di fame ogni giorno, suoneranno domani per l'umanità intera se non vorrà, non saprà o non potrà essere sufficientemente saggia per salvare se stessa. »


«In questo periodo l’umanità sta affrontando problemi gravi e senza precedenti. (…) Mi riferisco alla crisi alimentare provocata da fattori economici e dai cambiamenti climatici di origine antropica che apparentemente sono già irreversibili, ma che la mente umana ha il dovere di affrontare con rapidità. (…) I problemi hanno preso forma d’improvviso, con fenomeni che si stanno verificando in tutti i continenti.(…) I raccolti di frumento, soia, mais, riso e diversi altri cereali e leguminose, la base alimentare del mondo (…), sono colpiti gravemente dai cambiamenti climatici, con problemi gravissimi. (…) Oltre 80 paesi, tutti nel Terzo mondo, e quindi già afflitti da difficoltà reali, sono minacciati di vere e proprie carestie. I problemi sono drammaticamente seri. Tuttavia, non tutto è perduto. (…) Se i milioni di tonnellate di soia e mais che si vorrebbero investire nella produzione di agrocarburanti saranno invece destinati a produrre alimenti, gli i nusitati aumenti dei prezzi delle derrate rallenterebbero, e gli scienziati troverebbero soluzioni.»



L’urgenza del clima e l’ingiustizia ecologica


Discorso pronunciato a Rio De Janeiro nel 1992, alla Conferenza delle Nazioni unite su ambiente e sviluppo

«(…) Occorre far rilevare che sono le società di consumo le grandi responsabili della gravissima distruzione ambientale. Nate dalle potenze coloniali e dalle politiche imperiali, a loro volta hanno generato l'arretratezza e la povertà che oggi flagellano l'immensa maggioranza dell'umanità.
Con il solo 20 % della popolazione mondiale, le società abbienti consumano i due terzi dei minerali e i tre quarti dell'energia che si producono nel mondo. Hanno avvelenato mari e fiumi, contaminato l'aria, assottigliato e bucato la fascia di ozono, saturato l'atmosfera di gas climalteranti con effetti catastrofici che già si fanno sentire. I boschi spariscono, i deserti si espandono, migliaia di milioni di tonnellate di terra fertile vanno a finire ogni anno in mare.
Diverse specie sono in via di estinzione. La pressione demografica e la povertà portano a sforzi disperati per sopravvivere, anche a spese della natura. Non è possibile gettare la colpa di tutto ciò sui paesi del Terzo Mondo, ieri colonie, oggi nazioni sfruttate e saccheggiate da un ordine economico mondiale ingiusto. La soluzione non può essere quella di impedire lo sviluppo a chi ne ha più bisogno. Tutto ciò che oggi contribuisce al sottosviluppo e alla povertà è una violazione flagrante dell'ecologia. Ne muoiono ogni anno nel Terzo mondo decine di milioni di uomini, donne e bambini (…).
Lo scambio diseguale, il protezionismo e il debito estero attentato all'ecologia e favoriscono la distruzione ambientale. Se si vuole salvare l'umanità dall’autodistruzione, è necessario distribuire meglio le ricchezze e le tecnologie disponibili. Meno lusso e meno sperpero in pochi paesi perché si abbia meno povertà e meno fame in gran parte del mondo. Stop al trasferimento nel Terzo Mondo di stili di vita e abitudini di consumo rovinosi. Si renda più razionale la vita umana. Si instauri un ordine economico internazionale giusto. Si utilizzi tutta la scienza necessaria per uno sviluppo senza distruzione. Si paghi il debito ecologico e non il debito estero. Scompaia la fame e non l'essere umano.
Dal momento che le presunte minacce del comunismo sono sparite, e non ci sono più pretesti per guerre fredde, corse agli armamenti e spese militari, che cosa impedisce di destinare immediatamente queste risorse a promuovere lo sviluppo del Terzo Mondo e a combattere la minaccia di distruzione ecologica del pianeta? Basta con gli egoismi, basta con le egemonie, cessino insensibilità, irresponsabilità e inganno. Domani sarà troppo tardi per fare quello che avremmo dovuto fare da molto tempo.»


(11.8.2016)

(français / english / italiano)


Milosevic innocente

1) Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie (Initiative Communiste)
2) Telesur : Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie: les médias silencieux (Telesur)
3) Milosevic exonerated, as the NATO war machine moves on (Neil Clark)
4) Milosevic Exoneration: Radio Free Europe's Clumsy Attempt at Damage Control (Andy Wilcoxson)


Sullo stesso argomento si vedano anche:

ICTY Exonerates Slobodan Milosevic for War Crimes (Rassegna JUGOINFO del 28.7.2016)
1) Hague Tribunal Exonerates Slobodan Milosevic for Bosnia War Crimes Ten Years Too Late (by Andy Wilcoxson)
2) Момир Булатовић: ВЕЛИЧИНА СЛОБОДАНА МИЛОШЕВИЋА
3) Madeleine Albright's Criminal Enterprise (by William Dorich)

Milosevic scagionato dal Tribunale penale internazionale per Jugoslavia. E nessuno lo dice / Il silenzio su Slobodan Milosevic (di Giulietto Chiesa, 9 agosto 2016)

La Corte Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia ha scagionato Slobodan Milosevic dalle responsabilità per i crimini di guerra della guerra bosniaca 1992-95...

oppure http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=126353&typeb=0
oppure in VIDEO: Il Punto di Giulietto Chiesa: il Tribunale dell’Aja scagiona Milosevic (PandoraTV, 9.8.2016)
Il Tribunale dell’Aja scagiona Milosevic. Ma nessuno lo sta dicendo! E nessuno pagherà per il misfatto...
http://www.pandoratv.it/?p=10499
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=6myryvlbuiY

“Perché Milosevic è innocente” (di Francesco Manta, 26.7.2016)
...  Rivelazioni di Wikileaks espongono la vicenda secondo cui la Corte di Giustizia dell’Aja avesse discusso della condizione di salute di Milosevic con i rappresentanti dell’ambasciata americana senza il consenso del diretto interessato, alimentando tutti i sospetti legati ad una oscura e triste pagina delle relazioni internazionali contemporanee...

ARCHIVIO MILOSEVIC. Le pagine dedicate sul nostro sito:
in particolare: L'ASSASSINIO IN CARCERE. 2011: Le rivelazioni Wikileaks


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Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie: une information censurée par les médias


L’ex président de la Yougoslavie Slobodan Milosevic  innocenté par le Tribunal Pénal International pour l’ex Yougoslavie. En catimini, c’est l’une des conclusion du verdict de plus de 2000 page rendus par le Tribunal contre Radovan Karazic, président de la République Serbe de Bosnie durant la guerre en Bosnie. Dans le silence assourdissant des grands médias occidentaux, outils de propagande détenus exclusivement par l’oligarchie capitaliste. 

Radovan Karazic, convaincu de crimes de guerres, a lui été acquitté de l’accusation de génocide. Le président du tribunal O-Gon Kwon  pour être l’un des juges dans le procès Milosevic connait particulièrement les accusations et arguments de l’accusation par l’OTAN contre Milosevic. Le verdict dans l’affaire Karazic indique sans beaucoup de doute que si le procès de Milosevic était allé à son terme de façon impartiale il aurait probablement débouché sur une absence de condamnation de Milosevic.

Quelques citations du verdict du 24 mars : Milosevic innocenté par le tribunal pénal international

www.initiative-communiste.fr a pu consulter le verdict rendu par le TPI. Un verdict du tribunal rendu le 24 mars 2016 qui dégage toutes responsabilités de Milosevic dans un plan visant le nettoyage ethnique mené en Bosnie, verdict soulignant par ailleurs les responsabilités des leaders nationalistes des serbes de Bosnie, mais également des leaders nationalistes croates et bosniaques, identifiant d’ailleurs la déclaration unilatérale d’indépendance de la Bosnie par l’islamiste Itzebegovic comme l’événement déclencheur de l’escalade guerrière.

« Si l’on considère les preuves présentées dans cette affaire en relation avec Slobodan Milosevic et son adhésion à la JCE, le tribunal rappelle qu’il a partagé et adopté l’objectif politique de l’accusé et des dirigeants des Serbes de Bosnie de préserver la Yougoslavie et d’empêcher la séparation ou l’indépendance de la Bosnie Herzegovine et qu’il a coopéré de façon resserré avec l’accusé durant cette période. Le tribunal rappelle également que Milosevic a fourni une assistance sous forme de personnel, fourniture et armes au serbes de Bosnie durant le conflit. Toutefois, sur la base des preuves présentées aux tribunal, les intérêts divergeant qui sont apparus durant le conflit entre les dirigeants Serbes de Bosnie et les dirigeants Serbes en particuliers la désapprobation et les critiques répétées de la politiques et des décisions prises par l’Accusé (ndt Karazic] et les dirigeants Serbes de Bosnie, le tribunal n’est pas convaincu qu’il y aurait des preuves suffisantes présentés dans cette affaire pour jugé que Slobodan Milosevic était d’accord avec ce plan commun [NdT le plan d’épuration ethnique, de persécution et de génocide]  »   » Au début même de mars 1992, il y avait un désaccord manifeste entre l’Accusé et Milosevic lors d’une réunion avec des représentants internationaux durant laquelle Milosevic et d’autres leaders serbes ont ouvertement critiqué les leaders Serbes de Bosnie de commettre des « crimes contre l’humanité » et un « nettoyage ethnique » et de mener la guerre pour leur propre intérêt.
§3460 p1302 du jugement du 24 mars 2016 du TPI dans l’affaire IT-95-5/18-T

Le Tribunal rappelle par ailleurs l’opposition de Milosevic à l’institution du république serbe de Bosnie en réponse à la proclamation unilatérale par Itzebegovic de l’indépendance de laBosnie-Herzégovine (§2685), le leader musulman soutenu par l’Occident proclamant ouvertement vouloir établir un état islamique. Ainsi que la ferme opposition de Milosevic à ce que les bosniaques musulmans pro yougoslaves soient écartés (§2687) et sont opposition catégorique à toutes discrimination ethniques. Devant les Serbes de Bosnie, Milosevic déclare en mars 1994 à Belgrade « les membres des autres nations et ethnies doivent être protégés » »‘l’interêt national des Serbes est l’opposé de la discrimination » (§3288 pa 1241). Milosevic s’oppose également aux visés des nationalistes serbes en matière d’expansion territoriale, mais sans grande influence sur eux, même si la Yougoslavie sous la direction de Milosevic tente d’imposer la paix aux leaders des serbes de Bosnie

« le Tribunal constate qu’alors qu’à l’origine Milosevic avait des intérêts similaire à ceux des Serbes de Bosnie, quand leurs intérêts ont divergé, son influence sur les leaders des serbes de Bosnie c’est réduite. Milosevic a ainsi mis en doute que le monde accepte que les Serbes de Bosnie puissent obtenir représentant 30% de la population de Bosnie puissent obtenir plus de 50% du territoire et a encouragé un accord politique. Il a déclaré que les serbes ont gagné la guerre, et qu’il n’y avait presque plus de bosniaques musulman en république serbe de Bosnie. Au mois d’aout 1994, les leaders serbe ont condamné les leaders serbes de Bosnie comme commettant des crimes contre l’humanité et poursuivant un nettoyage ethnique » §3290 p 1242

« En raison des différence de vues entre les leaders des serbes de Bosnie et les Serbes en 1993 et 1994, la République Fédérale de Yougoslavie a réduit son soutien à la République Serbe de Bosnie et encouragé les serbes de Bosnie a accepté des propositions de paix. Il faut également considéré que les dirigeants (ndt ie Milosevic) étaient très soucieux des vues extrême des leaders des serbes de Bosnie et qu’ils ne pouvaient pas soutenir leurs intentions, notamment le nettoyage ethnique. »

Face à l’extrémisme et la violence des leaders serbes de Bosnie refusant le plan de paix, le Tribunal (§3295) souligne que le gouvernement Yougoslave cesse ses relations économiques et politiques avec les leaders de la RSB et impose un blocus sur la rivière Drina. On est très loin de l’accusation portée par les procureurs du TPI en porte voix de l’OTAN, de Milosevic chef d’une conspiration criminelle visant au nettoyage ethnique des Croates et des musulmans de Bosnie, dans le but de réaliser son projet d’une « Grande Serbie. Le début de défense présenté par Milosevic à son procès – avant son décès brutale en prison – visait d’ailleurs à démontrer son engagement dans la préservation d’une Yougoslavie multiethnique et la continuité de sa constitution, tandis que la guerre et la fièvre nationaliste, en Slovénie et en Croatie, puis en Bosnie sont alors soutenus par l’Union Européenne et les capitales occidentales reconnaissant les proclamations armés d’indépendances et les épurations ethniques qui en découlent.

Médiamensonge, démonisation et criminalisation : les méthodes de manipulations des impérialismes capitalistes pour lancer leur guerre


Tout au long des années 1990, dans une Europe loin d’être une Europe de paix, l’Union Européenne emmenée par l’Allemagne et les Etats-Unis et avec l’actif soutien de la France de Chirac ou de Jospin, c’est également à force de propagande et de média mensonge qu’a été pratiqué une politique interventionniste guerrière pour dépecer la Yougoslavie, afin de permettre à l’OTAN d’y établir ses bases et au Capital européen, en particulier allemand de faire main basse sur les entreprises publiques de la Yougoslavie socialiste. Par exemple, les médias dénoncent alors la mise en œuvre par Milosevic d’un plan d’épuration ethnique au Kosovo, le soit disant plan fer à cheval.Le ministre allemand de la Défense d’alors, Rudolf Scharping, indique le 9 avril 1999 que ce plan est exécuté depuis novembre 1998, appelant à une intervention de l’OTAN. Il prétend même connaitre le détail des unités militaires yougoslaves utilisées par ce plan. En 2000, un général de brigade allemand, Heinz Loquai, lache cependant le morceau :  » Les contradictions dans l’argumentation du ministre de la Défense sont tellement importantes que l’on peut avoir de sérieux doutes sur l’existence d’un tel document « . Rudolf Scharping répliquait alors en indiquant que « le plan Fer à cheval est entre les mains du tribunal pénal international sur la Yougoslavie à La Haye » (..) c' »est l’une des preuves fondamentales de l’acte d’accusation contre Milosevic et sa clique ». C’est effectivement sur cette base qu‘un acte d’accusation secret était déposé par la procureur du TPI Louise Arbour le 22 mai 1999 contre Milosevic et plusieurs responsables de son gouvernement, acte d’accusation ensuite modifié en 2001 pour intégrer des accusations concernant les guerres yougoslaves en Bosnie et en Croatie. Un acte d’accusation faisant partie intégrante de l’intervention militaire contre la Yougoslavie. Une accusation politique.

C’est sur la base de ces accusations et en violation des résolutions de l’ONU qui n’autorisent aucunement le recours à la force que pendant 78 jours l’OTAN bombarde la Yougoslavie en 1999. Les 60 000 missions aériennes de l’OTAN bombarderont notamment le centre de la capitale Belgrade en visant délibérément les populations civiles. Des missiles de l’OTAN détruiront l’immeuble de la télévision serbe ainsi que l’ambassade de Chine et de très nombreuses infrastructures civiles, OTAN qui revendique viser spécifiquement les médias serbes. Alors que l’OTAN installe l’une de ses plus grandes bases au Kosovo, plus de 200 000 serbes, tziganes et autres minorités subissent l’épuration ethniques et sont chassés de leurs maisons et de leurs terres. Une épuration ethnique suivant celles menées en 1995 par l’armée croate en Krajina. Aucun responsable ni de l’OTAN ni des chancelleries occidentales n’a été poursuivi pour crimes contre l’humanité.

Livré en 2001 par les autorités serbes pro UE installés à la suite des bombardements de l’OTAN à Belgrade au Tribunal Pénal International pour la Yougoslavie, Milosevic meurt en prison alors qu’il prépare sa défense, dans des circonstances troubles, laissant suspecter un probable empoisonnement : le TPI refusant d’autoriser les soins préconisés par les médecins russes pour ses graves problèmes cardiaques, les médecins néerlandais mettant plusieurs mois à lui communiquer les résultats de test sanguins montrant la trace d’antibiotiques (rampicine) non prescrits annihilant les effets de ces médicaments pour le cœur. Les résultats des examens médicaux de Milosevic étaient pourtant communiqués à l’ambassade américaine par le TPI et ce dès 2003 comme en témoigne un cable wikileaks. En fin d’année 2005, Milosevic avait vu sa demande de faire paraître comme témoin T Blair et G Schoeder refusé par le tribunal. Le tribunal ne rendra pas de verdict. Cependant, le jugement rendu par le tribunal dirigé par O-Gon Kwon donne une indication très clair sur ce qu’aurait été son jugement.

En 2006, les Etats Unis font exécuter Saddam Hussein dans un simulacre de procès condamnés par l’ensemble des défenseurs des droits de l’Homme. Kadhafi sera lui lynché

Du mensonge sur les armes de destruction massive en Irak à la manipulation de Timisoara en passant par les couveuses du Koweit, il y a de nombreux exemples de ces médias mensonges, véritable armes de propagande de guerres utilisés par les médias de l’oligarchie capitaliste pour chauffer à blancs les opinions et ainsi faire taire le camps de la paix. Irak,Yougoslavie, Libye,Ukraine, Syrie… ce sont toujours les mêmes méthodes.

Plus de 15 ans après la mise en accusation par l’OTAN de Milosevic, le désaveu produit par le TPI lui même des accusations portées par des procureurs directement aux ordres de l’OTAN doit faire réfléchir.  Rappelons par exemple que la campagne de presse massive en France pour lancer des bombardements sur Damas en utilisant une attaque au gaz Sarin attribué par le gouvernement français à Bachar Al Assad mais qui s’est révélée par la suite probablement menée par les terroristes islamistes ?

Des leçons à retenir et partager pour défendre la paix

En 1999, même ceux qui étaient  contre la campagne impérialiste anti-serbes servant de justification aux bombardements de l’OTAN contre la Yougoslavie, se disaient souvent que quand même il y avait peut-être
un peu de vrai dans ces innombrables accusations contre Milosevic.

Maintenant le fait qu’il soit complètement innocenté aura de quoi surprendre même des gens jusque là très méfiants envers les médias et les politiciens du Capital, et montrer à quel point leur crédibilité est de zéro virgule zéro, à l’image du « Plus c’est gros, plus ça passe » de  Goebbels. On pourra attendre longtemps les déclarations de regrets de la fausse gauche impérialiste, « radicale » ou pas qui fut complice de cette campagne de calomnies impérialiste servant à justifier des crimes de guerres


En 2011 en Libye c’est au prétexte de défendre la population de Benghazi que Sarkozy avec l’aide du Royaume Unis et le soutien des Etats-Unis a lancé une campagne de bombardement contre la Libye, faisant chuter le régime de Kadafhi, plongeant la Libye dans le chaos et déstabilisant l’ensemble de la région en alimentant le terrorisme islamiste. Les mêmes appels enflammés de BHL que lors des interventions de l’OTAN en Yougoslavie  sont utilisés pour affaiblir l’opposition de l’opinion publique à la guerre. Comme en Bosnie, les islamistes sont utilisés pour faire exploser la Libye. En 2012, ce sont ces mêmes islamistes qui tuent l’ambassadeur américain en Libye, à Benghazi. 3 soldats des forces spéciales françaises sont églament tués en 2016 alors que leur hélicoptère est abattu par des islamistes rattachés à l’EI qui tiennent toujours la ville. Depuis une pétition a été lancée sur internet pour réclamer le jugement de Sarkozy par la Cour Pénal Internationale.

En 2011, les militants franchement communistes étaient bien seuls à s’opposer à la guerre impérialistes en Libye. Ils seront ensuite bien seuls pour réclamer que les impôts servent à défendrent les conquis sociaux, pas pour la guerre impérialiste en Syrie, bien seuls pour défendre les antifascistes, le parti communistes d’Ukraine et le peuple du Donbass fasse à la guerre et la répression fasciste de la junte pro UE mise en place en 2014 à Kiev par un coup d’état soutenu. Mais les faits leurs donnant raison, il est inévitable que les citoyens soucieux de défendre la paix les rejoignent pour faire front contre les guerres et interventions impérialistes dont les victimes directes se comptent désormais également par centaines sur le sol français.

JBC pour www.initiative-communiste.fr


=== 2 ===

Source: http://www.initiative-communiste.fr/articles/culture-debats/milosevic-innocente-tribunal-penal-international-lex-yougoslavie-information-censuree-medias/

Telesur : Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour
l’ex-Yougoslavie: les médias silencieux

traduction www.initiative-communiste.fr

Le dernier dirigeant communiste de Yougoslavie était comparé à Hitler alors que son pays subissait des sanctions, était démantelé et alors que des milliers de gens furent tués par les USA et l’OTAN

Le 24 mars dernier , le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie a omis de tenir une conférence de presse ou d’annoncer que le président de la Yougoslavie puis de la Serbie Slobodan Milosevic n’avait aucune responsabilité pour les charges de crimes de guerre lors de la guerre de Bosnie de 1992-1995 dont il
avait été accusé.

A la place, le tribunal  a commodément enterré cette déclaration d’innocence au milieu du verdict contre Radovan Karazic. L’ancien président des serbes de Bosnie a été prononcé coupable de crimes de
guerre et condamné à 40 ans de prison en même temps que le tribunal a trouvé à l’unanimité que « Le tribunal n’a pas pu trouver suffisamment de preuves prouvant que Milosevic était d’accord avec ce plan commun. »[ de nettoyage ethnique des musulmans et croates de Bosnie]

En réalité, le tribunal a trouvé que c’était exactement le contraire qui était vrai.

Tout comme lors du battage médiatique au sujet des « armes dedestruction de masse » menant en 2003 à l’invasion des USA en Irak, Milosevic était appelé le « Boucher des Balkans » lors du « procès dusiècle » et a été accusé de « crimes de guerre » au milieu du bombardement de la Yougoslavie en 1999.

Arrêté en mars 2001, Milosevic a fait face à un procès de cinq ans, en se défendant et déterminé à le gagner,  quand il est mort en prison le 11 mars 2006, au milieu des rumeurs d’empoisonnement.

La décision du tribunal a fait part du fait que lors des rencontres entre Serbes et Serbes de Bosnie « Slobodan Milosevic déclara que « tous les membres des autres nations et ethnies doivent être protégés. et que « l’intérêt national des serbes est de ne pas faire de discrimination« . Milosevic déclara également que « tout crime doit être combattu avec détermination ».

Le tribunal déclara aussi que « Milosevic exprima également ses réserves sur une assemblée des serbes de Bosnie excluant les musulmans se déclarant pro-yougoslaves ».

Le tribunal TPIY continua en déclarant que « De 1990 à mi-1991, l’objectif politique de l’accusé Karadzic était la préservation de la Yougoslavie et d’empêcher la sécession de la Bosnie-Herzégovine, qui aurait pour résultat une séparation des serbes de Bosnie de la Serbie. »

C’est uniquement grâce aux recherches du journaliste Andy Wilcoxson, qui a découvert la décision du TPIY fin juillet , que le fait que Milosevic ait été innocenté a pu être connu, mais cependant les grands médias internationaux n’en parlent toujours pas.

Le dernier dirigeant socialiste de Yougoslavie fut démonisé et comparé sans cesse à Hitler par les grands médias pour justifier les sanctions des USA et de l’OTAN contre la Yougoslavie, la démanteler et y tuer
des milliers de gens.

Cette dernière révélation vient dix ans après la mort de Milosevic.


=== 3 ===

En français: Milosevic est disculpé mais rien n’arrête la machine de guerre de l’OTAN
Par Neil Clark – Mondialisation.ca, 08 août 2016 / rtnews.com 3 août 2016



Milosevic exonerated, as the NATO war machine moves on


Neil Clark , 2 Aug, 2016

The ICTY’s exoneration of the late Slobodan Milosevic, the former President of Yugoslavia, for war crimes committed in the Bosnia war, proves again we should take NATO claims regarding its ’official enemies’ not with a pinch of salt, but a huge lorry load.
For the past twenty odd years, neocon commentators and 'liberal interventionist' pundits have been telling us at every possible opportunity, that Milosevic (a democratically elected leader in a country where over 20 political parties freely operated)  was an evil genocidal dictator who was to blame for ALL the deaths in the Balkans in the 1990s. Repeat after me in a robotic voice (while making robotic arm movements): 'Milosevic's genocidal aggression' 'Milosevic's genocidal aggression'.
But the official narrative, just like the one that told us that in 2003, Iraq had WMDs which could be launched within 45 minutes, was a deceitful one, designed to justify a regime change-op which the Western elites had long desired.
The ICTY’s conclusion, that one of the most demonized figures of the modern era was innocent of the most heinous crimes he was accused of, really should have made headlines across the world. But it hasn‘t. Even the ICTY buried it, deep in its 2,590 page verdict in the trial of Bosnian Serb leader Radovan Karadzic who was convicted in March of genocide (at Srebrenica), war crimes and crimes against humanity.
There was no official announcement or press conference regarding Milosevic‘s exoneration. We’ve got journalist and researcher Andy Wilcoxson to thank for flagging it up for us.
How very different it all was when the trial of the so-called ‘Butcher of the Balkans’, began in February 2002! Then, you‘d have to have been locked in a wardrobe not to be aware of what was going on.
CNN provided blanket coverage of what was described as “the most important trial since Nuremberg.” Of course, Milosevic’s guilt was taken as a given. “When the sentence comes and he disappears into that cell, no one is going to hear from him again,” declared US lawyer Judith Armatta from the Coalition for International Justice, an organization which had the former US Ambassador to Yugoslavia, Warren Zimmerman, as an advisory board member.
Anyone who dared to challenge the NATO line was labeled a “Milosevic apologist”, or worse still, a “genocide denier”, by ‘Imperial Truth Enforcers’.
But amid all the blather and the hype surrounding the ’trial of the century’ it soon became apparent the prosecution was in deep, deep trouble. The Sunday Times quoted a legal expert who claimed that “Eighty percent of the prosecution’s opening statements would have been dismissed by a British court as hearsay.” That, I believe, was a generous assessment.
The problem was that this was a show trial, one in which geopolitics came before hard evidence. It’s important to remember that the original indictment against Milosevic in relation to alleged Kosovo war crimes/genocide was issued in May 1999, at the height of the NATO bombing campaign against Yugoslavia and at a time when war was not going to plan for the US and its allies.
The indictment was clearly designed to exert pressure on Milosevic to cave into NATO’s demands.
The trouble for NATO was that by the time Milosevic’s trial was due to start, the Kosovo narrative had already unraveled. The lurid claims made by the US and its allies about genocide and hundreds of thousands being killed, catalogued by the great John Pilger here, had been shown to be false. In September 2001, a UN court officially held that there had been no genocide in Kosovo.
So in an attempt to beef up their weakening case against Milosevic the prosecutors at The Hague had to bring in new charges relating to the war in  Bosnia, accusing ‘Slobo’ of being part of a ‘joint criminal conspiracy’ to kill/ethnically cleanse Bosnian Croats and Bosnian Muslims in pursuance of a ’Greater Serbia’ project.
In normal criminal prosecutions evidence is collected and then, if it’s deemed sufficient, charges are brought. But the opposite happened in the case of Milosevic: he was charged for political reasons and the hunt for evidence then followed.  
The irony is that the former Yugoslav President had already been praised by President Clinton for his role in brokering a peace deal in Bosnia in 1995, which was signed in Dayton, Ohio.
The truth is that Milosevic was no hardcore Serb nationalist but a lifelong socialist, whose commitment was always to a multi-racial, multi-ethnic Yugoslavia.
His aim throughout his time in power was not to build a ’Greater Serbia‘, but to try and keep Federal Yugoslavia together, as the ICTY now belatedly acknowledges.
Not only was Milosevic not responsible for ethnic cleansing which took place in Bosnia, he actually spoke out against it. The ICTY noted Milosevic’s “repeated criticism and disapproval of the policies made by the Accused (Karadzic) and the Bosnian Serb leadership.” Milosevic, a man for whom all forms of racism were anathema, insisted that all ethnicities must be protected.
But in order to punish Milosevic and to warn others of the consequences if they dared to oppose US power, history had to be re-written. The pro-Yugoslavia socialist who had opposed the policies of the Bosnian Serb leadership had to be turned, retrospectively, into the villain of the Bosnian War and indeed blamed for all the bloodshed which took place in the Balkans. Meanwhile, the aforementioned US Ambassador Warren Zimmerman, whose malign intervention to scupper a diplomatic solution helped trigger the Bosnian conflict got off scot-free.
The ‘Blame it All on Slobo’ campaign saw facts simply thrown out of the window. One article, written, I kid ye not, by an Oxford University Professor of European Studies even had Milosevic as leader of Yugoslavia in 1991 (the year that Slovenia broke away). In fact the Bosnian Croat, Ante Markovic, was the leader of the country at the time.
Inevitably, Milosevic was likened to Hitler. “It was just like watching the evil strutting Adolf Hitler in action,” wrote the News of the World’s political editor, when Milosevic had the temerity to defend himself in court. “There were chilling flashes of the World War Two Nazi monster as the deposed Serb tyrant harangued the court.”
To make sure readers did get the Milosevic=Hitler point, the News of the World illustrated their diatribe with a picture of Hitler ‘The Butcher of Berlin’, in front of a concentration camp, with a picture of Milosevic ‘The Butcher of Belgrade’ superimposed on a picture of a Bosnian concentration camp. Which in fact, he had nothing to do with.
Very conveniently for the prosecution, Milosevic died suddenly in his cell in March 2006.
Going by what we had seen at the trial up to that point, it’s inconceivable that a guilty sentence could have been passed. A whole succession of ’smoking gun’ witnesses had turned out to be dampest of damp squibs.
As I noted in an earlier piece:
Star witness Ratomir Tanic was exposed as being in the pay of Western security forces, whilst ex-Yugoslav secret police chief Rade Markovic, the man who was finally going to spill the beans on Milosevic and reveal how his former master had ordered the expulsion of ethnic Albanians from Kosovo, in fact did the opposite and testified that he had been tortured to tell lies and that his written statement had been falsified by the prosecution.
In addition, as I noted here, the former head of security in the Yugoslav army, General Geza Farkas (an ethnic Hungarian), testified that all Yugoslav soldiers in Kosovo had been handed a document explaining international humanitarian law, and that they were ordered to disobey any orders which violated it. Farkas also said that Milosevic ordered no paramilitary groups should be permitted to operate anywhere in Kosovo. 
When Milosevic died, his accusers claimed he had “cheated justice”. But in fact, as the ICTY has now confirmed, the injustice was done to Milosevic.
While he had to defend himself against politically-motivated charges at The Hague, the US and its allies launched their brutal, illegal assault on Iraq, a war which has led to the death of up to one million people. Last year a report from Body Count revealed that at least 1.3 million people had lost their lives as a result of the US-led ‘war on terror’ in Iraq, Afghanistan and Pakistan.
Those sorts of figures help us get Kosovo into some kind of perspective. Even if we do hold Milosevic and the Yugoslav government responsible for some of the deaths there in 1999, (in a war which the West had clearly desired and provoked) far, far, greater death and destruction has been caused by the countries who were the keenest to see the President of Yugoslavia in the dock. As John Pilger noted in 2008, the bombing of Yugoslavia was the “perfect precursor to the bloodbaths in Afghanistan and Iraq.”
Since then we’ve also had the NATO destruction of Libya, the country which had the highest living standards in the whole of Africa and the backing of violent 'rebels' to try and achieve ‘regime change’ in Syria.
You don’t have to be Sherlock Holmes to see a pattern here.
Before a US-led war or ‘humanitarian intervention’ against a targeted state, a number of lurid claims are made about the country‘s leader and its government. These claims receive maximum media coverage and are repeated ad nauseam on the basis that people will bound to think they’re true.
Later it transpires that the claims were either entirely false (like the Iraq WMD ones), unproven, or greatly exaggerated. But the news cycle has moved on focusing not on the exposure of the fraudulent claims made earlier but on the next aggressive/genocidal ‘New Hitler’ who needs to be dealt with.  In 1999 it was Milosevic; now it’s Assad and Putin.
And guess what, dear reader? It’s the same people who defend the Iraq war and other blood-stained Western military interventions based on lies, unproven claims or great exaggerations, who are the ones doing the accusing.
As that very wise old saying goes: When you point one finger, there are three fingers pointing back to you.

Neil Clark is a journalist, writer, broadcaster and blogger. He has written for many newspapers and magazines in the UK and other countries including The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week, and The American Conservative. He is a regular pundit on RT and has also appeared on BBC TV and radio, Sky News, Press TV and the Voice of Russia. He is the co-founder of the Campaign For Public Ownership @PublicOwnership. His award winning blog can be found at www.neilclark66.blogspot.com. He tweets on politics and world affairs @NeilClark66


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Milosevic Exoneration: Radio Free Europe's Clumsy Attempt at Damage Control


www.slobodan-milosevic.org - August 9, 2016
Written by: Andy Wilcoxson


Gordana Knezevic of Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL) attacked me and she attacked Neil Clark for reporting that Slobodan Milosevic has been exonerated by the Karadzic trial chamber at the ICTY for crimes committed during the Bosnian war. According to Ms. Knezevic, the reporting done by Neil Clark and myself was "a perfect example of fact-bending journalism".

Ms. Knezevic argues that "The Trial Chamber did not in fact make any determination of guilt with respect to Milosevic in its verdict against Karadzic. Indeed, Milosevic was not charged or accused in the Karadzic case. The fact that a person is, or is not, found to be part of a joint criminal enterprise in a case in which he is not charged has no impact on the status of his own case or his own criminal responsibility. In short, the trial against Karadzic was against him and him only, and therefore has no impact on the separate case against Slobodan Milosevic."

To bolster her claim she cites correspondence she received from the ICTY, which reads:

"The Trial Chamber of the Karadzic case found, at paragraph 3460, page 1303, of the Trial Judgement, that 'there was no sufficient evidence presented in this case to find that Slobodan Milosevic agreed with the common plan' [to create territories ethnically cleansed of non-Serbs]. The Trial Chamber found earlier in the same paragraph that 'Milosevic provided assistance in the form of personnel, provisions and arms to Bosnian Serbs during the conflict'."

What Ms. Knezevic clearly fails to comprehend is the nature of the charges against Slobodan Milosevic and Radovan Karadzic. Milosevic and Karadzic were accused of being co-conspirators and together undertaking a joint criminal enterprise to ethnically cleanse Muslims and Croats from Bosnian-Serb territory.

Paragraph 9 of the indictment against Karadzic says: "Radovan KARADZIC participated in an overarching joint criminal enterprise to permanently remove Bosnian Muslim and Bosnian Croat inhabitants from the territories of BiH claimed as Bosnian Serb territory by means which included the commission of [crimes]." And in Paragraph 11 the indictment asserts that "Radovan KARADZIC acted in concert with other members of this criminal enterprise including [...] Slobodan MILOSEVIC".

Conversely, paragraph 6 of the indictment against Milosevic says: "Slobodan MILOSEVIC participated in the joint criminal enterprise [...] The purpose of this joint criminal enterprise was the forcible and permanent removal of the majority of non-Serbs, principally Bosnian Muslims and Bosnian Croats, from large areas of the Republic of Bosnia and Herzegovina, through the commission of crimes." And in Paragraph 7, "The individuals participating in this joint criminal enterprise included Slobodan MILOSEVIC, Radovan KARADZIC, [etc ...]".

Because we are talking about the exact same joint criminal enterprise, Ms. Knezevic is not correct when she says, "The fact that a person is, or is not, found to be part of a joint criminal enterprise in a case in which he is not charged has no impact on the status of his own case or his own criminal responsibility."

Although Milosevic wasn't officially "charged" in the Karadzic trial (he had been dead for two years before Karadzic was even arrested), it was the indictment's assertion that Radovan Karadzic and Slobodan Milosevic undertook the joint criminal enterprise together that prompted the Karadzic chamber to make findings regarding Slobodan Milosevic's culpability. The charges against Milosevic and Karadzic are inexorably linked. The Karadzic indictment accuses Slobodan Milosevic of participating in the very same joint criminal enterprise that he was charged for in his own trial. The Karadzic chamber's determination that there was insufficient evidence to find that Slobodan Milosevic was part of the exact same joint criminal enterprise he was charged for in his own trial impacts his criminal responsibility in a very direct and obvious way, especially considering that the presiding judge in the Karadzic trail was one of the judges who sat on the bench throughout the Milosevic trial.

The Karadzic chamber didn't stop at finding that the evidence against Milosevic was merely "insufficient" either. As I observed in my original article, the judges went beyond that and cited exculpatory evidence showing that he opposed ethnic cleansing and sought a political solution that was fair to the Muslims and the Croats, facts which Ms. Knezevic completely and dishonestly ignores in her argument. 

Instead, she launches into an ad hominem attack on Neil Clark, calling him "a leading apologist ... for Serbian war crimes" without presenting one scrap of evidence that he has ever condoned war crimes committed by Serbs or anyone else. Then she tries her hand at amateur psychology saying "He seems to enjoy the notoriety of being contrarian, even if it means proclaiming the innocence of war criminals and mass murderers."

Ms. Knezevic sneers that "Clark and his ilk can continue to imagine an alternate reality" ... then in the very next paragraph she claims that Slobodan Milosevic was the President of Yugoslavia in 1992 (he wasn't the president of Yugoslavia until 1997), which goes to show that the director of RFE/RL’s Balkan Service is a fool who doesn't even know basic facts about the country she's reporting on -- facts like the correct identity of the president.

She links to a bizarre rant against the Ron Paul Institute because she says it helps her "understand the background and motives of Milosevic&#

(Message over 64 KB, truncated)


(english / français / italiano)

Distribution d’armes à l’opposition syrienne depuis les Balkans

1) BALKAN ARMS TRADE. A dossier by BIRN (LINKS) / Armi: Balcani, canale da 1.2 miliardi di euro verso il Medio Oriente
2) Balkans Arms Airline. Un trafic bien organisé entre Balkans et Moyen-Orient
3) Montenegro: boom dell'export di armi


Sui paesi ex-jugoslavi come retrovia strategico dello squartamento della Siria si vedano anche:
ARMI DA CROAZIA, BOSNIA E KOSOVO PER I TERRORISTI ANTI-SIRIANI (JUGOINFO del 2.3.2013)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7606
SUI TERRORISTI SIRIANI ADDESTRATI DALL'UCK IN KOSOVO:
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7516
http://www.voltairenet.org/article176855.html
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7354
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7350
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7339


=== 1 ===

BALKAN ARMS TRADE
Making a Killing: The 1.2 Billion Euro Arms Pipeline to Middle East (Lawrence Marzouk, Ivan Angelovski and Miranda Patrucic, BIRN, 27 lug 2016)
An unprecedented flow of weapons from Central and Eastern Europe is flooding the battlefields of the Middle East...

Read the documents behind the investigation here:
1) Documents related to the legality of the arms trade 
http://birnsource.com/en/folder/222
2) Contracts and end-user certificates related to arms sales 
http://birnsource.com/en/folder/223
3) Flights carrying ammunition between Saudi Arabia and Turkey
http://birnsource.com/en/folder/225
4) Weapons flights between Central and Eastern Europe and the Middle East
http://birnsource.com/en/folder/226
5) US arms shipments from Balkan Back Sea ports to Turkey and Jordan
http://birnsource.com/en/folder/227
6) US Department of Defense buy-up of Balkan weapons and ammunition

Making a Killing (Birn Balkans, 27 lug 2016)
Central and Eastern European governments have directed an unprecedented flow of weapons and ammunition to four key backers of Syria’s armed opposition since the escalation of the bloody civil war in 2012.
A yearlong investigation by the Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) and the Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) reveal for the first time the emergence of an €1.2 billion arms pipeline fueling conflict in the Middle East, causing untold human suffering.  
It is a trade that is almost certainly illegal, experts say.

Arms Exports to Middle East: A Question of Legality (Lawrence Marzouk, Aubrey Belford and Joshua Futtersak, BIRN, 27 lug 2016)
Human rights and arms experts believe some of Central and Eastern Europe’s weapons trade with Saudi Arabia, the region’s principal supplier of weapons to Syria, is likely breaking international law...
http://www.balkaninsight.com/en/article/arms-exports-to-middle-east-a-question-of-legality-07-26-2016

Serbia PM Defends Lucrative Saudi Arms Sales (Jelena Cosic, BIRN, 2 ago 2016)
Serbia’s prime minister brushed aside criticism of his country’s controversial arms trade with Saudi Arabia, arguing that he “adores” weapons exports because they boost the state coffers...

Montenegro Opens Weapons Supply Line to Saudi Arabia (Dusica Tomovic, BIRN, 3 ago 2016)
An arms broker who sold almost 300 tonnes of aging Yugoslav-era weapons and ammunition to Saudi Arabia says “It’s no concern of mine” if the Gulf kingdom later diverts them to Syria...
http://www.balkaninsight.com/en/article/montenegro-opens-weapons-supply-line-to-saudi-arabia-08-02-2016


--- IN ITALIANO:


Armi: Balcani, canale da 1.2 miliardi di euro verso il Medio Oriente


Un team di giornalisti investigativi ha scoperto numerosi voli aerei impiegati per trasportare migliaia di tonnellate di armi e munizioni, utilizzate poi nei conflitti in Medio Oriente

(Originariamente pubblicato da OCCRP  , 27 luglio 2016, titolo originale “Making a Killing: The €1.2 Billion Arms Pipeline to Middle East  ”)

Mentre Belgrado dormiva, nella notte del 28 novembre 2015, gli enormi motori turbofan di un cargo bielorusso Ruby Star Ilyushin II-76 ruggivano in partenza. La sua stiva era carica di armi destinate a conflitti lontani.

Alzandosi dalla pista dell'aeroporto Nikola Tesla, il massiccio aereo perforava la nebbia serba per dirigersi verso Jeddah, in Arabia Saudita.

È stato uno degli almeno 68 voli - scoperti dal Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) e dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) - che in soli 13 mesi hanno trasportato migliaia di tonnellate di armi e munizioni dall'Europa centro-orientale agli stati del Medio Oriente e alla Turchia, che, a loro volta, le inoltravano verso le brutali guerre civili in Siria e Yemen. I voli sono solo una piccola parte di quei 1,2 miliardi di euro di armi passati attraverso i Balcani dal 2012, quando parte della primavera araba si è trasformata in conflitti armati.

Nel frattempo, negli ultimi due anni, mentre migliaia di tonnellate di armi volavano verso sud, centinaia di migliaia di rifugiati scappavano verso nord, da conflitti che hanno ucciso più di 400.000 persone. Ma mentre l'Europa ha chiuso la rotta dei rifugiati, il corridoio da miliardi di euro di armi verso il Medio Oriente, spedite in aereo e nave, rimane aperto e altamente lucrativo.

Secondo gli esperti di armi e diritti umani si tratta di un commercio che è quasi certamente illegale.

"I fatti fanno pensare ad uno spostamento sistematico di armi verso gruppi armati accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Se così fosse, i trasferimenti sono illegali secondo il 'Trattato delle Nazioni Unite sul Commercio di Armi' e il diritto internazionale, e quindi devono cessare immediatamente", ha dichiarato Patrick Wilcken, un ricercatore sul controllo di armi di Amnesty International, che ha esaminato le prove raccolte dai giornalisti.

Ma con centinaia di milioni di euro in gioco e fabbriche regionali di armi che lavorano a ritmi forzati, vi è un forte incentivo nel lasciare fiorire il business. Sono state concesse numerose licenze di esportazione di armi, che dovrebbero garantire la destinazione finale delle merci, nonostante svariate prove che le armi vengono inoltrate verso gruppi armati sia siriani che di altre nazionalità, accusati di abusi e diffuse atrocità in violazione dei diritti umani.

Robert Stephen Ford, ambasciatore degli Stati Uniti in Siria tra il 2011 e il 2014, ha dichiarato a BIRN e OCCRP che il commercio è coordinato dalla Central Intelligence Agency statunitense (CIA), dalla Turchia e dagli stati del Golfo, attraverso centri in Giordania e Turchia, anche se in pratica poi avviene spesso che il rifornimento di armi aggiri questa procedura.

BIRN e OCCRP hanno esaminato - nel corso di un anno di indagini - i dati di esportazione di armi forniti dai singoli paesi, i report delle Nazioni Unite, i registri di volo e i contratti di vendita, rivelando che migliaia di fucili d'assalto, granate da mortaio, lanciarazzi, armi anticarro e mitragliatrici pesanti si stanno riversando nella tormentata regione mediorientale e provengono da Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Montenegro, Romania, Serbia e Slovacchia.

Dall'escalation del conflitto siriano nel 2012, gli otto paesi sopra nominati hanno avallato l'invio di almeno € 1.2 miliardi di armi e munizioni all'Arabia Saudita, alla Giordania, agli Emirati Arabi Uniti (UAE) e alla Turchia. La cifra è probabilmente molto più alta. I dati sulle licenze di esportazione di armi per quattro degli otto paesi non erano disponibili infatti per il 2015, né per sette su otto paesi per il 2016. I quattro paesi destinatari sono importanti fornitori di armi alla Siria e allo Yemen, con poco o nessun pregresso di acquisto dall'Europa centro-orientale prima del 2012. E il ritmo dei trasferimenti non sta rallentando, con alcune delle più rilevanti commesse arrivate proprio nel 2015.

Armi e munizioni dell'Europa centro-orientale, identificate da più di 50 video e foto pubblicati sui social media, sono ora in uso dal filo-occidentale Free Syrian Army, ma sono anche nelle mani di combattenti di gruppi islamisti, come Ansar al-Sham, l'affiliata dell'al Qaeda Jabhat al-Nusra, lo Stato islamico dell'Iraq e il Levante (ISIS), le fazioni in lotta per il presidente siriano Bashar-al Assad e le forze sunnite in Yemen.

Le segnature su alcune delle armi che identificano la loro origine e data di produzione rivelano che quantità significative sono state prodotte recentemente, nel 2015.

Dei 1,2 miliardi di euro in armi e munizioni di cui è stata autorizzata l'esportazione, si sa che circa 500 milioni sono già stati consegnati, in base a informazioni commerciali prodotte dalle Nazioni Unite e sulla base di relazioni nazionali sulle esportazioni di armi.

La frequenza e il numero di voli cargo - BIRN e OCCRP ne ha identificati almeno 68 in poco più di un anno - rivelano un flusso costante di armi dagli aeroporti dell'Europa centro-orientale alle basi militari e aeroporti nel Medio Oriente.

L'aereo più comunemente usato - Ilyushin II-76 - può trasportare fino a 50 tonnellate di carico, circa 16.000 fucili AK-47 Kalashnikov o tre milioni di proiettili. Altri modelli, tra cui il Boeing 747, sono in grado di trasportare almeno il doppio di tale carico.

Ma armi e munizioni non arrivano solo in aereo. I giornalisti investigativi hanno individuato almeno tre spedizioni effettuate da militari americani da porti del Mar Nero, che si stima abbiano contribuito all'arrivo di 4.700 tonnellate di armi e munizioni nel Mar Rosso dal dicembre 2015 ad oggi.

Un membro svedese del Parlamento europeo ha definito questo commercio come vergognoso. “Forse – la Bulgaria, la Slovacchia e la Croazia - non si vergognano affatto, ma penso che dovrebbero", ha dichiarato Bodil Valero, che è stata anche rapporteur dell'ultimo rapporto sugli armamenti redatto dal PE. "I paesi che vendono armi all'Arabia Saudita o a stati della regione del Medio Oriente-Nord Africa non stanno facendo valutazioni sui rischi e, di conseguenza, sono in violazione del diritto comunitario e nazionale".

OCCRP e BIRN hanno parlato con i rappresentanti del governo in Croazia, Repubblica Ceca, Montenegro, Serbia e Slovacchia, e tutti hanno risposto allo stesso modo, dicendo che rispettano gli obblighi internazionali. Alcuni dicono che l'Arabia Saudita non è su alcuna lista nera di armi internazionali, e altri hanno detto che il loro paese non è responsabile se le armi sono state dirottate altrove.

Arabia Saudita, regina delle armi

L'inizio del corridoio di armi tra Europa centro-orientale e Medio Oriente è datato inverno 2012, quando decine di aerei cargo, carichi di armi e munizioni dell'epoca jugoslava acquistate dai sauditi, cominciarono a lasciare Zagabria diretti in Giordania. Subito dopo, emerse il primo filmato da cui risulta l’uso di armi croate sui campi di battaglia in Siria.

Secondo un rapporto del New York Times, del febbraio 2013, un alto funzionario croato offrì scorte di vecchie armi croate alla Siria, nel corso di una visita a Washington nell'estate del 2012. Zagabria è stata poi messa in contatto con i sauditi, che hanno finanziato gli acquisti, mentre la CIA ha fornito la logistica di un ponte aereo, la cui creazione cominciò alla fine di quell'anno.

Mentre il governo della Croazia ha sempre negato qualsiasi ruolo nella spedizione di armi alla Siria, l'ex-ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, Ford, ha confermato a BIRN e OCCRP il racconto fatto al Times da una fonte anonima, su come l'affare è stato condotto. Ford ha detto che non era in grado però di parlarne più in profondità.

Questo è stato solo l'inizio di un flusso senza precedenti di armi provenienti dal sud-est Europa verso il Medio Oriente, visto che il corridoio è stato ampliato per includere le scorte eccedenti di altri sette paesi. Commercianti di armi locali hanno fornito armi e munizioni dei loro paesi d'origine, e hanno mediato la vendita di munizioni dall'Ucraina e dalla Bielorussia. Hanno anche tentato di garantire sistemi anticarro di fabbricazione sovietica acquistati dal Regno Unito.

Secondo l'analisi dei dati di esportazione forniti dai singoli paesi, prima della primavera araba nel 2011, il commercio di armi tra l'Europa orientale e l'Arabia Saudita, la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia - quattro sostenitori principali della frammentata opposizione della Siria - era trascurabile o inesistente.

Ma ciò è cambiato nel 2012. Tra quell'anno e il 2016, otto paesi dell'Europa orientale hanno approvato almeno 806 milioni di euro in esportazioni di armi e munizioni verso l'Arabia Saudita, secondo i rapporti sull’esportazione di armi nazionali e comunitarie, nonché in base a fonti governative. A questi vanno aggiunti 155 milioni di euro verso la Giordania, 135 verso gli Emirati Arabi Uniti e 87 verso la Turchia, per un totale di 1,2 miliardi di euro.

Il Qatar, un altro fornitore chiave di equipaggiamenti per l'opposizione siriana, non compare nelle licenze di esportazione dell'Europa centro-orientale.

Jeremy Binnie, esperto di armi nel Medio Oriente per il settimanale Jane's Defense Weekly, una pubblicazione notoriamente considerata come la fonte più attendibile di informazioni sulla difesa e sicurezza, ha detto che la maggior parte delle esportazioni di armi provenienti dall'Europa orientale è probabilmente destinata alla Siria, e in misura minore, allo Yemen e alla Libia.

"Con poche eccezioni, i militari dell'Arabia Saudita, la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia usano armi di fanteria e munizioni occidentali, piuttosto che di progettazione sovietica", ha detto Binnie. "Sembra di conseguenza probabile che le grandi spedizioni di tali materiali in corso di acquisizione da - o inviati a - questi paesi siano destinate ai loro alleati in Siria, Yemen e Libia".

BIRN e OCCRP hanno ottenuto documenti confidenziali del ministero della Difesa della Serbia e minute di una serie di incontri interministeriali avvenuti nel 2013. I documenti mostrano che il ministero ha sollevato preoccupazioni sul fatto che le consegne per l'Arabia Saudita sarebbero state destinate alla Siria, sottolineando che i sauditi non usano scorte dell'Europa centro-orientale e solitamente forniscono armi all'opposizione siriana. Il ministero ha allora revocato la licenza di esportazione per l'Arabia Saudita, per poi cambiare idea più di un anno dopo, approvando così nuove spedizioni di armi e citando l'interesse nazionale.

E' noto che le forze di sicurezza saudite sono equipaggiate da aziende occidentali e che usano quantità limitate di attrezzature dell'Europa centro-orientale. Questo include camion militari prodotti in Repubblica Ceca, e alcuni fucili d'assalto fatti in Romania. Ma anche le esportazioni di armi destinate ad essere utilizzate dalle forze saudite suscitano polemica, dato il loro coinvolgimento nel conflitto in Yemen.

L'Olanda è diventato il primo paese dell'Unione europea a fermare le esportazioni di armi verso l'Arabia Saudita, a seguito del numero di civili morti nella guerra dello Yemen, e il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulle armi da parte di tutta l'Ue.

La logistica del rifornimento: voli cargo e lanci aerei

Le armi provenienti dall'Europa centro-orientale sono consegnate agli stati del Medio Oriente tramite voli cargo e navi. Identificando gli aerei e le navi che consegnano le armi, i giornalisti sono stati in grado di monitorare il flusso di armi in tempo reale.

L'analisi dettagliata degli orari aeroportuali, la storia dei vettori cargo, i dati di tracciamento di volo, e le fonti di controllo del traffico aereo hanno contribuito a individuare 68 voli che portavano armi ai conflitti del Medio Oriente negli ultimi 13 mesi. Belgrado, Sofia e Bratislava spiccano come i principali hub per questo ponte aereo.

I più frequenti sono stati i voli operati da Belgrado, capitale della Serbia. Sono stati conteggiati voli che o era confermato trasportassero armi, o erano diretti verso basi militari in Arabia Saudita o negli Emirati Arabi Uniti, oppure erano effettuati da esportatori ufficiali d'armamenti.

Molti di questi voli hanno fatto una sosta aggiuntiva in Europa centrale e orientale - nel senso che hanno probabilmente raccolto più armi e munizioni - prima di volare verso la loro destinazione finale.

Le statistiche di volo dell'UE forniscono un'ulteriore prova della scala delle operazioni. Esse rivelano che gli aerei che volano dalla Bulgaria e dalla Slovacchia hanno consegnato 2.268 tonnellate di carico - pari a 44 voli con l'aereo più comunemente utilizzato - Ilyushin II-76 - a partire dall'estate del 2014 per le stesse basi militari in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti individuate da BIRN e OCCRP.

Distribuzione delle armi

Armi acquistate per la Siria da sauditi, turchi, giordani e Emirati Arabi Uniti sono poi instradate, secondo Ford, l'ex ambasciatore USA in Siria, attraverso due centri di comando segreto – chiamati Centri di Operazioni Militari (Military Operation Centers (MOC) - in Giordania e in Turchia.

Questi centri - che vedono la presenza di ufficiali di sicurezza e militari provenienti dal Golfo, dalla Turchia, dalla Giordania e dagli Stati Uniti - coordinerebbero la distribuzione di armi ai gruppi di opposizione siriani controllati. Questo secondo le informazioni del Carter Center di Atlanta, un think tank che ha un'unità di monitoraggio del conflitto.

"Ciascuno dei paesi coinvolti per aiutare l'opposizione armata ha mantenuto un potere di decisione finale su quali gruppi in Siria avrebbero ricevuto assistenza", ha dichiarato Ford. Una serie di documenti trapelati, appartenenti ad un'azienda di trasporto merci, forniscono ulteriori indizi su come i militari sauditi forniscono armi ai ribelli siriani.

Secondo i documenti ottenuti da BIRN e OCCRP, la società moldava AeroTransCargo ha fatto sei voli nell'estate del 2015, portando almeno 250 tonnellate di munizioni suddivise tra basi militari in Arabia Saudita e l'aeroporto internazionale di Esenboga, ad Ankara, la capitale della Turchia, indicato come un punto di arrivo per armi e munizioni destinate ai ribelli siriani.

Pieter Wezeman, del Stockholm International Peace Research Institute, un'organizzazione leader nel monitoraggio di esportazioni di armi, ha detto che sospetta che i voli facciano parte dell'operazione logistica per il rifornimento di munizioni ai ribelli siriani.

Dalle MOCs, le armi vengono poi trasportate via terra sino al confine siriano, o lanciate con paracaduti da aerei militari.

Un comandante siriano di Aleppo, del Free Syrian Army, che ha chiesto di rimanere anonimo per proteggere la sua sicurezza, ha dichiarato a BIRN e OCCRP che le armi provenienti dall'Europa centro-orientale venivano distribuite in Siria. "Non ci interessa il paese d'origine, sappiamo solo che vengono dall'Europa orientale", ha detto.

I sauditi e i turchi hanno anche fornito armi direttamente a gruppi islamici che non sono appoggiati dagli Stati Uniti, e che hanno talvolta finito per combattere le fazioni sostenute dal MOC, ha aggiunto Ford.

I sauditi sono anche noti per aver lanciato materiale da aerei, incluso qualcosa che sembravano essere fucili d'assalto serbi, ai loro alleati in Yemen.

Ford ha dichiarato che mentre lui non era personalmente coinvolto nei negoziati con la Serbia, la Bulgaria e la Romania sul rifornimento di armi alla Siria, è probabile che la CIA abbia avuto un ruolo nella questione.

"Per le operazioni di questo tipo, sarebbe difficile per me immaginare che non ci fosse un certo coordinamento tra i servizi di intelligence, ma potrebbe essere stato rigorosamente limitato ai canali di intelligence", ha detto.

Gli Stati Uniti non hanno svolto solo un ruolo nella logistica del trasporto di armi sponsorizzato dal Golfo e provenienti dall'Europa dell'est verso i ribelli siriani. Attraverso il loro Dipartimento della Difesa e il Comando di Operazioni Speciali (SOCOM), hanno anche acquistato e consegnato grandi quantità di merci militari, provenienti dall'Europa orientale, all'opposizione siriana, come parte di un programma per il valore di 500 milioni di dollari americani che riguardava addestramento ed equipaggiamento.

Dal dicembre 2015, SOCOM ha commissionato tre navi da carico per trasportare 4.700 tonnellate di armi e munizioni dai porti di Costanza, in Romania, e Burgas, in Bulgaria, al Medio Oriente, probabilmente come parte del rifornimento segreto di armi alla Siria.

Le spedizioni includono mitragliatrici pesanti, lanciarazzi e armi anticarro - così come proiettili, mortai, granate, razzi ed esplosivi, secondo documenti relativi agli appalti concessi dal governo USA. L'origine delle armi spedite da SOCOM è sconosciuta ma il materiale elencato nei documenti di trasporto è disponibile nei magazzini di tutta l'Europa centro-orientale.

Non molto tempo dopo una delle consegne, gruppi curdi appoggiati da SOCOM hanno pubblicato un'immagine su Twitter e Facebook, che mostra un magazzino pieno di scatole di munizioni arrivate tramite una mediazione degli Stati Uniti nel nord della Siria. SOCOM non ha voluto confermare o negare che le spedizioni erano destinate alla Siria.

I dati di approvvigionamento degli Stati Uniti rivelano anche che SOCOM ha assicurato, tra  2014 e 2016, almeno 27 milioni di dollari in armi e munizioni provenienti dalla Bulgaria e 12 milioni di dollari in armi e munizioni provenienti dalla Serbia, destinate ad operazioni segrete ed ai ribelli siriani.

Un affare in crescita

Il ricercatore sul controllo delle armi, Wilcken, ha detto che l'Europa centro-orientale è ben posizionata per incassare l'enorme aumento della domanda di armi a seguito della primavera araba.

"La prossimità geografica e il controllo negligente dell'esportazione hanno messo alcuni stati balcanici in pole position per trarre profitto da questo commercio, in alcuni casi con l'assistenza segreta degli Stati Uniti", ha aggiunto. "L'Europa orientale sta riabilitando le industrie di armi della guerra fredda, che sono di nuovo in espansione e danno profitti".

Il premier serbo Vučić si vantava di recente che il suo paese potrebbe produrre cinque volte la quantità di armi che produce attualmente e ancora non soddisfare la domanda esistente. "Purtroppo in alcune parti del mondo, le persone sono in guerra più che mai, e tutto ciò che si produce, si riesce a venderlo", ha dichiarato.

Le aziende di armi in Bosnia Erzegovina e Serbia producono a piena capacità, con l'aggiunta di alcuni turni extra, e non stanno accettando attualmente nuove commesse.

Funzionari di alto livello dell'Arabia Saudita - più abituati a negoziare miliardi di dollari in ordini di jet da caccia con i giganti della difesa occidentali - sono stati costretti a trattare con una manciata di piccoli intermediari di armi che operano da poco in Europa orientale, ottenendo accesso ad armi come l'AK-47 e lanciarazzi.

Intermediari, come la serba CPR Impex e l'Eldon della Slovacchia, hanno svolto un ruolo fondamentale nel rifornimento di armi e munizioni per il Medio Oriente.

L'inventario di ogni consegna di solito è sconosciuto, a causa della segretezza che circonda gli affari d'armi, ma due certificati di destinazione finale e una licenza di esportazione, ottenuti da BIRN e OCCRP, rivelano la straordinaria portata del buy-in per i beneficiari siriani.

Ad esempio, il ministero della Difesa dell'Arabia Saudita ha espresso il proprio interesse ad acquistare dal fornitore di armi serbo CPR Impex un certo numero di armi, tra cui centinaia di vecchi carri armati T-55 e T-72, milioni di munizioni, sistemi missilistici multi-lancio e lanciarazzi. Le armi e munizioni elencate qui sono state prodotte nell'ex-Jugoslavia, in Bielorussia, Ucraina e Repubblica Ceca.

Una licenza di esportazione rilasciata a una società slovacca poco conosciuta chiamata Eldon, nel gennaio 2015, ha concesso all'azienda il diritto di trasportare migliaia di "lanciagranate portatili anticarro", mitragliatrici pesanti e quasi un milione di proiettili dall'Est Europa, per un valore complesso di quasi 32 milioni di euro, in Arabia Saudita.

L'analisi di BIRN e OCCRP dei social media mostra che le armi provenienti dagli stati dell'ex-Cecoslovacchia e l'ex-Jugoslavia, e la Serbia, la Croazia e la Bulgaria sono ora presenti sui campi di battaglia della Siria e Yemen.

Mentre gli esperti ritengono che i paesi sopramenzionati continuano a sottrarsi alle loro responsabilità, il corridoio di armi aggiunge sempre più benzina a un conflitto altamente infiammabile, aumentandone sempre più la drammaticità. "La proliferazione delle armi nella regione ha causato indicibili sofferenze umane; un gran numero di persone sono state sfollate e le parti in conflitto hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, tra cui rapimenti, esecuzioni, sparizioni forzate, torture e stupri ", ha dichiarato Wilcken.

Hanno contribuito al Report Atanas Tchobanov, Dusica Tomovic, Jelena Cosic, Jelena Svirčić, Lindita Cela, Pavla Holcova e RISE Moldova.



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(B2) De Belgrade ou Nis, de Bratislava ou d’Ostrava, de Sofia ou de Bourgas … ce sont pas moins de 68 vols cargos chargés d’armes qui sont venus ces derniers 13 mois approvisionner les conflits en Syrie et dans le Golfe révèle une enquête menée par plusieurs journalistes des Balkans. 50 de ces vols sont confirmés comme transportant des armes, 18 de ces vols le sont « probablement ». Et ces charters d’un nouveau genre ne semblent pas nouveaux. Depuis 2012, nos confrères des Balkans estiment que ce trafic, très organisé, atteint une valeur d’au moins 1,2 milliard d’euros.

Un trafic très organisé

En examinant plus attentivement les données d’exportation d’armes, les rapports de l’ONU, les dossiers de vol, et les contrats d’armes sur un an, ce sont ainsi des milliers de fusils d’assaut, des obus de mortier, des lance-roquettes, des armes anti-chars et de mitrailleuses lourdes qui sont partis des stocks et des usines de Bosnie-Herzégovine, Bulgarie, Croatie, République tchèque, Monténégro, Roumanie, Serbie et Slovaquie. Destination : la Syrie via la Jordanie, l’Arabie Saoudite, les Emirats arabes unis. Le Yémen et la Libye seraient également des destinations finales des armes, bien que dans une moindre mesure. Pour les transporter, l’avion le plus couramment utilisé est l’Ilyushin II-76. L’avantage : il transporte dans ses flancs jusqu’à 50 tonnes de fret, soit environ 16 000 fusils AK-47 Kalachnikov. 

Des achats bien organisés… via la CIA

Ces armes, achetées par les Saoudiens, les Turcs, les Jordaniens et les Emirats Arabes unis sont ensuite acheminés à travers deux installations secrètes de commande – appelée opération militaire Centres (MOC ) – en Jordanie et en Turquie. Ces unités coordonnent la distribution d’armes à des groupes d’opposition syriens sélectionnés par les Américains selon le think-tank d’Atlanta, le Centre Carter.  Selon Robert Stephen Ford, ambassadeur américain en Syrie entre 2011 et 2014,  la CIA a probablement joué un rôle d’intermédiaire entre les pays des Balkans (notamment Serbie, Bulgarie et Roumanie) et du Moyen-Orient pour la vente des armes.

Les Américains en première ligne

Les journalistes ne manquent pas de souligner que le Département de commandement des opérations spéciales de la Défense (SOCOM) des Etats-Unis a également acheté et livré de grandes quantités de matériel militaire en provenance d’Europe de l’Est pour l’opposition syrienne dans le cadre d’un programme de « train and equip », pour une valeur de 500 millions $. Ainsi, depuis décembre 2015, trois navires cargos ont transporté 4.700 tonnes d’armes et de munitions en provenance des ports de Constanza (en Roumanie) et Burgas (en Bulgarie) vers le Moyen-Orient. Probablement dans le cadre « d’une livraison clandestine d’armes en Syrie ». Les envois inclurait des mitrailleuses lourdes, des lance-roquettes et des armes anti-chars – ainsi que des munitions, des mortiers, des grenades, des roquettes et des explosifs. L’origine des armes livrées est, elle, inconnue. Les documents que les journalistes ont pu consulter ne donnant les informations qu’à partir de stocks localisés en Europe centrale et orientale.

NB : C’est principalement à travers les réseaux sociaux, notamment twitter et Facebook, que ces armes sont ensuite localisées à leur destination finale. Un groupe de soldats kurdes, soutenus par le SOCOM, ont ainsi publié de nombreuses photos montrant un entrepôt où s’empilent des boîtes de munitions, avec l’estampille made US. 

Un boom des ventes depuis 2012

C’est le conflit en Syrie qui est le principal facteur de cette augmentation selon les auteurs de l’enquête. Avant le printemps arabe en 2011 , le commerce des armes entre l’Europe de l’Est et l’Arabie Saoudite, la Jordanie, les Emirats Arabes Unis, Émirats Arabes Unis , et la Turquie – quatre principaux partisans de l’opposition syrienne – était négligeable, voire inexistant, selon l’analyse faite par les journalistes. Cela change en 2012. 

Les usines des Balkans tournent à plein tube

Et le rythme des transferts ne ralentit pas, avec quelques-unes des plus grandes transactions approuvées en 2015. Les usines de fabrication d’armes de Bosnie-Herzégovine et de Serbie tournent à « pleine capacité », avec des équipements supplémentaires et d’autres « ne prennent plus de nouvelles commandes ».

Plus d’1,2 milliard de commandes

Depuis 2012, huit pays d’Europe orientale auraient ainsi exporté plus de 829 millions d’euros d’armes et munitions vers l’Arabie saoudite, 155 millions vers la Jordanie, 135 millions vers les Emirats arabes unis et 87 vers la Turquie. Seul le Qatar, pourtant fournisseur clé d’équipement militaire à l’opposition syrienne, n’est pas dans les licences d’exportations en provenance d’Europe centrale et orientale.

Le chiffre est probablement beaucoup plus élevé estiment les auteurs de l’enquête. « Les données sur les licences d’exportation d’armes pour quatre pays sur huit ne sont pas disponibles pour 2015 et sept des huit pays pour 2016. » 

(transcrit par Nicolas Gros-Verheyde & Leonor Hubaut)

(1) Enquête réalisée par le Balkan Investigative Reporting Network – BIRN Kosovo et BIRN HUB – une équipe de journalistes de toute l’Europe centrale et orientale qui a pour ambition de « promouvoir la primauté du droit, la responsabilité et la transparence dans les Balkans et la Moldavie ». Un projet soutenu par l’Agence autrichienne de développement (ADA).


Nicolas Gros-Verheyde

Rédacteur en chef de B2 - Bruxelles2. Correspondant UE/OTAN à Bruxelles pour Ouest-France, Sud-Ouest et Lettre de l'expansion. Auditeur de la 65e session de l'IHEDN (Institut des Hautes Etudes de la Défense nationale). © B2. Merci de citer "B2" ou "Bruxelles2" en cas de reprise

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Montenegro: boom dell'export di armi

13 luglio 2016

In un rapporto del ministero dell'Economia del Montenegro viene riportato che il paese ha esportato armi nel corso del 2015 per 11.3 milioni di euro, con un aumento del 100% rispetto all'anno precedente.
Il sito di informazioni web BIRN ha visionato il rapporto che contiene informazioni sulle singole licenze di esportazione, sui beni venduti e sul loro valore.
Sono 23 i paesi ai quali il Montenegro ha venduto armamenti e tra questi vi è la Polonia, la Serbia, la Bulgaria e l'Ucraina. “Il paese a cui sono stati venduti più armamenti è il Bangladesh, per un controvalore di 3.03 milioni di euro”, si legge nella relazione.
Sono 39 le aziende registrate in Montenegro e che possono occuparsi di import-export di beni che implicano un controllo dello stato.
Il principale esportatore di armamenti in Montenegro è l'Industria della difesa del Montenegro (MDI). Azienda in passato pubblica è stata acquistata nel 2015 dalla CPR Impex con sede a Belgrado e dalla israeliana ATL Atlantic Technology Ltd per 680.000 euro.
Nel 2009 e poi nel 2012 MDI è stata accusata di aver esportato illegalmente armi in Libia e Siria. L'azienda ha negato però ogni addebito. Dopo queste accuse il Montenegro ha reso più severa la propria legislazione in merito al commercio di armamenti come parte del processo negoziale per l'ingresso nell'Ue.
Nel maggio 2015 l'ong MANS [ http://www.mans.co.me ] ha denunciato alla magistratura montenegrina il primo ministro Milo Đukanović per supposte malversazioni nella privatizzazione di MDI.

Link: BIRN – Montenegro Earns More Cash From Arms Sales (by Dusica Tomovic in Podgorica, 13.7.2016)
The latest report on the arms trade in Montenegro shows that the value of exports has risen significantly in recent years...
http://www.balkaninsight.com/en/article/montenegro-arms-exports-continue-to-surge-07-12-2016




Opposizione alla nuova guerra in Libia

1) I comunicati di gruppi e partiti antimilitaristi
– CNGNN: Comunicato sulla Libia
– Lista ComitatoNoNato e Rete No War: No all' intervento militare in Libia
– PCI: No ai bombardamenti in Libia. Mobilitiamoci per fermare la guerra!
– PRC: Libia, Ferrero: “No alla ripresa della guerra della Nato”
– RdC: Libia, Siria, Afghanistan, Yemen, Iraq, Ucraina... Fermare i mandanti di guerra e terrore
2) Libia 2011. B. Obama e H. Clinton si rivelano in due video (di Marinella Correggia)
3) Il linguaggio del potere e le guerre in Libia (di Fosco Giannini)


=== 1: I comunicati di gruppi e partiti antimilitaristi ===


COMUNICATO SULLA LIBIA

5 AGO 2016 — L’Italia è entrata in guerra in Libia, anche se finge di prendere tempo. Il Parlamento italiano non è in grado, collettivamente, di formulare nemmeno un’alternativa. Siamo al disastro politico.
Il CNGNN intende invece formulare la sua valutazione dei gravissimi e intollerabili atti di subordinazione/aggressione cui l’Italia partecipa e di cui condivide la piena responsabilità. 
Siamo di fronte a un nuovo episodio di colonialismo, aggiornato in funzione della strategia USA-Nato di demolizione degli stati nazionali per controllare i loro territori e le loro risorse. 
Liberare la Libia dalla presenza dell’ISIS è una scusa indecente. È stata la Nato a portare Al Qaeda e l’ISIS in Libia. 
L’effetto sarà la riapertura delle basi militari occidentali sul territorio libico. La “missione di assistenza alla Libia”, con l’avallo estero delle Nazioni Unite, consentirà la spartizione “legale” delle preziose risorse energetiche e idriche della Libia e di almeno 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati illegalmente nel 2011, all’atto dell’aggressione e dell’assassinio di un capo di stato legittimo. Questa rapina di quadruplicherà quando l’export libico tornerà ai livelli precedenti all'aggressione. 
Questo è l’unico significato di ciò che accade. L’ISIS si combatte smettendo di aiutarla, finanziarla, consentirle movimenti e azioni. Questo è in atto da tempo, con la connivenza dei servizi segreti di USA, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Israele. Da questa coalizione di aggressori si è ormai sganciata perfino la Turchia. 
Ma L’Italia continua a farne parte attiva. I droni partono da Sigonella. Se ci saranno atti di terrorismo contro il nostro paese, vorrà dire che gli italiani sapranno a chi chiedere conto, politicamente e moralmente. Tutto quello che l’Italia decide non è in nostro nome: è contro di noi e contro i nostri figli. 

IL CNGNN (Comitato No Guerra No Nato)

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Inizio messaggio inoltrato:

Da: Comitato Nonato <comitatononato @gmail.com>
Oggetto: No all' intervento militare in Libia - Comunicato della lista ComitatoNoNato
Data: 7 agosto 2016 17:56:16 CEST

No all' intervento militare in Libia


Gli aderenti alla lista ComitatoNoNato@ googlegroups.com condannano nel modo più deciso la nuova avventura militare scatenata dagli USA in Libia con l'appoggio diretto del governo italiano e di altri governi occidentali aderenti alla NATO.

La ministra della Difesa italiana Pinotti ha assicurato che “l’ITALIA FARA’ LA SUA PARTE” e ha preannunciato la concessione delle basi italiane per le operazioni militari.

Questa operazione guerresca viola quindi nuovamente l'articolo 11 della costituzione italiana, già violato pesantemente con la precedente aggressione alla Libia del 2011 che ha distrutto il paese più ricco e sviluppato dell'Africa.

La nuova avventura bellica, scatenata con la motivazione ufficiale della lotta all'ISIS, è in realtà una nuova operazione neocoloniale che si propone tre obiettivi concreti: 

1) Una nuova spartizione delle ingenti risorse libiche: gas, petrolio, acqua sotterranea, e la definitiva rapina delle grandi risorse finanziarie libiche depositate nei fondi di investimento internazionali e già “sequestrate” nel 2011 dalle potenze occidentali;

2) Il rafforzamento del cosiddetto governo “unitario” della Libia guidato dal fantoccio Serraj, sostenuto dalle milizie islamiche di Misurata e dalla "Fratellanza Musulmana". Questo “governo”, imposto dall'esterno da un gruppo di potenze occidentali con la copertura della solita ambigua risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è stato mai approvato ed eletto dai Libici e non è riconosciuto dal Parlamento Libico e dal “governo” di Tobruk che controlla tutta la parte orientale della Libia e che ha condannato recisamente ogni intervento militare straniero, comunque motivato. 

3) La riapertura di basi militari straniere in Libia che furono chiuse dal governo Gheddafi dopo la proclamazione della repubblica in Libia.

Per eliminare l'ISIS/Daesh, non servono le bombe.  ISIS va estirpato alla radice, attraverso sanzioni severe contro i suoi mandanti. Il ricorso a bombe straniere su Sirte, invece, non farà altro che favorire il reclutamento di nuovi jihadisti e un conflitto senza fine, aumentando il caos già creato con la guerra di aggressione del 2011 e moltiplicando il pericolo di attentati anche in Italia.  

Gli italiani contrari alla guerra e a nuove avventure neocoloniali sono invitati a organizzare forme di protesta -- insieme a forme di controinformazione su questi gravi fatti -- per dire al governo Renzi: L'Italia si dissoci dai bombardamenti, NO all'uso di tutte le basi militari poste sul territorio italiane e dello spazio aereo italiano.

LISTA COMITATO NON NATO

Rete No War Roma

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No ai bombardamenti in Libia. Mobilitiamoci per fermare la guerra!

di Maurizio Musolino, Comitato Centrale  – Dip. Esteri PCI, 3.8.2016

In queste ore aerei Usa bombardano la Libia, causando nuovi morti e nuove distruzioni, innescando una pericolosa escalation nella disgregazione del paese nordafricano. Il PCI,condannando questa ennesima aggressione, denuncia come i bombardieri statunitensi dietro alla lotta contro Daesh nascondono la volontà di favorire uno dei tanti “signori della guerra”, che dalla caduta di Gheddafi si combattono per il controllo delle regioni libiche.
La Libia, come la Siria, infatti, sono oggi terreno di sfida e di competizione fra le potenze Occidentali per il controllo delle ingenti ricchezze energetiche del Paese. Non di guerra al terrorismo, quindi, ma bombe che altro non sono che lo strumento per affermare il colonialismo del XXI secolo.
Uno scenario che il  PCI considera pericoloso e che nei prossimi giorni potrà registrare il coinvolgimento diretto del nostro Paese, attraverso l’utilizzo delle basi e la partecipazione dei nostri aerei ai bombardamenti. Uno schiaffo alla storia, che ha visto nel secolo scorso l’Italia protagonista di una criminale e brutale guerra coloniale proprio verso la Libia.
E’ questa la conseguenza del nostro far parte della Nato, una alleanza che sempre di più si caratterizza per il suo carattere aggressivo e di strumento per le politiche imperialiste e liberiste.
Il PCI – impegnato in questa estate in una campagna nazionale contro la Nato- fa appello a tutte le forze democratiche, anti-imperialiste e internazionaliste, per fermare questa nuova guerra e chiama ad una mobilitazione diffusa per indurre il governo Renzi al rispetto della nostra Costituzione. Quella stessa Costituzione che saremo tutti chiamati a difendere nel referendum del prossimo autunno. Fermiamo la guerra!

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Libia, Ferrero: “No alla ripresa della guerra della Nato”

Pubblicato il 3 ago 2016

Paolo Ferrero - Diciamo forte e chiaro il nostro NO alla ripresa della guerra della NATO in Libia, guerra che ha già distrutto il paese e che non fa altro che alimentare il terrorismo internazionale. Al di là della propaganda di regime, di cui il governo italiano è pienamente partecipe, non sfugge a nessuno che la presenza dell’ISIS in Libia è il frutto diretto della guerra scatenata dalla NATO contro lo stato libico, così come gli obiettivi dell’intervento occidentale costituiscono chiaramente un enorme sopruso: una guerra per mettere le mani sul petrolio, una guerra per affossare il regime di Gheddafi, una guerra per smembrare lo stato libico in vari protettorati gestiti dalle compagnie petrolifere e dagli stati di riferimento delle stesse. Per questo diciamo di no al coinvolgimento dell’Italia in questa nuova guerra per il petrolio.

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Libia, Siria, Afghanistan, Yemen, Iraq, Ucraina….

di Rete dei Comunisti, 9.8.2016

Fermare i mandanti di guerra e terrore. Rilanciare le mobilitazioni di gennaio e marzo, per una nuova stagione di lotta contro l’aggressività USA / NATO / UE

 

La Commissione d'inchiesta istituita sette anni fa dal Parlamento britannico sulla partecipazione del Regno Unito all’intervento militare in Iraq del 2003 ha stabilito che l’allora primo ministro Tony Blair ha mentito sistematicamente per giustificare la partecipazione dell’esercito britannico a quel bagno di sangue.

Quali sono stati i risultati di quelle scelte? Oltre un milione di morti iracheni, stragi quotidiane che ancora oggi insanguinano un paese smembrato, British Petroleum ben piazzata a Bassora.

Da parte di Blair (osannato allora da Veltroni, D’Alema, Fassino) qualche scusa e niente più. Un altro criminale di guerra in libertà, superpagato per conferenze e convegni.

Quanto dovremo attendere per una Commissione che metta sul banco degli imputati i responsabili diretti del bagno di sangue in Libia? Per sapere i nomi basta scorrere le cronache dei primi mesi del 2011, quando il 19 marzo un altro leader inglese, David Cameron, insieme al francese Nicolas Sarkozy lanciarono i primi bombardamenti, seguiti da un riluttante Berlusconi, spinto al dovere dall’allora segretario del PD Bersani e dal Presidente della Repubblica Napolitano.

Storia recentissima, che dice tutto sulle responsabilità della situazione che stiamo vivendo oggi, in Medio Oriente e a livello continentale.

Dopo 25 anni di massacri, iniziati con la prima aggressione all’Iraq nel 1991, la guerra ha progressivamente iniziato ad affacciarsi nel cuore pulsante dell’Europa, con le stragi di Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles, Nizza. Centinaia di morti innocenti. Una frazione infinitesima delle centinaia di migliaia di morti (complessivamente ben oltre un milione di vittime) costati ai paesi mediorientali e dell’Est europeo (ieri l’ex Jugoslavia, oggi l’Ucraina). 

Gli esecutori materiali dei recenti massacri in occidente emergono ed emergeranno in numeri sempre più copiosi dalle macerie e dall’orrore pianificato da tutti i Tony Blair succedutisi al comando dei vari paesi imperialisti, a partire dal più potente di essi, quegli Stati Uniti che oggi chiudono la parabola dell’interventismo bipartisan con il democratico Obama ad ordinare nuovi bombardamenti sulla Libia.

In un gioco delle parti sempre più evidente, perché corroborato da volumi di prove di ogni tipo, il terrore ipertecnologico sparso dagli eserciti occidentali si giustifica e alimenta attraverso il più plebeo terrore del Tir di Nizza. Obama sta all’ISIS come i Talebani stavano a Reagan.

Una spirale infinita, che vede nella nuova aggressione alla Libia un altro tragico capitolo, foriero di attentati anche nel nostro paese, al momento non ancora toccato dalle schegge che dal grande bagno di sangue ogni tanto si conficcano nella carne viva di altri innocenti, in una stazione o in una piazza del centro di una metropoli o di una città d’arte. Sarebbe una manna dal cielo per il governo Renzi, destabilizzato da scelte politiche ferocemente antipopolari e da continui scandali, che potrebbe trovare nella retorica antiterrorista un aiuto fondamentale per vincere il prossimo referendum anti costituzionale, che tanto preoccupa la Troika europea e le classi dominanti di quel che resta dell’Unione Europea dopo la Brexit. 

La storia ha dato ripetutamente ragione al Movimento contro la guerra, che queste verità le ha gridate nelle piazze in tutti questi anni e, più recentemente, nelle mobilitazioni del 16 gennaio e del 12 marzo scorsi, che hanno agglutinato moltissime realtà pacifiste e no war in tutto il paese.

Occorre rilanciare la lotta contro la nuova aggressione alla Libia, evidenziando come questa guerra senza confini vede oggettivamente uniti i popoli delle due sponde del Mediterraneo, così come quelli dell’Est europeo.

Le guerre imperialiste originano da una crisi sistemica che non trova soluzione, perché il problema è il modello economico che non funziona e che va abbattuto.

Le vittime, a Sirte come a Parigi, ad Aleppo come a Londra, a Kabul come a Madrid, siamo noi.

Rilanciamo sin da subito la mobilitazione per dire NO alla nuova aggressione alla Libia, per bloccare l’uso delle basi militari USA/NATO nei bombardamenti sulla Libia.

No alla guerra imperialista – No alla partecipazione italiana al nuovo massacro in Libia – La responsabilità di possibili attentati in Italia ricadrà direttamente sul governo Renzi.

Rete dei Comunisti

www.retedeicomunisti.org



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Libia 2011. B. Obama e H. Clinton si rivelano in due video

Sirte: gli aerei da guerra degli Stati uniti tornano per così dire sul cielo del delitto. Sono passati quasi cinque anni da quando i bombardieri Usa/Nato facevano da copertura aerea al feroce assedio guidato dai «ribelli di Misurata» e altre forze islamiste. Il pretesto per la guerra aerea della Nato contro la Jamahiriya, iniziata il 19 marzo 2011, era stato la «protezione dei civili libici». Di fatto, Nato, Usa, Francia, Regno unito e Italia fecero da forza aerea di gruppi criminali e jihadisti, responsabili di crimini contro l’umanità: ad esempio omicidi e deportazioni della popolazione nera della città di Tawergha e di diversi cittadini sub-sahariani. 

Pochi mesi fa, il presidente uscente e pluriNobel per la guerra Barack Obama ha dichiarato in un’intervista a Fox News che il più grande errore della sua carriera alla Casa bianca fu probabilmente «non aver pianificato il day after dell’intervento in Libia».

Nel 2014 Obama aveva ammesso che la missione in Libia «non aveva funzionato» (eufemismo) perché i vincitori non si erano impegnati nella fase successiva «per ricostruire una società che non aveva alcuna tradizione civile».

Astutamente Obama non ha rinnegato la missione in sé ma solo il mancato follow up.

In ogni caso non pagherà per i suoi errori che hanno prodotto crimini e devastazioni

Ma mentre le bombe cadono su Sirte,  forse per aumentare le chance di elezione della Clinton, può essere utile ripercorrere in due brevi video le idiozie e le sguaiatezze del duo, cinque anni fa.

Il 20 ottobre 2011 la segretaria di Stato Usa Hillary Clinton  si trova davanti alle telecamere della Cbs News quando viene a sapere del linciaggio a Muammar Gheddafi. La Iena ridens nonché Bloody Hillary esulta: «We came – We saw – He died, ah ah ah».  

In un altro video, di 12 minuti, il presidente Obama si rivolge a un meeting di alto livello delle Nazioni unite sulla Libia, il 21 settembre 2011. Rivelando un’incapacità criminale di comprendere gli eventi e un entusiasmo cieco da inviato di guerra intortato dalle bande armate. In quel momento è in corso l’assedio a Sirte da parte dell’insieme Nato-Qatar-bande armate locali, dopo sette mesi di bombe, distruzioni, morti, persecuzioni razziste. Ecco la trascrizione di buona parte del video.

Dal minuto 0.05 al minuto 0.12: «(…) ciascuno di noi ha il compito di sostenere il popolo della Libia mentre costruisce un futuro libero, democratico e prospero.»

Dal minuto 0.38 all’1.14: «Oggi il popolo libico sta scrivendo in nuovo capitolo nella vita del suo paese. Dopo quarant’anni di buio, i libici possono camminare per le strade, liberi dal tiranno. Possono far sentire le loro voci, in nuovi giornali, radio, televisioni, nelle piazze e sui blog Lanciano partiti politici e gruppi civili per plasmare il proprio destino e assicurare i diritti universali. E qui all’Onu la bandiera della nuova Libia sventola fra la comunità delle nazioni.»

Dal minuto 1.26 al 2.17: «il merito della liberazione è di uomini e donne libici, e bambini libici scesi nelle strade per protestare pacificamente, sfidando i carri armati e i cecchini. E sono stati i combattenti libici, spesso senza armi e inferiori in numero, a lottare città per città, quartiere per quartiere. E sono stati gli attivisti libici, underground, chattando, e nelle moschee, a tenere viva la rivoluzione  (…). E sono state le donne e le ragazze libiche a reggere le bandiere e a portare di nascosto armi al fronte (…) Sono stati libici da vari paesi del mondo, anche dal mio, ad accorrere là, rischiando brutalità e morte. Sangue libico è stato versato, e uomini e donne hanno dato il proprio sangue.»

Dal minuto 2.32 al 2.59: «La Libia mostra quello che la comunità internazionale può raggiungere se si agisce uniti e insieme. (…) ci sono momenti nei quali il mondo deve e può avere la volontà di evitare l’uccisione di innocenti su una scala tremenda.(…)»  

Dal minuto 3.12 al 4.00: «Stavolta noi, per mezzo delle Nazioni unite, abbiamo trovato il coraggio e la volontà collettivi per agire. Quando il vecchio regime ha lanciato una campagna del terrore (…) abbiamo agito come Nazioni unite e velocemente: ampie sanzioni, embargo sulle armi. Gli Stati uniti hanno guidato gli sforzi per far passare al Consiglio di sicurezza una risoluzione storica che autorizzava tutte le misure necessarie per proteggere il popolo libico. E quando i civili di Bengasi sono stati minacciati di massacro, abbiamo attuato questa autorizzazione. La nostra coalizione internazionale ha bloccato il regime, salvato vite e dato al popolo libico il tempo e lo spazio per vincere (…) sono stati i nostri alleati europei, in particolare Regno unito, Francia, Danimarca, Norvegia, a condurre la maggior parte degli interventi per proteggere i ribelli sul terreno. Paesi arabi hanno fatto parte della coalizione, come partner su un piede di uguaglianza.(…)»

Dal minuto 5.04 al 5.31: «Ecco come dovrebbe agire la comunità internazionale dovrebbe lavorare nel XXI secolo. (…) Ogni nazione qui rappresentata può essere orgogliosa per le vite innocenti che abbiamo salvato e per aver aiutato i libici a riottenere il loro paese»

Dal minuto 5.32 al 5.35: «E’ stata la cosa giusta da fare».

 

Marinella Correggia, 8 agosto 2016


=== 3 ===


IL LINGUAGGIO DEL POTERE E LE GUERRE IN LIBIA

di Fosco Giannini, Segreteria Nazionale PCI, responsabile dipartimento Esteri
10 agosto 2016

I comunisti, gli antimperialisti, i rivoluzionari conoscono la storia e la vita di Antonio Gramsci. Sanno che quando se andò dalla Sardegna per stabilirsi a Torino, Gramsci si iscrisse all’università, alla facoltà di glottologia, dove studiò profondamente linguistica dal 1911 al 1915, anno in cui dette il suo ultimo esame, senza poi potersi laureare, sia perché non era più coperto, materialmente, dalla borsa di studio concessagli dalla monarchia, sia perché – soprattutto – la sua vita era ormai dedicata tutta alla lotta politica. Naturalmente, in quei tre anni in cui Gramsci si dedicò anima e corpo alla glottologia, divenne , in facoltà, il numero uno, il migliore. Tant’è che il suo professore, Matteo Bartoli, una volta che Gramsci decise di ritirarsi dall’Università, disse del suo allievo: “ La glottologia ha perso l’angelo sterminatore dei neo-grammatici, ma la rivoluzione ha trovato il suo capo”.

Ma chi erano i neo grammatici, contro i quali Gramsci lottava sin dai tempi dell’Università e contro i quali avrebbe poi ripreso una battaglia culturale dal carcere, scrivendo sui Quaderni? In sintesi rozza: essi, nati come filone culturale in Germania, rappresentavano un’inclinazione idealistica e – insieme – dogmatica della nuova linguistica e, in essi, Gramsci vedeva i costruttori del nuovo linguaggio del potere, del linguaggio della cultura dominante. Alla visione del linguaggio tratteggiato dai neo grammatici, Gramsci opponeva una concezione di un linguaggio determinato dalla stessa storia degli uomini, della stessa storia della “classe” e dello scontro di classe. Gramsci concepiva chiaramente la battaglia culturale contro il linguaggio della classe dominante come parte essenziale della lotta generale tra capitale e lavoro per l’egemonia culturale. E individuando  nel linguaggio un terreno determinante dello scontro di classe, Gramsci anticipava genialmente l’analisi dello scontro in atto, oggi, tra il linguaggio del potere capitalistico e il linguaggio – per ora afasico, tacitato – del lavoro, della classe generale potenzialmente anticapitalistica.

Perché questa premessa? Perché mai come oggi, in questa stessa fase, in questi stessi giorni, il problema del potere del linguaggio della classe dominante che si fa – tout court – linguaggio  dominante, totalizzante, è problema, gramscianamente, centrale.

Il linguaggio dominante ottenebra, sino a rimuoverla, la realtà delle cose, inventando, conseguentemente, un’altra realtà. Questa pratica del potere si spinge in ogni dove, coprendo, come un mantello nero, la totalità delle cose. E i rivoluzionari dovrebbero, di conseguenza, sottoporre tutto a critica, non arrendendosi mai alla prima realtà rivelata dal linguaggio del potere. Ciò come principio rivoluzionario. Ma se ci fermassimo ad indagare attentamente il linguaggio del potere capitalistico per ciò che riguarda la guerra e l’Unione europea, noi potremmo immediatamente comprendere di trovarci di fronte non ad un linguaggio solamente deformato, ma di fronte ad un vero e proprio metalinguaggio, ad un potentissimo disegno semantico volto, per ciò che riguarda l’Unione europea, alla costruzione mitologica di una – peraltro assolutamente  inesistente – presenza storica sovranazionale e continentale e, per ciò che riguarda la guerra e il riarmo, ad un altro disegno semantico volto alla costruzione di una sbalorditiva mistificazione di massa che poggia su di un’ architettura sorretta da una fittissima trama di rimozioni e menzogne. L’insieme di tutto ciò, per restare al Gramsci iniziale, è la vittoria strategica ( lo diciamo in senso metaforico) dei neo grammatici. Che la “ la classe”, il proletariato, pagano con la subordinazione, l’inconsapevolezza e il silenzio.


Dopo Gramsci, e a partire anche da Gramsci, la linguistica contemporanea che tenta di opporsi al linguaggio del potere, ha individuato, all’interno della semantica del potere, una categoria centrale, un vero e proprio motore primario che da forma al linguaggio del capitale: la categoria della disoggetivazione, attraverso la quale – appunto –  la realtà raccontata non è più oggettiva.

Questo meccanismo segna di sé l’intera narrazione del sistema militare che si estende, oggi, in Italia: nel racconto degli USA, della NATO e dei governi italiani succubi di questo nefasto tandem, le bombe atomiche e tutti gli ordigni nucleari collocati nelle basi USA e NATO in Italia sono cancellati, rimossi: semplicemente non esistono, non esistendo, dunque, neanche nella coscienza di massa. Come cancellate dalla realtà, rimosse, sono, essenzialmente, tutte le stesse 140 basi USA e NATO nel nostro Paese; rimosse sono le immense spese militari e i pericoli di guerra e di subordinazione totale e generale dati dall’appartenenza dell’Italia al Patto Atlantico. Ma il linguaggio del potere, dove non riesce a rimuovere, mistifica, e le nostre guerre d’aggressione, ordinateci dagli USA e dalla NATO, diventano così  “missioni di pace”.

In questi giorni, gli USA sono tornati a bombardare la Libia. E specie nei confronti delle aggressioni imperialiste in Libia i livelli di mistificazione e menzogna del linguaggio del potere, del linguaggio imperialista, ha raggiunto livelli acrobatici, circensi, tanto rocamboleschi nella loro assurdità, quanto oscuri e inquietanti nella loro funzione di guerra.

Chi ricorda con quali motivazioni il fronte imperialista attaccò la Libia, a partire dal 19 marzo del 2011, per una guerra che si sarebbe rivelata una carneficina contro il popolo libico, un orrore degno di una nuova Norimberga, per gli USA e per la NATO ? La motivazione ufficiale per l’attacco – un’incredibile favola, rispetto alla realtà vera – fu la seguente: in Libia sono in atto manifestazioni popolari contro Gheddafi e l’occidente ha il dovere morale di appoggiare il popolo libico che lotta contro la dittatura gheddafiana. A pensarci, è incredibile che ciò sia accaduto, che questa argomentazione sia stata il collante di un intero mondo in armi contro la Libia, sia stato il pensiero – indotto – di centinaia di milioni di persone nel mondo che dovevano essere convinte della bontà dell’attacco militare. Ma fu proprio così: poiché erano in corso in Libia manifestazioni contro il governo, un fronte imperialista dalla vastità impressionante ( all’inizio una coalizione composta da USA, Francia, Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Norvegia, Spagna, Regno Unito, una coalizione che si sarebbe tuttavia allargata sino al  Qatar e sarebbe stata composta, infine, da ben 19 paesi!)  mise il coltello tra i denti e assassinò la Libia. A pensarci bene sarebbe come se  un’organizzazione militare mondiale opposta alla NATO, poiché, oggi, vi sono manifestazioni popolari contro Obama negli USA e la polizia americana massacra i neri, dovesse bombardare Washington e New York…  Ad attaccare per primi, 19 marzo 2011, furono i francesi; qualche ora più tardi iniziarono ad alzarsi i missili da crociera  “Tomahawk” da navi militari statunitensi e britanniche sugli obiettivi strategici di tutta la Libia.


Ma vogliamo ricordare la realtà delle cose, magari con un po’ di pignoleria, ma sicuri che questa realtà ci impressionerà? Che contribuirà al ripristino della verità, così ferocemente cancellata dai “neo grammatici” dell’attuale imperialismo?

Vediamo, semplicemente,  le forze militari in campo nel marzo del 2011 contro la Libia di Gheddafi.

Belgio: sei caccia multiruolo F-16 Falcon . Bulgaria: la grande fregata Drazki.  Canada: il Canadian Forces Air Command , con sette cacciabombardieri CF-18, due aerocisterne CC-150 Polaris, due C-130J da trasporto, due CC-177 e due pattugliatori marittimi CP-140 Aurora. In totale sono circa 490 i militari canadesi coinvolti nell’operazione, compresi quelli imbarcati sulle fregate Charlottetown e Vancouver.  Danimarca: l’aeronautica militare danese partecipa con sei caccia F-16 e un C-130J-30 Super HerculesEmirati Arabi Uniti: sei F-16 Falcon e sei Mirage 2000 che fanno base a Decimomannu, Sardegna, e TrapaniSiciliaFrancia: L’Armée de l’air, che effettuerà il 35% dei bombardamenti, dispiega 19 Rafale, 18 tra Mirage 2000D e Mirage 2000-5F, 6 MirageF1, 6 Super Étendard, 2 E-2C Hawkeye, 2 
(Message over 64 KB, truncated)


(italiano / english / srpskohrvatski)

Serbia and China
Some texts by Zivadin Jovanović, president of the Belgrade Forum for a World of Equals

1) Lo Sviluppo della Cina è ispirazione per il mondo intero / WIN WIN Cooperation Symbol of China
2) China and Serbia Expanding Cooperation / Geopolitica dei Balcani: Cina e Serbia espandono la cooperazione strategica ed economica 


Vedi anche / see also:

ASIA BELONGS TO PEOPLES OF ASIA. The Shanghai Forum 2016, View from Serbia (July 2016)

На међународној конференцији о иницијативи „Појас и пут“, одржаној 23. и 24. фебруара 2016. у Шенжену, Кина

ADDRESS of Zivadin Jovanovic at the Think Tank International conference
http://www.beoforum.rs/en/press-conferences-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/456-address-of-zivadin-jovanovic-at-the-think-tank-international-conference.html
Говор Председника Беофорума господина Живадина Јовановића на конференцији у Кини
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/778-zivadin-jovanovic-kina-2016.html

Shenzhen Declaration (Silk Road Think Tank Association – Feb 23rd, 2016 Shenzhen, China)
http://www.beoforum.rs/en/press-conferences-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/455-shenzhen-declaration-.html
Шенжен Декларација - Тинк Танк међународна асоцијација Пута свиле
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/779-zensen-deklaracija.html

КИНЕСКИ НОВИ ПУТ СВИЛЕ 21. ВЕКА
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/777-kineski-novi-put-svile.html
SILK ROAD OF 21st CENTURY


=== 1 ===

<< Siamo grati alla Cina che non votò a favore delle sanzioni contro la Serbia nel Maggio 1992, per il fatto che condannò fortemente l’aggressione alla Serbia nel 1999, e per il fatto che rifiutò l’illegale, unilaterale secessione della provincia Serba del Kosovo e Metohija... >>


Intervista a Zivadin Jovanovic, Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, ex ministro degli esteri della Repubblica Federale Jugoslava

 

D: Lei è grande amico della Cina, paese che visita spesso. Cosa la impressiona più di tutto il resto?
R: Per decenni sono stato coinvolto nello sviluppo della cooperazione e delle relazioni tra Jugoslavia e Cina. Oggi le nostre relazioni hanno carattere strategico. La recente visita del Presidente cinese Xi Djinping alla Serbia è di importanza storica, e crea le basi per la cooperazione del XXI secolo.
Sono personalmente impressionato di come la Cina si sia trasformata da Paese sottosviluppato e chiuso a Paese aperto e prosperoso con risultati straordinari in campo economico, scientifico e tecnologico. Lo sviluppo cinese diventa fonte di ottimismo in un mondo che deve affrontare nuove sfide e nuovi problemi.

D: Prima della nascita della Repubblica Popolare Cinese, era un paese sottosviluppato. Ma ora la Cina occupa un posto centrale sulla scena mondiale. Secondo lei, qual è la ragione principale per tale risultato? Qual è il ruolo del partito comunista in questo processo?
R: Il Partito Comunista ha giocato un ruolo cruciale in tutte le fasi dello sviluppo cinese. Il Partito è sempre stato fermamente unito con la propria gente difendendo la libertà dai padroni stranieri e dagli occupanti fascisti, salvaguardando la sovranità e l’integrità territoriale della Patria, tracciando la strategia per lo sviluppo economico, sociale e culturale. Grazie al Partito, i bisogni degli uomini e delle donne, sono sempre al centro delle decisioni politiche. Credo che quest’unità tra popolo, partito e Stato sia la base dei grandi risultati raggiunti in Cina in tutti i campi.

D: Facendo un confronto con altri partiti comunisti, qual è il segreto del Partito Comunista Cinese nell’aver raggiunto un così grande successo?
R: Se c’è qualche segreto, questo è il senso di unità, responsabilità, apertura e approccio innovativo al futuro. I successi del Partito sono basati sulla profonda comprensione dei bisogni e delle capacità delle persone; dei cambiamenti e delle nuove sfide a livello mondiale; terzo una visione di lungo termine e pianificazione. Il Partito Comunista è molto aperto nello studio delle esperienze di altri parti e sistemi sociali, mentre con risolutezza costruisce il proprio sistema socialista, basato sulle concrete condizioni, bisogni e sul proprie radici culturali. La politica che seguono ha grande valore.

D: La Cina sta esplorando un nuovo cammino nello sviluppo di se stessa. Qual è il contributo che la Cina ha dato nello sviluppo mondiale?
R: Il contributo della Cina allo sviluppo della pace e dello sviluppo è enorme. Come membro permanente del Consiglio di Sicurezza e come membro influente di altre organizzazioni internazionali, si è sempre battuta per la pace, la giustizia e pari opportunità per lo sviluppo di tutte le nazioni.
Siamo grati alla Cina che non votò a favore delle sanzioni contro la Serbia nel Maggio 1992, per il fatto che condannò fortemente l’aggressione alla Serbia nel 1999, e per il fatto che rifiutò l’illegale, unilaterale secessione della provincia Serba del Kosovo e Metohija.
Coesistenza pacifica, rispetto del ruolo delle Nazioni Unite e dei principi base del Diritto Internazionale, come forma di rispetto della sovranità e integrità territoriale di tutti i paesi nel mondo, siano grandi o piccoli, sviluppati o meno, forti o deboli, sono questi i principi cardine della politica estera cinese, grazie alla quale ha conquistato la simpatia e il rispetto di altri paesi, soprattutto in Asia, Africa e Sud America. L’approccio Cinese ai problemi economici si basa su una visione di insieme che tende a trovare soluzioni che diano reciproco vantaggio, e che cerchino di superare la crisi mondiale che dura da anni.
L’iniziativa “One Belt, one Road” introdotta dal presidente Xi Djinping nel 2013 è stata già profondamente appoggiata e supportata come nuovo approccio allo sviluppo globale, agli interessi comuni, alla connettività delle infrastrutture, produzione culturale e relazioni umane in generale.
La Cina è fondatrice, o co-fondatrice, dell’Organizzazione di Shangai, del Brics, della Banca Asiatica per le infrastrutture, della New Development Bank, G-20 e altri forum internazionali. Questo dimostra l’impegno della Cina nella creazione di un mondo multipolare libero da ogni dominio. Se è chiaro per tutti che l’Asia è al centro dello sviluppo del XXI secolo, è altrettanto chiaro che la Cina è la nazione leader dell’Asia. La collaborazione strategica tra Cina e Russia è simbolo di speranza per un mondo di pace, stabilità e prosperità.

D: La disputa tra Cina e Filippine è complicata e delicata. Il collegio arbitrale istituito ad hoc è composto da 5 persone, 4 dei quali sono occidentali. Possono giudicare in maniera adeguata il caso?
R: E’ difficile immaginare come un tribunale ad hoc possa risolvere questa complicata disputa bilaterale, specialmente se solo una parte è disposta a farlo. Guardando la composizione del tribunale, cui ha fatto riferimento, si nota, come minimo, la faziosità del collegio. Pertanto sono davvero scettico verso tale metodo.

D: La controversia è sulla sovranità. Il Tribunale ha sufficiente autorità per risolvere la disputa?
R: Secondo me, come tribunale è deficitario delle qualifiche adatte per decidere la disputa. Non ha sufficiente autorità per prendere tali decisioni circa tali questioni di sovranità, né per costringere le parti a prendervi parte.

D: A quale risultato può portare l’arbitrato nella soluzione della disputa?
R: Stando a vedere la storia, l’essenza della disputa, penso che l’arbitrato non sia il modo corretto per risolvere la questione. E’ piuttosto una maniera per postergare la questione non per risolverla. Questo però è contro l’interesse di entrambe le parti.  Il punto è, chi trae beneficio da questo tribunale?

D: Secondo lei qual è la soluzione migliore?
R: Un negoziato tenuto dalle parti direttamente interessate nel reciproco interesse, senza interferenze dall’esterno. Questo risolverebbe un problema delicato attraverso amichevoli relazioni di vicinato. E tutta la regione beneficerebbe dalla comprensione reciproca, libertà di navigazione e crescente cooperazione.                         
Dal quotidiano cinese Zhenminzhibao

Traduzione di Pacifico S.


--- ORIG.: 

<< ... We are grateful to China that she has not voted in favor of UN sanctions against Serbia (FRY) in May 1992, that China strongly condemned NATO military aggression against Serbia (FRY) in 1999 and that China refused to recognize unlawful, unilateral secession of Serbian southern Province of Kosovo and Metohija... >>


WIN WIN COOPERATION SYMBOL OF CHINA

Zivadin Jovanovic, president of the Belgrade Forum for a World of Equals, former Federal Minister for Foreign Affairs of Yugoslavia

Topic One: 95 years of CCP

1.    You are friend of China and often visit China. What impressed you most in China? 
Reply: Yes indeed. For decades I have been involved in development of cooperation and friendship between Serbia (Yugoslavia) and China. Today our relations have strategic character. Recent state visit of the President of PR of China Xi Djinping to Serbia is of historic importance as it has created basis for our cooperation in 21st century. 
I am impressed by unprecedented transformation of China from underdeveloped and closed country into the most prosperous and open society with the highest economic, scientific and technological achievements in the world.  Chinese overall development has become inspiration and well of optimism for contemporary world faced with many challenges and problems.

2.    Before the foundation of PRC, China was backward in the world. But now China has been in the center of the world stage. In your opinion, what's the basic reason for such achievement? What role has CCP played in the progress?
Reply: CCP played decisive role in all stages of Chinese new history and development. CCP has always stayed firmly united with own people defending freedom from foreign masters and fascist occupiers, safeguarding sovereignty and territorial integrity of the country, tracing strategy for overall economic, social and cultural development. Thanks to the CCP, everyday needs of a man and woman, as human beings, have always been in the center of political decision making process. So, I believe, that this unity of the Party, People and the State is the basis for the great achievements of China in all fields. 

3.    Compared with other communist parties, what's the secret of CCP to make such great success?
Reply: If there are any secrets then they are CCP`s own unity and responsibility, openness and innovative approach to the future. Historic achievements of CCP have been based on profound understanding, firstly, of the needs and potentials of the people, secondly, of world trends and challenges and thirdly, of the importance of long-term vision and planning. Openness has many aspects but, CCP`s openness to study experiences of other parties and other social systems, while firmly building own, socialist system of Chinese colors, based on concrete own conditions, needs and culture – is unique, the most valuable policy. 

4.    China is exploring a new path in developing itself. What contribution has China made towards the world in the development?
Reply: China`s contribution to peace and development in the world is enormous. As the Permanent member of UN Security Council and very influential member of many other international organizations, be it universal or regional, China has always strived for peace, justice and equal chances for development of all nations.  
We are grateful to China that she has not voted in favor of UN sanctions against Serbia (FRY) in May 1992, that China strongly condemned NATO military aggression against Serbia (FRY) in 1999 and that China refused to recognize unlawful, unilateral secession of Serbian southern Province of Kosovo and Metohija.   
Peaceful coexistence,  respect of UN role and basic principles of the International Law, such as respect of sovereignty and territorial integrity of all countries of the world, small or big ones, developed or underdeveloped, militarily strong or weak - have always been guiding criteria of  China`s foreign policy. China has won admiration for solidarity and enormous contribution to the development of developing countries, especially those of Asia, Africa and South America. Concept of worldwide win win cooperation is symbol of Chinese approach to solving major economic problems and getting out of prolonged world economic crises.  
Multidimensional, global Initiative One Belt One Road introduced by president Xi Djinping in 2013 has already been widely supported as completely new concept to the global development based on shared interests, connectivity in infrastructure, production culture and human relations in general. 
China is founder or co-founder of Shanghai Cooperation Organization, BRICS, Asian Bank for Infrastructure, New Development Bank, G-20 (presently presided by China) and other international forums. All these illustrate the growing global influence of China toward creation of multi-polar world free of any domination. If there is consensus that Asia is the center of the World development in 21st Century, it is clear, too, that China is the center and leader of Asia. Strategic partnership between China and Russia is the hope for world peace, stability and prosperity.  

Topic Two:  The South China Sea Arbitration (if you have ready articles on this topic please send to me.)

1.    The dispute between China and the Philippines is complicated and sensitive. The ad hoc arbitral tribunal is made up of 5 people, in which 4 are from the west. Can they understand and judge the case properly? 
Reply: It is really difficult to imagine how the ad hoc tribunal could resolve this complicated bilateral dispute, especially if only one side opts for such method and the other side has different approach. Supposed composition of the tribunal, that you are referring to, in my opinion, is rather indicative of biased, prejudicing approach, to say the least. Therefore, I am very skeptical towards this method.

2.    The dispute is about the sovereignty. Does the tribunal have enough legal authority to solve the dispute?
Reply: In my opinion, such a tribunal lacks legal ground and qualification to be deciding on this problem. It does not have necessary authority to make decision about question of the sovereignty, nor could it oblige any party to participate.

3.    What will the result of arbitration bring to the situation of the dispute? 
Reply: Having regard to the facts, history and the essence of dispute, I think this arbitration is not the way to solve the problem. It is rather the method to postpone any solution if not to further complicate the whole situation. This certainly cannot be in the interest of either side. The question remains who could benefit from trying to impose such a tribunal? 

4.    In your opinion, what is the best way to solve such dispute?
Reply: It is quite clear that the negotiation of directly involved parties is the best way to solve the problem in their mutual interest, without interference of any factors from outside.  This would remove a sensitive problem in good neighborly relations and open wide space for their win win cooperation. No doubt that the whole region would benefit from mutual understanding, freedom of navigation and growing cooperation.
                                                      

ZIVADIN JOVANOVIC                                                        
Born in 1938, in Oparic, central Serbia. I graduated at Law Faculty, Belgrade University in 1961. Working in Yugoslav diplomacy for 40 years including duties in Canada, Keniya, Angola. 
Assistant Federal minister (1994-1998). Federal minister of Foreign Affairs of FR of Yugoslavia 1998-2000.
Vice-President of the Socialist Party of Serbia (1997-2002), elected member of Yugoslav and Serbian Parliaments.
Founder and President of Foundation Diaspora for Motherland  (1999 -), Foundation for scholarship for talents (1999 -), Think Tank association Belgrade Forum for a World of Equals (2000), New Silk Road think Tank Connectivity Research Center (2016).
Official visits to China: 1996 and 1999. Several working visits to China, including SRTA founding Conference in Shenzhen, in February 2016 and Shanghai Forum in May, 2016.
Languages: Serbian, English, French, Russian, Portugues.
Books: Bridges (2003), Abolishing the State (2003), Kosovo`s Mirror (2006) and others.
Married, two daughters.
                 

BELGRADE FORUM FOR A WORLD OF EQUALS
The Belgrade Forum for a World of Equals founded in 2000. Is an independent, non-profit Research Association researching and struggling for peace, sovereign equality of states, nations and individuals; for the truth in international relations; for respecting of the International Law and role of UN; for cooperation on equal footing; for multi-polar world relations; against abuse of human rights for interference in internal affairs; against any form of domination and discrimination; against international terrorism but also against abuse of the antiterrorist struggle for expansion of geopolitical interests; antiterrorist struggle must be coordinated under auspices of UN; for freedom in choosing own path of internal and foreign policy; against export of democracy and so called color revolutions; against of militarism and interventionism of NATO; against revival of fascist and Nazi ideology and systematic revision of history, especially, history of the First and Second World Wars.
Belgrade Forum is a member of the World Peace Council (Athens). Cooperates with many independent associations and think tanks in Serbia, Europe and the world. Actively participates in the activities of SRTA (Silk Road Think Tank Association) as a founding member. Cooperates with Chinese Center for Contemporary World Studies (CCCWS), Shanghai Forum and other think tank associations.
Every year, 22-24 of March, Belgrade Forum holds regular international forums devoted to peace, cooperation and security issues.
Belgrade Forum is initiator of founding of Silk Road Contectivty Research Center (COREC)


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China and Serbia Expanding Cooperation

Zivadin Jovanovic, Belgrade Forum for a World of Equals


Serbia and China cultivate a long tradition of friendship and mutual trust enjoying mutually beneficial cooperation. Presently, when certain European, American and other countries compete to win Chinese cooperation, Serbia is already endowed with the capacity and the basis to enhance cooperation with the second strongest economic power in the world and to upgrade mutual relations to the strategic level. In fact, that is exactly what Serbia is doing. The forthcoming visit of Chinese President Xi Jinping and expected signing of General agreement on strategic relationship will certainly accelerate this cooperation in all fields.
China and Serbia perceive each other as stable, reliable partners in long run. Serbia, although relatively small economy, commands considerable capacity for future development, especially in the fields of infrastructure, energy and food production. In addition, Serbia occupies favorable geopolitical position being at the same time South European, Central European and Danube country. As cross-roads between various regions and even continents, Serbia is the door and bridge to other destinations for economic cooperation with Europe. It was not mere coincidence that in December of 2014 capital of Serbia Belgrade was the venue of “China + 16” Group Summit, comprising Central and Southeast European countries jointly participating in the implementation of the “Road and Belt” mega-project, better known as the 21st Century New Silk Road. So far, China has allocated $ 13 billion for the projects in these countries, out of which 1.5 billion is earmarked for Serbia.
Chinese companies have already constructed the “Mihailo Pupin” Bridge over the Danube River, in Belgrade, plus 21 km of access highway. Plans for the construction of the second bridge over the Danube near Vinča, along the European Corridor X, and a bridge over the Sava River, near the Town of Obrenovac are in advanced stage. Chinese Hessteel Co., the second largest steelmaker in the world, has recently bought the Smederevo Steel Plant that employs 5,050 workers, and owns a port on the Danube and a Tinplate Factory in the City of Šabac (on the River Sava). A further agreement was reached with Chinese partners to construct the Thermo Power Plant “Kosotolac B”. This project, includes also construction of another port on the Danube and an 18 km-long railroad section for the transport of necessary equipment.
Therefore, in economic terms, Chinese companies have already settled on the Danube, thus increasing the significance of this strategic inland water European Corridor VII. 
The Tripartite Partnership of Serbia, Hungary and China has initiated construction of the high-speed railway connecting Belgrade and Budapest. This project is just a part of the of strategic railroads on European Corridor X, running from the Mediterranean Ports of Piraeus and Thessalonica, in Greece, through Macedonia, Serbia and Hungary, to the countries in the Central and the North Europe – all the way to the Northern and Baltic Seas. Taking in consideration plans of Chinese engagement in the modernization of transport lines connecting Belgrade and the Port of Bar (Adriatic, Montenegro), then Chinese companies` interest in privatization of a number of Serbian companies, then the full potential and the perspective of economic cooperation between the two countries become much clearer.

It seems that the importance of the rapid rise in economic cooperation with China goes beyond the point of its substantial input to GDP growth and employment, although both of them make very significant parameters. Provided that the current trend continues -- and there is no reason to expect otherwise -- it could gradually affect the layout of Serbia’s economic interests at the international level, focusing them into a more balanced position. 
Over the recent years, the EU has been busy dealing with itself, suffering from serious crisis of the system, nationalism and particularism on rise, technological and economic stagnation, Eurozone crisis, capital outflow, migrants, “Brexit” and other “exits”, and Transatlantic “encouragments” to increase its military expenditure (truncated G7 Summit in Hannover). The USA has been busy intimidating its allies by using, once “dangers” from Russian, other time, from China. Russia is faced with decline of oil prices, with the need to modernize economic structure, to alleviate consequences of US sanctions implemented by “European partners”, forcing her to spend more on defense. The world witnesses a dramatic widening of the divide between the masses of poor and the handful of extremely rich, with poverty, unemployment and misery dominating the globe.
China extends her friendly hand to offer partnership, networking, innovation, and mutual benefit towards all four sides of the world.
Every now and then, one wonders – why should the West feel it necessary to publicly lament over apparent “slowdown of Chinese economic growth” falling from former 9% to present ‘mere’ 7.5%! Who, really, is doing better in time of prolonged global economic crisis?

--- TRAD.:


Geopolitica dei Balcani: Cina e Serbia espandono la cooperazione strategica ed economica


Zivadin Jovanovic, Global Research, 26 maggio 2016

Serbia e Cina coltivano una lunga amicizia e fiducia reciproca basata sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Attualmente, quando certi Paesi europei, americani e altri competono per la cooperazione cinese, la Serbia ha già capacità e base per rafforzare la cooperazione con la seconda potenza economica nel mondo e migliorare le mutue relazioni a livello strategico. In realtà, questo è esattamente ciò che la Serbia fa. L’imminente visita del Presidente cinese Xi Jinping e l’attesa firma di un accordo generale sulla relazione strategica certamente accelererà la cooperazione in tutti i campi.

Cina e Serbia si percepiscono stabili e soldi partner affidabili. La Serbia, anche se dall’economia relativamente piccola, ha notevole capacità di sviluppo futuro, in particolare nelle infrastrutture, energia e produzione alimentare. Inoltre, la Serbia occupa una posizione geopolitica favorevole essendo allo stesso tempo nel Sud Europa, Europa centrale e Paese danubiano, crocevia di diverse regioni e persino continenti; la Serbia è porta e ponte per altre destinazioni della cooperazione economica con l’Europa. Non è una semplice coincidenza che nel dicembre del 2014 Belgrado abbia ospitato il vertice del gruppo “Cina + 16” comprendente i Paesi dell’Europa centrale e del sud-est che partecipano congiuntamente all’attuazione del mega-progetto “Via e Cintura”, meglio noto come Nuova Via della Seta del 21° secolo. Finora la Cina ha stanziato 13 miliardi di dollari per progetti in questi Paesi, di cui 1,5 miliardi per la Serbia. Le imprese cinesi hanno già costruito il ponte “Mihailo Pupin” sul fiume Danubio, a Belgrado, oltre a 21 km di autostrada d’ingresso. I piani per la costruzione del secondo ponte sul Danubio, nei pressi di Vinca, lungo il X Corridoio europeo, e per un ponte sul fiume Sava, vicino ad Obrenovac, sono in fase avanzata. La Chinese Hessteel Co., secondo maggiore produttore di acciaio al mondo, ha recentemente acquistato l’acciaieria Smederevo che impiega 5050 lavoratori ed ha un porto sul Danubio e una fabbrica di stagno a Shabac (sul fiume Sava). È stato raggiunto un ulteriore accordo con i partner cinesi per costruire la centrale termoelettrica “Kosotolac-B”. Questo progetto prevede anche la costruzione di un altro porto sul Danubio e una sezione di 18 km di ferrovia per trasportare le attrezzature necessarie. Pertanto, in termini economici, le aziende cinesi si sono già insediate nel Danubio aumentando così il peso di queste acque interne presso lo strategico VII Corridoio europeo.
Il partenariato tripartito Serbia, Ungheria e Cina ha avviato la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità che collega Belgrado e Budapest. Il progetto è solo una parte delle ferrovie strategiche del X Corridoio dai porti mediterranei di Pireo e Salonicco, in Grecia, a Macedonia, Serbia, Ungheria e Paesi dell’Europa centrale e del nord fino al Mar Baltico. Prendendo in considerazione i piani d’impegno cinese nella modernizzazione delle linee dei trasporti che collegano Belgrado e il porto di Bar (Adriatico, Montenegro), l’interesse delle compagnie cinesi nella privatizzazione di numerose aziende serbe, e quindi potenzialità e prospettive della cooperazione economica tra i due Paesi, diventa molto più chiara. Sembra che l’importanza del rapido aumento della cooperazione economica con la Cina vada oltre il sostanziale input della crescita del PIL e dell’occupazione, anche se sono parametri molto significativi. A condizione che l’attuale tendenza continui, e non c’è motivo di aspettarsi altrimenti, influenzerebbe seriamente i piani degli interessi economici della Serbia a livello internazionale, orientandoli su una posizione più equilibrata. Negli ultimi anni l’Unione europea era occupata a trattare con se stessa, soffrendo grave crisi di sistema, avanzata di nazionalismo e particolarismo, stagnazione tecnologica ed economica, crisi dell’eurozona, deflusso di capitali, migranti, “Brexit” ed altre “uscite”, ed “incoraggiamenti” transatlantici per aumentare la spesa militare (troncati al vertice G7 di Hannover). Gli Stati Uniti si preoccupano d’intimidire gli alleati utilizzando una volta il “pericolo” russo, un’altra volta cinese. La Russia affronta il declino dei prezzi del petrolio, con la necessità di modernizzare la struttura economica e alleviare le conseguenze delle sanzioni degli Stati Uniti attuate dai “partner europei”, costringendola a spendere di più per la difesa. Il mondo testimonia l’allargamento drammatico della divisione tra masse di poveri e una manciata di estremamente ricchi, con povertà, disoccupazione e miseria che dominano il mondo. La Cina tende una mano amichevole offrendo collaborazione, connessione, innovazione e mutuo vantaggio in tutti i quattro angoli del mondo. Ogni tanto, ci si chiede perché l’occidente senta la necessità di lamentarsi pubblicamente sul “rallentamento della crescita economica cinese” che apparentemente cade dal 9% all’attuale ‘mero’ 7,5%! Chi in realtà fa meglio in tale prolungata crisi economica globale?

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora




Distruzione e saccheggio della Libia

In ordine cronologico inverso:
1) Libia, la grande spartizione (di Manlio Dinucci, 3.8.2016)
2) Libia: come distruggere una nazione (di Patrick Howlett-Martin, 31.5.2016)
3) Libia: bandiere italiane bruciate Tobruk e Derna (ANSA, 30 aprile 2016)
4) La nuova spinta per l’intervento militare in Libia: chi controllerà la Banca Centrale libica? (di Horace G. Campbell, 28.4.2016)
5) La ricolonizzazione della Libia (di Manlio Dinucci, 8 marzo 2015)
6) Aysha Gheddafi, nuova leader della Resistenza popolare contro NATO e ISIS (di Enrico Vigna)


=== 1 ===

Libia, la grande spartizione  

Petrolio, immense riserve d’acqua, miliardi di fondi sovrani. Il bottino sotto le bombe
 
Manlio Dinucci
  

«L'Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia»: questo il comunicato diffuso della Farnesina il 1° agosto.  

Alla «pace e sicurezza in Libia» ci stanno pensando a Washington, Parigi, Londra e Roma gli stessi che, dopo aver destabilizzato e frantumato con la guerra lo Stato libico, vanno a raccogliere i cocci con la «missione di assistenza internazionale alla Libia». L’idea che hanno traspare attraverso autorevoli voci. Paolo Scaroni, che a capo dell’Eni ha manovrato in Libia tra fazioni e mercenari ed è oggi vicepresidente della Banca Rothschild, ha dichiarato al Corriere della Sera che «occorre finirla con la finzione della Libia», «paese inventato» dal colonialismo italiano. Si deve «favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi», spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Intanto «ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche», presenti in Tripolitania e Cirenaica. 

È la vecchia politica del colonialismo ottocentesco, aggiornata in funzione neocoloniale dalla strategia Usa/Nato, che ha demolito interi Stati nazionali (Jugoslavia, Libia) e frazionato altri (Iraq, Siria), per controllare i loro territori e le loro risorse. La Libia possiede quasi il 40% del petrolio africano, prezioso per l’alta qualità e il basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale, dal cui sfruttamento le multinazionali statunitensi ed europee possono ricavare oggi profitti di gran lunga superiori a quelli che ottenevano prima dallo Stato libico. Per di più, eliminando lo Stato nazionale e trattando separatamente con gruppi al potere in Tripolitania e Cirenaica, possono ottenere la privatizzazione delle riserve energetiche statali e quindi il loro diretto controllo.  

Oltre che dell’oro nero, le multinazionali statunitensi ed europee vogliono impadronirsi dell’oro bianco: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana, che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità essa offra lo aveva dimostrato lo Stato libico, costruendo acquedotti che trasportavano acqua potabile e per l’irrigazione, milioni di metri cubi al giorno estratti da 1300 pozzi nel deserto, per 1600 km  fino alle città costiere, rendendo fertili terre desertiche. 

Agli odierni raid aerei Usa in Libia partecipano sia cacciabombardieri che decollano da portaerei nel Mediterraneo e probabilmente da basi in Giordania, sia droni Predator armati di missili Hellfire che decollano da Sigonella. Recitando la parte di Stato sovrano, il governo Renzi «autorizza caso per caso» la partenza di droni armati Usa da Sigonella, mentre il ministro degli esteri Gentiloni precisa che «l'utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al parlamento», assicurando che ciò «non è preludio a un intervento militare» in Libia. Quando in realtà l’intervento è già iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi – confermano il Telegraph e Le Monde – operano da tempo segretamente in Libia per sostenere «il governo di unità nazionale del premier Sarraj». 

Sbarcando prima o poi ufficialmente in Libia con la motivazione di liberarla dalla presenza dell’Isis, gli Usa e le maggiori potenze europee possono anche riaprire le loro basi militari, chiuse da Gheddafi nel 1970, in una importante posizione geostrategica all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Infine, con la «missione di assistenza alla Libia», gli Usa e le maggiori potenze europee si spartiscono il bottino della più grande rapina del secolo: 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati nel 2011, che potrebbero quadruplicarsi se l’export energetico libico tornasse ai livelli precedenti. 

Parte dei fondi sovrani, all’epoca di Gheddafi, venne  investita per creare una moneta e organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana. Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in alternativa al dollaro e al franco Cfa. Fu Hillary Clinton – documenta il New York Times – a convincere Obama a rompere gli indugi. «Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi gruppi fino a poco prima classificati come terroristi, mentre il Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come «legittimo governo della Libia». Contemporaneamente la Nato sotto comando Usa effettuava l’attacco aeronavale con decine di migliaia di bombe e missili, smantellando lo Stato libico, attaccato allo stesso tempo dall’interno con forze speciali anche del Qatar (grande amico dell’Italia). Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla riconquista e spartizione della Libia. 
 
(il manifesto, 3 agosto 2016)


Sullo stesso argomento vedi La notizia su Pandora TV http://www.pandoratv.it/?p=7166



=== 2 ===

ORIG.: Libya: How to Bring Down a Nation (by PATRICK HOWLETT-MARTIN, MAY 31, 2016)
http://www.counterpunch.org/2016/05/31/libya-how-to-bring-down-a-nation/


Libia: come distruggere una nazione

Pubblicato il 2 giu 2016

di Patrick Howlett-Martin
Più di 30.000 libici sono morti durante sette mesi di bombardamenti messi in atto da una forza essenzialmente tripartitica – Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti – che ha chiaramente favorito i ribelli. ‘La missione di maggior successo nella storia della NATO‘, secondo le parole imprudenti del Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, un danese, a Tripoli nell’ottobre 2011.
Il desiderio del presidente francese Nicolas Sarkozy di sostenere un intervento militare con lo scopo presunto di proteggere la popolazione civile è in contrasto con l’ospitalità offerta al presidente della Libia, Muammar Gheddafi, quando visitò Parigi nel dicembre 2007 e firmò importanti accordi militari del valore di circa 4.5 miliardi € con accordi di cooperazione per lo sviluppo dell’energia nucleare per usi pacifici, I contratti che la Libia non sembrava più disposta a rispettare si concentravano su 14 jet multiruolo Dassault Rafale da combattimento e il loro armamento (lo stesso modello che la Francia ha venduto o sta cercando di vendere al generale Egiziano Abdel Fattah al-Sisi l’auto-proclamato maresciallo), 35 elicotteri Eurocopter, sei motovedette, un centinaio di veicoli blindati, e la revisione di 17 caccia Mirage F1 venduti da Dassault Aviation negli anni 1970.
 Le principali compagnie petrolifere (Occidental Petroleum, Oil Stato, Petro-Canada …) che operano in Libia hanno aiutato la Libia a pagare 1,5 miliardi di dollari di risarcimento che il regime libico aveva accettato di pagare alle famiglie delle vittime del volo Pan Am 103. A quel tempo, la compensazione era stata destinata ad essere una delle condizioni per la Libia per essere riaccettati nella comunità delle relazioni internazionali.
I principali fondi libici di investimento (LAFICO-Libyan Arab Foreign Investment Company; LIA-Libyan Investment Authority) erano azionisti di molte aziende italiane e britanniche (Fiat, UniCredit, Juventus, il Gruppo Pearson, proprietario del Financial Times e la London School of Economics, dove Gheddafi è stato insignito del titolo di ‘Brother Leader‘ nel corso di una videoconferenza nel dicembre 2010 ed a suo figlio Saif è stato assegnato un dottorato di ricerca nel 2008). La banca di investimenti di New York Goldman Sachs è stata denunciata nel 2014 da un fondo libico (Libyan Investment Authority), che aveva perso più di 1,2 miliardi di dollari tra gennaio e aprile 2008 dopo che l’azienda americana aveva preso una commissione di 350 milioni di dollari per investire i loro soldi in derivati altamente speculativi.
Muammar Gheddafi era stato ricevuto con tutti gli onori da parte delle grandi potenze alcuni mesi prima: oltre al ricevimento in grande stile a Parigi, dove è stato ospite per cinque giorni, nel 2007, fu ricevuto in Spagna nel dicembre 2007, a Mosca nel ottobre 2008, e a Roma nell’agosto 2010, due anni dopo aver accettato il dono dell’Italia di 5 miliardi di dollari come risarcimento per l’occupazione italiana della Libia 1913-1943. E degni dii nota sono anche i cinque viaggi a Tripoli in tre anni da ex primo ministro britannico Tony Blair, un consulente senior legato alla banca d’investimento JP Morgan Chase. L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato ricevuto a Tripoli nel luglio 2007, dove ha annunciato l’inizio di una collaborazione per l’installazione di una centrale nucleare in Libia. L’Unione europea era pronta a facilitare l’accesso al mercato Europeo per le esportazioni agricole della Libia. La Libia fu invitata dai capi della NATO di difesa per l’Assemblea dei comandanti marittimi »(MARCOMET) a Tolone il 25-28 maggio 2008.
Una politica che ricorda quella verso il leader iracheno, Saddam Hussein. Il leader iracheno è stato invitato a Parigi nel giugno 1972 e settembre 1975; un accordo è stato firmato nel giugno 1977 per la vendita a Baghdad di 32 aerei da combattimento Mirage F1. Una coincidenza che non ha giovato a nessuno dei due governi nel lungo periodo.
I leader militari arabi (veterani dell’Afghanistan e membri del Gruppo combattente islamico libico, con legami con Al-Qaeda) hanno contribuito rovesciare Gheddafi. Uno dei principali capi militari della ribellione, Abdelhakim Belhadj (pseudonimo Abu Abdullah al-Sadik), poi capo della sicurezza di Tripoli e oggi il principale leader del partito conservatore islamista al-Watan era stato arrestato a Bangkok nel 2004, torturato da agenti della CIA, e consegnato alla prigione di Abu Salim di Gheddafi. Ora è il principale leader dell’ISIS in Libia. Jaballah Matar è stato rapito dalla sua casa al Cairo dalla CIA nel 1990 e poi consegnato a funzionari libici. Alcuni documenti sequestrati dopo la morte di Gheddafi rivelano una stretta collaborazione tra i servizi segreti libici, americani (CIA), e Britannici (MI6).
Sotto Gheddafi, il terrorismo islamico era praticamente inesistente. Prima dei bombardamenti degli Stati Uniti nel 2011, la Libia aveva il più alto indice di sviluppo umano, la mortalità infantile più bassa e l’aspettativa di vita più alta di tutta l’Africa. Oggi la Libia è uno stato distrutto.
Nel gennaio 2012, tre mesi dopo la fine delle ostilità, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha riferito l’uso diffuso di torture, esecuzioni sommarie e stupri nelle carceri libiche. Allo stesso tempo, l’organizzazione Medici Senza Frontiere ha deciso di ritirarsi dalle carceri di Misurata a causa della torture in corso ai detenuti.
L’intervento della NATO in Libia, che coinvolge la maggior parte dei paesi membri sotto un pretesto umanitario, fissa uno spiacevole precedente per gli sforzi per risolvere la crisi siriana: l’attacco da parte di aerei da guerra francesi e britannici sulla tribù Warfallah, che sono rimaste fedeli a Muammar Gheddafi, e sul convoglio che trasportava il leader libico e uno dei suoi figli, che conduce direttamente alla morte di Gheddafi in circostanze deplorevoli. Le immagini  video di Ali Algadi, e della giornalista Tracey Sheldon forniscono un resoconto grafico del leader libico trascinato da un tubo di scarico il 20 ottobre 2011 e ucciso poco dopo. Queste circostanze smentiscono la natura pseudo-umanitaria dell’intervento militare e infangano l’immagine della “Primavera Libica”.
La morte dell’ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens e di uno dei suoi collaboratori in un incendio appiccato al consolato degli Stati Uniti a Bengasi nel mese di settembre 2012 rivela l’ampiezza delle attività della CIA, nelle quali il Consolato fungeva da facciata. Il reclutamento della CIAnella sua base di Bengasi dei combattenti dalla città di Derna per il conflitto in Siria, feudo degli islamisti (Brigata Al-Battar), contro il presidente Bashar al-Assad, ha paralleli inevitabili con il reclutamento del 1979, ancora una volta dalla CIA, dei mujahidin contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, con tutte le conseguenze che sono ben note, una in particolare: la nascita del jihadismo sunnita.
L’attentato con un’autobomba all’ambasciata francese a Tripoli nel mese di aprile 2013; la fuga di 1.200 detenuti del carcere di Bengasi; l’uccisione del avvocato dei diritti umani Abdel Salam al-Mismari nel mese di luglio; e l’attacco al Consolato svedese a Bengasi nell’ottobre 2013, tutto ciò evidenzia l’incapacità delle autorità di acquisire il controllo della situazione della sicurezza in Libia considerando come è stata invasa dalle milizie armate fino ai denti. Nel luglio 2013, il primo ministro libico Ali Zeidan ha minacciato di bombardare i porti libici nella regione di Bengasi che erano nelle mani delle milizie e che sono stati utilizzati per l’esportazione del petrolio ora sotto il loro controllo. Nel mese di ottobre, il Primo Ministro è stato rapito da 150 uomini armati nel centro di Tripoli ed è stato trattenuto per sei ore per protestare contro il rapimento sul suolo libico di Abu-Anas al-Libi in un’operazione aerea segreta americana. Al-Libi è stato accusato di essere uno dei leader di Al-Qaeda e poi è morto mentre era in custodia negli Stati Uniti.
Il 2015 è iniziato con la Libia priva di tutte le istituzioni. E’ governata da un gruppo eterogeneo di coalizioni in lotta per il potere, con sede a Tripoli (Libia Farj, che controlla la banca centrale), Bengasi (Consiglio della Shura, composto da Ansar al-Sharia, che sta affrontando le Forze armate libiche del rinnegato generale Khalifa Hiftar), in Tobruk-Bayda (ramo del Consiglio Nazionale di Transizione, che gode di riconoscimento diplomatico internazionale dopo le elezioni di Giugno 2013).
La situazione di salute e sicurezza della popolazione civile è quasi disastrosa. Quando ho visitato il paese nel 1994, era un modello per la salute pubblica e l’istruzione, e vantava il più alto reddito pro capite in Africa. E’ stato chiaramente il più avanzato di tutti i paesi arabi in termini di status giuridico delle donne e delle famiglie nella società libica (la metà degli studenti presso l’Università di Tripoli erano donne). L’aggressione contro la presentatrice Sarah Al-Massalati nel 2012, la poetessa Aicha Almagrabi a febbraio 2013, e l’attivista per i diritti delle donne Maddalena Ubaida, ora in esilio a Londra,  sono la testimonianza del triste status giuridico della Libia post-Gheddafi. La città di Bengasi è ora semi-distrutta; le scuole e le università sono per lo più chiuse.
E’ teatro di scontri fratricidi tra fazioni rivali finanziate e armate da una serie di apprendisti stregoni, Un generale che è stato di stanza negli Stati Uniti per 27 anni comanda una coalizione eterogenea con l’appoggio militare dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita mentre i gruppi islamici che rivendicano fedeltà all’ISIS, ben radicati a Sirte e Derna, sono in grado di diffondere la loro influenza grazie alla crisi istituzionale. e, Qatar, Turchia e Sudan che dall’altro lato sostengono Farj Libia.
Gheddafi, leader della rivoluzione libica, la Jamahiriya, al potere nel periodo 1969-2011, ha dato un avvertimento all’Europa in un’intervista rilasciata al giornalista francese Laurent Valdiguié del Journal du Dimanche, alla vigilia dell’intervento della NATO, con parole che ora sembrano profetiche:
‘Se si cerca di destabilizzare [La Libia], ci sarà il caos, Bin Laden, le fazioni armate. Questo è ciò che accadrà. Avrete l’immigrazione, migliaia di persone invaderanno l’Europa dalla Libia. E non ci sarà più nessuno a fermarli. Bin Laden si baserà in Nord Africa [...]. Avrete Bin Laden a portata di mano. Questa catastrofe si estenderà dal Pakistan all’Afghanistan e percorrerà tutta la strada verso il Nord Africa’
 La Libia è diventata un fulcro per il traffico illegale, in particolare di emigranti africani in condizioni che ricordano quelle del commercio degli schiavi. Secondo L’iniziativa Globale contro la criminalità organizzata internazionale (Global Initiative Against Transnational Organized Crime), il mercato del contrabbando di rifugiati in Libia valeva 323 milioni di dollari nel 2014. Nei primi cinque mesi del 2015, più di 50.000 immigrati clandestini hanno raggiunto l’Italia dall’Africa sub-sahariana con la Libia; 1.791 di loro hanno perso la vita in mare.
Prima dell’inizio delle ostilità, 1,5 milioni di africani subsahariani lavoravano in Libia in posti di lavoro in generale umili (industria del petrolio, agricoltura, servizi, del settore pubblico). I giorni più scuri in mare devono ancora arrivare.

 

NOTE:
 [1] “Il Capo della NATO Rasmussen ‘orgoglioso’ per la fine della missione in Libia’, BBC News, 31 ottobre 2011.
[2] Agenzia France Presse, 11 dicembre 2007.
[3] International Herald Tribune, 24 marzo 2011.
 [4] Jeremy Anderson, ‘Goldman per aver rivelato il reddito legato alla causa libica’, International New York Times, 25 novembre 2014.
 [5]The Telegraph, 23 marzo 2012.
 [6]O’Globo, il 26 luglio, 2007.
[7] Souad Mekhennet, Eric Schmitt, ‘ribelli libici cercano di gettarsi Al Qaeda alle spalle’, International Herald Tribune, 19 luglio 2011.
 [8]. Rod Nordland, ‘File di nota stretti legami della CIA con unità spia di Gheddafi’, International Herald Tribune, 5 settembre 2011.
 [9]International Herald Tribune, 28-29 gennaio 2012.
[10]Borzou Daragahi, ‘Invito a esplorare le morti dei civili libici’, Financial Times, 14 maggio 2012.
[11] Seymour Hersh, ‘Stati Uniti Sforzo contro il braccio jihadisti in Siria. Lo scandalo Dietro l’ente sotto copertura della CIA a Bengasi ‘, Global Research, Blog di Washington, 15 aprile 2014.
[12] Abdel Sharif Kouddous, ‘Relazione dal fronte: Libia discesa nel caos’, The Nation 25 febbraio 2015.
[13] Journal du Dimanche, 5 marzo 2011 (www.lejdd.fr)
[14] Fonte: Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e la Commissione europea.
 …………………………………………………………..
Traduzione di Edoardo Gistri
per aderire alla brigata traduttori inviare mail a traduttori@...


=== 3 ===


Libia: bandiere italiane bruciate Tobruk e Derna 


Centinaia di libici hanno manifestato, sui cartelli era scritto "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni"


Redazione ANSA
IL CAIRO
30 aprile 2016

Bandiere italiane date alle fiamme in Libia sono state segnalate da due media a Tobruk e a Derna, mentre su Twitter sono tornate a circolare immagini di un tricolore bruciato presumibilmente a Bengasi alcuni giorni fa.
Il caso di Tobruk viene riportato dal sito Alwasat precisando che "centinaia di libici" hanno manifestato ieri dopo la preghiera del venerdì al motto "nessuna tutela". Su cartelli era scritto "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni", "l'Italia non si sogni di occupare il nostro paese". "I manifestanti hanno bruciato una bandiera italiana e issato striscioni sui quali era scritto 'il nostro esercito è il nostro salvatore', 'congratulazioni per le vittorie dell'esercito a Derna e Bengasi e per i suo progressi in direzione della città di Sirte", scrive il sito.

    "Bruciando una bandiera italiana, hanno condannato quello che definiscono un'interferenza italiana e dell'Onu in Libia", riferisce dal canto suo Libya Herald descrivendo l'episodio di Derna. Questo è avvenuto nell'ambito di una protesta peraltro indirizzata contro raid aerei dell'esercito libico guidato dal generale Khalifa Haftar osannato a Tobruk.

    Ad apparente conferma di un episodio segnalato mercoledì (ma non è escluso di tratti di un nuovo caso), un account Twitter ha diffuso quattro foto accompagnandole con la didascalia "la bandiera dell'Italia brucia a Bengasi quale rifiuto dell'ingerenza italiana e contro le dichiarazioni di Roberta Pinotti". Senza aggiungere altro circa il ministro della Difesa, il tweet mostra una bandiera mentre viene calpestata e bruciata.
    Sul campo bianco di un drappo, si legge la scritta rossa in arabo: "no all'intervento italiano".


=== 4 ===


La nuova spinta per l’intervento militare in Libia: chi controllerà la Banca Centrale libica?

Pubblicato il 28 apr 2016

di  Horace G. Campbell
22 aprile  2016
Si sta spingendo fortemente affinché i paesi della NATO facciano in intervento dichiarato in Libia. In questo momento la giustificazione è di combattere lo Stato Islamico per impedire che il terrore si diffonda in Europa attraverso il Mediterraneo. Come avviene nei casi di distruzione delle società africane, i governi di Gran Bretagna e Francia sono in prima linea nella spinta al recente intervento. La Germania non vuole essere lasciata fuori e sta ora operando attivamente per l’intervento dell’ONU.
Prima di questa primavera, era stato difficile ottenere la copertura legale per un più grosso intervento militare da parte dell’Occidente, ma ora si ipotizza che ci sia un nuovo governo di ‘unità’ con il mandato per chiedere alle Nazioni Unite di intervenire militarmente. Ogni settimana c’è un nuovo incontro in Europa per spingere a un intervento senza consultazioni con l’Unione Africana. In gennaio, l’Unione Africana ha nominato l’ex Presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete suo nuovo inviato speciale in Libia. Finora, tutti i rapporti e le discussioni su un nuovo intervento  sancito  dall’ONU, hanno escluso gli interessi dei popoli della Libia e dell’Africa. Le forze progressiste del mondo è necessario che siano vigili riguardo a questo tentativo di intensificare la militarizzazione del Nord Africa e che si oppongano ai governi che stanno usando il problema dell’ISIS per dare un’altra spinta al controllo delle risorse della Libia e dell’Africa.
I veri motivi per l’intervento in Libia
Le email dell’ex-Segretario di Stato e attuale candidata alla presidenza, Hillary Clinton, hanno rivelato al mondo le principali ragioni dell’intervento della NATO e della distruzione della Libia nel 2011. Siamo informati da uno scrittore che aveva esaminato queste email riguardanti il commercio tra Stati Uniti e Francia, circa gli obblighi di intervenire in Libia. In una email in data 2 aprile 2011, Sydney Blumenthal, allora assistente della Clinton, la informava ‘che fonti vicine a uno dei figli di Gheddafi riferivano che “il governo di Gheddafi ha 143 tonnellate di oro e un’analoga quantità di argento” e che   era stato trasferito dalla Banca Centrale Libica con sede a Tripoli più vicino al confine tra Niger e Chad.
“Questo oro era stato accumulato prima dell’attuale ribellione e si intendeva usarlo per stabilire una valuta pan-africana, basata  sul Dinaro Libico d’oro. Questo piano era designato a fornire ai paesi dell’Africa di lingua francese un’ alternativa al Franco francese (CFA).” La Blumenthal aggiungeva poi che “Secondo individui  informati,    questa quantità di oro e argento è valutata in più di 7 miliardi di dollari. I funzionari dell’intelligence francese hanno scoperto questo piano poco dopo l’inizio dell’attuale ribellione, e questo è stato uno dei fattori che ha influenzato la decisione del Presidente Nicolas Sarkozy di coinvolgere la Francia nell’attacco alla Libia.”
La email aggiungeva: “Secondo questi individui informati,  i piani di Sarkozy sono guidati dai seguenti argomenti:
1 Desiderio di guadagnare una porzione maggiore della produzione di petrolio della Libia
2 Aumentare l’influenza francese in Nord Africa
3 Migliorare la sua situazione politica in Francia
4 Fornire alle forze armate francesi un’occasione di riaffermare  la loro posizione nel mondo
5 Affrontare la preoccupazione dei suoi consiglieri per i piani a lungo termine di Gheddafi di soppiantare il potere dominante nell’Africa di lingua francese.” [i]
La Francia e la Germania non sono soltanto interessate alle vaste risorse di gas e petrolio nel sottosuolo libico, ma anche al vasto oceano di acqua situato sotto il Sistema acquifero di pietra arenaria della Nubia (Nubian Sandstone Aquifer System –NSAS). Dati i progressi della tecnologia solare,  gli stati europei vogliono avere il controllo sul Sahara per la futura trasformazione dell’energia solare per i consumatori europei. Sono le vaste risorse della Libia che sono ancora in gioco dato che c’è una nuova spinta perché  l’ONU intervenga in Libia. Come importante stato imperialista in Europa prima del 1945, la Gran Bretagna ha vasti interessi in Libia, ma le minacce dell’Unione Africana di sviluppare un Fondo Monetario Africano e una Valuta Comune sono  minacce dirette al futuro degli interessi economici francesi in Africa. Negli scorsi 40 anni, i tedeschi avevano dato  il compito di Gendarme dell’Europa alla Francia, ma, data la delicatezza  della crisi bancaria  e  finanziaria in Europa, i tedeschi non vogliono essere lasciati indietro. Quindi, nelle nuove pressioni per intervenire, i tedeschi sono  in gara   con la Francia e la settimana scorsa quando il Ministro degli esteri francese Jean-Marc Ayrault ha visitato Tripoli, era accompagnato dal Ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier.  E’ stato un tentativo disperato di  trasmettere  legittimità a Fayyez Sarray, di recente insediatosi   come Primo Ministro della Libia e ai membri del Consiglio di Presidenza.
All’epoca dell’intervento della NATO nel 2011, la Germania era stata disinteressata alla distruzione, ma  dopo la crisi delle banche e quella finanziaria nell’Eurozona, i tedeschi non si possono permettere di essere lasciati fuori da qualsiasi possibile futuro saccheggio delle risorse africane. Per assicurarsi un posto in prima fila nei nuovi piani di intervento europei in Libia, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha nominato Martin Kobler, un diplomatico tedesco, come Rappresentante Speciale e capo della Missione di appoggio delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL). In precedenza Kobler era stato in servizio sulla scena del più grosso saccheggio  dell’Europa in Africa, nel Congo. In seguito alle pressioni degli europei, alcuni libici avevano messo insieme un Governo di Intesa Nazionale (GNA) che poteva essere designato come l’autorità legale per invitare le forze occidentali a combattere l’ISIS in Libia. Tuttavia, questo nuovo governo di Fayyez Sarraj non controlla le forze militari  abbastanza da garantire la richiesta di controllare il governo libico. Il programmato impiego di forze europee si suppone protegga questo Primo Ministro
e i membri della sua fazione che si chiama Consiglio di Presidenza. Nel frattempo, il Tesoro degli Stati Uniti sta pianificando di usare sanzioni contro quegli imprenditori militari che non si allineano con il nuovo Consiglio di Presidenza.
Fin dall’intervento della NATO in Libia nel 2011, i leader europei hanno cercato un nuovo mandato per un intervento e hanno usato il problema di migranti che affluiscono in Europa e anche l’aumento dell’ISIS in Libia per giustificare il loro intervento. Questa settimana la notizia dei 500 migranti affogati durante il tentativo di raggiungere l’Europa dalla Libia, è stato usato come altro motivo per spingere gli europei a intraprendere un’azione decisiva in Libia. Fin dal 2014 quando l’ISIS ‘apparve’ improvvisamente in Libia, ci sono state forze per le Operazioni Speciali provenienti dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dall’Italia che operavano in Libia, ma allo scopo di ordinare un intervento  conclamato, ci doveva essere un governo ‘credibile’ a Tripoli.
Tre governi in Libia
Fin dall’assassinio di Gheddafi a opera della NATO nell’ottobre 2011, ci sono stati numerosi tentativi di mettere insieme in Libia un governo credibile. Il primo esperimento quando c’era il Consiglio Nazionale Transnazionale era andato in pezzi  quando le pressioni da parte delle 1700 organizzazioni di miliziani  che  litigano per il petrolio  e poi i massacri  avevano frantumato la facciata del  processo di ‘transizione’ che era stato messo in atto  dal Dipartimento di Stato.  J.Christopher Stevens, il diplomatico che era stato al centro di operazioni con gli altri imperialisti per reclutare il Gruppo Combattente Libico Islamico operò intensamente per dare una copertura legittima a questi jihadisti, mentre la CIA e Stevens mobilitavano la regione orientale della Dernia per farne un filtro per in inviare gli jihadisti a combattere in Siria dalla Libia. La cosiddetta ISIS in  Libia sta operando nell’ambito della stessa infrastruttura organizzata dagli Stati Uniti per destabilizzare il Nord Africa e l’Asia Occidentale.
Dietro i 1700 gruppi di miliziani in Libia dopo il 2012, c’erano differenti potenze straniere come Gran Bretagna, Francia, Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti, il Sudan, la Turchia e l’Egitto. Da queste varie milizie, erano emersi due gruppi rivali che rivendicavano di essere il governo. Uno di questi operava fuori dalla parte orientale della Libia sotto la guida nominale del Generale Khalifa Hifter che era ritornato dalla Virginia, negli Stati Uniti, per rivendicare la leadership della ribellione contro Gheddafi e che aveva installato la brigata Dignità a est. L’altro gruppo pretendente al potere  in Libia, era quello di coloro che avevano il controllo  di Tripoli e della Banca centrale con le riserve di oro e di dollari. Questo gruppo era dominato dai brigadisti di Misurata ed erano appoggiati dai Qatarioti. Nel 2014, prima delle voci sull’ISIS, il Generale Hifter aveva fatto forti  rimostranze agli Stati Uniti di dare a lui tutto l’appoggio, ma il governo di base a Tripoli che aveva il controllo del denaro fece una  richiesta alternativa a Jack Lew, il Segretario al Tesoro.
Due anni dopo che la CIA e la legazione statunitense furono  smascherati per aver    rifornito di armi gli jahadisti che dalla Siria andavano in  Libia, al mondo si parlò di una nuova ‘minaccia’ alla Libia sotto forma di ISIS.
Come al solito, questa nuova minaccia ‘terroristica’ era apparsa a Sirte, che era stato il luogo che aveva dato origine alle discussioni sulla nascita dell’Unione Africana nel 1999. Per rafforzare l’idea che l’ISIS in Libia era una grande  minaccia , nel febbraio e aprile del 2015 ci furono immagini impressionanti di decapitazioni di cristiani Copti per mano dell’ISIS a Sirte, in Libia. E’ stato dopo queste immagini che i militaristi intensificarono gli sforzi per ottenere che l’ONU appoggiasse un altro intervento in Libia.
Far salire ufficialmente a bordo gli Stati Uniti
La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia avevano schierato forze per le Operazioni Speciali in Libia, ma allo scopo di ottenere un reale rilevanza  internazionale e di propaganda, le forze interventiste dovevano ottenere l’appoggio ufficiale dell’establishment militare e dell’intelligence degli Stati Uniti.
Delle sezioni dei capi di stato maggiore stavano aggressivamente facendo pressione affinché il presidente degli Stati Uniti desse esplicito appoggio all’impiego di altre risorse statunitensi in Libia. Inizialmente il presidente rimandò, sostenendo che gli Stati Uniti non potevano impiegare truppe e altra forze speciali in una situazione in cui non c’era alcun governo. E’ stato questo ritardo che spinse i francesi a impegnarsi duramente per organizzare gli elementi che si chiamano ora Governo di Intesa Nazionale. Dato che il Presidente dei capi di stato maggiore faceva pressioni per un maggiore impegno, il Presidente Barack Obama  rilasciò  un’intervista alla rivista The Atlantic, delineando i motivi per cui pensava che gli  europei erano partner militarmente inaffidabili. [ii]
Dovendo fronteggiare le pressioni da parte di

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(english / italiano)

2 Agosto, la memoria dello sterminio dei Rom


Sullo stesso argomento si vedano anche documenti, link e commenti alla nostra pagina dedicata:
ed in particolare la discussione sulla appropriatezza o meno del termine "Porrajmos" per lo sterminio dei Rom:

N.B.: Nella testimonianza di Čena Husejnović, contenuta nel video segnalato qui di seguito, sono menzionati un paio di volte i "cetnizi". E' possibile che i cetnizi serbi abbiano contribuito al rastrellamento dei Rom jugoslavi nelle fasi in cui furono alleati dei nazifascisti, ma è anche possibile che la testimone confonda "cetnizi" con "ustascia": in ogni caso, è assodato che il sistema concentrazionario imperniato attorno al campo di Jasenovac era gestito dagli ustascia croati ed i cetnici non ebbero alcun rapporto con lo sterminio perpetrato in quei luoghi.


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Idea Rom Onlus

1 agosto 2016

COMUNICATO STAMPA - 2 AGOSTO: A QUANDO IL RICONOSCIMENTO ITALIANO DEL PORRAJMOS?

Tutti conoscono la parola Shoah, quasi nessuno Porrajmos, il grande divoramento: lo sterminio dei Rom e dei Sinti perpetrato da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. In tale periodo circa 500.000 Rom vennero uccisi all’interno dei campi di concentramento, mentre se ne stimano altre centinaia di migliaia trucidati durante rastrellamenti, rappresaglie e deportazioni.

ll termine può essere tradotto come "grande divoramento" o "devastazione". Questo disegno genocida è definito da Rom e Sinti anche con il termine Samudaripen, che significa letteralmente "tutti morti, sterminio”.

Nel 1944 venne pianificata la liquidazione di tutti i Rom internati nello “Zigeunerlager” di Auschitz-Birkenau, ma il 16 maggio i Rom, organizzandosi e munendosi di qualsiasi attrezzatura potesse essere usata come arma di difesa, riuscirono momentaneamente a contrastare le SS. Fu l’unica rivolta mai registrata, e tutt’ora quasi sconosciuta, in un campo di concentramento nazista.

L'eliminazione dei Rom fu tuttavia solo posticipata al 2 agosto dello stesso anno quando, in una sola notte, 2.897 tra uomini, donne e bambini trovarono la morte nel crematorio numero 5, quello più vicino allo “Zigeunerlager”.

Gli ebrei italiani, tra cui Pietro Terracina (http://linkis.com/www.rainews.it/dl/ra/WeGxE), testimoniano quella notte collocando questo evento tra i loro ricordi più tristi. I Rom erano coloro che suonavano, cantavano, e con le voci dei propri bambini regalavano un po' di vita a Birkenau; dopo la loro eliminazione il lager cadde nel silenzio.

Ai processi di Norimberga nessun Rom venne chiamato a testimoniare, non vennero riconosciuti risarcimenti di alcun tipo e l’intera vicenda scivolò lentamente nell’oblio collettivo. 

Solo a partire dagli anni ’70 le rappresentanze Rom di tutta Europa, riunite in vari congressi mondiali, iniziarono a rivendicare il riconoscimento della propria minoranza e di alcune date simboliche fra cui quella del 2 agosto in memoria del Porrajmos.

La Germania tra il 1980 e il 1998 riconobbe progressivamente lo sterminio dei Rom, approvando alcuni risarcimenti per i familiari delle vittime mentre, nel 1994, avvenne un altro importante riconoscimento ufficiale con la commemorazione pubblica allo U.S. Holocaust Memorial Museum di Washington. 

Nel 2012 a Berlino venne poi inaugurato un memoriale per i Rom e i Sinti sterminati durante la seconda guerra mondiale e in questi ultimi anni in tutta Europa, autorità di vario livello e organizzazioni della società civile, hanno iniziato a celebrare la ricorrenza del 2 agosto. 

Il 15 aprile del 2015 il Parlamento Europeo ha infine approvato la Risoluzione 2015/2615 (RSP) con cui si riconosce la persecuzione ed il genocidio dei Rom durante la seconda guerra mondiale e con cui si invitano gli Stati membri a fare altrettanto (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do…).

Ma quest’anno solo il Governo Spagnolo, unico in Europa, ha deciso di commemorare in via ufficiale la memoria dello sterminio dei Rom (http://www.west-info.eu/…/per-la-prima-volta-il-2-agosto-s…/http://www.msssi.gob.es/gabinete/notasPrensa.do?id=3995). 

In Italia finora solo alcune realtà hanno assunto iniziative ufficiali e tra questi il Comune di Monserrato (CA) con un monumento in piazzale della Pace, quello di Pistoia con una targa in piazza della Resistenza, quello di Mantova con una mostra inaugurata nel 2015 all’interno della propria stazione ferroviaria.

Il Comune di Torino, pur non avendo mai ricordato il Porrajmos, è però l'unico ad aver però riconosciuto in Italia iI Romanò Dives (Ia Giornata Internazionale dei Rom che si celebra l'8 aprile), con la Mozione n. 9 del 3 marzo 2011 (http://www.comune.torino.it/delibere/2009/2009_02060.html), nonostante per tale ricorrenza non abbia mai pero assunto alcuna particolare iniziativa a differenza di quanto fatto da altre autorità europee ed americane (qui, ad esempio, il messaggio video del Segretario di Stato USA Hillary Clinton in occasione di uno degli ultimi Romano Dives: http://bcove.me/mbs2dj1q). 

Ma il mancato riconoscimento della propria minoranza, soprattutto nella sua memoria storica, per i Rom può generare ulteriore esclusione e segregazione sociale, ostacolando la restituzione di dignità alle centinaia di migliaia di vittime subite nei periodi più bui della storia.

Proprio per questi motivi viene rinnovato l'appello affinché le istituzioni italiane riconoscano, attraverso la memoria del Porrajmos, la persecuzione ed il genocidio dei Rom durante la seconda guerra mondiale.

Idea Rom, l’associazione delle donne Rom di Torino già insignita di una Targa d’Onore del Presidente della Repubblica, quest'anno ricorda la ricorrenza con un'edizione speciale del proprio TG Rom (http://www.tgrom.it - https://www.facebook.com/TgRomltalia/) dedicandola interamente alia storia e ad una testimonianza sulle atrocità commesse nel campo di concentramento di Jasenovac (Croazia), lager quasi sconosciuto nonostante durante la seconda guerra mondiale sia stato il terzo per dimensioni e numero di internati, oltre che il più cruento per le modalità d’uccisione delle vittime.

Torino, 1 agosto 2016


IDEA ROM Onlus
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TG Rom - Edizione 13 del 30/07/2016
Questa settimana: Čena, il Porrajmos e Jasenovac: una voce per la memoria

Special Edition for Porrajmos - English Version (Tg Rom, 1 ago 2016)
This is a special edition of TG Rom all about Porrajmos and concentration Camp of Jasenovac.



(français / italiano)

La NATO prepara la aggressione alla Russia

1) Communiqué du Sommet de l’OTAN à Varsovie : préparer le crime d’agression (par Christopher Black)
2) La NATO accerchia la Russia – da “Avante!”
3) La NATO è la maggiore minaccia per l’Europa (di António Abreu e Eric Draitser)


Si veda anche:
Vertice NATO a Varsavia e proteste (Rassegna JUGOINFO del 17.7.2016)


=== 1 ===

ORIG.: NATO’s Warsaw Communiqué: Planning the Crime of Aggression (18.07.2016 Author: Christopher Black)
http://journal-neo.org/2016/07/18/nato-s-warsaw-communique-planning-the-crime-of-aggression/


http://lesakerfrancophone.fr/communique-du-sommet-de-lotan-a-varsovie-preparer-le-crime-dagression

Communiqué du Sommet de l’OTAN à Varsovie : préparer le crime d’agression

Par Christopher Black – Le 18 juillet 2016 – Source New Oriental Review


J’ai été avocat de la défense la plus grande partie de ma vie professionnelle et je n’ai pas l’habitude de recueillir des preuves pour engager des poursuites, mais les circonstances m’ont incité à ouvrir un dossier pour le procureur de la Cour pénale internationale, ou peut-être un futur tribunal citoyen. Ce dossier contient la preuve que les dirigeants de l’OTAN sont coupables du plus grave crime contre l’humanité, le crime d’agression. Je voudrais partager avec vous quelques brèves notes intéressantes provenant de ce fichier, que je soumets à votre réflexion.

L’Article 8bis du Statut de Rome, le statut régissant la Cour pénale internationale, stipule :

Aux fins du présent Statut, on entend par « crime d’agression » la planification, la préparation, le lancement ou l’exécution par une personne effectivement en mesure de contrôler ou de diriger l’action politique ou militaire d’un État, d’un acte d’agression qui, par sa nature, sa gravité et son ampleur, constitue une violation manifeste de la Charte des Nations Unies.

Le communiqué de l’OTAN publié à l’issue du congrès de Varsovie le 9 juillet est la preuve directe d’une telle planification et préparation et donc d’une conspiration par les dirigeants de l’OTAN pour commettre des actes d’agression contre la Russie. Cela ferait l’objet d’un acte d’accusation de la Cour pénale internationale contre les dirigeants de l’alliance militaire si la procureure de la CPI était effectivement indépendante, ce qu’elle n’est pas. Et bien sûr, si les articles relatifs aux crimes d’agression étaient en vigueur, ce qui ne se produira pas avant le 1er janvier 2017, le cas échéant, sous les articles du Statut de Rome.

Néanmoins, le problème technique de la juridiction qui empêche l’émission d’une inculpation contre les dirigeants de l’OTAN en ce moment, ne légitime pas la planification et la préparation d’actes d’agression contenus dans le communiqué de l’OTAN ni ne réduit le poids moral du crime d’agression défini dans le Statut et les principes de Nuremberg, parce que le crime d’agression est le crime de guerre suprême.

Selon leurs propres mots, imprimés en noir sur blanc dans leur communiqué du 9 juillet, les dirigeants de l’OTAN, chacun d’entre eux, et les états-majors entiers des forces armées de chacun des pays de l’OTAN, sont coupables du crime d’agression. Le fait qu’il n’y ait pas d’organe efficace devant lequel ils puissent être traduits en justice est sans rapport avec le fait du crime commis. Ils sont les ennemis de l’humanité et, inculpés ou non, ils sont des hors-la-loi internationaux qui doivent être identifiés en tant que tels et appelés à rendre des comptes à leurs propres peuples.

La preuve de leurs crimes est bien évidemment antérieure à ce communiqué et consiste en années d’actes commis par les puissances de l’OTAN depuis que l’Union soviétique s’est dissoute ainsi que le Pacte de Varsovie, en vertu de l’accord dit Acte fondateur OTAN–Russie de 1997, selon lequel l’OTAN ne s’étendrait dans aucun des pays formellement membres du Pacte de Varsovie ou de l’URSS, ni n’y installerait d’armes nucléaires. L’OTAN a continuellement brisé cet accord depuis lors et a commis, en tant qu’organisation ou par des groupes de ses États membres, des actes d’agression contre la Yougoslavie, l’Afghanistan, l’Irak, la Libye, la Russie (pendant l’attaque de la Géorgie contre l’Ossétie du Sud et en soutenant les groupes terroristes tchétchènes en Russie même), l’Ukraine et la Syrie, chaque acte d’agression étant appuyé par des campagnes de propagande massives pour tenter de justifier ces crimes en répandant cette propagande auprès des peuples qu’ils sont censés informer.

Ces mêmes puissances ont commis et commettent d’autres actes d’agression contre la République populaire démocratique de Corée, l’Iran et la Chine, et augmentent continuellement leur planification et leur préparation pour agresser ces pays. Ces plans sont aussi étalés dans le communiqué de l’OTAN, mais la plus grave menace pour l’humanité est la menace existentielle immédiate contre la Russie, contre laquelle la partie principale de ce communiqué est dirigée.

Le communiqué de l’OTAN est de fait une déclaration de guerre à la Russie. Il n’y a pas d’autre manière de l’interpréter.

Il y a plusieurs mois, j’ai déclaré que nous pouvions considérer l’accumulation des forces de l’OTAN en Europe de l’Est, le coup d’État de l’OTAN qui a renversé le gouvernement de Ianoukovitch en Ukraine, la tentative de s’emparer de la base navale russe à Sébastopol, les attaques immédiates contre les civils ukrainiens dans les provinces orientales qui refusaient d’accepter le coup d’État de l’OTAN, la propagande constante contre la Russie en tant qu’agresseur et la guerre économique menée contre la Russie sous couvert de sanctions est l’équivalent d’une seconde Opération Barbarossa, le nom donné à l’invasion de l’Union soviétique par le Troisième Reich en 1941. J’hésitais à le décrire ainsi, mais les faits étaient là et d’autres ont reconnu maintenant que l’analogie est correcte. Et exactement comme les dirigeants du Troisième Reich ont été finalement tenus pour responsables de leurs crimes à Nuremberg, les dirigeants du nouveau Reich que les Américains et leurs États vassaux projettent d’imposer au reste d’entre nous devraient l’être aussi.

Au paragraphe 5 du communiqué et après, ils commettent la première partie de leur crime en définissant de prétendus actes agressifs de la Russie, dans lesquels, dans tous les cas, ils sont les véritables agresseurs.

Au paragraphe 15, ils déclarent, après quelques sornettes à propos du partenariat entre l’OTAN et la Russie :

« Nous regrettons que malgré des appels répétés des Alliés et de la communauté internationale depuis 2014 pour que la Russie change de cap, les conditions à cette relations n’existent pas actuellement. La nature des relations de l’Alliance avec la Russie et les aspirations à un partenariat seront subordonnées à un changement clair et constructif des actions de la Russie, qui doit démontrer son respect du droit international et de ses obligations et responsabilités internationales. Jusque là, nous ne pouvons pas revenir au business as usual. »

Ce qu’ils veulent dire en parlant du changement de cap de la Russie est, bien sûr, qu’elle fasse ce qu’ils ordonnent, et le « respect du droit international » ne signifie rien d’autre que de se plier aux diktats de l’OTAN. Le monde a vu ce qui est arrivé à la Yougoslavie quand le président Milosevic a eu le courage de lui dire d’aller se faire voir, alors que Madelaine Albright lui présentait sa longue liste de revendications, y compris l’occupation de la Yougoslavie par les forces de l’OTAN et le démantèlement du socialisme, suivi par le choix d’obéir ou d’être bombardé. Le gouvernement yougoslave avait le droit et, en plus,  le courage, de la défier, et donc les dirigeants de l’OTAN ont activé les casseurs de jambes, les exécuteurs et les assassins qui servent dans leurs armées et ont commencé la destruction massive d’un membre fondateur du Mouvement des non-alignés.

Nous l’avons vu à nouveau en Afghanistan, envahi sous le prétexte juridique qu’il hébergeait un supposé criminel, Ben Laden, qui n’a jamais été accusé de crime [accusé, si. Reconnu coupable, jamais. NdT] et qui travaillait sous le commandement de l’armée étasunienne au Kosovo en 1998-1999, luttant contre le gouvernement yougoslave.

Nous l’avons vu avec l’Irak, sommé de remettre des armes qu’il n’a jamais eues, puis attaqué avec choc et effroi, une démonstration de puissance militaire conçue non seulement pour l’Irak mais pour le monde entier : voilà ce que nous vous ferons si vous ne jouez pas le jeu.

Nous l’avons vu avec le président Aristide à Haïti en 2004, lorsque des soldats américains et canadiens l’ont arrêté en pointant les fusils sur lui et l’ont exilé, l’ enchaînant en Afrique, pendant que le monde regardait ailleurs. Nous l’avons vu en 2010, lorsque le président Laurent Gbagbo a été arrêté par les Français et jeté dans les marécages de la Cour pénale internationale. Nous l’avons vu en 2011, lorsque l’OTAN a détruit la Libye socialiste et nous voyons aujourd’hui comment ils tentent la même chose contre la Syrie et l’Irak, l’Iran, la Corée du Nord, la Chine et, le plus important, contre la Russie.

Le paragraphe 15 n’est rien d’autre qu’un diktat, « obéis-nous ou nous ne pourrons pas retourner au statu quo » ce qui signifie, en fin de compte, la guerre.

Suit alors une longue série de paragraphes pleins de mensonges et de distorsions sur des événements tous imputés à la Russie. Ils savent que ce sont des mensonges et des distorsions, bien sûr, mais le principe est que ces communiqués sont générés à Washington comme outils de propagande destinés à être cités encore et encore dans les médias occidentaux et mentionnés par leurs diplomates et leurs politiciens dans tous les discours.

Au paragraphe 15 et ensuite, ils se réfèrent à leurs plans pour leur nouvelle Opération Barbarossa, l’accumulation des forces de l’OTAN en Europe de l’Est. Ils l’appellent le Plan de préparation à l’action. En d’autres termes, tous ces paragraphes exposent leurs plans pour préparer leur capacité logistique et stratégique dans le but d’attaquer la Russie. Qu’ils aient l’intention de le faire est maintenant clair, avec le placement de systèmes anti-missiles en Pologne et en Roumanie et bientôt sur le flanc sud-est de la Russie en Corée, des missiles destinés à garantir le succès d’une première frappe atomique sur la Russie par les forces nucléaires de l’OTAN. Les systèmes anti-missiles sont conçus pour intercepter tous les missiles de représailles lancés par les survivants en Russie. Mais, comme le président Poutine l’a relevé, ils peuvent aussi être utilisés directement de manière offensive.

Ils soulignent ensuite que les armes nucléaires sont une partie importante de leur stratégie, et déclarent dans le paragraphe 53 :

« La position de l’OTAN en matière de dissuasion nucléaire repose aussi, en partie, sur les armes nucléaires déployées en avant par les États-Unis en Europe et sur les capacités et l’infrastructure fournies par les Alliés concernés. » La crainte est qu’avec les récents exercices en Pologne et dans l’Arctique − dans lesquels l’usage de frappes aériennes pour lancer des armes nucléaires telles que des missiles de croisière nucléaires pointés sur la Russie − a joué un rôle important − les États-Unis et leurs alliés de l’OTAN projettent et préparent une attaque nucléaire sur la Russie. C’est la seule conclusion possible, puisqu’il est clair que la Russie n’a aucune intention d’attaquer aucun pays en Europe de l’Est ou ailleurs. Donc l’excuse donnée que la présence d’armes nucléaires en Europe est une dissuasion contre l’agression russe est clairement un mensonge et, par conséquent, leur présence ne peut avoir qu’un seul but : être utilisées pour une attaque.

La preuve est devant nous, le dossier est complet. Il est posé sur un bureau, il prend la poussière, il n’est d’aucune utilité pour personne, excepté le tribunal de l’opinion publique, et qu’est-ce que ça vaut, ces jours ci ? Mais peut-être que quelqu’un, là-bas, le prendra, le mettra au point et le donnera à un tribunal, peut-être quelqu’un du peuple, pour le peuple, mis en place par le peuple, pour juger ceux qui projettent de détruire le peuple, qui peut agir rapidement avant que le crime d’agression final soit commis contre la Russie ; contre nous tous.


Christopher Black est un juriste pénaliste international basé à Toronto, il est membre du Barreau du Haut-Canada et il est connu pour un grand nombre de cas très médiatisés portant sur les droits humains et les crimes de guerre, en particulier pour le magazine en ligne New Eastern Outlook.

Traduit par Diane, vérifié par Wayan, relu par Catherine pour le Saker francophone


=== 2 ===

http://www.marx21.it/index.php/internazionale/pace-e-guerra/27059-la-nato-accerchia-la-russia

La NATO accerchia la Russia

15 Luglio 2016
da “Avante!”, settimanale del Partito Comunista Portoghese

Traduzione di Marx21.it

Le esercitazioni militari della NATO Sea Breeze 2016, nel Mar Nero, sono iniziate l'11 luglio, dopo il vertice di Varsavia a cui hanno partecipato delegazioni di 28 paesi dell'Alleanza.

Le esercitazioni, che coinvolgono 25 navi e circa 1.700 militari di Bulgaria, Grecia, Romania, Turchia e USA, dureranno una settimana e rappresentano un altro passo nella scalata del confronto con la Russia. Non è stato certo un caso che il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, abbia annunciato al vertice di Varsavia che la decisione di ampliare la presenza aerea e marittima dell'Alleanza nella regione del Mar Nero sarà presa in autunno.

La stampa russa, a sua volta, ha informato che la Russia potrebbe rispondere con l'installazione nel Mar Baltico e nel Mar Nero di due nuovi radar “Girasole”, con la capacità di monitorare la zona costiera fino a circa 200 miglia nautiche, mentre il Cremlino ribadiva che “è assurdo parlare di una minaccia da parte della Russia”, mettendo in chiaro che il rafforzamento della presenza della NATO nel Mar Nero costringerà il paese ad assumere misure per garantire la sicurezza nazionale.

La “questione russa” è al centro della strategia degli Stati Uniti per la NATO, ma è ben lontana dal generare unanimità tra i partners dell'organizzazione, ha sottolineato il giornale nordamericano The New York Times. Secondo il giornale, paesi come Germania, Francia e Italia si dimostrano riluttanti sia verso le sanzioni economiche nei confronti di Mosca che in relazione alle iniziative militari che si sostiene essere indirizzate a “contenere la Russia”. Il primo ministro italiano Matteo Renzi ha partecipato recentemente al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, il presidente della Francia François Hollande ha riconosciuto la necessità della cooperazione con la Russia e il ministro degli Affari Esteri della Germania Frank-Walter Steinmeier ha criticato le esercitazioni militari della NATO in Polonia, osserva il The New York Times.

Secondo l'ex rappresentante permanente degli USA presso la NATO, Nicholas Burns, la “questione russa” potrebbe portare a divisioni tra i paesi dell'Alleanza. “Sono rimasto impressionato da tanta divergenza all'interno della leadership europea”, ha detto, citato da Sputnik.

La cooperazione tra Atene e Mosca in settori quali l'energia, il turismo e la difesa, e in particolare il progetto congiunto per produrre Kalashnikov in Grecia, è un'altra pietra nella scarpa della NATO, che potrebbe “pregiudicare seriamente la capacità dell'Alleanza di presentare un fronte unito in grado di impedire una possibile aggressione russa”, come ha dichiarato una fonte dell'Alleanza al The Telegraph.

Tali contraddizioni, a cui si aggiunge la recente ripresa delle relazioni commerciali tra la Russia e la Turchia, un altro membro dell'Alleanza Atlantica, non ha tuttavia impedito a Jens Stoltenberg di dichiarare, l'8 luglio, che la NATO dislocherà quattro battaglioni nei paesi Baltici e in Polonia nel 2017, con truppe di USA, Canada, Germania e Regno Unito, e di garantire che le relazioni con la Russia continueranno ad essere basate sulla “difesa” e sul “dialogo”.

Negli ultimi anni, la NATO ha costruito diverse nuove basi militari e ha rafforzato i suoi contingenti nell'Europa dell'Est. Secondo Jens Stoltenberg, l'organizzazione è ora più forte che mai dai tempi della Guerra Fredda.

=== 3 ===

http://www.marx21.it/index.php/internazionale/pace-e-guerra/27078-la-nato-e-la-maggiore-minaccia-per-leuropa

La NATO è la maggiore minaccia per l’Europa

27 Luglio 2016
di António Abreu | da resistencia.cc

Traduzione di Marx21.it

Con le sue ultime decisioni, la NATO pone sull’orlo del conflitto nucleare una serie di paesi dell’est europeo con circa un centinaio di milioni di abitanti. La guida della NATO, gli Stati Uniti, è lontana dal luogo del conflitto, ancora una volta nella storia, e mostra disprezzo per la vita di tante persone innocenti!

Al vertice dell’8 e 9 luglio a Varsavia, e con le più grandi esercitazioni militari mai realizzate in Europa, che erano cominciate giorni prima, diverse sono state le decisioni gravi, come riferito da molti commentatori come Eric Draitser*.

Particolarmente grave è l’espansione della presenza militare della NATO, con basi permanenti e sistemi di scudo anti-missile lungo le frontiere della Russia, particolarmente in Polonia e nei paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania. Sulla base di una presunta minaccia russa che si sarebbe manifestata quando questo paese ha accettato l’integrazione nel territorio della Federazione Russa della Crimea, decisa a stragrande maggioranza dalla sua popolazione in un referendum, o quando la Russia ha appoggiato le popolazioni russe del Donbass, aggredite, come in Crimea, dalle orde fasciste che gli USA avevano scatenato a sostegno del golpe in Ucraina.

I sistemi anti-missile includono la presenza di soldati nordamericani e, “per non molestare” la popolazione di questi paesi, la NATO “concede” loro la rotazione dei battaglioni corazzati e che siano essi (e non gli USA) ad avere il comando - il che è un’ipocrisia, dal momento che il comandante generale della NATO è sempre uno statunitense.

Per impedire qualsiasi interpretazione positiva della ripresa delle riunioni del Consiglio Russia/NATO, un cacciatorpediniere dotato di un sistema di missili teleguidato, USS Ross, equipaggiato con l’avanzato sistema di difesa missilistica Aegis, è entrato in azione nel Mar Nero e si è diretto verso il porto della città ucraina di Odessa, per unirsi alle esercitazioni marittime internazionali Sea Breeze 2016.

La NATO conosce bene la posizione della Russia in merito a questo atto provocatorio. “Distruggeremo queste armi. La Russia non tornerà mai a combattere sul proprio territorio”, ha dichiarato lo scorso 13 luglio a Der Spiegel Serghey Karaganov, del Ministero degli Affari Esteri russo.

Putin si è affrettato a rispondere alla provocazione, dando l’indicazione di procedere all’ispezione dello stato di preparazione al combattimento delle forze russe e dei loro arsenali. Il nuovo segretario generale della NATO, Stoltenberg, ha reagito dicendo che non si sta provocando il ritorno alla “guerra fredda” e che nessun paese membro della NATO si trova sotto minaccia.

Tuttavia, la decisione è stata presa e l’installazione in Polonia e Romania, fin da ora, di sistemi anti-missile non è rimasta senza risposta. Un arsenale russo è stato installato a Kaliningrad, enclave russa tra Polonia e Lituania, abitata da 400.000 persone.

La NATO, comunque, è chiaramente indebolita sul piano dell’opinione pubblica. Ed è per questo che, prima e dopo il vertice, essa continua con una narrazione relativa agli interventi in Iraq e Afghanistan che omette le tragedie che le popolazioni di questi due paesi hanno sofferto a causa loro. E che, ancora una volta, non ha avviato una riflessione in merito alla fallita previsione sul fatto che la fine dei paesi socialisti dell’est europeo avrebbe fatto cessare le tensioni internazionali e promosso i diritti umani, la pace e la prosperità. Oggi è chiaro alla maggioranza di coloro che avevano creduto a tali aspettative che la NATO, ormai a briglia sciolta, è stata solo una macchina da guerra che paesi dell’Europa, del Medio Oriente e del Nord Africa hanno pagato ben caro.

La NATO fu creata nel 1949, per corrispondere militarmente al Piano Marshall e più tardi alla Comunità Economica Europea (CEE), per essere uno strumento di minaccia nei confronti dei sovietici e per dissuaderli dall’appoggiare i comunisti occidentali, usciti dalla guerra con il prestigio del loro ruolo eroico, e a volte decisivo, nella liberazione dal nazi-fascismo. Ha cercato di essere sempre, nella pratica, il braccio armato dell’Unione Europea.

Di fronte all’aggressività della NATO, il paesi socialisti crearono nel 1955 il Patto di Varsavia e in seguito il Comecon, con somiglianze, ma non coercitiva come la CEE. I due patti militari posero fuori dalla sfera di influenza della Carta delle Nazioni Unite le loro forze armate accettando, in entrambi i patti, di collocare le proprie truppe, in pratica, sotto il comando, degli USA e dell’URSS.

Nel 1998, la NATO ha condotto la sua prima guerra. E soprattutto contro un paese europeo e piccolo, dopo lo smembramento sanguinoso della Jugoslavia, la Serbia (ho avuto la possibilità di stare a Belgrado sotto i bombardamenti della NATO). Gli USA hanno creato la mafia terrorista kosovara che hanno formato nella base turca di Incirlik, che ora ha avuto un ruolo di rilievo nel golpe in Turchia della settimana scorsa.

Sebbene la maggior parte delle persone abbia considerato naturale che la NATO potesse estinguersi dopo la fine del Patto di Varsavia e della “minaccia sovietica”, dopo l’11 settembre 2001 l’alleanza è stata rilanciata per combattere il terrorismo. Ma, una volta ancora, al vertice di Varsavia la questione del terrorismo non ha richiamato che retorica. Il fermo coordinamento internazionale della lotta contro il terrorismo, che sta intensamente frequentando l’Europa, è passato in secondo piano.

Nel 2011, la NATO ha coordinato la caduta del regime libico e l’uccisione selvaggia di Muammar Gheddafi (come già era stato fatto con Saddam Hussein). Nel 2012, ha coordinato lo scatenamento degli interventi contro la Siria, a partire dal Comando Alleato di Terra di Smirne, pure in Turchia. E dato che la NATO ha cominciato ad agire fuori dall’Europa, presto sono stati integrati nell’Alleanza altri paesi di questa area: Kuwait, Qatar, Giordania, Israele e Bahrein.

Al vertice di Varsavia, gli USA hanno dovuto ascoltare la voce del presidente francese, mentre l’Inghilterra ha rifiutato di aumentare il suo contributo finanziario. Ma sono solo noccioline rispetto a ciò che sarebbe richiesto ai dirigenti europei per fermare la bestia.

Già mesi fa, il Dipartimento di Stato aveva reclamato la quadruplicazione del bilancio destinato a finanziare le citate misure di rafforzamento della NATO. L’amministrazione degli Stati Uniti desidera che i partner della NATO rafforzino le loro contribuzioni, questione che è oggetto di discussione.

Attualmente, ogni membro deve pagare il 2% del suo PIL per acquistare armi in linea con le norme della NATO…che si trovano solo presso i fornitori degli USA!!!...Le industrie nazionali di armamento, nel frattempo, sono state messe da parte. Tuttavia, mentre la Russia ha già ricostruito e modernizzato la sua industria degli armamenti e la Cina è in procinto di raggiungere gli stessi livelli di qualità e produzione, gli Stati Uniti e la NATO stanno gradualmente marcando ritardi.

Sono proprio le debolezze degli USA, che si estendono a diversi settori, che possono scatenare azioni con gravi conseguenze per l’umanità.

Fonte: AbrilAbril

*Eric Draitser è fondatore di StopImperialism.org e commentatore di CounterPunch Radio. ericdraitser@...





(english / srpskohrvatski / italiano)

Jihad dal Kosovo
... la scoperta dell'acqua calda continua ...


0) Altri link e flashback sul Kosovo come punto di irradiazione del jihadismo

1) Kosovo's Daesh Camps Act as Creche for Young Terrorists / Isis, il campo di addestramento in Kosovo? È a due passi dalla base americana della Nato / Kosovo: Daesh addestra i terroristi sotto gli occhi di Nato e Ue

2) Nikolic: “Il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo sarà un modello per la formazione dello Stato Islamico”

3) GEN 2016: Sventato attentato jihadista al monastero di Decani / Uhapšeni pri pokušaju napada na Dečane

4) GEN 2016, ALLARME IN ITALIA: Albania crocevia dei jihadisti (La Stampa) / Velika opasnost u Italiji od džihadista iz Balkanske Brigade

5) FLASHBACK 2006: Abu Hamza: Bill Clinton zahtijevao je da se naselimo na Kosovu [Ai jihadisti bosgnacchi "Clinton chiese che ci trasferissimo in Kosovo"]


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ALTRI LINK E FLASHBACK SUL KOSOVO COME PUNTO DI IRRADIAZIONE DEL JIHADISMO:

Albanian women from Kosovo province training ISIS terrorists (January 30, 2016 – Grey Carter)
Security experts claim that women mostly start fighting for ISIS while following their husbands, but there are those that think it is their moment to join the “holy mission”...
SOURCES: 
http://www.novosti.rs/vesti/naslovna/dosije/aktuelno.292.html:229464-Krici-iz-podruma-strave

Jihad dal Kosovo? Che bella scoperta... (Dicembre 2015)
0) LINKS: Flashbacks / News / Par Daniel Salvatore Schiffer
1) 4 arresti tra Brescia e Kosovo. La 'mente' del gruppo, un cittadino kosovaro che ha vissuto diverso tempo in Italia
2) Inside Kacanik, Kosovo's jihadist capital (The Telegraph, 23 Aug 2015)

KOSOVO, IL PICCOLO ISIS D'EUROPA (Dicembre 2015)

KOSOVO – CORRIDOR FOR RADICAL ISLAM INFLUX INTO EUROPE, SAYS DIPLOMAT IN MOSCOW (November 3, 2015 – by Grey Carter)
Kosovo could become a corridor for radical Islam breaking into Europe since the European Union is not yet ready to solve the migrant problem, Serbian ambassador to Russia Slavenko Terzic said on Tuesday...
https://theremustbejustice.wordpress.com/2015/11/03/kosovo-corridor-for-radical-islam-influx-into-europe-says-diplomat-in-moscow/
ORIG.: http://tass.ru/en/world/833748

Circa 20 famiglie kosovare sono andate in Iraq e Siria per combattere nelle file dell’Isis (20. 07. 2015.)

STATO ISLAMICO DELL’IRAQ E DEI BALCANI (in JUGOINFO 28/6/2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8333



Isis: il reclutamento in Kosovo passa dalle Ong (di Dino Garzoni | 07 Aprile 2015)
Sono finanziate da Arabia ed Emirati. Arruolano ragazzi minorenni per 400 euro. E trasformano i più meritevoli in spietati jihadisti. Pagandoli fino a 30 mila euro...
http://www.lettera43.it/esclusive/isis-il-reclutamento-in-kosovo-passa-dalle-ong_43675164282.htm
Kosovo, il nuovo "serbatoio" di estremisti islamici al di là dell'Adriatico (di di FABIO POLESE, 20 ottobre 2014)
Una nuova frontiera dell'estremismo islamico. A settembre, in un blitz a Pristina, sono finiti in manette quindici seguaci dell'Isis - lo Stato islamico guidato da Al-Baghdadi. Secondo gli investigatori costituivano la spina dorsale di una rete che ha fatto arrivare in Iraq e in Siria più di 150 volontari pronti a combattere e a morire. Tra gli arrestati nove sono imam delle moschee di Pristina...
I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo. Le esecuzioni postate su Facebook (di PAOLO FANTAUZZI, 8 settembre 2014)
Centinaia di combattenti partiti per Iraq e Siria. Decine di fondamentalisti arrestati. Sedici vittime accertate. Un kamikaze saltato in aria a Bagdad. E un leader dell’Isis che pubblica sui social le decapitazioni. A sei anni dall’indipendenza, l’ex provincia serba si sta rivelando una fucina di terroristi...
http://espresso.repubblica.it/internazionale/2014/09/05/news/i-nuovi-jihadisti-vengono-dal-kosovo-nei-balcani-ci-sono-20-cellule-terroristiche-1.178937

I TAGLIATORI DI TESTE SCHIPETARI DELL'ISIS (in JUGOINFO del 13.8.2014)
Armi da Croazia, Bosnia e Kosovo per i terroristi anti-siriani (JUGOINFO del 2.3.2013)

SUI TERRORISTI SIRIANI ADDESTRATI DALL'UCK IN KOSOVO:

Nov. 24, 2004 – Dan: AL-QAEDA IS BUILDING TERRORIST CAMPS IN KOSOVO (by M.B Trajkovic)
http://www.slobodan-milosevic.org/news/dan112404.htm

Apr. 25, 2004 – Borba: MILITANT ISLAMIST TRAINING CAMPS IN BOSNIA AND KOSMET (by Madeline Zapeezda)

March 19, 2004 – New Kosovo Violence is Start of Predicted 2004 Wave of Islamist Operations (by Gregory R. Copley – Defense & Foreign Affairs Daily)
The major wave of violence instigated in the Kosovo region of Serbia on beginning on about March 14, 2004, and escalating dramatically through March 18, 2004, is the start of the forecast series of unrest, guerilla warfare and terrorist activity planned by radical Islamist leaders in Bosnia, Albania, Iran and in the Islamist areas of Serbia, and directly linked with the various al-Qaida-related mujahedin and terrorist cells in the area...

Feb. 1, 2004 – Associated Press: ARMY INTELLIGENCE CHIEF SAYS AL-QAIDA IN KOSOVO
https://groups.yahoo.com/neo/groups/globalobserver/conversations/messages/3635


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Kosovo's Daesh Camps Act as Creche for Young Terrorists

22.7.2016

There are at least five Daesh military training camps in Kosovo, located in remote areas near the self-proclaimed republic's border with Albania and Macedonia, a source close to the intelligence services told Sputnik.


In an interview with Sputnik, a source close to the intelligence services singled out at least five Daesh (ISIL/ISIS) training camps, located in remote areas near Kosovo's border with Albania and Macedonia.
The largest camps are located in areas adjacent to the towns on the Urosevac and Djakovica line as well as the Decani district, the source said, adding that the smaller camps were tracked in the Prizren and Pec regions.

A total of 314 Kosovo Albanians along with Daesh terrorists are now fighting government troops in Syria and Iraq, among them 38 women, according to the source.

As for the recruitment, it takes in two stages; the first is conducted by non-governmental organizations that operate in Kosovo and at numerous private schools, the source said.

"The future Daesh terrorists are 'brainwashed' there and they also learn Arabic and study the Koran, something that is followed by so-called 'combat practice' training, headed by former members of the Kosovo Liberation Army (KLA). They typically teach the rookies to wage guerrilla warfare and handle guns, among other things," according to the source.

"In addition, each camp has several Daesh terrorists who decide on sending the rookies to the war or preparing them for the role of suicide bombers," the source said, citing about 70 Kosovo Albanian families who decided to join Daesh.

The source also warned of the possible spread of such camps to Macedonia and in Bosnia, where about 800 jihadists arrived during the wars in the 1990s. As far as Macedonia is concerned, the country is just beginning to grapple with the problem, the source said, referring to Macedonian villages which were earlier KLA centers and which have already been turned into Daesh training camps.  

In 2013, the Western Balkans Security Issues news website [ http://www.wbrc.rs/?page_id=351 ] warned of the territory of Kosovo and Albania being used for Daesh training camps, something that was recognized by Kosovo authorities only a year later. 

Meanwhile, the source has told Sputnik that the training process dates back to 1999, when al-Qaeda terrorists were involved in training the KLA militants in Kosovo.

In a separate interview with Sputnik earlier this week, Fadil Lepaja, director of the Center for Balkan Studies in Pristina, shared the view that with Kosovo's borders with Albania and Macedonia existing only on paper, tracking Islamists' training camps is almost impossible.
He noted that tackling Daesh supporters is a global problem, rather than one limited to Kosovo and Albania. Even though NATO's mission in Kosovo (KFOR) and all relevant services keep a watchful eye on those who have returned from the war in Syria, it is hard to foresee everything, according to him.

Kosovo declared independence from Serbia in 2008 after spending several years under UN administration. It is recognized by Washington and many EU member nations.

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Isis, il campo di addestramento in Kosovo? È a due passi dalla base americana della Nato


Secondo gli 007 di Pristina lo Stato islamico ha nel Paese almeno cinque campi di esercitazione. E il maggiore è proprio vicino a Bondsteel, la più grande struttura militare fuori dagli Usa. A fare da docenti, alcuni ex militanti dell’Uck, gli “eroi” della guerra con la Serbia

DI PAOLO FANTAUZZI
27 luglio 2016
Almeno cinque campi, di cui - se non tutto - l’impressione è che si sappia molto. Se la presenza di cellule fondamentaliste nell’area dei Balcani è cosa nota (due anni fa l’Espresso ne aveva censite una ventina in tutta la regione), adesso arriva la conferma dell’esistenza di un livello superiore. Prevedibile, per alcuni versi, ma finora mai resa nota più o meno ufficialmente: la presenza di campi di addestramento dell'Isis in Kosovo.

Dove gli aspiranti jihadisti di etnia albanese, oltre a studiare l’arabo e il Corano, imparano a maneggiare le armi, si esercitano col tiro e apprendono nei boschi le tecniche di guerriglia. Sotto la supervisione di ex paramilitari dell’Uck, l’esercito di liberazione dei tempi della guerra con la Serbia, considerati autentici eroi in patria (statue dedicate ai combattenti si trovano praticamente in ogni città).

Secondo fonti di intelligence citate dall’agenzia russa Sputnik i principali campi allestiti dallo Stato islamico sono a Ferizaj, Gjakovica e Dečani, mentre altri più piccoli sarebbero stati individuati a Prizren e Pejë. Anche senza conoscere la geografia del luogo, è importante tenere a mente alcune di queste località perché rappresentano l’emblema dell’incapacità occidentale di prevenire la diffusione del radicalismo islamico, visto che il Kosovo è tuttora una nazione sotto tutela Nato in cui risiedono migliaia di militari dell’alleanza atlantica. Il simbolo di questa “disfatta” è rappresentato proprio dalla città di Ferizaj, 100 mila abitanti non lontano dal confine con la Macedonia: a Sojevë, pochi chilometri fuori dal capoluogo, c’è infatti Camp Bondsteel. Realizzato nel 1999 ai tempi della guerra, col suo perimetro lungo 14 chilometri, è attualmente la più grande e costosa base americana mai costruita al di fuori degli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam, in cui si calcola che vivano circa 7mila fra soldati e impiegati civili.

Una presenza tanto massiccia, però, non solo non ha rappresentato un deterrente per l'Islam radicale, ma non è nemmeno riuscita a impedire che l’area diventasse un centro nevralgico di reclutamento: nell’agosto 2014, nella più grande operazione mai condotta dalle autorità kosovare, su 40 terroristi arrestati ben 11 provenivano dalla città di Ferizaj. Del resto c’è poco da meravigliarsi: in passato a Camp Bondsteel, secondo una versione mai smentita, ha lavorato anche Lavdrim Muhaxheri, il comandante della famigerata “brigata balcanica” al servizio del Califfo, noto per le sue atrocità (come le esecuzioni postate su Facebook raccontate dall’Espresso). E per la base Usa sarebbe passato pure Blerim Heta, un kamikaze che poi si è fatto saltare in aria a Bagdad.

Altra città-simbolo è quella di Gjakovica, che invece è non lontana dal confine con l’Albania: nell’aeroporto cittadino ha sede il distaccamento aeronautico Amiko (Aeronautica militare italiana in Kosovo). Neppure in questo caso il controllo dei cieli da parte della missione Kfor ha impedito che l’Isis dilagasse e impiantasse nei paraggi un suo campo di addestramento, stando alle informazioni dell’intelligence. Esattamente come a Pejë, dove sorge il Villaggio Italia, e Prizren, dove la presenza dell’Alleanza atlantica è altrettanto massiccia. E pure a Dečani, dove la Nato controlla insieme alle Nazioni unite il trecentesco monastero ortodosso serbo, patrimonio Unesco, dai rischi delle violenze dell’etnia albanese. Del resto le minacce non mancano. A gennaio, ad esempio, quattro uomini sono stati fermati davanti all’entrata e trovati in possesso, a bordo della loro auto, di un kalashnikov, una pistola e diverse munizioni. Da dove venivano? Sarà una coincidenza ma a eccezione di uno, tutti erano originari proprio delle città in cui si trovano i campi di addestramento: Ferizaj, Gjakovica e Prizren.

D’altronde basta guardare ai numeri per rendersi conto di quanto la penetrazione del radicalismo islamico in Kosovo rappresenti un problema troppo a lungo sottovalutato. Secondo i dati forniti nei giorni scorsi dal ministro dell'Interno, Skender Hyseni, almeno 57 foreign fighters sono morti in combattimento, una quarantina sono stati fermati prima che potessero partire, 102 sono stati arrestati sospetti di attività terroristica e altri 17, benché a piede libero, sono sotto indagine. E al seguito dei combattenti (almeno 300 quelli di etnia albanese, stimano le organizzazioni indipendenti) ci sarebbero anche 38 donne e 27 bambini.

Il tutto, in una regione di due milioni scarsi di abitanti, grande quanto l’Abruzzo, a poche centinaia di chilometri in linea d’aria dalla Puglia e soprattutto autoproclamatasi indipendente dopo un intervento militare che doveva servire a portare la sicurezza e la pacifica convivenza nel Paese. 

Invece, solo a scorrere le cronache degli ultimi mesi, c'è da riflettere.

La settimana scorsa a Pristina per terrorismo sono stati condannati in cinque, con pene comprese fra 4 e 13 anni di carcere: avevano giurato fedeltà all’Isis e stavano preparando un video da diffondere in rete per dimostrare la presenza dello Stato islamico anche nel Paese. E che i simpatizzanti non manchino lo dimostra anche la scritta, ritrovata lo scorso marzo sulla facciata della chiesa ortodossa di San Nicola, sempre nella capitale: “Isis is coming”, l’Isis sta arrivando, scritto in inglese perché fosse più chiaro. Forse non proprio una casualità, dal momento che quel giorno ricadeva il dodicesimo anniversario delle violenze che nel 2004 portarono all’incendio di numerosi luoghi di culto della minoranza serba. Senza contare che proprio in Kosovo erano le menti della cellula jihadista stroncata a dicembre dalla Procura di Brescia. Obiettivo: disintegrare l’Europa e imporre la sharia.

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Kosovo: Daesh addestra i terroristi sotto gli occhi di Nato e Ue


di Redazione Contropiano, 28 luglio 2016

Quando denunciamo le responsabilità europee e statunitensi nella nascita e nella crescita delle organizzazioni jihadiste che stanno seminando il terrore dal Medio Oriente all’Europa, dall’Asia all’Africa non ci riferiamo soltanto al fatto che decenni di guerre, destabilizzazione, embarghi e interventi imperialisti di vario tipo hanno creato il terreno fertile affinché un numero sempre maggiore di musulmani si aggreghino allo Stato Islamico, ad al Qaeda o a Boko Haram.

In alcuni casi le responsabilità sono dirette, esiste una precisa filiera che parte dai governi e dagli stati maggiori dei paesi membri dell’Unione Europea e degli Stati Uniti e che arrivano fino alle reti del terrore che le organizzazioni jihadiste creano nei territori.
Ne abbiamo parlato in passato della presenza del jihadismo nella penisola balcanica. Una penetrazione che risale agli anni ’90, quando l’amministrazione statunitense e le potenze europee, Germania in primo luogo, soffiarono sulle divisioni etnico-religiose già esistenti nell’allora Jugoslavia per destabilizzare uno stato che nel corso di alcuni anni, dopo guerre civili sanguinose e criminali missioni militari occidentali, ha cessato di esistere.

Un’operazione che ha potuto contare sull’attiva e interessata collaborazione delle petromonarchie e poi della Turchia, che hanno riversato miliardi di dollari sulla Bosnia, sulla Macedonia, su alcune province della Serbia come il Kosovo e il Sangiaccato, per favorire l’affermazione di forze fondamentaliste ed in alcuni casi esplicitamente jihadiste da utilizzare per allungare i tentacoli dell’Arabia Saudita sui Balcani. Abbiamo parlato più volte, nei mesi e negli anni scorsi, della penetrazione dello Stato Islamico particolarmente in Kosovo ed in Macedonia, dove la sigla terroristica ha potuto contare sulle infrastrutture, mai sciolte del tutto, ereditate dai gruppi della guerriglia albanese tuttora in parte attiva e caratterizzata da una identità sempre più integralista islamica.

Negli ultimi giorni nuove notizie hanno suscitato allarme sulla reale entità della presenza jihadista nel narcostato creato dalla Nato e dalle petromonarchie. I campi di addestramento dello Stato Islamico in Kosovo sarebbero ben cinque, e si troverebbero a Ferizaj, Gjakovica, Dečani, Prizren e Pejë. Qui centinaia di aspiranti jihadisti, per lo più di etnia albanese provenienti da vari paesi, oltre a studiare l’arabo e una versione paranoica del Corano, imparano ad usare le armi e gli esplosivi e varie tecniche di guerriglia, addestrati da alcuni uomini del Califfato e da ‘ex’miliziani dell’Uck, il cosiddetto “esercito di liberazione” kosovaro che grazie alla guerra scatenata dall’Alleanza Atlantica contro la Jugoslavia nel 1999 riuscì ad imporsi nell’ex provincia autonoma di Belgrado diventata ‘indipendente’.

Il tutto avviene in un piccolo territorio che di fatto è ancora un protettorato dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione Europea, istituzioni che in Kosovo possono contare sulla presenza di varie basi militari, di centri di comando e di controllo, di decine di migliaia di militari, osservatori e funzionari civili. Ad esempio il campo di addestramento di Daesh di Ferizaj si troverebbe a pochi chilometri da Camp Bondsteel, la più grande base militare che gli Stati Uniti abbiano mai realizzato fuori dal proprio territorio dopo la guerra del Vietnam, che ospita mediamente 7000 tra soldati e impiegati civili. Vicino a Gjakovica, altra città kosovara che ospita uno dei campi di addestramento del Califfato, ha sede il distaccamento aeronautico Amiko (Aeronautica militare italiana in Kosovo), il che non ha impedito che Daesh proliferasse ad un passo dalle installazioni della missione Kfor. E lo stesso avviene a Pejë, dove sorge il Villaggio Italia, e a Prizren, dove la presenza dell’Alleanza atlantica è altrettanto consistente.

Quando lo Stato Islamico non era ancora considerato un problema dagli Stati Uniti, Lavdrim Muhaxheri, il comandante della famigerata “brigata balcanica” di Daesh, ha lavorato a Camp Bondsteel, e lo stesso dicasi per Blerim Heta, un kamikaze albanese che si è poi fatto saltare in aria a Baghdad. 

La vicenda è stata riportata a galla da alcuni reportage realizzati da alcuni media internazionali dopo l’arresto di quattro cittadini kosovari accusati di essere membri della rete terroristica dello Stato Islamico. Notizie di arresti sono frequenti in Kosovo, in Macedonia, in Bosnia, nella stessa Serbia. Secondo i dati forniti nei giorni scorsi dal ministro dell’Interno kosovaro, Skender Hyseni, almeno 57 foreign fighters sono morti in combattimento, una quarantina sono stati fermati prima che potessero partire, 102 sono stati arrestati perché sospettati di aver partecipato ad attività terroristiche.

Ma a finire in manette sono solo una piccola percentuale dei miliziani del Califfato o degli aspiranti jihadisti, mentre la maggior parte continuano ad operare indisturbati nelle enclavi fondamentaliste balcaniche.


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Nikolic: “Il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo sarà un modello per la formazione dello Stato Islamico”

Posted on 01/02/2016 by Milica Minovic

“A coloro che hanno costituito lo stato islamico è stato da modello il riconoscimento del Kosovo come uno stato indipendente”ha detto da Tomislav Nikolic, Presidente della Serbia in un’intervista al quotidiano etiope “Capitol” di Addis Abeba, dove Nikolic è attualmente presente in occasione del summit dell’Unione africana. Il presidente Nikolic ha sottolineato che i negoziati della Serbia con il Kosovo e l’Unione europea sono in una situazione molto delicata.
Egli ha stimato che il riconoscimento del Kosovo come uno stato indipendente è servito da modello a coloro che hanno formato lo Stato Islamico. “Mi sembra che il riconoscimento di tale cosiddetto Stato (Kosovo), creato attraverso il terrorismo, è servito a coloro che hanno formato il cosiddetto Stato Islamico”, ha detto Nikolic, aggiungendo che tutti noi possiamo testimoniare il fatto che lo Stato Islamico è riconosciuto da alcuni paesi nel mondo.
“La situazione riguardo il Kosovo è molto complessa. Siamo in buona fede e nel desiderio di contribuire a un dialogo aperto con il Kosovo al più alto livello. E ‘difficile negoziare con il Kosovo, quando questo sostiene di aver creato uno stato indipendente e quando i negoziati si svolgono in Unione europea, i cui principali membri hanno riconosciuto la sua indipendenza”, ha detto Nikolic. Egli ha detto che anche i negoziati tra Belgrado e l’Unione europea sono in una situazione delicata ed questo è a causa dei negoziati col Kosovo. 
“Prima di entrare nell’Ue come membro, abbiamo l’obbligho di arrivare a un accordo col Kosovo. Questo accordo difficilmente sarà possibile, perché la Serbia non riconoscerà mai l’indipendenza del Kosovo. Noi comunque potremmo ammettere la sua specificità “, ha detto Nikolic.
Come riportato da Tanjug, il presidente ha sottolineato che il movimento separatista dell’UCK è stato designato come terrorista dagli Stati Uniti nel 1998., mentre dopo nel 1999, la Serbia è stata bombardata al fine di riconoscere la indipendenza di Kosovo, il che la Serbia certamente non voleva, ma dopo la comunità internazionale con “questi stessi terroristi ” cerca di stabilire uno stato nel Kosovo.
“Il Consiglio di sicurezza non riconoscerà mai questo stato come indipendente, perché ci sono grandi paesi contro come la Russia e la Cina, e spero che fino al 2017, anche grazie a un rappresentante dell’Etiopia come membro non-permanente del Consiglio, non potranno mai accettare e metteranno un veto come sul desiderio degli altri di fare del Kosovo un membro delle Nazioni Unite” ha detto il presidente.

(Politika, 31.01.2016)


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http://www.tio.ch/News/Estero/Cronaca/1068415/Estremisti-islamici-armati-arrestati-al-monastero-di-Decani/

Estremisti islamici armati arrestati al monastero di Decani

L'arresto è avvenuto nella tarda serata di ieri in una operazione congiunta da parte della polizia kosovara e dei militari della Kfor, la Forza Nato in Kosovo

31/01/2016

PRISTINA - Quattro estremisti islamici armati sono stati arrestati davanti all'ingresso principale del monastero di Visoki Decani, in Kosovo. Come riferiscono i media a Belgrado, si tratta di quattro kosovari di etnia albanese provenienti da altrettante località del Kosovo.
L'arresto è avvenuto nella tarda serata di ieri in una operazione congiunta da parte della polizia kosovara e dei militari della Kfor, la Forza Nato in Kosovo. Nella loro auto sono stati rinvenuti un fucile Kalashnikov, una pistola e un quantitativo di munizioni, oltre ad alcuni libri di contenuto estremista islamico.
L'abate di Visoki Decani Sava Janjic ha detto che tale episodio è l'ulteriore dimostrazione che la presenza delle truppe Kfor è ancora vitale per la sicurezza del monastero, che è incluso nella lista del patrimonio mondiale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco).Is
Il direttore dell'Ufficio governativo serbo per il Kosovo Marko Djuric ha espresso grande preoccupazione, invitando le autorità di Pristina a contrastare il crescente estremismo religioso in Kosovo invece di fare polemiche e ritardare in tutti i modi la creazione dell'Associazione delle comunità serbe in Kosovo. (ats ansa)

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Attentato sventato al monastero di Decani (di Emanuele Rossi, 01/02/2016)
Sabato 30 gennaio, intorno alla 9 di sera, quattro persone sono state fermate davanti al monastero ortodosso di Visoki Decani, in Kosovo. L’azione congiunta della ‪Kosovo Police (KP) e della ‪‎KFOR‬ (la forza di peacekeeping Nato che si trova sul posto dalla fine della guerra del 1999) ha bloccato una Volkswagen Golf bianca targata Uroševac (Ferizaj) davanti al cancello principale del monastero, e dopo il controllo dei documenti s’è scoperto che i quattro uomini portavano con sé una AK47 Kalashnikov, una pistola e diverse munizioni. Tra i contenuti del veicolo, diversi testi di predicazione islamica radicale. Secondo le notizie pubblicate dai media locali, i quattro uomini sarebbero kossovari provenienti da diverse parti del paese: Gnjilane, Uroševac, Prizren e Djakovica...
Izvor: www.kurir.rs 

(VIDEO) ONI SU UHAPŠENI PRI POKUŠAJU NAPADA NA DEČANE: Pogledajte kako su sprovedeni na saslušanje

Crna Hronika 16:04, 02.02.2016

Osnovni sud u Peći odredio je meru pritvora od 30 dana za četiri osobe koje su uhapšene u blizini manastira Visoki Dečani, potvrdila je danas za prištinske medije sutkinja prethodnog postupka Violeta Usaj Rogova.

Ne propustite...

• DETALJI HAPŠENJA ISPRED MANASTIRA DEČANI: Uhapšeni islamisti ratovali u Siriji

• ALBANSKI TERORISTI HTELI DA POBIJU SRPSKE MONAHE: Detalji paklenog plana!

• SPREČEN TERORISTIČKI NAPAD NA VISOKE DEČANE: Uhapšena četvorica naoružanih islamista

Ona je navela da su oni osumnjičeni za posedovanje oružja bez dozvole, što je potvrdila i tužilac Osnovnog tužilaštva u Peći, Valjbona Hadjosaj.

Iznoseći obranu, osumnjičeni su priznali da su posedovali oružje, ali su kazali da su krenuli da kampuju u planinama Dečana.

Prilikom hapšenja u blizini manastira Visoki Dečani osumnjičeni su imali  u automobilu kalašnjikov sa 20 metaka i jedan pištolj, navedeno je u odluci o sprovodjenju istrage.

Osnovno tužilaštvo u Peći sumnja da je jedan od četvorice uhapšenih u subotu kod manastira Visoki Dečani borio u Siriji, dok je drugi uhapšeni pokušao da otputuje na Bliski istok ali je sprečen i vraćen na Kosovo.

Četvorica uhapšenih pojavili su se pred Osnovnim sudom u Peći, ali je proces protiv njih prekinut zbog završetka radnog vremena suda, u 16:00 časova. Dodaje se da tužilaštvo u Peći još nije pribavilo dokaze da su osumnjičeni želeli da izvrše teroristički napad, već se za sada terete za posedovanje oružja bez dozvole.

Iznoseći odbranu osumnjičeni su priznali da su posedovali oružje, ali su rekli da su krenuli da kampuju u planinama Dečana. Prilikom hapšenja u blizini manastira Visoki Dečani [ http://www.kurir.rs/pretraga?q=de%C4%8Dani ] osumnjičeni A.Y, A.K, K.K i K.A, za koje se u medijima navodi da su pripadnici vehabijskog pokreta, imali su u automobilu kalašnjikov sa 20 metaka i jedan pištolj belgijske proizvodnje, navodi se u odluci o sprovođenju istrage.

Tužilac Valbona Disha- Haxhosaj je pred sudom izjavila da su ispunjeni svi uslovi da se njima odredi pritvor i ocenila da osumnjičeni mogu biti odgovorni i za oružani napad na kuću jednog Srbina u selu Berkovo, u opštini Klina na dan kada su uhapšeni.

Ovo navođenje tužioca je negirano od strane okrivljenih. Dalje je tužilac navela sumnje tužilaštva da je osumnjičeni A.Y. učetsvovao u ratu u Siriji, dok je drugi osumnjičeni A.K. sprečen u Istanbulu u pokušaju odlaska na ratište u Siriji. Sud u Peći očekuje da se u narednih 48 sati donese odluka da li će optuženi ostati u pritvoru ili će se braniti sa slobode.


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UZBUNA U ITALIJI

Preti nam velika opasnost od džihadista iz BALKANSKE BRIGADE

Beta | 02. 01. 2016

Italijanske vlasti i službe bezbednosti su dale znak za uzbunu jer je utvrđeno da "opasnosti od terorizma ne vrebaju samo iz Libije i Sirije, već se novi teroristički front protiv Italije otvorio na istoku, opasnost se zove Balkanske brigade… i pretnja stiže preko Albanije i Kosova".
To danas piše italijanski list Stampa, pozivajući se na izvore italijanskih bezbednosnih službi i Kfora na Kosovu, gde, prema podacima NATO snaga, ima preko 900 islamističkih terorista.
Torinski dnevnik ukazuje na to da se "malo zna, ali eksplozija džihadističkog žara medju albanski govorećim stanovništvom veoma brine evropske, američke i blistoistočne antiterorističke službe".
"Mreže albanskih džihadista, čije su vođe harizmatični imam, vrbuju pristalice u albanskoj dijaspori u Evropi, uključujući Italiju".
A, piše Stampa, "sa Kosova potiče, srazmerno stanovništvu, najveći broj stranih džihadista iz Evrope koji se bore u Siriji i džihadisti Albanci zauzimaju visoke položaje medju borbenim formacijama kalifa Al Bagdadija", vodje terorističke "Islamske države Sirije i Iraka".
Italijanski list ukazuje na to da je i sam premijer vlade u Rimu Mateo Renzi rekao da je zazvonilo na uzbunu zbog opasnosti "balkanskog džihadizma", ali su i jordanske službe bezbednosti upozorile da "je Jordan jedna od najviše zabrinutih zemalja zbog izrastanja fronta džihadista Kosovo-Albanija".
"Mreža džamija i ekstremističkih imama u Albaniji veoma brine našu zemlju, a najveći broj evropskih džihadista je prošao preko Prištine i Tirane", dodaje Stampa, ukazujući na činjenicu da su italijanske vlasti od januara do decembra 2015. godine proterale 65 imigranata, ilegalaca ili lica s dozvolom boravka, pošto je utvrdjeno da su u sprezi s teroristima.
"Tih 65 muškaraca i žena su pripremali atentate i koristili našu zemlju kao operativnu bazu za sejanje terora u Evropi", dodaje se.
Neki od njih su, kazuju podaci italijanskih obaveštajaca, bili "usamljenji vukovi… za razliku od dobro uhodanih i ideologijom islama zadojenih klanova koji se šire Balkanom, gde vehabitski islam prodire svakodnevno snažno i zabrinjavajuće".

Albanija je ono što je Belgija za Francusku

"Balkanska ruta islamista ima snažne veze s Italijom i direktno stiže u našu kuću, a naše antiterorističke snage pomno prate krugove balkanskih fundamentalista, svesni koliko su oni operativno opasni", objašnjava Stampa.
I prenosi upozorenje rimskih vlasti da su "stvari otišle toliko daleko da se strahuje da je Albanija postala ono što je Belgija za Francusku: uporište s jatacima i logistikom odakle se planiraju napadi".
Iako je, kako ukazuje torinski list, islam na jugoistoku Evrope ranije smatran umerenim, pad komunizma i sukobi su otvorili put prodoru vehabističke indoktrinacije i velike količine novca iz Saudijske Arabije, Katara i još nekih zemalja Zaliva.
"Nove generacije balkanskih imama su obučene uz stipendije i školovanje u fundamentalističkim centrima na arabijskom poluostrvu, pa su oni po povratku došli i u nove džamije izgradjene parama zemalja Zaliva (100 džamija je za deset godina izgradjeno samo na malom Kosovu), odakle su širili svoj vehabistički otrov", kaže se u članku Stampe.

Hiljadu Albanaca se bori na strani islamista

"Dvadeset godina kasnije, regrutovanje i odlazak džihadista u Siriju je izneo na videlo taj proces, stranih boraca albanskog življa, koji ratuju u redovima Islamske države ili Džabhat al Nusre, ima preko hiljadu (Kfor navodi da ih je 900 s Kosova, 150 iz Albanije, a pedesetak iz redova albanske manjine u Makedoniji".
Stampa prenosi i saznanja evropskih i američkih obaveštajnih službi da su mreže tih džihadista "veoma savremeno opremljene, često tesno povezane s moćnim domaćim organizovanim kriminalom".
"To su operativno spremne lokalne ćelije, dobro snabdevene novcem i oružjem, sa snažnim porodičnim vezama što prodor unutar njih čini veoma teškim", piše list.
"Domaće snage reda i bezbednosti, često bez sredstava i na udaru optužbi za korupciju, čine ono što mogu, a tu je Albanija znatno delotvornija od Kosova i Makedonije", zaključuje Stampa.

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L’Isis cerca reclutatori nei Balcani: “Devono conoscere l’italiano” (di MARCO GRASSO, 13/01/2016)
Due inchieste svelano una rete dall’Albania ad Ancona. Offerti duemila euro al mese per arruolare jihadisti...
http://www.lastampa.it/2016/01/13/esteri/lisis-cerca-reclutatori-nei-balcani-devono-conoscere-litaliano-bX0hR9zp4yj5I11PWNkjlJ/pagina.html

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Propaganda e reclutamenti, Albania crocevia dei jihadisti 

Il network di moschee e imam radicalizzati preoccupa il nostro Paese. La maggior parte dei combattenti europei passati da Pristina e Tirana

di LORENZO VIDINO da WASHINGTON [sic!], 2.1.2016

Sconosciuta ai più, l’esplosione di fervori jihadisti tra le popolazioni di lingua albanese suscita crescenti preoccupazioni tra le agenzie anti-terrorismo europee, americane e mediorientali. Network jihadisti albanesi capeggiati da carismatici imam reclutano tra le comunità della diaspora albanese d’Europa, Italia inclusa. Il Kosovo ha il numero più alto d’Europa di foreign fighters in Siria rapportato alla popolazione. E jihadisti di etnia albanese ricoprono alte cariche tra le milizie del califfo al Baghdadi,  
 
LA FINE DEL COMUNISMO  

Nonostante il Sud-Ovest dei Balcani sia da sempre terra di un islam moderato e laico, il problema traccia le sue radici agli Anni 90. Con la fine del comunismo - sotto il quale l’islam in Albania, unica nazione al mondo dichiaratasi ufficialmente atea, era pressoché sparito - i Balcani divennero terra di conquista del proselitismo di matrice wahabita. Inizialmente arrivati per fornire aiuti umanitari durante i sanguinosi conflitti dell’epoca, enti benefici e religiosi sauditi (World Assembly of Muslim Youth), kuwaitiani (Revival of Islamic Heritage Society) e di altri Paesi del Golfo crearono un network di moschee, centri studi e ong il cui vero obiettivo era quello di diffondere un’interpretazione ultra-letterale e militante dell’islam alle popolazioni locali. Forti dei petrodollari cominciarono a ottenere consensi tra i più giovani, afflitti da disoccupazione e povertà, e spesso attratti sia dal forte messaggio del wahabismo che dalle opportunità che queste organizzazioni offrivano. 
Una nuova generazione di imam balcanici si è formata grazie a generose borse di studio nelle scuole più fondamentaliste della penisola araba. E, una volta ritornati in patria, hanno trovato nuove moschee costruite con soldi del Golfo (100 costruite in appena 10 anni solo nel piccolo Kosovo) dal cui pulpito diffondere il veleno jihadista. 
Venti anni dopo, la mobilitazione per la Siria mette in luce il prodotto di queste dinamiche. I foreign fighters di etnia albanese, tutti militanti con lo Stato Islamico o Jabhat al Nusra, sono circa 1000 (900 dal Kosovo per le forze Kfor della Nato, 150 dall’Albania e una cinquantina dalla minoranza albanese in Macedonia). I loro network sono sofisticati, spesso intrecciati a quelli della potente criminalità organizzata locale. Sono cellule operanti a livello locale, ben finanziate e armate, con forti legami familiari interni che ne rendono difficile la penetrazione. Le forze dell’ordine locali, spesso prive di mezzi e accusate di corruzione, fanno quello che possono e l’Albania è molto più efficiente di Kosovo e Macedonia. 
Nonostante questi problemi negli ultimi tempi alcune inchieste hanno alzato il velo sui network jihadisti locali. Nel marzo 2014 le autorità di Tirana hanno smantellato un sofisticato network dedito alla propaganda e al reclutamento, guidato da due imam, Bujar Hysa e Genci Balla. Tra i loro collaboratori, vari affiliati dello Stato Islamico specializzati nel far passare aspiranti jihadisti dall’Europa alla Siria.  
 
I LEGAMI CON L’ITALIA  

E alcuni di essi, incluso Hysa stesso, hanno forti legami con l’Italia. La pista balcanica, infatti, arriva direttamente a casa nostra. Le nostre unità anti-terrorismo monitorano gli ambienti fondamentalisti balcanici, consapevoli della loro pericolosità operativa. Fino al punto da temere che l’Albania diventi quello che il Belgio è per la Francia: la retrovia logistica da dove pianificare attacchi. 
 
«LE AGENZIE DI VIAGGIO»  

Imam radicali albanesi come Shefqet Krasniqi della grande moschea di Pristina, ora sotto inchiesta in Kosovo, passano spesso nelle nostre moschee per recitare i loro sermoni. E più indagini recenti hanno dimostrato come i network albanesi presenti nel Centro-Nord siano tra i più attivi nel reclutamento per la Siria, non solo tra i connazionali ma fungendo anche da «agenzia di viaggio» per giovani nordafricani e convertiti italiani che altrimenti non troverebbero l’aggancio giusto per unirsi allo Stato Islamico.  
Era infatti albanese la pista che consentì ad Anas el Abboubi, adolescente bresciano di origine marocchina, di lasciare l’Italia dopo essere stato rilasciato dal tribunale del riesame e divenire uno dei primi foreign fighters nostrani. L’inchiesta bresciana aveva svelato una sofisticata rete basata in Albania, ma con propaggini in Lazio e Piemonte. Figura centrale di quel network era Lavdrim Muhaxheri, ex dipendente della Nato in Kosovo che si era unito allo Stato Islamico e che assurse a star mediatica nella galassia jihadista per video in cui appariva con teste mozzate di soldati siriani. Ed era albanese anche il network che ha reclutato la convertita parteno-brianzola Maria Giulia Sergio, che ora vive nel Califfato insieme al marito, l’albanese Aldo Kobuzi.  
L’Islam «made in Albania» rimane un modello di tolleranza. Ma venti anni di propaganda estremista hanno attratto una parte di musulmani albanesi, siano essi nei Balcani o nelle varie diaspore, generando un nuovo fronte di rischi per il nostro Paese.


Vecernji list, 06.07.2006 23:05

Abu Hamza, vođa mudzahedina u Bosni i Hercegovini, kojima bi iduci tjedan moglo biti oduzeto državljanstvo te zemlje, tvrdi:

Bill Clinton zahtijevao je da se naselimo na Kosovu

Autor Zdenko Jurilj

Ako državni parlament idućeg tjedna prihvati dopune Zakona o državljanstvu BiH, 500-tinjak naturaliziranih bosanskohercegovačkih državljana podrijetlom iz arapskih zemalja, koji su u vrijeme rata bili pripadnici brigade El-Mudžahid, moglo bi ostati bez putovnica. Zbog straha od povratka u Egipat, Siriju, Tunis, Pakistan, Irak, Maroko, Alžir... gdje ih, prema tvrdnjama mudžahedinske zajednice, zbog ratovanja u BiH čekaju višegodišnje zatvorske kazne, pokrenuta je inicijativa o utemeljenju udruge Ensarije, uz pomoć koje bi se borili za zadržavanje državljanstva. Sirijac Al Husin Imad zvani Abu Hamza, glasnogovornik mudžahedina u BiH, u eksklu

(Message over 64 KB, truncated)

(srpskohrvatski / english.

All'interno del verdetto di colpevolezza, emesso in marzo dal "Tribunale ad hoc" dell'Aia contro Radovan Karadzić, sono contenute di fatto le formule assolutorie che scagionano Slobodan Milošević dalle accuse per le quali fu posto sotto processo e giustiziato extra lege dallo stesso "Tribunale". Tra l'altro, la sentenza riporta che tanto Milosević quanto Karadzić erano inizialmente a favore della integrità della Jugoslavia; Milosević si oppose alla eventuale discriminazione, all'interno della Repubblica Serba di Bosnia, dei Musulmani che fossero "per la Jugoslavia", e dichiarò che "tutti i membri delle altre nazioni e nazionalità devono essere protetti" e che "la discriminazione non è nell'interesse dei Serbi". )


ICTY Exonerates Slobodan Milosevic for War Crimes

1) Hague Tribunal Exonerates Slobodan Milosevic for Bosnia War Crimes Ten Years Too Late (by Andy Wilcoxson)
2) Момир Булатовић: ВЕЛИЧИНА СЛОБОДАНА МИЛОШЕВИЋА
3) Madeleine Albright's Criminal Enterprise (by William Dorich)


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Hague Tribunal Exonerates Slobodan Milosevic for Bosnia War Crimes Ten Years Too Late


The UN war crimes tribunal has determined that the late Serbian president was not responsible for war crimes committed in Bosnia during the 1992-95 war. The judges determined that Slobodan Milosevic was not part of a "joint criminal enterprise" to victimize Bosnian Muslims and Croats.

Written By: Andy Wilcoxson
18 July 2016 - www.slobodan-milosevic.org 

The International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) in The Hague has determined that the late Serbian president Slobodan Milosevic was not responsible for war crimes committed during the 1992-95 Bosnian war.

In a stunning ruling, the trial chamber that convicted former Bosnian-Serb president Radovan Karadzic of war crimes and sentenced him to 40 years in prison, unanimously concluded that Slobodan Milosevic was not part of a joint criminal enterprise to victimize Muslims and Croats during the Bosnian war.

The March 24th Karadzic judgment states that "the Chamber is not satisfied that there was sufficient evidence presented in this case to find that Slobodan Milosevic agreed with the common plan" to permanently remove Bosnian Muslims and Bosnian Croats from Bosnian Serb claimed territory.[1]

The Karadzic trial chamber found that "the relationship between Milosevic and the Accused had deteriorated beginning in 1992; by 1994, they no longer agreed on a course of action to be taken. Furthermore, beginning as early as March 1992, there was apparent discord between the Accused and Milosevic in meetings with international representatives, during which Milosevic and other Serbian leaders openly criticised Bosnian Serb leaders of committing 'crimes against humanity' and 'ethnic cleansing' and the war for their own purposes."[2]

The judges noted that Slobodan Milosevic and Radovan Karadzic both favored the preservation of Yugoslavia and that Milosevic was initially supportive, but that their views diverged over time. The judgment states that "from 1990 and into mid-1991, the political objective of the Accused and the Bosnian Serb leadership was to preserve Yugoslavia and to prevent the separation or independence of BiH, which would result in a separation of Bosnian Serbs from Serbia; the Chamber notes that Slobodan Milosevic endorsed this objective and spoke against the independence of BiH."[3]

The Chamber found that "the declaration of sovereignty by the SRBiH Assembly in the absence of the Bosnian Serb delegates on 15 October 1991, escalated the situation,"[4] but that Milosevic was not on board with the establishment of Republika Srpska in response. The judgment says that "Slobodan Milosevic was attempting to take a more cautious approach"[5] 

The judgment states that in intercepted communications with Radovan Karadzic, "Milosevic questioned whether it was wise to use 'an illegitimate act in response to another illegitimate act' and questioned the legality of forming a Bosnian Serb Assembly."[6] The judges also found that "Slobodan Milosevic expressed his reservations about how a Bosnian Serb Assembly could exclude the Muslims who were 'for Yugoslavia'."[7]

The judgment notes that in meetings with Serb and Bosnian Serb officials "Slobodan Milosevic stated that '[a]ll members of other nations and ethnicities must be protected' and that '[t]he national interest of the Serbs is not discrimination'."[8] Also that "Milosevic further declared that crime needed to be fought decisively."[9]

The trial chamber notes that "In private meetings, Milosevic was extremely angry at the Bosnian Serb leadership for rejecting the Vance-Owen Plan and he cursed the Accused."[10] They also found that "Milosevic tried to reason with the Bosnian Serbs saying that he understood their concerns, but that it was most important to end the war."[11]

The judgment states that "Milosevic also questioned whether the world would accept that the Bosnian Serbs who represented only one third of the population of BiH would get more than 50% of the territory and he encouraged a political agreement."[12]

At a meeting of the Supreme Defense Council the judgment says that "Milosevic told the Bosnian Serb leadership that they were not entitled to have more than half the territory in BiH, stating that: there is no way that more than that could belong to us! Because, we represent one third of the population. [...] We are not entitled to in excess of half of the territory ñ you must not snatch away something that belongs to someone else! [...] How can you imagine two thirds of the population being crammed into 30% of the territory, while 50% is too little for you?! Is it humane, is it fair?!"[13]

In other meetings with Serb and Bosnian Serb officials, the judgment notes that Milosevic "declared that the war must end and that the Bosnian Serbsí biggest mistake was to want a complete defeat of the Bosnian Muslims."[14] Because of the rift between Milosevic and the Bosnian-Serbs, the judges note that "the FRY reduced its support for the RS and encouraged the Bosnian Serbs to accept peace proposals."[15]

The Tribunalís determination that Slobodan Milosevic was not part of a joint criminal enterprise, and that on the contrary he "condemned ethnic cleansing"[16] is of tremendous significance because he got blamed for all of the bloodshed in Bosnia, and harsh economic sanctions were imposed on Serbia as a result. Wrongfully accusing Milosevic ranks right up there with invading Iraq only to find that there werenít any weapons of mass destruction after all. 

Slobodan Milosevic was vilified by the entire western press corps and virtually every politician in every NATO country. They called him "the Butcher of the Balkans." They compared him to Hitler and accused him of genocide. They demonized him and made him out to be a bloodthirsty monster, and they used that false image to justify not only economic sanctions against Serbia, but also the 1999 NATO bombing of Serbia and the Kosovo war. 

Slobodan Milosevic had to spend the last five years of his life in prison defending himself and Serbia from bogus war crimes allegations over a war that they now admit he was trying to stop. The most serious charges that Milosevic faced, including the charge of genocide, were all in relation to Bosnia. Now, ten years after his death, they admit that he wasnít guilty after all ñ oops.

The ICTY did nothing to publicize the fact that they had cleared Milosevic of involvement in the joint criminal enterprise. They quietly buried that finding 1,303 pages into the 2,590 page Karadzic verdict knowing full well that most people would probably never bother to read it. †

The presiding judge in the Radovan Karadzic trial, O-Gon Kwon of South Korea, was also one of the judges in the Slobodan Milosevic trial. Milosevicís exoneration by the Karadzic trial chamber may be an indication of how the Milosevic chamber would have eventually ruled, at least on the Bosnia charges, if Milosevic had lived to see the conclusion of his own trial.

Itís worth recalling that Slobodan Milosevic died under a very suspicious set of circumstances. He died of a heart attack just two weeks after the Tribunal denied his request to undergo heart surgery in Russia.[17] He was found dead in his cell less than 72 hours after his attorney delivered a letter to the Russian Ministry of Foreign Affairs in which he said that he feared he was being poisoned.[18] 

The Tribunalís official report on the inquiry into his death confirmed that, "Rifampicin had been found in a blood sample taken from Mr. Milosevic on 12 January 2006." And that "Mr. Milosevic was not told of the results until 3 March 2006 because of the difficult legal position in which Dr. Falke (the Tribunalís chief medical officer) found himself by virtue of the Dutch legal provisions concerning medical confidentiality."[19]

The presence of Rifamicin (a non-prescribed drug) in Milosevicís blood would have counteracted the high blood pressure medication he was taking and increased his risk of the heart attack that ultimately did kill him. The Tribunalís admission that they knew about the Rifampicin for months, but didnít tell Milosevic the results of his own blood test until just days before his death because of "Dutch legal provisions concerning medical confidentiality" is an incredibly lame and disingenuous excuse. There is no provision of Dutch law that prohibits a doctor from telling the patient the results of his own blood test -- that would be idiotic. On the contrary, concealing such information from the patient could be seen as malpractice. 

This all gives rise to well-founded suspicion that powerful geopolitical interests would rather Milosevic die before the end of his trial than see him acquitted and have their vicious lies exposed. U.S. State Department cables leaked to Wikileaks confirm that The Tribunal did discuss Milosevicís medical condition and his medical records with U.S. Embassy personnel in The Hague without his consent.[20] They clearly didnít care about medical confidentiality laws when they were blabbing about his medical records to the American embassy. 

Itís an unsatisfying outcome that Milosevic has been quietly vindicated for the most serious crimes that he was accused of some ten years after his death. At a minimum financial compensation should now be paid to his widow and his children, and reparations should be paid to Serbia by the western governments who sought to punish Serbia in order to hold Milosevic "accountable" for crimes that their own Tribunal now admits he wasnít responsible for, and was in fact trying to stop.



[1] ICTY, Karadzic Judgment, 24 March 2016, Para. 3460
http://www.icty.org/x/cases/karadzic/tjug/en/160324_judgement.pdf >

[2] Ibid., Footnote 11027

[3] Ibid., Para. 3276

[4] Ibid., Para. 2709

[5] Ibid., Para. 2710

[6] Ibid., Para. 2685

[7] Ibid., Para. 2687

[8] Ibid., Para. 3288

[9] Ibid., Para. 3284

[10] Ibid., Para. 3289

[11] Ibid., Para. 3295

[12] Ibid., Para. 3290

[13] Ibid., Para. 3297

[14] Ibid., Para. 3293

[15] Ibid., Para. 3292

[16] Ibid., Para. 3280

[17] ICTY Case No. IT-02-54 Prosecutor v. Slobodan Milosevic, Decision on Assigned Counsel Request for Provisional Release, February 23, 2006

[18] Text of Slobodan Milosevicís Letter to the Russian Ministry of Foreign Affairs 
http://www.slobodan-milosevic.org/news/sm030806.htm >

[19] Judge Kevin Parker (Vice-President of the ICTY), Report to the President of the ICTY: Death of Slobodan Milosevic, May 2006; ∂ 31, 76
http://www.icty.org/x/cases/slobodan_milosevic/custom2/en/parkerreport.pdf >

[20] U.S. State Dept. Cable #03THEHAGUE2835_a, " CTY: An Inside Look Into Milosevicís Health and Support Network" 
https://wikileaks.org/plusd/cables/03THEHAGUE2835_a.html >



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Говор Момира Булатовића на седници Скупштини удружења „Слобода“

ВЕЛИЧИНА СЛОБОДАНА МИЛОШЕВИЋА

(26.05.2012.)

Треба почети са захвалношћу људима који су у тешким временима и незахвалним приликама водили Удружење „Слобода“. Ја одавно не учествујем у политичком животу,али у разговору са пријатељима из „Слободе“, са задовољством сам прихватио ову дужност .
Досадашњи резултати „Слободе “, нису импресивни али да будемо искрени, право је чудо и да постојимо у условима у којима смо деловали и били . 
Испричаћу вам један детаљ, за кога мислим да га и ви доживљавате, а мени се догодило на једној бензинској пумпи у Рашкој. Младић који је точио гориво ми је рекао да локална радио станица два пута дневно емитује последње јавно обраћање Слободана Милошевића грађанима из 2000 године . Рекао ми је да се масовно слуша зато што се никада теже није живело, а да је у Милошевићевом обраћању тада тачно предвиђено шта ће и како ће да нам се деси . И каже ми тај млади човек, који ће тог дана остати без посла, пошто сам му ја последњи купац који сипа гориво, да нико тада није био ни свестан тих пророчанских речи. С друге стране, на једном међународном научном скупу одржаном ових дана у Бијељини, о коме наша јавност није обавештена,јер су у питању Руси и њихов долазак на просторе Балкана, један млад, образован и бриљатан човек причао је како су они као матуранти, пре него ће добити дипломе отишли у војни одсек, задужили оружје и отишли да бране земљу и слободу. Када се вратио, разредна, онако одушевљена, му је рекла: „Ух, па ти си жив“. Дечко је тада имао потребу малтене да се извине. Узвратио сам му да треба да зна ко му је тада спасио живот и вратио га кући живог и здравог. Да је било по ономе како су се тада одвијале прилике; да није било мира у Дејтону и Слободана Милошевића, он не би седео ту, нити би било Републике Српске. И та свест се данас полако прима.
Искрен да будем ја нисам давао неки велики допринос Удружењу „Слобода “, али сам много више ја добио, него што сам дао у оној доследности која нас је овде све окупила. Ми смо имали привилегију да нисмо морали да поклекнемо ни пред било каквим теретом или било каквим искушењима. Зато знам када размишљамо о општим стварима, свако од нас може да буде миран и да каже: на правом смо путу.Схватиће се то пре или касније.
Величина Слободана Милошевића је била заправо у томе што се наслањао на најасније тековине и државне традиције, народа и земље које је представљао. То се не цени у датим политичким приликама, али не може да буде заборављено, уколико опстаје народ и држава. Код Слободана Милошевића у тим бескрајним и мени драгоценим данима, где смо се дружили и сарађивали, научио сам једну реченицу коју стално понављам. Он је говорио:„Момо , политика се не заснива на моралу, али је незамислива без морала“. И морал је био та одредница која се сада негде препознаје. А нарочито се добро препознаје онда када се изгуби .
Чини ми се да данас живимо у приликама када све више народа вапи за неким подсећањима и наш задатак је управо у томе. Ми смо давали онолико колико смо знали и могли у одбрани Слободана Милошевића у Хагу, који се одбранио на један бриљантан и чудовишан начин, плативши страшну и велику цену. А пошто сам био поред њега тих задњих дана, знам да је био потпуно миран и потпуно уверен у победу. Како је почео, тако је и овоземаљски живот завршио у једном снажном убеђењу .
Наш задатак је да наставимо са обиљежавањем свих ових вредности, да наставимо са праћењем датума који су непосредно везани за живот и судбину Слободана Милошевића. Да покушамо да изнађемо начина да ту елементарну истину о односу државе према тим људима изведемо на чистац. Покушаћемо да разговарамо са представницима Владе Србије и надам се да ћемо и ту направити неки искорак. Можда ће нам време ићи у прилог . 
Али овде постоји једна тужна истина , која је најтужнија због Србије – да ми данас у Србији имамо три врсте удовица, а требало би да буде само једна једина врста удовица.Требало би да држава поштује жене независно од тога да ли су оне биле са Јосипом Брозом, Слободаном Милошевићем или Зораном Ђинђићем. И то ћемо покушати да објаснимо људима из Владе .
Ми немамо политичких амбиција, нити желимо да се уплићемо у политички живот. Ми ходамо у духу са временом. Данас има много људи који су спремни да се укључе и помогну. Треба да успоставимо такав систем у који ћемо пропуштати нове људе на бази опредељења које они имају, а то је да наставе да се боре за оне вредности које већ сад симболизује Слободан Милошевић. Зато више нема потребе објашњавати шта стоји иза тога .Млади људи то најбоље знају. Зато је наш задатак да покушамо да одговоримо том изазову, рекао је на крају Момир Булатовић , нови председник Удружења „Слобода „


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Madeleine Albright's Criminal Enterprise

By William Dorich

March, 2016—The UN war crimes tribunal has determined that the late Serbian president was not responsible for war crimes committed in Bosnia during the 1992-95 war. The judges determined that Slobodan Milosevic was not part of a “joint criminal enterprise” to victimize Bosnian Muslims and Croats.

The verdict of this Kangaroo Court in The Hague should not only outrage the people of Serbia, we should be seeing screaming headlines from all of those in the media that became the judge, jury and executioners of Slobodan Milosevic. The biased court to prosecute war crimes only for the war in former Yugoslavia was a ruse as the court totally ignored the real genocide in 1945 when 1.5 million Serbs, 60,000 Jews and 47,000 Roma were exterminated as the disgusting prejudice of the media fanned the flames for 96,400 victims on all sides in Former Yugoslavia in the 1990’s. This is the same media that profited from 8 years with their claim of “250,000 death in Bosnia,” a total media hoax.

At the DePaul University Law School in Chicago Mahmoud Cherif Bassiouni, an Egyptian-born Muslim and specialist in international law gathered 65,000 documents of so-called “war crimes,” a biased propaganda ploy paid for by Hungarian billionaire George Soros. Those documents sit on the floor today at The Hague and are treated as irrelevant trash.

Kalshoven, a prominent professor of international law at the University of Leiden, criticized the legal veracity of “evidence” of 20,000 alleged mass rapes gathered by the European Parliament’s Warburton Commission in 1993. Much of the same so-called evidence, derived from Bosnian government sources in Sarajevo and continuously embellished and recycled by hundreds of journalists and humanitarian organizations, found its way to the final report from the Commission of Experts to the U.N. Security Council and was forwarded to The Hague in May 1994. Bassiouni’s resurrection of rape estimates and numerical extrapolations were deceptions, said Kalshoven, in the campaign to exact “justice” against the Serbs using this biased research from DePaul. “It was just a number, just guesswork,” said Kalshoven.

The DePaul project’s yield of “65,000 documents” was produced, using Bassiouni’s “multiplier effect,” a comparatively modest roster of just 5,000 incidents of murder, rape, torture, kidnapping, mass graves and prison camps. Expected to produce evidence to support earlier claims of “50,000 rapes against Muslim women” from Bosnian government propagandists, the DePaul research ranged uncertainly between 500 to 1,673 alleged victims—but eventually fell back on its earlier investigation by the Commission of Experts which documented only 105 cases of rape. The rush to judgment was detoured through unthinkable shortcuts in comparison with the American judicial system, it included:

• Allowing substantial forfeiture of defense rights to cross-examine witnesses.
• Disallowing the rights of accused to confront their accusers.
• Permitting liberal use of hearsay and minimized requirements for production of forensic evidence if not allowing its outright absence.
• Depreciation of guarantees as equal protection under the law.
• And more repugnant to most of the thinking of the American legal system, the Tribunal with its selective oversight could bring defendants to trial again after acquittals therefore eliminating protection from double-jeopardy.

Conspicuously silent since March, 2016 and The Hague verdict are The New York Times, The Washington Post, The Los Angeles Times, CNN and The Times of London to name a few of the Partisan journalists who participated in “Advocacy” journalism to the detriment of Slobodan Milosevic and his right to “Equal Justice Under the Law” as etched over the doorway of the U.S. Supreme Court.

Where are the voices of Christiane Amanpour of CNN, Roy Gutman and John Burns who received a Pulitzer for their lies and deceptions in Bosnia? Where is Nicholas Burns and Amanpour’s husband James Rubin who was a regular on CNN spewing lies against Milosevic “guilt” for 8 years? Where is Carla Del Ponte when you need her? Where is Joan Phillips and Charles Lane who advanced their careers by promoting their own brand of propaganda? 

Where is James Harf of Ruder/Finn PR who made millions promoting known lies and fabrications for the Croat and Muslim governments? Where is Chris Hedges, Charlene Hunter Galt, media charlatans like Maggie O’Kane who broke the “camp story” in the British press...Do any of these hypocrites have a conscience to confess that they were part of a media conspiracy to destroy Serbia to assist the real “Criminal Enterprise” of Madeleine Albright’s State Department and Hillary Clinton’s desire to move Monica Lowinsky off of the front pages as she encouraged President Clinton to violate the UN Charter, the Helsinki Final Act, the Geneva Conventions and the NATO Treaty to bomb the Serbs then lie about entering Bosnia under “Sniper Fire”?

Where is Tom Post who wrote the infamous front page article in Newsweek about “50,000 Bosnian Muslim Rapes”? Where is Sylvia Poggioli who skillfully wrote disinformation in the Neiman Report at Harvard, a piece of disinformation crap? Where is John Pomfret of the Washington Post who claimed he saw “4,000 men and boys from Srebrenica who made their way to safety in Tuzla,” his silence appears as though the media has gone into hiding as they continue to screw the Serbian people who are owed an explanation why the media used their power to distort the crisis to sell newspapers that helped to murder the Serbian president?

Where is David Rohde whose books and articles demonized the Serbian people with great cunning? And where is Carol Williams of the Los Angeles Times who wrote more hateful journalism, anti-Orthodox and pro-Catholic dogma in one year than most journalists could get away with in a decade?

And finally, where are creatures like Minna Schrag, Senior American prosecutor who was on loan to The Hague Tribunal from a New York law firm and who told international law scholars, “It was a novel experience to be deciding precedent on rules of evidence and procedure during impromptu conversations in the hallways at the Yugoslav Tribunal.”

If the media and the legal system is this corrupt and Serbians run for cover from the truth, then they deserve the contempt of a world that was hell bent to conspire against them—a world that deliberately manipulated the facts to demonize Serbs with collective guilt, unseen in Europe since Hitler, these are the monsters who made the word “Serb” synonymous with evil, an ugly process being used even today as they all congratulated themselves and give each other awards for being clever and deceitful as they cynically conspired to pull off media crimes against Serbia in violation of human rights that they professed to be defending. 

May they all rot in hell for this hideous stage managed legal charade. Albright, the stage manager, should be standing in the dock at The Hague along with General Wesley Clark and William Jefferson Clinton.


Wm. Dorich is author of six books on Balkan history.




(srpskohrvatski / francais / italiano)

Clericofascismo

1) La "giustizia" croata riabilita Stepinac / 
2) Dubravka Ugrešić: una Croazia sul modello fascista / Hrvatska po modelu NDH


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La "giustizia" croata riabilita Stepinac

Sullo stesso tema si vedano anche:
STRALCI DEL PROCESSO ALL'ARCIVESCOVO CROATO ALOJZIJE STEPINAC svoltosi a Zagabria dal 30 settembre al 3 ottobre 1946
Stepinac i Jasenovac 
Operazione Stepinac 
La nostra pagina su Stepinac e la storia del clericofascismo croato

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Con una decisione talmente rapida da lasciare "sorpreso" persino il ricorrente (il nipote di Stepinac – parole sue!), la magistratura croata ha annullato il verdetto del 1946 contro Alojizije Stepinac.
Stepinac, l' "arcivescovo del genocidio", di fatto cappellano militare del movimento fascista e genocida croato degli "ustascia".

Già al termine della Guerra di Liberazione, Tito aveva chiesto al Vaticano che si riprendessero l'arcivescovo perchè diversamente sarebbe stato processato. Il Vaticano rispose... promuovendolo a cardinale.
L' arroganza di Stepinac al processo cui fu sottoposto si può evincere dalla lettura della nostra traduzione in italiano di alcuni stralci:
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Fonti / Izvori:

Poništena presuda Stepincu. Despot: Treba ukinuti sve montirane komunističke presude (22.7.2016)

Nikolić o poništenju presude Stepincu: 'Hrvatska zatrpava jamе u kojе su ustašе zakopavalе Srbе' (22.7.2016)
Nikolić je naveo kako je stav o ulozi Stepinca u II. svjetskom ratu "prenio Papi u direktnom razgovoru prilikom posjete Vatikanu"...

Vučić o poništenju presude Stepincu: Srbija će uvijek biti na strani antifašizma (23.7.2016)
Vučić je rekao da "nijednom teškom rječju" nije želio govoriti o poništenju presude Stepincu, ali da ga je "sram od neznanja" koje o povijesti pokazuju neki ljudi i u Srbiji...
CROATIE : LA JUSTICE ANNULE LE VERDICT DE 1946 CONTRE LE CARDINAL STEPINAC
Courrier des Balkans | De notre correspondante à Zagreb | samedi 23 juillet 2016
Le tribunal de Zagreb a annulé le verdict de 1946 contre le cardinal Alojzije Stepinac (1898-1960). Une décision qui relance la polémique entre la Serbie et la Croatie sur cette figure controversée, reconnue coupable par la gouvernement communiste de Tito de collaboration avec le régime fasciste des Oustachis, pendant la Seconde Guerre mondiale, mais néanmoins béatifiée en 1998 par Jean-Paul II...

L'Europe et le révisionnisme historique de la Croatie (Daniel Salvatore Schiffer, 25.7.2016)
Quand l'Union Européenne aura-t-elle donc le courage moral, à défaut de lucidité politique, de reconnaître, tout en la condamnant, l’actuelle et dangereuse dérive négationniste de l'un de ses pays membres, la Croatie, aujourd'hui confrontée, une fois encore, à ses démons nationalistes ? ...

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Реаговање

ВРЕМЕ ДА РАЗУМ ПРЕВЛАДА

Из главног града Хрватске стигла је вест да је надлежни суд у Загребу правно ослободио кривице Алојзија Степинца.

Кардинал Католичке цркве осуђен је 1946.године у том истом Загребу од правосудних органа тадашње Југославије, после процеса и извођењем доказа, на вишегодишњу затворску казну због активног суделовања са властима колаборантске усташке фашистичке НДХ и сарадње са немачким и италијанским окупаторским јединицама. Установљена су и многа недeла према српском, јеврејском и другом становништву. Казну је издржавао у огромном самостану у Марији Бистрици, у условима на које, саопштавано је, није могао да се пожали.

О Степинцу су почетком деведесетих прошлог века, по отцепљењу од заједничке државе и у оквиру нових прогона, посланици туђмановске већинске странке донели декларацију којом поништавају правоснажну казну кардиналу, али се сада правосудна власт, после толико година, осмелила да и судском одлуком потврди оно што је већ једном политички наречено.

Недавно је и католички врх у Хрватској покренуо поступак да Ватикан прогласи Степинца за свеца. Папа Франциско је, у неку руку, прихватио противљење Српске православне цркве, па је пре неколико дана, у Риму, одржан и састанак ”мешовите комисије” која ће се изјаснити да ли, у историјском смислу, има могућности да активни учесник Другог светског рата, на страни поражених фашиста, може да буде удостојен врхунског признања једне вере.

СУБНОР Србије и овим поводом указује, као у низу задњих година, да се у свету, посебно у Европи, па и у нашем региону и међу нама, групишу ретроградни појединци и покрети и величањем поражених идеологија поново прете човечанству.

Одговарајући на питање једне београдске редакције, Председништво СУБНОР-а Србије је нагласило:
”Одлука судских органа је још један доказ да се на драстичан начин извитоперује часна борба у Другом светском рату. Католички кардинал је несумњиво био на страни фашистичке власти и истицао се, са својим клером, у покрштавању и страдању народа друге вере.

Одлука је чудна и, посебно, неприхватљива што је доноси правосуђе државе чланице Европске уније”.

Ово је опасан и забрињавајући још један потез. Нови немир у и онако нападнутом човечанству ратовима, наметнутим револуцијма, погромима, економским изнуђивањем, рекама несрећника које општа беда и усмеривачи терају далеко од домова.

СУБНОР Србије са својих преко 130.000 чланова апелује на све људе добре воље и намера да допринесу општој стабилности.

Крајње је време да разум превлада у свакој средини.


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ORIG.: Dubravka Ugrešić: Hrvatska po modelu NDH (Dragan Grozdanić, Novosti, 13.6.2016)
Kultura i obrazovanje bili su od 1991. jasan politički projekt koji se uspio implementirati uz blagoslov velikog broja ljudi, edukatora prije svega. Baš kao što su etabliranjem hrvatske države reetablirani endehazijski simboli, poput kune, zastave i državnog grba, tako je reetabliran i endehazijski koncept nacionalne kulture...



Dubravka Ugrešić: una Croazia sul modello fascista

La nota scrittrice, da anni residente ad Amsterdam, in questa intervista parla dello stato della cultura in Croazia e i cambiamenti che si sono verificati nel suo paese d'origine negli ultimi venticinque anni

28/06/2016 -  Dragan Grozdanić

(Originariamente pubblicato da Novosti  , il 13 giugno 2016. Titolo originale: Dubravka Ugrešić: Hrvatska po modelu NDH  )

Dubravka Ugrešić, che nei primi anni Novanta lasciò la Croazia su pressioni nazionaliste, recentemente si è trovata tra gli autori bollati dall’associazione U ime obitelji (Nel nome della famiglia) come inadatti ad essere studiati nelle scuole croate. Prendendo spunto da questa vicenda, abbiamo interpellato la scrittrice che dalla sua dimora di Amsterdam segue attentamente quanto avviene in Croazia, commentando il posto (non) riservatole nella cultura croata, le recenti manifestazioni contro gli ostacoli frapposti alla riforma curriculare, il persistere della crisi politica nonché del revisionismo storico...

Come ha vissuto la recente manifestazione di massa a sostegno della riforma curriculare?

L’ho seguita con grande entusiasmo. Penso che il sistema educativo croato, così come è oggi, soprattutto per quanto riguarda l’ambito umanistico, la storia, la lingua e letteratura nazionale nonché l’introduzione dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica, sia uno dei più grandi crimini commessi da queste parti negli ultimi venticinque anni, dalle conseguenze inimmaginabili per l’intera jugosfera. Non voglio fare la guastafeste, ma la recente massiccia manifestazione a favore della riforma curriculare suscita comunque qualche interrogativo. Come mai i cosiddetti kulturnjaci (esponenti del mondo culturale) croati, mi riferisco qui a quelli di una certa età, in vent’anni non sono riusciti a stendere un rapporto minimamente critico nei confronti del sistema educativo? Come mai coloro che si occupano di educazione non sono stati capaci di offrire una seria analisi critica del sistema scolastico – perché, dopotutto, in gioco c'era anche l’educazione dei loro figli? La cultura e l’istruzione croata sono il risultato di un autocratico progetto ipernazionalista, esattamente come lo è lo stesso stato croato. La realizzazione di questo progetto, iniziata nel 1991, è stata portata avanti grazie alla partecipazione e all’appoggio di molti: insegnanti, genitori, ministero della Cultura e ministri che vi si sono succeduti, varie accademie e i loro accademici, media, editori, intellettuali e letterati. Cultura e istruzione sono percepite, fin dal 1991, come un chiaro progetto politico che si è riusciti ad implementare grazie al sostegno di tanti, in primis gli insegnanti. Gli esperti avrebbero potuto rendersi conto che questo progetto culturale ed educativo era per molti aspetti ispirato all’ideologia dell’NDH [Stato Indipendente di Croazia  , ndt]. Esattamente come con l’instaurazione dello stato croato fu reinstaurata la simbologia dell’NDH, compresi la valuta, la bandiera e lo stemma nazionale, così venne riattualizzato anche il concetto di cultura nazionale partorito dal regime ustascia. Così la croatizzazione della lingua croata, ossia la sua purificazione dagli elementi spazzatura (serbismi e jugoslavismi), divenne una delle componenti principali di questo pacchetto culturale ipernazionalista, basato su una visione della cultura come intreccio di folklore, tradizione e cattolicesimo. Ed è per questo, e per molte altre questioni che potrebbe trascinare con sé, che questa riforma va assolutamente sostenuta.

Sono dovuti passare più di vent’anni perché anche lei ottenesse la possibilità di essere formalmente presente nella cultura croata, essendo stata inclusa nell’elenco di autori che fanno parte della proposta del nuovo curriculum di lingua croata. Alcuni “patrioti” ultraconservatori, come Željka Markić, hanno già reagito in merito, chiedendo che certe opere, comprese le sue, vengano escluse dall’elenco proposto in quanto inquinerebbero la mente dei giovani con temi quali sessualità, perversione, pedofilia, vampirismo...

Dopo tanti anni a qualcuno è venuta l’idea di includere anche un mio romanzo nell’elenco delle letture per gli studenti liceali, ed è logico che si sia alzata una voce di protesta, che proviene per l’appunto dall’associazione Nel nome della famiglia. Ho seguito le reazioni all’articolo che riportava la notizia di suddetta iniziativa. Tra i circa duecento commenti prevalevano infatti quelli ingiuriosi nei confronti dell’aspetto fisico di Željka Markić, mentre il mio nome non è stato citato nemmeno una volta, semplicemente perché nessuno dei commentatori ha la più pallida idea di chi io sia, così come non conoscono neppure i nomi di altri scrittori “croati”. Ma lasciamo da parte i commentatori. È mai apparsa sulla stampa una replica ben articolata in cui i proponenti del nuovo elenco delle letture per i liceali spiegano perché scrittrici e scrittori come Slavenka Drakulić, Zoran Ferić, Haruki Murakami ed io dovrebbero esservi inclusi? Molto articolato, invece, risulta l’impegno della summenzionata associazione, i cui esponenti ritengono che i libri di questi autori siano nocivi alla salute morale dei giovani. Insomma, grazie all’attivismo letterario di Željka Markić ho scoperto che nei miei libri vi è comunque del sesso, rimanendone piacevolmente sorpresa in quanto ero ormai pronta ad ammettere il contrario. La Markić è riuscita per un attimo a rivitalizzare la mia opera, restituendole il suo fascino (del tutto meritato!).

Sembra che la strategia originaria di costruzione di una nuova cultura croata, nota negli anni Novanta come “rinnovamento spirituale”, potrebbe giungere alla sua conclusione con l’attuale governo, la cui caduta, ormai imminente [il governo è caduto il 16 giugno, poco dopo la pubblicazione di questa intervista], costituirebbe quindi una circostanza potenzialmente propizia. In questo contesto, la stupisce ancora la sua (in)visibilità nella cultura croata?

No, per niente. Il milieu culturale croato mi ha ormai espulsa dalle proprie fila, ed è la soluzione migliore. Eppure speravo che, dopo venticinque anni di esilio, in patria non avrei più riscontrato difficoltà, almeno per quanto riguarda il mercato editoriale: le mie opere sono state pubblicate in Croazia su mia iniziativa, e non su quella degli editori croati. Perché mi umiliavo chiedendo che i miei libri venissero pubblicati? Lo facevo perché avevo la sensazione che in Croazia vi fossero dei lettori a cui sarebbe piaciuto avere in mano ogni mio nuovo libro. Ormai non ho più questa sensazione. Penso che lo sforzo congiunto dei kulturnjaci filo-ustascia abbia dato i suoi frutti. Perché se dopo venticinque anni di questa prassi miserabile i suoi esponenti non si sono ancora stancati, se il sindaco di Zara è riuscito a far rimuovere la targa in ricordo di Vladan Desnica, se le notizie di questo tipo non fanno che sfiorare le orecchie dei letterati croati senza suscitare quasi nessuna reazione, allora possiamo dire che il lavoro riguardante il rinnovamento spirituale croato è davvero concluso.

A dire il vero, i kulturnjaci croati all'opposizione  , quelli che si sono ribellati contro l'attuale ministro della Cultura Zlatko Hasanbegović, hanno mancato di precisare come egli sia in realtà il legittimo prodotto di una politica culturale che perdura ormai da venticinque anni e alla quale molti di loro, azzardatisi solo ora ad alzare la propria voce, hanno dato tacito appoggio. Perché senza questo chiarimento potrebbe sembrare che Hasanbegović sia approdato alla guida del ministero lanciandosi con il paracadute e che, una volta destituito, tutto si sistemerà, almeno per quanto riguarda i kulturnjaci. D'altro canto, non è corretto accusare qualcuno per questo vergognoso stato di cose: viviamo, dopotutto, in un tempo di flebili proteste.

Nella sua lettera aperta, scritta in reazione all'iniziativa di Željka Markić, lei si è autoesclusa dalla letteratura croata, annunciando che ricorrerà a vie legali nel caso il suo nome comparisse di nuovo in qualsiasi elenco dei testi scolastici. Ma non sa che in Croazia i procedimenti giudiziari si protraggono per anni, diventando mentalmente e fisicamente estenuanti?

Ha ragione, sono stata un po' affrettata. Sapendo come funziona la giustizia croata, probabilmente avrei perso il processo. Ho comunque le mie buone ragioni per chiedere di essere esclusa da ogni curriculum: la prima riguarda la pesantezza del “materiale“, del tutto aspettata e comprensibile. Al pari di alcuni altri analisti della quotidianità post-jugoslava, anch'io ho una biografia parallela, che non scriverò mai perché ne uscirebbe un affaticante e illeggibile libro di lamentele. Questa mia biografia alternativa o “patriottica“ comprenderebbe gli insulti rivoltimi dai “connazionali“, che vanno dallo sputare volgarità su di me alle bizzarre minacce di stampo “patriottico“; la mia esclusione violenta dalla letteratura croata e l'inclusione forzata nella stessa; molestie, mobbing e cyberstalking, compresi il sabotaggio di molti eventi letterari a cui partecipo all'estero (i “connazionali“ vengono alla mia serata letteraria e si mettono a urlare) nonché gli scandali, non privi di attacchi verbali, che spesso accompagnano le mie apparizioni pubbliche. Se decidessi di rendere pubblico tutto l'odio che mi è stato sputato addosso sulla stampa, sul web e nei libri, ne uscirebbe un volume ipertossico. In questo contesto, non ho nulla contro Željka Markić: lei è una delle rare persone che credono che la letteratura possa cambiare la gente. Inoltre, con l'abbattimento del principio di professionalità, eseguito da Franjo Tuđman che premiava le persone che gli stavano intorno non per le loro competenze bensì per la lealtà dimostrata nei suoi confronti, creando così una struttura statale di stampo mafioso, e con il passaggio emancipatorio alla nuova era digitale, oggigiorno la maggior parte della gente è convinta di poter fare qualunque cosa. Così, persone senza alcuna abilità musicale ci stancano con le loro esibizioni vocali, quelle senza alcun talento letterario con i loro romanzi, i politici senza credibilità con le loro promesse, e i dottori senza dottorato con i loro “saperi“. Ma siccome anche noi – consumatori, ascoltatori, spettatori, lettori – col tempo ci siamo storditi e istupiditi, non siamo più capaci di riconoscere sfumature e differenze.

Già che abbiamo menzionato Zlatko Hasanbegović, la petizione con cui si chiede la sua rimozione dalla carica di ministro è stata sottoscritta da circa cinquecento intellettuali europei, tra cui lo scrittore, filosofo e saggista francese Alain Finkielkraut, che negli anni Novanta fu molto attivo nel promuovere l'indipendenza croata. A suscitare l'indignazione del mondo intellettuale sono state alcune dichiarazioni di Hasanbegović, noto per le sue posizioni revisioniste rispetto alla recente storia croata.

In una regione così politicamente sismica come quella balcanica non possono certo mancare i personaggi volubili. Di questo tipo di persone di vedute camaleontiche scrisse ingegnosamente Czeszlaw Milosz ne “La mente prigioniera“. Homo sovieticus, uomo con "le dita incrociate di nascosto" [ipocrita, ndt], così veniva chiamato il tipico cittadino dell'Urss. Alcuni nostri contemporanei, ovviamente generalizzando, paragonano l'uomo di oggi ai mangiatori di loto (dell'Odissea), un popolo immerso nell'auto-oblio. Come ogni giapponese sa cosa deve fare quando sente tremare la terra, così anche ogni croato sa quando riposizionarsi politicamente. È quel tipo di gente che quando parla usa sempre “sì, ma...“, riservandosi così la possibilità di prendere le distanze. Queste persone sanno bene che, nel caso non riuscissero a riposizionarsi, rimarranno fuori gioco. E rimanere fuori gioco in Croazia, paese strutturato sul modello mafioso, equivale alla pena di morte. La gente non vede nulla di vergognoso nel riposizionarsi costantemente, anzi. Si tende a dimenticare troppo in fretta, si apprezza la scaltrezza piuttosto che la saldezza morale. In questo senso, Alain Finkielkraut, autore del libro Kako se može biti Hrvat (Come si può essere croati), è davvero diventato un croato.

Come commenta la dichiarazione di Ante Nazor, direttore del Centro di documentazione sulla Guerra patriottica, in cui ha espresso perplessità circa la decisione di intitolare uno dei temi contenuti nella proposta del nuovo curriculum di storia “La Seconda guerra mondiale in Jugoslavia“, invece che “Croati e Croazia nella Seconda guerra mondiale“? 

I giovani storici-militanti, quelli che hanno fatto propria la narrazione impostasi nel 1991, si sono dati il compito di procurare alla Croazia una Storia, laccatura del reale, fatta di eroismo, virilità, potenza. Percependo la cultura e la storia di un popolo come un museo militare, si sono apprestati a costruire e invadere le istituzioni. Tutto ciò non è che un logoro modello di cultura di stato, ormai privo di ogni significato, che servirà solo a succhiare soldi dalle casse statali, magari anche da quelle europee. Dopodiché, per evitare che gli investimenti si rivelino un fallimento, questi musei diventeranno meta di gite scolastiche, che verranno ricordate dagli studenti per l'orrore del sapere inutile, un freddo glaciale (conseguenza del mancato pagamento delle bollette del gas da parte del museo) e bagni sprovvisti di carta igienica. A meno che, ovviamente, i patrioti croati di mano generosa non decidano di sponsorizzare regolarmente i loro musei tramite fornitura di carta igienica.

In una occasione lei ha svelato un suo metodo, molto interessante, di analisi critica dello stato di salute della società croata. Ha ancora l'abitudine di prendere il tram su tratte lunghe per poter ascoltare cosa dice la gente?

Mi avvalgo di metodi antropologici, e l'antropologia, come ben noto, è la spia della vita. Anche le terme croate offrono la possibilità di ascoltare indisturbati le conversazioni altrui, come ho potuto recentemente accertarmi godendo dell'acqua calda di una piscina termale. I maschi, la cui maggior parte strategicamente posizionata intorno ai getti d'acqua in modo da bloccare il passaggio ad altri interessati, facevano girare le loro accese conversazioni intorno al glorioso 1991: chi di loro, a quel tempo, disse che cosa e a chi; cosa sarebbe dovuto essere fatto, ma non si fece. Tutto veniva ridotto alla constatazione che i serbi dovevano essere cacciati via più sistematicamente, giacché ci fu l'occasione. Con lo stesso entusiasmo, gli uomini chiacchieravano di cibo. Ho sentito di nuovo certe espressioni che avevo ormai dimenticato, come “Nessuna carne di pollame potrà mai competere con quella di maiale“, nonché la replica: “Vaffanculo al loro pesce con bietole! Che mi diano la pancetta, sono della Slavonia, cavolo!“. E mentre i maschi si erano focalizzati sul tema dell'allevamento di suini per la produzione della carne, oltre che sulla persecuzione dei serbi, realizzata male e a metà, le donne meditavano su temi più leggeri. “Ah, non c'è niente di più bello che mandare il cervello in vacanza“, ha detto una di loro. Quindi, piscine e tram. Raccomando questi ultimi, sono più economici. Oltre a ciò, se ne esce più facilmente.

Viviamo in tempi interessanti, per parafrasare una nota maledizione cinese. Come vede l'epilogo della crisi politica attraversata dalla Croazia?

Le rispondo con un vecchio aneddoto. Camminando nel bosco, Biancaneve incontrò tre nani. “Chi siete?“, chiese Biancaneve. “Siamo i sette nani“, risposero i nani. “Ma come sette, se siete in tre?!“, esclamò Biancaneve con stupore. “Eh, purtroppo ci manca gente!“, replicarono i nani.  

Eppure, “la gente“ non manca, solo che non vive necessariamente in Croazia. Simpatizzo molto con i giovani, ripongo tutta la fiducia nei giovani esperti. Lo scorso anno in Inghilterra, dove ero ospite di un dipartimento di storia, e quest'anno in Germania, ho avuto modo di incontrare diversi giovani laureati, o dottorandi, in materie storiche, di cui molti provenienti dalle repubbliche ex jugoslave. Penso che l'incessante produzione di menzogne e l'assenza non tanto di autorità professionali quanto di quelle morali a cui appoggiarsi – sia che si tratti di media, educatori, esperti o genitori – abbiano spinto i giovani ad attingere alle proprie forze. A loro sarà difficile vendere fumo, perché sono istruiti e non messi nella posizione di dover fare compromessi, almeno non ancora. Il comportamento compromissorio di genitori ed educatori ha innescato una forte resistenza da parte di molti giovani. Quelli che al momento suscitano più curiosità sono i giovani storici, oppositori di personaggi come Hasanbegović. Fare lo storico è diventato attraente. Il processo di defascistizzazione delle società post-jugoslave è nelle mani di persone giovani, istruite, irremovibili nei propri principi. Non ci si può aspettare dall'attuale establishment che avvii questo processo, sarebbe come aspettarsi che si castrino da soli.

Per quanto riguarda l'epilogo della crisi, sono perplessa. Ma siccome adoro gli happy endings, avanzo una modesta proposta. Propongo al governo croato di scrivere sommessamente una lettera a Warren Buffett, in cui spiegare come ha fatto a spolpare il proprio paese fino all'osso, tanto che non vi è rimasto più nulla, chiedendogli, ammettendo di essere in ginocchio, di prendere la Croazia gratis e di trasformarla in sua residenza estiva o in un resort, impiegando quattro milioni di croati come addetti ai servizi: cuochi, camerieri, maggiordomi, cameriere ai piani, dogsitter, potatori di rose, giardinieri, calliste... Non è affatto divertente, lo so, torniamo seri. La Croazia ha davvero toccato il fondo.







VERSO UN BAGNO DI SANGUE A KIEV


I media italiani e occidentali non riferiscono della partecipatissima processione religiosa – decine di migliaia di persone – che si tiene da giorni in direzione di Kiev: in questo modo essi garantiscono il compimento del prossimo bagno di sangue, che è stato promesso dai volontari nazisti russofobi e anti-ortodossi che sostengono il governo europeista ucraino.


Altre fonti e immagini:

UOC-MP organizes “religious peace march” from Donbas to Kyiv (6.7.2016.)

A Prayer for Peace in Ukraine (by HALYNA MOKRUSHYNA, JULY 15, 2016)

Украинские правозащитники пообещали, что участники крестного хода живыми из киева не уйдут (15-16.7.2016.)

В Житомире около 300-х боевиков радикальных организаций собираются остановить Крестный ход УПЦ МП (17.7.2016.)



Guerra nel Donbass: “dio lo vuole”!

di Fabrizio Poggi, 25 luglio 2016

Secondo i più recenti sondaggi condotti tra la popolazione ucraina, il 72% degli intervistati si dichiara “povero” e solamente lo 0,7% ritiene di far parte della “classe media”. Il PIL procapite è oggi inferiore a quello dell’Honduras o di Papua-Nuova Guinea. Ovviamente, ciò non tocca la “coscienza” dei golpisti che due anni fa hanno iniziato l’aggressione all’area più industriale del paese, con ciò sprofondando l’Ucraina in una crisi sociale che i dettami del FMI acuiscono di giorno in giorno. E non tocca nemmeno i ras dei battaglioni neonazisti, per i quali la guerra nel Donbass è anche un mezzo per riempirsi le tasche.

Contro quella guerra stanno avanzando verso Kiev (l’arrivo è previsto per il 27 luglio: data della cristianizzazione dell’antica Rus) due processioni: una da est – partita il 3 luglio dal monastero della Montagna santa, nella parte occidentale della regione di Donetsk controllata dalle truppe ucraine – e un’altra da ovest – partita il 9 luglio dal monastero di Počaev, circa 450 km a ovest di Kiev – di alcune migliaia di persone, per lo più donne, organizzate dalla chiesa ortodossa ucraina del cosiddetto patriarcato di Mosca.

Finora non si sono registrate aggressioni contro i due cortei religiosi, anche se in varie occasioni non è stato loro consentito di attraversare le città (ad esempio Žitomir, il 18 luglio) e i pellegrini hanno dovuto prendere vie laterali, oppure vari raggruppamenti dei nazionalisti dell’OUN hanno tentato di interrompere la marcia. Nel centro di Kharkov invece, il 10 luglio, alla colonna principale si erano unite circa diecimila persone e, secondo le ultime notizie, anche la Rada municipale di Kiev sarebbe propensa a non proibire l’ingresso della processione nella capitale e il governo avrebbe adottato qualche misura di facciata per impedire ai gruppi nazionalisti e neonazisti di attaccare i cortei religiosi. Ancora ieri sera, mentre un’altra processione attraversava Dnepropetrovsk, Pravyj Sektor annunciava di voler fermare il corteo religioso nel suo avvicinamento alla capitale e, se ciò non sarà possibile, allora darà battaglia dentro Kiev: già una decina di giorni fa, il Ministro degli interni Arsen Avakov diceva di temere (o di auspicare?!) una nuova Odessa.

Anche il Servizio di sicurezza pare orientato a “dissipare i timori dei consiglieri municipali di Kiev per possibili provocazioni” e a permettere l’ingresso in città: “simili processioni si fanno ogni anno e solo questa volta” ha detto il rappresentante del SBU, “si è fatto tanto rumore, cui hanno contribuito media e politici”. Il capo della polizia, la georgiana Khatija Dekanoidze, ha detto che “naturalmente, tale iniziativa si sarebbe potuta vietare. Ma esiste un diritto costituzionale dei cittadini ad azioni pacifiche”: difficile a credersi, nell’Ucraina golpista!

Proprio a Borispol (una trentina di km a est di Kiev), il consiglio municipale, che ha poi deciso di vietare l’attraversamento della città, si era aperto con le parole del consigliere del Partito Radicale, Jaroslav Godunok: “Il Patriarcato di Mosca rifiuta i servizi religiosi ai caduti nell’Operazione antiterrorismo e voi benedite i banditi in guerra con l’Ucraina, le loro armi, e ora venite in pace? Quale pace? Tra voi ci sono persone con il nastro di San Giorgio, ritratti dello zar e simboli antiucraini. I vostri “credenti” non vanno nella direzione giusta. Dovete andare verso Mosca e là chiedere a Dio di porre fine a questa guerra. La processione è di per sé una provocazione! Nella processione ci sono agenti di Putin”. Decisa la proibizione, Godunok ha chiesto che venissero organizzati presidi di credenti del patriarcato di Kiev, protestanti, greco-cattolici ed esponenti dei partiti nazionalisti. Così, OUN e Pravyj Sektor hanno allestito posti di blocco in prossimità di Borispol e, a ovest, sulla superstrada da Žitomir, con l’obiettivo di fermare le due processioni: “Voi che pregate un dio altrui, un dio moscovita, non il nostro dio, noi vi sopportiamo come un cane sopporta le pulci”, hanno detto. E il sito “Mirotvorets” ha annunciato di pubblicare nomi e dati dei partecipanti alla processione, così come aveva fatto, ad esempio, per il deputato Oleg Kalashnikov e il giornalista Oles Buzina, poi  assassinati.

Come che vada, è quasi certo che, ancora una volta, le azioni di OUN, Pravyj Sektor o di altri raggruppamenti neonazisti, avranno la benedizione della chiesa ortodossa ucraina, votata alla consacrazione della guerra nel Donbass e alla demonizzazione di tutto quanto “odori” di russo. Del resto, appena pochi mesi fa il patriarca Filaret aveva decretato che la guerra è la punizione divina scagliata contro i senzadio del Donbass e, dunque, dio permette di attaccare “l’aggressore dell’est”, con l’obiettivo di illuminare gli atei. A suo tempo, Petro Porošenko aveva implorato la beatificazione papale per il capo della chiesa greco-cattolica ucraina, Andrej Šeptitskij, schierato con le SS e i filonazisti ucraini durante la seconda guerra mondiale: pare che proprio dal 1941 dati la separazione del patriarcato di Kiev da quello di Mosca e la nascita della cosiddetta chiesa ortodossa autocefala ucraina, con il terrorismo scatenato contro i seguaci moscoviti da parte dei nazionalisti e filonazisti ucraini e la susseguente fuga dei vescovi autocefali a fianco dei nazisti in ritirata.