Informazione


La Regione Giulia nella sua lotta per la autodecisione...

0) Nuove segnalazioni e link
1) Il Miur e il concorso scolastico sulle vicende istriane (Marco Barone )
2) Tre interventi di Claudia Cernigoi: Leo Valiani e l'occupazione italiana / Bruno Lubiana e Giuseppe Mungherli "martiri delle foibe" / A proposito di razzismo fascista


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NUOVI INSERIMENTI sul sito Diecifebbraio.info:

L’ONORE DELLA DECIMA MAS (di Claudia Cernigoi – 4 ottobre 2016):

Dicono gli storiografi e gli apologeti della Decima Mas che questo Corpo non fu mai collaborazionista né fascista, ma che i suoi militi furono sempre e solo italiani ed indipendenti dal nazismo, e che il loro comandante, il principe nero Junio Valerio Borghese (il futuro aspirante golpista) fu sempre malvisto dai nazisti perché operava per amor di Patria e non si adeguava ai loro ordini. Però le cose erano un po’ diverse... e lo spiegheremo in questo articolo.

NELLA SEZIONE DOCUMENTI –  http://www.diecifebbraio.info/documenti/ :

Dal volume plurilingue "La regione Giulia nella sua lotta per la autodecisione e per la congiunzione alla repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia"
"Memoriale del Comitato Provinciale di Liberazione per il Litorale Sloveno e Trieste" 
presentato alla Commissione interalleata per la delimitazione del territorio nella Regione Giulia nel 1946
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2016/09/memoriale.pdf
Sommario delle cartine, foto, grafici e documenti vari presenti nelle tre sezioni: 
"Le basi etniche ed economiche della Regione Giulia"
"La lotta del popolo della Regione Giulia per la libertà e per il diritto di autodecisione"

Bibliografia sulla Regione Giulia e Trieste tratta da  "Zgodovinski časopis” (Lubiana 1948-49) 

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PETIZIONE: Abroghiamo la legge 92/2004 sulle foibe

promossa dal Comitato di Lotta Antifascista Antimperialista per la memoria storica Parma


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Il Miur e il concorso scolastico sulle vicende istriane 


Marco Barone 
Lunedì, 26 Settembre 2016

Il MIUR ha comunicato a tutte le scuole la possibilità di partecipare ad un concorso nazionale, in vista del giorno del ricordo.
Come è noto la storia del '900 è studiata poco, per nulla alla primaria, e comunque le vicende del confine orientale, che sono complesse ma anche un vero unicum, non vengono trattate. Partendo dal fatto che vi è un vuoto, proporre un bando come quello che ora brevemente commenterò per le scuole, che situazione si rischia di fomentare?
Si sta dicendo in tutti i modi, in tutte le lingue che il nazionalismo è sempre stato un male, e che continua ad esserlo oggi, perchè tradisce lo spirito fondamentale della fratellanza dei popoli che avrebbe dovuto caratterizzare la nostra vecchia Europa.
Il titolo già è fuorviante: Nasce la Repubblica italiana senza un confine. Si parla del referendum per la Repubblica dove si evidenzia che “Se il referendum istituzionale del 2 giugno è considerato l’atto di nascita della Repubblica italiana, una parte della popolazione non vi poté partecipare non per scelta ma per condizione in quanto il territorio della Venezia Giulia, pur formalmente ancora italiano, era diviso e sotto il controllo, rispettivamente, delle forze armate anglo-americane e jugoslave.”
Sulla base di quale criterio storico, giuridico, sostanziale si può sostenere " formalmente ancora italiano"?  E poi, cosa intendono per Venezia Giulia? Quella che si è determinata dopo la prima guerra mondiale o quella attuale? Giocano sull'ambiguità. Forse si sono dimenticati che questa parte d'Italia era stata praticamente annessa al Litorale Adriatico (Adriatisches Küstenland), che verrà liberata nel maggio del '45, amministrata prima da comitati esecutivi italosloveni, poi angloamericani. Dimenticano l'esistenza della linea Morgan.
Non era formalmente italiano questo territorio almeno da quando l'Italia crollò dopo l'armistizio del 1943 che diede il via libera all'occupazione nazista. E quel sentimento di italianità e di ingiustizia, in un tema che dovrebbe essere oggettivo, continua. “In verità un plebiscito ci fu ma simbolico e morale: prima con le manifestazioni in occasione della visita della Commissione alleata (marzo 1946) – quelle filo italiane nei territori controllati dagli jugoslavi furono ufficialmente impedite – e poi con la decisione di diversi partiti di accogliere tra i candidati all’Assemblea costituente rappresentanti delle province del confine orientale” La Venezia Giulia viene fatta passare come solo vittima del fascismo
“Erano momenti sicuramente di alto coinvolgimento e di passione civile, considerando che le popolazioni della Venezia Giulia non avevano votato alle elezioni politiche del 1919 mentre quelle del 1924 erano state condizionate dalla legge Acerbo che aveva consegnato l’Italia al fascismo.”
Quando si omette che qui il fascismo è nato ben prima della Marcia su Roma, anticipato da quella su Fiume, dall'assalto al Narodni Dom di Trieste o di Pola nel 1920. Ma deve prevalere il sentimento di vittimismo.
Così come il modo in cui ci si riferisce alla vicenda degli esuli: “La Patria italiana era ciò che gli esuli giuliani, fiumani e dalmati andavano cercando, serbando in loro un rammento romantico e sentimentale di una Patria che non forse non era mai stata come l’avevano immaginata da quell’angolo remoto e verso la quale si sentivano legati da un debito di amara gratitudine, coscienti però che sul loro destino erano ricadute le colpe maggiori del fascismo e della guerra perduta, ma che non rimaneva altra strada da percorrere se non quella di rinunciare alla propria identità.”
Ma chi ha scritto questo testo? E' innegabile che gli esuli hanno vissuto momenti drammatici, così come il fatto che poi in gran parte hanno avuto significativi aiuti da parte dello Stato italiano. Poi se si vuole fare di tutta l'erba un fascio generalizzando l'intera vicenda storica articolata degli esuli e si vuole sostenere la ratio che vennero tutti perseguitati perchè italiani, e non che in gran parte decisero di andare via perchè non volevano diventare cittadini Jugoslavi e vivere in un sistema comunista e per eventuali sentimenti di ostilità diffusa, che dire?
Che se nella scuola italiana esiste un vuoto sulla storia del '900 questo concorso ancorato al giorno del ricordo è veramente pessimo ed il testo da riscrivere almeno nei suoi passaggi fuorvianti. La prossima volta cosa scriveranno? Riprendiamoci l'Istria? O ritorneremo?


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LEO VALIANI E L’UMANITÀ DELL’OCCUPAZIONE ITALIANA IN JUGOSLAVIA

Uno dei “padri della patria”, l’azionista (ex comunista) Leo Valiani, così si espresse, già nel 1946, riferendosi agli incontri intercorsi tra CLNAI ed Esercito Jugoslavo nel 1944: 
«Il problema delle nostre relazioni con gli slavi della Venezia Giulia è ancora un punto interrogativo. Le truppe italiane in Jugoslavia si erano comportate molto umanamente, nei primi tempi dell’occupazione fascista, così come di cortesia e umanità avevano dato prova, a detta di tutti, in Francia. Ma poi venne la guerra civile tra gli ustascia di Pavelic e i partigiani di Tito. Presi alla sprovvista dallo scatenamento delle passioni popolari, i comandanti italiani commisero l’errore di imitare i tedeschi, cercando di ristabilire col pugno di ferro l’ordine turbato. Ma non godevano del prestigio di cui i tedeschi disponevano ancora in quel periodo e si trovarono coinvolti in una feroce guerriglia, da cui avrebbero voluto, ma non sapevano più come uscire. (…) Tuttavia, l’8 settembre gli slavi lasciarono rimpatriare indisturbate buona parte delle unità italiane (…) alcuni reggimenti italiani andarono ad ingrossare le file dell’esercito di Tito» (in “Tutte le strade conducono a Roma”, La Nuova Italia 1946, p. 77).
Lasciando ai francesi di valutare la “cortesia ed umanità” di cui diedero prova le truppe italiane in Francia (che fu, come suol dire “pugnalata alle spalle” per la decisione fascista di invadere quel Paese), vediamo invece di parlare brevemente di ciò che significò l’occupazione italiana in Jugoslavia.
L’“umanità” e la “cortesia” delle truppe italiane nei territori occupati dopo il 6/3/41, le valutiamo dai documenti del comando superiore delle Forze Armate italiane che recitano (nella famigerata Circolare 3C emanata dal generale Mario Roatta nel marzo del 1942): «il trattamento da fare ai partigiani non deve essere sintetizzato dalla formula “dente per dente” bensì da quella “testa per dente”»; e si aggiunga questo “consiglio” degli generali alle truppe: «si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno mai perseguiti. Perseguiti invece, inesorabilmente, saranno coloro che dimostrassero timidezza ed ignavia».
Il bilancio delle vittime della sola “provincia di Lubiana” nei 29 mesi di occupazione parla di circa 13.000 morti, dei quali circa la metà internati nei campi di concentramento, soprattutto donne, vecchi e bambini. Del resto il generale Gastone Gambara (il comandante dell’XI Corpo d’Armata che controllava il territorio occupato) aveva scritto di propria mano un appunto a margine di una relazione inviata da un medico in visita al campo di Arbe, datata 15/12/42: «Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo» (si veda la foto allegata di alcuni bambini internati ad Arbe).
E se da subito (28/9/42) il generale Roatta aveva proposto al Comando supremo la deportazione della popolazione slovena: «si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all’interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana», anche dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Italo Sauro (l’“esperto per le questioni etniche sotto il fascismo, poi comandante del II Reggimento MDT Istria) aveva ripreso un suo vecchio progetto, già proposto a Mussolini nel 1939, che prevedeva per «la lotta contro i partigiani (…) il trasferimento in Germania di tutta la popolazione allogena compresa tra i 15 e 45 anni con poche eccezioni». Tale proposta fu fatta al comandante delle SS Wilhelm Günther nel corso di un colloquio: ma fu respinta dall’esponente nazista.
Tutto ciò a proposito della mitologia degli “italiani brava gente”, che “mitigarono la ferocia nazista nelle zone d’occupazione”: ed aggiungiamo, anche se non c’entra con l’argomento specifico di questa nota, che furono i comandi nazisti ad intervenire contro le efferate violenze della Banda Koch a Milano, non le autorità fantocce di Salò.

I dati sono tratti da 
Giuseppe Piemontese, “Ventinove mesi di occupazione italiana nella Provincia di Lubiana”, Lubiana 1946;
la prima nota di Sauro si legge in http://www.rigocamerano.it/sfitalosauro.htm, mentre il secondo “appunto” si trova nel Bollettino n. 1/aprile 1976 dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste; http://www.storiaxxisecolo.it/deportazione/deportazionecampi1.htm


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A PROPOSITO DI "MARTIRI DELLE FOIBE"

Tra gli "infoibati" triestini troviamo anche queste due persone, Bruno Lubiana (nelle Brigate Nere, autista del federale del fascio repubblicano di Trieste Edgardo Sambo) e Giuseppe Mungherli (maresciallo dell'MDT ma anche brigatista nero e già nella Decima Mas). I due furono arrestati nel maggio 1945, il primo incarcerato a Lubiana e forse fucilato nel gennaio 1946, il secondo arrestato da partigiani di Longera ed incarcerato a Sesana, ma di lui si persero le tracce.
Mungherli e Lubiana, ai quali ogni 10 febbraio le autorità civili e militari porgono omaggio in quanto "martiri delle foibe", avevano fatto parte, nella primavera del 1944, di una sorta di squadrone della morte annesso alla Decima Mas e comandato dal capitano Beniamino Fumai: «copertosi d’infamia» nel periodo repubblicano specialmente nelle zone d’Ivrea e Novara, responsabile di rastrellamenti, uccisioni ed atti d’inaudita ferocia, fu condannato all’ergastolo, come leggiamo nel quotidiano la Voce Libera del 24/5/47. Nei fatti, «esisteva un gruppo che si chiamava Mai Morti ed era composto da 43 ragazzi triestini e pugliesi, in divisa grigioverde, che arrivarono a La Spezia dal Lago Maggiore. Erano comandati da un ragazzo barese, alto e atletico, fama di ballerino e bevitore: Beniamino Fumai, uno che da giovane aveva militato nelle squadre d’azione e poi, dopo l’8 settembre, si era messo a capo di una specie di corte dei miracoli, dando ai suoi il permesso di fare razzia quando andavano a catturare gli antifascisti o a perquisirne le case. Li aveva tenuti a battesimo Christian Wirth il tedesco che stava alla Risiera di San Sabba. Avevano girato per l’Italia settentrionale, con le divise della Decima Mas, e una loro base era a Verbania. Dopo tante, troppe violenze, quel gruppo venne sciolto dagli stessi nazisti il 10/5/44», scrive Piero Colaprico in calce al romanzo da lui scritto a quattro mani con Pietro Valpreda, "La primavera dei Maimorti" (Tropea 2002), riassumendo quanto ricostruito da Ricciotti Lazzero nel suo "La Decima Mas" (Rizzoli 1984).
Dopo lo scioglimento dei Mai Morti, Fumai andò a comandare il battaglione Sagittario della Decima Mas, mentre molti dei suoi accoliti entrarono nelle Brigate Nere: come Mungherli e Lubiana, appunto.
Ricordiamoci anche di questi personaggi quando parliamo di "innocenti infoibati sol perché italiani".

Claudia Cernigoi, 6.10.2016

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A PROPOSITO DI RAZZISMO FASCISTA...
Il Piccolo di oggi ha pubblicato una mia lettera, come da foto. però devo allegare il testo integrale, perché è "saltato" un pezzo a mio parere piuttosto importante, quello relativo alla continuità razzista del fascismo rappresentata dal personaggio Rodolfo Graziani.

Vorrei rispondere brevemente all’intervento di Livio Sirovich pubblicato sul Piccolo del 22/9/16 in merito alla cerimonia di ricordo delle leggi razziali a Trieste.
Il mio parere è che nelle sue valutazioni Sirovich sia caduto nell’equivoco di dare una lettura etnicista e non politica delle vicende storiche. Perché, se da un lato concordo sul fatto che è un circolo vizioso (ma non solo triestino) l’uso invalso negli ultimi tempi per cui se si parla della Risiera si devono ricordare anche le foibe (ormai i viaggi della memoria per le scuole includono il pacchetto “Foiba di Basovizza e Risiera”, come se i due monumenti fossero speculari), non sono d’accordo invece che condannare assieme, nella condanna totale del nazifascismo, le persecuzioni condotte contro gli ebrei e quello contro gli sloveni, gli antifascisti, gli omosessuali eccetera sia un “annacquare” la memoria facendo “il gioco degli estremisti di destra”.
Fin dal suo nascere il fascismo perseguitò le minoranze etniche nei territori annessi all’Italia dopo la prima guerra mondiale: sloveni e croati nella Venezia Giulia, tedeschi nell’Alto Adige; da subito gli avversari politici furono torturati, incarcerati, mandati al confino, assassinati; la politica colonialista causò migliaia di morti nelle guerre di conquista in Libia e nel Corno d’Africa; infine l’emanazione delle leggi razziali nel 1938 (e considerando che tra i firmatari di queste vi fosse anche l’ex governatore della Libia nonché vicerè d’Etiopia Rodolfo Graziani, che per “pacificare” i territori da lui controllati fece migliaia di morti usando anche l’iprite, dimostra la continuità del razzismo fascista), fatta per accontentare l’ingombrante alleato nazista (scaricando in questo modo anche tutti quegli ebrei che erano stati attivi sostenitori del regime, come ad esempio il podestà triestino Antonio Salem, che si trovò da un giorno all’altro tra i “discriminati”, anche se, come ex gerarca, gli fu cambiato il nome e non fece una fine tragica) fu in sostanza l’epilogo di una ventennale politica razzista condotta dal fascismo contro tutti i “non italiani”.
E probabilmente non fu a caso che l’annuncio fu dato a Trieste, la città che Saba definì “la più fascista d’Italia” e che rappresentava il simbolo di come si era condotta una vincente politica di snazionalizzazione nei confronti delle comunità etniche presenti sul territorio.
Proprio per la simbologia di Trieste in questo senso ritengo corretta la memoria così come proposta dal Comitato Danilo Dolci (che ha il pregio di raggruppare una serie di persone e di entità politiche e culturali di tutto rispetto, con buona pace della sbrigativa definizione di Sirovich “comunisti, trotskisti e cattolico terzo-mondisti”) ai cui volontari va comunque riconosciuto che se non fosse stato per il loro capillare lavoro informativo effettuato tramite presìdi, volantinaggi, comunicati e culminato nell’importante convegno sulle leggi razziali svoltosi nel 2013, oggi non ci sarebbe neppure quella piccola e quasi invisibile targa che molti calpestano senza neppure leggerla, posta nella pavimentazione di piazza Unità.
Targa che richiederebbe una dignità maggiore, una spiegazione più ampia, una posizione più visibile: questa la cosa da chiedere al Comune di Trieste, invece di creare polemiche strumentali contro chi continua a ribadire la necessità dell’antifascismo, dato che il fascismo non fu un’idea ma un crimine.





(srpskohrvatski / français / english / italiano)

Il Montenegro in bilico

1) Jul 2016.: одржана на Жабљаку седница Радне групе за Југоисточну Европу Светске федерације ветерана
2) Gojko Raicevic: « Le Monténégro devient une pièce maîtresse de l’alliance de l’OTAN »
3) Oštra rasprava o granici Kosova i Crne Gore / Nazionalisti pan-albanesi mettono in discussione il confine Kosovo-Montenegro
4) FLASHBACK dicembre 2015: Montenegro, NATO, Balcani. Quale futuro? (di Enrico Vigna)


Vedi anche:

Il punto di Giulietto Chiesa: 
Elezioni parlamentari in Montenegro. Si annuncia la fine di Djukanovic (PandoraTV 07/10/2016)
[Sul ruolo di Miodrag Lekić, ex ambasciatore jugoslavo in Italia, nelle prossime elezioni politiche in Montenegro]

Il caso del giornalista Jovo Martinović:
Fair Trial Sought for Montenegrin Investigative Reporter (BIRN, 8 September 2016)
Media organizations have demanded the release of the investigative journalist Jovo Martinovic following claims that the prosecution pressured another suspect in the drug-related case to accuse him falsely
Human Rights Watch: il giornalista Martinović incarcerato senza provati motivi (OBC, 21 settembre 2016)
Il giornalista montenegrino Jovo Martinović è in carcere da 11 mesi. Human Rights Watch denuncia che l'accusa non ha mai presentato le prove a suo carico e ne chiede la scarcerazione
Libérez le journaliste Jovo Martinović (Human Rights Watch | European Center for Press and Media Freedom | vendredi 23 septembre 2016)
Un journaliste d’investigation monténégrin, accusé sans preuves de trafic de drogue, est en détention provisoire depuis onze mois. Human Right Watch demande sa libération
Caso Martinović: Đukanović non ha voce in capitolo (OBC, 23 settembre 2016)
Il premier montenegrino afferma di non poter intervenire per garantire il rispetto dei diritti del giornalista Martinović, in carcere da 11 mesi in attesa di processo

Aggiornamenti precedenti sulla avanzata della NATO in Montenegro, da JUGOINFO:
Protesti protiv NATO-a u Crnoj Gori (francais / english / srpskohrvatski, 16.10.2015.)
La NATO è già all'opera in Montenegro (srpskohrvatski / english / francais / italiano, 28.10.2015.)
Alla NATO non interessa l'opinione dei Montenegrini (deutsch / english / italiano, 3.12.2015.)
Montenegro: NATO ubice nikad dobrodošle (italiano / srpskohrvatski, 14.12.2015.)
Il Montenegro, ventinovesima stella della NATO (di Antonio Mazzeo, lunedì 21 dicembre 2015)
Il Montenegro tra psicopatia e ricatti (français / srpskohrvatski / italiano, 22.6.2016.)
Montenegro: boom dell'export di armi... all'opposizione siriana (english / français / italiano, 11.8.2016.)

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[sull'incontro delle Ass. Partigiani jugoslave a Zabljak, Montenegro]


Међународна сарадња

СВЕ ДРЖАВЕ У СВЕТУ ПОМАЖУ И СТАТУСОМ ВЕТЕРАНЕ

У организацији Савеза удружења бораца НОР-а и антифашиста Црне Горе одржана је на Жабљаку редовна годишња седница Радне групе за Југоисточну Европу Светске федерације ветерана.

 Учествовале су делегације из Албаније, Хрватске, Србије, Црне Горе, Словеније и Босне и Херцеговине, као и председник Светске федерације ветерана Дан Виго Бергтун из Норвешке.

У саставу ове радне групе су борачке и ветеранске организације Бугарске, Републике Српске, Македоније, Турске  и Косова, који су такође, по изјави домаћина, уредно позвани и нису се одазвали.

Домаћин скупа и председавајући радне групе проф.др Љубомир Секулић из Подгорице покренуо је врло актуелне и значајне теме за  борачку популацију у региону и Југоисточној Европи. Посебно је нагласио да је скуп подржала Влада Црне Горе и да је уприличен у време обележавања Дана државности и 75.годишњица устанака – 13.јула кад је 1941.године народ рекао одлучно НЕ окупатору и фашизму чиме се и данас поносе.

Две су кључне теме, иначе, доминирале на скупу: Улога и задаци ветерана у сузбијању тероризма и договор о будућим облицима и садржајима деловања и сарадње у оквиру Светске федерације ветерана. Уводно излагање о првој теми је поднео некадашњи министар одбране у Влади Црне Горе Боро Вучинић који је указао на изазове и претње са којима се целокупна међународна заједница суочава и предочио неке од могућих начина и облика супростављања борачке и ветеранске популације злу које прети да угрози основе људске и цивилзацијске вредности овога света.

Председник Светске федерације ветерана Бергтун потврдио је изузетан значај и огромне могућности организације која је основана под окриљем Уједињених нација 1950. године (међу чијим оснивачима се налазио и СУБНОР) и сада опкупља 45 милиона чланова у 123 државе на свим континентима. Борба против тероризма је кључни задатак за очување мира и безбедности, наглашавајући да нико не може говорити о миру као они што су се борили у рату. Посебно је указао на потребу озбиљнијег и посвећенијег бављења борцима са аспекта постратног синдрома и укључивању у нормалне токове савременог живота.

Учествујући у расправи, наш представник и шеф делегације СУБНОР Србије генерал Видосав Ковачевић је такође указао да је тероризам велико зло које је захватило савремено човечанство и да упркос свему нема адекватног решења, не бавимо се узроцима него последицама, каснимо у реакцијама и велика борба на том плану тек предстоји. Тероризам се не може победити бомбама, ракетама, авионима или дроновима, тероризму се треба супроставити образовањем и подизањем нивоа свести, борбом против беде и сиромаштва, смањивањем економског јаза између развијених и неразвијених: ” Ми, ветерани који делујемо под окриљем Уједињених нација, морамо се залагати за активнију улогу те институције у свету, а не да се поново блоковски групишемо и разврставамо”.

У делегацији СУБНОР-а Србије су били и Светомир Атанацковић и Зоран Јаковљевић.

Са нарочитом пажњом су попраћена излагања (нарочито председника Светске федерације) о могућим будућим моделима, садражајима и облицима сарадње, поделама земаља у различите радне групе према географским и другим критеријумима, у циљу успешнијег рада и права бораца и ветерана. Посебно је указано на значај обезбеђивања финансијских средстава, при чему је обавеза  држава и влада да стварају услове за функционисање тог важног покрета у свету, одређујући посебан друштвани статус.

За новог председавајућег Радне групе за Југоисточну Европу Светске федерације ветерана изабрана је делегат из Словеније, Силва Чрнугељ.

Учесници међународног скупа су присуствовали прослави 75.годишњице Дана устанка и Дана државности Црне Горе, у Парку партизана Југославије на Жабљаку. У име Светске федерадције ветерана венац на спомен обележје палим борцима НОР-а положили су председник Бергтун, шеф делегације Србије генерал Ковачевић и Бакир Накаш, шеф делегације Босне и Херцеговине.


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« Le Monténégro devient une pièce maîtresse de l’alliance de l’OTAN »


17 Juin 2016, ELODIE DESCAMPS

Gojko Raicevic, président du mouvement pour la Paix au Monténégro est régulièrement la cible des autorités de son pays en raison de ses activités journalistiques et de ses prises de position en faveur de la paix. Son pays, le Monténégro, a en effet signé le protocole d’accès à l’OTAN ce 19 mai. Une alliance périlleuse mais qui pourrait s’avérer fructueuse selon le secrétaire général de l’OTAN!

 

Le Monténégro va prochainement devenir le 29° membre de l’OTAN. Quelles pourraient être les principales conséquences de cette adhésion ?

 

La première conséquence sera la perte de notre liberté. Même en mettant de côté les bombardements dramatiques par les forces de l’OTAN de la République Fédérale de Yougoslavie dont le Monténégro faisait partie intégrante en 1999, comment l’OTAN peut accueillir le Monténégro dans son alliance, connaissant les failles démocratiques du pays et l’imprécision de ses frontières officielles. Le Monténégro ne remplit aucun de ses critères d’adhésion.

Nous avons traversé une guerre avec l’OTAN et 17 années plus tard, notre gouvernement voudrait faire partie de cette machine meurtrière. J’appellerai cela “Le syndrome du Monténégro”. J’ai peur de ce scénario où l’OTAN aurait acquis des vertus pacifiques dont elle était cruellement dépourvue au cours de sa guerre contre les héroïques forces serbes et cela grâce au soutien de politiciens monténégrins corrompus.

Aujourd’hui, des enfants serbes, albanais et monténégrins meurent à cause des fortes concentrations en poussières d’uranium des bombes de l’OTAN. Chaque jour, nous assistons au massacre d’enfants syriens, afghans, palestiniens, irakiens, ukrainiens et russes et ces guerres sont déclenchées et entretenues par l’OTAN. Des personnes normalement civilisées ne devraient pas souhaiter faire partie d’une organisation criminelle comme l’OTAN.

 

Si cette alliance n’apporte rien au Monténégro, pourquoi certains dirigeants politiques veulent-ils l’imposer ?

 

Le Monténégro est gouverné depuis un quart de siècle par le même régime, les mêmes partis et le même homme. Crimes, corruption, police partisane, népotisme, violences contre les opposants et fraudes électorales y sont monnaie courante.

Le premier ministre Milo Djukanovic a transformé son image de communiste en nationaliste belliciste. En fonction dès le début des années 90, il a participé activement aux faits de guerre en Croatie, Bosnie et Herzégovine. A la fin de la guerre des Balkans, il opte pour un autre job à temps partiel en devenant le patron d’une organisation criminelle spécialisée dans la contrebande de cigarettes.

De nombreux procès en Italie, Suisse et Allemagne l’ont contraint à faire le choix entre devenir l’intermédiaire de sales boulots pour des potentats occidentaux ou de perdre la liberté d’action et l’opulence acquises par ses activités criminelles. La décision fut vite prise et le premier ministre a choisi le partenariat avec l’ouest corrompu afin de servir ses intérêts plutôt que ceux de son pays et de son peuple. Aujourd’hui nous l’appelons “Milo Lopove” ou “Milo le voleur” et il est devenu fan de l’OTAN par crainte de perdre sa liberté et les énormes revenus liés à ses activités criminelles.

 

Pourtant Mr. Stoltenberg, secrétaire général de l’OTAN, qualifie ce partenariat de « l’alliance la plus réussie de l’histoire ». Quels sont les intérêts de cette adhésion pour l’OTAN ?

 

Le Monténégro est le dernier morceau du pourtour de la méditerranée, mis à part la Syrie ensanglantée, qui ne soit pas occupé par les USA et l’OTAN. L’OTAN a besoin d’une victoire sur la Russie après deux défaites sérieuses en Ukraine et en Syrie. Par contre, nous avons de solides liens fraternels avec la Russie qui nous a protégé au fil des siècles et qui en tout cas ne nous a jamais bombardé. Nous sommes victimes du jeu des grandes puissances.

Nous estimons que le Monténégro ne devrait pas faire partie de l’alliance militaire de l’OTAN et que la position politique et militaire d’un petit pays comme le Monténégro devrait être celle de la neutralité. Un Monténégro neutre serait un partenaire et un ami pour tous sans constituer une menace pour personne. Mais à partir du moment où le Monténégro devient une pièce maîtresse de l’alliance, nous devons craindre que le Monténégro devienne la cible de l’institution militaire russe et que nos soldats ne fassent partie des troupes encerclant les frontières russes. N’est ce pas de la folie pure ?

 

Quelles pourraient être les réactions de la Russie ?

 

Je ne m’attends pas à ce que les réactions de la Russie soient disproportionnées mais la Russie sera déçue.

 

Auriez-vous d’autres messages à faire passer à nos lecteurs ?

 

Oui, je veux saisir cette occasion pour lancer un appel, comme je le fais à chaque fois, à tous les amoureux de la paix et de la liberté pour qu’ils exercent des pressions sur leurs élus afin de bloquer, dans les parlements nationaux comme en Belgique et les autres pays membres de l’OTAN, la ratification de cet accord. Il ne faut plus être naïf.

L’encerclement de la Russie par les forces de l’OTAN n’est pas dû à un amour de ce pays ni au désir de s’en rapprocher mais à des motivations comparables à celles qu’entretenait en son temps un certain Hitler. Ceux qui connaissent la géopolitique et qui n’ont pas oublié les leçons de l’histoire apprises au temps de leur école primaire se souviendront que les néo-Nazis d’aujourd’hui obéissent aux mêmes objectifs que les néo-Nazis d’hier quand ils ont entrepris leur marche vers la Russie.

C’est le message que je veux livrer en espérant que la raison et l’honnêteté prévaudront.

 

Source: Investig’Action



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Sul tema delle rivendicazioni pan-albanesi ai danni del Montenegro si vedano anche:

Kosovo-Montenegro, un confine che scotta (Francesco Martino, 26/09/2016)
La demarcazione del confine col Montenegro è diventata in Kosovo uno dei principali motivi dello scontro feroce tra maggioranza e opposizione. Un'analisi
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-Montenegro-un-confine-che-scotta-174472/

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Oštra rasprava o granici Kosova i Crne Gore 

3 august 2016  Izmijenjeno 16:34 CEST

Opozicija tvrdi da je Kosovo izgubilo više od 8.000 hektara tokom procesa demarkacije sa Crnom Gorom.


Poslanici Skupštine Kosova, stručnjaci i predstavnici civilnog društva raspravljaju o spornom procesu demarkacije granice sa Crnom Gorom.

Opozicija tvrdi da je Kosovo izgubilo više od 8.000 hektara svoje teritorije tokom procesa demarkacije, dok vladajuća koalicija odbacuje te navode.

Današnjoj raspravi prisustvuju i ambasadori nekoliko zemalja Evropske unije. Prisutnima se obratio i predsjednik Kosova Hashim Thaci, koji je izjavio da, nakon današnje rasprave, Vlada treba da proslijedi Skupštini na usvajanje Zakon o demarkaciji sa Crnom Gorom kako bi se, kaže, ovo pitanje riješilo jednom zauvijek.

Tokom Thacijevog govora, u znak protesta sastanak su napustili poslanici opozicionog pokreta Samoopredjeljenje.

"Hashim Thaci je glavni krivac i odgovoran je za potpisivanje sporazuma kojim Kosovo gubi teritoriju. Prema krivičnom zakonu Kosova, njegovo mjesto je u zatvoru.

Skupštini gdje pokušava da vrši pritisak na poslanike da podrže ovaj štetni sporazum. Mi još jednom ponavljamo da sporazum neće proći", kazala je Donika Kadaj Bujupi iz Samoopredjeljenja.    

Sporni sporazum

"Sporazum o demarkaciji potpisali su prošle godine zvaničnici Vlade Kosova i Crne Gore, ali on nije ratifikovan u Skupštini Kosova", javlja Al Jazeerin Avni Ahmetaj.

On dodaje da se opozicija već godinu dana protivi sporazumu, jer kako navode, Kosovo njime gubi 8.000 hektara.

Kako bi potvrdili te navode, bivša predsjednica Kosova Atifete Jahjaga pozvala je grupu međunarodnih stručnjaka, koji su zaključili da nije bilo nepravilnosti u procesu demarkacije", javlja Ahmetaj.

Predstavnici opozicije nisu promijenili svoj stav i najavljuju da će koristiti sva sredstva kako bi se protivili ratifikaciji sporazuma.

"Cilj današnje rasprave je da se postigne kompromis po ovom pitanju. Ratifikacija sporazuma je glavni uslov koji je Evropska unija postavila Kosovu za liberalizaciju viznog režima", javlja naš novinar. "Vladajuća koalicija se nada da će nakon današnje rasprave moći da zakaže sjednicu skupštine, ali pojedini poslanici vladajuće koalicije su se izjasnili protiv sporazuma za čiju ratifikaciju je potrebna dvotrećinska većina svih poslanika Skupštine Kosova."

Izvor: Al Jazeera


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Montenegro, NATO, Balcani. Quale futuro?


Scritto da Enrico Vigna

Forum Belgrado Italia


Il 2015 ha visto per l’area balcanica un ulteriore colpo alla stabilità ed alla pacificazione dell’area. Gli scontri di piazza verificatisi negli ultimi mesi dell’anno, dopo che è partita una campagna propagandistica governativa che intende guidare l’opinione pubblica verso l’entrata nella NATO. Alcune forze come il Fronte Democratico e il movimento per la pace “NO alla guerra-NO alla NATO”, hanno deciso di scendere in piazza con proteste che la polizia, su ordine del governo, ha cercato di reprimere violentemente.

Ma penso sia errato pensare che la protesta riguardi in primis la questione NATO (pur centrale). A chi segue da vicino le vicende montenegrine, non sfugge che, giustamente, queste forze stanno cercando di portare in piazza la gente con una lettura complessiva della situazione del paese. Uno stato che sta sprofondando, secondo le stime del FMI e degli economisti internazionali, verso lo stadio della povertà assoluta per fette sempre più consistenti della popolazione, ormai celebre a livello internazionale per una corruzione dilagante, una criminalità che ha messo salde radici nel paese (le varie mafie, italiana, russa, albanese hanno finanziariamente il paese nelle loro mani, come denunciato anche dai centri di investigazione italiani ed europei). Non bisogna dimenticare che lo stesso primo ministro del Montenegro, Djukanovic, è indagato dalla Procura italiana per connivenza con la Sacra Corona Unita pugliese.   Il governo che cosa fa di fronte a questo scenario? Lancia una privatizzazione selvaggia, pratica un programma di riduzione o addirittura abolizione delle ultime norme di stato sociale, elimina i benefici rivolti agli investimenti sull’occupazione dei giovani, blocca le pensioni e i salari, inasprisce le leggi che limitano libertà sociali e politiche…ma investe milioni di euro per campagne mediatiche di pubblicizzazione e sostegno all’ingresso nella NATO come obiettivo fondamentale per la crescita del paese. Incontri della NATO organizzate nel più lussuoso hotel della capitale, ricevimenti nei ristoranti più costosi, meeting in cui il numero degli altoparlanti spesso superava il numero di cittadini presenti, continui spot televisivi a pagamento sulle TV, decine di cartelloni pubblicitari in ogni città del Montenegro. Ma tutto questo non per caso, come spiegano bene i leaders delle proteste: infatti il governo è cosciente che nel paese, la maggioranza della popolazione, o rifiuta la NATO come prospettiva, oppure la considera come una alleanza ad essa non benevola. Una alleanza militare, che non solo ha bombardato il paese, ma ha utilizzato armamenti come quelli a base di l’uranio impoverito o le cluster bombs, devastando per sempre il territorio e l’ambiente. Il movimento di protesta, per far prendere coscienza di cos’è la NATO, ha prodotto documenti dove si cita l’opuscolo con le indicazioni obbligatorie, ai tempi dei bombardamenti sulla RFJ, per i soldati della NATO in Kosovo, dove era scritto testualmente: "L'inalazione di particelle insolubili di polvere di uranio è associata con conseguenze per la salute a lungo termine, tra cui il cancro e difetti di nascita. Questi effetti possono diventare visibili solo qualche anno più tardi". Il movimento ha portato avanti una richiesta ufficiale al Ministro della Sanità montenegrino, il dottor B. Šegrta, perché presenti pubblicamente le statistiche ufficiali dal tempo della campagna di bombardamenti NATO, dove si rileva l'aumento di malattie e di decessi per malattie maligne, nel corso degli ultimi due decenni, e per avviare la formazione di un gruppo di esperti indipendenti, nonché per fornire una stima di quanta incidenza hanno avuto su questo, i bombardamenti NATO e l'uso di munizioni all'uranio impoverito. E’ proprio muovendosi in questo quadro complessivo e sociale che, in particolare a Podgorica, sono scese in piazza migliaia di persone, con una forma di autorganizzazione, su parole d’ordine che affermano che l'inclusione del Montenegro nel processo di integrazione euro-atlantica non porta sviluppo, consolidamento o prosperità al paese. Va rilevato che in questo momento non vi è in Montenegro un partito o una forza politica consistente, con una politica o una proposta chiara e concreta, all’interno dello stesso Fronte Democratico che guida le proteste di piazza; al suo interno vi sono esponenti che appoggiano le proteste ma in realtà sono legati ad interessi interni al sistema e lontani dalle reali esigenze e bisogni della gente. Si tratterà di capire nell’evolversi della situazione, chi manterrà una posizione ferma e chi si adeguerà per salvarsi lo scranno. Uno scenario già visto in Montenegro ai tempi della secessione dalla RFJ e anche in Serbia.    

Questo per quanto riguarda la situazione interna al paese, ma è evidente che, come spiegato anche da analisti militari indipendenti, a Podgorica si svolge un “gioco globale", in cui è coinvolta anche la Serbia, per creare ulteriori difficoltà alla Russia, che nei Balcani ha un retroterra culturale e politico molto radicato nelle popolazioni, e su questo sta cercando di riprendere un ruolo di primo piano e ostacolare l’occidentalizzazione completa della regione. Se la NATO non riuscisse ad egemonizzare completamente l’area, molte prospettive ed alleanze strategiche dovrebbero essere ridefinite. 

Intanto dopo le manifestazioni di ottobre e i violenti scontri, a metà dicembre si sono svolte nuove proteste e manifestazioni con la parola d’ordine contro la guerra e contro la NATO, per un referendum popolare e per le dimissioni del governo.

"Se si impedirà il referendum e ci sarà un tentativo fraudolento in Parlamento circa la decisione di adesione alla NATO, il Montenegro sarà portato sull'orlo di uno conflitto interno molto pericoloso", ha dichiarato al comizio, Andrija Madic, il leader del Nuovo Partito Democratico Serbo, sicuramente il motore più deciso e consistente  di queste proteste.
La protesta è nuovamente tornata davanti al parlamento con la partecipazione di quasi 10.000 persone, secondo gli organizzatori.
Il 2 dicembre la NATO ha ufficialmente invitato il Montenegro a diventare un suo membro, provocando la reazione diplomatica della Russia, che ha bollato questo passo come una minaccia alla stabilizzazione e pacificazione dei Balcani.
Nel frattempo il Primo Ministro montenegrino Milo Djukanovic, preoccupato per gli esiti della consultazione popolare, ha risolutamente respinto gli appelli per organizzare un referendum sulla adesione al Trattato NATO.
"Ci hanno invitato solo per avere un po' di più soldati da mandare nelle loro guerre e poi contro la Russia. Noi in Montenegro non dobbiamo e non dovremo prendere parte a questa partita", ha dichiarato Bulatovic, ex presidente del Montenegro jugoslavo, ai manifestanti che sventolavano bandiere russe e serbe e cantavano "Putin è con i serbi!" e "Madre Russia!"
"Assassini della NATO", urlava la folla, mentre alcuni partecipanti portavano candele in memoria delle vittime dei bombardamenti della NATO in Montenegro.

"Ci hanno bombardato per più di 70 giorni, quindi come possiamo perdonarli per le vittime e la distruzione del nostro paese? In nessun modo e mai potremo dimenticare questo", ha detto Radomir, un elettricista di 46 anni in un intervento.

Il presidente del Centro NO Guerra-NO NATO, Gojko Raicevic ha dichiarato al sito Analytics che le possibilità di contrastare e piegare l’attuale governo sono fondate sulla speranza che il popolo del Montenegro non abbia perso la voglia di cercare la libertà sopra ogni altra cosa.

Il Fronte Democratico è una coalizione politica di opposizione in Montenegro. E' composto dal Nuovo Partito Democratico Serbo, dal Movimento per il cambiamento, dal Partito Democratico del Popolo, dal Partito dei Lavoratori e dal Partito Unito dei Pensionati e Disabili, oltre ad associazioni, organizzazioni studentesche, accademici, personalità indipendenti e anche una frazione del Partito Popolare Socialista. L'obiettivo di questa alleanza è di rovesciare il Partito Democratico dei Socialisti del Montenegro di Milo Đukanović, che è al potere dal 1991.
Miodrag Lekic ex ambasciatore a Roma della RFJ, ha guidato la lista dell'alleanza alle elezioni parlamentari dell’ottobre 2012 e alle elezioni presidenziali del 2013, supportato sia dal Fronte Democratico che dal Partito Popolare Socialista. Secondo la relazione della commissione elettorale fu sconfitto con un margine strettissimo da Filip Vujanović, sostenuto dalle forze governative. Ma molti osservatori internazionali indipendenti rilevarono che la vittoria di Vujanovic era frutto di una massiccia frode elettorale.

 

Una breve cronaca degli avvenimenti


Dalla fine di settembre alla fine di ottobre per 20 giorni le forze di opposizione all’attuale governo, insieme a sindacati, giovani e associazioni civili, hanno manifestato e occupato la piazza davanti al Parlamento a Podgorica, per chiedere le dimissioni del governo Djukanovic e contro le misure antipopolari sempre più dure riguardanti lo stato sociale, le privatizzazioni, la corruzione e la criminalità che hanno in mano il paese e la società montenegrina; a fianco di questo veniva richiesto un Referendum popolare per decidere la ventilata decisione di adesione alla NATO, diventata poi ufficiale il 2 dicembre. In tutto questo tempo decine di migliaia di montenegrini hanno occupato pacificamente notte e giorno la piazza del parlamento, ma a differenza di Piazza Maidan a Kiev, alle 5.45 del 16 ottobre 2015 un migliaio di membri delle unità speciale di polizia, portate da tutto il Montenegro, e di forze di polizia regolari in tenuta antisommossa, hanno brutalmente attaccato e sgomberato questa pacifica protesta. La polizia ha arrestato decine di manifestanti oltre ai parlamentari del FD Slaven Radunovic e Vladislav Bojovic. Nell’attacco ci sono stati anche decine di feriti tra cui uno molto grave. Anche il presidente del Partito Nazionale Democratico e membro del Presidium del FD Milan Knezevic è stato brutalmente e senza alcuna motivazione, picchiato e spruzzato sul viso con gas lacrimogeni e urticanti e trasportato con urgenza al Centro di Emergenza ospedaliero della capitale.

“Non vi è alcun motivo per la polizia di stare qui a controllare chi è qui per costruire, altri sono i luoghi dove si distrugge, si rapina, si ruba, distruggendo così il Montenegro e il suo onore…si allontani la polizia da qui e da queste persone, lottano per la libertà, per essa sono qui e vogliono la libertà di costruire il proprio futuro", ha dichiarato alla piazza il metropolita Amfilohije.                                                                                                                             

“Invece di favorire una equa ripartizione di tutti i beni, c’è chi ha collaborato con la criminalità europea; ora che sono diventati borghesi, si dicono a favore la democrazia. Tutto ciò che è stato costruito dal popolo, questi lo hanno ridotto ad una triste realtà. Quella che era una nazione, ora non c'è più. Ora abbiamo miliardari che insieme con altri miliardari europei e americani disgregano il paese. E dall’altra parte abbiamo sempre più poveri.” 'Non va bene ", diceva San Pietro. Non si costruisce su questo il futuro del Montenegro", ha detto l'arcivescovo. "La vera Europa è Dante, non questi che hanno bombardato il Montenegro non troppo tempo fa ".

Il Metropolita ha anche dichiarato che “quelli senza cervello [krivomozgići] hanno invocato l'occupante. Chi è che mi proclama nemico del popolo? Questo governo? Lo sanno che qui c’è stata per cinquant'anni una ideologia comunista, che ha anche avuto qualcosa di buono, quando ha predicato la fraternità e la condivisone paritaria delle risorse e l'uguaglianza tra le nazioni? Costoro ora sono uniti con il crimine europeo e ora sono per la democrazia e la borghesia", ha aggiunto.

Il leader del FD Andrija Mandic ha ringraziato Amfilohije per la sua presenza e ha detto che "avevano sperato tanto che lui fosse stato con loro lì in quella piazza, anche la notte". Al che Amfilohije ha chiesto un posto in una delle tende della protesta.



A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia, dicembre 2015





(Sullo stesso tema si vedano anche:


EURODIPUTADO JAVIER COUSO (I.U.) DENUNCIA LA "RUSOFOBIA" DEL PARLAMENTO EUROPEO (tena carlos, 18 feb 2016)
El organismo continental debatía este jueves qué estrategias debe adoptar para defenderse en la guerra mediática, mencionando "la propaganda rusa" como una de las principales amenazas a las que tiene que hacer frente...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uB9xNWf-TF0

Liste di proscrizione a Bruxelles e Strasburgo per escludere i russi

Robert Charvin: FAUT-IL DÉTESTER LA RUSSIE ? Nouveau livre des éditions Investig'Action
http://www.michelcollon.info/boutique/fr/livres/39-faut-il-detester-la-russie-.html
Pour organiser débats ou interviews, contacter: relations@...
VIDEO: Regarder la présentation vidéo (1’): https://www.youtube.com/watch?v=PNAifAYfHg0

Hannes Hofbauer: FEINDBILD RUSSLAND. Geschichte einer Dämonisierung
ProMedia Verlag – ISBN 978-3-85371-401-0, br., 304 Seiten, 19,90 Euro
Buchvorstellung! Wann und Wo? am Dienstag, 10. Mai 2016 um 19.30 Uhr
im Saalbau Bornheim, Clubraum 1, Arnsburger Str. 24, 60385 Frankfurt am Main
Näheres zum Buch unter: http://www.mediashop.at/typolight/index.php/buecher/items/hannes-hofbauer---feindbild-russland )



Russofobia, ecco perché i russi sono i cattivi

30.09.2016
di Tatiana Santi 

Che i russi siano i cattivi è un fatto risaputo in Occidente. I leader politici, accompagnati in coro dai mass media, non fanno che ricordarlo costantemente. In Occidente si è sommersi da pregiudizi negativi sulla Russia e si ragiona per partito preso. Perché?

"Russofobia, mille anni di diffidenza" è un libro (Sandro Teti Editore) che spiega i motivi e le diverse tipologie di russofobia, un fenomeno che affonda le sue radici nell'antichità, manifestandosi in modo più acuto in determinati periodi storici. Guy Mettan, autore del libro, affronta la russofobia dalle sue origini fino alle pagine dei giornali occidentali di oggi, che si dilettano a demonizzare la Russia.
Per la prima volta in un libro si cerca di dare una risposta al fenomeno della russofobia, ormai fortemente consolidata nel sistema occidentale. Sputnik Italia ha raggiunto per un approfondimento direttamente l'autore, il giornalista e lo storico svizzero Guy Mettan.

— Signor Mettan, perché ha deciso di scrivere questo libro e come nasce il suo interesse per la Russia? 

— Per una ragione da una parte personale e dall'altra professionale. Nel 1994 io e mia moglie abbiamo adottato nostra figlia Oksana in un orfanotrofio della regione di Vladimir. Oggi Oksana ha 25 anni. Da quel momento ho cominciato ad interessarmi alla Russia, che ho iniziato a conoscere sempre meglio. Sono diventato poi presidente della Camera di Commercio Svizzera-Russia e CSI. Ho viaggiato inoltre per tutto il Paese. Sono sempre rimasto molto colpito dall'enorme differenza fra la realtà russa tale e quale com'è vissuta in Russia, qualità e difetti compresi, e il modo sistematicamente negativo in cui questo Paese viene descritto dai media occidentali. 
Esiste un divario fra la realtà vissuta e l'immagine che se ne dà nei media occidentali. Perché c'è sempre un partito preso negativo, perché è pieno di stereotipi antirussi? Queste sono le domande che mi hanno spinto a scrivere il libro nel momento in cui scoppiava la crisi ucraina nel febbraio 2014. 

— In quale lingue è stato e sarà tradotto il libro "Russofobia, mille anni di diffidenza"? 

— Il libro è stato pubblicato all'inizio in francese nel 2015 edito da Editions des Syrtes. A maggio 2016 è stato pubblicato in russo edito da Paulsen a Mosca e in lingua italiana da Sandro Teti Editore. È in preparazione un'edizione americana da Clarity Press. Nel 2017 dovrebbero arrivare l'edizione serba e cinese, forse anche quella svedese. Siamo tuttora alla ricerca di un editore tedesco. 

— Nel suo libro lei analizza il fenomeno della russofobia da un punto di vista storico. Potrebbe riassumere le ragioni e le radici della russofobia? 

— Può sembrare paradossale, ma la russofobia occidentale è più antica della Russia! In effetti, è iniziata con le rivalità politiche e religiose che hanno contrapposto l'Impero di Occidente, fondato dal Carlo Magno nell'anno 800, all'Impero d'Oriente basato a Costantinopoli; la Chiesa cattolica e quella ortodossa.
Carlo Magno era un principe che si ribellò contro il sovrano legittimo dell'Impero romano d'Oriente che regnava a Bisanzio. I suoi successori, che hanno creato il Sacro romano Impero Germanico alla fine del X secolo, sono riusciti ad imporre ai Papi delle riforme religiose contro l'opinione delle Chiese greche d'Oriente, che si erano opposte perché ritenevano tutto ciò un colpo di Stato e non una decisione democratica presa in seno ad un concilio ecumenico universale.
In seguito a questo scisma, ufficialmente risalente all'XI secolo, a Roma ebbe luogo una propaganda antiortodossa e antigreca con lo scopo di denigrare gli Orientali sia sul piano politico sia religioso. Quando gli Ottomani conquistarono Bisanzio nel 1453 questi pregiudizi negativi si trasposero sui russi, i quali avevano rivendicato l'eredità politica e religiosa di Bisanzio. 

— Che tipo di pregiudizi sono? 

— I pregiudizi occidentali sono di due ordini. Innanzitutto i greci, e quindi i russi, sono dei barbari e i loro sovrani sono dei despoti e dei tiranni. Inoltre sono degli espansionisti, degli annessionisti, delle persone aggressive, le quali non fanno altro che sognare di conquistare e sottomettere l'innocente e virtuoso Occidente. 
Sono gli stessi pregiudizi che ritroviamo oggi sotto la piuma dei giornalisti occidentali antirussi. È da notare che la russofobia moderna è cominciata in Francia alla fine del XVIII secolo, quando il Gabinetto segreto del re Luigi XV ha forgiato un falso "Testamento di Pietro il Grande", nel quale il grande zar russo avrebbe comandato ai suoi successori di conquistare l'Europa. Napoleone lo fece pubblicare nel 1812 con lo scopo di giustificare meglio la sua invasione preventiva della Russia nel 1813. Gli inglesi tradussero il libro e lo usarono per giustificare la loro invasione della Crimea nel 1853. Questo pseudo testamento è stato denunciato come falso solo alla fine del XIX secolo, dopo aver ispirato decenni di russofobia francese e inglese. 

— Come si ricollega il suo discorso all'attualità?

— Si tratta della stessa manipolazione che gli americani hanno utilizzato nel 2003 per giustificare l'invasione dell'Iraq. Le false armi di distruzione di massa di Saddam Hussein ci rivelano la stessa mistificazione. Solo una volta commesso il crimine, la verità esplode. La storia è ancora troppo recente per vederci chiaro, ma potremmo scommettere che gli avvenimenti di Maidan in Ucraina a febbraio 2014 rilevano la stessa tecnica di manipolazione. Il putsch che ha permesso di travolgere il governo legale ucraino è stato saggiamente preparato durante lunghi anni da delle campagne finanziate da miliardi versati dagli Stati Uniti, come è stato ammesso dal segretario di Stato aggiunto Victoria Nuland davanti al Congresso (i famosi 5 miliardi di dollari), per essere attivati in favore delle manifestazioni popolari contro il governo, d'altronde legittime data la corruzione diffusa. Il risultato è che il governo attuale si rivela altrettanto corrotto che quello precedente, ma questo non interessa alcun media occidentale.

— La Russia nei media occidentali appare sempre come una minaccia. Perché secondo lei l'Occidente, con il sostegno dei giornalisti, demonizza la Russia?

— Il discorso occidentale antirusso si appoggia sui due principi di cui parlavo prima: l'Occidente incarna il Bene, i valori universali, la democrazia, i diritti dell'uomo, la libertà (soprattutto economica), mentre la Russia rappresenta l'autocrazia, il nazionalismo revanscista, la negazione delle libertà dell'individuo. Questo discorso bianco-nero strumentalizza senza vergogna l'opinione pubblica, perché questa sostenga la rimilitarizzazione dell'Europa e il rafforzamento della NATO, che non ha smesso di allargarsi in 20 anni con l'integrazione di tutta l'Europa dell'Est, e ora del Montenegro. Senza parlare del vassallaggio dell'Ucraina, della Svezia, della Georgia e anche della Svizzera "neutra" che partecipa alle sue esercitazioni in nome di un "partenariato per la pace", che in realtà è solo un giro di parole.
Più che dei professionisti interessati ad informare, i giornalisti dei principali media occidentali sembrano dei registi. L'opposizione fra i "buoni", gli Occidentali, e i "cattivi", i russi, nonché la demonizzazione della Russia, presentata come una minaccia per l'Occidente, diventano così degli elementi essenziali del discorso mediatico occidentale. 


Russofobia, un male incurabile? 

01.10.2016
di Tatiana Santi 

L’Occidente ha una malattia cronica, la russofobia, che si manifesta durante la storia con fasi più acute, guarda caso quando la Russia è particolarmente forte sulla scena geopolitica. Ebbene, la russofobia è un male incurabile?

C'è sempre un buon motivo per lottare contro la Russia, lo è stato per decenni il comunismo, ma una volta sparito, la russofobia non si è placata, anzi. L'Occidente si può veramente sbizzarrire usando una gamma infinita di pretesti, con l'unico scopo di rappresentare la Russia come una minaccia, costruendosi così un nemico perfetto.
Il complesso fenomeno della russofobia è stato analizzato dal giornalista svizzero Guy Mettan nel libro "Russofobia, mille anni di diffidenza", che cerca di rispondere alle domande che molti europei si saranno posti. La narrazione mediatica occidentale non basta più, il ritornello dei "russi cattivi" ha stancato, la gente vuole saperne di più. Sputnik Italia ha raggiunto per un approfondimento l'autore del libro, lo storico e giornalista Guy Mettan.

—  Signor Mettan, possiamo dire che più la Russia diventa forte sulla scena geopolitica più aumenta la russofobia?

—  Sì, assolutamente! Nel mio libro ho analizzato le quattro forme più importanti della russofobia moderna. Quella francese, molto attiva fra il 1780 e il 1880, ha compiuto un'inversione di tendenza spettacolare alla fine del XIX secolo per rapporto alla minaccia tedesca, ma è molto presente di nuovo a Parigi questi ultimi tempi. La russofobia inglese è iniziata dopo la vittoria contro Napoleone, ottenuta grazie alle truppe russe. Londra allora è tornata ad essere in contrapposizione al suo alleato, che aveva paura divenisse troppo potente nel Mediterraneo e in Asia Centrale. La russofobia tedesca è nata dalla frustrazione coloniale dell'Impero Tedesco, che ha spinto Il Kaiser, poi Hitler a voler allargare i loro territori in Russia (teoria dello spazio vitale, del Lebensraum). Questo fenomeno è all'origine del revisionismo storico attuale, che consiste a sopravvalutare il contributo americano nella liberazione dell'Europa (400 mila americani uccisi) e a svalutare lo sforzo maggiore fornito dalla Russia sovietica (26 milioni di morti). Infine abbiamo la russofobia americana che si è scatenata all'indomani della vittoria sul nazismo, secondo lo stesso schema della russofobia inglese. 

—  La russofobia si è manifestata quindi a ondate durante la storia? 

—  Esattamente. Appena sconfitto il nemico comune, gli Stati Uniti hanno condotto la guerra fredda contro il loro alleato sovietico in nome della lotta anti comunista. Ognuno ha potuto costatare come, una volta scomparsa la minaccia comunista ormai da 25 anni, la russofobia americana sia raddoppiata di intensità questi ultimi anni! Pensare che la lotta al comunismo fosse stata un pretesto è una supposizione naturale. 
Storicamente le fasi più gravi di russofobia corrispondono sempre a dei periodi durante i quali la Russia è particolarmente forte. Dopo il 1760 ai tempi di Caterina II, nel 1815, dopo la vittoria su Napoleone, dopo il 1945, dopo la vittoria contro il nazismo...

—  Come è stato accolto il suo libro dal pubblico e i colleghi in Francia? 

—  In Svizzera l'accoglienza mediatica è stata corretta e largamente positiva, perché la nostra posizione di Paese neutrale ci rende più equilibrati nel nostro modo di vedere il mondo. In Francia invece i media istituzionali hanno ignorato il libro. In compenso i social network e il passa parola hanno funzionato bene ed il libro viene comprato molto bene anche dopo 15 mesi dalla sua pubblicazione. Do diverse conferenze e posso costatare che c'è un vero interesse tra il pubblico. Le persone vogliono capire, cercano un altro punto di vista e non si accontentano più delle idee, di fatto, manipolate dai media principali.

—  La Russia, come notava prima, interessa molto il pubblico europeo, che ne ha abbastanza della stessa visione unilaterale proposta dai media. La russofobia è un male quindi curabile a suo avviso? Lei è ottimista?

—  Per fortuna è un male curabile. Come la germanofobia di cui la Francia è riuscita a liberarsi dopo tre guerre, di cui due mondiali! È anche però una malattia cronica alla quale l'Occidente si è abituato. Questo significa che per estirparla, la cura prenderà del tempo. A breve termine sono pessimista, non ci saranno grandi risultati nell'immediato. Le sanzioni non verranno tolte presto e troveranno sempre dei pretesti per giustificarle, come la Crimea, russa quanto l'Alsazia-Lorena è francese. La Crimea si è riunita alla Russia attraverso due referendum popolari nel 1991 e nel 2004, mentre il Kossovo è stato staccato dalla Serbia senza alcuna consultazione democratica. In generale, lo scopo è di strangolare la Russia militarmente ed economicamente obbligandola ad armarsi. Rivediamo lo scenario degli anni '80, si spera di far crollare la Russia come l'Unione sovietica. La differenza è che la Russia è un Paese aperto e che ha degli alleati e Paesi vicini come la Cina. Viviamo in un equilibrio del terrore, come durante la Guerra fredda, la "guerra" attuale resterà non militare. Il rischio tornerà se i generali e i think tanks neoconservatori avranno la convinzione che una guerra contro la Russia potrà essere vincibile, come pensarono Guglielmo II e Hitler rispettivamente nel 1914 e 1939. Per il momento, quindi, la strategia preferita dall'Occidente resta quella del "cambio di regime" imposto dalle sanzioni economiche, la corsa agli armamenti, le vessazioni di media e ONG assoldati.



(english / македонски / italiano)

Macedonia, protesta silenziosa

PandoraTV 09/10/2016 – Milenko Nedelkovski decide di fare scena muta nel corso del suo show settimanale (Late Night) in una televisione Macedone in segno di protesta per la nuova legge censoria imposta dal protettorato congiunto dell’Unione Europea e dell’Ambasciata americana a Skopje. Sono cinquanta minuti di silenzio. La Macedonia sta vivendo un sostanziale colpo di Stato (dopo che la rivoluzione colorata ha fatto cilecca).



Lo stesso Milenko Nedelkovski con il suo programma Milenko Nedelkovski Late Night Show tratta spesso di temi indigesti al sistema di potere UE-NATO.

Ad esempio, il 27 settembre 2013 intervistava Thierry Meyssan, presidente della Rete Voltaire, a proposito degli avvenimenti in Medio Oriente ("rivoluzioni colorate"), del colpo di Stato dell’11 settembre 2001 e più in generale degli inganni del sistema della disinformazione strategica, con parallelismi tra le guerre in Jugoslavia e in Siria: l’intervento dell’internazionale jihadista, al fianco di Stati Uniti e Unione europea, il ruolo d’Israele e l’addestramento militare dei combattenti dell’Esercito libero siriano da parte dell’UCK in Kosovo, ecc.

Nel 2015 Nedelkovski co-redigeva invece una importante analisi sulle interferenze della Open Society Foundation in Macedonia: 
ORIG.: (by Mirka Velinovska and Milenko Nedelkovski, 28/04/2015)
http://www.geopolitica.ru/en/article/open-society-foundation-macedonia
TRAD.: L’Open Society Foundation in Macedonia (di Mirka Velinovska e Milenko Nedelkovski – Geopolitica 28 aprile 2015)
https://aurorasito.wordpress.com/2015/05/19/lopen-society-foundation-in-macedonia/
e pochi giorni dopo denunciava la presenza di statunitensi tra i terroristi pan-albanesi liquidati dalla polizia a Kumanovo:


Nedelkovski: There are Americans killed among Terrorists in Kumanovo

MINA Breaking News – Monday, 18 May 2015

One of Macedonia's most famous journalists is Milenko Nedelkovski.
In an editorial published on his website on May 15th, he is asking himself one question, will Macedonia make it from the foreign initiated destabilization? The short answer says Nedelkovski, is a resounding Yes.
"The six horsemen of the apocalypse, the so called "western" ambassadors didn't wait a single day for us to even bury the Macedonian heroes, they rushed to meet with president Ivanov and Gruevski, to blackmail, to "insist", to request, to demand!!" writes Nedelkovski.
"The basic requests were layered like a baklava, you know, the usual suspects, judicial reforms, protection for whistleblowers (I assume the same protection US granted Manning and Snowden?), political dialog and similar cr*p, but the Real Request Was for the Courts Not to Release the Name of the British Ambassador as Directly Ordering the Coup" says Nedelkovski adding "Just as Important was to Hide the Names of 4 Americans and British Terrorists Killed in Kumanovo" The four came from the US Base in Kosovo, BondSteel.
"The US Ambassador Jess Bailey, nicknamed by Macedonian media as "Jess (Himmler) Bailey was instrumental in the failed coup attempt in Turkey where several civilians died during months old staged protests. There too the coup started with a fabricated wiretapping scandal." says Nedelkovski.
"Now Himmler was sent here to do the same" adds Nedelkovski. 
Yesterday, the Macedonian Government lowered the count of 14 killed terrorists to 10, is it to hide the 4 American terrorists and their involvement?
Skopje based Dnevnik ran an editorial as well, of leaked information that 4 of the killed were neither from Kosovo, nor Macedonia or Albania, rather from "another nation". 

Marija Nikolovska




IL BLA BLA BLA DI UN "PACIFISMO" CHE NON INDICA MAI I VERI NEMICI DELLA PACE


La marcia Perugia-Assisi è passata.
Con tutto il suo accompagnamento di dirette televisive, accorati messaggi presidenziali, adesioni anche di partitini "a sinistra del PD" che forse dovrebbero chiarirsi le idee, i luoghi comuni della Boldrini e, soprattutto, il bla bla bla di un "pacifismo" che ben si è guardato dall'indicare come nemico della pace l'imperialismo USA/NATO e che non ci ha risparmiato i soliti rituali ammiccamenti a tutte le "cause" che servono all'Impero per fare il bello e il cattivo tempo nel mondo.

Mauro Gemma – direttore di Marx 21




Contribuisci anche tu a infiammare la guerra in Siria!

Al TG3 delle 14:20 di oggi è stato dato ampio spazio (alcuni minuti) all'allestimento della mostra fotografica sulle presunte torture compiute nelle prigioni siriane.
Lo foto, che sarebbero state scattate da un aguzzino, nome in codice CAESAR, poi pentitosi e provvidenzialmente riuscito a emigrare in Occidente con tutto il materiale, sono infatti esposte con grande risalto al MAXXI di Roma, nell'ambito della operazione di guerra psicologica organizzata dai paesi NATO per demonizzare, aggredire militarmente e squartare la Siria - anche a costo di entrare in urto con la Russia, anzi come suol dirsi "due piccioni con una fava" per i guerrafondai nostrani.

La sfacciata campagna di disinformazione strategica, analoga a tante altre che abbiamo subito come pecore – dalla strage di Račak alle armi di distruzione di massa irachene, dalle fosse comuni sulle spiagge libiche ai morti di Timisoara – è apertamente avallata anche da "Un ponte per...":

In merito alla totale falsità delle attribuzioni delle foto esposte al MAXXI si vedano:

Report sulla attendibilità delle “Foto di Caesar”

La bufala di “Caesar” in mostra al Senato? (di Francesco Santoianni, 14.3.2016)
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3174

Ha scritto Manlio Dinucci (su Il Manifesto del 27 settembre 2016):
... sarà presentata a Roma agli inizi di ottobre, per iniziativa di varie organizzazioni «umanitarie», una mostra fotografica finanziata dalla monarchia assoluta del Qatar e già esposta all’Onu e al Museo dell’olocausto a Washington per iniziativa di Usa, Arabia Saudita e Turchia: essa contiene parte delle 55mila foto che un misterioso disertore siriano, nome in codice Caesar, dice di aver scattato per incarico del governo di Damasco allo scopo di documentare le torture e le uccisioni dei prigioneri, ossia i propri crimini ...

Chiunque fosse interessato a dare il suo contributo per aggravare la guerra in Siria e lo stato di tensione tra paesi NATO e Russia è cordialmente invitato al MAXXI di Roma entro il 9 ottobre.

(a cura di Italo Slavo)


(deutsch / italiano)
 
PSYOPs 
 
1) Psyop: operazione Siria (Manlio Dinucci su il manifesto del 27.9.2016)
2) I “giornalisti comprati” in Europa (Thomas S. Harrington, 10.8.2016)
3) Europa, il bavaglio delle multinazionali sul giornalismo d'inchiesta (Fabio Sebastiani, 25/04/2016)
4) Repubblica e le menzogne di guerra (Francesco Santoianni, 21.1.2016)
5) Obama, da messia a spia (Sputnik News, 12.01.2016) – In un documento intitolato "Disposizioni in materia di diritto militare", il Pentagono ha dichiarato che tutti i giornalisti in futuro dovranno essere catalogati come "combattenti di basso livello" ...
6) Informationskrieg. Die "strategische Kommunikation" der NATO (GFP 28.10.2015)


Milano, venerdì 7 ottobre 2016
alle ore 21:00 presso la Casa Rossa, Via Monte Lungo 2 (MM1 Turro)

nell'ambito del Corso multimediale 2016 di in-formazione sulle questioni internazionali e sul socialismo

ore 19:30 aperitivo popolare

ore 21:00 presentazione del libro di Jean Toschi Marazzani Visconti:

LA PORTA D'INGRESSO DELL'ISLAM

alla presenza dell'Autrice.


Altre info sulla Casa Rossa di Milano: http://casa-rossa.blogspot.it

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Jean Toschi Marazzani Visconti 
LA PORTA D'INGRESSO DELL'ISLAM
Bosnia Erzegovina: un Paese ingovernabile
Frankfurt: Zambon, 2016
Formato: 14x20,5 cm – 240 pagine – 18,00 € – ISBN 978 88 98582 32 7
zambon@...www.zambon.net

Il 14 dicembre 2015 compiva vent’anni il Trattato di Dayton, firmato a Parigi nel 1995 alla presenza dei massimi rappresentanti delle potenze occidentali. L’accordo metteva così fine a tre anni e mezzo di feroce guerra civile in Bosnia-Erzegovina. L’amministrazione Clinton considerava un grande successo aver fermato il conflitto e creato una nazione composta di tre etnie divise in due entità: la Federazione Croata - musulmana e la Republika Srpska. Però aveva distrutto il multiculturalismo in favore del nazionalismo. 
Oggi la Bosnia Erzegovina è nello stesso stato d’allora, congelata dalla costituzione imposta a Dayton, in uno stato di caos contenuto e di odio. Nel corso degli anni si sono alternati Alti Commissari europei al controllo del paese, ma anche altre nazioni sono intervenute nel delicato equilibrio. La Turchia ha una forte presenza. Ricchi finanziamenti giungono da Iran e Arabia Saudita per costruire moschee e scuole islamiche. I campi di addestramento per jihadisti sono ignorati, anche se dalla Bosnia è partito il più alto numero di combattenti per ISIS. Dodicimila islamisti, tra cui diversi terroristi dormienti, giunti dai paesi arabi per combattere a fianco dei musulmani nel 1992, sono da allora residenti in Bosnia...

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Dell'Autrice si legga anche il report "7 e 8 maggio [2016] a Banja Luka":



(srpskohrvatski / italiano)

Vertice del Movimento dei Paesi Non Allineati

1) Report sul XVII Vertice MNOAL – a cura della redazione di Resistência
2) Discorso pronunciato da Raúl Castro Ruz al XVII Vertice del MNOAL
3) 11 KLJUČNIH TAČAKA DEKLARACIJE POKRETA NESVRSTANIH


Due significative foto del Vertice sono visibili alla pagina http://www.globalcir.com/vest/7360


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Il 17° Vertice del Movimento dei Paesi Non Allineati (MNOAL)

20 Settembre 2016

a cura della redazione di Resistência

Traduzione di Marx21.it

Alla chiusura del 17° Vertice, i Non Allineati difendono la pace e la ricostruzione delle Nazioni Unite

E’ finito con successo nell’Isola Margherita, in Venezuela, il 17° Vertice del Movimento dei Paesi Non Allineati (MNOAL), nel corso del quale l’Iran ha passato la presidenza, che sarà esercitata nei prossimi tre anni, alla Repubblica Bolivariana del Venezuela. L’incontro ha approvato la Dichiarazione di Margarita, che ha tra i suoi scopi fondamentali accelerare i processi di rifondazione del sistema dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolas Maduro, ha affermato che l’obiettivo del movimento è ottenere la democratizzazione del sistema e la trasformazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Il documento comprende 11 linee di azione. La prima è accelerare i processi di cambiamento in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), espandendo i sistemi di direzione dei popoli del Movimento dei Non Allineati, e facendo in modo che i cambiamenti  avvengano nel senso della rifondazione e non solo della trasformazione.

Il testo propone di favorire nuove alleanze, ad esempio con il gruppo dei BRICS, che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica; far avanzare programmi di lavoro in consonanza con l’Agenda 2030 dell’ONU, che ha tra i suoi assi centrali la pace e lo sradicamento della povertà come fattori inerenti lo sviluppo sostenibile.

Il documento fa anche riferimento al compito fondamentale di riprendere il programma della democratizzazione della comunicazione sociale, da parte dei paesi del Movimento, come pure quello della pace e della risoluzione dei conflitti mediante la diplomazia di pace mondiale.

Comprende anche la necessita di adottare un progetto verde per affrontare le conseguenze del cambiamento climatico, e nel punto sette si enfatizza l’importanza di continuare in modo tenace l’appoggio al popolo palestinese che affronta l’illegale occupazione da parte dello Stato di Israele.

Il documento contiene nella linea d’azione otto l’appoggio incondizionato al popolo della Repubblica di Cuba, che affronta un blocco economico, commerciale e finanziario, imposto dal governo degli Stati Uniti da oltre 50 anni, e che costituisce un ostacolo allo sviluppo del popolo cubano.

Altri punti comprendono l’impulso e l’appoggio alla decolonizzazione di Porto Rico, così come la solidarietà e l’attenzione al problema dei rifugiati in Europa, prodotto dei conflitti creati dagli Stati Uniti e dai loro alleati nel Medio Oriente e in Africa.

La Dichiarazione di Margarita menziona anche la lotta contro il terrorismo e i metodi di guerra non convenzionale promossi da settori che cercano di restaurare la tutela coloniale nelle nazioni determinate a essere libere , indipendenti e sovrane.

Unità

Gli oratori durante il 17° Vertice del Movimento dei Paesi Non Allineati hanno sostenuto che è necessario concentrare le forze per portare gli interessi del blocco in altri organismi internazionali, come le Nazioni Unite, sempre con posizioni comuni, con un comportamento unitario che permetta di difendere i propri diritti.

E’ risuonata fortemente nelle plenarie del MNOAL la condanna del colpo di Stato in Brasile e dell’intervento in Venezuela.

Pieno successo

Il 17° Vertice del MNOAL è stato un grande successo per i 120 paesi che costituiscono questo blocco, in particolare il Venezuela, che ha brillantemente ospitato l’evento e che assumerà la presidenza nei prossimi tre anni. Un evento di straordinaria importanza per la Repubblica Bolivariana, vittima di una campagna di diffamazione e di discredito da parte dell’imperialismo statunitense e della destra internazionale, soprattutto il governo di destra e golpista di Michel Temer e del suo ministro degli Esteri José Serra che si è posto, tra gli obiettivi principali, quello di destabilizzare il paese di Bolívar e Chávez.

La Dichiarazione di Margarita ha un inequivocabile carattere di difesa e promozione della pace, della sovranità e della sicurezza per lo sviluppo delle nazioni.

Il MNOAL sorse 55 anni fa, nel 1961, e la sua origine più remota risale alla Conferenza Afroasiatica di Bandung (Indonesia), nel 1955, quando furono stabiliti i suoi principi fondamentali.

Tra questi principi emergono il rispetto dell’indipendenza, dell’autodeterminazione, della sovranità, e la promozione di relazioni di cooperazione sulla base del rispetto reciproco.

Il MNOAL svolge un grande ruolo nella preservazione della pace mondiale, ragion per cui si oppone fermamente all’esclusione sociale, difende la non ingerenza negli affari interni degli Stati, e lotta per il disarmo e ogni forma con cui si manifesta il dominio imperialista.

La presidente del Consiglio Mondiale della Pace, la brasiliana Socorro Gomes, ha partecipato al 17° Vertice del MNOAL. “I movimenti sociali e i difensori della pace in tutto il mondo ammirano il Movimento dei Paesi Non Allineati in quanto comunità di Stati nazionali ampia e rappresentativa, impegnata con i principi della sovranità nazionale e della pace e che non ha mai mancato al suo dovere di solidarietà con i popoli e le nazioni in lotta per i loro diritti”, ha dichiarato.

La presidente del CMP ha rilevato che il Movimento dei Paesi Non Allineati è “un’organizzazione politica, la cui piattaforma è sempre stata quella della lotta contro il colonialismo e l’imperialismo, per un nuovo ordine economico e politico internazionale. Sono sempre risuonate fortemente le voci dei paesi membri che si sono pronunciati su tempi scottanti della politica internazionale, in una chiara dimostrazione dell’attualità del MNOAL come coordinamento internazionale”, ha sottolineato.

Concludendo il 17° Vertice del MNOAL, il presidente Nicolás Maduro ha riaffermato la difesa della pace e ha inneggiato alla “Patria umana”.


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www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 19-09-16 - n. 602

L'unica alternativa di fronte agli enormi pericoli e alle sfide che abbiamo davanti è l'unità, con la solidarietà

Raúl Castro Ruz | granma.cu

19/09/2016

Discorso pronunciato dal Generale d'Esercito Raúl Castro Ruz, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e Presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri, nel XVII Vertice del Movimento dei Paesi Non Allineati, nell'Isola di Margarita, Venezuela, il 17 settembre del 2016, "58º Anno della Rivoluzione".

Discorso pronunciato dal Generale d'Esercito Raúl Castro Ruz, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e Presidentedei Consigli di Stato e dei Ministri, nel XVII Vertice del Movimento dei Paesi Non Allineati, nell'Isola di Margarita, Venezuela, il 17 settembre del 2016, "58º Anno della Rivoluzione".

Stimato compagno Nicolás Maduro Moros, Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela;
Capi di Stato e di Governo;
Stimati Ministri, delegati e invitati;
Signore e Signori:

Siamo 120 Stati Non Allineati e contiamo oltre che sui Principi di Bandung, con la Dichiarazione dei Propositi, Principi e Ruolo del  Movimento dei Paesi Non Allineati nella Congiuntura Internazionale attuale, approvata nel XIV Vertice a L'Avana. Non si può sottovalutare la nostra enorme forza quando attuiamo uniti.
Nello stesso Vertice del 2006 abbiamo respinto i tentativi di "cambio di regime", ed abbiamo chiamato a garantire che ogni paese rifiuti di ricorrere all' aggressione e all'uso della forza.

Sempre a L'Avana, nel gennaio del 2014 i Capi di Stato e di Governo della comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi - CELAC - con la firma del Proclama dell'America Latina e dei Caraibi come "Zona di Pace", abbiamo riaffermato l'impegno con i principi della Carta delle Nazioni Unite e del Diritto Internazionale; con la soluzione delle differenze  in forma pacifica  e nel pieno rispetto al diritto inalienabile di ogni Stato d'eleggere il suo sistema politico, economico, sociale e culturale, come condizione essenziale per assicurare la convivenza tra le nazioni.

Senza dubbio siamo testimoni dei crescenti attacchi alla sovranità e all'autodeterminazione del Venezuela. Cuba riafferma il suo sostegno senza condizioni al Governo e al popolo venezuelani, all'Unione Civico Militare e al presidente costituzionale Nicolás Maduro Moros (Applausi).
Condanniamo con energia il colpo di Stato parlamentare - giudiziario in Brasile contro la presidente Dilma Rousseff, che costituisce un'azione d'aggressione alla volontà sovrana del popolo che l'ha eletta con più di 53 milioni di voti.

La fraterna Colombia avrà tutto l'appoggio di Cuba per avanzare nel difficile cammino dell'implementazione dell'accordo e nel consolidamento della Pace, giusta e duratura, che il suo popolo merita.
Esprimiamo la nostra fiducia nel fatto che il popolo della Repubblica Araba della Sira sarà capace di risolvere le sue differenze da solo, senza ingerenze esterne indirizzate a promuovere un cambio di regime.

Compagno  Presidente:
È inaccettabile  che ancora oggi il popolo della Palestina continui a essere vittima dell'occupazione e della violenza e che la potenza occupante continui ad impedire la creazione di uno Stato Palestinese indipendente, con Gerusalemme orientale come sua capitale.

Tutti i tentativi di garantire l'autodeterminazione del sofferto popolo sarahaui sono stati frustrati e questo richiede l'azione della comunità internazionale.
Noi siamo solidali con la storica domanda del popolo di Puerto Rico a favore della sua autodeterminazione e indipendenza.
Sosteniamo anche il reclamo della Repubblica Argentina sulle isole Malvine, Sandwich del Sud e George del Sud.

Stimato compagno  Maduro:
Per Cuba, il non allineamento significa la lotta per modificare l'Ordine Economico  Internazionale imposto dalle grandi potenze, che ha portato a che 360 persone possiedano una ricchezza annuale superiore alle entrate del 45% della popolazione mondiale. La breccia tra i paesi ricchi e i poveri cresce. Il trasferimento delle tecnologie dal nord al sud è una mera aspirazione.
La globalizzazione favorisce fondamentalmente  un selezionato gruppo di paesi industrializzati. Il debito dei paesi del sud si moltiplica e somma più di 1700 bilioni di dollari.

Duemilanovecento milioni di persone sono senza lavoro e in miseria.
Milioni di bambini muoiono ogni anno a causa della fame e di malattie curabili. Quasi 800 milioni di persone non sanno leggere né scrivere, mentre più di 1.7 milioni di dollari si dedicano alle spese militari.
Non allineamento significa anche la lotta per eliminare la breccia della conoscenza e per l'uso delle tecnologie dell'informazione e le comunicazioni a favore dello sviluppo e la cooperazione.

Condanniamo la crescente militarizzazione e l'uso aggressivo contro terzi paesi. Il cambio climatico si aggrava e persistono nei paesi sviluppati indici irrazionali di produzione e consumo che minacciano le condizioni d'esistenza della nostra specie. La realizzazione dei diritti umani continua ad essere un sogno per milioni di persone in tutto il mondo.

Gli Stati Uniti e l'Europa utilizzano la manipolazione, la doppia morale, la selettività e la politicizzazione, mentre ondate di rifugiati si ammassano alle frontiere europee senza che si trovino soluzioni giuste, stabili e permanenti che proteggano la loro vita e la loro dignità.

Stimato presidente Maduro:
Sono passati 21 mesi da quando abbiamo annunciato simultaneamente con il presidente Barack Obama, la decisione di ristabilire le relazioni diplomatiche tra Ciba e gli Stati Uniti. Ci sono stati alcuni passi avanti soprattutto in ambito diplomatico e della cooperazione in temi d'interesse reciproco, ma non è stato così nella sfera economico-commerciale, per via della portata limitata, anche se positiva, delle misure adottate sino ad ora dal governo statunitense.

Cuba continuerà a reclamare l'eliminazione del blocco economico, commerciale e finanziario che provoca molti danni e privazioni e che danneggia anche molti altri paesi per la sua portata extraterritoriale. 
Continueremo a domandare che si restituisca alla nostra sovranità il territorio illegalmente occupato dalla Base Navale degli Stati Uniti in Guantánamo.

Senza questo non ci potranno essere relazioni normali, e sarà anche impossibile se non si porrà fine alle altre politiche sempre vigenti, che ledono la sovranità di Cuba, come i programmi sovversivi e ingerenti.
Ratifichiamo la volontà di sostenere relazioni di convivenza civile con gli Stati Uniti, ma Cuba non rinuncerà ad uno solo dei suoi principi, nè realizzerà concessioni inerenti alla sua sovranità e indipendenza (Applausi).
Non cederà mai alla difesa dei suoi ideali rivoluzionari e antimperialisti, né  all'appoggio dell'auto determinazione dei popoli.

Compagno  Maduro:
auguriamo tutto il successo alla fraterna  Repubblica Bolivariana del Venezuela alla guida dei Paesi Non allineati e ci complimentiamo con la  Repubblica Islamica dell'Iran per  il suo lavoro nel mandato appena terminato.
L'unica alternativa di fronte agli enormi pericoli e alle sfide che abbiamo davanti è l'unità con la solidarietà, in difesa dei nostri obiettivi e interessi comuni.

Molte grazie
(Applausi/ Versione stenografica del Consiglio di Stato – Traduzione Gioia Minuti)


=== 3 ===


11 KLJUČNIH TAČAKA DEKLARACIJE POKRETA NESVRSTANIH: Prevazilaženje dugova i izazova koje su ostavili kolonijalizam, neokolonijalizam, neoliberalizam i divljački sistem u kojem su naše ekonomije stavljene u podređeni položaj!


UREDNIK: ERMIN KADIC
21. 09. 2016.

Predsjednik Venecuele Nikolas Maduro objavio je u subotu jedanaest glavnih ciljeva za koje će se Venecuela zalagati tokom svog predsjedavanja Pokretom nesvrstanih država, ističući da će taj mandat biti iskorišten za “snažno i odano zalaganje za sve ono za šta se bore naši narodi”.

1.- Ubrzanje procesa unutar Organizacije ujedinjenih nacija koje će dovesti do njene istinske demokratizacije: proširenje Vijeća sigurnosti UN-a, sa uključivanjem nadolazećih sila sa južne hemisfere; demokratizacija sistema biranja vladajućih organa i donošenja odluka u okviru sistema Ujedinjenih nacija, kao i zalaganje za program zasnovan na kulturi, miru i odbrani samoopredeljenja svih naroda.

Maduro je naglasio da to neće biti reforma, već ponovno osnivanje sistema Ujedinjenih nacija, sa novom bazom, koji će “imati snagu, liderstvo i glasove za odlučujući napredak u procesu konkretizacije i ubrzanja ovih procesa transformacije“.

2.- Zalaganje za priznanje novog međunarodnog ekonomskog poretka, u svjetlu pojave novih organizama, u svjetlu moćnog saveza sa organizacijom Briks (Brazil, Rusija, Indija, Kina i Južna Afrika) kao nadolazećom ekonomskom silom (…), i u svjetlu saveza sa regionalnim blokovima koji su se učvrstili u Aziji, Africi, Latinskoj Americi i Karibima.

3.- Sprovođenje konkretnih planova u okviru “Plana 2030”. Maduro je naglasio da se ovaj program, usvojen prije godinu dana, smatra “velikim prioritetom”.

Maduro je rekao da je kod ove tačke težnja da se prevaziđu dugovi i izazovi koje su ostavili kolonijalizam, neokolonijalizam, neoliberalizam i divljački sistem u kojem su naše ekonomije stavljene u podređeni položaj.

Takođe je istakao da prema posljednjim izvještajima Pokreta nesvrstanih postoji ogroman statistički napredak u društvenim kategorijama kao što su pristup hrani, zdravlje, rad i ljudska prava.

4.- Sprovođenje programa demokratizacije, poboljšanja komunikacije i razmjene informacija u okviru novog međunarodnog poretka. Naglasio je da se mora unaprijedi sve što ima veze sa komunikacijom, “zastavom koju je podigao Pokret nesvrstanih”.

Također je podsjetio da je komandant Hugo Čavez osnovao mrežu TeleSUR, koja je u vlasništvu većeg broja država, i danas predstavlja “prozor za istinu o borbama koje se vode širom Latinske Amerike i Kariba (…), vjerujemo da je došao momenat da se artikuliše sve veća moć komunikacije koju naši narodi stiču kroz bitku ideja”.

5.- Podsticanje politike koja će voditi miru, dijalogu između civilizacija i odbrani samoopredjeljenja naroda, nasuprot politici intervencionizma, ratnim prijetnjama i nekonvencionalnim modelima intervencije. Maduro je pozvao sve države članice Pokreta nesvrstanih da se postojano zalažu za rješavanje sukoba mirnim putem, to jest dijalogom i drugim diplomatskim metodama.

6.- Sprovođenje i širenje ekološkog programa zvanog “zelena agenda” koji već postoji u Južnoj Americi, jer smo “mi, Južnoamerikanci, velike žrtve globalnog zagrijavanja”; iz tog razloga je najavljen rad na nalaženju rješenja kojima bismo se suprotstavili ovom fenomenu koji pogađa planetu Zemlju.

7.- Pronalaženje rješenja za palestinsku stvar. “Moramo nastaviti bezrezervno i uporno podržavatinarod Palestine (…) To je jedna od centralnih neriješenih tema na nivou čitavog čovječanstva, a može se riješiti – na onaj način na koji je Južna Afrika (uključujući današnju Namibiju) oslobođena aparthejda”, naglasio je Maduro.

8.- Konačno okončanje progona i blokade bratske kubanske nacije od strane američke imperije, koja traje više od pet decenija, pogađajući kubanski narod na razne načine.

“Moramo da budemo uz Kubu do konačnog svršetka finansijske blokade (…) Kuba zaslužuje da joj se nadoknade sve ove godine blokade od strane vlade Sjedinjenih Država”, istakao je Maduro.

9.- Konkretizacija procesa dekolonizacije naroda Portorika.

10.- Zalaganje za rješavanje krize na Bliskom istoku, koja je proizvod imperijalističkih bombardovanja i drugih vrsta napada.

11.- Iskorijenjenje terorizma u svim oblicima. Maduro je dodao da se mora voditi borba protiv napada država koje izazivaju destabilizaciju. “Preuzimamo, sa velikim entuzijazmom, svaku inicijativu u borbi protiv terorizma u svim oblicima”, zaključio je.


(Global CIR/Princip.info)



(srpskohrvatski / italiano

Inviamo nuovamente il testo di Mirjana Jovanović Pisani che per un problema tecnico era risultato amputato nel precedente invio)


I sette morituri
GARIBALDINCI - ITALIJANSKI DOBROVOLJCI NA DRINI 1914


Riportiamo qui in anteprima un articolo di Mirjana Jovanović Pisani che uscirà in uno dei prossimi numeri della rivista belgradese Pečat. Esso narra della vicenda, pressoché sconosciuta o almeno dimenticata in Italia, dei sette volontari garibaldini che allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, ben prima dell'entrata dell'Italia in quella guerra, si recarono volontari in Serbia per combattere contro l'Impero Asburgico. Di loro, cinque caddero praticamente subito in combattimento, nella remota località di Babina Glava presso il fiume Drina, al confine meridionale tra la attuale Bosnia-Erzegovina e la Serbia.

A questa storia in passato è stata dedicata scarsa letteratura. In Serbia l'interesse è forse maggiore che non in Italia, come dimostra anche la recente produzione e trasmissione di un documentario televisivo, intitolato "I SETTE MORITURI" (1). In Italia, un fascicolo fu edito dalla Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini (ANVRG) più di mezzo secolo fa (2). L'interesse appare essersi ridestato recentemente, sull'onda delle rievocazioni della Prima Guerra Mondiale in occasione del Centenario: ad esempio, un breve servizio è stato trasmesso da RAI Storia (3); ma a prendere l'iniziativa forse più importante è stata una Sezione ANPI, quella di Marino (RM), che ha prodotto un libricino illustrato scaricabile in rete (4). La cittadina di Marino, sui Castelli Romani, è infatti centrale in questa vicenda, poiché da lì provenivano alcuni dei volontari.

È giusto che l'ANPI abbia voluto fare propria la memoria di un tale episodio, visto che esso dovrebbe naturalmente rientrare nel novero della tradizione democratica e progressista del nostro paese. Infatti i "sette morituri" di Babina Glava, ispirati da concezioni repubblicane e internazionaliste, partirono clandestinamente a fine luglio 1914, a rischio di essere arrestati "ai sensi dell'Art.113 del codice penale" di un Regno sabaudo inizialmente proclamatosi neutrale perché legato alla potenze centrali, gli aggressori Austria e Germania, da un patto tanto simile a certi altri patti in virtù dei quali il nostro paese pavidamente sempre si schiererà dapprima con il più forte e più prepotente, previo poi magari pentirsene attuando tragici voltafaccia. 
L'ideale che muoveva le correnti mazziniane e garibaldine era fondato invece sulla solidarietà tra i popoli e, per quanto riguarda Italiani e Jugoslavi, come farà notare Sandro Pertini, la fratellanza << si era instaurata non soltanto negli anni duri della prima guerra mondiale, ma nel pieno del Risorgimento italiano, quando Giuseppe Mazzini nel 1857 pubblicò le sue "Lettere slave" e previde con estrema lucidità che il moto d'indipendenza degli Slavi del Sud sarebbe stato il più importante, dopo l'italiano, per l'Europa futura. "Il moto slavo" egli scriveva "dura lentamente continuo. Quando un'idea di libera patria, un'aspirazione nazionale si affaccia ad un popolo, nessuna forza può spegnerla o contenderle il più o meno lento sviluppo progressivo sino al trionfo." >> (5)

La Prima Guerra Mondiale avrà esiti comunque tragici. Per i popoli Slavi del Sud essa rappresenterà l'atto costitutivo del comune Stato jugoslavo, ma ancora nella forma immatura della monarchia Karadjordjevic e al prezzo di un numero esorbitante di morti proprio per la parte serba. Per gli Italiani la carneficina ai danni dei ceti più umili della popolazione non sarà da meno, e soprattutto grave risulterà alla fine il deturpamento dell'ideale risorgimentale, che la piccola borghesia peninsulare vorrà sempre più trasformare da moto di emancipazione sociale oltreché nazionale in volontà di prevaricazione con connotati spiccatamente militaristi e addirittura razzisti. È in tale frangente che hanno infatti origine le esagerazioni "dannunziane" relative al confine orientale italiano, dove a zone con composizione nazionale mista si volle assegnare una patente di "irredente" sulla base di concezioni rozze e a loro volta imperial-colonialiste. Il tradimento completo si avrà con il Fascismo, che mentre professava ed applicava le peggiori politiche antislave, riportava l'Italia nell'abbraccio mortale dell'imperialismo germanico. 

Proprio oggi, mentre assistiamo alla ricostruzione forzosa di una Unione Europea carolingia autocratica irrispettosa delle memorie, dei sacrifici e dei diritti dei popoli, è importante che la vicenda dei "morituri" di Babina Glava, assieme a tutto il resto della epopea risorgimentale italiana, siano finalmente liberati dalla ipoteca imposta nei decenni dalle inadeguate classi dirigenti nostrane, per essere restituiti al novero delle aspirazioni più nobili.

A. Martocchia


NOTE
(1) Documentario del regista serbo-italiano N. Lorenzin. Si vedano: https://www.youtube.com/watch?v=gunOKLHEuAI
http://www.mycity-military.com/Kantina/Sedmorica-sa-Drine-I-Sette-Morituri.html
http://www.palo.rs/zabava/sedmorica-sa-drine-i-sette-morituri/1716566/
http://www.rts.rs/page/tv/sr/story/21/rts-2/2277996/sedmorica-sa-drine---i-sette-morituri.html
(2) Asterio Mannucci: VOLONTARISMO GARIBALDINO IN SERBIA NEL 1914. Nel solco della prima guerra mondiale
Roma : Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini, \1960?! 
È in corso una traduzione di questo testo in lingua serbocroata.
(4) Ugo Onorati, Edoardo Scialis: EROI IN CAMICIA ROSSA 1914 - 2014. Cesare Colizza e i martiri di Babina Glava combattenti per la libertà dei popoli.
Marino (RM) : ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA, Sezione" Aurelio Del Gobbo" di Marino, 2014
DOWNLOAD: https://www.academia.edu/20088931/Eroi_in_camicia_rossa_volontari_garibaldini_in_Serbia_nel_1914?auto=download


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                                GARIBALDINCI  -  ITALIJANSKI  DOBROVOLJCI  NA  DRINI  1914
 

Mala ali značajna epizoda o italijansko-srpskoj saradnji na samom početku Prvog svetskog rata gotovo je nepoznata kod nas. Zahvaljujući dokumentima iz rimskih arhiva, biblioteka i muzeja saznalo  se podrobnije o ekspediciji garibaldinskih dobrovoljaca koji su učestvovali u borbi na Drini, gde su, osim dvojice, svi izginuli. Bili su to mladi revolucionari odgojeni na Macinijevim republikanskim idejama koje su podrazumevale kraj svakoj socijalnoj nepravdi i slobodu i ujedinjenje naroda u svojim granicama. Pripadali su naprednoj grupi Italijana za koje je Trojni savez, sklopljen u Beču 1882. god. Između Italije, Austrije i Nemačke, i obnavljan svake pete godine sve do 1912, ostao u nacionalnoj istoriji kao sramotan čin političkog podaništva zbog svog imperijalističkog karaktera i nejasnih klauzula koje su sputavale konačnu nezavisnost Italije.  Nerešeno pitanje severnih pokrajina (Trentino-Alto Adidže, Friuli-Venecija Đulija, Trst), koje su i posle ujedinjenja zemlje 1870. godine ostale pod austrijskom dominacijom, i Aneksija Bosne i Hercegovine na štetu Srbije (1908), pobuđivali su revolucionarni duh tih ljudi i pospešili njihovu odlučnost da pruže pomoć srpskom narodu u borbi za nezavisnost.

Posle Sarajevskog atentata 28. juna 1914. na prestolonaslednika Franca Ferdinanda i neprihvatljivog ultimatuma po Srbiju (23. VII 1914) od strane Austrije bilo je jasno da je rat neizbežan. Srbija, već iscrpljena u balkanskim ratovima (prvi protiv Turaka 1912, drugi protiv Bugara 1913), očekivala je pomoć od sila Antante.

Ali pre no što su se Rusija, Francuska i Engleska (koja je kolebljivo pokušavala da izbegne konflikt) odlučile da uđu u rat, organizovala se tajno u Rimu grupa hrabrih garibaldinaca i rešila da dà svoj doprinos protiv Austrije, tadašnjeg zajedničkog neprijatelja, boreći se uz srpske vojnike kod Višegrada, na vrhu zvanom Babina glava.

Vođena visokim moralnim načelom da se pomogne slabijem, ova grupa dobrovoljaca je htela ne samo da pruži hrabar primer ostaloj italijanskoj mladeži, već i da podstakne svoju zemlju da uđe u rat i okonča konflikt koji je decenijama ranije započeo Đuzepe Garibaldi (Giuseppe Garibaldi). Ovo tim pre što se društveno-politička situacija u Italiji s kraja XIX veka umnogome menjala, upravo u godinama njihovog stasavanja: jenjavali su patriotski duh i slobodarske težnje kojima su prethodnih decenija bili prožeti njihovi očevi boreći se pod Garibaldijem za oslobođenje i ujedinjenje svoje zemlje. Ovi mladi dobrovoljci su nasledili, dakle, ideale svojih predaka. Garibaldinski voluntarizam koji je, u kosmopolitskom smislu, težio ka pravdi i slobodi svih okupiranih naroda bio im je ideja-vodilja u njihovim namerama kada su se u malom mestu Marinu nedaleko od Rima, već poznatom po republikanskoj tradiciji, organizovali i tajno krenuli da se bore u srpskim redovima protiv austrougarskog agresora.

Za nameru garibaldinaca da zvanično pomognu Srbiji zalagao se u početku i general Ričoti Garibaldi (Ricciotti Garibaldi , sin Đ. Garibaldija i Anite, protagonista ranijih ratova za oslobođenje Italije i dobrovoljni učesnik u Grčkoj protiv Turaka 1913); ali ti pokušaji su ostali bez uspeha jer je italijanska vlada proglasila neutralnost zemlje i zatvorila svoje granice. Tako su se na teritoriji Italije formirali tajni komiteti (u Firenci, Savoni, Đenovi) za mobilizaciju dobrovoljaca  u pomoć Srbiji i Francuskoj.

Kada je 3. avgusta 1914. Italija proklamovala neutralnost svoje zemlje, došlo je do razmirica između italijanskih intervencionista, pristalica rata protiv Austrije, i neutralista, pristalica Trojnog saveza. Već samom objavom rata Srbiji, smatrali su intervencionisti, Austrija je pogazila ugovor o Trojnom savezu čiji je karakter trebalo da bude isključivo odbrambeni, te Italija nije morala više da ima nikakve obzire prema tom ugovoru. Stoga je, po mišljenju intervencionista, ovo bio pravi trenutak da se prekine svaka veza sa Centralnim silama. Svog junaka Guljelma Oberdana (Guglielmo Oberdan), koji je 1882. pokušao da ubije Franca Jozefa prilikom posete Trstu, ali kao žrtva špijunaže bio obešen, upoređivali su sa našim Gavrilom Principom i Nedeljkom Čabrinovićem. Za mnoge mlade italijanske revolucionare Sarajevskim atentatom osvećena je žrtva tršćanskog junaka Oberdana.

Ne čekajući na pregovore austrijska vlada je pet dana posle ultimatuma objavila rat Srbiji, a samo dan docnije, 29. jula 1914, krenuli su mladi entuzijasti iz Rima na Drinu. „Najuzvišenija obaveza me primorava da otputujem po svaku cenu još noćas. Radi se o mojoj moralnoj egzistenciji“, šalje telegram svojoj majci jedan od dobrovoljaca iz grupe i zajedno s ostalima kreće prema Bariju.

Bili su to:  Čezare Kolica (Cesare Colizza), 16. X 1884, Marino (Rim), publicista i dobrovoljni učesnik Grčko-turskog rata 1912. godine;

Frančesko Konforti (Francesco Conforti), 21. IX 1891, student prava iz Salerna, takođe garibaldinski  dobrovoljac u Grčkoj protiv Turaka, kod Trikale;

Mario Korvizjeri (Mario Corvisieri), 8. VIII 1885, Castel  Madama (Rim), garibaldinski kapetan iz Grčko-turskog rata.

Nikola Goreti (Nicola Goretti), 12. VIII 1896, Sutri (Viterbo), student, tek završio gimnaziju, najmlađi u grupi;

Vinčenco Buka (Vincenzo Bucca), 20. X 1895, Palermo, čuveni republikanac (generalni sekretar Omladinske republikanske stranke Italije);

Ugo Kolica (Ugo Colizza), 5. X 1882, Marino (Rim), docnije konzul;

Arturo Reali, 24.  IV 1892, Marino (Rim), dosledni republikanac.

Njima se docnije pridružio i Enco Poli (Enzo Polli) iz Splita.

Zbog pojačane kontrole nije im uspelo da pređu preko Barija, pa su morali da nastave za Brindizi i da preko Grčke stignu u Srbiju.

„Stiže vest da iz raznih krajeva naše zemlje treba da krenu mladi italijanski dobrovoljci za Srbiju. Moli se Vaša Visost da, uz budnu pažnju, apsolutno onemogući odlazak ovih dobrovoljaca i postupi, gde je potrebno, s prijavom po članu 113 Krivičnog zakona.“ Ovo je jedan od dokumenata Ministarstva unutrašnjih poslova Italije koji su tih dana stizali prefektima gradova Barija, Ankone, Venecije, odakle je bilo moguće eventualno prebacivanje dobrovoljaca do naše teritorije. No, to nije pokolebalo mlade garibaldince. U Brindiziju su uspeli da se ukrcaju na grčki brod „Mikale“ i stignu u Pirej, a 3. avgusta su se priključili ostalim dobrovoljcima iz Dalmacije, Crne Gore, Bosne i Srbije i došli u Atinu 4. avgusta. Tu su od srpskog konzula dobili dozvolu za ulazak na našu teritoriju. Srpske vlasti u Atini su im ponudile i finansijsku pomoć koju su oni dostojanstveno odbili obrazlažući da ne žele da budu plaćenici već dobrovoljci, i da će put nastaviti o svom trošku. Za njihov dolazak u Solun saznao je tadašnji italijanski konzul i po dužnosti uputio telegram ministru inostranih poslova koji dalje informiše ministra unutrašnjih poslova: „Konzul u Solunu me obaveštava da je grupa od desetorice Italijana otišla da se bori za Srbiju i da treba da stigne još stotinak...“

O nameri garibaldinaca da u većem broju pomognu Srbiju čitamo i iz pisma koje Čezare Kolica šalje iz Užica 17. avgusta poznatom publicisti, garibaldinskom majoru iz balkanskih ratova Mariju Ravasiniju: „...Da ne bismo izneverili naš garibaldizam, nosimo oko ruke crvenu svilenu traku, kako bismo se razlikovali od ostalih... Sutra putujemo prema bosanskoj granici i nikad kao u ovom trenutku nismo bili tako uzbuđeni u žarkom iščekivanju da se ogledamo s našim večnim neprijateljem, na strani srpskog naroda koji vodi pravedan rat. Grupa koju predvodimo Korvizjeri i ja sastavljena je  od Italijana, dezertera austrijske vojske i slovenskih studenata. Pozdravi generala (Ričotija Garibaldija) i prijatelje i reci im da ih očekujemo.“

Grupa je bila priključena komandantu, docnije generalu, Čedi Popoviću koji je imao zadatak da pod komandom pukovnika Dragomira Dimitrijevića organizuje legiju dobrovoljaca koja bi se borila uz regularne srpske trupe. Zajedno sa desnim krilom Šumadijske divizije upućena je prema granici Bosne, blizu Višegrada, gde je trebalo da onemogući napredovanje austrijskih trupa na teritoriji Velikog i Malog Storaža.

Iako slabije naoružana, uspela je četa dobrovoljaca da u neravnopravnoj borbi suzbije napredovanje mnogobrojnijeg neprijatelja i nanese mu velike gubitke.

Ovako opisuje razvoj događaja tog 20. avgusta starešina čete Stojan Radičević: „Naš protivnapad je počeo veoma uspešno. Italijanski dobrovoljci, koji su se već ranije u napadu pokazali kao vrlo hrabri, u jednom trenutku kolebljivosti neprijatelja pojurili su svi skupa prema neprijateljskoj poziciji s poklikom ’dole Austrija’, podstičući i ostale drugove. Sve moje naredbe da se vrate bile su uzaludne i već sam ih izgubio iz vida, jer su svom žestinom jurili niz dolinu neprestano pucajući...“

Po prekidu vatre Radičević je poslao izvidnicu da pronađe dobrovoljce, ali mu je stigla tužna vest: od njih sedmorice petoricu su naši mrtve. “Bili su to: Čezare Kolica, Frančesko Konforti, Mario Korvizjeri, Vinčenco Buka i Nikola Goreti sa puškama u ruci  i zadovoljnim, iskrenim osmehom na još toplim usnama...“

Kako kazuje preživeli Ugo Kolica, prvi je njemu pored nogu pao njegov brat Čezare, pogođen u glavu i grudi. Za njim  Konforti, Goreti i Buka. Korvizjerija, već teško ranjenog, izboli su Austrijanci bajonetima. Ugo Kolica je, bacivši bombu, uspeo da zađe neprijatelju za leđa i da se, zajedno s Polijem i Arturom Realijem, uz mnogo problema, nekako spasi.

Budući da su postigli cilj zbog koga su došli na srpsku teritoriju i saznavši da će Italija ući u rat protiv Austrije, preživeli Ugo Kolica i  Arturo Reali su se vratili u svoju domovinu i tamo nastavili borbu, dobivši prethodno obećanje od komandanta čete Čede Popovića da će njihovi drugovi biti sahranjeni na mestu borbe zajedno sa ostalim palim ratnicima čim srpska vojska zauzme položaje na vrhu Babina glava – što je posle nekog vremena i učinjeno od strane regularnih srpskih trupa. Da bi im se olakšao povratak, dobili su zvaničnu potvrdu na srpskom i francuskom jeziku od Štaba vrhovne komande s potpisom komandanta Dobrovoljačkog odreda Čede Popovića i pukovnika Dragutina Dimitrijevića, šefa Obaveštajnog odseka, u kojoj se navode njihova imena i priznanje za herojstvo palim i preživelim borcima.

Sva sedmorica odlikovana su zlatnom medaljom za zasluge u ratu od strane srpske vlade i kralja Petra Prvog.  Ceremonijal je održan u Rimu 1917. godine na trgu Sjena (Piazza di Siena – Villa Borghese) u prisustvu vojnih i političkih vlasti. Srpska vojna misija predala je medalje preživelim garibaldincima i porodicama odvažno palih junaka.

Adekvatno priznanje svoje otadžbine za ovaj uzvišeni čin nikada nisu dobili, iako su se mnogi republikanci, Društvo garibaldinaca i pojedini članovi porodica poginulih dobrovoljaca zalagali za to. Doktor Đirolamo Goreti (Girolamo Goretti), brat poginulog Nikole, u pismu upućenom italijanskoj vladi 1938. god. moli da se „prizna velika žrtva petorici skromnih junaka čije kosti leže zajedno s kostima hrabrih srpskih vojnika u kosturnici na Gučevu...“

Italijanska vlada dodelila im je samo ratni krst, priznanje koje dobijaju svi učesnici rata, isto ono koje su dobili garibaldinski učesnici boreći se u francuskoj pokrajini Argona pod komandom petorice unuka Đ. Garibaldija (imenom: Bruno, Kostante, Pepino, Menoti, Ričoti II), a čija je prvobitna namera, i to mnogih među njima, bila da dođu u Srbiju.

Zašto su od nje odustali?

Razlog treba tražiti u političkim previranjima tog perioda i novonastalim okolnostima na evropskoj sceni koje su Italiji otvorile nove perspektive, a nama svakako nisu išle naruku.  Zapravo, da bi uvukle Italiju u rat kao svog saveznika sile Antante su joj obećale teritorije koje su tada bile deo Austro-ugarske monarhije, između ostalog Istru, delove Dalmacije i ostrva od Paga do Mljeta. Koliko su se politička zbivanja brzo smenjivala vidi se i iz prepiske generala Ričotija Garibaldija. U pismu republikanskom publicisti Mariju Ravasiniju osuđuje Austriju smatrajući prepotentnim čin Aneksije Bosne i Hercegovine i daje pravo srpskom narodu da se tome odupre, pa čak pregovara sa srpskom delegacijom u Rimu da se tajno pošalju dobrovoljci koje bi on lično predvodio; podstiče italijansku mladež da se organizuje pod parolom  „svaki narod gospodar u svojoj zemlji, živeo srpski narod!“. A samo nekoliko dana docnije, u izmenjenim vojno-političkim okolnostima, pojavljuje se, 6. avgusta, njegovo drugo pismo u listu „Mesađero“ gde kaže da je u dogovoru sa predstavnicima srpskih vlasti u Italiji odlučeno da se ne šalju više dobrovoljci   „...u tu malu ali odvažnu zemlju koja zna hrabro da brani svoju slobodu, jer je epicentar borbe pomeren prema drugim granicama...“  pozivajući da se vrati i grupa dobrovoljaca. Oni su u to vreme već bili na putu za Kragujevac, odakle su 9. avgusta svom prijatelju, takođe garibaldinskom dobrovoljcu, po imenu Vecio Mančini (Vezio Mancini), poslali čuvenu razglednicu koja se pominje s posebnim pijetetom i čiji je sadržaj, sažet u antičkom pozdravu gladijatora (morituri te salutant), nagoveštavao njihovu nameru da će se boriti do smrti.

Svoj zadatak su časno obavili.

Na italijanskom groblju u Beogradu postoji nadgrobna ploča sa već poluizbrisanim imenima i jedva čitljivom posvetom:

„Pristupivši dobrovoljno u srpske redove pali su boreći se hrabro na Babinoj glavi 20. avgusta 1914 – Njihove posmrtne ostatke razneo je ratni vihor ali neka je večna uspomena na veliku žrtvu“ („Accorsi volontari tra le file serbe caddero combattendo a Babina Glava il 20. agosto MCMXIV –  Dispersa la spoglia mortale sia perenne il ricordo del loro sacrificio“).

Uz ovu sedmoricu dobrovoljaca, jer kako prikupljena građa ukazuje više ih nije bilo iz već navedenih razloga, treba pomenuti i mnogobrojne italijanske iredentiste iz pokrajine Venecija Đulija  (Venezia Giulia), Trsta i Dalmacije - teritorija koje su tada sačinjavale Austrougarsku monarhiju, pa se stoga zvanično nisu mogli smatrati Italijanima, ali nam je obaveza da se i njih setimo jer su i oni bili među prvima u ovom revolucionarnom poduhvatu.

Valja odati priznanje i mnogim ostalim garibaldinskim dobrovoljcima koji su se, po tradiciji, borili na srpskoj strani u drugim epohama: u ustanku u Bosni (1875-76) protiv turske okupacije, u kome je u svojoj mladosti učestvovao i kralj Petar Prvi pod pseudonimon Petar Mrkonjić; u Drugom svetskom ratu bili su na strani jugoslovenskih partizana protiv nacifašizma, a svoj doprinos su dali i u nedavnim sukobima u Bosni protiv NATO agresije.

Moralna vrednost tih entuzijasta je upravo u tome što, žrtvujući svoj život, učestvuju u ratnim okršajima koji, zapravo, osporavaju sâm ratni čin kao instrument zavojevača nad narodima koji brane svoju slobodu.

 
Autor teksta:  Mirjana Jovanović Pisani




Iniziative sull'internazionalismo partigiano

1) ISLAFRAN: presentazione a Torino il 27/9
2) PARTIZANI: La Resistenza italiana in Montenegro. Presentazioni a Rimini, San Marino, Monfalcone, Udine


=== 1 ===

Torino, martedì 27 settembre 2016
alle ore 18:00 presso la Biblioteca civica Natalia Ginzburg, Via C. Lombroso 16

presentazione del libro 

ISLAFRAN 
di Ezio Zubbini

... Sulle colline delle Langhe ha combattuto una brigata internazionale di cui pochi conoscono l'esistenza:
ISLAFRAN ( I=italiani, SLA=slavi, FRAN=francesi). 
Questo racconto vuole recuperare alla memoria la vicenda, esaltate e drammatica, di questi giovani stranieri giunti da terre lontane per combattere la barbarie nazifascista.

- Interviene CLAUDIO CANAL
- letture a cura di VESNA SCEPANOVIC ...

Evento facebook: https://www.facebook.com/events/159553687826473/


=== 2 ===

Segnaliamo le prossime presentazioni del documentario

Partizani. La Resistenza italiana in Montenegro
Durata: 65′
Regia: Eric Gobetti

Nikšić, Montenegro, 9 settembre 1943. Poco dopo l’alba l’artigliere Sante Pelosin, detto Tarcisio, fa partire il primo colpo di cannone contro una colonna tedesca che avanza verso le posizioni italiane. Nelle settimane successive circa ventimila soldati italiani decidono di non arrendersi e di aderire alla Resistenza jugoslava.
I partigiani della divisione Garibaldi raccontati in questo documentario sono eroi semplici, che hanno combattuto il freddo, la fame e una devastante epidemia di tifo, pagando con tremende sofferenze una scelta di campo consapevole e coraggiosa.

Produzione: Istoreto – Istituto piemontese per la Storia della Resistenza, Torino
Musiche originali: Massimo Zamboni
Riprese: Andrea Parena, Francesca Frigo, Domenico Scarpino, Eric Gobetti
Montaggio: Andrea Parena, Enrico Giovannone
Postproduzione: Babydocfilm

RIMINI
26 settembre, ore 17.00, alla Cineteca comunale di via Gambalunga 27, Rimini

SAN MARINO
27 settembre, ore 21.00, all’ex chiesetta dell’antico monastero di Santa Chiara, contrada Omerelli 20, San Marino città
Ingresso gratuito. Evento facebook: https://www.facebook.com/events/254631401604464/

MONFALCONE (GO) 
giovedì 29 settembre 2016 alle ore 20,30 presso la Sede ANPI di via Valentinis 84
Organizza ANPI Provinciale Gorizia in collaborazione con Forum Gorizia
UDINE
venerdì 30 settembre 2016 alle ore 20:30 presso Visionario, Via Fabio Asquini 33
La proiezione, patrocinata dall''Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, sarà introdotta da interventi dell'autore Eric Gobetti, autore di numerosi studi sull'area ex Jugoslava e da Federico Tenca Montini, dottorando presso l'Università di Zagabria. Il costo del biglietto, ridotto, è di 3 euro.



(srpskohrvatski / français / italiano)

Panturchìa / 5
La Bosnia bosgnacca

1) Il nuovo volto della Bosnia Erzegovina. Dopo quasi tre anni di attesa pubblicati i dati del censimento 2013 (Rodolfo Toè)
2) Enver Kazaz: la turcofilia nello spazio mentale bosgnacco. Le reazioni dell’élite politica e accademica bosgnacca al recente tentativo di colpo di stato in Turchia (Eldin Hadžović)

Sullo stesso tema si vedano anche i documenti raccolti alla nostra pagina:

Altri link:

BOSNA I HERCEGOVINA: DVIJE GODINE OD POPISA REZULTATA NI NA VIDIKU (Marija Arnautović – Radio Free Europe, 30.09.2015)
... Problem je i dalje metodologija na osnovu koje će biti određen broj rezidentnih odnosno stalnih stanovnika BIH. Oko ovog pitanja tri statističke agencije, entietske i državna, ne mogu da nađu kompromis...
http://www.slobodnaevropa.org/content/dvije-godine-cekanja-na-rezultate-popisa/27279757.html

BOSNIE-HERZÉGOVINE : LA COUR EUROPÉENNE RECONNAÎT QUE LA CONSTITUTION EST « DISCRIMINATOIRE » (Courrier des Balkans | De notre correspondant à Sarajevo | mardi 14 juin 2016)
Oui, la Constitution de la Bosnie-Herzégovine est bien discriminatoire. C’est ce que confirme encore une fois la Cour européenne de Strasbourg, en donnant raison à Ilijaz Pilav, un médecin bosniaque de Srebrenica qui n’a pas pu présenter sa candidature à la présidence tripartite du pays car il réside en Republika Srpska. Un jugement historique...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/ilijaz-pilav.html

BOSNIE-HERZÉGOVINE : LES RÉSULTATS DU RECENSEMENT 2013 ENFIN PUBLIÉS (Courrier des Balkans, 30 juin 2016)
La Bosnie-Herzégovine a finalement publié ce jeudi les résultats complets du recensement de 2013. Les données confirment le changement démographique après la guerre dans les années 1990 et soulignent le nouvel équilibre entre les trois « nations constitutives » du pays, au risque de provoquer une nouvelle rupture entre Banja Luka et Sarajevo...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/bosnie-recensement-resultats.html

RECENSEMENT EN BOSNIE-HERZÉGOVINE : L’APRÈS-GUERRE A PARACHEVÉ LES DIVISIONS (Courrier des Balkans, lundi 4 juillet 2016)
Un pays vieillissant qui se vide de sa jeunesse, des villes et des régions ethniquement homogènes, des communautés nationales de plus en plus fermées sur elles-mêmes. Tel est le visage de la Bosnie-Herzégovine aujourd’hui, après les résultats du recensement de 2013, enfin publiés la semaine dernière...
http://www.courrierdesbalkans.fr/articles/recensement-en-bosnie-herzegovine-l-apres-guerre-a-paracheve-les-divisions.html

BAKIR IZETBEGOVIĆ À NOVI PAZAR POUR UNIFIER LES BOSNIAQUES, SCANDALE EN SERBIE (Radio Slobodna Evropa | Traduit par Jovana Papović | samedi 30 juillet 2016)
Bakir Izetbegović, président du Parti de l’action démocratique (SDA) et membre bosniaque de la Présidence collégiale de Bosnie-Herzégovine, était vendredi à Novi Pazar pour lancer une « coalition régionale du SDA ». Sa comparaison de Novi Pazar avec Banja Luka a provoqué un scandale en Serbie...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/izetbegovic-a-novi-pazar.html


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Il nuovo volto della Bosnia Erzegovina

Dopo quasi tre anni di attesa, e a più di un ventennio dall'ultimo censimento effettuato nel paese, le autorità bosniache hanno pubblicato i dati completi del censimento 2013

05/07/2016 -  Rodolfo Toè

La sala della conferenza stampa allestita all'interno dell'Hotel Europa, a Sarajevo, pare quasi colta di sorpresa quando sullo schermo si materializza la diapositiva che tutti, visibilmente, aspettavano. Evo ih, eccoli, mormora qualcuno, riscuotendosi e iniziando febbrilmente a prendere appunti, scrivendo le cifre - le nuove cifre - che finalmente sono lì, nero su bianco, ufficialmente, dopo mesi e mesi d'illazioni.

Non importa il fatto che alle tre domande relative ad appartenenza etnica, lingua e religione, rispondere non fosse obbligatorio. Né tanto meno conta la raccomandazione di Eurostat, che aveva addirittura esortato le autorità bosniache a tralasciare la questione. Perché quello che importa alle decine di reporter presenti, ma anche alla maggior parte dell'opinione pubblica bosniaca, sono soprattutto le nuove percentuali relative alla composizione etnica della popolazione.

Le precedenti, quelle relative al 1991, erano assurte negli anni a un'importanza quasi feticistica, in una Bosnia Erzegovina dominata dagli Accordi di Dayton e dall'equilibrio delle tre "nazioni costitutive": bosgnacchi (musulmani), 43,47%; serbi 31,21%; croati 17,38 %; jugoslavi 5,54%; altre minoranze 2,4%. Questo aveva sancito l'ultimo censimento condotto prima dell'indipendenza del paese, e prima dei tre anni di guerra.

Da giovedì 30 giugno, da quando cioè l'Agenzia statistica di Bosnia Erzegovina ha pubblicato i risultati, queste percentuali possono essere aggiornate. A dichiararsi bosgnacco è infatti ora ben il 50,11% della popolazione; i serbi sono il 30,78%; i croati il 15,43%. Il resto - 2,73% del totale - è rappresentato dagli ostali, gli altri, categoria nella quale in Bosnia Erzegovina si fa ricadere chi appartiene a una minoranza oppure chi rifiuta di dichiararsi come membro delle tre nazioni costitutive. [Ma in quanti stavolta si sono rifiutati di rispondere? ndCNJ]

Venticinque anni di pulizia etnica ed emigrazione

Il primo dato che salta agli occhi, comunque, è la diminuzione della popolazione totale della Bosnia Erzegovina, come effetto congiunto del conflitto e della stagnazione del dopoguerra, che ha spinto decine di migliaia di persone a emigrare.

I dati finali sono ancora più drammatici di quanto avevano fatto presagire quelli parziali, rilasciati a novembre 2013, e che già avevano fatto parlare di "catastrofe demografica". La popolazione bosniaca è oggi di sole 3.531.159 persone, il che significa che dal 1991 il paese ha perduto 845.874 abitanti, praticamente uno su cinque.

Se la diminuzione dei residenti può essere considerata come il primo tra i lasciti della guerra e dei problemi del ventennio successivo, il secondo è però sicuramente la composizione etnica delle differenti nazioni costitutive sul territorio bosniaco. Si tratta di dati che non stupiscono nessuno, visto che la situazione sul terreno era già chiara, ma la cui contabilità è resa ufficiale per la prima volta.

Appare così chiaro che le due entità del paese, la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Republika Srpska, sono tracciate secondo precisi confini etnici: se nella prima i bosgnacchi rappresentano infatti il 70,4% della popolazione e i croati il 22,44%; in RS la maggior parte degli abitanti si sono dichiarati come serbi (81,51%), mentre i bosgnacchi sono il 13,99% e i croati soltanto il 2,41%.

Lo stesso discorso vale anche per le municipalità: a ribadire il fatto che la pulizia etnica ha prevalso in Bosnia Erzegovina contribuisce la statistica che soltanto in sei comuni (tra cui i principali sono Mostar, Jajce e Brčko) su un totale di 143 non c'è un gruppo nazionale che costituisce la maggioranza assoluta della popolazione.

Una tendenza confermata anche nelle principali città: a Sarajevo è crollato il numero di residenti serbi e croati e la maggior parte della popolazione (80,74%) è costituita da bosgnacchi, mentre Banja Luka, il centro amministrativo della RS, è abitata quasi esclusivamente da serbi (89,57%). Mostar, la città principale dell'Erzegovina, ha visto aumentare il numero dei propri residenti bosgnacchi e croati, ma il numero di serbi è crollato, passando da 23.846 a 4.420. Il censimento, infine, conferma anche la dimensione della pulizia etnica avvenuta nei centri urbani della valle della Drina, con la popolazione di etnia bosgnacca drasticamente ridimensionata a Zvornik (da 48.102 a 19.855), Višegrad (da 13.471 a 1.043) o ancora a Srebrenica (da 27.572 a 7.248).

Questi dati, che da giorni campeggiano sui giornali bosniaci, hanno comprensibilmente attirato la maggior parte dell'attenzione dell'opinione pubblica, mettendo in secondo piano altre statistiche che pure sarebbero più importanti per stabilire quali debbano essere le priorità della politica bosniaca nell'immediato futuro. Grazie al censimento, si è infatti visto che l'età media della popolazione bosniaca è sensibilmente aumentata, da 34 anni nel 1991 a 39; o ancora che la Bosnia Erzegovina ha un tasso di analfabetismo del 2,82%, più elevato che nei paesi vicini - dati importanti (e che sono consultabili in internet a questo indirizzo), ma che, come ha sottolineato il Primo Ministro bosniaco Denis Zvizdić, "non è interesse di nessuno commentare."

Pubblicare i dati, ma a che prezzo?

La pubblicazione dei dati finali del censimento, per quanto rappresenti un passo essenziale per la Bosnia Erzegovina, secondo molti commentatori locali non è stata fatta nel migliore dei modi.

Per mesi, infatti, trovare un accordo per permettere la pubblicazione dei risultati è stato impossibile, a causa dell'opposizione dell'Istituto statistico di Republika Srpska, che contestava il metodo utilizzato per calcolare il numero di residenti stabili in una determinata area.

Alla metà del mese di maggio, tuttavia, dopo innumerevoli incontri senza risultato il direttore dell'Agenzia statistica nazionale di Bosnia Erzegovina (l'unica che, secondo la legge, è responsabile di pubblicare i dati finali) Velimir Jukić ha deciso di pubblicare i risultati finali senza trovare un compromesso con le autorità di Banja Luka.

L'effetto di una tale decisione unilaterale è che, come hanno ripetuto tutti gli esponenti dell'establishment serbo-bosniaco, questi risultati non verranno riconosciuti in Republika Srpska. La quale, anzi, starebbe pianificando di pubblicare autonomamente i dati del censimento relativi al proprio territorio.

Ciò che potrebbe rivelarsi più grave, comunque, è il fatto che la decisione di Jukić potrebbe causare una grave paralisi istituzionale, dal momento che Mladen Ivanić, il rappresentante serbo della Presidenza bosniaca, ha annunciato che assumerà delle posizioni più intransigenti su alcune questioni essenziali per la Bosnia Erzegovina al fine di proseguire nel proprio percorso di integrazione europea, in reazione alla decisione dell'Agenzia statistica bosniaca, presa senza tenere conto dell'opinione di Banja Luka.

Così, nelle settimane scorse, Ivanić ha ostacolato l'approvazione da parte della Presidenza collegiale bosniaca di due provvedimenti ritenuti essenziali per ottenere lo status di candidato UE, dopo che la Bosnia Erzegovina ha presentato la propria domanda in febbraio: l'aggiornamento dell'Accordo di Stabilizzazione e di Associazione, e la creazione di un meccanismo di coordinamento che è richiesto al paese per implementare le politiche richieste da Bruxelles.

Pubblicare i risultati del censimento è una conquista importante per uno stato che li attendeva da venticinque anni, e che ora avrà delle statistiche più affidabili per implementare le proprie politiche. Il modo in cui essi sono stati resi pubblici, tuttavia, rischia di creare nuove paralisi istituzionali nel paese - e di incrementare la distanza tra Banja Luka e Sarajevo.



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Enver Kazaz: la turcofilia nello spazio mentale bosgnacco


Enver Kazaz insegna presso la Facoltà di Filosofia di Sarajevo. In quest'intervista le reazioni dell’élite politica e accademica bosgnacca al recente tentativo di colpo di stato in Turchia

29/08/2016 -  Eldin Hadžović 

(Originariamente pubblicato dal portale Novosti   il 31 luglio 2016, titolo originale Enver Kazaz: Turkofilija je premrežila bošnjački mentalni prosto  

Professor Kazaz, è rimasto sorpreso dall’appoggio quasi unanime che l’establishment politico bosgnacco ha espresso al presidente turco Recep Tayyp Erdoğan a seguito del tentato golpe che ha recentemente scosso la Turchia – e questo nonostante giungano notizie di una crudele rappresaglia intrapresa contro i presunti golpisti, durante la quale si è arrivati persino alla sospensione della Convenzione europea dei diritti umani?

Non mi ha sorpreso tanto l’appoggio in quanto tale, perché anche altre potenze mondiali, più o meno forti, hanno espresso il loro sostegno all’autocrate di Ankara, quanto i suoi contenuti e toni. Detto ironicamente, questi semi-istruiti esponenti politici bosgnacchi hanno gridato così forte il loro appoggio a Erdoğan che sembrava che il tentato golpe fosse avvenuto in casa loro, se non addirittura nella loro camera da letto.

Da dove vengono un tale appoggio e servilismo? Che derivino dal loro amore per la democrazia è da escludere del tutto. Non hanno mai pronunciato una parola contro un regime nefasto come quello dell’Arabia Saudita, dove i poeti vengono condannati alla pena di morte solo perché sospettati di non credere in Dio.

Il cosiddetto establishment bosgnacco, che in realtà non è altro che un demi-monde politico, chiama affettuosamente Saudia quel paese. Per loro la democrazia è solo un mezzo per gonfiare i propri conti correnti. Perché allora hanno gridato? Soltanto perché volevano, ancora una volta, compiacere servilmente Erdoğan, “leader di tutti i musulmani” (come lo definì tempo fa Bakir Izetbegović), colui al quale Alija Izetbegović sul letto di morte lasciò “la Bosnia in eredità”.

Reagendo ai fatti più recenti, il figlio di Alija ha dichiarato che Erdoğan è “suo fratello”, “il nostro leader” e che “il popolo turco difende la democrazia e ha fatto sapere chi vuole al potere”. Ma non sono stati solo i politici a gridare. Lo hanno fatto anche alcuni esponenti della comunità accademica, come ad esempio Esad Duraković, o una certa Amina Šiljak-Jasenković, che si presenta come turcologa, nonostante il suo curriculum scientifico difficilmente possa esserne prova. Duraković ha parlato come se fosse il portavoce di Erdoğan, sostenendo che dietro al tentato colpo di stato ci sono i sionisti, mentre la Šiljak-Jasenković ha accusato Gülen di essere ispiratore e mandante del fallito golpe, esattamente come ha fatto lo stesso Sultano del Bosforo, come i media liberali occidentali chiamano Erdoğan.

E nessuno ha offerto neanche un singolo argomento a sostegno delle proprie affermazioni. Si è trattato solo di propaganda. Nessuno ha pronunciato nemmeno una parola sul carattere autocratico del regime di Erdoğan, sul suo tentativo di modificare la costituzione per dare più potere al Presidente, sul totale abbandono della tradizione kemalista e secolarista su cui è stata fondata la Turchia moderna, sul palese tentativo di imporre alla società turca l’islamismo come ideologia normativa, sulla cancellazione delle narrazioni umanistiche e razionalistiche a cui attinse già il tardo Impero Ottomano, come scrive intelligentemente Orhan Pamuk  nel suo romanzo “Istanbul”.

Nella discussione bosgnacca si tace del tutto sul fallito colpo di stato, sugli arresti e purghe di massa che il regime di Erdoğan sta attuando in questi giorni contro coloro che vengono bollati come “gulenisti”, scagliandosi contro professori, giudici, rettori, giornalisti e sottoponendo decine di migliaia di persone al terrore di stato, esattamente come avveniva nei regimi totalitari più tetri. La rappresaglia mediatica, poliziesca e religiosa è di tali dimensioni che si può parlare di Erdoğan come di uno stalinista di orientamento islamico. Questo lato oscuro dell’erdoganismo resta completamente invisibile nello spazio pubblico bosgnacco, in cui a discapito di un’analisi argomentata prevalgono l’emozionalismo politico e una turcofilia immedesimatrice che vuole trasformare i bosgnacchi odierni in turchi pro-Erdoğan.

Direi che l’erdoganismo e una turcofilia/islamofilia superficiale, basata sull’emozionalismo, il tutto accompagnato dal fantasma neo-ottomano, sono elementi salienti dell’attuale discussione in seno alle élite politiche, accademiche, religiose e mediatiche bosgnacche.

Ovviamente, ogni forma di violenza, e soprattutto un colpo di stato, deve essere condannata pubblicamente se si pretende di difendere i valori democratici. Ma allo stesso modo deve essere condannata anche la violenza di un apparato statale repressivo nei confronti delle persone la cui colpa non è stata provata. Le presunte élite bosgnacche, col loro tifare all’unisono per Erdoğan, tengono il proprio popolo in una specie di schiavitù mentale, impedendogli ogni emancipazione dalle loro narrazioni militariste.


Durante la guerra in Bosnia, gli sciovinisti serbi e croati bollavano i bosgnacchi con l’epiteto ingiurioso di “turchi”, mentre l’establishment musulmano di allora, compreso lo stesso Alija Izetbegović, insisteva sull’esistenza di una specifica identità bosgnacca, rigettando con disgusto il paragone con i turchi. Con la fine della guerra questo atteggiamento è cambiato, sicché siamo stati testimoni di varie manifestazioni della “turchizzazione dei bosgnacchi”. Da dove viene questa turcofilia così marcata dei bosgnacchi?

Non sono sicuro che il signor Izetbegović abbia mai perseguito una politica sistematica, tantomeno tesa a delineare una forma moderna dell’identità nazionale bosgnacca. Prima di morire lasciò la Bosnia in eredità a Erdoğan, come ho già menzionato. Le uniche caratteristiche persistenti della sua concezione politica dell’identità nazionale bosgnacca sono antimodernismo e anticomunismo, oltre alla nozione di Islam come fondamento dell’identità nazionale.

Parliamo di un personaggio che nel 1994, proprio in Arabia Saudita, fu insignito del premio “Pensatore islamico dell’anno”, e che con l’avanzare della guerra scelse di abbandonare i principi contenuti nella cosiddetta Piattaforma della Presidenza della Repubblica di Bosnia Erzegovina, un documento adottato nel 1992 con il quale ci si proponeva di definire gli obiettivi della difesa del paese dall’aggressione, pensando la Bosnia, in termini ideologici, come un paese civile, laico e multietnico.

È vero che a quel tempo Izetbegović padre spese qualche stentata parola sul fatto che i bosgnacchi non erano turchi, come se la questione fosse in discussione, ma al contempo si apprestava, ben volentieri, a formare le brigate musulmane. Disse quella cosa solo per contrastare quell’ideologia aggressiva e sciovinista propagata dalle autorità serbe e croate che, alimentandosi dall’islamofobia e turcofobia, costituiva una sorta di preparazione propagandistica dei crimini di guerra contro la popolazione bosgnacca.

Alija Izetbegović non perseguiva una politica sistematica, bensì cercava di togliere autorità agli organi dello stato, creando un intero sistema di istituzioni parastatali che avevano il compito di fornire appoggio logistico all’esercito della BiH. Detto in parole povere, la sua politica identitaria era caotica e inconsistente, quindi un calembour narrativo e simbolico che suo figlio ridurrà ad un erdoganismo volgare e un fantasma ideologico neo-ottomano. Per essere del tutto precisi: Bakir Izetbegović non offre nessuna ideologia, solo un fantasma erdoganista. Egli è uno schietto e autoritario pragmatico. La turchizzazione aggressiva dei bosgnacchi, come la chiama lei, a me sembra piuttosto un’erdoganizzazione volgare delle élite bosgnacche, smarrite nella propria semi-ignoranza. In più, questo amore tra Erdoğan e Izetbegović non è accompagnato da una cooperazione economica. Oggi la Turchia investe capitali irrisori in Bosnia, mentre aiuta in maniera notevole l’economia di alcuni altri paesi della regione, come la Serbia o la Romania.


Quanta ironia vi è nel fatto che sia proprio il figlio di Alija Izetbegović ad essere paladino della diffusione della turcofilia tra i bosgnacchi, che poi assomiglia irresistibilmente alla russofilia dei nazionalisti serbi?

Sì, le odierne élite bosgnacche, seppur inclini all’(auto)vittimizzazione, nel costruire la propria identità nazionale si ispirano al modello narrativo delle élite scioviniste serbe. Ed è un vero paradosso: l’allora vittima sta copiando il modello narrativo della costruzione identitaria dal proprio carnefice. La turcofilia ha avviluppato come una rete lo spazio mentale bosgnacco, esattamente come la russofilia avviluppa quello serbo, e la germanofilia quello croato. La guerra mentale tra queste “filie” dimostra che tutte e tre le etnie costituenti la Bosnia in realtà si stanno autocolonizzando. Semplicemente non riescono ad andare oltre, perché il loro potenziale intellettuale equivale al nulla.


Cosa ci dice tutto ciò sull’identità nazionale bosgnacca?

Dal calembour narrativo a cui assistiamo è possibile estrapolare processi di arcaizzazione, ghettizzazione, vittimizzazione, reislamizzazione, clericalizzazione, arabofilizzazione, turchizzazione, militarizzazione, mascolinizzazione, debosnizzazione dell’odierna identità nazionale bosgnacca. Ma per descrivere questi processi servirebbe molto più spazio di quanto ne abbiamo a disposizione. Ciò che è comunque importante sottolineare è che l’identità nazionale bosgnacca cominciò a formarsi nel XIX secolo parallelamente al processo di deottomanizzazione e accettazione dei valori del razionalismo e dell’umanesimo europeo. Il paradosso sta nel fatto che le odierne élite bosgnacche sono più arcaiche e conservatrici di quelle del XIX secolo che cercarono di europeizzare la comunità musulmana bosniaca di allora, ponendo le fondamenta del suo evolversi in una nazione.


È d’accordo sul fatto che, parallelamente ai processi da lei elencati, il nazionalismo bosgnacco sia diventato più aggressivo, e manifestamente più simile all’isteria nazional-sciovinista che nei primi anni Novanta pervase Belgrado e Zagabria, oppure pensa che questa spinta nazionalista sia da sempre esistita nella comunità bosgnacca?

Nei Balcani ogni nazionalismo è aggressivo, e basta poco perché si trasformi in sciovinismo. Nel momento in cui un’ideologia nazionalista conquista un considerevole potere, e quella bosgnacca lo ha di fatto conquistato nei territori su cui esercita la propria influenza, diventa aggressiva nei confronti di ogni forma di alterità.

Il carattere militante del nazionalismo bosgnacco si rispecchia maggiormente nel modo in cui i media controllati prima da Alija e successivamente da Bakir Izetbegović prendevano, e continuano a prendere di mira gli intellettuali non-bosgnacchi distintisi per il loro enorme capitale simbolico – intellettuale, letterario e filobosniaco: Marko Vešović, Ivan Lovrenović, Miljenko Jergović, e più di recente anche Nenad Veličković.


La Facoltà presso la quale lei insegna, così come l’intera Università di Sarajevo, ha un ruolo fondamentale nei processi di cui abbiamo parlato. Può indicarci quali sono i principali attori di questi processi e quali i loro ruoli?

La Facoltà di Filosofia di Sarajevo condivide il destino dell’intera società bosniaca, afflitta da una grave decadenza dei valori. Senza nulla togliere alle lodevoli eccezioni, vi è da sottolineare che molti professori della suddetta facoltà contribuiscono con la propria produzione scientifica a plasmare l’immaginario simbolico dell’identità collettiva dei bosgnacchi radicali.

In questo senso, l’Università di Sarajevo e altre università chiamiamole “bosgnacche” non si distinguono affatto da quelle “serbe” e “croate” nella Bosnia Erzegovina. Le università bosniache, esattamente come l’intero sistema educativo, sono fucina di narrazioni nazionaliste, ma anche luogo dove nascono le loro critiche scientificamente responsabili, seppur poche. Ed è per questo che, giocando con la lingua, io chiamo le università bosniache uniZVERiteti invece che univerziteti [zver in bosniaco significa bestia, ndt.], o nella variante croata sveMUČILIŠTA invece che sveučilišta [dal termine mučilište che significa luogo di tortura, ndt.].


Qual è, in questo contesto, il ruolo della Comunità islamica della Bosnia Erzegovina?

Dopo essere stata dispoticamente guidata da Mustafa Cerić, la più grande peste sociale bosgnacca a cavallo dei due millenni, il nuovo reis Kavazović è in gran parte riuscito a depoliticizzare questa comunità. Tuttavia, nemmeno lui è immune dal fare escursioni in campo politico. Le istituzioni religiose degli slavi meridionali sono inclini a impossessarsi del potere politico. Il reis Kavazović si distingue per aver assunto un atteggiamento diverso nei confronti di questo fascino della religione politica, che tende a trasformare il Dio metafisico in una bandiera politica. La religionizzazione dell’ideologia e l’ideologizzazione della religione hanno cancellato il Dio metafisico dall’ortodossia, dal cattolicesimo e dall’islam. Perché una comunità religiosa dovrebbe rinunciare al potere seducente di un Dio politico e ideologico per ritornare a quello metafisico?


I dati dell’ultimo censimento della popolazione della Bosnia Erzegovina sono stati pubblicati quasi tre anni dopo il suo svolgimento, indicando ciò di cui siamo tutti ormai da tempo consapevoli: la Bosnia Erzegovina non è più una società multietnica, bensì un semplice insieme di tre territori monoetnici. Come commenta il fatto che le élite bosgnacche preferiscono compiacersi della “vittoria dei bosgnacchi nel censimento”, piuttosto che preoccuparsi per la “purezza etnica” di Sarajevo?

Sulla morte di una Bosnia multietnica, confermata dai dati del censimento, ho scritto recentemente. Il censimento ha mostrato come la Bosnia Erzegovina di oggi sia una federazione trietnica composta dai territori etnicamente più omogenei al mondo. Le élite bosgnacche, così come quelle serbe e croate, di questo non parlano affatto, bensì cercano di usare i risultati del censimento per dimostrare la sussistenza del proprio diritto ad abitare un territorio etnicamente omogeneo.

Dietro ai discorsi delle élite bosgnacche sulla “vittoria dei bosgnacchi” nel censimento si cela un retroscena ideologico che affonda le sue radici nel fantasma di un grande stato. E la Bosnia trietnica si presenta come compimento delle aspirazioni belliche. Per quanto possa suonare amaramente ironico, se nel censimento c’è un vincitore, questo è il criminale di guerra Radovan Karadžić. La Bosnia Erzegovina di oggi vive in bilico tra il desiderio delle élite politiche di modificare la costituzione in modo da poter raggiungere, in tempo di pace, gli obiettivi rimasti irrealizzati durante la guerra e un percorso verso l'Unione europea che sembra irrealizzabile. Questa incertezza sta facendo scomparire gli ultimi rimasugli di quello che una volta era un paese multietnico.