Informazione

In anni recenti l'Italia ha partecipato a guerre di aggressione contro Stati vicini, senza nemmeno che il Parlamento fosse coinvolto attraverso la deliberazione dello stato di guerra come previsto costituzionalmente. La controriforma costituzionale, su cui i cittadini dovranno esprimersi il prossimo 4 dicembre, rende il passaggio parlamentare una pura formalità garantendo anche a un governo di minoranza (non rappresentante cioè la maggioranza assoluta dei votanti) il via libera per le guerre prossime venture. 
[In merito all'attentato contro la Costituzione perpetrato nella primavera del 1999 con l'aggressione alla vicina RF di Jugoslavia si veda la documentazione raccolta sul nostro sito: https://www.cnj.it/24MARZO99/giudiziario.htm ]


La riforma, la guerra e il “rischio Stranamore”


Il nuovo articolo 78 della Costituzione: «La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari». Sparito il Senato, decide la sola Camera eletta con la nuova legge elettorale che dà la maggioranza assoluta a una minoranza fedele al Presidente del Consiglio


Nella Costituzione vigente (quella approvata nel dicembre ’47 dall’Assemblea Costituente eletta il 2 giugno 1946) la guerra è regolata da due articoli: il primo, l’art. 78, recita «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari»; il secondo, l’art. 87 – che riguarda le attribuzioni del Presidente della Repubblica – recita al comma 9 che «[Il Presidente] dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere».
Nel progetto di revisione targato Renzi-Boschi i numeri degli articoli e dei commi restano immutati, salvo che all’espressione “le Camere” viene sostituita la sola “Camera dei deputati”. Leggiamo l’art. 78 nella sua interezza: «La Camera dei deputati delibera a maggioranza assoluta lo stato di guerra e conferisce al Governo i poteri necessari».
Quindi una decisione così coinvolgente e devastante per il Paese intero – la guerra –, che competeva alle due Camere, viene ora attribuita alla sola Camera dei deputati, che delibera a maggioranza assoluta di entrare in una situazione che potrebbe risultare rovinosa per tutto il Paese e che trova una sanzione etico-politica fortissima nell’art. 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni…». Notiamo un particolare che ha un’importanza che si spiega da sola: le Camere di cui recita l’art. 78 della Costituzione “dei padri” erano elette con sistema elettorale proporzionale, sì che le loro decisioni rispettavano pienamente la più importante delle declamazioni della Costituzione, quella dell’art. 1, comma 2: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione», poiché il sistema elettorale proporzionale garantiva la reale rappresentanza popolare, senza “forzature” di alcun tipo.
Ma questa formulazione dell’art. 78 (quello modificato) appare come un’altra mancanza di “coerenza interna” della proposta Renzi-Boschi. Infatti appare contradditorio (è stato uno degli argomenti dell’intervento del 6 settembre scorso) che al Senato, che «rappresenta le istituzioni territoriali» (art. 55 comma 4), si attribuisca poi il compito di esercitare la funzione legislativa «per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali» (oltre che per molte altre, secondo l’art. 70 comma 1, con le sue lunghe 193 parole), nonché quello della «ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» (art. 80) – questioni entrambe delle quali non si comprende il nesso con gli interessi precipui delle “istituzioni territoriali” –; appare poi una clamorosa “contraddizione nella contraddizione” che quel medesimo Senato non debba partecipare ad una decisione veramente “di vita e di morte” quale quella della “deliberazione dello stato di guerra”. Pare evidente che anche questo art. 78 rappresenti un “anello debole” – non l’unico, purtroppo – della riforma della Costituzione.
Fin qua si è all’interno del dominio costituzionale“. Ma c’è di più, perché sullo sfondo c’è, preoccupante e pericoloso, il “contesto elettorale” – che non è parte della Costituzione, ma ad essa è intimamente connesso – della legge denominata Italicum o, se pure questa venisse modificata (molti, anche all’interno del Pd, ora “spingono” in quella direzione perché temono che il ballottaggio potrebbe consegnare la vittoria non al loro partito ma all’aborrito M5S), di una legge elettorale comunque ipermaggioritaria, tale che assegna un impropriamente definito “premio di maggioranza” (un dispositivo che un costituzionalista come Gianni Ferrara ha definito «falso nel nome, nel contenuto e negli effetti») ad una lista nettamente minoritaria (si può dire meno minoritaria, ma pur sempre minoritaria), trasformando così la minoranza politica in maggioranza numerica. L’Italicum infatti (quello che conosciamo a tutt’oggi) come si sa attribuisce 340 seggi della Camera – pari al 54% dei 630 complessivi – alla lista che esce vincitrice dal ballottaggio, al quale accedono le due liste che prendono più voti al primo turno di votazioni, senza alcuna soglia di partecipazione minima di votanti né al primo turno né al ballottaggio (è giusto che si chiami “Italicum“: non c’è alcun altro Paese al mondoche adotti un sistema elettorale come questo. Ma non c’è da andar fieri di questa “unicità”). È del tutto evidente che in questo modo è sicuro che la maggioranza parlamentare assoluta venga assegnata ad un unico partito (è stato proprio questo, d’altronde, il fine dichiarato della legge) che rappresenta il 20% – o anche meno – degli elettori complessivi aventi diritto (come ad esempio il 30-35% dei consensi sul 50-60% dei votanti), con l’aggravante che quel partito è fortemente controllato – per i meccanismi di formazione delle liste prima ed elettorale poi – dal suo Capo. Che questa maggioranza assoluta così creata alla Camera, in realtà minoranza assoluta nel Paese, ed il Capo che la controlla, abbiano il diritto di decidere di portare il Paese alla guerra è un fatto che suona oltraggio alla logica prima ancora che alla democrazia, che viene deprivata del diritto di decidere sulla vita stessa dei cittadini con una maggioranza adeguata all’importanza del tema. Quantomeno si sarebbe dovuto alzare la soglia di decisione a due terzi della Camera dei deputati (una maggioranza qualificata) o, meglio ancora, fissare la condizione di una maggioranza qualificata delle due Camere in seduta comune: sia per rendere la decisione più inclusiva (e più difficile, perché no), sia per sottrarla alla potestà unica del partito che detiene, grazie al “premio”, la maggioranza assoluta.

Ciascuno di noi si può immaginare uno scenario (da incubo) nel quale sia arrivato al potere, per circostanze fortunose agevolate dalla “legge ipermaggioritaria”, un personaggio irresponsabile (quello che – ognuno a sua scelta – più disistima e detesta), che si troverebbe fra le mani un “giocattolo” mortale (la vecchia ma non dimenticata finzione cinematografica del “Dottor Stranamore” di Kubrick rischierebbe di trasformarsi in tragica realtà). Ciascuno di noi deve chiedersi: vogliamo davvero correre questo rischio, a prescindere da chi è oggi al Governo, ma in un futuro imprevedibile che non si può escludere? Potremmo mai perdonarcelo, se dovesse succedere? Una prospettiva del genere – nei tempi pericolosi ed ormai “stabilmente instabili” in cui viviamo, nei quali, purtroppo, la guerra è una possibilità tutt’altro che remota: gli ammonimenti di Papa Francesco, continui ed accorati, lo confermano – mette francamente i brividi: si devono assolutamente alzare le soglie di decisione e renderle più partecipate, non abbassarle e farle più ristrette.
Quell’anello costituzionale, da “debole” che già era, combinato con lo scenario elettorale diventa “debolissimo”, e rischia che nello spezzarsi ci faccia precipitare tutti in un gorgo: è un’altra delle ragioni di sostanza – e che sostanza! – per votare No.

PUBBLICATO LUNEDÌ 31 OTTOBRE 2016


(srpskohrvatski / italiano / français / english)

Ustascia e banderisti / 2:
Ufficiali Croati addestrano e giustificano i loro concittadini che si battono per il governo di Kiev

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Sullo stesso tema si vedano anche:

NAZIFASCISTI CROATI - USTASCIA - IN APPOGGIO A NAZIFASCISTI UCRAINI - BANDERISTI
Fotografie e links

НА ИСТОК ИДЕ САТНИЈА (ЉУБАН КАРАН, 11 јул 2016)
Зашто упућивање хрватске јединице на границу Русије изазива еуфорију и одушевљење код већине Хрвата? ...

CROATIE : LES VOLONTAIRES DU BATAILLON AZOV INTERDITS DE SÉJOUR EN UKRAINE (Bilten | Traduit par Chloé Billon | vendredi 27 mai 2016)
Après avoir longtemps eu recours à des bataillons d’irréguliers pour mener la guerre dans l’Est du pays, Kiev vient d’interdire l’entrée sur son territoire aux volontaires croates du bataillon Azov. Une reprise en main des forces de sécurité ukrainiennes qui s’effectue sous la pression des Occidentaux...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/retour-des-engages-volontaires-croates-en-ukraine.html

HRVATI KOJI RATUJU U UKRAJINI DOBILI ZABRANU ULASKA U ZEMLJU (22.05.2016. - Piše Marijo Kavain)
Izgleda da su ukrajinske vlasti počele 'čistiti' svoje oružane formacije od stranih boraca od kojih je najveći dio pristigao iz raznih europskih krajnje desničarskih grupa i pokreta...

CROATIAN VOLUNTEER FIGHTER HELPS UKRAINIANS DEFEND THEIR COUNTRY (UT Exclusive, 21 set 2015)
Ukraine Today talks to Denis Šeler Croatian volunteer fighter, Azov Regiment, who has been fighting in east Ukraine alongside Ukrainian armed forces for more than eight months. "The situation in Ukraine is very similar to what happened to Croatia 25 years ago"...

CROATIAN VOLUNTEERS AT UKRAINIAN POSITIONS NEAR MARIUPOL, DONBASS (UKRAINE HOT NEWS, 2 apr 2015)

NOVI FRONT IZMEĐU SRBA I HRVATA I TO U UKRAJINI (FACE HD TV, 12 feb 2015)
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Ufficiali Croati addestrano e giustificano i loro concittadini che si battono per il governo di Kiev

Scritto da Grey Carter

La ministra croata degli affari esteri ed europei Vesna Pusic ha confermato che mercenari croati combattono in Ucraina, ma, come dice lei, 'solo all'interno dell'esercito regolare dell'Ucraina.'

"Sono al corrente del fatto che ci sono soldati croati in Ucraina, all’interno dell'esercito ucraino", ha detto Pusic in risposta alle domande dei giornalisti prima della riunione del governo, ha riferito ieri l’agenzia Tanjug.

 "Tutto ciò è gestito dall'Agenzia di Sicurezza e di Intelligence, e non ha alcun collegamento con le unità paramilitari, e noi siamo in contatto permanente con l'agenzia", ​​ha detto la Pusic.

 Ha sottolineato che i croati stanno combattendo dalla parte ucraina (Kiev), e solo come parte del regolare esercito ucraino, ma non ha specificato quanti mercenari combattano all’interno delle formazioni neonaziste della Giunta ucraina. Allo stesso tempo, i media croati hanno scritto che decine di croati si sono uniti al famigerato battaglione Azov, un gruppo paramilitare di volontari con sede a Mariupol. Questa unità è sotto il comando del Ministero degli Interni ucraino ed è collegato all’estrema destra. La metà dei mercenari del battaglione Azov sono stranieri, riferisce la HINA.

Si tratta chiaramente di una storia che si ripete, dal momento che in entrambe le guerre mondiali il meschino vicino dei serbi, contribuì prima alle spedizioni austroungarico, e poi a quelle della Germania nazista nell’est Europa.

Il giorno dell'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, 22 giugno 1941, il "Poglavnik" (duce) dello Stato indipendente di Croazia, Ante Pavelic, incontrò la leadership militare e civile della Croazia per decidere quale sarebbe stato il modo migliore per sostenere il loro alleato tedesco. Tutti erano fortemente a favore dell'attacco tedesco, vedendo l'invasione come una battaglia tra le forze progredite dell'Europa contro le forze comuniste dell’Oriente. Tutti i presenti hanno convenuto che la Croazia dovrebbe partecipare all'invasione a fianco della Germania. A tal fine è stato contattato il rappresentante militare tedesco in Croazia, Edmund Glaise von Horstenau.

Von Horstenau suggerì che Pavelic preparasse una lettera a Adolf Hitler, per offrirgli la partecipazione di truppe croate sul fronte orientale. Pavelic preparò questa lettera il giorno successivo, il 23 giugno 1941. Nella sua lettera, Pavelic spiegava a Hitler il desiderio del popolo croato di unirsi alla battaglia di "ogni nazione amante della libertà contro il comunismo". Pavelic auspicò che le forze di terra, di mare e di aria, fossero impegnate "il più presto possibile" per combattere a fianco della Germania. Hitler rispose alla lettera di Pavelic il 1 ° luglio 1941, accettando l'offerta croata e ringraziando per il loro servizio. Hitler era del parere che le forze di terra potevano essere inviate rapidamente, mentre le forze aeree e navali avrebbero avuto bisogno di un tempo più lungo per essere adeguatamente addestrate e attrezzate. Il 2 luglio 1941, Pavelic ordinò che fossero chiamati volontari da tutti i corpi delle Forze Armate della Croazia per aderire alla guerra nell’est.

Il contingente di terra delle previste formazioni croate fu il primo a venir formato. I croati speravano di arrivare a un totale di 3.900 volontari, in modo da formare una unità del reggimento, ma al 15 luglio 1941, 9.000 uomini si erano già offerti per andare volontari! Visto l’alto numero di adesioni, furono considerevolmente resi più severi criteri per l'accettazione. Quando infine fu organizzato il reggimento, il 16 luglio 1941, gli fu dato il nome Verstärken Kroatischen Infanterie-Regiment 369, ovvero 369 Reggimento Croato Rafforzato di Fanteria.

Il Reggimento aveva 3.895 tra ufficiali, sottufficiali e soldati. Come parte della Wehrmacht gli uomini del gruppo dovevano indossare uniformi tedesche e utilizzare le insegne militari tedesche.

Il Reggimento era composto da 3 battaglioni di fanteria, una compagnia di mitragliatori, una compagnia anticarro, una di artiglieria e una di vettovagliamento.

Il Reggimento era stato definito "rafforzato" a causa delle artiglierie annesse, che non erano normalmente affidate ad una unità di reggimento di quelle dimensioni. Il comandante del reggimento era il colonnello Ivan Markulj.

Nello stesso tempo fu inoltre organizzato un battaglione di sostegno per il Reggimento. Aveva la sua base nella città di Stokerau in Austria, la sua funzione principale era quella di preparare le sostituzioni per i combattimenti del Reggimento che combattevano al fronte. Il reggimento fu trasportato a Döllersheim in Germania, dove fu equipaggiato e gli uomini fecero il loro giuramento al Fuhrer, al Poglavnik, alla Germania e alla Croazia. Ci furono poi tre settimane di addestramento, dopo di che il Reggimento fu trasferito in treno attraverso l'Ungheria a Dongena, in Bessarabia.

Da lì il reggimento partì con una marcia forzata di 750 km attraverso l'Ucraina per raggiungere le linee del fronte. La marcia durò 35 giorni, con un solo giorno di riposo. Dopo 35 giorni di marcia fu raggiunta la destinazione d Budniskaja in Ucraina e al reggimento fu concessa una settimana di riposo.

Durante la marcia forzata, 187 membri del Reggimento furono rimandati in Croazia per vari motivi di salute e due soldati furono giustiziati per aver lasciato le loro postazioni di guardia. A Budniskaja, un gruppo di esperti addestratori tedeschi raggiunse il reggimento per completare la sua formazione e introdurli sulla linea del fronte.I 9 Ottobre 1941, il Reggimento 369 fu assegnato alla divisione 100.Jäger. Il 13 ottobre, il reggimento partecipò alla sua prima battaglia a est del fiume Dnjeper. Da qui in poi si combatté intorno ai villaggi e le città di Petrusani, Kremencuga, Poltava, Saroki, Balti, Pervomajsk, Kirovgrad, Petropavlovsk, Taranovka, Grisin, Stalino, Vasiljevka, Aleksandrovka, Ivanovka, e Garbatovo. Quello che i documenti rivelano è che nel mese di luglio 1942, mentre il reggimento ha combatteva verso nord-est, e poi si spostava a sud-est lungo il fiume Don, i croati subirono pesanti perdite nelle battaglie intorno alla fattoria collettiva (kolhoz) nota come "Proljet Kultura" vicino alla città di Selivanova. Il 24 settembre del 1942, Ante Pavelic fece una visita al Reggimento e premiò con decorazioni vari uomini dell'unità.

Infine, il 26 settembre 1942, il reggimento ricevette l'ordine di spostarsi. Dopo una marcia di 14 ore, il reggimento arrivò nella periferia fatale di Stalingrado.

Il Reggimento 369 divenne così l'unica unità di non-tedeschi a partecipare all’attacco a Stalingrado. 'Questo è stato effettivamente considerato come un grande onore' - un premio per le sue battaglie dure e per gli ottimi successi fino a quel momento.

Gli uomini del Reggimento parteciparono all'aggressione, al tentativo di invadere ed occupare Stalingrado. Una tipica giornata di lotta a Stalingrado per gli uomini del Reggimento è stata descritta così dal loro Comandante nazista, tenente Bucar: "... Quando siamo entrati a Stalingrado, era distrutta e in fiamme. Ci siamo rifugiati in trincee e bunker, mentre il nemico ci colpiva con l’artiglieria, i razzi Katiusha, e con gli aerei. Ho avuto la fortuna di non perdere nessun uomo, ma il secondo plotone ha avuto un morto e 5 feriti, e il Terzo Plotone 13 morti e vari feriti. Intorno alle 06:00, gli aerei Stuka tedeschi hanno bombardato la zona davanti a noi, ed è stato ordinato un attacco verso la parte settentrionale della città. La missione del mio plotone era quella , in congiunzione con una unità tedesca, di “ripulire” la stazione merci, e quindi la diga della ferrovia, e raggiungere il fiume Volga. La notte giunse sotto un costante bombardamento. Non ho perso  neanche un uomo, ma la nostra unità di trasporto è stata colpita gravemente, e ho perso 10 uomini, 40 cavalli e un camion con attrezzature munizioni ...

"Al 13 ottobre il Reggimento 369 era ridotto a soli 983 uomini, compresi tutti i rinforzi arrivati ​​da Stokerau. Sempre in questo giorno, il Reggimento avanzò di ulteriori 800 metri nel settore settentrionale di Stalingrado.

Il 16 ottobre 1942, il colonnello-generale Sanne decorò il sergente croato Dragutin Podobnik con la Croce di Ferro di prima classe per estremo eroismo durante la presa della fabbrica Ottobre Rosso il 30 settembre. Il colonnello Pavicic  viene decorato con questa medaglia per il suo eccellente comando del Reggimento. Il 6 novembre, i resti del gruppo croato vengono congiunti al 212 ° reggimento di fanteria della Germania nazista.

E, infine, furono sconfitte le forze naziste: "All’arrivo di dicembre, i pochi soldati croati superstiti sono congelati, affamati e vi è una generale mancanza di munizioni e armi. Il comandante,  colonnello Pavicic, vive in un suo mondo, scrivendo irrilevanti ordini giornalieri per le truppe e le unità che non esistono più. Il 17 dicembre, il fiume Volga gelò permettendo ai sovietici di aprire un altro fronte su quel lato della cittàl.”

 Nel giorno di Natale del 1942, il tenente Korobkin scrisse:

(...) "Oggi, 25 dicembre, 1942, intorno a mezzogiorno, il nemico (i russi) ha attaccato ... I nostri difensori sono sotto costante fuoco dalla 'casa bianca piccola' attraverso l’edificio numero 2. Un cannone nemico ha distrutto la nostra mitragliatrice. Contemporaneamente a questo attacco al nostro fianco sinistro, il nemico ha attaccato il fianco destro. (...) Nel reggimento sono orgogliosi di avere guerrieri come noi croati in mezzo a loro. I sergenti Ante Martinovic e Franjo Filcic sono stati uccisi in questo contrattacco, 12 uomini sono feriti. "

Il 16 gennaio 1943 i sovietici lanciarono un attacco da tre lati alle postazioni croate,.che si ritirarono  indietro di parecchie strade e un gruppo guidato dal tenente Fiember rimase tagliato fuori. Sotto attacco pesante, questo gruppo di collaboratori nazisti a corto di munizioni fu successivamente distrutto.  “Il comando tedesco ha ordinato che gli ultimi croati sopravvissuti fossero portati via dalla prima linea e impiegati nello scavare le fortificazioni intorno alla ex  Accademia Sovietica d’Aviazione, che sarebbe servita come ultima linea di difesa dell’unità. "

Il 2 febbraio 1943, Stalingrado era libera.

La 369 divisione di fanteria (croata) -

A metà del 1941, visto il successo dei soldati croati sul fronte orientale, e cominciando ad aver bisogno di tutti gli uomini possibili per la guerra in corso, l'esercito tedesco decise di formare una divisione legionaria croata. Il piano era di inviare questa divisione a combattere in Russia.

Gli uomini furono organizzati in due Reggimenti di fanteria-granatieri, il 369 e il 370 reggimento croato. Ognuno era formato da tre battaglioni di fanteria e una compagnia di mortai. Un reggimento di artiglieria, il 369 Reggimento di Artiglieria Croato, formato a sua volta di due battaglioni leggeri di tre batterie e un battaglione pesante di 2 batterie ciascuna, fu anche costituito insieme a varie unità di supporto: un battaglione ingegneri, un battaglione segnali, una truppa di vettovagliamento, una compagnia di manutenzione , tre compagnie di gestione, una compagnia medica, una  veterinaria, e un distaccamento di polizia militare. La divisione ricevette il nome di "369 divisione di fanteria croata", ma fu chiamata dai suoi membri “Divisione Diavolo", "Vrazja".

Il nome "Vrazja" risale a una divisione croata (la 42 °) dell'esercito austro-ungarico nella prima guerra mondiale, nota per i crimini commessi in Macva, Serbia, dove massacrarono vecchi, donne e bambini. L’avvocato svizzero Archibal Reiss era sconvolto da ciò che vide in Serbia, una  brutalità e bestialità inimmaginabili per una persona sana di mente, come testimonia nei suoi rapporti.)

I tedeschi, d'altra parte, preferirono chiamare la divisione "Schachbrett" o "Scacchiera" , riferendosi al distintivo dei croati. La Divisione indossava uniformi  e insegne tedesche, e solo il distintivo croato per identificarla come unità di volontari croati. A differenza del primo Reggimento 369, la nuova Divisione 369  portava il suo distintivo sulla manica destra. Si noti che, dopo che il primo Reggimento 369 era statodistrutto a Stalingrado, la nuova divisione aveva intitolato uno dei suoi reggimenti "369" per 'onorare' i loro compagni caduti sul fronte orientale.

Nel gennaio 1943 fu deciso che la situazione in Croazia stava diventando critica a causa delle forze antifasciste della Serbia e del Montenegro, quindi la divisione fu inviata nei Balcani. Al suo arrivo in Croazia, la divisione nazista aveva circa 14.000 uomini nella sua prima operazione nel nord della Bosnia, che fu chiamata "Weiss" (bianco). Questa battaglia è a volte indicata come la Battaglia della Neretva. Gli antifascisti sfuggirono alla trappola pianificata sul fiume Neretva, così i croati non riuscirono a distruggerli. A novembre, la situazione militare in Croazia era diventata critica per l'Asse.

La 373 Divisione di Fanteria Croata. 

Il 6 gennaio 1943, l'esercito tedesco formava una seconda divisione tedesco-croata a Döllersheim (Germania), per utilizzarla in Croazia contro i Serbi e contro i partigiani.. Fu chiamata 373 Divisione di Fanteria Croata. La divisione fu soprannominata "Tigar" (Tiger) dai suoi uomini. Il comandante era il tenente generale tedesco Emil Zellner. La maggior parte degli ufficiali era tedesca, così come un gran numero di NCO, le.uniformi e le insegne erano tedesche, con il distintivo croato nazista sulla destra. La divisione fu organizzata in 2  Reggimenti di Granatieri-Fanteria, il 383 e il 384, un reggimento di artiglieria - il 373, e varie unità di supporto. La compagnia di vettovagliamento era fornita di cavalli.

Alla Divisione 373 fu assegnato uno spazio di operazioni che andava da Karlovac a est  fino a Sarajevo a ovest, e dalla costa adriatica della Croazia nel sud fino al fiume Sava nel nord. La maggior parte delle «attività» erano a Banja Luka – nell’area Bihac. Nel maggio del 1944, la 373  partecipò all’Operazione "Rosselsprung" (Movimento del cavaliere), che era il tentativo di catturare il leader partigiano comunista Tito. Nell'autunno del 1944, la Divisione inglobò la 2 ° brigata Jager  dell'esercito croato e il suo 3 ° Reggimento (385a croato Reggimento di Fanteria).

Il 6 dicembre 1944, la 373  partecipò ai massacri in zona Knin, dove fu pesantemente sconfitta. I sopravvissuti si ritirarono a nord-ovest verso Bihac. Nel gennaio del 1945, i resti della Divisione stavano combattendo nella zona di Bihac come parte del XV Corpo di Montagna tedesco.

Le battaglie continuarono con la Divisione che si spostava nella regione di Kostajnica a fine aprile del 1945.

I sopravvissuti si arresero ai partigiani ad ovest di Sisak nel maggio del 1945, e si unirono in massa alla resistenza partigiana.

La 392 Divisione di Fanteria Croata.

Il 17 Agosto 1943, l'esercito tedesco formò l'ultima delle divisioni tedesche-croato. Come il 373o prima di essa, la 392 è stata fondata a  Döllersheim (Germania) per essere utilizzata in Croazia. Chiamata 392 divisione di fanteria (croata), la divisione fu soprannominata "Plava" (blu) dai suoi uomini. Il comandante era il tenente generale tedesco Hans Mickl. La maggior parte degli ufficiali era tedesca, così come lo erano un gran numero di NCO. Uniformi e insegne erano tedesche, con il distintivo croato sulla manica destra.

La Divisione fu organizzata in 2  Reggimenti di Granatieri-Fanteria - il 364 ° ed il 365 ° , un reggimento di artiglieria - il 392 Reggimento di Artiglieria Croato (2 battaglioni con 3 batterie leggere ciascuno), e unità di supporto  Alla 392 Divisione fu assegnato uno spazio di operazioni che andava dalla Slovenia meridionale, lungo la costa adriatica croata, alla città di Knin. La divisione ha combattuto per lo più nella zona costiera settentrionale della Croazia, con le sue isole. Essa ha inoltre partecipato al tentativo di costruire un’area etnicamente pulita intorno alla Otocac – zona di Bihac, nel mese di gennaio, 1945. Durante un pesante attacco serbo, la 392 si ritirò verso ovest.

 Il 24 aprile 1945 i nazisti croati della 392 si arresero ai partigiani. In seguito furono riabilitati dal croato Tito.

Quando il 'poglavnik' Ante Pavelic fece un appello ai volontari croati per andare sul fronte orientale  (2 Luglio 1941), fu organizzata velocemente una unità di aviazione. -

Il colonnello Ivan Mrak fu nominato comandante della Legione. La Legione stessa fu trasformata in uno Squadrone di Combattimento (comandato dal Lt.Colonello Franjo Dzal) e uno Squadrone di Bombardieri (comandato dal Lt.Colonello Vjekoslav Vicevic). Lo Squadrone di Combattimento era ulteriormente suddiviso in 2 ali, come lo squadrone di Bombardamento. La Legione Aerea partì dalla Croazia per il periodo di formazione in Germania il 15 luglio 1941.

Lo Squadrone di Combattimento: un'ala dello Squadrone di Combattimento fu inviata nella zona di Furth, in Germania, per la formazione, l'altra ad Herzogen Aurah Airfield, nelle vicinanze. La formazione è iniziata il 19 luglio 1941, sulla Arado 96 e gli aerei Me D, e durò fino alla fine del mese di settembre 1941, da quel momento i legionari erano pronti per il fronte orientale e gli furono assegnati gli aerei da combattimento  Messerschmitt Bf109.

Durante il corso della loro formazione, gli uomini erano stati abbigliati con le uniformi della Luftwaffe  e con il distintivo croato dell’ Airforce Legione sulla destra del petto. Lo Squadrone ricevette il titolo ufficiale di 15’ (Kroatische) / JG 52 ', ed arrivò al suo primo campo di volo sul fronte orientale il 6 ottobre 1941, nei pressi di Poltava. Il 9 ottobre 1941, lo squadrone fece la sua prima azione nel settore di Ahtijevka-Krasnograd. Lo squadrone fu trasferito alla fine del mese di ottobre 1941 a Taganrog, e rimase in questa zona fino al 1 Dicembre 1941.

Il primo attacco di un pilota croato si verificò in questo periodo di tempo e lo attuò il capitano Ferenčina, il secondo fu attuato dal Lt.Colonel Dzal.

 "Il 1 ° dicembre 1941, lo squadrone croato fu trasferito a Marinpol. Gli attacchi furono effettuati su colonne corazzate sovietiche intorno a Pokorovskoje, Matvejeva, Kurgan, Jeiska e Uspenskoje, e sulla linea ferroviaria Marinpol-Stalino. Inoltre, lo squadrone scortava i bombardieri tedeschi nelle loro missioni. "

Nel mese di aprile 1942, lo squadrone volò in missioni di scorta per i bombardieri Stuka, e protesse il campo d'aviazione Marinpol, e mitragliò le truppe sovietiche nella zona del Mar d'Azov. Più di nove aerei sovietici furono abbattuti in questo periodo. "Nel mese di maggio, lo squadrone fu trasferito prima in  Crimea, e poco dopo  nella regione di Artemovka-Konstantinovka.

Da questa base di operazione, lo squadrone volò in missioni di scorta per i bombardieri che attaccarono Sebastopoli e pattugliò la zona del Mar d'Azov. Altri quattro aerei sovietici furono abbattuti, e una motovedetta sovietica fu affondata. Dalla fine di maggio, fino al 21 giugno 1942 (la data del 1000’ volo dello Squadrone), più di 21 aerei sovietici furono abbattuti. Da questa data fino alla fine del mese di luglio 1942, furono abbattuti più di 69 aerei. Nel luglio 1944 lo squadrone fu trasferito in Croazia per combattere la crescente resistenza antifascista serba. I suoi membri parteciparono al genocidio di serbi, rom ed ebrei.

"A questo punto, lo squadrone aveva effettuato 283 attacchi, aveva 14 piloti con la qualifica  Ace, e 4 piloti (Culinovic, Galic, Milkovic e Kauzlaric) che era stato decorato con la EKI e EKII."

Lo Squadrone Bombardieri: ufficialmente designato  15’ (Kroatische) / KG 53 ', lo squadrone fu dotato di aerei Dornier Do 17. Atrrivò sul fronte orientale il 25 ottobre 1941, dopo l'addestramento alla Grosse Kampfflieger Schule 3, a Greifswald, Germania. La loro prima area di operazioni fu vicino a Vitebsk.

Le restanti operazioni dello Squadrone di Bombardieri furono nel settore settentrionale del fronte orientale, compreso il bombardamento di Leningrado e Mosca. Il 9 novembre 1941, lo squadrone ricevette le congratulazioni del Fieldmarshall Kesselring per le sue azioni.

Dopo aver attuato 1247 sortite sul fronte orientale, lo squadrone fu sciolto nel dicembre del 1942, e integrato nelle Forze aeree croate per combattere contro i partigiani antifascisti.

Subito dopo l’appello di Pavelic ai volontari croati per combattere sul fronte orientale, fatto  il 2 luglio 1941, un numero consistente di ufficiali della marina e di uomini si fece avanti per formare la Brigata Navale Croata. Questa Brigata aveva in tutto 343 membri, di cui 23 erano ufficiali, 220 sottufficiali e 100 marinai. Poco dopo la formazione, la Brigata ricevette il titolo di "Legione Navale Croata" (Hrvatska Pomorska Legija), ed entrò a far parte della marina tedesca (Kriegsmarine ). Il primo comandante di fregata fu il capitano Andro Vrkljan. In seguito fu sostituito dal capitano di corazzata Stjepan Rumenovic. La Legione Navale fu inviata per la formazione da un altro alleato dei tedeschi, la Bulgaria,  a Varna, sul Mar Nero. Al suo arrivo a Varna il 17 luglio 1941, i Legionari croati ricevettero le loro uniformi e iniziarono l’addestramento su cacciamine e sommergibili tedeschi, in quanto dovevano essere i futuri equipaggi di queste navi nel Mar Nero. La formazione in questo periodo, al di là della formazione navale necessaria , consisteva nell’addestramento della fanteria, nello studio dei segnali, nel canottaggio, e nell'insegnamento della lingua tedesca. L’ammiraglio tedesco Schuster è stato uno dei dignitari che ha fatto visita ai legionari croati durante la loro formazione in Bulgaria. L’addestramento fu completato il 22 settembre 1941, e lo stesso giorno la Legione partì per l'Unione Sovietica, dove arrivarò il 30 settembre 1941. La denominazione ufficiale militare per la Legione era 23.Minesuch-Flottiglia, o 23 Sminare Flotilla.  Alla fine del settembre 1941, la Legione era di stanza a Geniscek. In quel momento solo la Legione Croata, una squadra di cavalieri rumeni e una piccola guarnigione tedesca rimanevano in città. "E 'interessante notare che, durante il loro turno di servizio in Crimea, Mar d'Azov e Mar Nero, i croati riuscirono a reclutare nei loro ranghi diversi ex marinai russi di nazionalità ucraina. "

Una batteria di artiglieria costiera croata fu aggiunta alla Legione durante l'estate del 1943.

I Legionari croati indossavano uniformi Kriegsmarine regolari, con solo lo scudo rosso-bianco a scacchiera della Croazia sul braccio sinistro per distinguerli.  L'artiglieria costiera indossava l’uniforme grigia tedesca con lo scudo sul braccio.

La Legione croata (italiano-croata) – Nel luglio  1941, il generale italiano Antonio Oxilio chiese  un incontro con il croato Ante Pavelic. Durante l’incontro, il Generale Oxilio si presentò a Pavelic con una lettera dell’alto comando italiano, chiedendo che si costituisse una legione croata, anche simbolica,  per il servizio nell'esercito italiano, sul fronte orientale.

Pertanto, il 26 luglio 1941, il comando dell'esercito croato diede l’ordine, e la "Legione croata" (Laki Prijevozni Zdrug) fu costituita. La maggior parte delle truppe venne da un battaglione di volontari utilizzati  come rinforzi per il Reggimento 369i in Russia. La Brigata era  costituita da 1100 soldati, 70 sottufficiali e 45 ufficiali (in totale1.215 ), suddivisa in 3 compagnie di fanteria,

1 Compagnia di mitraglieri, 1 Compagnia di mortai e 1 Batteria di artiglieria. Il comandante era il tenente colonnello Egon Zitnik (un croato). La prima base della  Brigata fu nella città di Varazdin, in Croazia, dove furono addestrati, e dove attesero che gli italiani organizzassero la spedizione. La Brigata operò nel Kordun, a Banija e Bosanska Krajina, dove partecipò alle esecuzioni di abitanti serbi ortodossi di queste regioni, ( "che combattevano contro il nuovo Stato croato.")



[ Hrvatske ustaše strijeljaju Srbe nad jamom 1941. (Genocide against Serbs, 19 feb 2014)
Isječak preuzet iz serijala "Jugoslavija u ratu 1941—1945." To je dokumentarni serijal Radio-televizije Srbije snimljen u periodu 1991—1992, koji se bavio ratnim i političkim dešavanjima na prostoru Jugoslavije tokom Drugog svjetskog rata. Dokumentarni serijal obuhvata 26 epizoda podijeljenih u četri ciklusa i jednu specijalnu epizodu.


Il 17 dicembre 1941 gli italiani finalmente ordinarono alla Brigata di spostarsi in Italia dove fu completato il loro equipaggiamento di armi e trasporti. Seguirono 3 mesi di addestramento intenso. Alla fine del programma di formazione, i Legionari furono visitati dal generale Ugo Cavallerio della sede italiana del personale, e dal Ministro della Difesa della Croazia, Slavko Kvaternik. A questa cerimonia fu presentata la bandiera della Brigata, e gli uomini prestarono giuramento all’ Italia, alla Croazia, al Duce, al re italiano, ed al Poglavnik.  La Brigata arrivò sul fronte orientale il 16 aprile 1942, vicino alla città di Harcjusk. Qui si unirono alla 3’ divisione italiana "Principe Amedeo Duca D'Aosta", e ricevettero il resto delle loro attrezzature e dei mezzi di trasporto (44 autocarri, 3 automobili e 6 motocicli ). L'11 maggio, vicino alla città di Pervomajska, questi fascisti  combatterono la loro prima battaglia, a fianco delle camicie nere dell’unità 63a "Tagliamento".

La Brigata, nel corso dei 10 mesi seguenti, combatterà intorno alle città di Stokovo, Greko-Timofejevka e Veseli-Nikitovo.

Il 28 luglio 1942, la Brigata attraversò il fiume Donjec a Lubanskoje.

Il 19 dicembre 1942, la Brigata teneva le colline 210 e 168 nei pressi di Hracin. Dopo brutali massacri furono circondati nel corso di un massiccio attacco sovietico.

Non ci furono sopravvissuti, l’unità fu completamente distrutta.

Dunque non è una sorpresa che i croati si siano schierati con i neonazisti Hunta in Ucraina. Questo è nelle loro tradizioni e sembra che ne siano orgogliosi. L’ironia della cosa sta nel fatto che essi, la cui secessione ha seppellito la Jugoslavia ed è stata la  scintilla della guerra civile, ora lottino contro la secessione delle zone russe dell'Ucraina.

Inoltre, la vera natura nazista della giunta di Kiev  è rivelata da un altro esempio: Hanno creato il loro inno di guerra, la canzone nazista di Tompson, noto croato neo ustascia 'musicista':


Tompsonova pedsma u Ukrajini (marko nede 11.2.2015)


24 ottobre 2016

“NA MORE CON AMORE”
Resoconto dell'iniziativa - Quarta Edizione, anno 2016


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Ciao a tutti, 
lo scorso mese di settembre si è conclusa la quarta edizione di “nA More con AMore” e, come sempre, sebbene con un po’ di ritardo dovuto agli impegni quotidiani non proprio volontari, vi partecipiamo di un breve resoconto dell’iniziativa estiva svolta a Santa Severa, con gli studenti della scuola “Sveti Sava” di Jasenovik, provenienti dai villaggi dell’area di Novo Brdo, nel territorio del Kosovo. 
Dal 29 agosto al 6 settembre siamo stati in lieta compagnia di 10 cari ospiti, Aleksandra, Ivana, Nevena, Dušan, Andjela, Saša, di nuovo Ivana, Miloš, Valentina e Sunčica. Nomi che proviamo a rendere meglio pronunciabili ai lettori italiani, con questa trascrizione: Alecsandra, Ivana, Nevena, Duscian, Angela, Sascia, Milosch, Valentina e Sunciza.


Cosa abbiamo fatto? Sebbene l’attività principale del soggiorno del gruppo sia stata quella balneare e ricreativa, sulla spiaggia e nel mare di Santa Severa, anche in questa edizione abbiamo svolto un programma piuttosto variegato.
Sorpresi da un acquazzone stagionale, durante la visita al bellissimo percorso naturalistico delle cascate di Diosilla nel Braccianese, sotto la guida della dolcissima Irene, ci siamo consolati e rifocillati con uno squisito pic-nic consumato in una grotta, preparato ed offerto dalla cheffissima Annamaria. Ma la meraviglia della vista che si è spalanca ai nostri occhi, a valle del sentiero, dell’antico abitato rudere della città di Monterano, lambito da uno scorcio di sole, ha asciugato velocemente abiti, capelli e cuori. Ne è valsa veramente la pena ed i bambini si sono divertiti molto. Non da meno è stata la istruttiva e simpatica visita presso la società cooperativa Agricoltura Nuova, sulla Via Pontina, un’operosa attività produttiva laziale, dove i bambini hanno potuto visitare la fattoria, i suoi animali, i laboratori di produzione propria, il caseificio ed il forno, accompagnati stavolta dal grande e grosso Fabrizio e dal nostro amico Enzo, fondatore della comunità di Colle Parnaso di Roma. Un copioso e delizioso pranzo rustico è stato offerto dalla mensa dell’azienda a tutto il gruppo, ma il loro succo di mela con i biscottini artigianali è stato indubbiamente lo spuntino più gradito della giornata, calda estiva, proseguita poi nel pomeriggio con un passaggio nella Roma antica e barocca, per qualche scatto davvero irrinunciabile.

Anche stavolta restiamo molto entusiasti dell’iniziativa, i bambini sono stati semplicemente e meravigliosamente bambini ma anche dei tesori. Purtroppo però qualcosa che ha sconvolto il popolo italiano ha turbato e dispiaciuto tutti noi. Per una mera fatalità, quest’anno “nA More con AMore” si è svolta proprio a ridosso della sciagura che ha colpito i comuni italiani col terremoto dello scorso 24 agosto. E non è mai facile accostare un’immagine di serenità e condivisione accanto ad una situazione tragica e di emergenza imprevedibile. Ma abbiamo ritenuto giusto non far pagare questo lutto ai nostri piccoletti, che ormai attendevano trepidamente da tempo questa esperienza, scrupolosamente organizzata con anticipo. Con i bambini le promesse vanno mantenute, finché è possibile. Nel far questo abbiamo anche tenuto conto però dell’autentica sensibilità e dei messaggi di solidarietà delle famiglie serbe dei piccoli ospiti, che la nostra referente Valentina ci ha trasmesso, in concomitanza degli eventi. Così, analogamente a quanto avvenne nel corso dell'edizione dell'iniziativa del 2014, per l'alluvione in Serbia e Bosnia, Jugocoord onlus si è attivata in solidarietà. Il concerto in programma de “I Beatles a Roma” che si è svolto domenica 4 settembre, presso il Castello di Santa Severa nell'ambito della manifestazione estiva "Note in blu", con la collaborazione gratuita di Coopculture e del Museo del Mare e della Navigazione Antica, è stata un’occasione per promuovere con Jugocoord onlus una raccolta fondi in favore della ricostruzione dei beni storici dei paesi italiani colpiti dal terremoto. Quest’impegno ad oggi viene mantenuto, essendo già entrati in contatto con il Comune di Valle Castellana, con il Comune di Monte Cavallo e stiamo proseguendo con altri. In tutti questi paesi hanno operato antifascisti jugoslavi durante la II guerra mondiale: è memoria storica da preservare. Restiamo pertanto soddisfatti e lieti di poter contribuire anche attraverso “nA More con AMore”.

Anche questa edizione dell’iniziativa è stata realizzata in collaborazione con le associazioni Jugocoord Onlus e Non bombe ma solo caramelle Onlus e con la Scuola Primaria “Sveti Sava”. 
Le spese sostenute, per un totale di 2.646,30 euro, hanno riguardato: biglietti aereo, assicurazione per infortunio e responsabilità civile, visti per l’Italia, servizio stabilimento spiaggia in Santa Severa, trasporto per e da Belgrado, trasporti per visita in Roma, affitto attrezzature per il concerto al castello, vitto (solo quota parte). La comunità di Santa Severa ed i suoi esercenti ci hanno sostenuto, per ridurre al minimo le spese, e noi siamo contenti di poterlo ribadire.

Per aver contribuito a sostenere economicamente l’iniziativa ringraziamo, per le sottoscrizioni:
Vincenza Ferrara e Sara, Associazione Orme, Stefano Peciarolo, Zivkica Nedanovska Stankovski, Alberto Tarozzi, Marcella Simonelli, Samantha Mengarelli, MM Agreement, Biosolidale, Zastava Brescia
per l’alloggio, per alcuni trasferimenti, per i costi del vitto, per l’interprete, per la guida turistica e per le visite culturali a Monterano (Bracciano) e Società Cooperativa Agricoltura Nuova, per l’evento de “I Beatles a Roma”: 
Augusto Mengarelli, Daniela Tiraboschi, Marzia Casale, Sandro Corciolini, Valerio Sallustio, Stefano Mattozzi, Samantha Mengarelli, Fabrizio Scandone, Dejana Perunicić, Suncica Vuković, Paolo Gentilini, Enzo Del Poggetto, Annamaria Cappelli, Irene Amore, I Beatles a Roma, la Pro Loco di Santa Severa, Museo della Navigazione Antica del Castello, Coopculture, Agricoltura Nuova, l'Alimentari panificio Fracassa Galli & C. snc, lo stabilimento Lido, il panificio Vapoforno. 
I fondi raccolti, insieme al 5X1000 del 2012 di Jugocoord onlus utilizzato per questa iniziativa, ci lasciano un residuo di 487,78 euro, che accantoneremo per le iniziative in favore dei Comuni terremotati.

Ringraziamo Valentina Ristić, insegnante della Scuola di Jasenovik, Milos Ristić, per la disponibilità, per la cura e l’attenzione verso i bambini, gli spazi condivisi e tutti noi. Apprezziamo inoltre la loro rinuncia al rimborso spese per i loro documenti di viaggio e per il trasporto da Jasenovik a Belgrado, quale contributo all’iniziativa. E grazie alla nostra giovane interprete, Suncica Vuković. Li salutiamo tutti e li ringraziamo.

Confidando nella possibilità di realizzare una prossima edizione di “nA More con AMore”, invitiamo chi vuole a visionare racconti e fotografie [ 
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NaMoreConAmore.htm#2016 ]. Buona lettura ed un saluto a tutti.

A Fiore ed Anna Maria
Certe case vivono e vivranno sempre il loro buon tempo, piene ed appagate delle voci e dei passi che le hanno attraversate…. (da: nA More con AMore, prima edizione) 

A cura di Samantha Mengarelli
Foto scattate da: Samantha Mengarelli, Valentina Ristić, Suncica Vuković, Miloš Ristić.




(deutsch / english / francais)

American Occupation of Europe Intensifies

0) More initiatives and links
– U.S. Hands Off Syria (IAC)
– ALERTE OTAN N°62
– Toying with a World War / II (GFP)
– Eskalation mit Nuklearpotenzial (GFP)
– Terrorism. A Matrix of Lies and Deceit (C. Black)

1) The deadly racism of the ‘anti-racist’ liberal imperialist (Neil Clark, 12.10.2016)

2) Die zivilen Opfer der Kriege (GFP, 10.10.2016)

3) Operation Barbarossa 2 – American Occupation of Europe Intensifies (Christopher Black, 17/02/2016)


=== 0: More initiatives and links ===

U.S. Hands Off Syria
An Urgent Message for Peace on the Eve of Wider War (IAC, October 13, 2016):

Dear friends of International Action Center,
Please review this statement issued by the newly-formed Hands Off Syria Coalition. It follows a lengthy round of discussions among several antiwar and social justice organizations and leading individuals about the urgent need for a broad coalition to confront the escalating war in Syria. International Action Center- IACenter.org is supportive of this process and a signatory to this statement. We invite you to join the rapidly growing coalition and encourage others to join.
Solidarity,
Sara Flounders for IAC

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ALERTE OTAN N°62 - 3e trimestre 2016
Parution du nouveau bulletin du Comité Surveillance OTAN: 

Au sommaire de ce numéro: 
Editorial: L'antagonisme entre l'OTAN et la lutte pour le désarmement nucléaire
Mensonges et Vérités sur Hiroshima (D. Johnstone)
Déclarations des associations à la Commémoration
L'ingénierie sur le sentier de la guerre (L. Mampaey)
Un sommet de l'Otan à Varsovie ou à quoi sert l'Otan en 2016 (N. Bardos)
OTAN EXIT: objectif vital (M. Dinucci)
Constitution de l'Alliance pour la neutralité du Montenegro
Communiqué du Comité sur la rupture du cessez-le-feu en Syrie

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Toying with a World War / II (GFP 24.10.2016)
While jihadi militias pursue their military offensive launched on the weekend in Aleppo, the German government is increasing its pressure on Russia. "As the most important supporter of the regime" in Damascus, Moscow must provide "a sound agreement for Aleppo," demanded German Foreign Minister Frank-Walter Steinmeier. But it was in fact the militia that broke the ceasefire initiated by Russia late last week and it was they who were also preventing the evacuation of the civilian population by firing at the escape corridors, as a British journalist reported from Aleppo. Similar practices are being used by the militia in the Iraqi town of Mosul, however these are being described for what they are, i.e. the IS is using civilians as "human shields." The German government is intensifying its pressure on Russia, at a moment when Moscow is reinforcing its military strength in the Eastern Mediterranean with the deployment of an aircraft carrier battle group near the Syrian coast, aimed at achieving an equal footing with the western powers. A German Bundeswehr frigate is accompanying the French aircraft carrier "Charles de Gaulle" in the same region, where the Russian aircraft carrier "Admiral Kuznetsov" is going. Particularly the German Green Party leadership is raising demands for declaring a no-fly zone over Syria - preparing another escalation, risking a direct war with Russia...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58978
ORIG.: Spiel mit dem Weltkrieg / II (GFP 24.10.2016)

Eskalation mit Nuklearpotenzial (GFP 5.10.2016)
Berliner Regierungsberater und Außenpolitik-Experten warnen vor einer weiteren Zuspitzung der NATO-Eskalationspolitik gegenüber Russland. Im Hinblick auf die gefährlichen Zwischenfälle bei militärischen Flugmanövern beispielsweise über der Ostsee führe "früher oder später" an "einem Umgang miteinander kein Weg vorbei", erklärt ein hochrangiger NATO-Funktionär in der führenden Zeitschrift des deutschen Außenpolitik-Establishments. Man müsse Sorge dafür tragen, dass der Machtkampf zwischen der NATO und Russland "sich nicht zu einem Großkonflikt auswächst", warnt ein renommierter russischer Experte eines US-Think-Tanks: Der Machtkampf sei zwar "keineswegs trivial", doch sei er "einen europäischen Krieg ... zweifellos nicht wert"...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59454

Terrorism – A Matrix of Lies and Deceit (by Christopher Black, 17.6.2016)
... Individual acts of terror, carried out by the lone terrorist or small group are carried out because they have no other political power than to try to frighten the populace. But acts of terror carried out by those factions of society that hold state power proves that they know their objectives and methods are criminal. That is why they have to resort to the terrorism of their own peoples in order to maintain control and dominance. And this is the state of affairs to which the world has been reduced after a century of war beginning with The Great War, World War I, through the Second, and the Third, euphemistically called the Cold, War, and now the Fourth, and final war that is now on-going and has been since the NATO terrorist bombing of Yugoslavia...
http://journal-neo.org/2016/06/17/terrorism-a-matrix-of-lies-and-deceit/


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The deadly racism of the ‘anti-racist’ liberal imperialist


by Neil Clark*, 12 Oct, 2016

When it comes to hypocrisy, the pro-war Western ‘liberal’ is in a class of his own. While professing opposition to racism, the pro-war liberal is cheerleader for the most dangerous and deadly form of racism in the world today - contemporary US/Western imperialism.
A racism that is scarcely reported, but which has laid waste to entire countries and killed millions - and which now threatens to drag us into potentially catastrophic military confrontation with Russia.
We can see this abhorrent racism on display again in the current debates in elite circles in the West over Syria. It’s taken as a given that ‘We’ i.e., the US and its allies, have a right to declare who is or is not the legitimate government of Syria. We can demand ‘Assad must go’ but of course no Syrian government official can demand one of OUR leaders must go. The very thought of it!
We have the right to impose ‘No Fly Zones’ which of course won’t apply to OUR aircraft - only to THEIRS. We have the right to bomb or illegally invade countries at any time we want to - for whatever fictitious reasons - but if the people of the targeted country dare to fight back, we’ll call them “genocidal” and accuse their leader (and his allies) of war crimes and push for them to be sent to The Hague. Our leaders meanwhile can break international law and kill hundreds of thousands with total impunity.
If you doubt the inherent racism of the current world order, and think I’m overstating the case; then consider what’s been going on at the International Criminal Court (ICC). During its 14 years of existence the only people indicted and tried by the ICC have been Africans.
What would you say if there was a domestic court in England that only ever tried Africans? And that Europeans, whatever heinous crimes they’d committed, were never brought before the court. You’d call the whole set up racist, and you’d be right.
But it happens at the ICC and pro-war ‘anti-racist’ liberals are silent. Showing that on an international scale you can get away with the most blatant levels of discrimination that you’d never get away with domestically.
Regrettably, a sizable section of the anti-racist left in the West has bought into this pernicious liberal racism, probably without even being aware of it. Evidence of this is how few people feel brave enough to publicly declare: 'Actually the Syrian government does have the right to fight back against US- backed jihadists’.
Again, it's taken as a 'given' that countries of the global south targeted by the US and its allies have absolutely no right to engage in violent resistance; their governments are expected to roll over and die. If they dare to resist and fight back with force as Syria’s has done, then some in the anti-war movement even portray them as equally culpable as the aggressor.
Remember the outrage from the ‘Exceptional Nation’ and its allies when Yugoslav forces downed a US Stealth Bomber in 1999! 'How dare they! We have the right to bomb your country back to the Stone Age for 'humanitarian' reasons - but you have no right to try and down our aircraft!’
When three US soldiers were captured, President Bill Clinton warned the Yugoslavs that they had no authority to put the men on trial, while stressing that the illegal US-led bombing of Yugoslavia would continue. 
Again, the only way you could support such blatant double standards is if you believe that Americans and their NATO allies are superior to Yugoslavs. And that would be racism.
The dehumanization of the many victims of military aggression carried out by the West and its allies is another example of ‘acceptable’ liberal racism.
The millions killed by US/Western imperialism in Iraq, Pakistan, Afghanistan, Syria, Libya, Yemen, Yugoslavia and elsewhere, are not commemorated on any special day of the calendar. They’re most unlikely to be honored in any blockbuster Hollywood films.
While ‘regret’ is sometimes expressed over ‘accidental’ civilian casualties, there is no pretense at sorrow when soldiers fighting for armies of targeted states are incinerated in large numbers. Did you see any concern from pro-war Western liberals, when the US and its allies murdered 62 Syrian soldiers last month bringing the ceasefire to an end? No, me neither.
It’s doubtful the ’humanitarian’ pro-war ‘anti-racist’ liberals now clamoring for a ‘No Fly Zone’ to be imposed in Syria (or rather a We Can Fly But They Can’t Zone), have ever met any soldiers from the Syrian Arab Army. But I have.
A few years back I was in Latakia, Syria, waiting for a bus to take me back to my flat in Damascus. I’d missed the last one but a special army bus was waiting to depart. I was invited to travel on it. Throughout the journey the soldiers generously shared their food, drink and smokes with me. They sang songs, we joked and laughed. It was a great journey.
I always think of these Syrian soldiers whenever I hear a pro-war ‘anti-racist’ liberal feign humanitarian concern for Syria. Because for them, Syrian soldiers loyally defending their country aren’t human beings at all; they can be slaughtered in large numbers and when they do it’s a cause for celebration.
When are humans not human?” asked my fellow RT OpEdge contributor Dan Glazebrook in his Morning Star column from August 2012. The answer is when they’re soldiers from global south countries resisting a US-backed invasion. Glazebrook notes that while soldiers of the occupying army are “always human no matter what atrocities they have taken part in,” those from armies that are defending their countries from Western aggression “are never human”…”even if they’ve never fired a shot in their life.”
The sad truth is that too many ‘anti-racists’ in the West are more concerned with bad things certain individuals say than with countering the most deadly and virulent form of racism affecting the world today; the racism that underpins the foreign policy of the US and its closest allies.
Just imagine if widespread racist pogroms against black people were to be launched by far-right groups in France. There would, I’m sure, be enormous and totally justified outrage. The perpetrators would be brought to book, and rightly so. But as Dan Glazebrook has pointed out, racist pogroms against black people were ‘characteristic’ of the Western-backed Libyan rebellion in 2011 from the very start. Yet Western ‘anti-racist’ liberals still supported the rebellion and Western ’humanitarian’ air strikes in favor of racist ‘rebels‘. How can you denounce racist pogroms against black people in Europe yet support them in Libya? Well ‘anti-racist’ liberal imperialists can. As Maximilian Forte wrote: “If this was ‘humanitarianism’ it could only be so by disqualifying Africans as members of humanity.”
The truly genuine anti-racist (as opposed to the fake ‘anti-racist’ liberal imperialist) believes that all countries are equal and that the US and its allies have no more right to threaten Syria than Syria has to threaten the US and its allies. Genuine anti-racists believe that all human life is equal too. And that international law should apply to all and that the US, Britain, Israel and their allies should not be exempt. It's time genuine anti-racists reclaimed anti-racism from pro-war Western liberals. Before the racist, virtue signaling phonies start their ‘humanitarian’ World War Three.


* Neil Clark is a journalist, writer, broadcaster and blogger. He has written for many newspapers and magazines in the UK and other countries including The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week, and The American Conservative. He is a regular pundit on RT and has also appeared on BBC TV and radio, Sky News, Press TV and the Voice of Russia. He is the co-founder of the Campaign For Public Ownership @PublicOwnership. His award winning blog can be found at www.neilclark66.blogspot.com. He tweets on politics and world affairs @NeilClark66


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Die zivilen Opfer der Kriege
 
10.10.2016
BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Angehörige ziviler Opfer eines auf deutschen Befehl begangenen Massakers in Afghanistan haben keinen Anspruch auf Entschädigung. Wie der Bundesgerichtshof letzte Woche bestätigte, kann Deutschland sich gegen afghanische Kläger auf das Prinzip der "Staatenimmunität" berufen und die Zahlung von Entschädigung grundsätzlich verweigern. Damit setzt die deutsche Justiz ihre Rechtsprechung zugunsten der Bundeswehr und den Militärs anderer NATO-Streitkräfte fort. Bereits im Fall eines mutmaßlichen NATO-Kriegsverbrechens in der jugoslawischen Ortschaft Varvarin hatte das Bundesverfassungsgericht bekräftigt, es gelte die Staatenimmunität. Mit derselben Argumentation haben deutsche Gerichte und der Internationale Gerichtshof (IGH) in Den Haag die Bundesrepublik zudem von der Zahlung einer Entschädigung an Opfer von Wehrmachts- und SS-Massakern in Griechenland befreit. Die Staatenimmunität, die Berlin für sich in Anspruch nimmt, befreit die Kriegführung von größeren finanziellen Risiken. Allein durch NATO-Luftangriffe im Afghanistan-Krieg kamen von 2008 bis 2015 mehr als 1.700 afghanische Zivilisten zu Tode. Bringen deutsche Militärs Zivilisten um, dann muss Berlin nach dem jüngsten Urteil nicht mehr damit rechnen, finanziell zur Verantwortung gezogen zu werden.
Die Tanklaster von Kunduz
Die Angehörigen der Opfer eines Massakers in Afghanistan, das ein deutscher Oberst befohlen hat, haben keinen Anspruch auf Entschädigung. Dies hat der Bundesgerichtshof in der vergangenen Woche bestätigt. Gegenstand des Verfahrens war die Bombardierung zweier entführter Tanklaster nahe Kunduz am 4. September 2009. Der Oberst der Bundeswehr Georg Klein hatte die Bombardierung befohlen, obwohl in unmittelbarer Nähe der Tanklaster über hundert Personen zugegen waren, deren chaotisch anmutendes Hin- und Herlaufen vermuten ließ, dass es sich um Zivilisten handelte. Dies war tatsächlich der Fall. Klein hatte zudem fünfmalige Bitten der beiden US-Piloten, die den Angriff durchführten, abgelehnt, vor der Zerstörung der Tanker die mutmaßlichen Zivilisten mit einem Tiefflug warnen zu dürfen, um unnötige Todesopfer zu vermeiden. Bei dem Angriff kamen ungefähr hundert vollkommen unschuldige Menschen ums Leben. Nach dem Massaker wurden die zwei US-Piloten strafversetzt, Klein hingegen wurde zum Brigadegeneral befördert. Über Kleins Massakerbefehl vom 4. September 2009 urteilt der Vorsitzende Richter am Bundesgerichtshof Ulrich Herrmann nun, die "militärische Entscheidung" sei "völkerrechtlich zulässig" gewesen.[1] Ohnehin hätten individuelle Opfer nicht das Recht, einen fremden Staat auf Entschädigung zu verklagen; es gelte das Prinzip der Staatenimmunität. Laut Bundesgerichtshof können die Kläger sich auch nicht auf das Amtshaftungsrecht berufen. Wolle man dieses auf die Auslandseinsätze der Bundeswehr anwenden, dann könne es zukünftig "in mehrfacher Hinsicht zu Beeinträchtigungen" nicht nur der "Bündnisfähigkeit Deutschlands", sondern darüber hinaus "des außenpolitischen Gestaltungsspielraums" kommen.[2] Dies wiederum ist unerwünscht.
Die Brücke von Varvarin
Das aktuelle Urteil des Bundesgerichtshofs schließt an ältere Urteile zu einem NATO-Luftangriff vom 30. Mai 1999 auf die jugoslawische Ortschaft Varvarin an. Damals hatten zwei Kampfjets der NATO die Brücke von Varvarin zerstört - dies, obwohl das jugoslawische Militär in dem Ort nicht präsent war und die Brücke keine militärische Bedeutung hatte. Auch in diesem Fall unterließ die NATO jegliche Vorwarnung an die Zivilisten, die erkennbar die Brücke überquerten; tatsächlich töteten sie einige, die den ersten Angriff überlebt hatten und sich an Brückenteile klammerten, mit einer zweiten Bombe. Zehn Menschen kamen bei der Attacke ums Leben, 30 wurden teils schwer verletzt. Angehörige der Opfer klagten in Deutschland, scheiterten jedoch: Individuellen Opfern stehe das Recht nicht zu, von fremden Staaten Entschädigungen einzuklagen, bestätigte das Bundesverfassungsgericht. Allenfalls "Serbien als Staat" habe die Möglichkeit, "einen Anspruch gegen die Bundesrepublik Deutschland oder gegen andere NATO-Staaten geltend zu machen" [3], erklärt der Völkerrechtsprofessor Stefan Talmon von der Universität Bonn. Serbien freilich hätte, versuchte es Entschädigungen einzuklagen, mit massiven politischen Repressalien aus Berlin zu rechnen, weshalb es den Schritt bis heute gezwungenermaßen unterlässt.
Das Massaker von Dístomo
Mit Verweis auf die Staatenimmunität, die es individuellen Opfern untersage, Staaten auf Entschädigung für Kriegsverbrechen zu verklagen, hat die Bundesrepublik sogar die Forderung nach Entschädigung für die Opfer von Wehrmachts- und SS-Massakern erfolgreich zurückweisen können. Exemplarisch ist dies anhand einer Klage zum Massaker von Dístomo geschehen. In dem griechischen Ort hatten Angehörige der 4. SS-Panzer-Grenadier-Division unter dem SS-Hauptsturmführer Fritz Lautenbach am 10. Juni 1944 alle Bewohner ermordet, die sie antrafen - 218 Menschen. 1995 klagten Angehörige der Opfer in Deutschland auf Entschädigung. In letzter Instanz entschied der Bundesgerichtshof am 26. Juni 2003, es bestehe kein Anspruch auf Entschädigung, da "etwaige Schadenersatzansprüche" gegen das Deutsche Reich "nicht einzelnen geschädigten Personen, sondern nur deren Heimatstaat" zustünden.[4] Genauso entschied, auf Prozesse in Griechenland und Italien Bezug nehmend, am 3. Februar 2012 der Internationale Gerichtshof (IGH) in Den Haag. Im August hat nun allerdings der griechische Ministerpräsident Aléxis Tsípras angekündigt, Griechenland werde Entschädigung für die Opfer von Wehrmachts- und SS-Massakern einfordern - als Staat.[5] In diesem Fall böte das Prinzip der Staatenimmunität Deutschland keinen Schutz. Konkrete Schritte hat Athen allerdings bislang noch nicht unternommen. Ob der griechische Staat, der durch die seit Jahren anhaltende Krise in komplette Abhängigkeit von der Bundesrepublik geraten ist, sich Prozesse gegen die EU-Hegemonialmacht politisch überhaupt leisten könnte, kann bezweifelt werden.
Tausende Tote
Wie nützlich der Grundsatz der Staatenimmunität für die Bundesrepublik und ihre Verbündeten heute ist, zeigen exemplarisch Untersuchungen über zivile Opfer von NATO-Angriffen am Hindukusch. Eine vor kurzem an der Universität Boston erstellte Studie beziffert die Zahl der Zivilisten, die von 2008 bis 2015 durch Luftangriffe in Afghanistan ums Leben kamen, auf 1.766. In wieviele Fälle deutsche Soldaten als Teil der Kommandokette oder im Zuge der Aufklärung involviert waren, ist unbekannt. Hinzu kommen die zivilen Todesopfer aller anderen Operationen, die von den westlichen Streitkräften und ihren afghanischen Verbündeten durchgeführt wurden; durch sie kamen laut der Studie von 2008 bis 2015 genau 2.492 Zivilisten um.[6] Auch in diesem Fall bleibt der deutsche Mordanteil unklar. Die Angehörigen der Opfer haben, wendet man das Prinzip der Staatenimmunität an, keinerlei Anspruch auf Entschädigung, solange der afghanische Staat sie nicht einfordert; das aber kann als politisch ausgeschlossen gelten. Zu den Opferzahlen hinzugerechnet werden müssen laut der Bostoner Studie noch die zivilen Opfer von US-Drohnenattacken in Pakistan. Deren genaue Zahl ist unbekannt; Schätzungen reichen bis zu mehr als 2.600 Personen. Von 2007 bis 2015 töteten darüber hinaus die Streitkräfte des mit der NATO kooperierenden Pakistan tausende Zivilisten. Eine Gesamtbilanz müsste die zivilen Opfer der Kriege im Irak, in Syrien, in Libyen und in weiteren Ländern, in denen NATO-Streitkräfte operieren, berücksichtigen; zudem ist in den erwähnten Opferzahlen eine relevante Dunkelziffer ungeklärter Fälle nicht enthalten.
Krieg ohne Risiken
Bereits im August 2014 hatte die Menschenrechtsorganisation Amnesty International energisch gegen die Straflosigkeit bei der Tötung von Zivilisten im Afghanistan protestiert. Seit 2009 habe es lediglich sechs Strafverfahren gegen US-Soldaten wegen Mordes an Zivilpersonen gegeben, stellte Amnesty fest; letztlich seien nur zehn Täter bestraft worden.[7] Die NATO-Streitkräfte müssten endlich die Mordtaten ihrer Militärs entschlossen bestrafen sowie alles tun, um weitere Verbrechen zu verhindern. Beides ist nicht geschehen. Im ersten Halbjahr 2016 nahm die Zahl der Zivilisten, die bei Operationen der afghanischen Streitkräfte und ihrer westlichen Verbündeten ums Leben kamen, sogar erneut zu und stieg auf 383. Zuletzt verloren bei einem US-Drohnenangriff in Afghanistan am 28. September mindestens 15 Zivilpersonen ihr Leben. Das Verbrechen erfolgte knapp ein Jahr nach dem US-Luftangriff auf ein Krankenhaus der Organisation "Ärzte ohne Grenzen", bei dem 42 Zivilisten umkamen. Hinzu kommen weitere zivile Todesopfer auf anderen Kriegsschauplätzen, etwa in Syrien. Die Staatenimmunität sorgt nun dafür, dass Opferklagen gegen die NATO-Mächte aussichtslos sind. Finanzielle Risiken, wie sie mit Entschädigungsklagen einhergingen, muss die Bundeswehr bei ihren heutigen und bei ihren künftigen Kriegen nicht mehr in Rechnung stellen.

[1] Keine Entschädigungen für Hinterbliebene von Kundus-Luftangriff. www.rp-online.de 06.10.2016.
[2] Deutsches Amtshaftungsrecht ist auf bewaffnete Auslandseinsätze der Bundeswehr nicht anwendbar ("Fall Kunduz"). juris.bundesgerichtshof.de 06.10.2016.
[3] Saša Bojić: Kein Schadensersatz wegen Nato-Angriffs. www.dw.com 12.09.2013.
[4] BGH, Urteil vom 26. 6. 2003 - III ZR 245/98.
[5] S. dazu Die Regelung der Reparationsfrage.
[6] Neta C. Crawford: Update on the Human Costs of War for Afghanistan and Pakistan, 2001 to mid-2016. Boston University, August 2016.
[7] Amnesty International: Left in the dark. Failures of accountability for civilian casualties caused by international military operations in Afghanistan. London, August 2014.


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À voir aussi: Communiqué du Sommet de l’OTAN à Varsovie : préparer le crime d’agression (par Christopher Black)
See also: NATO’s Warsaw Communiqué: Planning the Crime of Aggression (18.07.2016 Author: Christopher Black)


http://milosevic.co/552/christopher-black-operation-barbarossa-2-american-occupation-of-europe-intensifies/

Christopher Black: Operation Barbarossa 2 – American Occupation of Europe Intensifies

17/02/2016

On February 1 the New York Times ran a front page story by two of their journalists confirming the intentions of the United States to increase its occupation of and military presence in Europe particularly the east. Under the title “U.S. Fortifying Europe’s East to Deter Putin” the story sets out just one in a continuing series of acts of aggression against Russia. At the same time as the Americans announced this action they pretended to negotiate with Russia in Geneva about a solution to the American and allied aggression against Syria.

Of course, the story begins with the lie in the headline of a need to “deter Putin.” It then continues with the standard set of lies and propaganda about world events that we always get from the government of that country. No one outside the United States can read these things without laughing or crying, but of course they are intended to justify the criminal actions of the American government and ruling elite to the people who have to pay for the criminal wars they conduct, that is, to justify the unjustifiable, to the citizens of the United States.

There is no need to enter once again into the real history of events in Ukraine, Syria, Europe, Asia, Africa and all the places in the world where American and European meddling have wreaked havoc and loosed Chaos with the dogs of war. The history is well known by those who are interested. But there is a need to comprehend the meaning of what the United States is doing by announcing that it will increase its military budget for eastern Europe by 400%, from a current budget of $789 million to $3.4 billion in 2017. Since the Russians are not the threat in the region, but the United States and NATO are, the placement of military hardware to support a full armoured combat brigade in the region, and right on top of Russia’s borders can have only one other purpose, aggression.

Once can even argue that the pattern of moving equipment and forces continually nearer to Russia’s border, the continuous military exercises and their increasing control of the governments of the east European states in lockstep with this military build up, looks far too much like Nazi Germany’s build of forces prior to Operation Barbarossa, the Nazi invasion of the Soviet Union in 1941. History never repeats itself exactly, we have learned that much. But the overall pattern is very similar and the objectives and motivations remain the same.

The story also quoted American officials as stating that the equipment could be used in Syria, another threat to Russia. But the main threat is against Russia itself. Indeed the writers stated,

“Still, there is no doubt the primary target of the funding is Russia.”

The Times admits that the 1997 agreement known as the NATO-Russia Founding Act stipulates that neither side can place forces along their respective borders and admits that the deployment of American and NATO troops along Russia’s borders is a clear violation of the agreement. But, being the weasels that they are, they always state that wrong is right and so they simply deny they are in violation of the agreement or excuse it based on ”Russia’s incursion” into Crimea. This makes no sense of course since the United States took over Ukraine as its protectorate in the coup in 2014. Its forces have been there ever since and it has been in violation of the agreement from the day it was signed as NATO occupied, one by one, the countries formerly protected from NATO by the Soviet Union. The agreement means nothing to them. They just shrug their shoulders if it is mentioned and chew their gum.

Since the build-up of American forces in Europe is explicitly directed at Russia and since a few months ago an American general stated that they expected Russia to engage in “hybrid warfare” in the Baltic states and regard this as a “certainty” for which NATO has to prepare, an objective observer must ask whether the US itself intends to stage a series of provocations in the Baltic and blame them on Russia.

The Americans, British and Turks have created a series of provocations in the past weeks, accusing Russia of killing civilians in Syria, of violating Turkish, therefore NATO airspace, of murdering Russians abroad on the personal orders of President Putin, and as with other leaders they have attacked and murdered in the past, now accuse President Putin of corruption, a charge they levelled at President Milosevic when he was attacked and then finally arrested in Serbia.

This writer had the opportunity of meeting with Serbian officials who were in charge of the case against Milosevic at that time and I asked them if the corruption charges were true. They told me that they were completely false but that the Americans pushed them to charge Milosevic in order to undermine support for him in Serbia and as an excuse to hold him until they could kidnap him and take him in chains to their NATO tribunal in The Hague. They further told me that the Americans had threatened to bomb them again if they refused to cooperate.

The accusations made against President Putin are in line with this strategy of setting him up to be labelled in the west as a criminal with whom negotiations are impossible and therefore, setting the stage for sowing confusion amongst the Russian people about their own leaders, and undermining support for their government. But this is only one purpose and since the Russian people are very aware of how the game works, it is unlikely that this campaign of defamation against President Putin will have any success inside Russia. So, the primary objective is to demonise him in the eyes of the western public in order to justify further aggression against Russia and since these stories receive saturation coverage in the west, the NATO propagandists are succeeding.

It took nearly ten years for Operation Barbarossa to be set up and put into effect, from the time that Hitler was made Chancellor of Germany and began to discuss with the British and French his intentions of attacking the Soviet Union. The British and French were very content for the Nazis to do that and there is no doubt that the primary objective of Hitler was always the crushing of Russia. That the attack failed is one of the reasons the NATO leaders snubbed the Moscow Victory Parade last summer since they now identify themselves with the objectives of the defeated Nazi regime.

Some doubt that the NATO powers will actually attack Russia and risk a world war and point out that the forces being placed in eastern Europe are too weak to mount any attack. But they miss the point, which is that the build up is steady, and it is increasing, along with the propaganda and increased economic warfare. The Americans are really prepositioning resources, stores, equipment and headquarters and logistics bases that can be rapidly used to build up NATO forces at the right moment. The question is when that moment will be.

Unless the European powers can escape the American pressure and become independent states once again and unless a new regime dedicated to peace arises in the United States, neither of which look likely for the foreseeable future, it rests with us, the citizens of the world to get off our chairs and get on the streets and demand that these preparations for world war be stopped. For, unless that happens, the march to war by the Americans and their NATO lieutenants appears to be inexorable.






A cinque anni dal barbaro assassinio di Gheddafi

di Domenico Losurdo – 20 Ottobre 2016

5 anni fa, il 20 ottobre 2011, veniva barbaramente assassinato il leader della Libia anticolonialista Mu’ammar  Gheddafi. Per ricordarlo e a eterna vergogna dei responsabili di questo crimine, da Sarkozy alla signora Clinton, che ora non a caso si appresta a divenire Presidente degli USA, riprendo alcune pagine del mio libro La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Carocci, Roma (DL).

L’esultanza della signora Clinton per il crimine

Quante vittime ha provocato una guerra, che peraltro «non ha portato ai libici la “libertà dal tiranno” ma ha creato l’ennesimo Stato fallito, in preda a bande armate» e all’«estremismo islamico» (Panebianco 2013)? Per rispondere a questa domanda diamo la parola a un filosofo di fama internazionale: «Oggi sappiamo che la guerra ha fatto almeno 30.000 morti, contro le 300 vittime della repressione iniziale» perpetrata dal regime che la NATO era decisa a rovesciare (Todorov 2012). Occorre aggiungere che la repressione colpiva una rivolta che certo aveva basi anche endogene ma alla quale erano tutt’altro che estranei i servizi segreti occidentali, a cominciare da quelli inviati dal governo di Londra i quali – ha rivelato la stampa britannica più autorevole – già da un pezzo si proponevano di assassinare Gheddafi, ricorrendo a ogni mezzo (infra, cap. 3, § 7). E, in effetti, la guerra sanguinosa del 2011, scatenata mentre non pochi paesi in particolare dell’Africa e dell’America Latina premevano per una conferenza internazionale e per la ricerca di una soluzione pacifica, si concludeva con il linciaggio di Gheddafi e lo scempio del suo cadavere.

Appresa questa notizia, esultava scompostamente Hillary Clinton. Scimmiottando il celebre «veni, vidi, vici» di Giulio Cesare e aggiungendo un tocco di brutalità all’originale, l’allora segretario di Stato esclamava: «venimmo, vedemmo, egli morì!» (we came, we saw, he died!»). Interrogata da un reporter presente all’esternazione se la sua visita a Tripoli avesse avuto qualcosa a che fare con la fine di Gheddafi, la signora rispondeva orgogliosa: «Sono sicura di sì». Qualche tempo dopo, in occasione di una trasmissione televisiva, un giornalista di «Fox News» chiedeva a Hillary Clinton se per caso rimpiangeva il suo precedente commento imperiale, dato che l’uccisione del leader libico era stata definita un «crimine di guerra» da diversi studiosi di diritto. Il giornalista era costretto a ripetere la domanda, ma l’unica risposta che riusciva a ottenere era: «Non intendo commentare». Il significato della guerra e della sua conclusione era comunque chiaro. Il notiziario di «Fox News» titolava: «Obama brandisce un altro scalpo» (Forte 2012, pp. 130-31).

Sarebbe tuttavia errato perdere di vista il ruolo essenziale svolto dai servizi segreti francesi nel crimine di guerra di cui qui si parla. Diamo la parola al «Corriere della Sera»: «E’ un segreto di Pulcinella che a Parigi volevano eliminare il Colonnello»; l’allora Presidente Nicolas Sarkozy era deciso a evitare in ogni modo che si venisse a sapere dei massicci finanziamenti elettorali a lui versati dal «dittatore» (Cremonesi 2012a). Dunque, colui che è stato forse il campione più zelante della «guerra umanitaria» era in realtà il principale beneficiario dei petrodollari del «dittatore», prima accolto con tutti gli onori all’Eliseo e poi messo a tacere con un regolamento di conti privato e dunque con un assassinio di stampo mafioso. Si poteva pensare o sperare che queste rivelazioni avrebbero provocato un sussulto di indignazione. Nulla di tutto questo è accaduto: evidentemente, il comportamento appena visto viene considerato più o meno normale dalle cancellerie occidentali e dall’opinione pubblica prevalente in Occidente. Il successore di Sarkozy, François Hollande, si è affrettato a sottolineare la continuità della politica estera della Francia. Il presidente “socialista“ e i suoi omologhi “democratici” non hanno cambiato idea, nonostante che sia paurosamente aumentato il numero dei profughi provenienti dalla Libia: essi fuggono da un paese “fallito”, o più esattamente costretto dalla NATO al “fallimento”, partendo da «campi» controllati dalle milizie, «dove si stupra sistematicamente, dove si tortura sistematicamente, dove vengono stabilite le tariffe per essere imbarcati verso l’ignoto, dove nessun controllo può essere effettuato da alcuno» (Venturini 2014).

Gheddafi e i leader terzomondisti

[Con l’appoggio di Camusso e Rossanda alla guerra contro la Libia] di nuovo emergeva la devastazione culturale e politica che aveva investito la sinistra. Dileguata era la memoria storica: cento anni prima l’Italia aveva scatenato contro la Libia una guerra coloniale, essa sì non priva di pratiche genocide. E a trattenere le due illustri esponenti della sinistra italiana non servivano neppure le prese di posizione dei leader dei Terzo Mondo che si pronunciavano per una soluzione negoziata o che, per voce del presidente del Nicaragua Daniel Ortega, chiamavano a difendere il «fratello» Gheddafi contro la «feroce campagna», mediatica prima ancora che militare, scatenata contro lui dal neocolonialismo. Sulla stampa italiana e internazionale si poteva leggere tranquillamente delle covert actions messe in atto dai servizi segreti occidentali già diversi anni prima dello scoppio della crisi; vedremo che gli stessi giornali e riviste impegnate ad appoggiare la guerra contro la Libia di Gheddafi tracciavano un quadro tutt’altro che lusinghiero dei ribelli, i quali si abbandonavano a saccheggi contro il loro stesso popolo, passavano per le armi i soldati fatti prigionieri, sfogavano la loro rabbia contro neri e migranti neri, sbrigativamente assimilati a mercenari del regime e trattati di conseguenza. Facendo ricorso a un’informazione appena più sofisticata, si poteva ricavare un quadro più equilibrato dei mutamenti intervenuti in Libia sull’onda della rivoluzione anticoloniale a suo tempo guidata da Gheddafi: la durata media della vita dei libici era passata da 51 a 74 anni, era stata realizzata l’alfabetizzazione di massa anche per le donne, il reddito pro capite era aumentato in misura assai notevole. Sul piano internazionale il regime si era opposto all’installazione di basi militari straniere, si era battuto per lo sviluppo autonomo e per l’unità economica e tendenzialmente politica dell’Africa. Su questa base il leader libico si era attirato sì l’ostilità implacabile dell’Occidente ma si era anche guadagnato, nonostante il carattere personale e autoritario del suo potere, la stima di non pochi leader del Terzo Mondo, compreso Nelson Mandela (Forte 2012, p. 143 e passim). Tutto ciò era ignorato da Rossanda. Ma anche a voler sottoscrivere l’analisi da lei tracciata della Libia del 2011, resterebbe pur sempre da rispondere alla domanda: per una leader storica del movimento di ispirazione marxista e comunista, le promesse non mantenute della rivoluzione anticoloniale sono un motivo sufficiente per schierarsi con la controrivoluzione neocoloniale?

Forse, a spiegare la presa di posizione di Camusso e Rossanda è stata la fretta, la mancanza di informazioni adeguate; ma, se si è realmente verificato, il ripensamento non è stato reso pubblico. Ancora una volta impietosa si rivela l’ironia della storia. A suo tempo, mentre infuriava la carneficina del primo conflitto mondiale, furono i bolscevichi a rivelare, assieme ad altri accordi dello stesso genere, l’accordo Sykes-Picot propriamente detto, e a denunciare la realtà della spartizione delle colonie che si occultava dietro l’ideologia della guerra dell’Intesa, ipocritamente impegnata a difendere la causa della democrazia e della pace nel mondo. Ai giorni nostri, ad avallare di fatto il nuovo Sykes-Picot sono stati il segretario di un grande sindacato che nel corso della sua storia si è distinto anche sul fronte della lotta anticolonialista e antimilitarista, e una figura di spicco di un «quotidiano comunista» che generalmente ha svolto e svolge un ruolo significativo nel contrastare le avventure belliche del potere dominante.

Come al susseguirsi delle guerre neocoloniali così all’aggravarsi del pericolo di guerra su larga scala la risposta della sinistra occidentale è debole o del tutto inesistente; eppure, si vanno estendendo i focolai di un conflitto che potrebbe essere catastrofico e varcare persino la soglia nucleare. Si direbbe che sia dileguata persino la memoria storica di una grande stagione di lotta contro la guerra e i pericoli di guerra!




Ripetere ostinatamente gli errori del passato

1) Limes, l’UE e la falsa coscienza (di Andrea Martocchia / CNJ ONLUS e CUA-BO, 14.10.2016)
2) I ripetenti della Storia (di Giorgio Stern, 14.10.2016)
3) Nasce, in segreto l’Esercito Europeo. Il silenzio a sinistra (di Fosco Giannini / PCI , 9.10.2016)
4) Aggressione della NATO: c'è una via d'uscita? (di Christopher Black, 14.4.2016)


Segnaliamo anche (in ordine cronologico inverso):

INIZIATIVE

“NO al referendum, NO alla guerra”
Una mostra NO-WAR a Piazza San Giovanni (SibiaLiria 16.10.2016: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3277 )
Il 21 e 22 ottobre, gli attivisti della Rete No War esporranno la mostra “NO al referendum, NO alla guerra”, a Piazza San Giovanni  (Roma),  nell’”accampata” che precederà il corteo del No Renzi Day.
La mostra (supportata da Sibialiria [ http://www.sibialiaria.org/ ] e L’Antidiplomatico [ http://www.lantidiplomatico.it/ ]) mette in evidenza l’impatto che la nuova Costituzione, imposta dal Governo Renzi, avrebbe anche in materia di proclamazione dello Stato di guerra.
I pannelli della mostra illustrano il ruolo nefasto – diretto o indiretto – del governo italiano rispetto ad alcuni scenari di guerra: Siria, Yemen, Libia, Ucraina…
La mostra, inoltre, potrà essere liberamente scaricata in formato PDF e sarà quindi a disposizione di tutti coloro che vogliono sviluppare nei loro territori iniziative per il No al referendum e NO alla guerra.
La URL da dove scaricare (o visionare)  la mostra è: https://drive.google.com/drive/folders/0B_WENlEYeAwqaXp2MkZjV05ETVE?usp=sharing
Il videoclip promozionale dell’iniziativa è visionabile su Youtube: https://youtu.be/dmIrnQScrtU

TESTI

Siria: chi sono i criminali di guerra (di Domenico Losurdo, 17 Ottobre 2016)
In questi giorni una sistematica campagna di disinformazione di cui sono protagonisti in particolare USA, Gran Bretagna e Francia, bolla quali «criminali di guerra» Assad e Putin. È la preparazione multimediale dell’ulteriore scalata dell’aggressione contro la Siria a cui mirano Obama (appoggiato e stimolato da Hillary Clinton) e gli alleati e vassalli di Washington. Per chiarire chi sono i veri criminali di guerra riporto (con nuovi sottotitoli) quello che ho scritto in miei due recenti libri (La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Carocci, 2014; Un mondo senza guerre. L’idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci, 2016), basandomi per altro su fonti esclusivamente occidentali. La scalata a cui si prepara l’imperialismo potrebbe avere conseguenze tragiche per la pace mondiale. È per sventare questo pericolo che occorre mobilitarsi sin d’ora...

Sudditi di nessuno (di Manlio Di Stefano / M5S, #ObiettivoEsteri – 14.10.16 - #IoVoglioLaPace)
Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, è colui che pochi mesi fa, a Davos, dichiarava: "Nel lungo periodo, l'organizzazione si potrebbe adattare a seconda della situazione. Si potrebbero affrontare sfide quali la guerra nucleare". Dobbiamo preparaci ad una guerra nucleare secondo costui. Jens Stoltemberg è il Segretario di un'organizzazione che sta facendo di tutto per arrivare a questo punto di rottura e a questo scenario. Il livello di esercitazioni militari e di accerchiamento della Russia ad est è senza precedenti...

Sergio Romano: «Nuova guerra fredda con la Russia? È colpa nostra. Di Putin non abbiamo capito nulla» (di Francesco Cancellato, 13.10.2016)
... Quando nel 2008 il governo georgiano decise di invadere l’Ossezia del sud, c’era sul territorio georgiano un contingente americano di 800 addestratori. Non credo che i soldati americani ignorassero quello che stava per accadere...

L'ultima guerra (di Piotr, 7 ottobre 2016)
È col cuore grave che sono costretto a prendere atto che dal giorno 6 ottobre 2016 una guerra tra la Russia e gli USA è possibile in ogni momento... Perché un'affermazione così brutale (o catastrofista, come mi vien detto)? Bene, questo è lo svolgimento del dramma, in tre atti:
Atto 1. A margine dell'Assemblea Generale dell'ONU di qualche giorno fa, il segretario di Stato, John Kerry, si incontra con esponenti dei "ribelli" siriani...
Atto 2. L'addetto stampa della Casa Bianca, John Earnest, fa sapere ai giornalisti che si sta discutendo sulla possibilità di una campagna militare diretta contro la Siria... Questa dichiarazione è raddoppiata dalle parole - nascoste dai nostri media - pronunciate dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito degli Stati Uniti, Mark Milley, a una conferenza delle Forze Armate statunitensi... "Voglio essere chiaro con coloro che, in tutto il mondo, vogliono distruggere il nostro stile di vita e quello dei nostri alleati e amici. Noi vi fermeremo e vi colpiremo più duramente di quanto siate mai stati colpiti. Non c'è alcun dubbio a riguardo."...
Atto 3. Ed ecco come reagisce la Russia. Non lo sapete perché i grandi media non ve lo dicono... Il portavoce del ministero russo della Difesa, il generale Igor Konashenkov, ha per prima cosa rammentato agli Stati Uniti la gittata e le capacità di intercettazione dei missili dei sistemi di difesa antiaerea S-300 e S-400 schierati in Siria. Ha poi sottolineato che questi sistemi sono in Siria non in funzione offensiva ma per difendere le forze russe ivi dislocate e che gli Stati Uniti sono invitati ad essere matematicamente certi che saranno usati se i soldati russi verranno attaccati da chicchessia. E infine - ecco dove si voleva arrivare - ha ricordato che i soldati russi operano sul terreno con le forze armate siriane e che quindi ogni attacco a queste sarà considerato un attacco alle forze armate russe...
... Lo shock del bombardamento di Belgrado fu quello - per chi si degnò di capirlo - della prima capitale europea bombardata in cinquant'anni dalla fine della II Guerra Mondiale. Lo shock del conflitto in Novorussia - per chi si degna di essere scioccato - è quella di una feroce guerra al centro della civile Europa. Europa! De te fabula narratur!

Una guerra fredda al servizio di una guerra geoeconomica (di Alberto Rabilotta e Michel Agnaïeff – da alainet.org, 3 Ottobre 2016)
... "la geoeconomia è la continuazione delle antiche rivalità tra le nazioni per mezzi industriali", e ... i nemici degli USA in questo "confronto geoeconomico sono Cina, Russia ed altri Stati capitalisti nei quali i governi nazionali sono i principali attori sul terreno dei commerci"...

Il vero ruolo dell’America in Siria (di Jeffrey D. Sachs* | da project-syndicate.org – 30.8.2016)
La guerra civile in Siria rappresenta la crisi più pericolosa e distruttiva del pianeta... A gennaio il New York Times ha riportato alcuni fatti legati ad un ordine segreto presidenziale del 2013 alla CIA di armare i ribelli siriani. Secondo il resoconto del giornale l’Arabia Saudita fornirebbe un consistente finanziamento per gli armamenti, mentre la CIA, su ordine di Obama, garantirebbe supporto organizzativo e la formazione... Gli sforzi guidati dagli Stati Uniti per rovesciare Assad non hanno lo scopo di proteggere il popolo siriano come hanno suggerito diverse volte Obama e la Clinton, ma sono in realtà una guerra per procura contro l’Iran e la Russia con la Siria come campo di battaglia...
ORIG.: America’s True Role in Syria (JEFFREY D. SACHS, 30.8.2016)


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Limes, l’UE e la falsa coscienza

di Andrea Martocchia, 14.10.2016

Ho ascoltato ieri sera, 13 ottobre 2016, la conferenza organizzata dal LIMES CLUB a Bologna nell'Aula Magna della Facoltà di Scienze Politiche (*).
Ci siamo ritrovati un una sala letteralmente gremita: i posti a sedere erano tutti occupati e molte decine di persone, tra cui il sottoscritto, sono dovute rimanere ad ascoltare in piedi o accovacciate. Credo di poter valutare in circa 300 i partecipanti. Voglio sottolineare questo per dare la misura del bisogno di iniziative sui temi di politica internazionale, rispetto ai quali in alcuni settori della nostra società c'è evidentemente sete di conoscenza, una sete che l'apparato dei media evita di soddisfare se non con bevande avvelenate: anche in questa occasione, come in tante altre simili, pure da parte dei relatori si è apertamente lamentata tale (dolosa) sottrazione di informazione.

È stata insomma una grande occasione, ma voglio parlarne perché ne sono uscito con il sentimento forte di avere assistito alla ennesima occasione sprecata.

È pur vero che sarebbe ingenuo aspettarsi troppo da iniziative di questo tipo. Conosciamo LIMES dalla sua fondazione e ne abbiamo constatato un certo declino, da rivista preziosa nata proprio per esporre ciò che i media e la politica ci negano di conoscere, a periodico "ecumenico" imbrigliato nel conformismo dei rapporti accademici nostrani e dalle compatibilità del gruppo editoriale L'Espresso, in un panorama editoriale in cui è tutta una gara al ribasso. Programmaticamente non-ideologica, la narrativa di LIMES è confinata nell'angusta dimensione della geopolitica come se quest'ultima esistesse davvero come disciplina autosufficiente, evitando perciò di scavare tra le cause strutturali dei conflitti e soprattutto impossibilitata a riconoscere nella guerra la manifestazione più eclatante e consueta delle crisi di sovraccumulazione del capitale. La ossessione invece di "dare voce a tutte le parti" ha reso vieppiù enigmatici i numeri della rivista; ciononostante, proprio in virtù della sua programmatica ecumenicità, LIMES è diventata la vetrina ambita anche da giovani studiosi, soprattutto da chi esce da studi di politica internazionale o simili e legittimamente cerca il suo posto al sole nel giornalismo, nell'accademia o persino nella diplomazia. (E vaglielo a dire, a quale prezzo è possibile oggi come oggi conseguire tali posti: per le menti più critiche e brillanti, il prezzo da pagare è quantomeno la rinuncia alle proprie convinzioni.)

In quella gremita platea la grande maggioranza erano infatti e giustamente studenti. Mi chiedo però che cosa abbiano imparato dalla conferenza. Inizialmente i relatori si sono presentati ed hanno esposto alcuni loro punti di vista, con toni non particolarmente accesi nonostante il titolo della serata: NATO-RUSSIA LA GUERRA POSSIBILE, che opportunamente ribaltava e precisava il titolo del numero della rivista oggetto della presentazione: RUSSIA-AMERICA LA PACE IMPOSSIBILE. Le cose più gravi – come la notizia che saranno prossimamente schierati decine di soldati italiani nei Paesi Baltici a pochi metri dal confine russo – sono state dette con un candore disarmante (magari lo fosse davvero...). Si è parlato di provocazioni da parte USA che ci sono già state – come il bombardamento della base militare siriana poche settimane fa mirato a far saltare la tregua appena raggiunta, o l'abbattimento del jet russo da parte turca, o ancora il colpo di Stato a Kiev scattato proprio all'indomani di un altro accordo del quale si era fatta garante una trojka europea – e di altre provocazioni che sarebbero possibili e potrebbero far precipitare "incidentalmente" o "colposamente" la situazione. Di tante altre provocazioni che pur ci sono state non si è invece parlato – dal terrorismo ucraino in Crimea, ai colpi ucraini caduti in territorio della Federazione russa nel 2014, all'abbattimento da parte ucraina dell'aereo di linea malaysiano – ma certo non si poteva parlare di tutto. Di qualcosa però non si è voluto parlare, o meglio ci si è affrettati a liquidarlo come se fossero inezie inutili da discutere, per la serie: stendiamo un velo pietoso.
Eh no! Al pacato Lucio Caracciolo, che a un certo punto ha detto: "Meglio dunque che lasciamo stare l'Unione Europea", replichiamo che l'Unione Europea non la lasciamo stare proprio per niente. 

Sulla Unione Europea hanno fatto a gara a minimizzare, a dire che è impotente, inutile e divisa, che di fronte alle scelte cruciali si ritrova sempre in ordine sparso... È una opinione consolatoria, questa, che però è anche (auto)assolutoria e non coglie il punto. 
In realtà, la Unione Europea ha responsabilità-chiave nell'infiammarsi di scenari come quello ucraino. In questo non c'è niente di nuovo, poiché essa persegue la continuità di secoli e secoli di politiche russofobiche e antislave, tra le quali 2 (due, finora) Guerre Mondiali: non si capisce allora perché eludere il problema con battutine sarcastiche sulla irrilevanza della UE rispetto agli USA. In piazza Majdan ad aizzare la folla dei teppisti nazisti antirussi c'erano Gianni Pittella e Margaret Ashton, oltre a MacCain e Nuland. A piazza Majdan, in effetti, era in corso EURO-Majdan, e a sventolare erano essenzialmente bandiere della UE, non statunitensi; e a premere su sempre nuove sanzioni contro la Russia è sempre Angela Merkel. 
Se tale atteggiamento della Unione Europea – vale a dire del suo "nocciolo duro" franco-tedesco à la Schäuble, di che altro parliamo? – è sconcertante, lo è solo nella misura in cui esso è tragicamente simile a quello tenuto rispetto alla crisi jugoslava, dalla quale – è evidente – ci si ostina a non voler apprendere proprio nulla. Eppure fu LIMES, tramite Gianni De Michelis, a rivelarci che a Maastricht quella notte di dicembre 1991 si era barattata l'adozione dell'euro in cambio del sangue dei popoli jugoslavi: vale a dire che l'Unione Europea a guida tedesca scelse lo squartamento di quel paese, riponendosi in piena continuità con il suo macabro passato. È proprio questa Europa qui che continua ad essere levatrice della guerra, epicentro – e ovviamente, stoltamente vittima essa stessa – di grandi guerre.

Ci ha lasciato davvero di stucco, su questo, la posizione del Console Onorario di Russia a Bologna, tra i relatori alla conferenza, che ha voluto più volte sottolineare la sua origine "per metà bosniaca" e fare ripetutamente riferimento alla guerra in Jugoslavia ed alle mancanze o "errori" commessi in quel caso. In realtà non ci furono errori, ma piuttosto crimini: crimini perpetrati in piena facoltà di intendere e di volere dalla leadership europea, cioè tedesca. Fa anche cadere le braccia che, dopo tanti anni, si continui a dipingere la aggressione NATO contro i serbi di Bosnia come quell'intervento salvifico che portò alla pace di Dayton, laddove però per i tre anni precedenti era stato tutto un susseguirsi di provocazioni, strategia della tensione, boicottaggio dei piani di pace (come quello Cutilhero), rifornimenti palesi e occulti di armi alle parti filo-occidentali e filo-europee attraverso le azioni coperte della stessa NATO... La Unione Europea fu tenuta a battezzo con quei crimini infami, per i quali certamente è la mano USA-NATO a sporcarsi per prima, ma questo sempre in virtù del fatto che i provocatori USA sanno che la UE cade volentieri in tutte le provocazioni di quel genere.

Da quella sala sono uscito perciò fondamentalmente indignato. Indignato in generale, per la occasione perduta nonostante le potenzialità di un evento pubblico del genere. Indignato anche con me stesso, per non avere alzato la mano subito, avendo capito troppo tardi che tutto sommato sarebbe stato importante intervenire davanti a quel pubblico di giovanissimi ignari, che difficilmente in questo "mercatino delle opinioni e degli aneddoti" possono prendere vera coscienza dei problemi del mondo in cui vivono. Perché talvolta la falsa coscienza non è dovuta all'essere ideologici, ma alla convinzione di non esserlo, che ci costringe nel circolo vizioso del non-detto e del conformismo dei giornalisti e dei commentatori mainstream; laddove invece condizione necessaria per provare a scongiurare il rischio della guerra è riconoscere e dichiarare a quale schieramento si appartiene.

Andrea Martocchia
(Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia e Comitato Ucraina Antifascista Bologna)



=== 2 ===

I ripetenti della Storia

di Giorgio Stern
14 ottobre 2016 (via email)
 

Stoltenberg il capo della NATO ha dato ordine al Governo italiano di mandare soldati ai confini della Russia. 

Nessuno di noi ha eletto lo Stoltenberg, che, con il nome che si ritrova potrebbe essere benissimo una delle macchiette naziste del film di Charlie Chaplin “Il Grande dittatore”.

Il governo italiano, che nessuno di noi ha eletto, obbedisce allo Stoltenberg e manda i soldati in Lettonia, in Polonia e lungo i confini della Russia.

Nel 1939 la guerra cominciò così. Prima la Polonia, poi la Francia e la Gran-Bretagna, poi la Russia (allora U.R.S.S.). 

Doveva essere una Blitzkrieg, una guerra lampo. L’Italia per non perdere il suo posto al tavolo dei vincitori (così sembravano allora i nazisti) inviò soldati con scarpe di cartone e pezze da piedi al posto di calze, tanto dovevano tornare da trionfatori entro l’autunno.

Non andò così, ma così cominciò. Con una banda di criminali buffoni che si definivano statisti e portarono l’umanità dentro la più grande tragedia della storia.

Vogliamo ripeterci…?


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Nasce, in segreto l’Esercito Europeo. Il silenzio a sinistra

di Fosco Giannini*

Ricordate le vecchie Finanziarie della Democrazia Cristiana, dei governi Craxi-Forlani, che venivano votate in Parlamento attorno a ferragosto, in modo che quasi nessuno se ne accorgesse?  Evidentemente, questo stile di lavoro – operare nell’ombra, lontani dall’attenzione di massa – ha fatto scuola, poiché con le stesse modalità, oggi, sembrano lavorare il governo Renzi e la stessa Unione europea.

Mi riferisco, soprattutto, al lavorio – oscuro quanto inquietante – portato avanti in questa fase da “un nucleo duro” di governi dell’Ue ( tra i quali, molto attivo, quello italiano) per la costruzione dell’esercito europeo. C’è innanzitutto da osservare come questa “tessitura notturna”, tenuta accuratamente lontana dai riflettori mediatici, stia dando i suoi frutti: della costruzione in atto dell’esercito europeo non parla nessuno e nemmeno le forze più avanzate della sinistra italiana e del movimento contro la guerra stanno affrontando la questione, per quanto essa meriti. Lo stesso quotidiano “il Manifesto”, che pure, sul terreno della lotta contro il riarmo è, solitamente, presente, sull’attuale processo di costruzione dell’esercito europeo sta tacendo. Speriamo per disattenzione e non per un’ambiguità di linea politica.

Che cosa sta accadendo? Essenzialmente questo: un gruppo originario di governi dell’Ue ( Italia, Spagna, Francia, Germania), constatando che in gran parte degli altri membri dell’Ue vi sono ancora perplessità (o totali contrarietà, come quelle della Gran Bretagna, dell’Olanda, della Svezia) alla costruzione dell’Armata Europea, stanno accelerando il processo di costruzione dell’esercito sovranazionale europeo, offrendosi (con l’appoggio totale di Bruxelles) come primo nucleo militare organizzato, come primo – ma quanto forte e significativo ! – nucleo dell’esercito europeo.

Il processo sta avanzando tanto rapidamente quanto ( lezione della vecchia Democrazia Cristiana) segretamente. Soprattutto, lontano dagli occhi delle sinistre e dal movimento contro la guerra, che sembrano assenti.

Ciò che è accaduto tra lo scorso 27 settembre e lo scorso 5 ottobre la dice lunga sull’accelerazione dei lavori per la costruzione dell’esercito europeo, come il silenzio delle sinistre e del movimento contro la guerra la dice lunga sulle modalità ultrasegrete di questo lavorio (  dicendola lunga, con ogni probabilità, anche sull’attuale debolezza delle sinistre e del movimento).

Il 27 settembre scorso i ministri della difesa dell’Ue si sono incontrati a Bratislava. Sul tavolo dei lavori vi erano, tra l’altro, tre progetti  per la costruzione dell’esercito europeo: dell’Italia, della Francia e delle Germania. Tre proposte, sostanzialmente simili, che hanno trovato il pieno accoglimento da parte dell’Alto rappresentante per la politica estera e di difesa dell’Ue, la “renziana” Federica Mogherini, che ha sintetizzato i tre progetti presentandoli, infine, come il progetto unico di Bruxelles.

Il progetto unico della Mogherini e di Bruxelles, come sintesi delle proposte italiane, francesi e tedesche, è semplice: di fronte alle attuali indecisioni degli altri partner europei, l’esercito dell’Ue comincia dall’unità militare tedesca, francese, italiana e spagnola.

A Bratislava, di fronte alla determinazione militare del nucleo duro europeo, si è levata, contraria, la voce del ministro della difesa britannico ( primo elemento positivo della Brexit) Michael Fallon, alla quale si sono aggiunte quelle, diversamente critiche, dell’Olanda, della Svezia, della Polonia, della Lituania e della Lettonia.

La determinazione con la quale, tuttavia, sta andando avanti il progetto di costruzione dell’esercito europeo da parte del “nucleo duro” è stata dimostrata dall’incontro “a latere” – a Bratislava – tra la ministra tedesca della difesa, Ursula von de Leyen, il francese Jean-Yves Le Drian e la ministra italiana Roberta Pinotti ( del tutto casuale l’assenza del ministro della difesa spagnolo, d’accordo col progetto del nucleo duro militare iniziale).

A dimostrazione della razionalità delle tesi dei comunisti ( contrarie all’esercito europeo poiché – nelle condizioni storiche date – altro non sarebbe che l’esercito delle politiche neo imperialiste,  iperliberiste e reazionarie di questa, concreta, Ue, un esercito, tra l’altro, succube della NATO ) due notazioni: primo, va notato come il nucleo dei Paesi Ue ostinatamente volto alla costruzione dell’ esercito sovranazionale ( tolta la Gran Bretagna della Brexit) rappresenti, in verità, il nucleo ( Germania, Francia, Italia) imperialista storico d’Europa. Secondo, va notato come la stessa tesi ( che viene pericolosamente avanti persino da settori della sinistra, italiana ed europea) secondo la quale un esercito europeo libererebbe l’Ue dal dominio della NATO, è stata platealmente, sonoramente sconfessata proprio a Bratislava, dove, all’incontro “a latere” tra i ministri della difesa del governo italiano, francese e tedesco ha – significativamente – partecipato anche il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, che certo, nel summit, non ha svolto un ruolo di secondo piano.

Stoltenberg ha innanzitutto smentito categoricamente il ministro britannico della difesa ( che continua a rimarcare, dal suo punto di vista, una contraddizione tra esercito europeo e NATO), affermando in modo netto che “non c’è alcuna contraddizione tra un sistema di difesa europeo forte e una NATO forte, e che, anzi, l’uno sarà complementare all’altro”. “Complementare”, ha rimarcato il segretario generale della NATO, svelando chiaramente il disegno USA di sottomettere ai propri disegni imperialisti anche l’eventuale esercito europeo. Avendone tutte le carte, tutte le condizioni oggettive di fase. Ma Stoltenberg, ad ulteriore dimostrazione dell’intento egemonico della NATO sul futuro esercito del nocciolo duro europeo, ha anche aggiunto che “ i progetti militari NATO ed esercito europeo dovranno essere complementari, ma non segnati da duplicazioni sul terreno militare reale”, alludendo chiaramente al fatto che l’esercito europeo non  dovrà  portare ad un doppio Quartier Generale militare in Europa, “poiché – ha ribadito categoricamente Stoltenberg – l’unico Quartier Generale dovrà rimanere il SHAPE ( Supreme Headquartiers Alied Powers), quello  dell’Alleanza Atlantica, con sede a Mons, Belgio ”. E c’è poco da commentare…

Ma, dicevamo, occorre tener d’occhio ciò che è accaduto tra il 27 settembre ed il 5 ottobre. Dopo Bratislava, infatti – e, con ogni probabilità, sotto la stessa spinta dell’incontro tra Italia, Francia, Germania e il segretario generale della NATO – , vi è stata la “calata”, in Italia, del direttore Esecutivo dell’EDA ( Agenzia europea per la Difesa, che coordina l’attività militare e industriale in materia di armamenti), lo spagnolo ( a dimostrazione di quanto anche la Spagna sia tra i soggetti del nucleo duro militare europeo) Jorge Domecq.  Chi incontra, Domecq, in Italia? Incontra – nella segretezza quasi assoluta –  i massimi responsabili delle Forze Armate italiane e i massimi rappresentanti dell’industria bellica in Italia.

Quali questioni pone Domecq, negli incontri? Fondamentalmente, il direttore dell’EDA, “denuncia” la diminuzione, da parte dei Paesi europei del nocciolo duro militare, degli investimenti nella ricerca militare e tecnologica a fini bellici, rammentando agli italiani  che “ Gli Stati Uniti hanno appena varato un progetto che consente al Pentagono di investire 18 miliardi di dollari all’anno ( bene a sapersi! n.dr.) per stimolare le industrie più innovative, in particolare quelle di Silicon Valley, nella nuova ricerca bellica”. Proseguendo, Domecq è stato chiaro con gli italiani ( Forze Armate e industriali della guerra): “ Dopo dieci anni di tagli dovuti alla crisi, nel 2015 le spese per la Difesa, in Europa, hanno ricominciato a crescere. Ma quelle per la ricerca no…”. Un declino europeo, su questo terreno militare? Potremmo chiederci. Ma Domecq smentisce: “ No. La Global Strategy lanciata da Federica Mogherini si abbina ad un progetto di investimenti che vede per la rima volta risorse del bilancio europeo destinate alla Difesa. Già l’anno prossimo saranno stanziati, dall’Ue, 25 milioni di euro per la ricerca bellica. E se l’Action Plan presentato dalla Commissione sarà approvato, nel bilancio quinquennale 2017-2021 ci potranno essere 3,5 miliardi di euro da investire su progetti militari congiunti”. Investimenti bellici ponderosi e davvero inquietanti, in relazione ai tagli drastici – sia al welfare che ai diritti e ai salari – che l’Ue impone ai popoli e agli Stati che ad essa aderiscono…

Ma, progetti militari per quali obiettivi ? Domenecq lo svela : “ Per il rifornimento degli aerei da guerra in volo; per un sistema di droni europeo; per una nuova generazioni di satelliti ad uso bellico; per la difesa del cyber spazio; per la produzione del nitruro di gallio, essenziale per una nuova generazione di sensori ad uso bellico; per la produzione di “fibre tessili intelligenti” per le nuove tute dei militari al fronte”.

Una richiesta di enorme spostamento di risorse economiche verso il fronte militare che la dice lunga sulla stessa natura neo imperialista dell’Ue. Che la dice lunga su quale disegno persegua il nocciolo duro dei Paesi dell’Ue che oggi, compresa l’Italia, punta alla costruzione dell’esercito sovranazionale: rafforzamento delle spinte imperialiste e neocolonialiste di una Unione europea legata al carro della NATO; e ripresa delle economie nazionali attraverso il riarmo bellico. Un classico imperialista, che si ripete con gli abiti dell’Ue.

Ciò che stupisce, rispetto a tutto ciò, è il silenzio e la passivizzazione delle forze della sinistra italiana e del movimento contro la guerra. E’ davvero ora di cercarsi e di unirsi per definire un’analisi comune e una lotta comune contro l’esercito europeo in costruzione. Se non ora, quando?

*segreteria nazionale PCI; responsabile dipartimento esteri

9 ottobre 2016


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Aggressione della NATO: c'è una via d'uscita?

Scritto da Christopher Black

Il 23 marzo Generale Breedlove, Capo di Stato Maggiore del Comando Americano Europeo, ha fatto una dichiarazione al Ministero della Difesa della Georgia, annunciando nuove manovre militari congiunte americane-britanniche-georgiane che si svolgeranno nel maggio di quest'anno sotto il nome in codice Noble Partner (Nobile Compagno) 2016.

In quel discorso ha messo in chiaro la reale intenzione dell'elite americana al potere : la guerra con la Russia.

Ed ai suoi burattini georgiani ha dichiarato quanto segue, a quanto pare rimanendo impassibile:
"Per quanto riguarda la mia visita qui. La situazione della sicurezza in tutta l'Europa continua ad evolversi e diventare sempre più complicata. Noi continuiamo ad affrontare sfide dirette alla  sicurezza da due diverse direzioni. A est, ci troviamo di fronte ad una Russia riemergente ed aggressiva, che ha scelto volontariamente di essere un nemico e di essere una minaccia aggressiva e a lungo termine per gli Stati Uniti e per i nostri alleati e partner europei.

"Al Sud ... l'Europa è di fronte alla sfida spaventosa di migrazioni di massa, causate dal collasso e dall'instabilità dello stato ... e  che maschera i movimenti di criminali, terroristi e foreign fighters (combattenti stranieri).  Come risultato del conflitto nella regione, "Daesh" - si sta diffondendo come un cancro, approfittando dei percorsi di minor resistenza, minacciando nazioni europee - e la nostra - con attacchi terroristici.  La sua brutalità porta alla fuga di milioni di persone  dalla Siria e dall'Iraq ... provocando una sfida umanitaria senza precedenti.
"Mentre lavoriamo con gli alleati ed i partner per rispondere e superare queste gravi minacce, diamo il nostro totale appoggio alla sovranit
à e all'integrità territoriale della Georgia. Oggi ho avuto il privilegio di visitare la Linea di Confine Amministrativo con il vostro Capo della Difesa e il nostro Ambasciatore. E qui sono stato testimone della illegittima divisione del popolo georgiano. Come la vostra coraggiosa, valorosa nazione èstata diretta testimone, la Russia continua a cercare di estendere la sua influenza oppressiva e distruttrice alla sua periferia, e ora sta anche cercando di ristabilire un ruolo aggressivo e di comando sulla scena mondiale. La Russia in ultima analisi cerca di ribaltare le regole ed i principi stabiliti del sistema internazionale, di incrinare l'unità del mondo libero e di sfidare la nostra determinazione." 

Ed eccola qua, una dichiarazione di guerra a tutti gli effetti.
Non ci vuole un genio militare per guardare una carta geografica e capire che l'ammassamento di forze NATO, in particolare Americane, sulla frontiera occidentale della Russia, da Camp Bondsteel nella provincia serba del Kosovo, attraverso la Bulgaria e la Romania, dall'Ucraina fino in Polonia e nei Paesi Baltici, è costante e sempre più allarmante.
La crescente concentrazione di forze intorno a Kaliningrad, l'enclave russa che gli americani considerano una minaccia al loro controllo del Baltico,  e che si avvicina alla Russia, le  sempre più frequenti e violente violazioni dell'Accordo Minsk 2 lungo la linea di contatto nel Donbass, e il continuo sostegno alle forze in disfacimento dell'ISIS in Siria e in Iraq, nonostante le dichiarate promesse per la lotta contro il "terrorismo", tutto indica che i piani per un confronto diretto con la Russia si stanno realizzando.

Si può anche ridere della assurda descrizione della realtà da parte del generale Breedlove, ma questa è la propaganda che viene somministrata alle sue truppe e a tutte le persone che in Occidente sono legate a mezzi d'informazione completamente controllati dai servizi segreti della NATO.

 La serie di misteriosi attentati e di sparatorie degli ultimi mesi sia in America che in Europa, che ci hanno detto siano state commesse da "terroristi" legati all'ISIS, ha avuto due risultati visibili: l'aumento della sorveglianza e del controllo delle persone, che sono sempre più demoralizzate, arrabbiate e affamate di capri espiatori, e l'uso di queste persone come scusa  per chiedere una guerra contro la Siria al fine di eliminare i "terroristi" che essi stessi hanno creato, armato e addestrato.
Il ruolo della Russia nella distruzione dell'ISIS in Siria insieme all'Esercito Siriano e gli altri alleati, dall'Iran a Hezbollah, viene eliminato dal racconto o, peggio ancora, viene accusato di "complicare le cose", nel senso che la vittoria sulle forze ISIS ha reso molto più complicata la guerra Americana contro il governo Siriano.
Gli americani sono chiari a questo riguardo ed ora cercano di sminuire questa vittoria, mettendo in giro la falsa informazione che la Russia avrebbe preso accordi con loro per emarginare il presidente Assad.   Il governo Russo nega e la cosa non ha comunque senso, dal momento che il governo di Assad ha dimostrato di essere resistente e determinato a sconfiggere i suoi nemici ed è un alleato fidato della Russia. Ma ancora una volta, la disinformazione viene usata per creare sospetti tra Siria e  Russia e per abbattere il morale delle Forze Armate Siriane.

Chi scrive ha appena ricevuto una lettera dal Ministro della Difesa Canadese in risposta ad una domanda circa la legittimità dei bombardamenti del Canada in Siria, con in allegato una lettera dell'ambasciatore Canadese al Presidente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La lettera è rivelatrice. Si tenta di giustificare la partecipazione del Canada alla
aggressione contro la Siria. Essa afferma, in parte, che gli Stati Uniti e il Canada stanno bombardando la Siria perché
".... Gli Stati devono essere in grado di agire per autodifesa, quando il governo dello Stato ove vi sia una minaccia, non vuole o non può prevenire gli attacchi provenienti dal suo territorio. "
Naturalmente l' ISIS non rappresenta una minaccia per il Canada, anche se i canadesi ne sono convinti. Ma, cosa ancora più importante, il governo della Siria ed i suoi alleati sono perfettamente in grado, efficacemente e con forza, di prevenire tali attacchi. Ma i successi e le vittorie del governo Siriano degli ultimi mesi, da quando la Russia si è attivamente impegnata in Siria, vengono completamente ignorati.

La lettera si conclude con una dichiarazione ancora più significativa:
"Le azioni militari del Canada contro ISIL in Siria .... Non sono rivolte al popolo siriano, né  comportano un supporto al regime siriano ".
L'uso della parola "regime" indica sempre che quelli che bombardano un paese vogliono anche rovesciare quel "regime".
La parola è usata per umiliare il governo legittimo e dipingerlo come illegittimo ed è stata usata come mezzo di propaganda in tutte le aggressioni NATO, fin dalla Jugoslavia.

Le distorsioni dei fatti contenuti in quella lettera sono coerenti con l'affermazione di altri leader della NATO, da Londra a Berlino, e, ancora, letta nel suo contesto, la lettera equivale a una dichiarazione di guerra contro la Siria e conferma il ruolo servile del Canada ai generali americani come Breedlove che vagano per il pianeta progettando nuove conquiste.
Ma per tornare al generale Breedlove, è stato lui che ha detto qualche mese fa che sa "con  certezza" che la Russia sta per impegnarsi in una guerra ibrida nella zona del Baltico, che significa, naturalmente, che la NATO si impegnerà in operazioni sotto falsa bandiera, da imputare alla Russia, per cercare di costringere la Russia fuori da Kaliningrad come hanno cercato di fare in Crimea.
Pochi giorni fa Breedlove ha chiesto il rinnovo dei voli degli aerei spia U2 i vicino a confini russi, che sono utili solo se sorvolano il territorio russo. L'unico scopo di tali voli è quello di raccogliere informazioni sulle capacità di difesa e sulla disposizione delle forze in Russia e queste informazioni sono utili solo per preparare una guerra.
In cambio il ministero della difesa russo ha dichiarato che risponderà in modo asimmetrico e ha assicurato i russi che nessun U2 sorvolerà la Russia.

Ma i russi sanno che gli americani cercheranno di fare come hanno fatto in Cina e come hanno fatto ai tempi dei Sovietici.

Nel frattempo, sul lato orientale dell'Asia, gli Americani continuano le loro provocatorie  esercitazioni militari in opposizione alla Corea del Nord, prove che il governo della Corea del Nord teme giustamente potrebbero trasformarsi da un momento all'altro in una vera e propria guerra.
Di conseguenza hanno avvertito gli americani che, invece di aspettare di essere attaccata, la Corea del Nord può a sua volta aggredire gli Stati Uniti con armi nucleari in un attacco preventivo.  Eppure le esercitazioni continuano ogni giorno.
Il 1° aprile anche la Cina ha inviato un simile segnale allarmante affermando che da questo momento metterà tutti i suoi missili nucleari in condizioni di pronta risposta.  L'obiettivo è lo stesso,  scoraggiare un attacco americano.
Allo stesso tempo, le proteste di piazza in Serbia sembrano aver convinto il governo fantoccio di Belgrado a ritardare l'adesione alla NATO, la banda criminale che ha attaccato la Jugoslavia nel 1999 e che ha minacciato di radere al suolo Belgrado se il governo del presidente Milosevic non avesse accolto i suoi diktat. Ma in aggiunta all'umiliazione del popolo serbo, questa
settimana il tribunale per la Jugoslavia, controllato dalla NATO, ha svolto il suo ruolo di propaganda condannando il Dr. Karadzic per i crimini della NATO, ma assolvendo il dottor Seselj. Entrambe le decisioni sono state prese per motivi politici, entrambe servono gli stessi interessi e possono essere considerate nient'altro che un imbroglio per il popolo serbo ed un processo politico per fini propri della NATO.

Siamo in una posizione estremamente pericolosa. Vorrei citare una dichiarazione di Zivadin Jovanovic, Presidente del Forum di Belgrado per un mondo di Eguali, comparsa nel suo testo del 23 marzo perché chiarisce la situazione meglio di me.
Egli afferma:
"Coloro che hanno goduto dell'impunità, calpestando i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite, generando caos e 'conflitti a bassa intensità', esautorando leader di altre nazioni, quelli che non tengono conto dei legittimi interessi di altre nazioni e stati, quelli che fanno pagare agli altri i fallimenti delle loro politiche, e quelli abituati ad avere sempre l'ultima parola, ingannando il proprio popolo e il mondo intero, certamente non smetteranno di cogliere l'occasione!  E proprio questo è fonte di grande pericolo." 

C'è una via d'uscita? Anche in questo caso, cito e chiudo con la dichiarazione del Presidente del Forum di Belgrado;


"La via d'uscita sta nel ripristino del rispetto dei principi fondamentali delle relazioni internazionali e del diritto internazionale, e più in particolare, nel rispetto del principio di uguaglianza sovrana di tutti gli stati.

In un senso più ampio, la via d'uscita sta nel rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite e nel rispetto e nel riconoscimento del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come il corpo più importante per le questioni di pace e sicurezza;  nel riconoscere che la multipolarizzazione delle relazioni globali è un processo che non può essere fermato o arrestato con nessun mezzo; che, alla luce dei maggiori poteri di Russia, Cina e altri paesi BRICS, questa multipolaritàè inevitabile; nella tendenza alla democratizzazione delle relazioni globali che, in sostanza, significa il riconoscimento del fatto che anche i paesi medi e piccoli hanno il diritto di curare i propri interessi; nel rinunciare all'uso improprio della lotta contro il terrorismo al fine di diffondere e imporre gli interessi geopolitici delle grandi potenze;  nel fermare il finanziamento, l'inserimento, la formazione e l'invio di terroristi nelle aree di crisi;  nel prestare attenzione alla soluzione dei crescenti problemi socio-economici in Africa, Medio e Vicino Oriente e in tutte le altre parti del mondo, in particolare, quelle da cui provengono estremismo, terrorismo e crimine organizzato internazionale.
Al momento, per avere pace e sicurezza, 
è fondamentale trovare una soluzione politica e pacifica per la guerra in Siria, nel rispetto degli interessi di tutti i fattori politici, escludendo i terroristi di tutti i tipi e di qualsiasi parte politica".


Christopher Black è un avvocato penalista internazionale con sede a Toronto, èmembro della Law Society del Canada Superiore ed è conosciuto per aver seguito una serie di casi di alto profilo su diritti umani e crimini di guerra, in particolare per la rivista online New Eastern Outlook.

14/04/2016

Traduzione di Giorgio F. per Forum Belgrado Italia/civg.it




www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 22-09-16 - n. 603

Perché il fascismo?

Annie Lacroix-Riz * | initiative-communiste.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/08/2016

Prima parte

Note contemporanee sull'aspetto non ideologico del fascismo: crisi di sovrapproduzione e guerra ai salari

In un'epoca in cui la "sinistra di governo" pretende di contrastare la spinta dell'estrema destra e grida al lupo mentre maltratta e insulta i salariati, è utile riflettere su quello che è successo in Germania durante la crisi del 1930 e in particolare sulle conseguenze della politica nota come "il male minore".
Il testo seguente, completato da due documenti d'archivio inediti, è un contributo a questa riflessione.



Il fascismo è spesso presentato come una "contro-rivoluzione preventiva" delle classi dirigenti per impedire il rinnovarsi dei disordini politici e sociali che seguirono la prima guerra mondiale (caso tedesco, novembre 1918-gennaio 1919 e italiano 1919-1920). [1]

Esso fu soprattutto una risposta feroce alla crisi di sovrapproduzione che minacciava di far crollare i profitti. Mi limito qui all'esempio del fascismo tedesco, succeduto a quello italiano (ottobre 1922), ma considerato più "perfetto": l'allineamento delle classi dirigenti dell'Europa continentale su questo modello e la notevole attrazione che ha esercitato su quelle degli Stati Uniti e del Regno Unito ha avuto le stesse motivazioni socio-economiche.

L'accordo ingannevole tra capitale e lavoro del novembre 1918

Il grande padronato tedesco aveva mal digerito le concessioni pubbliche che aveva dovuto fare il 15 novembre 1918 per soffocare la "rivoluzione" che minacciava di seguire la capitolazione del Kaiser Guglielmo II, il 9 novembre. Il "contratto sociale" della Repubblica di Weimar, si basava su una falsa resa. L'ADGB (Confederazione Generale Sindacale Tedesca), maggioritaria, organicamente legata alla SPD e anche essa contro la rivoluzione sociale, aveva contemporaneamente firmato con i delegati padronali un protocollo segreto liberandoli dai loro impegni: i contratti collettivi sui salari e le condizioni di lavoro non si applicano che "in conformità con le condizioni del settore industriale interessato"; "giornata di 8 ore in tutti i settori" se "le principali nazioni industriali" vi aderiscono.

Questo accordo coperto tra Capitale e Lavoro fu l'equivalente sociale dell'alleanza politica segreta "con le forze del vecchio regime", stretta nel mese di ottobre-novembre dalla SPD con lo Stato Maggiore del Reichswehr, portavoce nel 1918 delle classi dominanti. Completato da una caccia spietata ai rossi, nella quale si distinsero le future "eccellenze" naziste, questo patto "contro natura" lasciava poche possibilità di sopravvivenza alla "Repubblica di Weimar". [2]

Debito privato e fallimento della Germania

Odioso patto verso quella Repubblica (per quanto buona figlia fosse) nata dalla loro sconfitta pubblica, aristocrazia e grande borghesia la svuotarono subito della sua immagine ingannevole di "sinistra" iniziale. La base sociale di "Weimar" resistette fino all'uragano del 1930 che ha devastato la Germania. Le aziende, i comuni, lo Stato si erano fortemente indebitati presso le grandi banche internazionali dopo la stabilizzazione del marco del 1923-1924 operata sotto tutela americana, per sviluppare le capacità produttive, in particolare al servizio della rivalsa militare.

Così il Reich divenne il più grande debitore internazionale, verso gli Stati Uniti e tutti i paesi del "centro" imperialista. Il capitale finanziario straniero fu dunque un protagonista principale, come negli anni 1920 verso l'enorme debitore italiano, delle drastiche misure adottate dalla Banca dei Regolamenti Internazionali durante le turbolenze dell'estate del 1931 per prorogare il debito tedesco. I dettami di questo club privato di banche centrali fondato dal Piano Young, antenato (ancora in vita) poco noto delle istituzioni americane di Bretton Woods, prefigurarono esattamente quelli adottati nell'ultima fase acuta della crisi sistemica, sotto la tutela delle grandi banche di ogni paese, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale.

Guerra ai salari e politica del "male minore" della SPD

Il crollo dei mercati e dei profitti e l'imperativo di regolare il "debito privato internazionale" esigeva di "schiantare", oltre gli stipendi, tutti i redditi non monopolistici: questo obiettivo mobilitò le bieche classi dirigenti e i loro creditori statunitensi, inglesi, francesi, ecc. Tra le condizioni imposte nel mese di luglio 1931, per "salvare" il Reich figurava l'integrazione del NSDAP [Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori], vincitore elettorale nel settembre 1930 [si affermava secondo partito, dopo SPD, ndt] grazie al supporto di lunga data (in particolare dal 1923 e l'occupazione della Ruhr) degli industriali in particolare dell'industria pesante, seguiti dal resto del padronato: questa formula inclusiva della destra permetteva, con i suoi metodi di terrore (e seduzione), di spezzare i salari delle vittime senza temere una reazione.

Prima che la NSDAP assumesse il governo nel febbraio del 1933, a fianco della destra "classica", la missione era stata affidata a organizzazioni operaie "consensuali". Esse facevano appello ai loro membri di partecipare ai sacrifici presentati come indispensabili per l'interesse nazionale, riducendo i loro salari: il leader di ultra-destra (SPD) del sindacato del legname e dirigente nazionale dell'ADGB, il deputato dell'SPD (1928) Fritz Tarnow nel 1931 sostenne "un matrimonio di convenienza con i padroni" ("non saremo i medici al capezzale del capitalismo?"). La SPD sostenne il suo Cancelliere Hermann Müller, che investito dopo il successo elettorale della sinistra, governò con la destra "classica" e tentò una prima "riforma" (di riduzione) delle indennità di disoccupazione (giugno 1928-marzo 1930).

La SPD inoltre sostenne il successore di Müller, Brüning (maggio 1930-maggio 1932) e la rielezione di Hindenburg alla presidenza del Reich (aprile 1932), rimanendo disarmata davanti al colpo di stato della destra alleata con i nazisti (Goering) in Prussia (luglio 1932), dicendo di contare sulle elezioni generali successive (novembre 1932). Tutto in nome del "male minore" contro Hitler mentre la destra, Bruening e Hindenburg in testa, preparavano apertamente l'ascesa del NSDAP. I fautori del "fronte repubblicano" del 21° secolo dovrebbero riflettere sui risultati politici del 1930.

Sinistra tedesca e nazismo

Le chiacchiere sulla colpevolezza di "estremismo di sinistra" del KPD nasconde le responsabilità schiaccianti, percepite come tali dal 1933, della dirigenza della SPD e delle sue organizzazioni, tra cui ADGB [3]. La passività davanti ai padroni e la loro soluzione nazista, spinta fino all'offerta di servizi, servirà da passaporto per la carriera "occidentale" nel dopoguerra, come nel caso di Tarnow: accondiscendente nel 1933 ma respinto dai nazisti e costretto in esilio, rientrò dalla Svezia nel 1946 su sollecitazione statunitense che lo aveva scelto per guidare, contro il rischio di unione con i comunisti nella Bizona del 1947, in Germania Ovest nel 1949 la vecchia federazione sindacale diventata DGB (Deutscher Gewerkschaftsbund).

Non furono i disordini sociali nel 1933 a determinare l'avvento di Hitler al potere: fu il rifiuto della maggior parte delle classi danneggiate di respingere questo assalto contro il loro reddito o la loro passività di fronte a questa "strategia dello shock", per riprendere l'espressione di Naomi Klein. Contro questa linea, fissata dalle organizzazioni maggioritarie della "sinistra di governo", combattivi ma isolati, per lo più operai del KPD e della sua "Organizzazione sindacale rossa" (GERD), lottarono valorosamente, prima e dopo il febbraio 1933, ma invano. È urgente riflettervi di fronte a questa crisi sistemica del capitalismo, dove "il medico [di sinistra alla Tarnow] al capezzale del capitalismo" fa finta di credere alla magia degli incantesimi "antifascisti" [4].

Note

*) Annie Lacroix-Riz, professore emerito di Storia Contemporanea, Università Parigi

[1] Pierre Milza, Les fascismes, Paris, Points Seuil, 1991.

[2] Gerald Feldman, Army, Industry and Labour in Germany, 1914-1918, Princeton, 1966, chef-d'œuvre non traduit en français; Gilbert Badia, Histoire de l'Allemagne contemporaine 1933-1962, Paris, Éditions sociales, 1962, et Les spartakistes, 1918: l'Allemagne en révolution, Paris, Julliard, 1966.

[3] RG Préfecture de police, sur « Les événements d'Allemagne » 8 mai, et RG Sûreté nationale SN JC5. A. 4509, Paris, 18 mai 1933, F7 (police générale), vol. 13430, Allemagne, janvier-juin 1933, Archives nationales, second document publié ci-dessous; et Derbent, La résistance communiste allemande, Bruxelles, Aden, 2008 (et transcription en ligne).

[4] Badia, Histoire de l'Allemagne; Lacroix-Riz, Industrialisation et sociétés (1880-1970). L'Allemagne, Paris, Ellipses, 1997; comparaison fascisme français et allemand, Le Choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930, Paris, Armand Colin, 2010, et De Munich à Vichy, l'assassinat de la 3e République, 1938-1940, Paris, Armand Colin, 2008; sur Tarnow, Scissions syndicales, réformisme et impérialismes dominants, Montreuil, Le Temps des cerises, 2015, p. 172, 207-209 et 232. Le document de 1939 publié ci-dessous montre l'effet ravageur sur les salaires et conditions de vie populaires du triomphe patronal de 1933.


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 09-10-16 - n. 605

Perché il fascismo?

Annie Lacroix-Riz * | initiative-communiste.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

14/08/2016

Seconda parte

In un'epoca in cui la "sinistra di governo" pretende di contrastare la spinta dell'estrema destra e grida al lupo mentre maltratta e insulta i salariati, è utile riflettere su quello che è successo in Germania durante la crisi del 1930 e in particolare sulle conseguenze della politica nota come "il male minore".
Il testo disponibile nella prima parte, completato dai due seguenti documenti d'archivio inediti, è un contributo a questa riflessione.


La scoperta e trascrizione di tali documenti è dovuta a Annie Lacroix-Riz

Rammentiamo l'animosità degli apparati della polizia di Stato verso il comunismo.


1. Sinistra tedesca e trionfo del nazismo: un giudizio della polizia francese

Fonte, RG Sicurezza nazionale SN JC5. A. 4509, Parigi, 18 maggio 1933, F7 (archivio della polizia generale), vol. 13430, Germania, gennaio-giugno 1933, Archivi Nazionali, dattilografato, 7 p., i passaggi sottolineati nel testo sono resi in corsivo.

«Il ruolo e il destino dei comunisti e dei socialisti tedeschi.

La totale eliminazione delle organizzazioni marxiste tedesche davanti al nazismo trionfante è senza precedenti. Non c'è dittatura che non abbia incontrato, almeno al momento della sua costituzione, qualche tentativo di resistenza o reazione. Niente di tutto questo in Germania. Se si verificavano degli scontri, a volte cruenti, generalmente tra razzisti e sinistra rivoluzionaria - quasi sempre comunisti - quando il NSDAP era un partito di opposizione, ora che Hitler ha preso il potere questi scontri si sono drasticamente interrotti.

Eppure, all'epoca, i sostenitori del nuovo cancelliere e dei suoi alleati nazionalisti non rappresentavano più della metà della popolazione del Reich. La partita per le forze rivoluzionarie, anche se era difficile, poteva almeno essere tentata, e bisognava, in ogni caso, salvare l'onore dopo l'appello di fiducia fatto all'estero per "la Germania repubblicana". Non hanno fatto nulla, nessuna intrapresa. Questa domanda non ha solo un interesse storico. Perché ci si chiede che cosa ne è stato della massa, quella che i partiti socialisti e comunisti pretendevano di condizionare; quali sono i sentimenti di questa massa dopo il fallimento o la perdita dei capi.

Ma bisogna distinguere tra socialisti e comunisti. Si noti innanzitutto che nessun dirigente del partito comunista si è piegato di fronte alla rivoluzione nazionale. Erano tutti in prigione, in fuga o nascosti. Sono principalmente comunisti quelli che sono andati a riempire i campi di concentramento. In questi campi si troverebbero attualmente 50.000 rivoluzionari. Tra i dirigenti imprigionati citiamo:

Ernst Thälmann, dirigente del Partito Comunista.
Torgler Ernst, capo del gruppo comunista al Reichstag;
Willi Kasper, capo del gruppo parlamentare del Landtag prussiano
Ernst Scheller, Anton Jadasch [Fritz] Selbmann, Willi Kunz, etc.

Altri hanno cercato di andare all'estero. Il loro comportamento è stato severamente criticato dalla Terza Internazionale, che li vede come "disertori". Coloro che sono fuggiti in Russia sono stati invitati a tornare ai loro posti e continuare la lotta in clandestinità. Altri che sono riusciti a varcare i confini occidentali del Reich, sono stati invitati a tornare in Germania.

Coloro che hanno rifiutato sono stati espulsi dal partito. Così, alla fine di aprile, la Arbeiter Zeitung, organo comunista di Saarbrücken, ha pubblicato il seguente avviso: "Il Distretto Baden-Palatinato ci ha chiesto di pubblicare la seguente esclusione: il deputato al Reichstag Bennedom-Kusel, installato da poche settimane nella Saar e avendo ricevuto dalla direzione l'ordine esecutivo di tornare in Germania, non ha ottemperato a tale richiesta. E' stato espulso quindi dal Partito comunista tedesco per codardia di fronte al nemico di classe".

Quali compiti si propone ai dirigenti restati ai loro posti? Ecco quelli definiti dal Comitato Esecutivo della Terza Internazionale: a) Sviluppare organizzazioni clandestine; b) Estendere la rete della stampa clandestina del partito; c) Infiltrarsi nelle organizzazioni dei partiti opposti; d) Agire principalmente nelle fabbriche.

Tutto questo, naturalmente, non manca il passo. Ma i risultati non sono quelli che tali disposizioni potrebbero far credere. La necessità per i dirigenti rimasti al loro posto di nascondersi e lavorare clandestinamente riduce molto la loro azione, ed è dubbio che il loro lavoro possa durare a lungo in presenza di un'attività di indagine di polizia così intensa.

Sicuramente la stampa comunista estera ha enfaticamente annunciato che i Servizi hitleriani hanno sequestrato copie di giornali o opuscoli pubblicati clandestinamente, cosa che vorrebbe dare dimostrazione di una abbondante letteratura rivoluzionaria distribuita illegalmente. Ma la maggior parte di questi sequestri risalgono ai primi giorni di aprile, e l'ultimo numero di Bandiera Rossa (giornale del KPD) illegale è del 15 aprile. Se è stato licenziato, è difficile che sia stato largamente diffuso.

Si segnalano anche manifestazioni di fabbrica, ma l'ultima è di marzo. Alcuni "consigli di fabbrica" (Betriebsraete), infine, composti da elementi di sinistra sarebbero stati rieletti all'ultimo rinnovo, ma ciò ha avuto luogo più di un mese fa e nessuna reazione si è verificata davanti alle misure di polizia adottate immediatamente contro il Betriebsraete in questione.

Inoltre, i dirigenti comunisti non possono nascondere completamente che gran parte delle loro truppe abbiano lasciato o siano scoraggiate. Il militante Erich, uno dei dirigenti della Rote Gewerkschaft (organizzazione sindacale rossa) ha scritto nella Rundschau, bollettino pubblicato oggi a Basilea: "La Rote Gewerkschaftsorganisation [RGO] ha sofferto molto il terrore fascista. Questo terrore ha avuto l'effetto che una parte dei nostri compagni hanno lasciato le nostre bandiere e che altri hanno adottato un atteggiamento assolutamente passivo".

Se i comunisti che, ripetiamo, hanno dimostrato un coraggio innegabile fino allo scorso marzo, sono arrivati a questo punto, si può facilmente immaginare quanto lontano siano andati i socialisti. I comunisti hanno sempre accusato i socialisti di essere motivati da uno spirito piccolo-borghese e, in un certo senso, conservatore. Niente di più vero. Dopo aver raccolto senza danni nel 1918 i frutti di una rivoluzione matura, i socialisti tedeschi hanno saputo solo costruire strutture burocratiche, che potevano illudere l'estero e di cui la Seconda Internazionale non ha mancato di servirsi nella sua propaganda, ma che in realtà, erano senza anima e del tutto incapaci di interrompere il corso di eventi fin troppo prevedibili.

Questi eventi hanno, tuttavia, dimostrato che i dirigenti socialisti, sulle cui dichiarazioni poggiavano le speranze di una larga parte dell'opinione straniera per il futuro della Repubblica tedesca, non avevano fede. Essi hanno saputo solo piegarsi o fuggire come Braun, Grzesinski, Breitscheid, Dittmann, Crisprein, Noske, Bergemann sempre che non apportassero al nuovo regime una adesione più o meno velata come Leipart, Grassmann, Tarnow, Wels , Stampfer, Hilferding.

Ricordiamo la sottomissione sensazionale del dirigente socialista Wels e la dichiarazione del 21 marzo del comitato direttivo della Allgemeiner Deutscher Gewerkschaftsbund (Confederazione generale del lavoro) consentendo alla sua inclusione - respinta con disprezzo - all'organizzazione sindacale del Terzo Reich. La federazione degli impiegati socialisti (Afa Bund) e la Federazione dei funzionari socialisti (Allgemeiner Deutscher Beamter Bund) hanno seguito lo stesso percorso e centinaia di migliaia di membri delle organizzazioni sportive operaie sono state consegnate dai loro capi al regime di Hitler.

Il Reichsbanner, organizzazione costruita per difendere la Repubblica, cade spontaneamente a pezzi. Eppure comprendeva un milione di membri inquadrati. Ma coloro che conoscevano gli affari della Germania erano ben consapevoli che lo spirito combattivo delle truppe, guidate da burocrati, era quasi pari a zero e che era imprudente puntare su di esso. La Reichsbanner aveva ricevuto dai suoi avversari il soprannome di Papenhelm (elmetto di cartone). Per quanto riguarda le sezioni della Gioventù Socialista, esse sono state trasformate in innocenti associazioni turistiche, nonostante l'opposizione meritoria di Erich Schmitt, capo della sezione di Berlino.

La sottomissione totale della socialdemocrazia non ha, tuttavia, impedito del tutto le rappresaglie e le sanzioni. L'ex ministro Sollmann è stato gravemente malmenato a Colonia. I leader sindacali Leipart, Grassmann e Wissel sono stati arrestati, anche se avevano dato la loro adesione alle aziende hitleriane. Il dirigente della Reichsbanner, Holtermann, datosi alla fuga, è ricercato. Eppure sotto la sua amministrazione, precisamente il 6 aprile, il distretto di Berlino-Brandeburgo della Reichsbanner aveva definito l'atteggiamento dell'organizzazione in un modo che doveva, evidentemente, dare soddisfazione ai nazisti. Questo distretto aveva, in effetti, il 6 aprile, rivolto alle sue sezioni una circolare, in cui si diceva in particolare:

"Abbiamo tre possibilità:
- Adottare metodi comunisti violenti. Ma è chiaro a tutti i nostri compagni che questi metodi sono criminali e devono essere ignorati.
- L'astensione.
- La ricerca di una collaborazione nella vita pratica.
Da anni portiamo nei nostri cuori la fede nella Germania e nel suo futuro. Ecco perché noi rivendichiamo il nostro posto nella nuova vita dello stato tedesco e noi faremo per la Germania quello che si spetta: il nostro dovere. Il comitato direttivo sta negoziando con i servizi competenti circa l'attività della nostra associazione. I seguenti punti sono fondamentali: la cultura di amicizia; l'assistenza agli ex-combattenti; l'educazione della gioventù, la preparazione militare; il lavoro volontariato".

Ecco tutto quello che si è trovato su un'organizzazione di autodifesa socialista, fatta per proteggere il regime repubblicano, quando questo crollava.

Lo stesso atteggiamento da parte dell'organizzazione sportiva operaia. La Zentral Kommission für Arbeitersport und Koerperpflege ha rilasciato la seguente dichiarazione: "La Commissione Centrale Sportiva Operaia afferma che è pronta a lavorare con fedeltà nell'ambito del regime nazionale a beneficio del popolo. Ella è dell'avviso che questa collaborazione deve aver luogo su una base neutra. Le associazioni sportive dei lavoratori sono disposte a confluire senza riserve nell'organizzazione sportiva dello stato e di fare per questo, tutti i sacrifici necessari. Esse fanno appello allo spirito cavalleresco del nuovo governo, senza negare vigliaccamente la loro posizione precedente. Per esse, fare sport era servire il popolo. Sarà così anche in futuro".

Tanta piaggeria fu inutile. La collaborazione offerta disprezzata, le organizzazioni sciolte, respinti e denigrati i leader. Il nuovo regime ha fatto tutto da solo e costruito sulla sua base. Ma le truppe socialiste? Le truppe potevano contraddire la consegna che veniva dall'alto? Che l'atteggiamento dei capi potesse irritare alcuni attivisti, è possibile. Ma questi sono stati impotenti, in balia dello scoraggiamento e della codardia generale, e nessuna reazione, per quanto minima, si è verificata. Ovviamente il tradimento dei capi ha spezzato tutte le energie disponibili. Le ha annientate anche per il futuro, rivelandosi più dannoso per il repubblicanesimo e il liberalismo tedesco che le battaglie sfortunate che avrebbero potuto essere avanzate».


2. Il super-sfruttamento operaio in Germania, febbraio 1933 - febbraio 1939

Fonte, RG Prefettura di polizia, Informativa, 20 febbraio 1939, BA 2140, Germania, 1928-1947, Archivi della Prefettura di polizia

«I lavoratori tedeschi nelle industrie di guerra sono sottoposti ad una disciplina particolarmente severa.

Gli operai dell'industria chimica sono soggetti alla legge militare [. i] regolamenti delle grandi aziende della IG Farben. Negli impianti di Leuna un vero e proprio esercito di agenti della Gestapo e spie professionali sorvegliano gli operai durante e dopo il lavoro. E' vietato ai lavoratori entrare in laboratori se non quelli dove lavorano. Alcuni laboratori sono interdetti anche ai capi e agli ingegneri. Ciascun operaio deve assumere l'impegno per iscritto di non rivelare nulla sul suo lavoro in fabbrica. Il regolamento di fabbrica prevede un sistema di sanzioni che comporta perfino la pena di morte.

L'industria chimica ha avuto un'enorme espansione a causa dei preparativi di guerra del fascismo hitleriano. Dal 1935, il numero delle fabbriche chimiche è cresciuto di 2.520 impianti, il numero di lavoratori aumentato di 131.415 unità, cosicché nel 1938 l'industria ha occupato più di 500.000 persone.

Il piano quadriennale ha provocato, in particolare, un aumento della produzione di prodotti sostitutivi, grazie alle sovvenzioni del governo straordinario. Nel 1938, la Germania ha prodotto 165.000 tonnellate di lana vegetale, il Giappone 130.000, l'Italia 100.000; questo significa che le potenze dell'Asse sommano l'81% della produzione mondiale, che ha raggiunto 440.000 tonnellate.

Non è sorprendente che l'industria chimica è stata in grado di registrare negli ultimi anni dei forti profitti nonostante il fatto che i prodotti sostitutivi non siano redditizi. La IG Farben ha registrato un utile netto [dichiarato] di

49,14 milioni nel 1933
50,98 milioni nel 1934
51,44 milioni nel 1935
55,40 milioni nel 1936.

Si arriva, considerando altre fattori, ad una somma di 1.500 milioni di marchi per i primi quattro anni del regime di Hitler.

Nonostante l'aumento della produzione e il maggiore sforzo richiesto agli operai, questi hanno avuto una riduzione dei salari. Le statistiche naziste ammettono che lo stipendio annuale di un operaio dell'industria chimica nel 1930 era in media di 2.543 R.M. contro 2.193 del 1936. Ma questi sono solo i salari lordi. Si devono detrarre le ritenute, cresciute dal 20 al 25%, e le "donazioni volontarie" che vengono imposte ai lavoratori.

Con questi stipendi non si riesce a far quadrare il bilancio. I tribunali hanno constatato che molti operai impiegati nelle fabbriche di esplosivi a Coswig-Anhalt devono lavorare nel tempo libero come garzone o musicista. I padroni rendevano noto nello stesso tribunale che "gli operai giungono al lavoro dopo aver lavorato altrove", cioè, lavorano oltre 16 ore.

[Il Dr. Ley ha riconosciuto in un discorso a Essen il 30 ottobre:] "Finora abbiamo avuto in ogni azienda un maggiore sforzo di almeno il 30%; in una grande fabbrica di gomma, una delle più grandi, abbiamo avuto un aumento della produzione del 60%. Le persone erano stanche e crollavano... Questa è la fabbrica di Phoenix ad Amburgo".

Questo aumento dello sfruttamento, questo tasso esagerato e bassi salari, le cattive condizioni di lavoro, la mancanza di cibo provocano un aumento degli infortuni sul lavoro. Il Fronte del Lavoro, sezione chimica, ammette che dal 1933 il numero degli infortuni sul lavoro è cresciuto costantemente. La funesta contabilità ha censito nel 1936, 32.453 incidenti di cui 144 mortali, nel 1937, 40.225 tra cui 188 morti e questi dati sono aumentati di nuovo nel 1938. Si sono infatti superati i 200 decessi. Nonostante questa situazione, si vuole ottenere un aumento del rendimento attraverso nuove misure di razionalizzazione. Questo sfruttamento spudorato si scontra, però, con la resistenza crescente".

*) Annie Lacroix-Riz, professore emerito di Storia Contemporanea, Università Parigi



(srpskohrvatski / english / italiano)

Il Montenegro tra "mondo libero" e Cremlino

<< Lo scontro indiretto tra mondo libero e Cremlino nella regione torna ad alti livelli di pericolosità >>, scrive Andrea Tarquini de La Repubblica. Il quale, nello scacchiere montenegrino dello scontro, ha già preso la parte di Djukanović perché paventa << quanto siano minacciosi in tutta l’ex Jugoslavia i nostalgici di Milosevic, nemici di ogni leader riformatore locale e spesso in strettissimo legame operativo con la malavita organizzata >>... laddove Djukanović è invece un onest'uomo.

Tanto onesto, il camorrista Djukanović, satrapo al potere da un quarto di secolo, da far scattare una sfacciata provocazione a fini repressivi e intimidatori la mattina stessa delle elezioni da cui dovrebbe uscire perdente.
Il ministro degli Interni Danilović dice di essere all'oscuro di tutto ma invita la popolazione "a non uscire di casa" quando saranno annunciati i risultati elettorali; i leader della opposizione negano qualsiasi relazione con gli arrestati, tra i quali spicca peraltro l'ex capo della Gendarmeria della Serbia Bata Dikić, in rapporti amichevoli piuttosto con la polizia ed i più stretti collaboratori di Djukanović (Veselin Veljović e Beba Popović).

Il premier serbo Vučić opportunamente commenta: "A me che tutto questo succeda proprio il giorno delle elezioni pare molto strano, ma è meglio che sto zitto".

Andrea Tarquini de La Repubblica è l'unico a non farsi domande. Non farsi domande e propalare stolidi luoghi comuni è in effetti l'attività con cui si procaccia il salario.

(a cura di Italo Slavo)

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Montenegro, nel giorno delle elezioni blitz anti-terrorismo: almeno 15 arresti

Il piccolo Paese balcanico al voto, tra un premier filooccidentale e le pressioni russofile. Tra i fermati un ex comandate della gendarmeria nazionale serba

di ANDREA TARQUINI, 16 ottobre 2016


BELGRADO – Massiccio blitz antiterrorismo e anticrimine delle forze di sicurezza del Montenegro la notte scorsa, sullo sfondo delle difficili elezioni politiche di oggi. Polizia e agenti speciali agli ordini del governo della capitale Podgorica hanno arrestato tra quindici e venti persone in tutto il paese.

Secondo i comunicati ufficiali riferiti dalle agenzie di stampa, sarebbero tutti membri di un’organizzazione criminale di ultrà serbi – cioè nostalgici di Milosevic, russofili, in contatto col crimine organizzato che Belgrado combatte con l’aiuto italiano. Si tratterebbe dunque di estremisti ostili sia all’indipendenza del Montenegro sia al premier europeista serbo Aleksandar Vucic.

Il gruppo, dicono sempre le fonti ufficiali montenegrine, aveva approntato un piano per condurre attacchi terroristici e provocare scontri armati in tutto il paese, magari proprio oggi nel giorno delle elezioni. Alla guida del commando eversivo, informa l’emittente locale PinkM, sarebbe Bratislav Bata Dikic, nemico dichiarato dell’indipendenza montenegrina e dell’attuale leadership riformista di Belgrado. Dikic era infatti un ex comandante della gendarmeria nazionale serba, e le autorità serbe lo avevano immediatamente rimosso dall’incarico e condannato a dure pene per le sue attività illecite e criminali quali omicidi, traffico di droga, estorsioni. Il gruppo colpito dalla retata avrebbe introdotto ingenti quantità di armi in Montenegro.

Si conferma così quanto siano minacciosi in tutta l’ex Jugoslavia i nostalgici di Milosevic, nemici di ogni leader riformatore locale e spesso in strettissimo legame operativo con la malavita organizzata. Tanto che la Serbia come l’Albania e alcuni altri Stati locali contano con successo sull’aiuto italiano, visto anche che i criminali dispongono delle armi migliori e del miglior livello di uso di internet ed elettronica.

Le elezioni (i seggi si chiuderanno alle 20 locali e italiane) sono cruciali. Il premier filo-occidentale ma accusato di corruzione Milo Djukanovic vorrebbe un ingresso del paese nella Nato. Lo appoggiano paradossalmente, tra gli altri, i ricchi russi residenti sulla bella costa, per sentirsi più sicuri sotto l’ombrello atlantico. Ma Mosca soffia sul fuoco aizzando le forze russofile e parlando di pericolo di nuovo squilibrio geopolitico nei Balcani.

Lo scontro indiretto tra mondo libero e Cremlino nella regione torna ad alti livelli di pericolosità.
 E come se non bastasse, nei sondaggi Djukanovic e il suo partito (partito democratico dei socialisti) sono favoriti, ma quotati attorno al 40 per cento. Non avrebbero dunque certezza di ottenere maggioranza di governo e dovrebbero avviare la difficile ricerca di un partner di coalizione. 

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Tužilaštvo: Dikić planirao likvidacije


Autor: Novica Đurićnedelja, 16.10.2016.

Od našeg stalnog dopisnika

Podgorica – Direktor crnogorske policije Slavko Stojanović saopštio je da je tokom noći (u subotu) uhapšeno 20 državljana Srbije, osumnjičenih za stvaranje kriminalne organizacije i terorizam. Prema saznanjima TV Pink M, među uhapšenima je i bivši šef srpske Žandarmerije Bratislav Dikić.

U vezi s ovim događajem, crnogorski mediji preneli su i izjavu predsednika Vlade Srbije koji je rekao da ne želi da komentariše hapšenje bivšeg šefa srpske Žandarmerije Bratislava Dikića u Crnoj Gori kako ne bi ni na koji način uticao na parlamentarne izbore u toj zemlji, ali je primetio da je „čudan dan na koji se to desilo”.

„Osnovano se sumnja da je početkom oktobra u Srbiji i Crnoj Gori formirana kriminalna organizacija, s ciljem uticaja na zakonodavnu i izvršnu vlast u Crnoj Gori. Sumnja se da je plan ove organizacije bio da u vreme proglašenja rezultata na parlamentarnim izborima, uz upotrebu oružja, napadnu okupljene građane ispred Skupštine Crne Gore i službenike Uprave policije, a da potom zauzmu prostorije Skupštine, s namerom da proglase izbornu pobedu određenih političkih partija”, navedeno je u izjavi za javnost crnogorskog Tužilaštva.

Takođe se, piše dalje u tom saopštenju, „sumnja da je plan kriminalne organizacije bilo lišavanje slobode premijera Crne Gore. S ciljem realizacije navedenog plana organizator grupe, B. D. je, u ranim jutarnjim časovima, došao u Crnu Goru s namerom dalje realizacije kriminalnog plana i komandovanja naoružanim licima u nameri da zauzmu Skupštinu Crne Gore i druge državne institucije”.

Tužilaštvo navodi da su osumnjičeni, „prema dobijenim uputstvima i kriminalnom planu, privatnim vozilima došli u Podgoricu, gde su se radi nastavka realizacije kriminalnog plana rasporedili u najmanje tri grupe”.

„Članovi kriminalne organizacije dobijali su uputstva da raspodele unapred pripremljeno oružje radi dalje realizacije kriminalnog plana. Po nalogu Specijalnog državnog tužilaštva službenici Specijalnog policijskog odeljenja i Uprave policije lišili su slobode organizatora i članove ove kriminalne organizacije u trenutku kada su pošli da provere unapred pripremljeno skriveno skladište i dopremljeno oružje i municiju”, ocena je Tužilaštva”. U toku postupka utvrđeno je da su kriminalnu organizaciju, osim lica koja su lišena slobode, činila i lica na čijoj se identifikaciji i lišavanju slobode intenzivno radi”.

Uhapšeni su: B. D. (1970), K. H. (1977), V. B. (1995), N. Đ. (1995), S. V. (1991), G. K. (1999), B. K. (1976), L. Đ. (1998), B. M. (1955), M. D. (1957), D. M. (1976), S. Đ. (1964), A. Č. (1983), A. A. (1974), N. Đ. (1982), S. Ć. (1979), D. S. (1974), M. A. (1990), I. M. (1980) i P. A. (1977).

Svi državljani Srbije osumnjičeni za pripremanje terorističkih napada, dovedeni su u zgradu Specijalnog tužilaštva na saslušanje.

Policija traga za jednom osobom.

Predsedništvo Demokratskog fronta (DF) saopštilo je da niko iz opozicije nije imao kontakt s Bratislavom Dikićem.

„Predsedništvo DF-a je održalo još jednu vanrednu sednicu, konstatujući da najnovija akcija režima ’hapšenja’ bivšeg komandanta Žandarmerije Srbije i dvadeset anonimnih lica predstavlja nastavak bljutave kampanje”, piše u saopštenju DF-a.

DF dodaje i da je nepobitna činjenica da „Dikića dobro poznaju bivši šef crnogorske policije Veselin Veljović i nezvanični savetnik premijera Đukanovića Vladimir Beba Popović”.

„Niko iz opozicije s Dikićem nikad nije imao bilo kakav kontakt, tako da je logičnije da ako je ova uhapšena grupa planirala da nekom nešto nažao uradi pre će biti da je to bilo usmereno protiv opozicije, nego što im je bio cilj da naude starim prijateljima iz crnogorskog režima”, navodi DF.

DF je pozvao vrhovnog državnog tužioca da ne sakriva informacije od crnogorske javnosti i da se „ne stavlja u propagandnu službu režimskih medija pošto se direktno meša u izborni proces i čini krivično delo”.

 

Kontroverzni general

Minulih godina, Bratislav Dikić je u srpskim medijima bio optuživan da je napravio kriminalnu organizaciju, koja se bavila trgovinom droge, plaćenim ubistvima, iznudom, reketom i ostalim kriminalnim delima.

Među navodnim skandalima vezanim za Dikića, pominjali su se formiranje posebnog odreda po uzoru na JSO, zakletva koju je lično napisao, a koja glasi „Pobedićemo ili poginuti za Srbiju koje nema bez Kosova”, prisluškivanje najbližih saradnika...

A polovinom decembra prošle godine, kada je podneo zahtev za penzionisanje zbog teške bolesti, Dikić je podsetio je da je nakon napada u medijima „nepravedno i nezakonito smenjen s mesta komandanta Žandarmerije” i na uvid javnosti stavio potvrde sudova i tužilaštava da se protiv njega nije vodio niti se vodi bilo kakav postupak.

Zanimljivo je da su mediji novembra prošle godine objavili da je Dikić bio u Podgorici tokom demonstracija opozicije. Međutim, takve tvrdnje on je demantovao na svom fejsbuk profilu, objavivši fotografiju iz svoje kuće.

Dikić je u Žandarmeriji bio od osnivanja 2001. godine, a na čelo te formacije imenovao ga je 2009. tadašnji ministar unutrašnjih poslova Ivica Dačić, na predlog direktora policije Veljovića.

Ministar Dačić ga je nekoliko meseci ranije unapredio u pukovnika, a general policije je od januara 2011. Bratislav Dikić je rođen u Nišu, 19. maja 1970.

Pre nego što je juna 2009. postao komandant Žandarmerije Srbije bio je komandant Niškog odreda Žandarmerije. Do imenovanja za komandanta Žandarmerije Dikić je 20 godina radio u MUP-u, od čega 10 godina u Specijalnoj antiterorističkoj jedinici (SAJ) i još deceniju u Žandarmeriji.

General Dikić smenjen je s mesta komandanta Žandarmerije jula 2013, a odmah potom je postao pomoćnik direktora policije.

Toma Todorović

 

Vučić: Bolje je da prećutim

Premijer Srbije Aleksandar Vučić nije hteo da komentariše hapšenje bivšeg šefa srpske Žandarmerije Bratislava Dikića u Crnoj Gori kako ne bi ni na koji način uticao na parlamentarne izbore u toj zemlji, ali je primetio da je „čudan dan na koji se to desilo”.

„Nemamo nikakve podatke o tome. Ministar policije Srbije me je obavestio. Čudan mi je dan na koji se to dešava i to je sve što ću o tome da kažem”, rekao je Vučić novinarima i podsetio da je Dikić, inače, penzionisan. „Za sve ostalo bolje da se ugrizem za jezik tri puta i da prećutim”, rekao je Vučić, preneo je Tanjug. Premijer je dodao da će o tom slučaju više govoriti danas.

Premijer je, međutim, ponovio da će se Srbija žestoko obračunati s kriminalom bez obzira na cenu koju može da plati. Vučić je poručio kriminalcima iz drugih zemalja da se vrate u svoje države, jer u Srbiji to više neće moći da rade.

„Žestoko ćemo se obračunati s onima koji misle da im je Beograd prćija i da po Beogradu mogu da ubijaju kako stignu, pa nek’ dobro razmisle da li su jači od države ili nisu”, rekao je Vučić. On im je poručio da će Srbija da pobedi bez obzira na cenu koju će morati da plati.


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20 Serbs arrested in Montenegro over planning armed attacks on election day - police 

Published time: 16 Oct, 2016

Montenegrin police detained a group of Serbs suspected of planning armed attacks on Sunday, the day of the country’s tense parliamentary elections. The group had also allegedly intended to capture Prime Minister Milo Djukanovic.
Police chief Slavko Stojanovic said in a statement that 20 Serbian citizens suspected of planning armed attacks after Sunday’s parliamentary vote were arrested. He said one more was on the run.
They entered Montenegro intending to get automatic weapons, and later this evening to attack institutions, the police, and representatives of the state, including top state officials,” Stojanovic said in the statement as cited by Reuters.
A later statement from a Special State Prosecutor on Sunday confirmed the group had intended to capture Prime Minister Milo Djukanovic.
Earlier, local TV Pink M reported that Bratislav Dikic, the former commander of the specialized police force Gendarmerie of Serbia, and his group which included more that 15 members, had “large quantities of weapons and ammunition” in their possession. They were picked up in the Podgorica area Saturday night after entering Montenegro, reports B92 broadcaster.
The group were charged with “forming a criminal organization and terrorism” according to Stojanovic’s statement.
Serbia's prime minister Aleksandar Vucic said Sunday that he has been informed of the arrests and that authorities have no information about the group “the day this is happening is strange, and that is all I will say,'' Vucic said before adding that he will issue further comment on Monday, once the election in Montenegro is over.
Montenegro is experiencing rising tensions amid its national vote as Djukanovic has presented it as a choice between becoming closer with NATO and the European Union or returning to Russia under the opposition.
Everyone is aware that the fate of the state will be decided... whether Montenegro will become a member of the EU and NATO, or a Russian colony,” he said on Friday.
Opposition groups have accused Djukanovic of “corruption, nepotism and economic mismanagement.”
Polling stations close at 18:00 GMT, with initial results expected an hour later.

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Nedelja, 16 Oktobar, 2016

Danilović nije obaviješten o hapšenju, poziva građane da ne izlaze na ulice

Autor: Balša Knežević

Ministar unutrašnjih poslova Goran Danilović kazao je da ima samo nezvanične informacije o današnjem hapšenju 20 osoba iz Srbije, ali da zna da iza toga ne stoji nijedan politički subjekt iz Crne Gore. Danilović je, zbog nezvaničnih informacija koje je dobio, apelovao na lidere političkih partija da ne pozivaju građane da se okupljaju na ulicama Podgorice nakon zatvaranja birališta.

"Nijesam dobio nijednu informaciju. Ali sam zabrinut ako je u zemlju došlo 20 ljudi da na dan izbora pravi haos. Tražio sam sastnak sa dirketorom UP policije ali sam dobio odgovor da je na terenu. Neko će morati da odgovara za ovo i naša policija će morati da uspostavi komunikaciju sa organima Srbije da se što prije ovo razriješi. Jedino što znam je da nijedan politički subjekt u CG ne stoji iza ovoga", rekao je Danilović.

Ministar je kazao da se baš juče desilo da padne video sistem koji na granici registruje ko ulazi u zemlju.

On se zapitao ko ima pravo da njega zaobiđe sa ovom informacijom.

"Nezvanično imam informacije ali očekujem da me UP obavjesti zvanično. Zabrinut sam što me ne obsvještavaju. Direktor UP čak neće da odgovori na moj poziv. Rijetke su zamlje u Evropi gdje se takva stvar može desiti a da ministar ne bude obaviješten. Obaviještavan sam i za mnogo manje prekršaje a za ovo nisam", rekao je Danilović.

Takođe je apelovao na lidere političkih partija da ne pozivaju građane da se okupljaju na ulicama Podgorice nakon zatvaranja birališta.

"Molim i tražim od političkih predstavnika da budu na visini zadatka i da sačuvamo građane", rekao je Danilović, istakavši da je to njegova molba na osnovu nezvaničnih informacija.




La Regione Giulia nella sua lotta per la autodecisione...

0) Nuove segnalazioni e link
1) Il Miur e il concorso scolastico sulle vicende istriane (Marco Barone )
2) Tre interventi di Claudia Cernigoi: Leo Valiani e l'occupazione italiana / Bruno Lubiana e Giuseppe Mungherli "martiri delle foibe" / A proposito di razzismo fascista


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NUOVI INSERIMENTI sul sito Diecifebbraio.info:

L’ONORE DELLA DECIMA MAS (di Claudia Cernigoi – 4 ottobre 2016):

Dicono gli storiografi e gli apologeti della Decima Mas che questo Corpo non fu mai collaborazionista né fascista, ma che i suoi militi furono sempre e solo italiani ed indipendenti dal nazismo, e che il loro comandante, il principe nero Junio Valerio Borghese (il futuro aspirante golpista) fu sempre malvisto dai nazisti perché operava per amor di Patria e non si adeguava ai loro ordini. Però le cose erano un po’ diverse... e lo spiegheremo in questo articolo.

NELLA SEZIONE DOCUMENTI –  http://www.diecifebbraio.info/documenti/ :

Dal volume plurilingue "La regione Giulia nella sua lotta per la autodecisione e per la congiunzione alla repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia"
"Memoriale del Comitato Provinciale di Liberazione per il Litorale Sloveno e Trieste" 
presentato alla Commissione interalleata per la delimitazione del territorio nella Regione Giulia nel 1946
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2016/09/memoriale.pdf
Sommario delle cartine, foto, grafici e documenti vari presenti nelle tre sezioni: 
"Le basi etniche ed economiche della Regione Giulia"
"La lotta del popolo della Regione Giulia per la libertà e per il diritto di autodecisione"

Bibliografia sulla Regione Giulia e Trieste tratta da  "Zgodovinski časopis” (Lubiana 1948-49) 

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PETIZIONE: Abroghiamo la legge 92/2004 sulle foibe

promossa dal Comitato di Lotta Antifascista Antimperialista per la memoria storica Parma


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Il Miur e il concorso scolastico sulle vicende istriane 


Marco Barone 
Lunedì, 26 Settembre 2016

Il MIUR ha comunicato a tutte le scuole la possibilità di partecipare ad un concorso nazionale, in vista del giorno del ricordo.
Come è noto la storia del '900 è studiata poco, per nulla alla primaria, e comunque le vicende del confine orientale, che sono complesse ma anche un vero unicum, non vengono trattate. Partendo dal fatto che vi è un vuoto, proporre un bando come quello che ora brevemente commenterò per le scuole, che situazione si rischia di fomentare?
Si sta dicendo in tutti i modi, in tutte le lingue che il nazionalismo è sempre stato un male, e che continua ad esserlo oggi, perchè tradisce lo spirito fondamentale della fratellanza dei popoli che avrebbe dovuto caratterizzare la nostra vecchia Europa.
Il titolo già è fuorviante: Nasce la Repubblica italiana senza un confine. Si parla del referendum per la Repubblica dove si evidenzia che “Se il referendum istituzionale del 2 giugno è considerato l’atto di nascita della Repubblica italiana, una parte della popolazione non vi poté partecipare non per scelta ma per condizione in quanto il territorio della Venezia Giulia, pur formalmente ancora italiano, era diviso e sotto il controllo, rispettivamente, delle forze armate anglo-americane e jugoslave.”
Sulla base di quale criterio storico, giuridico, sostanziale si può sostenere " formalmente ancora italiano"?  E poi, cosa intendono per Venezia Giulia? Quella che si è determinata dopo la prima guerra mondiale o quella attuale? Giocano sull'ambiguità. Forse si sono dimenticati che questa parte d'Italia era stata praticamente annessa al Litorale Adriatico (Adriatisches Küstenland), che verrà liberata nel maggio del '45, amministrata prima da comitati esecutivi italosloveni, poi angloamericani. Dimenticano l'esistenza della linea Morgan.
Non era formalmente italiano questo territorio almeno da quando l'Italia crollò dopo l'armistizio del 1943 che diede il via libera all'occupazione nazista. E quel sentimento di italianità e di ingiustizia, in un tema che dovrebbe essere oggettivo, continua. “In verità un plebiscito ci fu ma simbolico e morale: prima con le manifestazioni in occasione della visita della Commissione alleata (marzo 1946) – quelle filo italiane nei territori controllati dagli jugoslavi furono ufficialmente impedite – e poi con la decisione di diversi partiti di accogliere tra i candidati all’Assemblea costituente rappresentanti delle province del confine orientale” La Venezia Giulia viene fatta passare come solo vittima del fascismo
“Erano momenti sicuramente di alto coinvolgimento e di passione civile, considerando che le popolazioni della Venezia Giulia non avevano votato alle elezioni politiche del 1919 mentre quelle del 1924 erano state condizionate dalla legge Acerbo che aveva consegnato l’Italia al fascismo.”
Quando si omette che qui il fascismo è nato ben prima della Marcia su Roma, anticipato da quella su Fiume, dall'assalto al Narodni Dom di Trieste o di Pola nel 1920. Ma deve prevalere il sentimento di vittimismo.
Così come il modo in cui ci si riferisce alla vicenda degli esuli: “La Patria italiana era ciò che gli esuli giuliani, fiumani e dalmati andavano cercando, serbando in loro un rammento romantico e sentimentale di una Patria che non forse non era mai stata come l’avevano immaginata da quell’angolo remoto e verso la quale si sentivano legati da un debito di amara gratitudine, coscienti però che sul loro destino erano ricadute le colpe maggiori del fascismo e della guerra perduta, ma che non rimaneva altra strada da percorrere se non quella di rinunciare alla propria identità.”
Ma chi ha scritto questo testo? E' innegabile che gli esuli hanno vissuto momenti drammatici, così come il fatto che poi in gran parte hanno avuto significativi aiuti da parte dello Stato italiano. Poi se si vuole fare di tutta l'erba un fascio generalizzando l'intera vicenda storica articolata degli esuli e si vuole sostenere la ratio che vennero tutti perseguitati perchè italiani, e non che in gran parte decisero di andare via perchè non volevano diventare cittadini Jugoslavi e vivere in un sistema comunista e per eventuali sentimenti di ostilità diffusa, che dire?
Che se nella scuola italiana esiste un vuoto sulla storia del '900 questo concorso ancorato al giorno del ricordo è veramente pessimo ed il testo da riscrivere almeno nei suoi passaggi fuorvianti. La prossima volta cosa scriveranno? Riprendiamoci l'Istria? O ritorneremo?


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LEO VALIANI E L’UMANITÀ DELL’OCCUPAZIONE ITALIANA IN JUGOSLAVIA

Uno dei “padri della patria”, l’azionista (ex comunista) Leo Valiani, così si espresse, già nel 1946, riferendosi agli incontri intercorsi tra CLNAI ed Esercito Jugoslavo nel 1944: 
«Il problema delle nostre relazioni con gli slavi della Venezia Giulia è ancora un punto interrogativo. Le truppe italiane in Jugoslavia si erano comportate molto umanamente, nei primi tempi dell’occupazione fascista, così come di cortesia e umanità avevano dato prova, a detta di tutti, in Francia. Ma poi venne la guerra civile tra gli ustascia di Pavelic e i partigiani di Tito. Presi alla sprovvista dallo scatenamento delle passioni popolari, i comandanti italiani commisero l’errore di imitare i tedeschi, cercando di ristabilire col pugno di ferro l’ordine turbato. Ma non godevano del prestigio di cui i tedeschi disponevano ancora in quel periodo e si trovarono coinvolti in una feroce guerriglia, da cui avrebbero voluto, ma non sapevano più come uscire. (…) Tuttavia, l’8 settembre gli slavi lasciarono rimpatriare indisturbate buona parte delle unità italiane (…) alcuni reggimenti italiani andarono ad ingrossare le file dell’esercito di Tito» (in “Tutte le strade conducono a Roma”, La Nuova Italia 1946, p. 77).
Lasciando ai francesi di valutare la “cortesia ed umanità” di cui diedero prova le truppe italiane in Francia (che fu, come suol dire “pugnalata alle spalle” per la decisione fascista di invadere quel Paese), vediamo invece di parlare brevemente di ciò che significò l’occupazione italiana in Jugoslavia.
L’“umanità” e la “cortesia” delle truppe italiane nei territori occupati dopo il 6/3/41, le valutiamo dai documenti del comando superiore delle Forze Armate italiane che recitano (nella famigerata Circolare 3C emanata dal generale Mario Roatta nel marzo del 1942): «il trattamento da fare ai partigiani non deve essere sintetizzato dalla formula “dente per dente” bensì da quella “testa per dente”»; e si aggiunga questo “consiglio” degli generali alle truppe: «si sappia bene che eccessi di reazione, compiuti in buona fede, non verranno mai perseguiti. Perseguiti invece, inesorabilmente, saranno coloro che dimostrassero timidezza ed ignavia».
Il bilancio delle vittime della sola “provincia di Lubiana” nei 29 mesi di occupazione parla di circa 13.000 morti, dei quali circa la metà internati nei campi di concentramento, soprattutto donne, vecchi e bambini. Del resto il generale Gastone Gambara (il comandante dell’XI Corpo d’Armata che controllava il territorio occupato) aveva scritto di propria mano un appunto a margine di una relazione inviata da un medico in visita al campo di Arbe, datata 15/12/42: «Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo» (si veda la foto allegata di alcuni bambini internati ad Arbe).
E se da subito (28/9/42) il generale Roatta aveva proposto al Comando supremo la deportazione della popolazione slovena: «si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all’interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana», anche dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Italo Sauro (l’“esperto per le questioni etniche sotto il fascismo, poi comandante del II Reggimento MDT Istria) aveva ripreso un suo vecchio progetto, già proposto a Mussolini nel 1939, che prevedeva per «la lotta contro i partigiani (…) il trasferimento in Germania di tutta la popolazione allogena compresa tra i 15 e 45 anni con poche eccezioni». Tale proposta fu fatta al comandante delle SS Wilhelm Günther nel corso di un colloquio: ma fu respinta dall’esponente nazista.
Tutto ciò a proposito della mitologia degli “italiani brava gente”, che “mitigarono la ferocia nazista nelle zone d’occupazione”: ed aggiungiamo, anche se non c’entra con l’argomento specifico di questa nota, che furono i comandi nazisti ad intervenire contro le efferate violenze della Banda Koch a Milano, non le autorità fantocce di Salò.

I dati sono tratti da 
Giuseppe Piemontese, “Ventinove mesi di occupazione italiana nella Provincia di Lubiana”, Lubiana 1946;
la prima nota di Sauro si legge in http://www.rigocamerano.it/sfitalosauro.htm, mentre il secondo “appunto” si trova nel Bollettino n. 1/aprile 1976 dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste; http://www.storiaxxisecolo.it/deportazione/deportazionecampi1.htm


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A PROPOSITO DI "MARTIRI DELLE FOIBE"

Tra gli "infoibati" triestini troviamo anche queste due persone, Bruno Lubiana (nelle Brigate Nere, autista del federale del fascio repubblicano di Trieste Edgardo Sambo) e Giuseppe Mungherli (maresciallo dell'MDT ma anche brigatista nero e già nella Decima Mas). I due furono arrestati nel maggio 1945, il primo incarcerato a Lubiana e forse fucilato nel gennaio 1946, il secondo arrestato da partigiani di Longera ed incarcerato a Sesana, ma di lui si persero le tracce.
Mungherli e Lubiana, ai quali ogni 10 febbraio le autorità civili e militari porgono omaggio in quanto "martiri delle foibe", avevano fatto parte, nella primavera del 1944, di una sorta di squadrone della morte annesso alla Decima Mas e comandato dal capitano Beniamino Fumai: «copertosi d’infamia» nel periodo repubblicano specialmente nelle zone d’Ivrea e Novara, responsabile di rastrellamenti, uccisioni ed atti d’inaudita ferocia, fu condannato all’ergastolo, come leggiamo nel quotidiano la Voce Libera del 24/5/47. Nei fatti, «esisteva un gruppo che si chiamava Mai Morti ed era composto da 43 ragazzi triestini e pugliesi, in divisa grigioverde, che arrivarono a La Spezia dal Lago Maggiore. Erano comandati da un ragazzo barese, alto e atletico, fama di ballerino e bevitore: Beniamino Fumai, uno che da giovane aveva militato nelle squadre d’azione e poi, dopo l’8 settembre, si era messo a capo di una specie di corte dei miracoli, dando ai suoi il permesso di fare razzia quando andavano a catturare gli antifascisti o a perquisirne le case. Li aveva tenuti a battesimo Christian Wirth il tedesco che stava alla Risiera di San Sabba. Avevano girato per l’Italia settentrionale, con le divise della Decima Mas, e una loro base era a Verbania. Dopo tante, troppe violenze, quel gruppo venne sciolto dagli stessi nazisti il 10/5/44», scrive Piero Colaprico in calce al romanzo da lui scritto a quattro mani con Pietro Valpreda, "La primavera dei Maimorti" (Tropea 2002), riassumendo quanto ricostruito da Ricciotti Lazzero nel suo "La Decima Mas" (Rizzoli 1984).
Dopo lo scioglimento dei Mai Morti, Fumai andò a comandare il battaglione Sagittario della Decima Mas, mentre molti dei suoi accoliti entrarono nelle Brigate Nere: come Mungherli e Lubiana, appunto.
Ricordiamoci anche di questi personaggi quando parliamo di "innocenti infoibati sol perché italiani".

Claudia Cernigoi, 6.10.2016

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A PROPOSITO DI RAZZISMO FASCISTA...
Il Piccolo di oggi ha pubblicato una mia lettera, come da foto. però devo allegare il testo integrale, perché è "saltato" un pezzo a mio parere piuttosto importante, quello relativo alla continuità razzista del fascismo rappresentata dal personaggio Rodolfo Graziani.

Vorrei rispondere brevemente all’intervento di Livio Sirovich pubblicato sul Piccolo del 22/9/16 in merito alla cerimonia di ricordo delle leggi razziali a Trieste.
Il mio parere è che nelle sue valutazioni Sirovich sia caduto nell’equivoco di dare una lettura etnicista e non politica delle vicende storiche. Perché, se da un lato concordo sul fatto che è un circolo vizioso (ma non solo triestino) l’uso invalso negli ultimi tempi per cui se si parla della Risiera si devono ricordare anche le foibe (ormai i viaggi della memoria per le scuole includono il pacchetto “Foiba di Basovizza e Risiera”, come se i due monumenti fossero speculari), non sono d’accordo invece che condannare assieme, nella condanna totale del nazifascismo, le persecuzioni condotte contro gli ebrei e quello contro gli sloveni, gli antifascisti, gli omosessuali eccetera sia un “annacquare” la memoria facendo “il gioco degli estremisti di destra”.
Fin dal suo nascere il fascismo perseguitò le minoranze etniche nei territori annessi all’Italia dopo la prima guerra mondiale: sloveni e croati nella Venezia Giulia, tedeschi nell’Alto Adige; da subito gli avversari politici furono torturati, incarcerati, mandati al confino, assassinati; la politica colonialista causò migliaia di morti nelle guerre di conquista in Libia e nel Corno d’Africa; infine l’emanazione delle leggi razziali nel 1938 (e considerando che tra i firmatari di queste vi fosse anche l’ex governatore della Libia nonché vicerè d’Etiopia Rodolfo Graziani, che per “pacificare” i territori da lui controllati fece migliaia di morti usando anche l’iprite, dimostra la continuità del razzismo fascista), fatta per accontentare l’ingombrante alleato nazista (scaricando in questo modo anche tutti quegli ebrei che erano stati attivi sostenitori del regime, come ad esempio il podestà triestino Antonio Salem, che si trovò da un giorno all’altro tra i “discriminati”, anche se, come ex gerarca, gli fu cambiato il nome e non fece una fine tragica) fu in sostanza l’epilogo di una ventennale politica razzista condotta dal fascismo contro tutti i “non italiani”.
E probabilmente non fu a caso che l’annuncio fu dato a Trieste, la città che Saba definì “la più fascista d’Italia” e che rappresentava il simbolo di come si era condotta una vincente politica di snazionalizzazione nei confronti delle comunità etniche presenti sul territorio.
Proprio per la simbologia di Trieste in questo senso ritengo corretta la memoria così come proposta dal Comitato Danilo Dolci (che ha il pregio di raggruppare una serie di persone e di entità politiche e culturali di tutto rispetto, con buona pace della sbrigativa definizione di Sirovich “comunisti, trotskisti e cattolico terzo-mondisti”) ai cui volontari va comunque riconosciuto che se non fosse stato per il loro capillare lavoro informativo effettuato tramite presìdi, volantinaggi, comunicati e culminato nell’importante convegno sulle leggi razziali svoltosi nel 2013, oggi non ci sarebbe neppure quella piccola e quasi invisibile targa che molti calpestano senza neppure leggerla, posta nella pavimentazione di piazza Unità.
Targa che richiederebbe una dignità maggiore, una spiegazione più ampia, una posizione più visibile: questa la cosa da chiedere al Comune di Trieste, invece di creare polemiche strumentali contro chi continua a ribadire la necessità dell’antifascismo, dato che il fascismo non fu un’idea ma un crimine.





(srpskohrvatski / français / english / italiano)

Il Montenegro in bilico

1) Jul 2016.: одржана на Жабљаку седница Радне групе за Југоисточну Европу Светске федерације ветерана
2) Gojko Raicevic: « Le Monténégro devient une pièce maîtresse de l’alliance de l’OTAN »
3) Oštra rasprava o granici Kosova i Crne Gore / Nazionalisti pan-albanesi mettono in discussione il confine Kosovo-Montenegro
4) FLASHBACK dicembre 2015: Montenegro, NATO, Balcani. Quale futuro? (di Enrico Vigna)


Vedi anche:

Il punto di Giulietto Chiesa: 
Elezioni parlamentari in Montenegro. Si annuncia la fine di Djukanovic (PandoraTV 07/10/2016)
[Sul ruolo di Miodrag Lekić, ex ambasciatore jugoslavo in Italia, nelle prossime elezioni politiche in Montenegro]

Il caso del giornalista Jovo Martinović:
Fair Trial Sought for Montenegrin Investigative Reporter (BIRN, 8 September 2016)
Media organizations have demanded the release of the investigative journalist Jovo Martinovic following claims that the prosecution pressured another suspect in the drug-related case to accuse him falsely
Human Rights Watch: il giornalista Martinović incarcerato senza provati motivi (OBC, 21 settembre 2016)
Il giornalista montenegrino Jovo Martinović è in carcere da 11 mesi. Human Rights Watch denuncia che l'accusa non ha mai presentato le prove a suo carico e ne chiede la scarcerazione
Libérez le journaliste Jovo Martinović (Human Rights Watch | European Center for Press and Media Freedom | vendredi 23 septembre 2016)
Un journaliste d’investigation monténégrin, accusé sans preuves de trafic de drogue, est en détention provisoire depuis onze mois. Human Right Watch demande sa libération
Caso Martinović: Đukanović non ha voce in capitolo (OBC, 23 settembre 2016)
Il premier montenegrino afferma di non poter intervenire per garantire il rispetto dei diritti del giornalista Martinović, in carcere da 11 mesi in attesa di processo

Aggiornamenti precedenti sulla avanzata della NATO in Montenegro, da JUGOINFO:
Protesti protiv NATO-a u Crnoj Gori (francais / english / srpskohrvatski, 16.10.2015.)
La NATO è già all'opera in Montenegro (srpskohrvatski / english / francais / italiano, 28.10.2015.)
Alla NATO non interessa l'opinione dei Montenegrini (deutsch / english / italiano, 3.12.2015.)
Montenegro: NATO ubice nikad dobrodošle (italiano / srpskohrvatski, 14.12.2015.)
Il Montenegro, ventinovesima stella della NATO (di Antonio Mazzeo, lunedì 21 dicembre 2015)
Il Montenegro tra psicopatia e ricatti (français / srpskohrvatski / italiano, 22.6.2016.)
Montenegro: boom dell'export di armi... all'opposizione siriana (english / français / italiano, 11.8.2016.)

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[sull'incontro delle Ass. Partigiani jugoslave a Zabljak, Montenegro]


Међународна сарадња

СВЕ ДРЖАВЕ У СВЕТУ ПОМАЖУ И СТАТУСОМ ВЕТЕРАНЕ

У организацији Савеза удружења бораца НОР-а и антифашиста Црне Горе одржана је на Жабљаку редовна годишња седница Радне групе за Југоисточну Европу Светске федерације ветерана.

 Учествовале су делегације из Албаније, Хрватске, Србије, Црне Горе, Словеније и Босне и Херцеговине, као и председник Светске федерације ветерана Дан Виго Бергтун из Норвешке.

У саставу ове радне групе су борачке и ветеранске организације Бугарске, Републике Српске, Македоније, Турске  и Косова, који су такође, по изјави домаћина, уредно позвани и нису се одазвали.

Домаћин скупа и председавајући радне групе проф.др Љубомир Секулић из Подгорице покренуо је врло актуелне и значајне теме за  борачку популацију у региону и Југоисточној Европи. Посебно је нагласио да је скуп подржала Влада Црне Горе и да је уприличен у време обележавања Дана државности и 75.годишњица устанака – 13.јула кад је 1941.године народ рекао одлучно НЕ окупатору и фашизму чиме се и данас поносе.

Две су кључне теме, иначе, доминирале на скупу: Улога и задаци ветерана у сузбијању тероризма и договор о будућим облицима и садржајима деловања и сарадње у оквиру Светске федерације ветерана. Уводно излагање о првој теми је поднео некадашњи министар одбране у Влади Црне Горе Боро Вучинић који је указао на изазове и претње са којима се целокупна међународна заједница суочава и предочио неке од могућих начина и облика супростављања борачке и ветеранске популације злу које прети да угрози основе људске и цивилзацијске вредности овога света.

Председник Светске федерације ветерана Бергтун потврдио је изузетан значај и огромне могућности организације која је основана под окриљем Уједињених нација 1950. године (међу чијим оснивачима се налазио и СУБНОР) и сада опкупља 45 милиона чланова у 123 државе на свим континентима. Борба против тероризма је кључни задатак за очување мира и безбедности, наглашавајући да нико не може говорити о миру као они што су се борили у рату. Посебно је указао на потребу озбиљнијег и посвећенијег бављења борцима са аспекта постратног синдрома и укључивању у нормалне токове савременог живота.

Учествујући у расправи, наш представник и шеф делегације СУБНОР Србије генерал Видосав Ковачевић је такође указао да је тероризам велико зло које је захватило савремено човечанство и да упркос свему нема адекватног решења, не бавимо се узроцима него последицама, каснимо у реакцијама и велика борба на том плану тек предстоји. Тероризам се не може победити бомбама, ракетама, авионима или дроновима, тероризму се треба супроставити образовањем и подизањем нивоа свести, борбом против беде и сиромаштва, смањивањем економског јаза између развијених и неразвијених: ” Ми, ветерани који делујемо под окриљем Уједињених нација, морамо се залагати за активнију улогу те институције у свету, а не да се поново блоковски групишемо и разврставамо”.

У делегацији СУБНОР-а Србије су били и Светомир Атанацковић и Зоран Јаковљевић.

Са нарочитом пажњом су попраћена излагања (нарочито председника Светске федерације) о могућим будућим моделима, садражајима и облицима сарадње, поделама земаља у различите радне групе према географским и другим критеријумима, у циљу успешнијег рада и права бораца и ветерана. Посебно је указано на значај обезбеђивања финансијских средстава, при чему је обавеза  држава и влада да стварају услове за функционисање тог важног покрета у свету, одређујући посебан друштвани статус.

За новог председавајућег Радне групе за Југоисточну Европу Светске федерације ветерана изабрана је делегат из Словеније, Силва Чрнугељ.

Учесници међународног скупа су присуствовали прослави 75.годишњице Дана устанка и Дана државности Црне Горе, у Парку партизана Југославије на Жабљаку. У име Светске федерадције ветерана венац на спомен обележје палим борцима НОР-а положили су председник Бергтун, шеф делегације Србије генерал Ковачевић и Бакир Накаш, шеф делегације Босне и Херцеговине.


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« Le Monténégro devient une pièce maîtresse de l’alliance de l’OTAN »


17 Juin 2016, ELODIE DESCAMPS

Gojko Raicevic, président du mouvement pour la Paix au Monténégro est régulièrement la cible des autorités de son pays en raison de ses activités journalistiques et de ses prises de position en faveur de la paix. Son pays, le Monténégro, a en effet signé le protocole d’accès à l’OTAN ce 19 mai. Une alliance périlleuse mais qui pourrait s’avérer fructueuse selon le secrétaire général de l’OTAN!

 

Le Monténégro va prochainement devenir le 29° membre de l’OTAN. Quelles pourraient être les principales conséquences de cette adhésion ?

 

La première conséquence sera la perte de notre liberté. Même en mettant de côté les bombardements dramatiques par les forces de l’OTAN de la République Fédérale de Yougoslavie dont le Monténégro faisait partie intégrante en 1999, comment l’OTAN peut accueillir le Monténégro dans son alliance, connaissant les failles démocratiques du pays et l’imprécision de ses frontières officielles. Le Monténégro ne remplit aucun de ses critères d’adhésion.

Nous avons traversé une guerre avec l’OTAN et 17 années plus tard, notre gouvernement voudrait faire partie de cette machine meurtrière. J’appellerai cela “Le syndrome du Monténégro”. J’ai peur de ce scénario où l’OTAN aurait acquis des vertus pacifiques dont elle était cruellement dépourvue au cours de sa guerre contre les héroïques forces serbes et cela grâce au soutien de politiciens monténégrins corrompus.

Aujourd’hui, des enfants serbes, albanais et monténégrins meurent à cause des fortes concentrations en poussières d’uranium des bombes de l’OTAN. Chaque jour, nous assistons au massacre d’enfants syriens, afghans, palestiniens, irakiens, ukrainiens et russes et ces guerres sont déclenchées et entretenues par l’OTAN. Des personnes normalement civilisées ne devraient pas souhaiter faire partie d’une organisation criminelle comme l’OTAN.

 

Si cette alliance n’apporte rien au Monténégro, pourquoi certains dirigeants politiques veulent-ils l’imposer ?

 

Le Monténégro est gouverné depuis un quart de siècle par le même régime, les mêmes partis et le même homme. Crimes, corruption, police partisane, népotisme, violences contre les opposants et fraudes électorales y sont monnaie courante.

Le premier ministre Milo Djukanovic a transformé son image de communiste en nationaliste belliciste. En fonction dès le début des années 90, il a participé activement aux faits de guerre en Croatie, Bosnie et Herzégovine. A la fin de la guerre des Balkans, il opte pour un autre job à temps partiel en devenant le patron d’une organisation criminelle spécialisée dans la contrebande de cigarettes.

De nombreux procès en Italie, Suisse et Allemagne l’ont contraint à faire le choix entre devenir l’intermédiaire de sales boulots pour des potentats occidentaux ou de perdre la liberté d’action et l’opulence acquises par ses activités criminelles. La décision fut vite prise et le premier ministre a choisi le partenariat avec l’ouest corrompu afin de servir ses intérêts plutôt que ceux de son pays et de son peuple. Aujourd’hui nous l’appelons “Milo Lopove” ou “Milo le voleur” et il est devenu fan de l’OTAN par crainte de perdre sa liberté et les énormes revenus liés à ses activités criminelles.

 

Pourtant Mr. Stoltenberg, secrétaire général de l’OTAN, qualifie ce partenariat de « l’alliance la plus réussie de l’histoire ». Quels sont les intérêts de cette adhésion pour l’OTAN ?

 

Le Monténégro est le dernier morceau du pourtour de la méditerranée, mis à part la Syrie ensanglantée, qui ne soit pas occupé par les USA et l’OTAN. L’OTAN a besoin d’une victoire sur la Russie après deux défaites sérieuses en Ukraine et en Syrie. Par contre, nous avons de solides liens fraternels avec la Russie qui nous a protégé au fil des siècles et qui en tout cas ne nous a jamais bombardé. Nous sommes victimes du jeu des grandes puissances.

Nous estimons que le Monténégro ne devrait pas faire partie de l’alliance militaire de l’OTAN et que la position politique et militaire d’un petit pays comme le Monténégro devrait être celle de la neutralité. Un Monténégro neutre serait un partenaire et un ami pour tous sans constituer une menace pour personne. Mais à partir du moment où le Monténégro devient une pièce maîtresse de l’alliance, nous devons craindre que le Monténégro devienne la cible de l’institution militaire russe et que nos soldats ne fassent partie des troupes encerclant les frontières russes. N’est ce pas de la folie pure ?

 

Quelles pourraient être les réactions de la Russie ?

 

Je ne m’attends pas à ce que les réactions de la Russie soient disproportionnées mais la Russie sera déçue.

 

Auriez-vous d’autres messages à faire passer à nos lecteurs ?

 

Oui, je veux saisir cette occasion pour lancer un appel, comme je le fais à chaque fois, à tous les amoureux de la paix et de la liberté pour qu’ils exercent des pressions sur leurs élus afin de bloquer, dans les parlements nationaux comme en Belgique et les autres pays membres de l’OTAN, la ratification de cet accord. Il ne faut plus être naïf.

L’encerclement de la Russie par les forces de l’OTAN n’est pas dû à un amour de ce pays ni au désir de s’en rapprocher mais à des motivations comparables à celles qu’entretenait en son temps un certain Hitler. Ceux qui connaissent la géopolitique et qui n’ont pas oublié les leçons de l’histoire apprises au temps de leur école primaire se souviendront que les néo-Nazis d’aujourd’hui obéissent aux mêmes objectifs que les néo-Nazis d’hier quand ils ont entrepris leur marche vers la Russie.

C’est le message que je veux livrer en espérant que la raison et l’honnêteté prévaudront.

 

Source: Investig’Action



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Sul tema delle rivendicazioni pan-albanesi ai danni del Montenegro si vedano anche:

Kosovo-Montenegro, un confine che scotta (Francesco Martino, 26/09/2016)
La demarcazione del confine col Montenegro è diventata in Kosovo uno dei principali motivi dello scontro feroce tra maggioranza e opposizione. Un'analisi
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-Montenegro-un-confine-che-scotta-174472/

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Oštra rasprava o granici Kosova i Crne Gore 

3 august 2016  Izmijenjeno 16:34 CEST

Opozicija tvrdi da je Kosovo izgubilo više od 8.000 hektara tokom procesa demarkacije sa Crnom Gorom.


Poslanici Skupštine Kosova, stručnjaci i predstavnici civilnog društva raspravljaju o spornom procesu demarkacije granice sa Crnom Gorom.

Opozicija tvrdi da je Kosovo izgubilo više od 8.000 hektara svoje teritorije tokom procesa demarkacije, dok vladajuća koalicija odbacuje te navode.

Današnjoj raspravi prisustvuju i ambasadori nekoliko zemalja Evropske unije. Prisutnima se obratio i predsjednik Kosova Hashim Thaci, koji je izjavio da, nakon današnje rasprave, Vlada treba da proslijedi Skupštini na usvajanje Zakon o demarkaciji sa Crnom Gorom kako bi se, kaže, ovo pitanje riješilo jednom zauvijek.

Tokom Thacijevog govora, u znak protesta sastanak su napustili poslanici opozicionog pokreta Samoopredjeljenje.

"Hashim Thaci je glavni krivac i odgovoran je za potpisivanje sporazuma kojim Kosovo gubi teritoriju. Prema krivičnom zakonu Kosova, njegovo mjesto je u zatvoru.

Skupštini gdje pokušava da vrši pritisak na poslanike da podrže ovaj štetni sporazum. Mi još jednom ponavljamo da sporazum neće proći", kazala je Donika Kadaj Bujupi iz Samoopredjeljenja.    

Sporni sporazum

"Sporazum o demarkaciji potpisali su prošle godine zvaničnici Vlade Kosova i Crne Gore, ali on nije ratifikovan u Skupštini Kosova", javlja Al Jazeerin Avni Ahmetaj.

On dodaje da se opozicija već godinu dana protivi sporazumu, jer kako navode, Kosovo njime gubi 8.000 hektara.

Kako bi potvrdili te navode, bivša predsjednica Kosova Atifete Jahjaga pozvala je grupu međunarodnih stručnjaka, koji su zaključili da nije bilo nepravilnosti u procesu demarkacije", javlja Ahmetaj.

Predstavnici opozicije nisu promijenili svoj stav i najavljuju da će koristiti sva sredstva kako bi se protivili ratifikaciji sporazuma.

"Cilj današnje rasprave je da se postigne kompromis po ovom pitanju. Ratifikacija sporazuma je glavni uslov koji je Evropska unija postavila Kosovu za liberalizaciju viznog režima", javlja naš novinar. "Vladajuća koalicija se nada da će nakon današnje rasprave moći da zakaže sjednicu skupštine, ali pojedini poslanici vladajuće koalicije su se izjasnili protiv sporazuma za čiju ratifikaciju je potrebna dvotrećinska većina svih poslanika Skupštine Kosova."

Izvor: Al Jazeera


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Montenegro, NATO, Balcani. Quale futuro?


Scritto da Enrico Vigna

Forum Belgrado Italia


Il 2015 ha visto per l’area balcanica un ulteriore colpo alla stabilità ed alla pacificazione dell’area. Gli scontri di piazza verificatisi negli ultimi mesi dell’anno, dopo che è partita una campagna propagandistica governativa che intende guidare l’opinione pubblica verso l’entrata nella NATO. Alcune forze come il Fronte Democratico e il movimento per la pace “NO alla guerra-NO alla NATO”, hanno deciso di scendere in piazza con proteste che la polizia, su ordine del governo, ha cercato di reprimere violentemente.

Ma penso sia errato pensare che la protesta riguardi in primis la questione NATO (pur centrale). A chi segue da vicino le vicende montenegrine, non sfugge che, giustamente, queste forze stanno cercando di portare in piazza la gente con una lettura complessiva della situazione del paese. Uno stato che sta sprofondando, secondo le stime del FMI e degli economisti internazionali, verso lo stadio della povertà assoluta per fette sempre più consistenti della popolazione, ormai celebre a livello internazionale per una corruzione dilagante, una criminalità che ha messo salde radici nel paese (le varie mafie, italiana, russa, albanese hanno finanziariamente il paese nelle loro mani, come denunciato anche dai centri di investigazione italiani ed europei). Non bisogna dimenticare che lo stesso primo ministro del Montenegro, Djukanovic, è indagato dalla Procura italiana per connivenza con la Sacra Corona Unita pugliese.   Il governo che cosa fa di fronte a questo scenario? Lancia una privatizzazione selvaggia, pratica un programma di riduzione o addirittura abolizione delle ultime norme di stato sociale, elimina i benefici rivolti agli investimenti sull’occupazione dei giovani, blocca le pensioni e i salari, inasprisce le leggi che limitano libertà sociali e politiche…ma investe milioni di euro per campagne mediatiche di pubblicizzazione e sostegno all’ingresso nella NATO come obiettivo fondamentale per la crescita del paese. Incontri della NATO organizzate nel più lussuoso hotel della capitale, ricevimenti nei ristoranti più costosi, meeting in cui il numero degli altoparlanti spesso superava il numero di cittadini presenti, continui spot televisivi a pagamento sulle TV, decine di cartelloni pubblicitari in ogni città del Montenegro. Ma tutto questo non per caso, come spiegano bene i leaders delle proteste: infatti il governo è cosciente che nel paese, la maggioranza della popolazione, o rifiuta la NATO come prospettiva, oppure la considera come una alleanza ad essa non benevola. Una alleanza militare, che non solo ha bombardato il paese, ma ha utilizzato armamenti come quelli a base di l’uranio impoverito o le cluster bombs, devastando per sempre il territorio e l’ambiente. Il movimento di protesta, per far prendere coscienza di cos’è la NATO, ha prodotto documenti dove si cita l’opuscolo con le indicazioni obbligatorie, ai tempi dei bombardamenti sulla RFJ, per i soldati della NATO in Kosovo, dove era scritto testualmente: "L'inalazione di particelle insolubili di polvere di uranio è associata con conseguenze per la salute a lungo termine, tra cui il cancro e difetti di nascita. Questi effetti possono diventare visibili solo qualche anno più tardi". Il movimento ha portato avanti una richiesta ufficiale al Ministro della Sanità montenegrino, il dottor B. Šegrta, perché presenti pubblicamente le statistiche ufficiali dal tempo della campagna di bombardamenti NATO, dove si rileva l'aumento di malattie e di decessi per malattie maligne, nel corso degli ultimi due decenni, e per avviare la formazione di un gruppo di esperti indipendenti, nonché per fornire una stima di quanta incidenza hanno avuto su questo, i bombardamenti NATO e l'uso di munizioni all'uranio impoverito. E’ proprio muovendosi in questo quadro complessivo e sociale che, in particolare a Podgorica, sono scese in piazza migliaia di persone, con una forma di autorganizzazione, su parole d’ordine che affermano che l'inclusione del Montenegro nel processo di integrazione euro-atlantica non porta sviluppo, consolidamento o prosperità al paese. Va rilevato che in questo momento non vi è in Montenegro un partito o una forza politica consistente, con una politica o una proposta chiara e concreta, all’interno dello stesso Fronte Democratico che guida le proteste di piazza; al suo interno vi sono esponenti che appoggiano le proteste ma in realtà sono legati ad interessi interni al sistema e lontani dalle reali esigenze e bisogni della gente. Si tratterà di capire nell’evolversi della situazione, chi manterrà una posizione ferma e chi si adeguerà per salvarsi lo scranno. Uno scenario già visto in Montenegro ai tempi della secessione dalla RFJ e anche in Serbia.    

Questo per quanto riguarda la situazione interna al paese, ma è evidente che, come spiegato anche da analisti militari indipendenti, a Podgorica si svolge un “gioco globale", in cui è coinvolta anche la Serbia, per creare ulteriori difficoltà alla Russia, che nei Balcani ha un retroterra culturale e politico molto radicato nelle popolazioni, e su questo sta cercando di riprendere un ruolo di primo piano e ostacolare l’occidentalizzazione completa della regione. Se la NATO non riuscisse ad egemonizzare completamente l’area, molte prospettive ed alleanze strategiche dovrebbero essere ridefinite. 

Intanto dopo le manifestazioni di ottobre e i violenti scontri, a metà dicembre si sono svolte nuove proteste e manifestazioni con la parola d’ordine contro la guerra e contro la NATO, per un referendum popolare e per le dimissioni del governo.

"Se si impedirà il referendum e ci sarà un tentativo fraudolento in Parlamento circa la decisione di adesione alla NATO, il Montenegro sarà portato sull'orlo di uno conflitto interno molto pericoloso", ha dichiarato al comizio, Andrija Madic, il leader del Nuovo Partito Democratico Serbo, sicuramente il motore più deciso e consistente  di queste proteste.
La protesta è nuovamente tornata davanti al parlamento con la partecipazione di quasi 10.000 persone, secondo gli organizzatori.
Il 2 dicembre la NATO ha ufficialmente invitato il Montenegro a diventare un suo membro, provocando la reazione diplomatica della Russia, che ha bollato questo passo come una minaccia alla stabilizzazione e pacificazione dei Balcani.
Nel frattempo il Primo Ministro montenegrino Milo Djukanovic, preoccupato per gli esiti della consultazione popolare, ha risolutamente respinto gli appelli per organizzare un referendum sulla adesione al Trattato NATO.
"Ci hanno invitato solo per avere un po' di più soldati da mandare nelle loro guerre e poi contro la Russia. Noi in Montenegro non dobbiamo e non dovremo prendere parte a questa partita", ha dichiarato Bulatovic, ex presidente del Montenegro jugoslavo, ai manifestanti che sventolavano bandiere russe e serbe e cantavano "Putin è con i serbi!" e "Madre Russia!"
"Assassini della NATO", urlava la folla, mentre alcuni partecipanti portavano candele in memoria delle vittime dei bombardamenti della NATO in Montenegro.

"Ci hanno bombardato per più di 70 giorni, quindi come possiamo perdonarli per le vittime e la distruzione del nostro paese? In nessun modo e mai potremo dimenticare questo", ha detto Radomir, un elettricista di 46 anni in un intervento.

Il presidente del Centro NO Guerra-NO NATO, Gojko Raicevic ha dichiarato al sito Analytics che le possibilità di contrastare e piegare l’attuale governo sono fondate sulla speranza che il popolo del Montenegro non abbia perso la voglia di cercare la libertà sopra ogni altra cosa.

Il Fronte Democratico è una coalizione politica di opposizione in Montenegro. E' composto dal Nuovo Partito Democratico Serbo, dal Movimento per il cambiamento, dal Partito Democratico del Popolo, dal Partito dei Lavoratori e dal Partito Unito dei Pensionati e Disabili, oltre ad associazioni, organizzazioni studentesche, accademici, personalità indipendenti e anche una frazione del Partito Popolare Socialista. L'obiettivo di questa alleanza è di rovesciare il Partito Democratico dei Socialisti del Montenegro di Milo Đukanović, che è al potere dal 1991.
Miodrag Lekic ex ambasciatore a Roma della RFJ, ha guidato la lista dell'alleanza alle elezioni parlamentari dell’ottobre 2012 e alle elezioni presidenziali del 2013, supportato sia dal Fronte Democratico che dal Partito Popolare Socialista. Secondo la relazione della commissione elettorale fu sconfitto con un margine strettissimo da Filip Vujanović, sostenuto dalle forze governative. Ma molti osservatori internazionali indipendenti rilevarono che la vittoria di Vujanovic era frutto di una massiccia frode elettorale.

 

Una breve cronaca degli avvenimenti


Dalla fine di settembre alla fine di ottobre per 20 giorni le forze di opposizione all’attuale governo, insieme a sindacati, giovani e associazioni civili, hanno manifestato e occupato la piazza davanti al Parlamento a Podgorica, per chiedere le dimissioni del governo Djukanovic e contro le misure antipopolari sempre più dure riguardanti lo stato sociale, le privatizzazioni, la corruzione e la criminalità che hanno in mano il paese e la società montenegrina; a fianco di questo veniva richiesto un Referendum popolare per decidere la ventilata decisione di adesione alla NATO, diventata poi ufficiale il 2 dicembre. In tutto questo tempo decine di migliaia di montenegrini hanno occupato pacificamente notte e giorno la piazza del parlamento, ma a differenza di Piazza Maidan a Kiev, alle 5.45 del 16 ottobre 2015 un migliaio di membri delle unità speciale di polizia, portate da tutto il Montenegro, e di forze di polizia regolari in tenuta antisommossa, hanno brutalmente attaccato e sgomberato questa pacifica protesta. La polizia ha arrestato decine di manifestanti oltre ai parlamentari del FD Slaven Radunovic e Vladislav Bojovic. Nell’attacco ci sono stati anche decine di feriti tra cui uno molto grave. Anche il presidente del Partito Nazionale Democratico e membro del Presidium del FD Milan Knezevic è stato brutalmente e senza alcuna motivazione, picchiato e spruzzato sul viso con gas lacrimogeni e urticanti e trasportato con urgenza al Centro di Emergenza ospedaliero della capitale.

“Non vi è alcun motivo per la polizia di stare qui a controllare chi è qui per costruire, altri sono i luoghi dove si distrugge, si rapina, si ruba, distruggendo così il Montenegro e il suo onore…si allontani la polizia da qui e da queste persone, lottano per la libertà, per essa sono qui e vogliono la libertà di costruire il proprio futuro", ha dichiarato alla piazza il metropolita Amfilohije.                                                                                                                             

“Invece di favorire una equa ripartizione di tutti i beni, c’è chi ha collaborato con la criminalità europea; ora che sono diventati borghesi, si dicono a favore la democrazia. Tutto ciò che è stato costruito dal popolo, questi lo hanno ridotto ad una triste realtà. Quella che era una nazione, ora non c'è più. Ora abbiamo miliardari che insieme con altri miliardari europei e americani disgregano il paese. E dall’altra parte abbiamo sempre più poveri.” 'Non va bene ", diceva San Pietro. Non si costruisce su questo il futuro del Montenegro", ha detto l'arcivescovo. "La vera Europa è Dante, non questi che hanno bombardato il Montenegro non troppo tempo fa ".

Il Metropolita ha anche dichiarato che “quelli senza cervello [krivomozgići] hanno invocato l'occupante. Chi è che mi proclama nemico del popolo? Questo governo? Lo sanno che qui c’è stata per cinquant'anni una ideologia comunista, che ha anche avuto qualcosa di buono, quando ha predicato la fraternità e la condivisone paritaria delle risorse e l'uguaglianza tra le nazioni? Costoro ora sono uniti con il crimine europeo e ora sono per la democrazia e la borghesia", ha aggiunto.

Il leader del FD Andrija Mandic ha ringraziato Amfilohije per la sua presenza e ha detto che "avevano sperato tanto che lui fosse stato con loro lì in quella piazza, anche la notte". Al che Amfilohije ha chiesto un posto in una delle tende della protesta.



A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia, dicembre 2015





(Sullo stesso tema si vedano anche:


EURODIPUTADO JAVIER COUSO (I.U.) DENUNCIA LA "RUSOFOBIA" DEL PARLAMENTO EUROPEO (tena carlos, 18 feb 2016)
El organismo continental debatía este jueves qué estrategias debe adoptar para defenderse en la guerra mediática, mencionando "la propaganda rusa" como una de las principales amenazas a las que tiene que hacer frente...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=uB9xNWf-TF0

Liste di proscrizione a Bruxelles e Strasburgo per escludere i russi

Robert Charvin: FAUT-IL DÉTESTER LA RUSSIE ? Nouveau livre des éditions Investig'Action
http://www.michelcollon.info/boutique/fr/livres/39-faut-il-detester-la-russie-.html
Pour organiser débats ou interviews, contacter: relations@...
VIDEO: Regarder la présentation vidéo (1’): https://www.youtube.com/watch?v=PNAifAYfHg0

Hannes Hofbauer: FEINDBILD RUSSLAND. Geschichte einer Dämonisierung
ProMedia Verlag – ISBN 978-3-85371-401-0, br., 304 Seiten, 19,90 Euro
Buchvorstellung! Wann und Wo? am Dienstag, 10. Mai 2016 um 19.30 Uhr
im Saalbau Bornheim, Clubraum 1, Arnsburger Str. 24, 60385 Frankfurt am Main
Näheres zum Buch unter: http://www.mediashop.at/typolight/index.php/buecher/items/hannes-hofbauer---feindbild-russland )



Russofobia, ecco perché i russi sono i cattivi

30.09.2016
di Tatiana Santi 

Che i russi siano i cattivi è un fatto risaputo in Occidente. I leader politici, accompagnati in coro dai mass media, non fanno che ricordarlo costantemente. In Occidente si è sommersi da pregiudizi negativi sulla Russia e si ragiona per partito preso. Perché?

"Russofobia, mille anni di diffidenza" è un libro (Sandro Teti Editore) che spiega i motivi e le diverse tipologie di russofobia, un fenomeno che affonda le sue radici nell'antichità, manifestandosi in modo più acuto in determinati periodi storici. Guy Mettan, autore del libro, affronta la russofobia dalle sue origini fino alle pagine dei giornali occidentali di oggi, che si dilettano a demonizzare la Russia.
Per la prima volta in un libro si cerca di dare una risposta al fenomeno della russofobia, ormai fortemente consolidata nel sistema occidentale. Sputnik Italia ha raggiunto per un approfondimento direttamente l'autore, il giornalista e lo storico svizzero Guy Mettan.

— Signor Mettan, perché ha deciso di scrivere questo libro e come nasce il suo interesse per la Russia? 

— Per una ragione da una parte personale e dall'altra professionale. Nel 1994 io e mia moglie abbiamo adottato nostra figlia Oksana in un orfanotrofio della regione di Vladimir. Oggi Oksana ha 25 anni. Da quel momento ho cominciato ad interessarmi alla Russia, che ho iniziato a conoscere sempre meglio. Sono diventato poi presidente della Camera di Commercio Svizzera-Russia e CSI. Ho viaggiato inoltre per tutto il Paese. Sono sempre rimasto molto colpito dall'enorme differenza fra la realtà russa tale e quale com'è vissuta in Russia, qualità e difetti compresi, e il modo sistematicamente negativo in cui questo Paese viene descritto dai media occidentali. 
Esiste un divario fra la realtà vissuta e l'immagine che se ne dà nei media occidentali. Perché c'è sempre un partito preso negativo, perché è pieno di stereotipi antirussi? Queste sono le domande che mi hanno spinto a scrivere il libro nel momento in cui scoppiava la crisi ucraina nel febbraio 2014. 

— In quale lingue è stato e sarà tradotto il libro "Russofobia, mille anni di diffidenza"? 

— Il libro è stato pubblicato all'inizio in francese nel 2015 edito da Editions des Syrtes. A maggio 2016 è stato pubblicato in russo edito da Paulsen a Mosca e in lingua italiana da Sandro Teti Editore. È in preparazione un'edizione americana da Clarity Press. Nel 2017 dovrebbero arrivare l'edizione serba e cinese, forse anche quella svedese. Siamo tuttora alla ricerca di un editore tedesco. 

— Nel suo libro lei analizza il fenomeno della russofobia da un punto di vista storico. Potrebbe riassumere le ragioni e le radici della russofobia? 

— Può sembrare paradossale, ma la russofobia occidentale è più antica della Russia! In effetti, è iniziata con le rivalità politiche e religiose che hanno contrapposto l'Impero di Occidente, fondato dal Carlo Magno nell'anno 800, all'Impero d'Oriente basato a Costantinopoli; la Chiesa cattolica e quella ortodossa.
Carlo Magno era un principe che si ribellò contro il sovrano legittimo dell'Impero romano d'Oriente che regnava a Bisanzio. I suoi successori, che hanno creato il Sacro romano Impero Germanico alla fine del X secolo, sono riusciti ad imporre ai Papi delle riforme religiose contro l'opinione delle Chiese greche d'Oriente, che si erano opposte perché ritenevano tutto ciò un colpo di Stato e non una decisione democratica presa in seno ad un concilio ecumenico universale.
In seguito a questo scisma, ufficialmente risalente all'XI secolo, a Roma ebbe luogo una propaganda antiortodossa e antigreca con lo scopo di denigrare gli Orientali sia sul piano politico sia religioso. Quando gli Ottomani conquistarono Bisanzio nel 1453 questi pregiudizi negativi si trasposero sui russi, i quali avevano rivendicato l'eredità politica e religiosa di Bisanzio. 

— Che tipo di pregiudizi sono? 

— I pregiudizi occidentali sono di due ordini. Innanzitutto i greci, e quindi i russi, sono dei barbari e i loro sovrani sono dei despoti e dei tiranni. Inoltre sono degli espansionisti, degli annessionisti, delle persone aggressive, le quali non fanno altro che sognare di conquistare e sottomettere l'innocente e virtuoso Occidente. 
Sono gli stessi pregiudizi che ritroviamo oggi sotto la piuma dei giornalisti occidentali antirussi. È da notare che la russofobia moderna è cominciata in Francia alla fine del XVIII secolo, quando il Gabinetto segreto del re Luigi XV ha forgiato un falso "Testamento di Pietro il Grande", nel quale il grande zar russo avrebbe comandato ai suoi successori di conquistare l'Europa. Napoleone lo fece pubblicare nel 1812 con lo scopo di giustificare meglio la sua invasione preventiva della Russia nel 1813. Gli inglesi tradussero il libro e lo usarono per giustificare la loro invasione della Crimea nel 1853. Questo pseudo testamento è stato denunciato come falso solo alla fine del XIX secolo, dopo aver ispirato decenni di russofobia francese e inglese. 

— Come si ricollega il suo discorso all'attualità?

— Si tratta della stessa manipolazione che gli americani hanno utilizzato nel 2003 per giustificare l'invasione dell'Iraq. Le false armi di distruzione di massa di Saddam Hussein ci rivelano la stessa mistificazione. Solo una volta commesso il crimine, la verità esplode. La storia è ancora troppo recente per vederci chiaro, ma potremmo scommettere che gli avvenimenti di Maidan in Ucraina a febbraio 2014 rilevano la stessa tecnica di manipolazione. Il putsch che ha permesso di travolgere il governo legale ucraino è stato saggiamente preparato durante lunghi anni da delle campagne finanziate da miliardi versati dagli Stati Uniti, come è stato ammesso dal segretario di Stato aggiunto Victoria Nuland davanti al Congresso (i famosi 5 miliardi di dollari), per essere attivati in favore delle manifestazioni popolari contro il governo, d'altronde legittime data la corruzione diffusa. Il risultato è che il governo attuale si rivela altrettanto corrotto che quello precedente, ma questo non interessa alcun media occidentale.

— La Russia nei media occidentali appare sempre come una minaccia. Perché secondo lei l'Occidente, con il sostegno dei giornalisti, demonizza la Russia?

— Il discorso occidentale antirusso si appoggia sui due principi di cui parlavo prima: l'Occidente incarna il Bene, i valori universali, la democrazia, i diritti dell'uomo, la libertà (soprattutto economica), mentre la Russia rappresenta l'autocrazia, il nazionalismo revanscista, la negazione delle libertà dell'individuo. Questo discorso bianco-nero strumentalizza senza vergogna l'opinione pubblica, perché questa sostenga la rimilitarizzazione dell'Europa e il rafforzamento della NATO, che non ha smesso di allargarsi in 20 anni con l'integrazione di tutta l'Europa dell'Est, e ora del Montenegro. Senza parlare del vassallaggio dell'Ucraina, della Svezia, della Georgia e anche della Svizzera "neutra" che partecipa alle sue esercitazioni in nome di un "partenariato per la pace", che in realtà è solo un giro di parole.
Più che dei professionisti interessati ad informare, i giornalisti dei principali media occidentali sembrano dei registi. L'opposizione fra i "buoni", gli Occidentali, e i "cattivi", i russi, nonché la demonizzazione della Russia, presentata come una minaccia per l'Occidente, diventano così degli elementi essenziali del discorso mediatico occidentale. 


Russofobia, un male incurabile? 

01.10.2016
di Tatiana Santi 

L’Occidente ha una malattia cronica, la russofobia, che si manifesta durante la storia con fasi più acute, guarda caso quando la Russia è particolarmente forte sulla scena geopolitica. Ebbene, la russofobia è un male incurabile?

C'è sempre un buon motivo per lottare contro la Russia, lo è stato per decenni il comunismo, ma una volta sparito, la russofobia non si è placata, anzi. L'Occidente si può veramente sbizzarrire usando una gamma infinita di pretesti, con l'unico scopo di rappresentare la Russia come una minaccia, costruendosi così un nemico perfetto.
Il complesso fenomeno della russofobia è stato analizzato dal giornalista svizzero Guy Mettan nel libro "Russofobia, mille anni di diffidenza", che cerca di rispondere alle domande che molti europei si saranno posti. La narrazione mediatica occidentale non basta più, il ritornello dei "russi cattivi" ha stancato, la gente vuole saperne di più. Sputnik Italia ha raggiunto per un approfondimento l'autore del libro, lo storico e giornalista Guy Mettan.

—  Signor Mettan, possiamo dire che più la Russia diventa forte sulla scena geopolitica più aumenta la russofobia?

—  Sì, assolutamente! Nel mio libro ho analizzato le quattro forme più importanti della russofobia moderna. Quella francese, molto attiva fra il 1780 e il 1880, ha compiuto un'inversione di tendenza spettacolare alla fine del XIX secolo per rapporto alla minaccia tedesca, ma è molto presente di nuovo a Parigi questi ultimi tempi. La russofobia inglese è iniziata dopo la vittoria contro Napoleone, ottenuta grazie alle truppe russe. Londra allora è tornata ad essere in contrapposizione al suo alleato, che aveva paura divenisse troppo potente nel Mediterraneo e in Asia Centrale. La russofobia tedesca è nata dalla frustrazione coloniale dell'Impero Tedesco, che ha spinto Il Kaiser, poi Hitler a voler allargare i loro territori in Russia (teoria dello spazio vitale, del Lebensraum). Questo fenomeno è all'origine del revisionismo storico attuale, che consiste a sopravvalutare il contributo americano nella liberazione dell'Europa (400 mila americani uccisi) e a svalutare lo sforzo maggiore fornito dalla Russia sovietica (26 milioni di morti). Infine abbiamo la russofobia americana che si è scatenata all'indomani della vittoria sul nazismo, secondo lo stesso schema della russofobia inglese. 

—  La russofobia si è manifestata quindi a ondate durante la storia? 

—  Esattamente. Appena sconfitto il nemico comune, gli Stati Uniti hanno condotto la guerra fredda contro il loro alleato sovietico in nome della lotta anti comunista. Ognuno ha potuto costatare come, una volta scomparsa la minaccia comunista ormai da 25 anni, la russofobia americana sia raddoppiata di intensità questi ultimi anni! Pensare che la lotta al comunismo fosse stata un pretesto è una supposizione naturale. 
Storicamente le fasi più gravi di russofobia corrispondono sempre a dei periodi durante i quali la Russia è particolarmente forte. Dopo il 1760 ai tempi di Caterina II, nel 1815, dopo la vittoria su Napoleone, dopo il 1945, dopo la vittoria contro il nazismo...

—  Come è stato accolto il suo libro dal pubblico e i colleghi in Francia? 

—  In Svizzera l'accoglienza mediatica è stata corretta e largamente positiva, perché la nostra posizione di Paese neutrale ci rende più equilibrati nel nostro modo di vedere il mondo. In Francia invece i media istituzionali hanno ignorato il libro. In compenso i social network e il passa parola hanno funzionato bene ed il libro viene comprato molto bene anche dopo 15 mesi dalla sua pubblicazione. Do diverse conferenze e posso costatare che c'è un vero interesse tra il pubblico. Le persone vogliono capire, cercano un altro punto di vista e non si accontentano più delle idee, di fatto, manipolate dai media principali.

—  La Russia, come notava prima, interessa molto il pubblico europeo, che ne ha abbastanza della stessa visione unilaterale proposta dai media. La russofobia è un male quindi curabile a suo avviso? Lei è ottimista?

—  Per fortuna è un male curabile. Come la germanofobia di cui la Francia è riuscita a liberarsi dopo tre guerre, di cui due mondiali! È anche però una malattia cronica alla quale l'Occidente si è abituato. Questo significa che per estirparla, la cura prenderà del tempo. A breve termine sono pessimista, non ci saranno grandi risultati nell'immediato. Le sanzioni non verranno tolte presto e troveranno sempre dei pretesti per giustificarle, come la Crimea, russa quanto l'Alsazia-Lorena è francese. La Crimea si è riunita alla Russia attraverso due referendum popolari nel 1991 e nel 2004, mentre il Kossovo è stato staccato dalla Serbia senza alcuna consultazione democratica. In generale, lo scopo è di strangolare la Russia militarmente ed economicamente obbligandola ad armarsi. Rivediamo lo scenario degli anni '80, si spera di far crollare la Russia come l'Unione sovietica. La differenza è che la Russia è un Paese aperto e che ha degli alleati e Paesi vicini come la Cina. Viviamo in un equilibrio del terrore, come durante la Guerra fredda, la "guerra" attuale resterà non militare. Il rischio tornerà se i generali e i think tanks neoconservatori avranno la convinzione che una guerra contro la Russia potrà essere vincibile, come pensarono Guglielmo II e Hitler rispettivamente nel 1914 e 1939. Per il momento, quindi, la strategia preferita dall'Occidente resta quella del "cambio di regime" imposto dalle sanzioni economiche, la corsa agli armamenti, le vessazioni di media e ONG assoldati.



(english / македонски / italiano)

Macedonia, protesta silenziosa

PandoraTV 09/10/2016 – Milenko Nedelkovski decide di fare scena muta nel corso del suo show settimanale (Late Night) in una televisione Macedone in segno di protesta per la nuova legge censoria imposta dal protettorato congiunto dell’Unione Europea e dell’Ambasciata americana a Skopje. Sono cinquanta minuti di silenzio. La Macedonia sta vivendo un sostanziale colpo di Stato (dopo che la rivoluzione colorata ha fatto cilecca).



Lo stesso Milenko Nedelkovski con il suo programma Milenko Nedelkovski Late Night Show tratta spesso di temi indigesti al sistema di potere UE-NATO.

Ad esempio, il 27 settembre 2013 intervistava Thierry Meyssan, presidente della Rete Voltaire, a proposito degli avvenimenti in Medio Oriente ("rivoluzioni colorate"), del colpo di Stato dell’11 settembre 2001 e più in generale degli inganni del sistema della disinformazione strategica, con parallelismi tra le guerre in Jugoslavia e in Siria: l’intervento dell’internazionale jihadista, al fianco di Stati Uniti e Unione europea, il ruolo d’Israele e l’addestramento militare dei combattenti dell’Esercito libero siriano da parte dell’UCK in Kosovo, ecc.

Nel 2015 Nedelkovski co-redigeva invece una importante analisi sulle interferenze della Open Society Foundation in Macedonia: 
ORIG.: (by Mirka Velinovska and Milenko Nedelkovski, 28/04/2015)
http://www.geopolitica.ru/en/article/open-society-foundation-macedonia
TRAD.: L’Open Society Foundation in Macedonia (di Mirka Velinovska e Milenko Nedelkovski – Geopolitica 28 aprile 2015)
https://aurorasito.wordpress.com/2015/05/19/lopen-society-foundation-in-macedonia/
e pochi giorni dopo denunciava la presenza di statunitensi tra i terroristi pan-albanesi liquidati dalla polizia a Kumanovo:


Nedelkovski: There are Americans killed among Terrorists in Kumanovo

MINA Breaking News – Monday, 18 May 2015

One of Macedonia's most famous journalists is Milenko Nedelkovski.
In an editorial published on his website on May 15th, he is asking himself one question, will Macedonia make it from the foreign initiated destabilization? The short answer says Nedelkovski, is a resounding Yes.
"The six horsemen of the apocalypse, the so called "western" ambassadors didn't wait a single day for us to even bury the Macedonian heroes, they rushed to meet with president Ivanov and Gruevski, to blackmail, to "insist", to request, to demand!!" writes Nedelkovski.
"The basic requests were layered like a baklava, you know, the usual suspects, judicial reforms, protection for whistleblowers (I assume the same protection US granted Manning and Snowden?), political dialog and similar cr*p, but the Real Request Was for the Courts Not to Release the Name of the British Ambassador as Directly Ordering the Coup" says Nedelkovski adding "Just as Important was to Hide the Names of 4 Americans and British Terrorists Killed in Kumanovo" The four came from the US Base in Kosovo, BondSteel.
"The US Ambassador Jess Bailey, nicknamed by Macedonian media as "Jess (Himmler) Bailey was instrumental in the failed coup attempt in Turkey where several civilians died during months old staged protests. There too the coup started with a fabricated wiretapping scandal." says Nedelkovski.
"Now Himmler was sent here to do the same" adds Nedelkovski. 
Yesterday, the Macedonian Government lowered the count of 14 killed terrorists to 10, is it to hide the 4 American terrorists and their involvement?
Skopje based Dnevnik ran an editorial as well, of leaked information that 4 of the killed were neither from Kosovo, nor Macedonia or Albania, rather from "another nation". 

Marija Nikolovska