Informazione


GUERRA GUERRA GUERRA

1) Siria e dintorni
– Siria: Obama bombarda la tregua (LINKS)
– Perche' non aderiamo all'appello ed alla manifestazione del 24 settembre (Lista Comitato No Guerra No Nato e Rete No War Roma)
– I crimini degli Usa in Siria e quei sedicenti 'sinistri alternativi" sempre dalla parte sbagliata della storia... (Mauro Gemma)
2) Libia e dintorni
– L’Italia e’ in guerra (Rete campana contro la guerra e il militarismo)
– I miliziani di Misurata che l’Italia va a curare sono criminali di guerra (Marinella Correggia, Il Manifesto del 16.9.2016)
3) Esplosive mail della Clinton (Manlio Dinucci, Il Manifesto del 20.9.2016)


Si veda anche:

Videocorso per smascherare le bufale di guerra (SiBiaLiRia 9.9.2016)
“Tu dammi le fotografie e io ti darò la guerra” tuonava l’editore William Hearst al suo fotografo Frederick Remington che, nel 1898, non trovava a Cuba nessuna scena che giustificasse una invasione USA.
Da allora molte cose sono cambiate, ovviamente in peggio. E oggi, secondo Sheldon Rampton – già autore di un libro che ha fatto scuola – soltanto negli USA, le organizzazioni governative e gli istituti, organizzazioni e fondazioni ad esse aggregate spenderebbero annualmente più di un miliardo di dollari per promuovere, tramite la Rete, le guerre dell’Impero. Un lavoro condotto, spesso con maestria, da legioni di giornalisti, pubblicitari, esperti in video… e che gli ignari utenti della Rete (un miliardo e mezzo di persone solo Facebook) provvedono a diffondere in ogni dove.
Per cercare di arginare questo fiume di menzogne, pochi attivisti NoWar e qualche giornalista ancora onesto si industriano nell’analizzare e smascherare le “bufale” che – sopratutto dopo la guerra alla Libia del 2011 – ci vengono tutti i giorni propinate. E per far crescere questa fondamentale rete di controinformazione Sibialiria ha realizzato un videocorso che illustra alcuni segreti di bottega per smascherare queste bufale.
Qui sotto le prime due puntate.
Prima puntata (Sibia Liria, 8 set 2016)
Seconda puntata (Sibia Liria, 8 set 2016)


=== 1: Siria e dintorni ===

ISIS Air Force: gli aerei di Obama fanno strage di soldati siriani (PandoraTV, 18 set 2016)
Mentre l'attenzione del mondo è deviata da un attentato a Manhattan, è in atto una svolta drammatica della guerra siriana. Un raid aereo USA uccide decine di militari e all'istante parte l'offensiva ISIS. Mosca accusa Washington: li protegge...

Siria: Obama bombarda la tregua. Usa in (colpevole) confusione (di Marco Santopadre, 19 settembre 2016)
... Un grosso, ennesimo regalo dell'amministrazione Obama ai cosiddetti 'ribelli moderati', dopo la pioggia di milioni che sono spesso serviti ad armare e addestrare miliziani passati poi ad al Qaeda o a Daesh...

Attacco Usa sulle truppe siriane, il racconto delle vittime (PandoraTV, 20 set 2016)
Sabato 17 settembre, a soli cinque giorni dall’accordo tra Russia e Usa sulla tregua in Siria, due caccia F-16 jet e due aerei di supporto A-10 della coalizione occidentale hanno lanciato quattro attacchi aerei contro le postazioni dell’esercito siriano nella montagna di Al-Tharda. Sessantadue le vittime tra i soldati siriani. Oltre 100 i feriti. La zona è ora sotto il controllo dello Stato Islamico...

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Comunicato della Lista Comitato No Guerra No Nato e della Rete No War Roma

 

PERCHE' NON ADERIAMO ALL'APPELLO ED ALLA MANIFESTAZIONE DEL 24 SETTEMBRE

Pur avendo sostenuto per anni la lotta del popolo curdo, siamo molto preoccupati delle scelte che una parte della sua dirigenza ha imposto in Siria. Queste scelte e le loro conseguenze non sono assolutamente messe in discussione dall’appello per il 24 settembre:

 

1)     Non viene minimamente condannato il fatto che l'esercito turco ha invaso uno stato indipendente, la Siria, in cui gli stessi Curdi vivono, violandone platealmente la sovranità.

2)     Non viene chiarito che gli stessi Curdi della Siria, ed i loro alleati delle "forze democratiche siriane" (spezzoni di vecchie formazioni jihadiste facenti capo al sedicente Esercito Libero Siriano), hanno per primi essi stessi violato la sovranità del loro paese consegnando nelle mani dell'alleato esercito statunitense una serie di basi su suolo siriano. 

3)     Viene taciuto che gli stessi statunitensi si servono di queste basi per attaccare e minacciare l'esercito nazionale siriano che difende l'unità, l'indipendenza e la sovranità del paese, mentre contemporaneamente l'esercito nazionale viene bombardato anche da Israele, che cura anche i feriti di Fateh al-Sham (ex al-Nusra) e dell'ISIS nei propri ospedali..
L'ultimo deliberato bombardamento dell'esercito USA sulle posizioni  dell'esercito siriano a Deir Es Zor, città assediata dalle bande dell'ISIS,  che ha causato decine di morti, favorendo così gli attacchi dell'ISIS, dovrebbe far riflettere sulle reali intenzioni degli USA. Gli Statunitensi stanno anche sabotando la tregua umanitaria concordata con la Russia, non onorando l'impegno preso di costringere le formazioni armate da loro controllate a cessare il fuoco ed a distaccarsi dai terroristi estremisti dell’ex al-Nusra ed ISIS. 


Fin dagli anni '90 i neocons USA nei loro documenti indicavano una serie di paesi da distruggere perché non compatibili con i loro sogni di domino mondiale, tra cui la Siria, la Jugoslavia, l'Iraq, l'Iran, la Libia e altri paesi. A partire dall'amministrazione di Bush jr le indicazioni dei neocons sono state adottate ufficialmente come strategia della politica estera statunitense. Di questo ci sono oltre che i fatti, varie testimonianze, a partire da una famosa intervista rilasciata nel 2008 dal generale Wesley Clark.  
Come conseguenza, fin dal 2011 è stata formata una vasta alleanza filo-imperialista con l'intento di distruggere lo stato siriano laico e progressista, uscito dalle lotte anticoloniali, così come già è stato fatto per la Jugoslavia, Libia, Iraq, Ucraina, Somalia, Costa d'Avorio, Sudan.
Di questa alleanza fanno parte USA, UE, NATO, Turchia, Arabia Saudita, Qatar, e bande di mercenari jihadisti terroristi che fanno capo all’ex al-Nusra, ISIS, e presunte formazioni "moderate" legate agli USA.
Il movimento curdo siriano, che dichiara di voler lottare per una Siria democratica, dovrebbe precisare se intende portare avanti le proprie rivendicazioni nell'ambito dello stato laico e progressista siriano, che ha assicurato pieni diritti alle donne, e alle numerose religioni ed etnie presenti nel paese,  o cercare illusoriamente di realizzare le proprie aspirazioni a costo della distruzione della Siria, programmata da tempo dall'imperialismo,  con la creazione di uno staterello fantoccio, stile Kosovo.
Altrettanta chiarezza richiediamo a tutte quelle organizzazioni sedicenti pacifiste e di sinistra, che non mancano occasione di attaccare e demonizzare il governo della Siria, e che oggi trovano un facile alibi nell'adesione all'ambigua manifestazione del 24.

                        

                        Roma 19/9/2016         Lista Comitato No Guerra No Nato,   Rete No War Roma

                        Per adesioni: comitatononato@...


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I crimini degli Usa in Siria e quei sedicenti 'sinistri alternativi" sempre dalla parte sbagliata della storia...

di Mauro Gemma*

90 soldati dell'esercito del governo legittimo siriano sono stati uccisi da un raid statunitense, per stessa ammissione delle autorità USA. In compenso, la convocazione da parte russa del Consiglio di Sicurezza dell'ONU viene definita "un atto di cinismo" da parte della rappresentante americana. 

E intanto, mentre l'imperialismo statunitense prosegue la sua aggressione alla Siria in aperta violazione della tregua raggiunta in questi giorni, c'è chi, nella "sinistra" cosiddetta "radicale", si appresta a manifestare il 24 settembre con comunicati che contengono affermazioni di questo tipo: "(...) sosteniamo la lotta dei settori democratici e progressisti siriani contro il dittatore Assad. Stati Uniti e Russia, riavvicinatasi alla Turchia, hanno trovato un fragile accordo per il cessate il fuoco fatto sulle spalle della popolazione siriana (...)" (dal comunicato di adesione di "Sinistra anticapitalista" alla manifestazione della rete Kurdistan).

Siamo alle solite. Quando la situazione richiede chiarezza e determinazione da parte di tutte le forze antimperialiste e progressiste a fianco di stati e popoli che combattono per affermare la propria sovranità e diritto a decidere del proprio futuro, ecco che arrivano le sconclusionate truppe di certa "sinistra radicale" ad aggiungere la propria voce di "utili idioti" di aggressioni imperialiste, disegni secessionisti e rivoluzioni colorate.  

Nei momenti decisivi è sempre stato così. Fin dai tempi in cui, certi ultra-rivoluzionari (i signori dell'attuale "Sinistra anticapitalista", per primi) non esitavano a schierarsi con i tagliagole dell'UCK, con i bombardieri di Radio B92 di Belgrado, con i "ribelli di Bengasi", con le Pussy Riots e chi più ne ha più ne metta. Sempre dalla parte sbagliata. Sempre con chi è finanziato e foraggiato dall'imperialismo yankee.

E adesso aspettiamo solo che i sostenitori delle bande terroriste siriane al servizio degli USA, sabato prossimo riempiano le piazze di Roma, sotto lo sguardo compiaciuto di tanti sedicenti "sinistri alternativi" di casa nostra.

*Direttore di Marx 21. Fonte: L'Antidiplomatico



=== 2: Libia e dintorni ===


Una presa di posizione della Rete campana contro la guerra  sulla decisione dello scorso 13 settembre con la quale l'Italia torna ad avventurarsi in Libia. Il documento è stato pensato e formulato anche nel percorso di sostegno e diffusione della mobilitazione NO MUOS del 2 Ottobre.

Rete campana contro la guerra e il militarismo
 

L’ITALIA E’ IN GUERRA

Con la decisione dello scorso 13 settembre, l'Italia torna ad avventurarsi in Libiaoltre 300 militari, di cui 200 paracadutisti della Folgore, una portaerei, uno stormo di cacciabombardieri, diversi droni e tre basi militari impegnate in Italia (Trapani, Gioia del Colle, Sigonella), per una missione che, ipocritamente spacciata come missione “umanitaria” dal nome evocativo di Ippocrate (in onore del “padre” della medicina), si configura a tutti gli effetti come una missione di guerra, con un impegno pesante in uomini e mezzi, che espone ancora di più l'Italia al rischio di ritorsioni ed accelera la militarizzazione in corso nel Mediterraneo.

L'Italia era già attivamente presente in Libia dallo scorso 10 febbraio, con l’intervento di forze speciali, al fianco di quelle britanniche, presso Misurata, in un'altra operazione dal nome altisonante (Solida Struttura), a difesa dei pozzi e delle infrastrutture petrolifere. Con lo schieramento di questo ulteriore contingente militare,  proprio nel momento in cui cresce la battaglia tra le fazioni libiche ed i loro sponsor internazionali per l’accaparramento della cosiddetta “Mezzaluna Petrolifera”,  l'Italia si conferma protagonista nell’aggressione ai Paesi dell’Africa, nord e sub-sahariana, e del Medio e Vicino Oriente. 

Oltre alla Libia, infatti, i soldati italiani sono presenti in Afghanistan, dove il contingente italiano si è addirittura rafforzato superando i 700 militari, e anche massicciamente in Iraq, non solo con un proprio contingente (500 uomini) a difesa della Diga di Mosul, ma anche nell'operazione strategica (Prima Parthica) di addestramento dell'esercito iracheno e nell'operazione delle forze speciali (Centuria) che impegna circa 100 uomini, di base a Taqaddum, non distante da Ramadi e da Falluja, con compiti di coordinamento e di sostegno alle forze armate irachene. In totale oltre 1000 militari, vale a dire, la seconda forza militare straniera nel Paese dopo quella USA.

A tutto ciò si deve aggiungere la presenza italiana nell'ambito della “Coalizione Internazionale”, a guida USA, in Siria, con compiti di appoggio logistico e di supporto militare, nella guerra civile e per procura che, da più di cinque anni a questa parte, ha già provocato più di 250 mila vittime, e il rinnovato attivismo militare del nostro Paese in Africa. La cosiddetta “lotta ai trafficanti di uomini” e la strategia di “contenimento” dei flussi migratori e di militarizzazione delle rotte dei migranti lanciata proprio durante il semestre italiano di presidenza della Unione Europea (“Processo di Karthoum”), sta “legittimando”, oltre alla massiccia partecipazione e al coordinamento delle missioni militari nel Mar Mediterraneo, gli accordi bilaterali di collaborazione militare con diversi Paesi dell’area.  

All'inizio dello scorso mese di agosto, ad es., Italia e Sudan hanno sottoscritto un protocollo di cooperazione anti-migranti, che prevede il blocco e il rimpatrio, vere e proprie deportazioni forzate, verso il Sudan. Il governo italiano, insieme a quello tedesco, sta finanziando, addestrando e supportando i reparti scelti delle forze armate sudanesi per bloccare con ogni mezzo il flusso di migranti, in fuga da guerre e povertà, verso il Mediterraneo. 

Non meno significativo è l'impegno del governo Renzi per un riarmo in grande stile dell'Europa: va in questa direzione il piano elaborato dai Ministri Gentiloni e Pinotti, anticipato nella lettera a “Le Monde” e già portato al tavolo del summit con Merkel e Hollande, per una “Schengen della Difesa”. Il piano prevede che un’avanguardia di Paesi - la troika costituita da Italia, Francia e Germania - lavori in tempi rapidi all’integrazione europea nel campo della difesa per rafforzare le capacità militari comuni ed accrescere l’autonomia di azione dell’Europa con la costituzione di un vero e proprio Esercito Europeo ed un'aggressiva struttura di Difesa Militare dell'Unione. Insieme a questo andrebbe rilanciata anche l'industria europea della difesa.  Ad es. c’è  l’accordo per lo sviluppo del drone europeo Euromale tra Francia, Germania e Italia e procede il completamento del sistema satellitare europeo Galileo che renderà i paesi aderenti alla Ue – e non solo – del tutto indipendenti dal sistema satellitare Usa, il Gps.

Ovviamente, gli stanziamenti necessari per tutto saranno fuori dal Patto di Stabilità, quotidianamente invocato per avallare le politiche antisociali di tutti i  governi europei. Già oggi, la spesa militare europea ammonta a centinaia di miliardi e i dati SIPRI ed il rapporto (http://www.iai.it/sites/default/files/pma_report.pdf) stimano per i 31 Paesi europei presi in considerazione un aumento in media nel 2016 pari all’8,3 per cento rispetto al 2015. Solo in Italia spendiamo in strutture militari, armamenti, missioni all'estero, circa 100 milioni al giorno.

Anche il fatturato militare nel continente è stratosferico; solo l’Italia nel 2015 ha esportato per un valore di oltre 8,2 miliardi di euro, un boom del 186 per cento rispetto al 2014! Si tratta di armi vendute,  per esempio,  agli Emirati Arabi e all’Arabia Saudita, che le usano per armare i gruppi della jihad e per la guerra contro lo Yemen; oppure alla Turchia e all’Egitto, dove vengono violati in modo scandaloso i diritti umani.

La necessità del riarmo dell'Europa e dell'esercito europeo è stata richiamata da un’altra italiana, Federica Mogherini. Nel minaccioso intervento dello scorso 3 settembre, a Bratislava, l'Alto Rappresentante UE, da una parte ha confermato il “pieno sostegno” al governo turco (nei giorni stessi dell'invasione della Siria da parte dell'esercito turco e della durissima repressione che in Turchia sta colpendo il popolo curdo, gli attivisti e gli oppositori al regime di Erdogan); dall'altra ha auspicato un rafforzamento, anche e soprattutto militare, dell'Unione Europea, una vera e propria “Fortezza Europa”.

A dispetto, quindi, della propaganda renziana sulla cooperazione civile e la “inclusione attraverso la cultura”, l'Italia, con i suoi oltre 7000 militari impegnati nelle missioni internazionali, è oggi uno dei Paesi al mondo più attivi sul fronte della guerra e della militarizzazione. La presenza delle forze armate italiane negli scenari più sensibili degli approvvigionamenti strategici e delle risorse energetiche (Libia, Iraq, Afghanistan) mostra chiaramente il carattere strategico ed imperialistico di questa proiezione internazionale, che nulla ha di difensivo né, tanto meno, di “umanitario”.

L’utilizzo strumentale della lotta al terrorismo, la paura diffusa a piene mani nei confronti del “pericolo islamico”, le campagne razziste e xenofobe contro gli immigrati, sono parte della macchina di propaganda finalizzata ad ottenere il consenso a questa politica di aggressione ed al militarismo crescente e ad arginare e criminalizzare qualsiasi opposizione. 

Perfino la modifica del processo decisionale e del modo come vengono discusse in Parlamento le missioni militari è coerente con questa esigenza di compattamento sciovinistico e militare. 

Nel silenzio tombale dei media, lo scorso 14 luglio, è stata approvata in via definitiva la nuova “legge quadro sulle missioni internazionali”, la quale disciplina (art. 1) «la partecipazione delle forze armate, delle forze di polizia … e dei corpi civili di pace a missioni internazionali istituite nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l'Italia appartiene» (in particolare, come ben si comprende, la NATO), toglie (art. 2) al Parlamento, che può intervenire solo con generici “atti d'indirizzo”, la facoltà di approvare o respingere, in modo vincolante, le missioni militari, e dà, viceversa, al Governo (art. 2 e art. 3), pieni poteri nella realizzazione e nella conduzione delle missioni di guerra del nostro Paese. 

In pratica il Parlamento italiano (che certo non si è distinto nell’opposizione alle missioni militari passate e presenti) è stato esautorato (o meglio, votando questa legge, si è autoesautorato) da qualsivoglia potere decisionale in merito alle iniziative militari, delegando totalmente ogni decisione sulla guerra al potere esecutivo, che può agire senza, in alcuni casi, che il Parlamento venga neppure messo al corrente di tali iniziative. 

A questa accelerazione nella svolta autoritaria si accompagna la crescente repressione di quanti lottano contro la guerra e la militarizzazione del territorio. Solo poche settimane fa, proprio mentre il governo Renzi imponeva il dissequestro del MUOS, decine e decine di attivisti NO MUOS sono stati denunciati per la loro strenua opposizione a questo micidiale strumento di guerra.

Contro la messa in funzione del MUOS, contro l’uso delle basi militari presenti in Sicilia, contro le politiche razziste, gli hotspot e i CIE, il movimento NO MUOS ha indetto la manifestazione del 2 ottobre

Come “Rete campana contro la guerra ed il militarismo” siamo schierati al loro fianco. Facciamo appello a tutti gli antimilitaristi, ai comitati, alle associazioni, ai compagni tutti a sostenere e rafforzare questa mobilitazione anche con iniziative sui propri territori per rilanciare sul piano nazionale un movimento contro la guerraOpporsi al governo Renzi, contrastare questo stato di cose significa, oggi più che mai, lottare contro la guerra e la militarizzazione. 

Non possiamo, infatti, illuderci di difendere i nostri diritti e di contrastare gli attacchi alle nostre condizioni di vita rimanendo indifferenti o dimostrandoci concilianti con l’oppressione e la violenza del “nostro” Paese su altri Paesi. Le aggressioni economiche e militari verso altri popoli e la politica dei continui sacrifici per “uscire dalla crisi economica” che ci impoverisce quotidianamente, sono due facce della stessa medaglia e hanno identici responsabili.

Diciamo NO all’intervento militare in Libia e chiediamo il rientro delle truppe italiane impegnate nelle missioni all’estero.

Diciamo NO alle spese militari  che continuano a crescere  mentre si continuano a tagliare  le spese sociali.

Schieriamoci dalla parte dei dannati della terra rivendicando il diritto all’accoglienza per tutti gli immigrati. 

 

Rete campana contro la guerra ed il militarismo

Napoli, 16/09/2016


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I miliziani di Misurata che l’Italia va a curare sono criminali di guerra

di Marinella Correggia

Chissà cosa pensano dell’«operazione Ippocrate» i libici di Tawergha. Cinque anni fa, i 40mila cittadini di pelle nera che popolavano questa città furono oggetto di pulizia etnica: parecchi uccisi e imprigionati, tutti gli altri deportati in massa proprio dalle milizie dichiaratamente razziste di Misurata che l’Italia va a soccorrere. In effetti dei molti gruppi armati libici ai quali l’operazione Nato «Unified Protector» nel 2011 fece da forza aerea, le Misrata Brigates – decine di migliaia di combattenti, già parte essenziale della compagine islamista Fajr sostenuta dal Qatar – sono forse il peggio. Altro che gli «eroi in ciabatte», prima protagonisti della «rivoluzione» libica nel 2011, poi della «lotta contro Daesh a Sirte» nel 2016.

Dall’agosto 2011 Tawergha, in fondo un simbolo della «nuova Libia», è una città fantasma e semidistrutta. Gli abitanti fuggirono in massa mentre i «ribelli» vittoriosi uccidevano molti di loro, ne imprigionavano altri – accusandoli di stupri senza prove e chiamandoli mercenari – e davano fuoco alle case, con il pubblico consenso dell’appena insediato primo ministro libico Mahmoud Jibril, capo del Consiglio nazionale di transizione (Cnt). I fuggiaschi si rifugiarono nel sud della Libia e in campi profughi sparsi in diverse città oppure si spostarono in Tunisia ed Egitto. Da allora hanno condotto una vita grama.


Il 31 agosto scorso il rappresentante dell’Onu per la Libia Martin Kobler ha propiziato a Tunisi un accordo di riconciliazione fra Misurata e Tawergha che prevede fra l’altro il ritorno in condizioni di sicurezza degli sfollati, il ripristino a cura del governo libico di un minimo di servizi sociali – compresa la rimozione delle mine-, risarcimenti per gli uccisi e le proprietà danneggiate.

Non sarà facile rendere operativo ed equo un patto che risulta leonino fin dall’esordio: richiama infatti la dichiarazione del 23 febbraio 2012 con la quale «i leader delle tribù di Tawergha porgevano le scuse a Misurata per qualunque azione compiuta da qualunque residente di Tawergha». Nessuna scusa, invece, da parte degli autori della pulizia etnica.

Nel mirino dei misuratini, autori anche della cacciata di molte famiglie dall’area di Tamina, sono finiti poi un numero importante di cittadini non libici, africani subsahariani linciati o imprigionati senza processo né prove. La caccia al nero non è storia solo del 2011. L’inviato del New Statesman pochi mesi fa si è sentito rispondere dal guardiano dell’obitorio di Misurata che i corpi nella stanza erano di africani uccisi, magari per un telefonino.

Gli armati di Misurata hanno compiuto stragi di civili e attacchi indiscriminati anche durante l’assedio, nel 2012, alla città di Bani Walid accusata di ospitare sostenitori del passato regime. E al tempo dell’assedio di Sirte, con Misurata sempre in prima linea, fu impedito l’accesso alla Croce rossa nella città. Nell’agosto 2014 fioccarono invano altre accuse di crimini: le milizie Fajr guidate da Misurata, nel prendere il controllo di Tripoli e delle aree circostanti avevano costretto alla fuga migliaia di civili distruggendone le proprietà.

Impunità assoluta per i «ribelli» di Misurata anche rispetto ai crimini compiuti nelle loro carceri autogestite, con maltrattamenti e torture all’ordine del giorno e nessuna garanzia di equo processo a carico di detenuti qualificabili come politici. E mentre l’Ue chiudeva gli occhi per anni al traffico di armi verso le coalizioni jihadiste di Fajhr Libia, la città di Misurata rimane un hot spot, con ovvie complicità, in un altro traffico: quello di esseri umani.

Marinella Correggia – Il Manifesto del 16 settembre 2016


=== 3 ===

L’arte della guerra 

Esplosive mail della Clinton 

Manlio Dinucci 


Ogni tanto, per fare un po’ di «pulizia morale» a scopo politico-mediatico, l’Occidente tira fuori qualche scheletro dall’armadio. Una commissione del parlamento britannico ha criticato David Cameron per l’intervento militare in Libia quando era premier nel 2011: non lo ha però criticato per la guerra di aggressione che ha demolito uno stato sovrano, ma perché è stata lanciata senza una adeguata «intelligence» né un piano per la «ricostruzione». 

Lo stesso ha fatto il presidente Obama quando, lo scorso aprile, ha dichiarato di aver commesso sulla Libia il «peggiore errore», non per averla demolita con le forze Nato sotto comando Usa, ma per non aver pianificato «the day after». 

Obama ha ribadito contemporaneamente il suo appoggio a Hillary Clinton, oggi candidata alla presidenza: la stessa che, in veste di segretaria di stato, convinse Obama ad 
autorizzare una operazione coperta in Libia (compreso l’invio di forze speciali e l’armamento di gruppi terroristi) in preparazione dell’attacco aeronavale Usa/Nato. 

Le mail della Clinton, venute successivamente alla luce, provano quale fosse il vero scopo della guerra:  bloccare il piano di Gheddafi di usare i fondi sovrani libici per creare organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana e una moneta africana in alternativa al dollaro e al franco Cfa. 

Subito dopo aver demolito lo stato libico, gli Usa e la Nato hanno iniziato, insieme alle monarchie del Golfo, l’operazione coperta per demolire lo stato siriano, infiltrando al suo interno forze speciali e gruppi terroristi che hanno dato vita all’Isis. Una mail della Clinton, una delle tante che il Dipartimento di stato ha dovuto declassificare dopo il clamore suscitato dalle rivelazioni di Wikileaks, dimostra qual è uno degli scopi fondamentali dell’operazione ancora in corso. 

Nella mail, declassificata come 
«case number F-2014-20439, Doc No. C05794498», la segretaria di stato Hillary Clinton scrive il 31 dicembre 2012: «È la relazione strategica tra l’Iran e il regime di Bashar Assad che permette all’Iran di minare la sicurezza di Israele, non attraverso un attacco diretto ma attraverso i suoi alleati in Libano, come gli Hezbollah». Sottolinea quindi che «il miglior modo di aiutare Israele è aiutare la ribellione in Siria che ormai dura da oltre un anno», ossia dal 2011, sostenendo che per piegare Bashar Assad, occorre «l’uso della forza» così da «mettere a rischio la sua vita e quella della sua famiglia».

Conclude la Clinton: «Il rovesciamento di Assad costituirebbe non solo un immenso beneficio per la sicurezza di Israele, ma farebbe anche diminuire il comprensibile timore israeliano di perdere il monopolio nucleare». La allora segretaria di stato ammette quindi ciò che ufficialmente viene taciuto: il fatto che Israele è l’unico paese in Medio Oriente a possedere armi nucleari. 

Il sostegno dell’amministrazione Obama a Israele, al di là di alcuni dissensi più formali che sostanziali, è confermato dall’accordo, firmato il 14 settembre a Washington, con cui gli Stati uniti si impegnano a fornire a Israele i più moderni armamenti per un valore di 38 miliardi di dollari in dieci anni, tramite un finanziamento annuo di 3,3 miliardi di dollari più mezzo milione per la «difesa missilistica». 

Intanto, dopo che l’intervento russo ha bloccato il piano di demolire la Siria dall’interno con la guerra, gli Usa ottengono una «tregua» (da loro subito violata), lanciando allo stesso tempo una nuova offensiva in Libia, camuffata da operazione umanitaria a cui l’Italia partecipa con i suoi «parà-medici». Mentre Israele, nell’ombra, rafforza il suo monopolio nucleare tanto caro a Hillary Clinton.
 
(il manifesto, 20 settembre 2016)




(deutsch / english / italiano)


Panturchìa / 4
Auxiliary Troops Against Moscow

1) Jamala ha “vinto” cantando le lodi delle SS Naziste Tartare (F.W. Engdahl, 28.5.2016)
2) Hilfstruppen gegen Moskau / III (GFP 20.05.2016)
3) Washington accusa la Russa di perseguitare i Tartari (23.4.2016)


See also: Auxiliary Troops Against Moscow / I (GFP 2016/05/17)
One of Berlin's government advisors is calling for Russia's expulsion from the Council of Europe. The Russian government's actions against the Crimean Tatars and its banning their Mejlis - a political organization - along with other measures, make it "no longer possible to justify continuing Russian membership in the Council of Europe," ... In 1942, "every tenth Tatar on the Crimean Peninsula was in the military" - on the side of Nazi Germany. Crimean Tatars fought on the side of the German Wehrmacht against the Soviet Union, excelling in the notorious "efforts to crush the partisan movement" and turned their Jewish neighbors over to the Nazis' henchmen. Already in the 1920s, leading Tatar functionaries had complained of a "Jewification" of their communities, in their protests against Moscow's resettlement measures of Jewish families. Later, exiled Crimean Tatars volunteered their services for the West's cold war efforts to destabilize Moscow. The Mejlis, which today is quite controversial among the Crimean Tatars, stands in this tradition...

Per la stessa serie si vedano:
Panturchìa / 1: Poverini i Tartari di Crimea! (english / italiano, 17.5.2016)
Panturchìa / 2: Krimtataren als Hilfstruppen gegen Moskau (deutsch, 17.5.2016)
Panturchìa / 3: Aspirazioni neo-ottomane (italiano, 20.5.2016)
ed anche:
Towards A New War Of Crimea (english / deutsch / italiano, 30.11.2016)


=== 1 ===


Jamala ha “vinto” cantando le lodi delle SS Naziste Tartare

Scritto da F. William Engdahl

Non voglio discutere dei meriti musicali di chi avrebbe dovuto vincere il recente festival musicale per dilettanti di Stoccolma. E’ assolutamente evidente che Jamala, di etnia Tartaro-Ucraina, è stata fatta vincere in una gara truccata per farne un caso politico. Come lei stessa ha ammesso successivamente, si è voluto accomunare le azioni di Stalin durante la Seconda Guerra Mondiale contro i Tartari di Crimea con quelle di Mosca in Crimea nel 2014. La canzone di Jamala era palesemente politica e, secondo le regole dell’Eurovisione, bisognerebbe privarla del titolo, a prescindere dal suo talento canoro (dalla mancanza di esso). Quello che manca in maniera così evidente nella copertura mediatica occidentale, in quella che da molti viene considerata una palese politicizzazione di un festival musicale, è chi veramente fossero quelli contro cui, nel lamento di Jamala, combattevano i Tartari di Crimea nel 1944. La risposta potrebbe essere per molti una sorpresa.

La canzone di Jamala “1944” commemora le sofferenze patite dai Tartari mussulmani di Crimea che erano stati deportati a migliaia da Stalin nell’Asia Centrale. L’immagine lasciata da Jamala è quella di una barbara crudeltà da parte del dittatore sovietico nei confronti degli innocenti Tartari. Volendo però fornire un’immagine storicamente corretta, i Tartari di Crimea, in quella guerra, tutto sono stati meno che innocenti civili. Decine di migliaia di loro erano stati organizzati, per ordine di Hitler, nelle brigate delle SS tartare-crimeane.

Il problema qui non è se Stalin abbia reagito con brutalità alla situazione dei Tartari nel 1944. Questo è stato riconosciuto dalla stessa Unione Sovietica già dopo la morte di Stalin. Quello che i media di oggi ignorano profondamente è la realtà storica del 1944, che la canzone della trentaduenne tartara crimeana Jamala lascia fuori.

La Crimea occupata dai Nazisti

Dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa, l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica nel giugno del 1941, la Crimea era caduta sotto l’occupazione nazista. La sua popolazione di allora era etnicamente costituita da Tartari e da Russi.

Secondo un resoconto d’archivio del quotidiano russo “Pravda Report”, alle origini della deportazione di decine di migliaia di Tartari crimeani nel 1944 c’era il fatto che la Wehrmacht e le forze naziste di occupazione avevano arruolato migliaia di tartari crimeani per opporsi alla liberazione della Crimea da parte dell’Armata Rossa:“Nell’aprile-maggio del 1944 il Battaglione Tartaro di Crimea prese parte alle battaglie contro l’Armata Rossa in Crimea. Le unità che erano state evacuate dalla Crimea nel giugno del 1944 vennero reinquadrate nei tre battaglioni del Reggimento SS Truppe da Montagna Tartare. Un mese dopo, il gruppo divenne la prima Brigata SS Truppe da Montagna Tartare (2.500 uomini) al comando del SS Standartenfuhrer Fortenbaf. Il 31 dicembre 1944 l’unità fu smantellata, inglobata nel distaccamento SS Turchia Orientale ed inserita nel gruppo da battaglia della Crimea: due battaglioni di fanteria ed un centinaio di cavalli”.

Nella sua testimonianza al Tribunale di Norimberga il Feldmaresciallo tedesco Erich von Manstein aveva testimoniato sull’utilità per i Nazisti dei feroci battaglioni tartari: “La maggior parte della popolazione tartara della Crimea era molto amichevole nei nostri confronti. Eravamo anche in grado di allestire compagnie di auto-difesa formate da Tartari, il cui compito era quello di proteggere i villaggi dai partigiani che si nascondevano sulle montagne. Una forte mobilitazione partigiana (favorevole all’Unione Sovietica) si era venuta a formare in Crimea fin dagli inizi, e la cosa ci causava parecchi fastidi. La ragione di questa forte mobilitazione era dovuta al fatto che nella popolazione della Crimea vi erano molti Russi”.

Von Manstein aveva continuato: “I Tartari si erano subito schierati dalla nostra parte. Nel dicembre del 1941 erano stati istituiti in Crimea i Comitati Mussulmani Tartari per aiutare l’amministrazione degli occupanti tedeschi. Il Comitato Centrale dei Mussulmani di Crimea aveva cominciato ad operare a Simferopoli. La loro organizzazione e le loro attività erano sotto la diretta supervisione delle SS”.

I Tartari crimeani delle brigate SS mussulmane combatterono contro i Russi dal 1941 fino alla riconquista della Crimea da parte dell’Armata Rossa nel 1944, dopodiché Stalin ordinò la deportazione di 240.000 Tartari mussulmani. (Fonte Bundesarchiv)

I terroristi mussulmani radicali delle SS

Nel mio ultimo libro: “L’Egemone perduto: chi sarà distrutto dagli dei”, descrivo i retroscena poco conosciuti, ma assai importanti, delle relazioni fra il Terzo Reich ed alcuni gruppi mussulmani. All’inizio della guerra, nel 1941, la figura di spicco della fratellanza Mussulmana, Amin al-Husseini, allora Gran Mufti di Gerusalemme era stato ricevuta a Berlino da Hitler e da Himmler. Non se ne era allontanato per tutta la durata della guerra, organizzando la propaganda anti-ebraica e formando brigate filo-naziste, composte da fanatici mussulmani, nelle zone orientali dell’Unione Sovietica, in Egitto, in Palestina ed altrove, affinché combattessero a favore del Terzo Reich.

A Berlino, la Fratellanza Mussulmana del Gran Mufti ebbe uno dei ruoli meno conosciuti e più macabri nello sterminio nazista di milioni di Ebrei. Divenne intimo amico di Heinrich Himmler, il Reichsfuhrer degli appartenenti al temuto culto della morte nazista, conosciuto come Schultzstaffel (SS). Himmler è stato forse il più diretto responsabile della messa in pratica dell’Olocauto da parte del Terzo Reich.

Il Gran Mufti stringe la mano ad Himmler nel 1943

Nella sua testimonianza al Processo di Norimberga dopo la guerra, Dieter Wisliceny, il vice di Adolf Eichmann, aveva testimoniato, prima di essere condannato all’impiccagione per crimini contro l’umanità: “Il Mufti è stato uno degli iniziatori dello sterminio sistematico degli Ebrei europei e un collaboratore e un consigliere di Eichmann e Himmler nell’esecuzione di questo piano… Era uno dei migliori amici di Eichmann e lo spronava costantemente ad accelerare il processo di sterminio”.

Al Gran Mufti era stato ordinato da Himmler di organizzare le brigate SS mussulmane, come quelle dei Tartari di Crimea. Le aveva costituite in Bosnia e in tutte le zone dell’Est europeo occupate dai Nazisti, compresa la Crimea. E’ significativo, e lo ribadisco nel libro, come i fanatici di al-Qaeda, dell’ISIS e degli altri gruppi radicali terroristici mussulmani odierni si possano far risalire direttamente all’organizzazione delle SS naziste mussulmane di quella guerra, compreso il terrorismo turco, bosniaco e dei Tartari di Crimea.

In guerra non ci sono vincitori. Comunque, nell’interesse della verità storica e dell’onestà, il Ministro degli Esteri svedese e tutti quelli in Occidente che hanno intessuto lodi a Jamala e alla sua canzone “1944” farebbero meglio a completare il quadro. Ma allora, il desiderato effetto politico, voluto dalla divisione propaganda della NATO per demonizzare ulteriormente Putin e la Russia, colpevoli di aver acconsentito nel 2014 all’annessione della Crimea, dopo la schiacciante approvazione da parte del 93% della popolazione crimeana, perderebbe tutta la sua efficacia. Non sarebbe triste? La Hedda Hopper odierna, la guerrafondaia del Dipartimento di Stato Victoria Nuland, o il Segretario alla Difesa Ash Carter, o il Capo degli Stati Maggiori Riuniti “Fighting Joe” Dunford e tutto il complesso militare industriale americano sarebbero molto infelici se ciò dovesse accadere.

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Articolo di F. William Engdahl, pubblicato da New Eastern Outlook il 28 Maggio 2016
Tradotto in Italiano da Mario per SakerItalia.it



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Hilfstruppen gegen Moskau (III)
 
20.05.2016
BERLIN/KIEW
 
(Eigener Bericht) - Berlin baut seine Zusammenarbeit mit dem Medschlis der Krimtataren trotz dessen Verwicklung in Gewaltaktionen aus. Erst kürzlich ist der Vorsitzende des Medschlis, Refat Tschubarow, zu politischen Gesprächen im Auswärtigen Amt gewesen. Dem Treffen stand nicht entgegen, dass Tschubarow im September eine eigenmächtige Blockade des ukrainischen Handels mit der Krim angekündigt hatte - und auch nicht, dass Tschubarow im Oktober die für die Krim-Bevölkerung schädlichen Folgen der Tataren-Blockade, nämlich Mangel und empfindliche Preiserhöhungen bei Grundnahrungsmitteln, ausdrücklich gepriesen hatte. Sogar die Sprengung von Strommasten durch Aktivisten aus dem Umfeld des Medschlis, die die Krim in hohem Maß von der Stromversorgung abgeschnitten hat, lässt das deutsche Außenministerium nicht auf Distanz zu der Vereinigung gehen. Deutsche Ethno-Organisationen haben schon vor Jahren gute Beziehungen zu Tschubarow und zu seinem Amtsvorgänger Mustafa Dschemiljew aufgebaut, die von 2010 an intensiviert wurden, um nach dem Regierungswechsel in Kiew antirussische Kreise in der Ukraine zu stärken. Die Kooperation mit dem Medschlis-Milieu, das unter den Tataren auf der Krim durchaus umstritten ist, erfolgt in enger Abstimmung mit den USA, der Türkei unter Erdoğan und anderen NATO-Staaten. Die Parallelität von Kooperation mit den Krimtataren und deren teils gewalttätigen Protesten erinnert an die Entwicklung im Frühjahr 2013 in der Ukraine.
Für den Friedensnobelpreis nominiert
Die deutschen Beziehungen zum Medschlis der Krimtataren können auf ein bereits seit Jahren gewachsenes Fundament im Milieu völkischer Organisationen aufbauen. So steht zum Beispiel die Gesellschaft für bedrohte Völker (GfbV), die sich für Sonderrechte ethnisch definierter Minderheiten in aller Welt einsetzt, schon lange in Kontakt zum Medschlis. Im Jahr 2005 hat sie dessen damaligem Vorsitzenden Mustafa Dschemiljew ihren "Victor-Gollancz-Preis" verliehen; die Laudatio hielt Erika Steinbach (CDU), damals Präsidentin des Bundes der Vertriebenen (BdV). Die GfbV betreibt nicht nur Öffentlichkeitsarbeit für die Krimtataren; sie hat dem Medschlis auch geholfen, Kontakte ins Auswärtige Amt zu knüpfen: Im Sommer 2009 beteiligte sie sich an Gesprächen, die eine Delegation in Deutschland lebender Krimtataren im Auswärtigen Amt führte; im Ergebnis sagten zuständige Stellen im Außenministerium zu, "Beratung bei der Suche nach politisch-diplomatischen Partnern in Deutschland" zu leisten.[1] Zudem hat die von Flensburg aus gesteuerte und mit dem Bundesinnenministerium kooperierende Föderalistische Union Europäischer Volksgruppen (FUEV), der Ethno-Organisationen aus Europa, dem Kaukasus und Zentralasien angehören [2], den Medschlis unter ihre Mitglieder aufgenommen und promotet seine Interessen. 2011 unterstützte sie die Nominierung des damaligen Medschlis-Vorsitzenden Mustafa Dschemiljew, der mehrmals an ihren Kongressen teilgenommen hatte, für den Friedensnobelpreis.
Im Strategiezentrum
Nach der Abwahl des prowestlichen ukrainischen Staatspräsidenten Wiktor Juschtschenko im Jahr 2010 hat es Versuche gegeben, die deutsch-krimtatarischen Kontakte auch auf staatlicher Ebene auszubauen. Hintergrund waren Bemühungen, auf allen Ebenen Kräfte zu stärken, die sich für die Anbindung der Ukraine an die EU einsetzten; es war die Zeit, als die Konrad-Adenauer-Stiftung (CDU) daran ging, die Partei UDAR des späteren Majdan-Anführers Witali Klitschko zu fördern [3], und als Berlin und Brüssel auf die Unterzeichnung des Assoziierungsabkommens der EU mit der Ukraine drangen. Am 28./29. Juni 2011 kam, mitorganisiert von der GfbV, der erste "deutsch-krimtatarische Dialog" in Berlin zusammen; es gehe bei der Kooperation nicht zuletzt darum, "die Frage der Krimtataren als Teil ... der Annäherung an EU-Strukturen diskutieren", hieß es anschließend in einem Bericht.[4] Am Rande des "Dialogs" trafen der damalige Medschlis-Chef Dschemiljew, sein ab 2013 amtierender Nachfolger, Refat Tschubarow, und der Medschlis-Beauftragte für Außenbeziehungen, Ali Khamsin, auf Bundestagsabgeordnete und Vertreter des Auswärtigen Amts sowie des Bundesinnenministeriums. Im Rahmen des dritten "deutsch-krimtatarischen Dialogs", den auch krimtatarische Politiker besuchten, stellte die Bundesakademie für Sicherheitspolitik am 19. September 2013 ihre Räume für eine Diskussionsveranstaltung zur Verfügung, auf der nicht zuletzt krimtatarische Themen debattiert wurden. Die Bundesakademie dient als außen- und militärpolitisches Strategiezentrum Berlins.[5]
Exklusive Gespräche
Seit der Übernahme der Krim durch Russland haben die deutsch-krimtatarischen Beziehungen sich auf offizieller Ebene rasant intensiviert. Dabei halten deutsche Politiker und staatliche Stellen lediglich Kontakt zum Medschlis und zu ihm nahestehenden Kreisen; diejenigen Kräfte unter den Krimtataren, die die prowestlich-antirussische Politik des Medschlis ablehnen (german-foreign-policy.com berichtete [6]), werden von Berlin ebenso wie von Brüssel und Washington weitgehend ignoriert. Bereits am 10. April 2014 empfing Erika Steinbach,Vorsitzende der Arbeitsgruppe Menschenrechte der CDU/CSU-Bundestagsfraktion, den Medschlis-Außenbeauftragten Ali Khamsin zu Gesprächen in Berlin. Anfang Juli 2014 traf der CSU-Bundestagsabgeordnete Bernd Fabritius, der wenig später Steinbach im Amt des BdV-Vorsitzenden folgte [7], in Straßburg mit dem früheren Medschlis-Chef Dschemiljew zusammen. Bei einer Kurzvisite in der Ukraine am 23./24. Juli 2014 besprach sich auch eine Delegation der Europäischen Volkspartei (EVP), in der CDU und CSU eine starke Stellung innehaben, mit Vertretern der Krimtataren. Für den 17. März 2015 kündigte die Konrad-Adenauer-Stiftung in Brüssel ein exklusives "Adenauerforum" mit dem einstigen Medschlis-Vorsitzenden Dschemiljew an - "Teilnahme nur auf persönliche Einladung". Am 21. Oktober letzten Jahres folgte eine Podiumsdiskussion mit dem Medschlis-Vorsitzenden Tschubarow in der Berliner Zentrale der Adenauer-Stiftung, bei der diverse Personen aus dem außenpolitischen Establishment der deutschen Hauptstadt zugegen waren.
Antirussische Interessen
Gleichzeitig intensivieren die Krimtataren ihre Beziehungen zu weiteren EU- und NATO-Staaten. Der ehemalige Medschlis-Vorsitzende Dschemiljew reiste im April 2014, unmittelbar nach der Übernahme der Krim durch Russland, zu politischen Gesprächen nach Washington, wo er am 4. April unter anderem mit Wendy Sherman, Unterstaatssekretärin für Politische Angelegenheiten im US-Außenministerium, zusammentraf.[8] Ende September 2015 flog der Medschlis-Vorsitzende Tschubarow ebenfalls zu politischen Gesprächen in die US-Hauptstadt. Im Dezember 2015 trafen Dschemiljew und Tschubarow in Ankara mit Staatspräsident Recep Tayyip Erdoğan und mit Ministerpräsident Ahmet Davutoğlu zusammen; dem Termin kam besondere Bedeutung zu, da die Türkei sich als "Schutzmacht" der turksprachigen Krimtataren versteht und wegen der Eskalation ihres Konflikts mit Russland erhebliches Interesse daran hat, antirussische Kräfte um sich zu scharen. Dschemiljew hat in der Türkei nicht nur einige Ehrendoktorwürden, sondern am 15. April 2014 auch den höchsten staatlichen Verdienstorden erhalten. Am 3. Juni 2014 wurde ihm darüber hinaus in Polen der erste "Lech Wałęsa-Solidaritätspreis" verliehen.
Gewalt: kein Hinderungsgrund
Dabei steht dem Ausbau der gegen Moskau gerichteten Zusammenarbeit mit dem Medschlis der Krimtataren nicht entgegen, dass dessen Aktivisten Gewaltaktionen organisieren. So kündigte der Medschlis-Vorsitzende Tschubarow am 16. September 2015 an, ab dem 20. September würden Krimtataren den Warenhandel zwischen der Ukraine und der Krim blockieren. Die Blockade kam tatsächlich zustande - und beeinträchtigte die gesamte Bevölkerung der Krim erheblich. Am 8. Oktober lobte Tschubarow die illegale Maßnahme, da sie spürbaren Mangel sowie empfindliche Preiserhöhungen bei Grundnahrungsmitteln auf der Krim verursache - und auf diese Weise die Halbinsel wieder ins Zentrum der internationalen Aufmerksamkeit rücke.[9] Nur vier Tage später traf er bei den "Kiewer Gesprächen", die die Konrad-Adenauer-, die Friedrich-Naumann- (FDP) und die Heinrich-Böll-Stiftung (Bündnis 90/Die Grünen) "mit freundlicher Unterstützung des Auswärtigen Amts" organisierten, mit der Grünen-Fraktionsvorsitzenden im Europaparlament, Rebecca Harms, dem Leiter des "Arbeitsstabes Ukraine" im Auswärtigen Amt, Johannes Regenbrecht, und dem Leiter des OSZE-Menschenrechtsbüros (ODIHR), dem Deutschen Michael Link, zusammen. Die Blockade zu Lasten der Krim-Zivilbevölkerung, die die Tataren gemeinsam mit ukrainischen Faschisten vom "Rechten Sektor" durchführten, wurde fortgesetzt; nur wenige Tage nachdem Tschubarow und Dschemiljew am 9. November mit der EU-Außenbeauftragten Federica Mogherini über die "De-Okkupation der Krim" konferiert hatten, sprengten Aktivisten Strommasten im Süden der Ukraine und schnitten die Krim damit weitgehend von der Stromversorgung ab.
Wie 2013 in Kiew
Die Parallelität von gewalttätigen Protesten auf der einen, Verhandlungen mit deutschen und EU-Politikern auf der anderen Seite erinnert fatal an die Entwicklung in der Ukraine, als von Dezember 2012 bis Mai 2013 - ein Jahr vor den Majdan-Unruhen - Parlaments- und Straßenproteste mit Gesprächen der Opposition mit Diplomaten aus Deutschland und der EU einhergingen (german-foreign-policy.com berichtete [10]). Die weitere Entwicklung in der Ukraine ist bekannt.
Ein erstes Echo
Dabei intensiviert Berlin die Kontakte weiter. Wie die Botschaft der Ukraine in der deutschen Hauptstadt Ende April mitteilte, hatte Tschubarow soeben an einer Diskussionsveranstaltung der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) teilgenommen und sich vor allem mit Politikern und Diplomaten im Auswärtigen Amt ausgetauscht.[11] Nach dem Treffen gab die Menschenrechtsbeauftragte der Bundesregierung, Bärbel Kofler, einen Appell zugunsten der Krimtataren an die Medien. Laut der ukrainischen Botschaft handelte es sich dabei um ein erstes unmittelbares "Echo" auf die Gespräche der deutschen Diplomaten mit Tschubarow. Was darüber hinaus besprochen wurde, ist nicht bekannt.
[1] Verständnis und Unterstützung. Vertreter tatarischer Vereine waren eingeladen ins Auswärtige Amt. www.gfbv.de 17.09.2009.
[2] S. dazu Hintergrundbericht: Die Föderalistische Union Europäischer Volksgruppen.
[3] S. dazu Unser Mann in Kiew.
[4] Mieste Hotopp-Riecke: Der lange Schatten Stalins über den Stiefkindern Eurasiens. www.eurasischesmagazin.de.
[5] S. dazu Alle für Deutschland.
[6] S. dazu Hilfstruppen gegen Moskau (II).
[7] S. dazu Kurs auf Osteuropa.
[8] S. dazu Die Belagerung der Krim (II).
[9] Crimean blockade getting Moscow's attention. euromaidanpress.com 08.10.2015.
[10] S. dazu Termin beim Botschafter.
[11] Parlamentsabgeordneter Chubarov spricht in Berlin über die Menschenrechtslage auf der Krim. germany.mfa.gov.ua 29.04.2016.


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Washington accusa la Russa di perseguitare i Tartari



RETE VOLTAIRE | 23 APRILE 2016 
Il 13 aprile 2016, la giustizia russa ha vietato le attività del “Parlamento tartaro”, un’organizzazione separatista di Crimea, sostenuta da Turchia e Ucraina. Secondo l’atto di accusa, trattasi dell’associazione che – come già da noi pubblicato – ha organizzato il blocco dei camion provenienti dall’Ucraina e ha fatto saltare le linee elettriche ad alta tensione, piombando la penisola nell’oscurità e nel freddo.
Viste le sue attività terroristiche, la giustizia russa ha ritenuto di dover revocare al “Parlamento tartaro” il diritto d’associazione.
Contrariamente a quanto potrebbe far pensare il nome, il “Parlamento tartaro” non è un organo rappresentativo, ma un consiglio direttivo composto di 33 membri eletti dai 220 aderenti all’associazione politica del Qurultay.
Il presidente del “Parlamento tartaro” è Refat Choubarov (Çubarov in turco), suo animatore il deputato ucraino e agente Cia Moustafa Djemilev (Cemiloğlu in turco), fondatori entrambi della “Brigata islamica internazionale” e del “Governo di Crimea in esilio”, basate entrambe a Kershon e dedite al sabotaggio della base militare di Crimea [1].
La maggior parte dei membri di queste organizzazioni aderisce peraltro a Hizb ut-Tahrir, una costola dei Fratelli mussulmani, attiva soprattutto a Londra e in Asia Centrale. L’Organizzazione di Cooperazione di Shangai è nata inizialmente proprio per lottare contro questa confraternita terroristica.
Lo scorso 21 aprile, il portaparola del Dipartimento di Stato Usa, John Kirby, ha accusato la Russia di agire senza basi legali e di attentare alla libertà di espressione dei tartari.
Dopo la riunificazione della Crimea alla Russia, Mosca ha riconosciuto la lingua tartara, ha riabilitato i 180.000 tartari che Stalin aveva deportato in massa e ha destinato alla Penisola 10 miliardi di rubli. La maggioranza dei tartari di Crimea – circa 250.000 – ha accolto con favore la riunificazione, mentre una minoranza – circa 20.000 (ossia l’8%) – ha ripreso la lotta contro Mosca, iniziata durante la Seconda guerra mondiale e proseguita con la Guerra fredda.
L’Ucraina si appresta a suo modo a mediatizzare la questione tartara, presentando al concorso di Eurovisione del prossimo 14 maggio la cantante crimeana Jamala, con una canzone dedicata alla deportazione di massa del 1944 dei Tartari, che però non ricorda il collaborazionismo dei loro capi con i nazisti, i cui successori sono oggi al potere a Kiev.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 

[1] « L’Ukraine et la Turquie créent une Brigade internationale islamique contre la Russie » (L’Ucraina e la Turchia creano una Brigata internazionale islamica contro la Russia), Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 12 août 2015.




ORIG.: Milosevic e a actualidade (Jorge Cadima, "Avante" N.º 2231, 1.Setembro.2016)
Slobodan Milosevic morreu há dez anos nos calabouços do «tribunal» especial criado pelos carrascos da Jugoslávia, o ICTY. Seguindo o guião usual, o presidente (repetidamente eleito) Milosevic fora pessoalmente demonizado e caluniado como prelúdio à destruição do seu país. Pela calada, o ICTY acaba agora de reconhecer a falsidade das calúnias (ilibando os mortos para condenar os vivosi)...
http://www.avante.pt/pt/2231/temas/141842/

Una traduzione alternativa su Marx21: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/pace-e-guerra/27179-milosevic-e-lattualita


http://www.resistenze.org/sito/os/dg/osdggi13-018295.htm
www.resistenze.org - osservatorio - della guerra - 13-09-16 - n. 601

La via della guerra è un enorme pericolo: Milosevic e l'attualità.

Jorge Cadima | odiario.info 
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

08/09/2016

Secondo l'usuale copione, il presidente (rieletto più volte) Milosevic è stato personalmente demonizzato e calunniato come preludio alla distruzione del suo Paese. Dopo la sua morte, il Tribunale Internazionale per i crimini nell'ex Jugoslavia (ICTY) ha riconosciuto la falsità di quelle calunnie (assolvendo i morti per condannare quelli ancora vivi).

E' importante rompere le barriere del vergognoso silenzio complice dei media di regime su  questo riconoscimento di innocenza - il quale contrasta palesemente con l'urlato unanimismo con cui vennero sostenute le accuse due decenni fa. Ed è importante trarne lezioni su come tutto questo è finito. Lezioni che sono di tremenda attualità. Nuove campagne guerrafondaie dalle conseguenze potenzialmente molto più drammatiche sono oggi in corso.

L'asserito "genocidio" e la "pulizia etnica" di cui la Jugoslavia e Milosevic sono stati accusati sono come le "armi di distruzione di massa di Saddam Hussein": una finzione mostruosa. Un falso impianto accusatorio preparato per sferrare poi l'offensiva militare propriamente detta. Nel suo libro "La crociata dei ciechi" (Caminho, 2002) la giornalista nordamericana Diana Johnstone ha fornito i numerosi dettagli di questa truffa colossale.

La "necessità" per i guerrafondai di una "pulizia etnica" era stata "confessata un anno prima dell'inizio del conflitto dalla rivista Time (23.3.1998). Parlando dei conflitti a bassa intensità allora già in corso nel Kosovo, e della resistenza contro le operazioni militari condotte dalla NATO contro la Jugoslavia, Time aveva modo di affermare: "Gli USA e la Gran Bretagna dovrebbero agire unilateralmente o convincere altri ad unirsi a loro. Nessuno di questi scenari è probabile a meno che Milosevic non lanci una campagna di genocidio o di pulizia etnica". E dopo aver riconosciuto che non vi era nulla che andasse in questa direzione e che "appena dieci rifugiati avevano riparato in Albania" proseguiva la rivista americana: "Questa può sembrare una buona notizia […], ma c'è un problema. Se non c'è una vera e propria pulizia etnica od una vera ondata di profughi che attraversino i confini internazionali con Albania o Macedonia ci sono poche possibilità per un intervento internazionale".

Un anno dopo, le potenze imperialiste invertirono la questione: sono stati i bombardamenti NATO iniziati il 24 marzo 1999 che hanno provocato l'esodo di massa degli abitanti di origine albanese dal Kosovo, come confesserà in un secondo momento l'ex segretario generale della Nato Lord Carrington (Diario de Noticias, 27.8.1999). La propaganda guerrafondaia dei media occidentali e dei grandi capitali si incaricò del resto.

Per oltre un decennio si è riconosciuto che non vi era nessuna base plausibile per condannare Milosevic. Fox News titolava il 28.2.2004: "Milosevic sarà probabilmente assolto dalle accuse di genocidio" e scriveva che dopo due anni di processo alla Corte Internazionale per i Crimini nell'ex Jugoslavia era "convinzione comune" che i pubblici ministeri "non erano riusciti" a sostenere le accuse.

La coraggiosa difesa di Milosevic davanti alla Corte Internazionale è stata un ostacolo tremendo per i piani della NATO. L'avvocato canadese di diritto penale internazionale, capo della Commissione Giuridica del Comitato Internazionale per la difesa di Milosevic, Christopher Black, ha sintetizzato la situazione: "il processo [a Milosevic] era necessario alla NATO per giustificare l'aggressione contro la Jugoslavia ed il golpe supportato dalla NATO [che destituì Milosevic nell'Ottobre del 2000] […] e non poteva che finire in uno dei due modi: o con la condanna o con la morte del Presidente Milosevic […] Ma una condanna del Presidente Milosevic era diventata chiaramente impossibile dopo la presentazione degli elementi di prova […] la sua morte è diventata l'unica via di uscita possibile per le potenze della NATO"

L'8 marzo 2006 Milosevic scriveva una lettera ufficiale al Ministero degli Esteri della Russia, dichiarando il sospetto che, invece di esser curato per i suoi problemi cardiaci, fosse stato avvelenato. Tre giorni dopo Milosevic moriva nella sua cella dentro le prigioni della NATO e della Corte Internazionale. I legittimi sospetti di omicidio si rafforzano se pensiamo al destino che hanno subito altri obiettivi delle potenze imperialiste come Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi.

La legge del più forte

La propaganda di guerra doveva essere terroristica ed implacabile perché la dimensione del crimine che si stava perpetrando era enorme. La guerra di aggressione contro la Jugoslavia è stata la prima guerra in Europa dal 1945. E' stata la prima guerra scatenata dalla NATO in violazione aperta del Diritto Internazionale. Ma fu soprattutto l'affermazione da parte delle potenze imperialiste di un nuovo legame tra le forze risultanti dalla disintegrazione dell'URSS e le vittorie controrivoluzionarie nell'Est Europa le quali han permesso loro di liberarsi dalle catene che la sconfitta del nazifascismo aveva loro imposto nel 1945.

La Carta dell'ONU era cosa del passato. A partire da oggi era in vigore la legge del più forte. Ed il più forte era l'imperialismo nordamericano. Questa era l'essenza della nuova concezione strategica della NATO, approvata nel pieno corso dell'aggressione alla Jugoslavia (vertice di Washington del 23-24 aprile 1999) nel quale si gettò via la maschera di organizzazione di sola difesa proclamando il "diritto" di intervenire in qualunque parte del globo. Questo era il significato della distruzione con bombardamento dell'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Belgrado, asseritamente avvenuta "per sbaglio", ma che fu "l'unico obiettivo prescelto dalla CIA nelle 11 settimane di bombardamento sulla Jugoslavia" (Reuters, 23.7.1999).

Ebbri delle vittorie dell'imperialismo nell'inizio del decennio, i cronisti di regime confessavano che "durante la Guerra Fredda sarebbe bastato un unico avviso del Cremlino per tenere le mani della NATO fuori dai Balcani" (Financial Times, 26.3.1999). Un altro commentatore affermava che "nei giorni in cui l'URSS era nel pieno del suo potere, essa avrebbe impedito agli USA di interferire, oggi siamo lì perché siamo liberi con i nostri missili Cruise di sostenere i nostri ideali e le nostre simpatie". E' questo quello che intendono quando parlano di "libertà".

Sarebbe stato difficile per la NATO sdoganare i bombardamenti su Belgrado senza la scandalosa legittimazione di questi ultimi da parte delle forze politiche che si autoproclamavano "di sinistra" o "progressiste". Nel marzo del 1998 il presidente USA era Clinton. In Germania c'era un governo di coalizione tra socialdemocratici e verdi. In Inghilterra, i laburisti - con Tony Blair - erano al potere. In Francia era Presidente il socialista Jospin, a capo di un governo di "sinistra pluralista".

L'Italia aveva avuto per la prima volta un capo di governo proveniente dall'ex Partito Comunista Italiano (1). In Portogallo Antonio Guterres era a capo di un governo retto dal Partito Socialista. Era allora segretario generale della NATO il socialista spagnolo Javier Solana, che all'inizio della sua carriera politica si opponeva all'adesione della Spagna alla NATO. La promozione delle fandonie sulle "guerre umanitarie" da parte di questi "progressisti" è stata criminale - anche perché ha generato alcune lucrose carriere politico-affaristiche - ed ha contribuito a confondere ed indebolire il movimento contro la guerra. Questa patente di legittimazione "progressista" delle guerre dell'imperialismo ha avuto un seguito in Libia, Siria, Ucraina e nelle operazioni in corso contro la Russia, la Cina, la Repubblica Popolare Democratica di Corea, l'Iraq, l'Angola ed altri paesi.

Parliamo del presente

Come è avvenuto altrove, l'aggressione imperialista ha distrutto la Jugoslavia. I bombardamenti della NATO cessarono dopo 78 giorni, con un accordo di cessate il fuoco che riconosceva la sovranità della Jugoslavia sul Kosovo e prevedeva la smilitarizzazione dei terroristi dell'UCK.

Ma i patti firmati dall'imperialismo nordamericano non valgono nemmeno il prezzo della risma di carta su cui sono stampati. L'anno successivo all'accordo, la CIA organizzava a Belgrado la prima delle sue "rivoluzioni arancioni" che destituiva il Presidente eletto Milosevic che veniva consegnato nel 2001 alla Corte Internazionale per i crimini in Jugoslavia. Nel 2008 il Kosovo dichiarava la sua indipendenza, immediatamente riconosciuta dalle maggiori potenze della NATO.

Gli uomini dell'UCK, lungi dal disarmarsi, si trasformarono nelle forze di "sicurezza" del territorio ed occuparono le posizioni ai vertici del potere del neonato paese. Il giornale inglese Guardian descriveva la situazione in Kosovo a meno di un anno dopo l'occupazione da parte della NATO (13.3.2000): "Le agenzie internazionali che combattono il traffico di stupefacenti avvertono che il Kosovo si è trasformato in un "paradiso di trafficanti", in grado di fornire fino al 40% dell'eroina venduta in Europa e Nord America. Dal momento che le forze della NATO […] non hanno mandato per combattere i trafficanti di droga né per avversare l'espulsione della polizia serba dal Kosovo, ciò consente ai trafficanti di gestire la 'rotta balcanica' in assoluta libertà".

La "libertà" della NATO si estende ad altre sordide attività. Nel 2011 il Consiglio d'Europa approva la relazione del senatore svizzero Marty che accusa "esponenti di spicco dell'UCK di assassinare prigionieri serbi ed albanesi-kossovari nonché di traffico con i loro organi. Il primo ministro del Kosovo Hashim Thaci figura tra gli accusati"
(swissinfo.ch, 25.1.11).

E' importante ricordare questi fatti. Non stiamo parlando del passato. Stiamo parlando del presente. Stiamo parlando delle campagne di demonizzazione di Assad, Putin o Kim Jong Un. La crisi del sistema capitalista si presta a conoscere una nuova esplosione. Non ci sono palliativi che possano nascondere il completo crollo del sistema finanziario. La tentazione del sistema di rispondere con la guerra è un enorme pericolo. E' questa la natura dell'imperialismo. Scambiare in modo opportunista la vera essenza dell'imperialismo con semplici menzogne od illusioni mediatiche significa disarmare i popoli e fare il gioco dei veri signori della guerra e del genocidio.

Note

1) Massimo D'Alema, a capo di un governo di centrosinistra che, contrariamente a quanto voluto dalla Costituzione, approvò la guerra di aggressione ad uno Stato indipendente Europeo senza portare la questione in Parlamento ed autorizzò l'uso dello spazio aereo. Dalle basi NATO localizzate in Italia, Aviano ed altre, partirono i massicci raid aerei di bombardamento. (N.d.t.)

Altre fonti: 
Avante!, 18.8.16
Death of President Slobodan Milosevic in NATO prison remains a central question in International Justice, 14.3.13

Questo articolo è stato pubblicato dal giornale Avante! il 1 settembre 2016.



(english / deutsch.

Di seguito, in due lingue diverse, il primo articolo di una serie che l'ottimo portale di controinformazione tedesco German Foreign Policy dedica alle guerre fatte dalla Germania nell'ultimo ventennio. Si comincia con quella mirata a strappare la provincia del Kosovo alla Serbia e a cancellare la Federazione jugoslava dalle cartine geografiche: scatenata nella primavera del 1999 assieme ad altri paesi NATO, il suo bilancio può dirsi catastrofico viste le condizioni misere in cui quella provincia versa tutt'oggi, tra corruzione, povertà, criminalità internazionale, fondamentalismo islamico, disoccupazione, sciovinismo pan-albanese, desertificazione delle attività produttive, tensioni immutate con tutti i popoli confinanti, regime di apartheid interno, eccetera. La situazione è tale che decine di migliaia di persone ogni anno cercano di emigrare: si calcola che solo tra il 2014 e il 2015 ben il 2,56% dei residenti abbia chiesto asilo politico in Germania – in grande prevalenza albanofoni – dove però non può ottenerlo perché ufficialmente con la guerra del 1999 la NATO ha "liberato" e "democratizzato" la provincia. Vero e proprio "buco nero" che risucchia miliardi di euro di "aiuti" internazionali, il Kosovo è da 17 anni sotto il controllo militare delle truppe NATO comandate da generali italiani e tedeschi che si alternano, di nuovo come sotto il nazifascismo.)


--- DEUTSCH ---

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59435

Deutschlands Kriegsbilanz (I)
 
07.09.2016
BERLIN/PRISTINA
 
(Eigener Bericht) - Rund 17 Jahre nach dem NATO-Krieg gegen Jugoslawien und dem Beginn der Besetzung des Kosovo auch durch Deutschland bescheinigen Beobachter dem De-facto-Protektorat desolate politische, ökonomische und soziale Verhältnisse. Die Folgen des ersten Kriegs, in dem die Bundesrepublik eine wirklich bedeutende Rolle spielte, sind katastrophal: Unter faktischer Kontrolle der EU herrscht in Priština eine Elite, die enger Verflechtungen mit der Organisierten Kriminalität und schwerster Kriegsverbrechen bezichtigt wird und deren ausufernde Korruption in der Bevölkerung zunehmend frustrierte Resignation bewirkt. 34 Prozent der Bevölkerung leben in absoluter, zwölf Prozent in extremer Armut; die Gesundheitsversorgung ist miserabel, die Lebenserwartung liegt um fünf Jahre unter derjenigen der angrenzenden Staaten und um zehn Jahre unter dem Durchschnitt der EU. Blutige Racheaktionen mit Schusswaffen würden "beharrlich betrieben", heißt es darüber hinaus in einem Bericht, der vom Bundesamt für Migration und Flüchtlinge in Auftrag gegeben wurde und der auf die auch sonst erschütternde Lage in puncto Menschenrechte verweist. - (Teil 1 einer Serie, in der german-foreign-policy.com - aus Anlass der Ankündigung Berlins, in Zukunft stärker "global" intervenieren zu wollen, auch militärisch - die Folgen der deutschen Kriege aus den vergangenen zwei Jahrzehnten bilanziert.)
De-facto-Protektorat
Rund 17 Jahre nach dem NATO-Krieg gegen Jugoslawien und der anschließenden Besetzung der südserbischen Provinz Kosovo auch durch die Bundeswehr wird das Kosovo von den Mächten der EU auch weiterhin faktisch als Protektorat geführt. Die EU ist in der Hauptstadt Priština mit einem Sonderbeauftragten präsent, der schon deswegen über massiven Einfluss verfügt, weil die EU die kosovarische Regierung mit hohen Zuschüssen funktionsfähig hält. Seit 1999 sollen zwischen fünf und sechs Milliarden Euro nach Priština geflossen sein, wenngleich ein mutmaßlich hoher Anteil daran in die Taschen korrupter Politiker oder Staatsangestellter geflossen ist. Die EU übt darüber hinaus mit ihrer "Rechtsstaatsmission" EULEX ("European Rule of Law in Kosovo") erheblichen Einfluss im Sezessionsgebiet aus, wobei ihr immer wieder vorgeworfen wird, selbst zutiefst in die kosovarische Korruption verstrickt zu sein.[1] Auch die NATO-Truppe KFOR (Kosovo Force) ist bis heute im Kosovo stationiert, um größere Aufstände oder auch soziale Konflikte bei Bedarf niederschlagen zu können. Sie wird seit Jahren abwechselnd von deutschen und italienischenen Generälen kommandiert. Der Anspruch der südserbischen Provinz auf Eigenstaatlichkeit wird bis heute nur von 109 der insgesamt 193 UN-Mitgliedstaaten anerkannt; sogar die EU ist gespalten, fünf EU-Staaten (Griechenland, Rumänien, Slowakei, Spanien, Zypern) verweigern ihr trotz massiven deutschen Drucks die Anerkennung - bis heute.
Kriegsverbrechen, Organisierte Kriminalität
Gegen die kosovarischen Eliten, die sich unter der Aufsicht insbesondere der EU in Priština an der Macht halten, werden ungebrochen schwere, ja schwerste Vorwürfe wegen Korruption und wegen Kriegsverbrechen erhoben. EULEX ist es, wie Beobachter kritisieren, seit dem Beginn ihrer Arbeit im Jahr 2008 nicht gelungen, auch nur einen einzigen führenden kosovarischen Politiker einer Verurteilung wegen Korruption zuzuführen. Als starker Mann des Sezessionsgebietes gilt seit 1999 Hashim Thaçi, der gegenwärtig als Präsident in Priština amtiert. Thaçi wird seit je als Anführer der kosovarischen Mafia eingestuft; gegen ihn sind mehrfach Vorwürfe erhoben worden, selbst oder über enge Mitarbeiter in den Mord an Serben, die Entnahme ihrer Organe und den Handel damit involviert gewesen zu sein (german-foreign-policy.com berichtete [2]). Ähnliches wird einer Reihe weiterer kosovarischer Spitzenpolitiker vorgeworfen, etwa Ramush Haradinaj.[3] Trotz massiver Obstruktion des kosovarischen Parlaments wird in Kürze ein Sondergericht erste Anklagen wegen kosovarischer Kriegsverbrechen erheben; sie könnten auch kosovarische Spitzenpolitiker treffen. Die Chance, dass es - 17 Jahre nach den Taten - zu Verurteilungen kommt, muss als nicht allzu günstig eingeschätzt werden: Zu dem langen zeitlichen Abstand kommt die Erfahrung hinzu, dass bereits bei den - wenigen - früheren Verfahren Zeugen entweder überraschend ums Leben kamen oder angesichts der sich häufenden Zahl derartiger Todesfälle ihre Bereitschaft zur Aussage gegen die neuen Machthaber in Priština zurückzogen. Die mutmaßlichen Täter kamen bislang straffrei davon.
Beschäftigungsquote: 28 Prozent
Die von der EU im Amt gehaltene korrupt-mafiöse Führung in Priština verantwortet nicht nur eine weitreichende politische Frustration in der Bevölkerung; die Wahlbeteilung sank im Jahr 2014 trotz der Wählermobilisierung interessierter Clans auf 42 Prozent. Auch Proteste drohen; im Januar 2015 etwa kam es kurz nach der Regierungsbildung zu den heftigsten Unruhen seit der Proklamation der Eigenstaatlichkeit im Jahr 2008. Die politische Kultur in Priština, die spürbar zur Resignation auf Seiten der kosovarischen Bevölkerung beiträgt, lässt sich nicht umfassend, aber doch in Ansätzen durch den Hinweis darauf beschreiben, dass Parlamentsdebatten in der Hauptstadt zuweilen mit Tränengas geführt werden, zuletzt am 9. August.[4] Zudem verantworten die kosovarischen Eliten die desolate wirtschaftliche und soziale Lage in dem Gebiet. Das Kosovo verzeichnet ein Pro-Kopf-Einkommen von durchschnittlich weniger als 2.800 Euro im Jahr und ist vollständig von Hilfen der EU und Rücküberweisungen im Ausland lebender Kosovo-Albaner abhängig. Echter ökonomischer Aufschwung ist nicht in Sicht. Die Arbeitslosigkeit ist exzessiv hoch; die Beschäftigungsquote liegt bei gerade einmal 28 Prozent.[5] 34 Prozent der Bevölkerung leben laut einem Bericht, der im Auftrag des Bundesamts für Migration und Flüchtlinge (BAMF) erstellt wurde, mit einem täglichen Durchschnittseinkommen von weniger als 1,55 Euro in absoluter Armut, zwölf Prozent mit einem Durchschnittseinkommen von weniger als 1,02 Euro sogar in extremer Armut, wobei Minderheiten wie Roma dem Bericht zufolge "überproportional stark betroffen" sind. Das Sozialsystem ist laut dem BAMF-Bericht "nur rudimentär ausgebaut und bietet keine angemessene Versorgung"; das Gesundheitssystem stagniert ebenfalls "auf einfachem Niveau". "Der Gesundheitszustand der Bevölkerung ist entsprechend unbefriedigend", heißt es weiter in dem Dokument: "So liegt die Lebenserwartung um fünf Jahre niedriger als in den Nachbarstaaten und um zehn Jahre niedriger als in der EU." Die Kindersterblichkeit sei "die höchste in Europa".
Blutrache
Miserabel ist nicht zuletzt die menschenrechtliche Situation. So konstatiert der im Auftrag des BAMF erstellte Bericht, dass - 17 Jahre nach dem Einmarsch der NATO, die den Krieg gegen Jugoslawien 1999 im Namen der Menschenrechte vom Zaun brach - die kosovarischen Clans ganz ungehindert archaischen Normen huldigen. "Gerade bei der ländlichen Bevölkerung", heißt es höflich in dem Bericht, "sind althergebrachte Sitten, Tradition und Kultur noch sehr lebendig".[6] Unter "althergebrachten Sitten" ist demnach zum Beispiel zu verstehen, dass "nicht die staatlichen Institutionen und deren Sanktionsmöglichkeiten im Zentrum stehen, sondern die Familien oder Familienverbände (Clans)". Diese wiederum wendeten, heißt es, "ein Relikt aus dem albanischen Gewohnheitsrecht" an, nämlich "die Tradition der kosovo-albanischen Blutrache". Zwar sei "die reine Tradition der Blutrache" heute "nur noch vereinzelt anzutreffen"; davon zu unterscheiden seien allerdings allgemeine "Racheakte", bei denen "die Hemmschwelle, eine Schusswaffe zu benutzen, oft sehr niedrig" sei und die "beharrlich betrieben" würden.
Schüsse und Molotowcocktails
Entsprechend gestaltet sich die allgemeine Menschenrechtslage, die sich unter Protektoratsaufsicht der EU entwickelt hat. Ein Bericht der Vereinten Nationen verzeichnet für den Zeitraum vom 16. April bis zum 15. Juli insgesamt 86 gewalttätige "Zwischenfälle" - meist Angriffe auf Angehörige der serbischsprachigen Minderheit. Dazu zählten das Abfeuern von Schüssen auf das Haus eines serbischsprachigen Politikers und ein Molotowcocktailangriff auf eine von der Polizei geschützte Gruppe, die einen serbisch-orthodoxen Feiertag beging; nur aufgrund glücklicher Umstände kam niemand zu Schaden.[7] Wie Amnesty International berichtet, wurden im Jahr 2015 noch 1.650 Menschen vermisst, die während der bewaffneten Auseinandersetzungen der Jahre 1998 und 1999 verschwanden; die EU-Mission EULEX zog es vor, in Fällen, die serbischsprachige Bewohner des Kosovo betrafen, nicht angemessen zu ermitteln.[8] Minderheiten wie Roma oder Aschkali leiden laut Amnesty "weiterhin unter institutionalisierter Diskriminierung"; "tätliche Angriffe auf Lesben, Schwule, Bisexuelle, Transgeschlechtliche und Intersexuelle sowie andere Hassverbrechen", heißt es weiter, seien von den Behörden gar nicht erst untersucht worden. Dass zahlreiche Journalisten beklagen, ihrer Arbeit wegen Bedrohungen oder tätlicher Angriffe nicht angemessen nachgehen zu können, entspricht dem allgemeinen Befund.
Kein Grund zur Flucht
Die Verhältnisse im deutsch-europäischen Protektorat Kosovo haben die Einwohner der Provinz zuletzt in Scharen auf die Flucht getrieben. Allein von November 2014 bis März 2015 verließen mehr als 50.000 Kosovo-Albaner ihr Land; bei einer Einwohnerzahl von insgesamt 1,8 Millionen entspricht dies einem Anteil an der Gesamtbevölkerung von 2,78 Prozent. Einen Asylantrag in Deutschland stellten laut Auskunft des Bundesinnenministeriums im Jahr 2014 insgesamt 8.923 Einwohner des Kosovo, im Jahr 2015 37.095; zusammengenommen sind das gut 2,56 Prozent der Gesamtbevölkerung. Chancen auf Asyl haben sie faktisch nicht: Schließlich wurde ihr Land 1999 von Deutschland und der NATO "befreit"; Fluchtgründe, die aus Sicht der deutschen Behörden nachvollziehbar und zulässig sind, liegen also nicht vor.

[1] Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Hg.): Kosovo. Länderreport Band 3. Aktuelle Lage, Rechtsstaatlichkeit, Menschenrechtslage. Mai 2015.
[2] S. dazu Teil des Westens geworden und Ein privilegierter Partner.
[3] S. dazu Politische Freundschaften und Heldenfigur.
[4] Adelheid Wölfl: Wieder Tränengaseinsatz im kosovarischen Parlament. derstandard.at 11.08.2016.
[5], [6] Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Hg.): Kosovo. Länderreport Band 3. Aktuelle Lage, Rechtsstaatlichkeit, Menschenrechtslage. Mai 2015.
[7] Report of the Secretary-General on the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo. UNSC S/2016/666, 29.07.2016.
[8] Amnesty Report 2016: Serbien (einschliesslich Kosovo). www.amnesty.de.


--- ENGLISH ---


Germany's War Record (I)
 
2016/09/07
BERLIN/PRIŠTINA
 
(Own report) - Around 17 years after NATO's war against Yugoslavia and the beginning of the occupation of Kosovo with German participation, observers note that the de-facto protectorate is in a desolate political, economic and social condition. The first war in which the Federal Republic of Germany played an important role has had catastrophic consequences. De facto under EU control, Priština's ruling elite is accused of having close ties to organized crime and having committed the most serious war crimes. Its rampant corruption is spreading frustrated resignation within the population. Thirty-four percent of the population is living in absolute - and twelve percent in extreme - poverty, healthcare is deplorable, life expectancy is five years less than that of its neighboring countries and ten years below the EU's average. A report commissioned by the Federal Office for Migration and Refugees (BAMF), describes the horrifying human rights situation, which includes vendettas "constantly carried out" with firearms. (This is part 1 of a german-foreign-policy.com series, reporting on consequences of German military interventions over the past two decades, in light of the German government's announcement of plans to increase its "global" - including military - interventions.)
De-facto Protectorate
Around 17 years after NATO's war against Yugoslavia, and its subsequent occupation of the south Serbian Kosovo Province - with the participation of the German Bundeswehr - the EU is still treating Kosovo like a de-facto protectorate. The EU maintains a presence in the capital, Priština, with a special envoy, who has enormous influence simply because large EU subsidies guarantee the functioning of Kosovo's government. Since 1999, the EU is said to have transferred five to six billion Euros to Priština, although a large portion has allegedly filled the pockets of corrupt politicians and government employees. The EU, with its "European Rule of Law Mission in Kosovo" (EULEX Kosovo), has massive influence in the secessionist province. EULEX, itself, has repeatedly been accused of being deeply involved in corruption.[1] NATO's Kosovo Force (KFOR) remains deployed in Kosovo to suppress, if necessary, larger rebellions or social upheavals. German and Italian generals alternately command KFOR. Until now, 109 of the UN's 193 member countries have recognized the southern Serbian province's claim to independent statehood. Even the EU is divided on the question: Despite massive German pressure, five EU members (Greece, Romania, Slovakia, Spain and Cyprus) refuse to recognize Kosovo's independence - still today.
War Crimes, Organized Crime
Serious allegations, and even grave accusations of corruption and war crimes have repeatedly been raised against Kosovo's elites, who can remain in power in Priština, particularly under the EU's supervision. Observers criticize the fact that since starting its engagement in 2008, EULEX has failed to obtain even a single conviction of a Kosovo politician for corruption. Since 1999, Hashim Thaçi, Priština's current president, has been considered the strongman in the secessionist province and the head of Kosovo's mafia. He has repeatedly been accused of having been involved - either personally or through close associates - in murdering Serbs, and removing and trafficking their organs. (german-foreign-policy.com reported.[2]) Similar accusations have been leveled at other top politicians in Kosovo, such as Ramush Haradinaj.[3] Despite the Kosovo parliament's massive obstruction, a special court will soon hand down the first indictments for Kosovo war crimes, possibly also against leading politicians of Kosovo. The chances - 17 years after the crimes - of obtaining convictions are slim, not only because of the time lapse, but also because of experience. In earlier trials, witnesses died suddenly or became intimidated by the growing numbers of these deaths, and lost their will to testify against those in power in Priština. The alleged perpetrators got away with impunity.
Employment Rate: 28 Percent
The corrupt, mafia-like administration, maintained in office in Priština by the EU, is not only responsible for the widespread political frustration in the population - in 2014 electoral participation dropped to 42 percent - in spite of voter mobilization by certain clans. Protests are simmering. Since the 2008 proclamation of independence, the most virulent protests erupted shortly following the formation of the government in January 2015. Priština's political culture clearly contributes to increasing sense of resignation within Kosovo's population. The fact, for example, that teargas has repeatedly been used during parliamentary debates - most recently, on August 9 - can at least partially explain this resignation.[4] However, Kosovo's elite is also responsible for the region's desolate economic and social situation. Kosovo has an annual average per capita income of less than 2,800 Euros and is totally dependant upon EU aid and money transfers from relatives living abroad. A real economic upswing is nowhere in sight. Unemployment is excessively high. The employment rate is no more than 28 percent.[5] According to a report commissioned by the Federal Office for Migration and Refugees (BAMF), 34 percent of the population, with a daily average income of less than €1.55, is languishing in absolute poverty. Twelve percent, with a daily average income of less than €1.02, is suffering extreme poverty. Minorities such as the Roma are being "disproportionately affected." The social system is "only rudimentary, and does not provide adequate service," the BAMF reports. The health system is stagnating "at a low level," therefore, "the public health situation is inadequate." "Life expectancy is five years less than that of its neighboring countries and ten years below the EU's average." The child mortality rate is "the highest in Europe."
Vendetta
Moreover, the human rights situation is deplorable. The BAMF-commissioned report notes that - 17 years after the NATO invasion, which set off the 1999 war against Yugoslavia in the name of human rights - Kosovo clans have a free hand in continuing to honor archaic standards. "Particularly among the rural population," the report politely notes, "archaic customs, traditions and culture are still very much alive."[6] "Archaic customs" refers, for example, to the fact that "the focus is not on official institutions and their means of penalization, but rather on families or extended families (clans)." They use "a relic of the Albanian customary law," namely "the tradition of the Kosovo Albanian vendetta." "The pure vendetta tradition, is only occasionally practiced" today. A differentiation must be made between a vendetta and general "acts of vengeance," which are "constantly carried out." "The threshold for use of a firearm is often very low."
Shots and Molotov Cocktails
An overall human rights situation has correspondingly developed under the EU's protectorate supervision. A United Nations report listed 86 violent "incidents" - mostly aimed at members of the Serb-speaking minority, between April 16 and July 15. These attacks included shots being fired at the house of a Serbian politician and a Molotov cocktail attack on a police-escorted convoy of persons celebrating a Serbian Orthodox holiday. There were luckily no injuries.[7] As Amnesty International reported, in 2015, 1,650 people, who had disappeared during armed conflicts in 1998 and 1999, were still missing. The EU's EULEX mission preferred not to properly investigate cases involving Serb-speaking inhabitants of Kosovo.[8] Amnesty reports that, minorities such as Roma or Ashkali are "still suffering under institutional discrimination," while "physical attacks against lesbians, homosexuals, bisexuals, transgender and intersexes as well as other hate crimes" are not even investigated by the authorities. The fact that numerous journalists complain of being hampered in their work through threats or physical attacks, concords with the overall findings.
No Need to Flee
The conditions in the German-EU protectorate of Kosovo have driven large numbers of its inhabitants to flee. Between November 2014 and March 2015 alone, more than 50,000 Kosovo Albanians left the country - 2,78 percent of a population of 1.8 million. In 2014, according to the German Interior Ministry, 8,923 refugees from Kosovo have requested asylum in Germany and 37.095 in 2015 - altogether 2.56 percent of the Kosovo population. De-facto, they will have no chance of obtaining asylum in Germany. After all, Germany and NATO "liberated" their country in 1999. From the German administration's perspective, they have no acceptable reason to flee.

[1] Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Hg.): Kosovo. Länderreport Band 3. Aktuelle Lage, Rechtsstaatlichkeit, Menschenrechtslage. Mai 2015.
[2] See Became Part of the West and Ein privilegierter Partner.
[3] See Political Friendships and Heldenfigur.
[4] Adelheid Wölfl: Wieder Tränengaseinsatz im kosovarischen Parlament. derstandard.at 11.08.2016.
[5], [6] Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Hg.): Kosovo. Länderreport Band 3. Aktuelle Lage, Rechtsstaatlichkeit, Menschenrechtslage. Mai 2015.
[7] Report of the Secretary-General on the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo. UNSC S/2016/666, 29.07.2016.
[8] Amnesty Report 2016: Serbien (einschliesslich Kosovo). www.amnesty.de.





Auf Deutsch: Die Regelung der Reparationsfrage (Griechenland fordert Reparationen für die NS-Aggression – GFP 19.08.2016)
ATHEN/BERLIN (Eigener Bericht) - Der griechische Ministerpräsident Alexis Tsipras stellt eine neue Initiative zur Erzwingung deutscher Reparations- und Entschädigungszahlungen an Griechenland in Aussicht. Wie Tsipras am Dienstag während der Gedenkfeier für die Opfer eines Wehrmachts-Massakers in dem westgriechischen Dorf Kommeno ankündigte, wird Athen "auf diplomatischer und falls nötig auf gerichtlicher Ebene" gegen Berlin vorgehen, sollte die Bundesregierung sich weiterhin weigern, in Reparationsverhandlungen einzutreten. Anfang September soll das griechische Parlament über einen kürzlich fertiggestellten Bericht diskutieren, der die deutsche Reparationsschuld auf 269 Milliarden Euro beziffert. Behauptungen der Bundesregierung, die Reparationsfrage sei "erledigt", treffen nicht zu: Tatsächlich ist die Zahlung einer 1946 verbindlich anerkannten Reparationssumme mit dem Londoner Schuldenabkommen vom Februar 1953 zwar gestundet, aber nicht aufgehoben worden; nur ein Bruchteil von ihr wurde beglichen. Wie Horst Teltschik, ein ehemaliger Berater von Bundeskanzler Helmut Kohl, bestätigt, hat Bonn sich der Reparationspflicht zu entziehen versucht, indem es den Zwei-plus-Vier-Vertrag explizit nicht als "Friedensvertrag" einstufte. Man habe befürchtet, mit einem Friedensvertrag plötzlich "Reparationsforderungen von über 50 Staaten auf dem Tisch" zu haben, erklärt Teltschik...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59422



Resolution of the Reparations Issue
 
2016/08/19

ATHENS/BERLIN
 
(Own report) - The Prime Minister of Greece, Alexis Tsipras has announced a new initiative to force Germany to pay reparations and compensations to Greece. During a memorial service for the victims of a massacre committed by the German Wehrmacht in the western Greek village of Kommeno, on Tuesday, Tsipras declared that, should the Germany government persist in refusing to pay reparations, Athens will seek "through diplomatic channels - and if necessary at the judicial level - " to take action against Berlin. In early September, the Greek parliament is scheduled to discuss a recently completed report quantifying the German reparations debt at 269 billion Euros. German government assertions that the reparations issue has been "closed" are unfounded. In fact, payment of the binding 1946 reparations sum, recognized by the London Debt Agreement of February 1953, had been deferred, but not annulled. Only a fraction of it has been paid. As confirmed by Horst Teltschik, former advisor to Chancellor Helmut Kohl, Bonn had sought to evade its reparations obligations by explicitly not qualifying the 2 + 4 Treaty a "Peace Treaty." It had been feared that, with a peace treaty, suddenly "reparations demands from over 50 countries would land on the table," Teltschik explained.
If Necessary, at the Judicial Level
The Greek Prime Minister, Alexis Tsipras, has announced a new initiative to force German reparations and compensations payments to Greece for crimes committed during the World War II German occupation of that country. Tsipras reiterated that his government would do "everything necessary" to impose reparations - "at the diplomatic, and, if necessary, at the judicial level."[1] He made this announcement in the course of a memorial service for the victims of a massacre committed by the German Wehrmacht on August 16, 1943 in the western Greek village of Kommeno. Within a few hours, 317 defenseless civilians aged from one year old to 90, where abruptly awakened and murdered by the German occupiers. Referring to the Greek parliamentary committee's final report, completed in late July, the Prime Minister explained that this represents the first time that a "national strategy" for dealing with the issue of reparations and compensation payments exists, and is scheduled to be debated officially in parliament at the beginning of September.
269 Billion Euros
The committee's final report has listed the reparations and compensation claims still pending. According to the list, Athens can raise claims for "reparations for material war damages and confiscated property," along with the restitution of the forced loan, the German occupiers extorted from Greece. In addition, reparations are demanded for the victims and their families of German war crimes, and not least of all, the demand for the return of hundreds of stolen archeological artifacts.[2] It is reported that private individuals' claims for reparations is already calculated "at more than 107 billion Euros - before interests." Germany also still owes Greece 9.2 billion Euros in World War I reparations. The forced loan to the Nazi government is usually valued in today's currency at more than 10.3 billion Euros. Altogether, the parliamentary committee arrives at a total of 269 billion Euros in reparations and compensation payments.
To The Hague and the UN
The final report also proposes measures the Greek government could take. According to the authors, a Greek parliamentary delegation should inform parliamentarians of the German Bundestag and the parliaments of other nations of the claims. In a note verbale, the government in Athens should call on Berlin to enter negotiations, they write, and the European Parliament should be called upon to intervene. The conflict could be taken to the United Nations.[3] Should the German government remain intransigent, the case must then be taken before the International Court of Justice in The Hague. Athens must also consider the possibility of executing the rulings already handed down by Greek courts and confiscate German property in Greece. Greek courts, in principle, have awarded surviving victims of German war crimes in Distomo, Egio and Rethymno reparations, however, cannot impose the execution of the ruling. The only possibility would be to nationalize the Goethe Institute's Athens' subsidiary and compensate the victims from those proceeds. Under massive German political pressure, the Greek government, so far, has not taken this step.
Berlin's Double Strategy
Since some time, Berlin has been responding to Athens' demands for reparations with a sort of double strategy. On the one hand, Germany claims that there is no legal basis for reparations. The case is "closed." On the other, Berlin offers cheap concessions, from its cultural policies abroad reserves, destined to strangle any further reparations demands. Thus for example, the German government is officially promoting the German-Greek Future Fund - which began functioning September 12, 2014, during a visit of Greek President Karolos Papoulias - as "serving reconciliation and historical analysis between Germany and Greece."[4] This project does not cost 269 billion Euros, but rather annually a million, only the smallest fraction of which actually reaches the victims and their descendents. However, selected historical projects are supposed to give the impression that finally Germany's historical crimes will be comprehensively dealt with. Projects, such as these, are usually administered in the context of cultural policy abroad, not only for the purpose of promoting the image of an alleged "reflective" Germany, but primarily to stave off reparations demands - at the expense of the victims of the Nazis.
Confirmed, then Postponed
Berlin is particularly interested in subduing reparations demands because, contrary to the official German standpoints, these demands remain applicable under international law. The fundamental necessity of reparations payments was confirmed in February 1945 at the Yalta Conference. The first general guidelines were laid down in the Potsdam Agreement on August 2, 1945. November 9, 1945, negotiations began in Paris on their concretization, during which, Greek reparations claims valued at US $7.1 billion - based on the 1938 buying power - were confirmed. Today, this is worth a multiple of that value, even without interests. Experts estimate the value - in 2010 currency - at around US $106.5 billion.[5] In the January 14, 1946 Reparations Agreement of Paris, Greece had been allocated a certain percentage of Germany's available reparations reserves. In fact, Athens received non-cash benefits with an estimated value of only US $25 million.[6] Since signing the London Debt Agreement on February 27, 1953, Bonn has refused to pay any reparations at all. That agreement made an indefinite deferment of reparations for the Federal Republic of Germany. However, it explicitly also provided for a future "final ... settlement of the reparations issue."
Demands from 50 Countries
Throughout the cold war period, the Federal Republic of Germany had turned down demands for the payment of reparations, using the London Debt Agreement as reference, and declaring that reparations claims can only be negotiated after the "reunification" with the German Democratic Republic and the ensuing finalization of a peace treaty. However, Bonn has deliberately qualified the 2 + 4 Treaty, signed September 12, 1990, not as a peace treaty, "not least of all, because of the risk of reparation demands," as former Chancellor Helmut Kohl's advisor Horst Teltschik explained in March 2015. "Not only Greece" could be demanding reparations. "As is known, the Nazi regime was at war with over 50 countries around the world. ... Just imagine, in the context of a peace treaty, we would have had reparations demands from over 50 countries on the table."[7] That is what had to be avoided. However thereby, the "final ... settlement of the reparations issue," stipulated in the London Debt Agreement, which for decades the Federal German government made conditional on a formal peace treaty, was simply postponed further into the future. Should the Greek government carry out Prime Minister Tsipras' announcement, it would now be placed on the agenda.

More on this topic see: Legacy without a Future.
[1] Tsipras zu Reparationen: Werden "alles Notwendige" tun. www.neues-deutschland.de 17.08.2016.
[2], [3] Giorgos Christides: Wie Griechenland von Deutschland 269 Milliarden Euro einklagen könnte. www.spiegel.de 10.08.2016.
[4] "Deutsch-Griechischer Zukunftsfonds" nimmt Arbeit auf. www.auswaertiges-amt.de 12.09.2016.
[5] Karl Heinz Roth: Griechenland am Abgrund. Die deutsche Reparationsschuld. Zweite Auflage. Hamburg 2015.
[6] Hagen Fleischer, Despina Konstantinakou: Ad calendas graecas? Griechenland und die deutsche Wiedergutmachung. In: Hans Günter Hockerts, Claudia Moisel, Tobias Winstel: Grenzen der Wiedergutmachung. Die Entschädigung für NS-Verfolgte in West- und Osteuropa 1945-2000. Göttingen 2006. S. 375-457.
[7] "Alle Forderungen erledigt". www.deutschlandfunk.de 14.03.2015.





What the Karadzic Trial Didn’t Prove


The Karadzic trial does not purport to show that the Serbian war effort in Bosnia-Herzegovina was unjustified, or that Bosnian-Muslims and Croats were innocent of crimes committed against Serbs during the 1992-95 war.

www.slobodan-milosevic.org - September 1, 2016
Written by: Andy Wilcoxson

Last week, ICTY chief prosecutor Serge Brammertz wrote an article for Al-Jazeeraattempting to downplay the fact that that the Radovan Karadzic trial chamber had exonerated Slobodan Milosevic for crimes committed during the 1992-95 Bosnia War.

Brammertz argued that:

Some government officials throughout the region regularly misrepresent and disregard the judicial and historical record. [...]

Last week marked a new low. To widespread surprise, a thin pretext was seized in an attempt to publicly absolve former President of Serbia Slobodan Milosevic, of responsibility for the atrocities committed in Bosnia and Herzegovina.

Some, including the Serbian Foreign Minister Ivica Dacic, contend that earlier this year the United Nations International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) exonerated Milosevic in its trial verdict convicting former Bosnian Serb leader Radovan Karadzic.

The arguments are not only misguided, but wrong. The only person on trial in Karadzic’s case was Karadzic himself. 

Mr. Brammertz’s assertion that “The only person on trial in Karadzic’s case was Karadzic himself” is somewhat disingenuous. The charges against Milosevic and Karadzic are inexorably linked. Because of the way Mr. Brammertz and his prosecutors structured their indictments one can’t separate the two, and being the ICTY chief prosecutor, Mr. Brammertz ought to know that. 

Milosevic’s culpability was an issue before the Karadzic trial chamber because Mr. Brammertz and his staff made it an issue. The Karadzic indictment accuses Slobodan Milosevic of co-perpetrating a “joint criminal enterprise” together with Radovan Karadzic. That’s why the Karadzic chamber made findings regarding Milosevic’s participation in the alleged “joint criminal enterprise” in first place. If Milosevic’s culpability wasn’t a relevant issue before the Karadzic trial chamber, then the judges wouldn’t have made any findings about him at all.

Mr. Brammertz and the prosecutors working under him charged Milosevic and Karadzic with undertaking the same conspiracy or “joint criminal enterprise” to permanently remove Bosnian Muslim and Bosnian Croat inhabitants from Bosnian Serb territory through the commission of various crimes. Radovan Karadzic’s indictment lists Slobodan Milosevic as his co-conspirator, and Slobodan Milosevic’s indictment lists Radovan Karadzic as his co-conspirator. Milosevic and Karadzic were accused of co-perpetrating exactly the same joint criminal enterprise in Bosnia together.

Paragraph 9 of the indictment against Karadzic says: “Radovan KARADZIC participated in an overarching joint criminal enterprise to permanently remove Bosnian Muslim and Bosnian Croat inhabitants from the territories of BiH claimed as Bosnian Serb territory by means which included the commission of [crimes].” And in Paragraph 11 the indictment asserts that “Radovan KARADZIC acted in concert with other members of this criminal enterprise including [...] Slobodan MILOSEVIC”.

Conversely, paragraph 6 of the indictment against Milosevic says: “Slobodan MILOSEVIC participated in the joint criminal enterprise [...] The purpose of this joint criminal enterprise was the forcible and permanent removal of the majority of non-Serbs, principally Bosnian Muslims and Bosnian Croats, from large areas of the Republic of Bosnia and Herzegovina, through the commission of crimes.” And in Paragraph 7, “The individuals participating in this joint criminal enterprise included Slobodan MILOSEVIC, Radovan KARADZIC, [...]”.

The Karadzic chamber’s determination that the evidence against Milosevic was not only “insufficient” to show that he was part of the joint criminal enterprise, but also that there was exculpatory evidence showing that he had limited influence over the Bosnian Serbs, opposed ethnic cleansing, and wanted to find a peace settlement that was fair to the Muslims and the Croats undermines the allegations against him in a very direct and obvious way. 

The presiding judge in the Karadzic case (O-Gon Kwon of South Korea) was one of the three judges who sat on the bench throughout the Milosevic trial. He was certainly aware of the evidence, or more accurately, the lack of evidence against Milosevic. 

Ms. Hildegard Uertz-Retzlaff was one of the senior prosecutors in both the Milosevic case and in the Karadzic case. She too would have been aware of evidence against Milosevic, and she had ample opportunity to advise her colleagues or present whatever evidence she had to the chamber during the nearly 8 years that Radovan Karadzic was on trial. 

Moreover, the Karadzic chamber had access to recently disclosed documents that the Milosevic chamber did not. Specifically, they had access to Ratko Mladic’s diaries and they had access to the transcripts of the Supreme Defence Council, both of which they made reference to in their findings pertaining to Milosevic.

It should also be noted that the chamber based its findings mainly on the evidence tendered by prosecutors working for Mr. Brammertz himself. Karadzic had no obligation to defend Milosevic, but the prosecution was certainly obliged to present its evidence against Milosevic because they made allegations against him in the Karadzic indictment -- allegations that the judges rejected. 

The ICTY’s Findings Can Be Questioned

If a senior ICTY official like chief prosecutor Brammertz, and outspoken ICTY apologists like RFE/RL Balkan Service Director Gordana Knezevic, can dispute the Karadzic chamber’s findings regarding Slobodan Milosevic, then others are free to question findings made by ICTY trial chambers. By denying, disputing, or trying to downplay the significance of these findings they have forfeited their right to accuse the Tribunal’s critics of “genocide denial” and “revisionism” for questioning other findings made by the Tribunal. 

If the only findings that the Karadzic chamber was competent to make were the findings related to his acts and conduct alone, and not the acts and conduct of other people (e.g. Slobodan Milosevic), then we can disregard the vast majority of their findings. We can disregard all of the trial chamber’s findings related to the scheduled incidents listed in the indictment because Radovan Karadzic is not alleged to have personally killed or mistreated anyone.

The argument that Brammertz and Knezevic are advancing is a double-edged sword. If the Karadzic chamber is not competent to determine whether Slobodan Milosevic and Radovan Karadzic participated in a joint criminal enterprise in Bosnia together because Slobodan Milosevic wasn’t officially charged in the Karadzic case, then they’re certainly not competent to determine what Bosnian-Serb military and police personnel, who also weren’t officially charged with crimes in the Karadzic case, did at Srebrenica or in prison camps where Radovan Karadzic was not present. Nor can they credibly determine whether a shell or a bullet came from the Serbian or the Muslim side of the confrontation line in Sarajevo where the alleged shooters were not officially charged in the Karadzic proceedings.

Of course the ICTY’s findings have always been questionable, and that certainly includes some very questionable findings contained in the Karadzic judgment itself. Slobodan Milosevic isn’t innocent because of anything in the Karadzic judgment, and the tribunal doesn’t deserve a gold medal for exonerating him ten years after they killed him in their jail. Slobodan Milosevic is innocent because that’s what the evidence has always shown.  

Mr. Brammertz made one excellent suggestion in his article. He said that “while Milosevic did not face final judgment in the courtroom, the facts and evidence remain. Today, any member of the public - and any government official - can access the ICTY’s judicial records and read the evidence. Vital information can also be found in Serbia’s state archives.”

Anyone who takes Mr. Brammertz suggestion on board and goes through that evidence will very likely come to the conclusion that Mr. Brammertz is wrong when he claims that “Milosevic played a central role in fostering ethnic cleansing campaigns throughout the former Yugoslavia.” That wasn’t the determination of the Karadzic trial chamber when they looked at the evidence, and if our so-called “experts” and “journalists” ever bothered to take a detailed look at the evidence for themselves, they’d find that there wasn’t any substance to the allegations against Milosevic either.

What the Karadzic Verdict Does Not Prove

As long as we’re on the subject of what the Karadzic trial proceedings prove or don’t prove, there are a couple of noteworthy issues that the trial process specifically did not purport to prove: (1) that the Bosnian-Serb war effort was unjustified, and (2) that Bosnian-Muslim and Bosnian-Croat forces were innocent of crimes against Bosnian-Serb civilians.

There are two important principles in international law, one of which concerns the Karadzic trial and one of which does not: jus in bello and jus ad bellum.

Jus ad bellum (Latin for “right to war”) is the branch of international law that determines whether entering into an armed conflict is permissible or justified. Jus in bello (Latin for “right in war”), regulates the conduct of the belligerents engaged in an armed conflict regardless of whether they’re fighting an offensive war or a defensive war.

The Karadzic trial process openly disregarded jus ad bellum, and was only concerned with jus in bello. During the trial process Alan Tieger, the lead prosecutor in the Karadzic case, explained that “As this Trial Chamber has repeatedly pointed out to Dr. Karadzic, this case is not about who started the war, jus ad bellum.”[1]

The government of Germany made the same observation when it refused to hand over documents related to weapons shipments destined for Bosnian-Muslim soldiers based in the Srebrenica “safe area”. They noted that “The indictment specifically does not charge the Accused with violating the rules of jus ad bellum, but rather with disregarding jus in bello.”[2]

In its written submissions the prosecution argued that “International humanitarian law (IHL) applies to all parties in an armed conflict irrespective of the lawfulness of the other party’s resort to force, a violation of IHL can never be excused as a valid reprisal to an alleged violation of jus ad bellum.”[3]

Mr. Tieger made the same observation in court citing a U.S. military manual to argue that “the side that is acting in self-defence against illegal aggression does not because of that fact gain any right to violate the law of armed conflict.”[4]

When the Trial chamber refused to subpoena documents sought by the Karadzic defense from the United States government they did so on the basis that “the issue of who was responsible for starting the war is not relevant to the Accused’s defence case.”[5]

In court, Judge Kwon admonished Karadzic for spending too much time on the issue of whether Bosnian-Serb combat activities were offensive or defensive. He said, “Who started the attack is not relevant for the purpose of this case at all. So I was concerned very much about delving into whether the nature of certain combat activities was defensive or offensive. It’s all related jus ad bellum as I indicated yesterday. In the future, the Chamber will keep a closer look as to the relevance of the Defence witnesses’ evidence and, if necessary, it may consider not allowing the evidence at all.”[6]

Crimes against Serbs

Evidence of crimes committed against Bosnian-Serb civilians by Bosnian-Muslim and Croatian forces was also deemed “irrelevant” and suppressed by the prosecutors working for Mr. Brammertz, and by the trial chamber itself.

When a protected Bosnian-Muslim witness, under questioning from Dr. Karadzic, began testifying about Serbs who had been beheaded by Nasir Oric’s fighters in Srebrenica, prosecutor Melissa Pack intervened to stop the testimony. She said, “I can see that we are going down the road of this witness testifying about crimes allegedly committed by the ABiH against Serbs. This is the second answer which purports to describe those sorts of events, and I just want to at this point caution Dr. Karadzic and raise this as a potential issue. In my submission, evidence of crimes against Serbs is not relevant.”[7]

On many occasions prosecutors objected to the admission of documents on the grounds that “they consist of detailed evidence of crimes against Serbs and don’t satisfy the standard of relevance”.[8]

The judges openly sided with the prosecutors and forced the witnesses testifying in the trial to redact their statements in order to prevent evidence of crimes against Serbs from going on the record.

Witness Goran Sikiras had his statement redacted by the chamber on the grounds that “about half of Sikiras’s statement is concerned with crimes committed against Bosnian Serbs in Vogosca and as such are not relevant to the charges in the indictment. I refer here to page 4, parts of page 5, as well as pages 6 and 7. The Chamber reminds the accused once again that it will not admit detailed tu quoque evidence under the guise of relevance to this trial.”[9]

Witness Branislav Dukic’s statement was rejected in its entirety on the grounds that “Dukic’s proposed 92 ter statement is concerned, almost entirely, with detailed descriptions of crimes committed against the Serbs and against Dukic in particular. It also contains some references to previous meetings between Dukic and the Prosecution. As such, the Chamber considers that Dukic’s evidence is not relevant to the charges in the indictment. While his statement does contain some remote references to the positions and military activity of the ABiH and the Bosnian Croat forces in and around Sarajevo, these are not only minimal but also general in nature and thus are not sufficient in and of themselves to warrant admitting parts of his statement. Accordingly, the Chamber decides, proprio motu, to exclude the evidence of Branislav Dukic in its entirety.”[10]

The statement of witness Vidomir Banduka was redacted because “the Chamber finds paragraphs 59, 60, 62, 63, 72 to 75, 77, and 78 are not relevant in that they either refer to the detention facilities established by Bosnian Muslim authorities or to crimes committed against Bosnian Serbs. So these paragraphs should be redacted and will not admit associated exhibits referred to therein.”[11]

The statement of witness Nenad Kecmanovic was redacted because, “paragraphs 45 and 46 of Mr. Kecmanovic’s statement contain a detailed information about mistreatment of Bosnian Serbs, including the existence of detention centres. The Chamber is of the view that this level of detail is not relevant to the charges against the accused, and accordingly orders the redaction of these paragraphs.”[12]

When they ordered the redaction of witness Milovan Bjelica’s witness statement the judges explained that “the Chamber had an opportunity to skim through the statement. Para 44, the Chamber -- we will keep the first and last sentence, but the other part should be redacted, as well as paragraph 45, 47, and paragraph 49 to 51. They do contain too much detailed evidence, including names, ages of victims on crimes against Bosnian Serbs that are not relevant or necessary.”[13]

The judges were so keen to suppress evidence of crimes against Serbs that they would redact even a single sentence if the witness dared to mention that crimes had been committed against Serbs. When they ordered the redaction of Tomislav Savkic’s witness statement the judge explained that “the Chamber finds that the last sentence of paragraph 62 and the document referred to therein and the last sentence of paragraph 81 contain excessive detail about specific crimes committed against Bosnian Serbs which is not relevant to the charges against the accused in the indictment and orders that they be redacted.”[14]

When the trial chamber ordered redactions to Srdjan Sehovac’s witness statement they did so on the basis that “the statement, which the Prosecution seeks to exclude, falls within the category of detailed evidence pertaining to crimes committed against Bosnian Serbs which the Chamber has consistently excluded on the grounds that it is irrelevant tu quoque evidence.”[15]

When Radojka Pandurevic, a Serbian woman who was imprisoned in a camp run by the Bosnian-Muslims where she and other Serbian prisoners were subjected to beatings and sexual violence, took the witness stand the judges demanded that large swaths of her witness statement be redacted because “her statement is comprised of tu quoque or otherwise irrelevant evidence and will therefore not be admitted.”[16]

When she took the witness stand she objected to the redactions saying, “I read the statement, but it doesn’t reflect accurately everything I said, as I can see that some portions are marked which were unacceptable and redacted. Those paragraphs have to do with my stay in the Silos camp, which in turn would mean that I cannot convey the suffering I had undergone in the Silos camp.”[17]

The judges made no secret of what they were doing during the trial. They said it clearly, they said it openly, and they said it literally: “We didn’t allow the accused to expand on the issue of crimes committed against the Serbs.”[18]

In his editorial for Al-Jazeera, Mr. Brammertz argues that, “Progress and reconciliation require acceptance of clear, historical facts, no matter how uncomfortable those facts may be.” Unfortunately, the Karadzic trial purported to establish no such historical facts.

The Radovan Karadzic trial was not an objective exercise in truth seeking, nor did it purport to be one. The judges clearly told Radovan Karadzic that “It is you, not the Serbian army or Serb people or anybody else, that was indicted in this case.”[19]They said, “We are not trying to publish a white book on the history of the BiH. This is a criminal trial which deals with the charges against you.”[20] The judges were explicit. They said, “The purpose of this trial is to judge whether you are guilty of charges as alleged in the indictment. And this is not an opportunity for you to produce a white book of all the events that took place at the time.”[21] They were very clear about the fact that “We are not pursuing to produce a white book in history or to correct the history.”[22]

The Karadzic trial did nothing to promote progress and reconciliation in the Balkans, in fact it served exactly the opposite purpose. Publicizing crimes committed by Serbs, while shamelessly suppressing evidence of crimes committed against them, and suppressing evidence that they were defending themselves from illegal aggression can only serve to engender resentment and hard feelings. The Serbian people will never accept the Tribunal’s condemnation of Radovan Karadzic under these circumstances, nor should they. 

Suppressing evidence of crimes against Serbs, and suppressing evidence of whether the Serbs were fighting an offensive or a defensive war, directly undermines the Karadzic trial chamber's conviction of Radovan Karadzic. It's entirely possible that Serbian forces who did perpetrate crimes were motivated to do so in retaliation for crimes and aggression against Serbs by Muslims and Croats, and not because Radovan Karadzic was the evil mastermind of a “joint criminal enterprise”. The way in which this trial was conducted leaves ample room for resonable doubt.

Serge Brammertz does not speak from a position of credibility either. Thanks to Wikileaks, we know how he got his job as ICTY chief prosecutor, and it’s an interesting story.

According to a classified U.S. State Dept. cable dating from 2007, “France is backing Serge Brammertz to succeed Carla Del Ponte as ICTY Chief Prosecutor from a belief that Brammertz will otherwise refuse to extend his mandate at the UN International Investigative Commission (UNIIIC), an outcome the French characterize as disastrous.”[23]

According to the cable, a more qualified prosecutor was passed over in favor of Brammertz despite doubts about his competence. The cable says, “With Del Ponte set to retire in September, current Deputy Prosecutor Tolbert would manage the transition until Brammertz’s arrival.  [MFA UN/Middle East Action Officer Salina Grenet] acknowledged that the outcome was not positive for Tolbert, an [American citizen], whom she called an excellent candidate in his own right to succeed Del Ponte. She volunteered moreover that the UK had raised doubts about whether Brammertz possessed the right profile and competence for the ICTY position.”[24]

Brammertz got the job of ICTY chief prosecutor, despite the fact that the ICC wouldn’t even give him his old job back. The cable says, “Grenet conceded that Brammertz, on leave as Deputy Prosecutor of the International Criminal Court (ICC), should technically be able to resume his prior function; however, she claimed that ICC Prosecutor Ocampo, whose personal relationship with Brammertz has continued to deteriorate, has effectively shut the door on that possibility.”[25]

Why should anyone take the ICTY seriously when its chief prosecutor got his job for blatantly political reasons in spite of doubts about his competence?


[1] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 47592-47593

[2] Answer to the request for motion for a binding order to be issued to the Government of the Federal Republic of Germany for the production of documents pursuant to Rule 54bis

[3] Prosecution’s Submission Re. Notice of Special Defence as to Count 11: Reprisals

[4] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 47690

[5] ICTY Case No. IT-95-5/18-T, Decision on Accused’s Fifth Motion for Binding Order (United States of America), 22 August 2012

[6] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 30365

[7] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 12743

[8] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 8347

[9] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 30687-30688

[10] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 30518-30519

[11] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 33424-33425

[12] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 7083-7084

[13] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 4386-4387

[14] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 1716

[15] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 32652-32653

[16] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 30519

[17] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 30649

[18] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 46536

[19] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 30365

[20] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 4867

[21] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 764

[22] Radovan Karadzic trial transcript, pg. 6130

[23] Classified U.S. State Dept. Cable #07PARIS1882_a; Para 1

[24] Ibid., Para 3

[25] Ibid., Para 4



(srpskohrvatski / italiano)

La Jugoslavia alle Olimpiadi 2016

1) Il medagliere olimpico
2) Due immagini significative
3) Illegittima partecipazione del "Kosovo" e provocazioni pan-albanesi / Evo kako su Albanci provocirali...
4) Hrvatska atletičarka Sandra Perković: Žao mi je što se Juga raspala, bili bismo najveća sila ["Mi dispiace che la Jugoslavia sia smembrata, saremmo stati i più forti"]


Come ogni quattro anni, cioè per ciascuna Olimpiade svoltasi dallo smembramento della Jugoslavia in poi, riportiamo qui il medagliere delle Repubbliche ex-federate a confronto con il passato. 
In totale gli atleti jugoslavi hanno raccolto 9 ori, 9 argenti e 5 bronzi, classificandosi complessivamente all'ottavo posto e battendo, per un oro, anche l'Italia. Croazia e Serbia in particolare hanno conseguito ottimi risultati. Nella pallanuoto addirittura su 4 semifinaliste, 3 erano nazionali di paesi sorti dalla dissoluzione jugoslava. 


Sullo stesso argomento segnaliamo anche:

Le repubbliche jugoslave nel medagliere olimpico

Ex-Ju: passato e presente olimpico (di Natalia Kawana – OBC 04/08/2016)
La Jugoslavia partecipò a molte Olimpiadi, vincendo un record di 18 medaglie nel 1984. Ora gli stati successori hanno tutti speranze di medaglie, nonostante la loro giovane storia di partecipazione all'evento come stati indipendenti... [N.B. Nell'articolo i risultati conseguiti dalla Jugoslavia nei 70 anni di unità vengono saltati a pié pari]
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Ex-Ju-passato-e-presente-olimpico-173401/

Il basket e la sfida infinita. Croazia-Serbia, ci risiamo (di Gianni Riotta, 17.8.2016)
Dalla guerra allo sport, stanotte nei quarti un match mai banale [N.B. Un articolo grondante imprecisioni e luoghi comuni: Mate Boban, coinvolto nella rissa al fianco dei suoi hooligans nazionalisti e violenti, viene rappresentato come una vittima, mentre Vlade Divac che calpesta la bandiera del nazismo ustascia (nel 1990 la bandiera della Repubblica Socialista di Croazia era con la stella rossa e la parte inferiore di colore blu!) fa la parte del cattivone]


=== 1: Il medagliere ===

paese classifica oro argento bronzo totale

SLOVENIA (45) 1 2 1 4
CROAZIA (17) 5 3 2 10
BOSNIA-ERZEGOVINA (--) 0 0 0 0
FYROM (--) 0 0 0 0
SERBIA (32) 2 4 2 8
MONTENEGRO (--) 0 0 0 0
KOSOVO (54) 1 0 0 1


=== 2: Due immagini significative ===


NAJLJEPŠA SCENA FINALA U VATERPOLU: Zagrljaj srpskog i hrvatskog selektora za istoriju!

Piše: Buka / Objavljeno: 21.08.2016.
Lekcija iz viteštva srpskog i hrvatskog selektora – Prizor zagrljaja Dejana Savića, trenera Srbije i hrvatskog selektora Ivice Tucka je možda i najdirljivija scena finala i najveća pobjeda sporta. Tako treba. Uvijek i u svakoj prilici, na svim sportskim borilištima kada se sastanu Hrvati i Srbi ili bilo koja druga kombinacija sa naših nesretnih vremena


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SLIKA KOJA POKAZUJE BESMISAO RATA I MRŽNJE NA BALKANU

Piše: 24sata.rs / Objavljeno: 18.08.2016. u 13:04h
Rano jutros na terenu u Riju našla su se dva Bogdanovića, ali na suprotnim stranama - i obojica su bili najbolji u svojim timovima. Slika ove dvojice košarkaša odmah je počela da se širi društvenim mrežama kao najbolji podsetnik na besmisao ratova i mržnje na Balkanu.

Reprezentacije Srbije i Hrvatske nadmetale su se za prolazak u polufinale olimpijskog turnira i Srbija je izašla kao pobednika sa rezultatom 86:83. Lepa pobeda, velika i jako značajna - ali ipak obojena nacionalističkim
Ubrzo su krenuli da se vode pravi mini-ratovi u sekcijama komentara na portalima i društvenim mrežama. Puni "municije" u vidu mržnje, uvreda, psovki i ostalih primitivizama, najgori predstavnici obe stranem postarali su se da se njihov glas čuje. I delovalo je kao da je najglasniji. komentarima sa obe strane. U očima mnogih Srba ova pobeda je dvostruko veća jer je baš protiv naših suseda, dok se po hrvatskim društvenim mrežama i medijima šire komentari da poraz boli mnogo više jer je baš od Srbije.
Kakva glupost!
Koliko su tačno ovakvi statovi besmisleni možda je najbolje objasnio australijski komentator sinoć.
"Svi imaju ista imena... Ali nemojte to ni slučajno da im kažete", rekao je on kroz šalu, misleći baš na Bogdanovića i Bogdanovića. I nije bio jedini koji je bio zbunjen.
Dva bratska naroda, sa istim prezimenima, istim bojama, gotovo identičnim jezikom, geografski susedi - nikome ko nije upućen u komlikovanu istoriju Jugoslavije nije jasno zašto bi tu postojala mržnja. Zapravo, ni onima koji ne samo da su upućeni, nego su bili svedoci ratova, nije jasno kakve veze politika ima sa sportom i zašto bismo mrzeli narod zbog šačice političara.
Bogdan Bogdanović je juče bio najbolji u reprezentaciji Srbije i doneo nam je 18 poena. Bojan Bogdanović je bio najbolji u reprezentaciji Hrvatske i doneo im je 28 poena. A zajedno su ova dva Bogdanovića donela najlepšu poruku nakon utakmice.
Slika je već osvojila društvene mreže, pa šalje jasnu poruku da onaj glas mržnje o kom smo pričali možda ipak nije najglasniji. Sve dok mu mi to ne dozvolimo.



=== 3 ===


Serbia ai suoi atleti: “Se c’è il Kosovo non salite sul podio”

Pubblicato il 8 agosto 2016 

di Silvio De Santis

La Serbia ai suoi olimpionici: “Non salite sul podio se ci sono atleti del Kosovo”. “Abbandonare le cerimonie di premiazione nel caso ci siano sul podio anche atleti del Kosovo”: è questo l’invito che il governo della Serbia ha voluto dare ai propri atleti nel caso si trovassero a condividere il podio delle olimpiadi di Rio 2016 con atleti provenienti dal Kosovo.
Il ministro dello sport, Vanja Udovicic (un ex campione di pallanuoto, ha solo 34 anni), ha chiarito che la decisione finale spetta solo ai singoli componenti del Team, mentre il governo ha sottolineato come non ci sia un obbligo “ma solo una raccomandazione”, perché la vicenda è “complessa”.
Il Kosovo è stato ufficialmente riconosciuto dal comitato olimpico internazionale nel 2014, e a Rio sono presenti otto atleti, alcuni dei quali avevano partecipato a Londra 2012 con l’Albania. “Non vogliamo certo minacciare i nostri atleti – ha aggiunto il ministro Udovicic – ma non possiamo ascoltare l’inno del Kosovo né vedere la loro bandiera“.
Qualcuno penserà che con 8 atleti la probabilità che il Kosovo vada sul podio è molto scarsa, e che quindi la Serbia stia solo cogliendo l’occasione per ribadire la propria ostilità al Kosovo anche in sede olimpica. Ma il Kosovo ha già vinto una medaglia, per di più d’oro, e contro l’Italia.
È stata la due volte iridata Majlinda Kelmendi, portabandiera del Kosovo alle olimpiadi di Rio, a vincere la medaglia d’oro di judo. Nella cerimonia organizzata a Pristina, prima della partenza per Rio, la Kelmendi aveva detto: “Voglio mostrare al mondo che il Kosovo non è solo un piccolo Paese con una storia di guerra. Voglio mostrare nostro lato buono del nostro Paese, dove i giovani fanno sport, spettacolo e possono anche vincere”.

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Odio incredibile: Ecco come gli albanesi hanno provocavano il campione olimpico Davor Stefanek

http://www.kurir.rs/sport/rio-2016/nevidena-mrznja-evo-kako-su-albanci-provocirali-olimpijskog-sampiona-stefaneka-clanak-2401351

NEVIĐENA MRŽNJA: Evo kako su Albanci provocirali olimpijskog šampiona Štefaneka

16.08.2016. – Grupa navijača provocirala je albanskom zastavom olimpijskog šampiona Davora Štefaneka tokom intoniranja himni u Rio de Žaneiru.
Srpski rvač Davor Štefanek osvojio je zlatnu medalju u Riju pošto je u finalu u kategoriji do 66 kilograma grčko-rimskim stilom pobedio Migrana Artjunjana iz Jermenije.
Prilikom podizanja zastave i intoniranja himne Srbije grupa albanskih navijača koja je provocirala olimpijskog šampiona. Međutim, Štefanek na to uopšte nije reagovao.


=== 4 ===


Hrvatska atletičarka Sandra Perković: Žao mi je što se Juga raspala, bili bismo najveća sila

Navijaću za Ivanu Španović kao i uvek, ne vidim nikakav razlog zašto ne bih. Moje je srce veliko kad ona pobeđuje kao što je i njeno kada to činim ja, poručila je Perkovićeva
Datum: 15/08/2016

Olimpijska pobednica u bacanju diska iz Londona Hrvatica Sandra Perković u obranu titiule krenuće u utorak u 1.30 časova, ali to ipak nije najbitnija vest u Hrvatskoj. Njeno drugarstvo sa Ivanom Španović i jugonostalgija netipična za hrvatske sportiste, koji čak i ako veruju u Jugu, to drže za sebe, zapalila je društvene mreže.

Osim što se sprema za lov na novu medalju, Sandra Perković za Novosti je poručila da će pružiti i podršku ostalim sportistima iz bivše Jugoslavije, i da bi volela da isto učine i svi navijači bez obzira na to iz koje države dolaze.

"Mi se tu svi držimo zajedno. Već smo ranije komentirali kako Bosanci dolaze kod nas na terapije, ja odem kod Slovenaca, a ti Slovenci kod Srba. Bitno je da se držimo zajedno, tako smo puno jači i sve ima jedan pozitivan duh. Puno je lepše biti u društvu našeg čoveka. Žao mi je što smo se raspali jer mislim da bismo bili najjača sila, jači od Nemaca, Rusa i Amerikanaca", rekla je Perkovićeva za Novosti.

Ona je kratko prokomentarisala i svoj odnos sa najboljom srpskom atletičarkom Ivanom Španović.

"Baš smo se čule pre nego što je stigla ovde. Srećemo se na većim mitinzima i jedva čekam da ju ponovno vidim. Navijaću za nju kao i uvek, ne vidim nikakav razlog zašto ne bih. Moje je srce veliko kad ona pobeđuje kao što je i njeno kada to činim ja", poručila je hrvatska atletičarka.






A Santa Severa (Roma) il 4 settembre... musica per NA MORE CON AMORE!

Ciao a tutti, 
i bambini dell'edizione 2016 di nA More con AMore stanno per arrivare. 
Atterreranno all'aeroporto di Roma Fiumicino il prossimo 29 agosto, con trasferimento poi a Santa Severa con mezzi volontari. 
Abbiamo sviluppato un calendario delle attività, che cerchiamo di variegare ogni anno, con bambini diversi della scuola. 
A Santa Severa verrà svolta attività balneare e ricreativa con visita dei siti culturali locali dell'area del Castello ed i suoi musei, tutti a portata di spiaggia... 
Saranno effettuate inoltre due gite fuori porta ed un evento dedicato:
MERCOLEDI' 31 agosto: visita presso Monterano e le cascate di Diosilla, nel Braccianese, con pic-nic;
VENERDI' 2 settembre: in mattinata trasferta presso una società cooperativa agricola integrata sulla Via Pontina, dove i bambini potranno visitare e partecipare ad alcune attività della fattoria didattica, con pranzo offerto sul posto. Nel pomeriggio faremo una breve passeggiata per i luoghi più noti della Roma Antica.
DOMENICA 4 settembre: per contribuire al finanziamento dell'iniziativa abbiamo messo in cantiere lo spettacolo musicale a sottoscrizione di cui trovate l'annuncio di seguito.

Abbiamo infatti ancora bisogno di un po' di supporto economico per coprire le spese di viaggio. Precisamente è di 1.697,58 euro la spesa per il volo aereo del gruppo con AirSerbia. Al momento con le sottoscrizioni non abbiamo raggiunto ancora il migliaio di euro. Chi volesse contribuire con un semplice versamento in denaro, può ancora farlo, versando a:
CONTO BANCOPOSTA n° 88411681; Intestato a JUGOCOORD ONLUS, ROMA
IBAN IT 40 U 07601 03200 000088411681
Causale “NA MORE CON AMORE 2016”
Per qualsiasi informazione in più sull'iniziativa o chiarimenti sulle modalità di sottoscrizione: 
Samantha Mengarelli, e-mail namoreconamore @ gmail.com
Grazie!

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Santa Severa (Roma), 4 settembre 2016
... nella magica cornice del CASTELLO DI SANTA SEVERA ...

nell’ambito della rassegna NOTE IN BLU, in collaborazione con Coopculture, Museo del Mare e della navigazione Antica e Pro Loco 
(info: http://www.museosantasevera.it/it/note-blu-fascino-mediterraneo/beatlesaroma @ gmail.com, Coopculture tel 063996799)

I BEATLES A ROMA BAND PRESENTANO

A Fabulous Beatles Night

Spettacolo di musica dal vivo in favore dell’iniziativa “nA More con AMore” per bambini serbo-kosovari ospiti presso Santa Severa dal 29 agosto al 6 settembre 2016, organizzata dalle associazioni Jugocoord Onlus (jugocoord @ tiscali.it) e Non bombe ma solo caramelle Onlus.

Ingresso libero a sottoscrizione volontaria per l’iniziativa. I fondi raccolti, eventualmente eccedenti le spese di ospitalità sostenute, saranno devoluti in favore di un progetto di ricostruzione del patrimonio storico dei paesi colpiti dal terremoto nel Centro-Italia.

I Beatles a Roma sono un gruppo di autori, intrattenitori e musicisti che da anni omaggiano i Beatles con spettacoli teatrali, live show e concerti ottenendo un grande successo di pubblico e critica. Fondati nel 2010 da Simone Mariani, Martino Pirella, Luigi Abramo e Lorenzo Mazze’ negli anni si sono arricchiti con il contributo di musicisti ed attori. Nella formula concerto saranno presenti, nella magica cornice del Castello di Santa Severa, con Francesco Cavalluzzo e Francesco Pradella, elementi fondamentali del gruppo. I Beatles a Roma propongono uno show che attraversa tutta la discografia dei Beatles eseguendo sia i capolavori conosciuti che le gemme nascoste degli storici Fab Four. 
Ingresso gratuito ad esaurimento disponibilità
Prenotazione consigliata € 2,00 a persona
Inoltre a seguire: Degustazioni di vini del territorio
Info e prenotazioni: tel / 06.3996.7999

ALTRE INFO SULLA INIZIATIVA "NA MORE CON AMORE": https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NaMoreConAmore.htm



(english / italiano)

Una delle tante ignominie del "Tribunale ad hoc" dell’Aja

1) Verità e giustizia per Slobodan Milosevic (di Michele Franco, Rete dei Comunisti)
2) Il Tribunale dell’Aja, dopo averlo ucciso in carcere, scagiona il Presidente jugoslavo e serbo (di Enrico Vigna, Civg.it)


Also worth listening: Christopher Black commenting on Jugoslavia and Milošević (Radio Sputnik, Loud&Clear 19.8.2016 -- at third and last section, starting 33')
... Joe Biden visited Serbia this week where he was greeted by crowds of protesters. Now activists will erect a monument to the victims of the NATO bombing of Novi Sad. [Brian] Becker is joined by human rights attorney Christopher Black to talk about the legacy of the U.S. bombing of Yugoslavia and what comes next in the U.S.-Serbia relationship...

...and reading: The ICTY Karadzic "Sentence": http://www.icty.org/x/cases/karadzic/tjug/en/160324_judgement.pdf


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12/08/2016

Verità e giustizia per Slobodan Milosevic. Le ignominie del Tribunale Internazionale dell’Aja e della democrazia imperialista

di Michele Franco, Rete dei Comunisti

Apparentemente sembra una di quelle classiche notizie di mezza estate che servono per riempire lo spazio dei giornali e dei notiziari. Invece la notizia – che “stranamente” solo ora trova un po’ di spazio sui media – è un fatto di rilevante importanza.
 
L’ex Presidente della Serbia, Slobodan Milosevic, è stato scagionato dalla Corte Penale Internazionale per i cosiddetti crimini di guerra per le varie fasi delle guerre balcaniche degli anni ’90. Una decisione che ribalta completamente un allucinante castello accusatorio che per alcuni anni ha tenuto banco nel dibattito politico internazionale. Eppure Slobodan Milosevic è stato lasciato morire in carcere – nel marzo del 2006 – dopo cinque anni di detenzione, senza poter usufruire di nessun beneficio, in una asettica cella del “democratico” tribunale dell’Aja in Olanda alla stregua di un volgare ed efferato criminale. Una sorte che – a dimostrazione che la storia la scrivono i vincitori – che non fu replicata ed uguale per i presidenti di Croazia e Bosnia i quali – almeno formalmente – venivano ritenuti corresponsabili delle presunte malefatte di Milosevic mentre, in realtà, erano le teste d’ariete dell’aggressione della Federazione Jugoslava. Questa “riabilitazione postuma” di Milosevic pur all’interno di un dispositivo giuridico e di una evidente falsificazione storica dei fatti che condanna, a pene pesantissime e discutibilissime, altri protagonisti della complessa vicenda Jugoslavia è una ulteriore prova - un altro tassello - che svela, inequivocabilmente, come la distruzione di quel paese fu pianificata scientificamente dalle potenze occidentali e dal Vaticano fino ai suoi esiti finali che prevedevano, fin dall’inizio, l’eliminazione del Presidente Milosevic descritto – dalla comunicazione deviante del capitale a scala globale – come l’incarnazione personificata del male assoluto. Non è un caso – poi – che altri oppositori al generale rullo compressore imperialista acceleratosi dopo il 1989 - da Saddam Hussein a Gheddafi - hanno conosciuto la morte fisica, senza neanche lo straccio di un processo, anche sulla scorta della sostanziale impunità che gli aggressori occidentali hanno usufruito prima, durante e dopo le ripetute aggressioni consumate contro i popoli della Jugoslavia. Ora, dopo anni, questa notizia non suscita più l’indignazione e lo sdegno di cui necessiterebbe una sentenza di tale portata storica. Gli ultimi 20 anni sono stati un periodo di grande sconvolgimento internazionale dove l’accentuarsi della competizione globale tra potenze e il suo combinato disposto con la vigenza di una crisi strutturale del capitale ha provocato e continua a suscitare guerre d’aggressione, distruzione di entità statuali, movimenti migratori e inenarrabili sofferenze. Un arco storico in cui è cresciuto l’interventismo bellico imperialista spesso camuffato o dalle insegne dell’ONU o da motivazioni “umanitarie”. Una nuova fase di militarismo imperialista che si alimenta di una propaganda distorta che tende alla persuasione delle coscienze, all’intruppamento reazionario dei settori sociali verso il proprio capitalismo di riferimento ed alla passivizzazione/narcotizzazione delle masse. Da comunisti abbiamo difeso, più volte, la Jugoslavia mentre veniva attaccata militarmente dagli USA e da altri paesi europei. Mai dimenticheremo l’infamia di Massimo D’Alema alla guida di quel governo che mandò i Tornado italiani sui cieli di Belgrado e della Jugoslavia a fare stragi di civili. Nel contempo abbiamo criticato Milosevic per la sua difesa incoerente dell’unità e della fratellanza dei popoli Jugoslavi attesta attorno alla “centralità dei serbi” e non invece - come il Presidente Tito magistralmente era stato capace di fare - a scala “pan/Jugoslava” in un possibile e corretto equilibrio politico e sociale tra le varie “repubbliche” che componevano quella Federazione nata da una vera guerra di popolo contro l’occupazione nazista e fascista. Una incoerenza, quella di Milosevic e del Partito Socialista Serbo, nutrita, tra l’altro, da primi cedimenti sul versante economico verso il liberismo capitalista e le ricette del Fondo Monetario Internazionale foriera di disastri. Una autentica deriva che aprì la strada all’opera di manomissione economica, diplomatica e militare dell’Occidente che - subito dopo la morte di Tito e i fatti del 1989/1991 - conobbe un nuovo slancio antisociale in Jugoslavia come altrove. La notizia - venuta alla luce in questi giorni anche se la sentenza risale al 24 marzo scorso - ci ha offerto la possibilità di ricordare il vero e proprio omicidio di Slobodan Milosevic e di richiamare, ancora una volta, l’attenzione e la critica attiva verso la cosiddetta neutralità del diritto internazionale e delle sue “istituzioni democratiche” tra cui il famigerato Tribunale Internazionale dell’ Aja. Una attenzione ed una critica da rendere – anche alla luce dell’inasprirsi delle contraddizioni sul piano generale e dei venti di guerra che spirano minacciosi – prassi agente per attrezzare, anche sul terreno dei contenuti politici, il lavoro di ricostruzione e di riqualificazione del movimento No War.

Michele Franco, Rete dei Comunisti


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Milosevic: il Tribunale dell’Aja, dopo averlo ucciso in carcere, scagiona il Presidente jugoslavo e serbo da ogni accusa, circa crimini di guerra in Bosnia nel 1992/1995!

Scritto da Enrico Vigna, agosto 2016

Il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) dell'Aia ha stabilito alla fine, che il Presidente jugoslavo e serbo Slobodan Milosevic, non era stato responsabile per i crimini di guerra commessi durante la guerra in Bosnia nel 1992-1995.

Con una sentenza conclusiva, la Camera di primo grado del TPI dell’Aja ha unanimemente sentenziato che Slobodan Milosevic non era parte di una "impresa criminale congiunta" per perseguitare musulmani e croati durante la guerra in Bosnia.

Il giudizio del 24 marzo 2016 afferma che "la Camera ha stabilito che non vi erano prove sufficienti presentate in questo caso, per stabilire che Slobodan Milosevic fosse parte di un progetto per scacciare i musulmani bosniaci e i croati bosniaci dal territorio serbo-bosniaco…”.

I giudici hanno sottolineato che Slobodan Milosevic e Radovan Karadzic avessero all’inizio della guerra, operato per la conservazione della Jugoslavia e che Milosevic era sempre schierato su questa posizione. La Camera del TPI ha stabilito che “… Slobodan Milosevic ha sempre perseguito questo obiettivo ed era contro la secessione della Bosnia-Erzegovina… ".

La Camera ha rilevato che "…la auto proclamazione di sovranità da parte dell'Assemblea della BiH in assenza dei delegati serbo-bosniaci il 15 ottobre 1991, fece precipitare la situazione…", e che Milosevic aveva una posizione cauta circa la costituzione della Republika Srpska come risposta. 
La sentenza afferma che nelle comunicazioni intercettate con Radovan Karadzic, "…Milosevic era dubbioso se fosse stato saggio usare ‘un atto illegittimo in risposta ad un altro atto illegittimo’ e messo in discussione la legittimità di formare un'Assemblea serbo bosniaco..."

I giudici hanno anche scoperto che "…Slobodan Milosevic aveva espresso le sue riserve su come un'Assemblea serbo-bosniaco potesse escludere i musulmani che erano 'per la Jugoslavia'..."

Il giudizio osserva che in incontri con i serbi e funzionari serbo bosniaci "…Slobodan Milosevic aveva dichiarato che “ …i membri di altre nazioni ed etnie dovevano essere protetti e che l’' interesse nazionale dei serbi non era la discriminazione...".
Inoltre è provato che  "…Milosevic aveva sempre ribadito che qualsiasi atto criminale doveva essere combattuto con decisione...".

La Camera di primo grado ha osservato che "…in riunioni private, Milosevic era estremamente arrabbiato con la leadership serbo-bosniaca che voleva respingere il piano Vance-Owen...". E’ stato anche determinato che "…Milosevic ha cercato di ragionare con i serbi bosniaci dicendo che capiva le loro preoccupazioni e ragioni, ma che la cosa  più importante era porre fine alla guerra…e incoraggiava per un accordo politico… ".

Nel corso di una riunione del Consiglio Supremo di Difesa, Milosevic aveva sottolineato che i leader serbo bosniaci, non avevano il diritto di chiedere più di metà del territorio in Bosnia-Erzegovina, affermando che “…non si deve avere più di ciò che ci appartiene. Poiché, rappresentiamo un terzo della popolazione. [...] Noi non abbiamo diritto a oltre la metà del territorio e non si deve strappare via qualcosa che appartiene a qualcun altro! [...] Come si può immaginare che due terzi della popolazione possano essere stipati nel 30% del territorio, mentre il 50% è troppo poco per voi ?! E' umano, è giusto ?!'… ".

In altri incontri con i funzionari serbi e serbo-bosniaci, la sentenza osserva che Milosevic  aveva ripetutamente dichiarato che bisognava porre fine alla guerra e che il più grande errore dei serbo bosniaci era quello di “… cercare una completa sconfitta dei musulmani bosniaci… mentre era necessario ricercare e accettare proposte di pace… ".

“…Vistosamente in silenzio dal marzo 2016, giorno del verdetto dell’Aia, sono il New York Times, il Washington Post, il Los Angeles Times, la CNN e il Times di Londra per citarne solo alcuni, dei giornali partigiani della “democrazia e della giustizia” che hanno partecipato alle campagne contro   Slobodan Milosevic e al suo diritto a una "giustizia secondo la legge", come inciso sopra l’ingresso della Corte Suprema degli Stati Uniti.

Dove sono le voci di Christiane Amanpour della CNN, Roy Gutman e John Burns, che hanno ricevuto un Pulitzer per le loro menzogne ​​e inganni in Bosnia? Dove è Nicholas Burns e il marito della Amanpour James Rubin, che regolarmente sulla CNN vomitavano menzogne contro Milosevic  per 8 anni? Dove è Carla Del Ponte, quando c’è bisogno di lei? Dove è Joan Phillips e Charles Lane che hanno avanzato nella loro carriera, con il loro lavoro di propaganda e falsità?

Dove è James Harf  PR della Ruder / Finn, che ha incassato milioni di dollari promuovendo menzogne e immaginazioni per i governi croati e bosniaci musulmani? Dov'è Chris Hedges, Charlene Hunter Galt, ciarlatani dei media come Maggie O'Kane della stampa britannica ... 

Dove è Tom Post
 che ha scritto l'articolo infame di prima pagina su Newsweek, circa "50.000 stupri di donne musulmane bosniache"? Dove è Sylvia Poggioli che abilmente ha scritto un saggio di disinformazione nella Relazione Neiman ad Harvard? Dove è John Pomfret del Washington Post che ha sostenuto di aver visto "4.000 uomini e ragazzi di Srebrenica che si erano salvati a Tuzla"?
Dove è David Rohde i cui libri e articoli hanno demonizzato il popolo serbo con grande astuzia? E dove è Carol Williams del Los Angeles Times che ha scritto in un anno il giornalismo più odioso, anti-ortodosso e intriso di dogmatismo cattolico, di quanto la maggior parte dei giornalisti potrebbero fare in un decennio?
E, infine, dove sono creature come Minna Schrag, terza procuratrice americana che è stata in prestito al Tribunale dell'Aja, da uno studio legale di New York, e che ha detto agli studiosi di diritto internazionale che: "…E 'stata una nuova esperienza che deve essere un precedente, di poter decidere prima sulle regole delle prove ed alla procedura, di decisioni prese in conversazioni improvvisate nei corridoi del Tribunale Penale per la Jugoslavia.. "?

Se i media e il sistema giuridico sono questi, corrotti e disonesti, i serbi devono correre ai ripari dalla verità, e hanno diritto di poter disprezzare un mondo…che deliberatamente ha manipolato i fatti per demonizzare il popolo serbo con una colpa collettiva, non visto in Europa dal tempo di Hitler, questi sono mostri che hanno fatto della parola "serba" sinonimo di male, un processo inumano in uso ancora oggi…
Che possano marcire all'inferno per questa orribile farsa legale, la Madeleine Albright, il direttore di scena, che  dovrebbe essere in piedi sul banco degli imputati all'Aja, insieme con il generale Wesley Clark e William Jefferson Clinton….”…
Si chiede su beoforum, W. Dorich

“ …Non sono qui davanti ad un Tribunale illegittimo e illegale, che non riconosco, per difendere Slobodan Milosevic, ma solo per difendere la Jugoslavia e la dignità del popolo serbo, e con essi la verità e la giustizia dei popoli, contro l’arroganza e l’arbitrio dei potenti della terra, che hanno devastato e distrutto il mio paese, e umiliato il mio popolo…”.

Slobodan Milosevic, prima di morire ha dovuto trascorrere gli ultimi cinque anni della sua vita in carcere, difendendo caparbiamente se stesso e la Serbia dalle false accuse di crimini di guerra nel corso di una guerra, che ora rivelano, stava cercando di fermare. Le accuse più gravi che Milosevic ha dovuto affrontare, tra cui l'accusa di genocidio, erano tutte in relazione alla Bosnia. Ora, dieci anni dopo la sua morte, il TPI dell’Aja ha ammesso che non era colpevole.

Il 30 ottobre 2005 lo stesso Milosevic aveva osservato con grande realismo: “…se questo Tribunale per quanto illegale, riesce anche a ignorare le falsità clamorose contenute negli atti di incriminazione… tanto vale che leggiate la sentenza contro di me, la sentenza che siete stati istruiti ad emettere… Se la Corte non si rende conto dell’assurdità del rinvio a giudizio letto ieri in aula, dove si sostiene che la Jugoslavia non è stata vittima di un attacco della NATO, ma ha aggredito sé stessa, è consigliabile risparmiare tempo e passare direttamente alla sentenza. Leggetela e non mi annoiate…”.

Il TPI ha cercato di non pubblicizzare il fatto che Milosevic era stato giudicato estraneo a crimini di guerra ed alla loro pianificazione. Il Tribunale confidava che le 1.303 pagine riguardanti il presidente jugoslavo e serbo, sepolte tra le 2.590 pagine del verdetto Karadzic, sarebbero rimaste ignorate. Infatti è stato solo grazie a siti serbi e russi, e ad una delle poche eccezioni in occidente, rappresentata dal sito del giornale inglese The Guardian, che questa notizia si è diffusa a livello internazionale.
Occorre ricordare che Slobodan Milosevic è morto per un attacco di cuore appena due settimane dopo che il Tribunale gli aveva negato la sua richiesta di sottoporsi ad un intervento chirurgico al cuore in Russia. E’ stato trovato morto nella sua cella, meno di 72 ore dopo che il suo avvocato aveva consegnato una lettera al Ministero degli Esteri russo in cui denunciava il timore di essere stato avvelenato.
Il rapporto ufficiale del Tribunale sulla motivazione circa la morte, ha confermato che " nel campione di sangue prelevato da Milosevic il 12 gennaio 2006, era stato trovato del Rifamicin (un farmaco non prescritto per le sue cure), e che per intoppi burocratici non era stato comunicato a Milosevic fino al 3 marzo 2006. La presenza di Rifamicin nel sangue di Milosevic avrebbe contrastato il farmaco per l’alta pressione del sangue che egli stava prendendo, aumentando così il rischio di attacco di cuore che alla fine l'ha ucciso.

Il TPI non ha mai effettuato alcuna indagine adeguata ed indipendente, sulle reali cause della morte del presidente Milosevic, i risultati delle indagini interne svolte dal tribunale stesso, sono state bocciate con una riserva della Russia nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, basata su una serie di accertamenti medici, dove è chiaro che al Presidente Milosevic è stato rifiutato un trattamento adeguato, quando a causa della sua malattia, la sua vita era gravemente a rischio, e quindi, che il Tribunale abbia commesso almeno un omicidio giudiziario.

Molti esperti e studiosi internazionali hanno denunciato tutto questo, come un disegno che potenti interessi geopolitici preferivano non far arrivare vivo Milosevic alla fine del suo processo, con la possibilità che finisse assolto e le loro criminali menzogne ​​rivelate.                                                                                    Intercettazioni prese al Dipartimento di Stato USA svelate da Wikileaks, confermano che il Tribunale dell’Aja ha discusso lo stato di salute di Milosevic e le sue cartelle cliniche, con il personale dell'ambasciata degli Stati Uniti all'Aia senza informare nessuno. Perché?

E ORA? Tralasciando alle loro miserie morali e professionali i disinformatori di professione al servizio dei potenti e delle logiche imperialiste occidentali…., cosa faranno  i disinformatori sempre opportunamente schierati in linea con il “politicamente corretto” e i disinformatori in buona fede, solo perché “ignoranti”, cioè ignoravano atti e fatti ma sentenziavano e aizzavano contro “Hitler Milosevic”, il “ macellaio dei balcani”, il “criminale genocida”, demonizzandolo come un mostro, diffondendo falsità, menzogne, infamità. Migliaia di giornalisti, politici, esponenti di ONG falsamente umanitarie, pacifinti e utili idioti. 

Tutti costoro che sui media sono stati giudici, giuria e boia di Slobodan Milosevic ORA, CHIEDERANNO SCUSA? Avranno un sussulto etico morale e di coscienza? Abbasseranno il capo e con onestà intellettuale renderanno onore alle centinaia di migliaia di vittime della guerra di Bosnia, si indigneranno per essere stati usati dalla propaganda mediatica di guerra, contribuendo informativamente e oggettivamente alle tragedie e al dolore subito dai popoli di bosniaci e per tutto lo spargimento di sangue in Bosnia? E al popolo serbo e jugoslavo, che, come conseguenza ha subito un criminale embargo e sanzioni durate anni, che hanno immiserito e devastato socialmente e umanamente la propria gente?  Staremo a vedere.

Egli è morto lontano dalla sua terra, dal suo paese, dai suoi affetti più cari, dal suo popolo, che solo fino a poche ore prima, aveva ancora fermamente e orgogliosamente difeso dalle menzogne e falsità dei padroni del mondo.

Egli resterà come un simbolo storico del suo popolo, un simbolo di difesa della libertà, della verità, della giustizia, del socialismo serbo e jugoslavo; di difesa dell’indipendenza e dignità nazionali, della resistenza dei popoli all’arroganza e al nuovo fascismo dell’imperialismo.

Un simbolo di onore e dignità, di cui ogni serbo e ogni jugoslavo di oggi e delle future generazioni potrà sempre esserne fiero, potendo guardare chiunque negli occhi con orgoglio, e a testa alta di fronte al mondo ed alla storia.

Cercavano e avrebbero voluto un uomo implorante, supino, arreso e vinto, avrebbero voluto un mercante pronto a barattare la propria vita e la propria storia per una manciata di dollari o euro, o un brandello di futuro. Ma si sono trovati davanti un gigante, un patriota e un combattente fiero e in piedi di fronte a loro, che li ha fronteggiati senza tregua e timori, …e hanno perso, loro.

“…Io sono il vincitore morale!  – ha detto Milosevic all’Aia il 30 ottobre 2001. Io sono fiero di ogni cosa da me fatta, perché sempre fatta per il mio popolo ed il mio paese, ed in modo onesto. Io ho solo esercitato il diritto di ogni cittadino a difendere il proprio paese, e questo è il vero motivo per cui mi hanno illegalmente arrestato. Se voi state cercando dei criminali di guerra l’indirizzo non è qui a Scheveningen (il carcere olandese dov’era detenuto, Ndt) ma al Quartier Generale della Nato e nelle capitali occidentali, dove è stata pianificata la distruzione del mio paese, la Jugoslavia, e del mio popolo…. Noi non abbiamo attaccato o aggredito nessuno, ma ci hanno costretto a combattere a casa nostra, per difendere il nostro paese e la nostra terra… 

Questo abbiamo fatto e lo rifaremmo perché questa non è un’infamia ma un onore per qualsiasi popolo e uomo…”. ( Slobodan Milosevic  30/08/2001 )


A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia – Agosto 2016





CHI FA IL LAVAGGIO DEL CERVELLO A CHI


La notizia che segue è apparsa veramente, sul principale quotidiano italiano, quello che una volta ospitava gli articoli di Pier Paolo Pasolini.

Sullo stesso tema si veda anche: Vladimir Putin Horror Show


Il braccio destro di Putin e l’ordigno segreto per manipolare le menti 

Si parla di una specie di computer collegato ai sensori che registrano tutto. Da tempo il presidente e i suoi vogliono non solo conoscere ma anche indirizzare fatti e opinioni

di Fabrizio Dragosei, sul Corriere della Sera del 19 agosto 2016

MOSCA  - Capire cosa pensano gli elettori e quali sono i loro desideri è molto importante per tutti i governi che, infatti, ricorrono sistematicamente a specialisti dei sondaggi d’opinione. In Russia sembra però che ci si stia spingendo oltre: conoscere quello che sentono nel profondo delle loro coscienze i cittadini per poi condizionarli. In sostanza: non adeguare l’azione di governo alla volontà del popolo, ma fare il contrario, convincendo la gente che ciò che viene deciso in alto è esattamente quello che loro vogliono.
Finora questo risultato è stato ricercato con strumenti tradizionali, come il controllo dei mezzi d’informazione classici (tv, giornali, radio) e delle organizzazioni sociali. Ora, con la nomina del nuovo capo dell’Amministrazione del Cremlino, sorge il dubbio che si stiano percorrendo strade inesplorate. Il quasi sconosciuto Anton Vayno avrebbe infatti teorizzato la creazione di uno strumento particolare chiamato Nooskop per conoscere fin nel loro profondo le coscienze. E, forse, per indirizzarle come si vuole.Persone che hanno lavorato in passato con Vayno parlano addirittura di un «meccanismo», di una specie di computer collegato a sensori di diverso tipo che registrano tutto quello che è successo nel tempo e nello spazio, fino alle transazioni delle carte di credito e agli scambi di ogni genere tra persone. Il professor Viktor Sarayev, che ha scritto testi scientifici assieme a Vayno, ha detto alla Bbc che il Nooskop è un’invenzione di portata addirittura simile a quella del telescopio.
Ricerche per riuscire a conoscere tutto il conoscibile sull’attività umana in un dato paese o sull’intero pianeta esistono già, come ad esempio il Living Earth Simulator. Ma da tempo Vladimir Putin e i suoi vogliono non solo conoscere ma anche indirizzare.Dopo aver subìto moti di piazza dei contestatori negli anni passati, l’Amministrazione russa è corsa ai ripari. Gli oppositori sono stati messi in condizione di non nuocere, con arresti, denunce e altri sistemi meno ortodossi. Le leggi sulle dimostrazioni di piazza hanno subito modifiche. Poi c’è stata l’azione sui mezzi d’informazione, quasi tutti messi sotto controllo con il ricorso a personaggi come Dmitrij Kiselyov capo del sistema di informazione del Cremlino il quale sostiene, secondo la Bbc, che l’epoca del «giornalismo neutrale» sia tramontata.
La tv satellitare di regime RT forma le coscienze degli ascoltatori di lingua inglese sparsi per l’intero pianeta. Le Tv nazionali si occupano degli elettori russi. Gli Spin Doctors del Cremlino monitorano in ogni momento l’opinione pubblica. Le tv poi iniziano a “martellare” i telespettatori a seconda delle necessità.Certo il Nooskop di Vayno potrebbe fare ancora di più se esistesse veramente (e molti specialisti ne dubitano). In fin dei conti non sarebbe altro che un ulteriore tassello di quella «guerra asimmetrica» che la Russia teorizza da tempo.




Defamation and Murder of Slobodan Milosevic

1) The ICTY Karadzic Judgement and Milosevic: Victims of “Fascist Justice” – by Christopher Black
2) FLASHBACK: The Murder of Slobodan Milosevic – by Peter Robert North (2006)


Also to read / Sullo stesso tema segnaliamo anche:

ARCHIVIO MILOSEVIC. Le pagine dedicate sul nostro sito:
https://www.cnj.it/MILOS/index.htm
in particolare: L'ASSASSINIO IN CARCERE. 2011: Le rivelazioni Wikileaks
https://www.cnj.it/MILOS/morte.htm#wikileaks

ICTY Exonerates Slobodan Milosevic for War Crimes (rassegna JUGOINFO del 28.7.2016)
1) Hague Tribunal Exonerates Slobodan Milosevic for Bosnia War Crimes Ten Years Too Late (by Andy Wilcoxson)
2) Момир Булатовић: ВЕЛИЧИНА СЛОБОДАНА МИЛОШЕВИЋА
3) Madeleine Albright's Criminal Enterprise (by William Dorich)

Milosevic innocente (rassegna JUGOINFO 12.8.2016)
1) Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie (Initiative Communiste)
2) Telesur : Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie: les médias silencieux (Telesur)
3) Milosevic exonerated, as the NATO war machine moves on (Neil Clark)
4) Milosevic Exoneration: Radio Free Europe's Clumsy Attempt at Damage Control (Andy Wilcoxson)

MILOSEVIC AND THE DESTRUCTION OF YUGOSLAVIA. UNPLEASANT TRUTHS NO ONE WANTS TO KNOW
by Giulietto Chiesa, Global Research, August 13, 2016 / Defend Democracy Press 12 August 2014
ORIG.: Milosevic scagionato dal Tribunale penale internazionale per Jugoslavia. E nessuno lo dice (di Giulietto Chiesa, 9 agosto 2016)
http://it.sputniknews.com/opinioni/20160809/3246721/yugoslavia-milosevic-tribunale-penale-internazionale.html
oppure http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=126353&typeb=0
oppure in VIDEO: Il Punto di Giulietto Chiesa: il Tribunale dell’Aja scagiona Milosevic (PandoraTV, 9.8.2016)
Il Tribunale dell’Aja scagiona Milosevic. Ma nessuno lo sta dicendo! E nessuno pagherà per il misfatto...
http://www.pandoratv.it/?p=10499
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=6myryvlbuiY

OSSERVIAMO PIETOSO SILENZIO SU FIDEL - ROMPIAMO L'INFAME SILENZIO SU SLOBO
di Fulvio Grimaldi, 16 agosto 2016


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The ICTY Karadzic Judgement and Milosevic: Victims of “Fascist Justice”


By Christopher Black
Global Research, August 12, 2016

A recent report by Andy Wilcoxson, who has been following the trials at the ICTY, states that the judgement in the Dr. Karadzic case, issued in March of this year, “exonerated” or cleared President Milosevic of the allegations made against him by the prosecution at the ICTY. However, the judgement contains other findings by these judges that muddy the waters and remind us that though they did accept certain favourable facts regarding Milosevic, their purpose was not to “clear” Milosevic but to convict Karadzic and so they used legitimate disagreements on strategy and tactics between Milosevic and Karadzic to diminish the role of Milosevic in this case and exaggerate the role of and belligerency of Karadzic. 

The report by Wilcoxson quotes the following from the judgement;

the Chamber is not satisfied that there was sufficient evidence presented in this case to find that Slobodan Milosevic agreed with the common plan” to permanently remove Bosnian Muslims and Bosnian Croats from Bosnian Serb claimed territory.

And that,

 the relationship between Milosevic and the Accused had deteriorated beginning in 1992; by 1994, they no longer agreed on a course of action to be taken. Furthermore, beginning as early as March 1992, there was apparent discord between the Accused and Milosevic in meetings with international representatives, during which Milosevic and other Serbian leaders openly criticised Bosnian Serb leaders of committing ‘crimes against humanity’ and ‘ethnic cleansing’ and the war for their own purposes.

And that,

from 1990 and into mid-1991, the political objective of the Accused and the Bosnian Serb leadership was to preserve Yugoslavia and to prevent the separation or independence of BiH, which would result in a separation of Bosnian Serbs from Serbia; the Chamber notes that Slobodan Milosevic endorsed this objective and spoke against the independence of BiH.

And,

The Chamber found that “the declaration of sovereignty by the SRBiH Assembly in the absence of the Bosnian Serb delegates on 15 October 1991, escalated the situation,but that Milosevic was not on board with the establishment of Republika Srpska in response. The judgment also says that “Slobodan Milosevic was attempting to take a more cautious approach.

And,

The judgment states that in intercepted communications with Radovan Karadzic,

“Milosevic questioned whether it was wise to use ‘an illegitimate act in response to another illegitimate act’ and questioned the legality of forming a Bosnian Serb Assembly.” The judges also found that “Slobodan Milosevic expressed his reservations about how a Bosnian Serb Assembly could exclude the Muslims who were ‘for Yugoslavia’.”

And that,

“Slobodan Milosevic stated that ‘[a]ll members of other nations and ethnicities must be protected’ and that ‘[t]he national interest of the Serbs is not discrimination’.” Also that “Milosevic further declared that crime needed to be fought decisively.”

And,

The trial chamber notes that “In private meetings, Milosevic was extremely angry at the Bosnian Serb leadership for rejecting the Vance-Owen Plan and he cursed the Accused.” They also found that “Milosevic tried to reason with the Bosnian Serbs saying that he understood their concerns, but that it was most important to end the war.”

and that,

 Milosevic also questioned whether the world would accept that the Bosnian Serbs who represented only one third of the population of BiH would get more than 50% of the territory and he encouraged a political agreement.

And that at a meeting of the Supreme Defense Council the judgment says that “Milosevic told the Bosnian Serb leadership that they were not entitled to have more than half the territory in BiH, stating that: ‘there is no way that more than that could belong to us! Because, we represent one third of the population. […] We are not entitled to in excess of half of the territory – you must not snatch away something that belongs to someone else! […] How can you imagine two thirds of the population being crammed into 30% of the territory, while 50% is too little for you?! Is it humane, is it fair?!’”

In other meetings with Serb and Bosnian Serb officials, the judgment notes that Milosevic,

“declared that the war must end and that the Bosnian Serbs’ biggest mistake was to want a complete defeat of the Bosnian Muslims.” Because of the rift between Milosevic and the Bosnian-Serbs, the judges note that, “the FRY reduced its support for the RS and encouraged the Bosnian Serbs to accept peace proposals.”

This is indeed what is contained in a few paragraphs in the 2,590 page “judgement” against Karadzic and these statements do reflect some of what President Milosevic presented in his defence at his show trial and what was in news accounts of the period. They are important to bring to the attention of the public once again and we must thank Mr. Wilcoxson for making this available to the public.

But the judges also state, at Paragraph 2644 that though “In May 1991, Slobodan Milosević told the Accused that his position should be that they were against the secession and wanted BiH to remain in Yugoslavia, to which the Accused agreed, in another conversation in July 1991, Milosević told the Accused that their objective was to “have disintegration in [...] line with our inclinations” and that they “should take radical steps and speed the things up”.

At paragraph 2645 they continue,

“In other conversations, Slobodan Milosević told the Accused that the Serbs would not be divided into many states, and that this “should be the basic premise for your thinking”

At paragraph 2689 they state, “Despite these words of caution, Slobodan Milosević, in meetings with international representatives, did not accept the independence of BiH and spoke of the desire of all Serbian people to live together.”

At paragraph, 2691, they state,

“In December 1991, Milosević told the Accused that he should not give in to Izetbegović and that they had to stick to their line and that If they want to fight, we’ll fight” given that the Serbs were stronger.”

So the ICTY Judges were very sure to make it clear that both Milosevic and Karadzic were on the same page generally in seeking a “Greater Serbia,” a thread running throughout the Prosecution case against Milosevic in his case. Milosevic denied it in his trial since it was nothing but NATO propaganda.

Both Karadzic and Milosevic wanted to preserve the Federal Republic of Yugoslavia as much as possible. That was their goal, not to create a Greater Serbia by ethnically cleansing non-Serb areas in the republics which had split off from the Federal Republic. But that is the mantra still chanted in the Karadzic case and the thesis of the prosecution case is that this alleged desire to create a Greater Serbia, was a “joint criminal enterprise” and, that from this ambition, all the crimes they allege against them were the consequence.

I will not go deeply into the concept of “joint criminal enterprise since it is a concept unknown to law anywhere in the world and is an invention by the prosecution of the ICTY and its American controlled staff, who crafted this idea from the RICOH anti-racketeering laws of the 1930’s in the USA used to target Al Capone. Essentially, being found a part of a “joint criminal enterprise” means that the proof of intent to commit a crime is not required, undermining the entire basis of western justice that there can be no crime without intent to commit one. Once one is found to be a member of such an “enterprise” lack of intent will not save you. It is the epitome of guilt by association. But it is important for the ICTY since without it the conviction of Karadzic would be impossible.

That there were differences of opinion between the two men and their governments on whether to form a Serb republic inside Bosnia, what form it should take and when it should be done and how it should be protected is hardly surprising. But it is clear that these judges did not consider their judgement to have cleared Milosevic of the central allegation made against him in his trial of wanting to create a Greater Serbia when seen in light of the other paragraphs in the judgement in which, as we see, they allege that Milosevic supported this ambition and supports fighting the government of Izetbegovic.

But what are we dealing with here? We are dealing with judges of the very tribunal that falsely imprisoned Milosevic, fabricated charges against him and his government, and ended up killing him. Milosevic does not need “exonerating” or “absolving” for no case was ever made out against him and he was never convicted of anything.

I have trouble accepting any finding of this illegal and fascist tribunal as “clearing” a man who was guilty only of defending his country against a NATO attack and who was then put through the humiliation of having to respond to the worst types of NATO propaganda dressed up as an indictment. That he did so with courage, tenacity and intelligence was plain for all to see who watched the trial progress. That is the reason that “trial of the century” suddenly went dark one day and public was cut off from seeing what was happening day by day during that long ordeal.

So, the facts brought to our attention by Mr. Wilcoxson are worthy of our attention so long as we recognize that the judgement in which they are contained is another piece of the propaganda against the Serbs designed to humiliate them in the eyes of the world and to humiliate their leadership.

I was not able to observe any of the Karadzic trial and so, from time to time, followed news reports, and reports of contacts who were involved in some way in the case. So, I am not able to comment on all the factual findings of the trial judges set on in their long judgement in which they condemn Karadzic and his government in page after page after tedious page. Those who are aware of the real history of events will realize that every paragraph of condemnation is nothing more nor less than the same NATO propaganda put out during the conflict but made to look like a judgement. For it is not a judgement.

A true judgement in a criminal trial should contain the evidence presented by the prosecution, the evidence presented by the defence, the arguments of both sides about the evidence and should contain references to witness testimony both as they testified in chief and in cross-examination. Then there must be a reasoned decision by the judges on the merits of each party’s case and their reasoned conclusions. But you will be hard pressed to find a trace of any of the defence evidence in this document. I could find none except for a few references in a hand full of paragraphs and some footnotes in both of which testimony of a defence witness was briefly referred to in order to dismiss it and to dismiss it because it did not support the prosecution version of events.

Even more shocking is that there is no citation of verbal testimony, that is, witness testimony, to be found anywhere in the judgement. Instead there are references to “experts”, always Americans, connected to the CIA or State Department, who set out their version of history which the judges accept without question. There is no reference to any defence experts, and very little reference to any defence facts or argument at all. Consequently, there are no reasoned conclusions from the judges as to why they decided to accept the prosecution evidence but not the defence evidence. From reading this one would think no defence was presented, other than a token one. That is not a judgement.

But there is something even more troubling about this “judgement.” It is not possible to make out if there were witnesses who testified in person because there are few references to any. Instead there are countless references to documents of various kinds and “witness statements.”

This is an important factor in these trials because the witness statements referred to are statements made, or are alleged to have been made, by alleged witnesses, to investigators and lawyers working for the prosecution. We know from other trials that in fact these statements are often drafted by prosecution lawyers, as well as investigators, and then presented to the “witnesses” to learn by rote. We know also that the “witnesses” often came to the attention of the prosecution by routes that indicate the witnesses were presenting fabricated testimony and were recruited for that purpose.

At the Rwanda tribunal, we made a point in our trial of aggressively cross-examining these “witnesses” and they invariably fell apart on the stand, since they could not remember the scripts assigned to them. We further made a point of asking the “witnesses” how they came to meet with prosecution staff and how the interviews were conducted and how these statements were created. The results were an embarrassment to the prosecution as it became clear they had colluded with investigators to manipulate, pressure and influence “witnesses” and that they were complicit in inventing testimony.

Further, it is important for anyone reading this “judgement” to be able to refer to the pages in the transcripts at which the witnesses testified, what they testified to, and what they said in cross-examination, because a statement is not testimony. It is just a statement.

A statement cannot be used as evidence. That requires the witness to get in the box and to state what they observed. Then they can be questioned as to the reliability as observers, their bias if any, their credibility and so on. But in this case we see only references to “witness statements”. This indicates that the judges based their “judgement” not on the testimony of the witnesses (if they were called to testify) but on their written statements, prepared by the prosecution, and without facing any cross examination by the defence.

It is not clear at all from this judgement that any of the witnesses referred to in the statements actually testified or not, If they did then their testimony should be cited, not their statements. The only valid purpose the statements have is to notify the prosecutor of what a witness is likely to say in the trial, and to disclose to the defence so they can prepare their case and then use the statements in the trial to cross examine the witness by comparing the prior statement with their testimony in the box.

The formula is a simple one. The prosecution witness gets in the box, is asked to state what he observed about an event and then the defence questions the witness,

 Mr. Witness, in your statement dated x date you said this, but today you said that. …Let’s explore the discrepancy.

That’s how it I supposed to go. But where is it in this case? It is nowhere to be found.

Since I was not at the trial to observe I have no idea if these witnesses testified or not. If they did not and the prosecution simply filed one written statement after another before the judges why was that allowed to happen? If they testified, then why are there so few references to the trial transcripts? How can any researcher, any academic, any one analyse this case without that? How can Karadzic even file an appeal argument without the transcript references the judges had to use? Of course, that very fact gives him a ground for appeal, that the judgement is not a reasoned one as is required by law.

To sum up the situation, we have a document before us called a “judgement” in which certain positive things are said about President Milosevic. All well and good. But taken in its entirety it is a hatchet job on Dr. Karadzic, a NATO propaganda tract made out to be a legal judgement.

It contains within it no sense of the defence case or what the facts presented by the defence were or if any were even presented, what the defence arguments were on the facts, nor their legal arguments. But most importantly we have no idea what the testimony was of most of the prosecution witnesses and no idea what the testimony was of defence witnesses. It is as if there was no trial, and the judges just sat in a room sifting through prosecution documents writing the judgement as they went. We must suppose that this is not far from the truth.

And while the paragraphs referring to Milosevic may give some small consolation to us for his kidnapping and forced transportation to the Hague and forced trial it is a nightmare for Dr. Karadzic, who was forced to undergo the same ordeal and ended up with a “judgement” that is not worth the paper it’s written on and which pretends to condemn him while protecting the NATO powers from responsibility for their crimes.

The original source of this article is Global Research
Copyright © Christopher Black, Global Research, 2016


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The Murder of Slobodan Milosevic

By Peter Robert North
Global Research, August 02, 2016
a-place-to-stand.blogspot.com/ 1 June 2006

This article was published ten years ago following the assassination of president Milosevic. The ICTY, which has declared his innocence, was complicit in his assassination ordered by US-NATO. 

Based on the evidence provided by the ICTY themselves (some of it clearly inadvertant as a result of their clumsy coverup in the immediate aftermath of his death) i.e., public statements from ICTY officials (doctors/toxicologists) that they performed blood tests on January 12 which revealed the presence of the Leprosy drug ‘Rifampicine’ in Milosevic’s blood but kept it secret from Milosevic,his doctors,lawyers and the entire world for TWO MONTHS until March 7, is clear evidence of foul play on the part of officials in the ICTY.

The fact that the ICTY had to change their story repeatedly resulting in numerous self- contradictory and inconsistent statements also points to a clear coverup.

For example, once the Dutch NOS TV station revealed certain facts soon after Milosevic’s death – especially that Milosevic had a blood test on January 12 – which the ICTY doctors themselves admitted was performed in order to find out why Milosevic’s heart medication wasn’t working – and yet failed to tell anyone in the world including Milosevic himself until March 7 – and yet he dies three short days after writing a letter to the Russian embassy complaining of being poisoned.

The constantly changing stories by ICTY officials – all contradictory of one another – given for his death were also highly suspicious.

They first said it was “natural causes”, then said “possibly suicide”, then they said he took the “wrong medicine” – without explaining how he could have possibly taken the medicine without them knowing – since he was always closely watched and was ONLY given medicine by the prison dispensary in the presence of armed guards.

Then they changed their story yet again by claiming that he must have been “poisoning himself in secret” in a “complex plot to escape to Russia” – even though this necessitated the involvement of his lawyers,doctors, the Russian government and even the ICTY ITSELF (since it was known Milosevic was under strict 24/7 Video surveillance & ALL medicine as indicated previously had to be taken from the prison dispensary in the presence of armed prison guards then how on earth could he be “poisoning himself” in secret?!)

The “poisoning himself in secret” story just didn’t make any sense; realizing the absurdity, the ICTY offials simply changed their story yet again and LIED by making the ludicrous claim that he WASN’T monitored 24/7 and that “alcohol and other drugs” were being “smuggled in” to the prison for months before his death!!

But since this necessitated knowing involvement on the part of ICTY officials/guards, they had to change their story yet again by claiming that though the prison guards knew about this alleged smuggling of alcohol and drugs for months,somehow,because of sheer “incompetence”, nothing was done about it by the higher ups (i.e the judges/prosecutors) and Milosevic was happily able to poison himself for months on end (and presumably also get drunk)!

The fact that soon after Milosevic’s death the Dutch NOS TV station revealed that the ICTY ADMITTED that they KNEW about the presence of the Leprosy drug in his blood since January 12 – but supposedly did nothing about it for two entire months really threw a spanner in the works. This is where the cover up simply fell apart and blew a massive hole in the ICTY’s initial “we didn’t know he was poisoning himself so couldn’t do anything about it” story.

Someone INSIDE the ICTY had to administering the Leprosy drug to Milosevic covertly without his knowledge and that was clearly revealed in the complaint letter that Milosevic wrote to the Russian embassy on March 8 after he received the blood test report -the day before – on March 7 -TWO MONTHS late.

Since in this letter Milosevic makes clear that the ICTY has repeatedly refused to let him go to Russia for heart surgery (even as late as his last appeal of February 24,2006 his request for medical treatment was denied)Milosevic pointed out that Russian specialists would quickly detect the Leprosy drug in a routine blood test – and thus clearly PROVE his poisoning by the ICTY – is it any surprise that the letter doesn’t get delivered until AFTER his death?

Then they changed their story yet again and said that Milosevic WASN’T poisoned because they found no PRESCRIBED drugs in “toxic concentrations”. How cute. Meaning he wasn’t poisoned by the medicines he was SUPPOSED to be taking.

Even though ICTY officials admit that the Leprosy drug, ‘Rifampicine’, is an UNPRESCRIBED drug which apart from interfering with (i.e., blocking) heart medication – in effect acting as a POISON – it also quickly dissipates from the body leaving no trace of its presence (which they themselves admit) they still had the audacity to attempt to mislead the public by twisting the facts to make it sound as if he just simply wasn’t poisoned in any way at all.

The fact that the ICTY blood test report of January 12 did not get delivered to Milosevic until March 7 – two months late – causing him to write his very concerned letter on March 8, outlining his grave fears about being poisoned, and the fact that his MArch 8 lettr did not get delivered to the Russian embassy until well AFTER Milosevic’s death speaks volumes about who the only murderer could possibly be: NATO.

Since NATO have on numerous occasions publically admitted that they own – and ipso facto – control the ICTY, it can also be proved by the fact that Clinton’s former “peace envoy”, Richard Holbrooke was even able to intervene recently directly with the president of the ICTY on behalf of an ICTY-indicted KLA mass murderer, Mr.Ramush Haradinaj, to have Mr. Haradinaj released from The Hague prison without him having to even face trial – let alone be convicted for his crimes – also speaks volumes about what kind of “court” the ICTY truly is.

The original source of this article is a-place-to-stand.blogspot.com/




(hrvatskosrpski / français / italiano)

La nuova decrepita Croazia

1) REPUBLIKA HRVATSKA – OD SOCIJALIZMA I SAMOUPRAVLJANJA DO NEOLIBERALIZMA (Pavle Vukčević)
2) НА ИСТОК ИДЕ САТНИЈА (ЉУБАН КАРАН Sull'invio di truppe croate al confine della Russia, deciso al summit NATO di Varsavia...)
3) CONTINUA LA POLEMICA SULLE INSEGNE IN CIRILLICO A VUKOVAR / Stožer za obranu hrvatskog Vukovara: NE arapskim brojevima!


=== 1 ===

http://www.nasa-jugoslavija.org/Republika%20Hrvatska%20-%20od%20socijalizma%20i%20samoupravljanja%20do%20neoliberalizma.pdf

REPUBLIKA HRVATSKA
OD SOCIJALIZMA I SAMOUPRAVLJANJA DO NEOLIBERALIZMA

Umjesto uvoda – neka brojke govore:


Država: Socijalistička Republika Hrvatska  Republika Hrvatska u neoliberalizmu

Broj stanovnika 4 784 265 (1991.g.) 4 284 889 (2011.g.)

Ukupan dug 4 milijarde $ 57 milijardi €

BDP po glavi stanovnika 6 540 $ (1990.g.) 10 561 $ (2014.g.)

Udio prosjećne mirovine u prosjećnoj plaći 75,3 % 39 %

Omjer broja radnika i broja umirovljenika 2,83 / 1 1,13 / 1

Noćenja u turizmu 68,1 milijuna (1987.g.) 66,1 milijuna (2014.g.)

Domaći gosti 33 % 8%

Broj radničkih odmarališta 634 (76 000 kreveta) 0 (0 kreveta)

Broj pripadnika milicije / policije 9 000 20 000

Broj rođenih 55 409 (1990.g.) 39 000 (2014.g.)


REPUBLIKA HRVATSKA U SOCIJALIZMU I SAMOUPRAVLJANJU

Jugoslovensko društvo je po svom socijalnom i nacionalnom sastavu veoma složeno, što ga s obzirom na strukturu interesa čini heterogenim. U njemu postoji mnoštvo raznovrsnih, proturječnih i klasnih interesa i u tom mnoštvu sastavni dio jugoslovenskog društva svoje mjesto ima i SR Hrvatska. Historijska je istina da je samoupravljanje naslijedilo bezbroj različitih, naročito isključivih, klasnih interesa od klasnog kapitalističkog društva, kao i od vremena revolucionarnog etatizma. Prevazilazeći naslijeđene klasične razlike, socijalne i nacionalne protivrječnosti i sukobe samoupravljanje stalno produkuje i umnožava vlastite protivrječnosti, koje je trebalo demokratskim metodama razrješavati, usklađivati i usmjeravati. Stoga politički sistem Jugoslavije (a time i Hrvatske) nije mogao počivati na fiktivnoj pretpostavci o jedinstvu interesa. To je veoma složen i u mnogo čemu proturječan socijalni i politički sistem u kojem postoje, formiraju se i djeluju različite interesne grupe (socijalne, funkcionalne, ideološke, vjerske i druge). Te su grupe, kako međusobno, tako i unutar sebe, izdiferencirane i tako politički i socijalni život čine veoma složenim. U takvom socijalnom kontekstu različitih, suprotnih, a odatle i konfliktnih interesa, sukobi interesa i njihovo transponiranje u sferu politike ne mogu se nikako označiti kao devijantno ponašanje ili stanje, već kao zakonitost političkog sistema Jugoslavije, njegov konstitutivni element.

Bez obzira na društvenu intenciju integracije u SR Hrvatskoj, a time i u Jugoslaviji, evidentni su latentni i otvoreni sukobi interesa kao proizvod društvenih odnosa, jer socijalističko samoupravno društvo nije nikakav homogeni blok, nego složeni organizam sastavljen od dijelova koji imaju svijest o svojoj posebnosti i svoje uže interese – socijalističko samoupravno hrvatsko društvo nije nikakvo idealno društvo u kojem postoji opšti sklad interesa, što znači da ne isčezavaju sukobi interesa, ali se bitno mijenja način usklađivanja i to u osnovi – usklađivanje se vrši bez nužne intervencije sile, odnosno politike.

U SR Hrvatskoj je bilo neophodno potrebno obezbjediti osnovne postavke za funkcionisanje i realni utjecaj interesa i njihovu realnu funkcionalnost. Ovdje nekoliko karakteristika:
a) socijalističko društvo mora biti realni i u sebi usklađeni sistem sposoban da se brani od sopstvenih, nasljeđenih i suprotnih deformacija i stihijnosti;
b) svi autonomni oblici organizovanja (SOUR, RO i OOUR) i interesno stvorene integracije, cjeline, podsistemi i cjeli sistemi su neodvojivi od opštih socijalističkih ciljeva;
c) socijalistički politički sistem mora biti zasnovan na usklađivanju i sintezi opštih i pojedinačnih interesa, s tim da sinteza nije nikakav mehanički zbir pojedinačnih, a još manje kompromis provincijskih, nacionalističkih ili sebičnošću obojenih zahtjeva i zabluda;
d) postojanje i razvijanje sistema stalnih vrijednosti, solidarističkih odnosa među grupama i ljudima i antiutilitarne psihologije oslobođene kulta rentabilnosti i snalažljivosti.

Razvitak socijalističke demokracije u R Hrvatskoj ide uporedo sa stvaranjem mogućnosti i potreba da se osnivaju i afirmišu one interesne grupe koje djeluju kao samostalni, ali i sastavni dio jedinstvenog i usklađenog društveno-političkog sistema i demokratskog procesa. Socijalistička demokracija se razvija i jača samo da ograniči djelatnost i otkrije suprotne stavove i aktivnosti pojedinih interesnih grupa koje kao grupe za pritisak u sebičnom i partikularističkom smislu ne mogu biti sastavni dio socijalističke demokratske zajednice i njenog ustavnog poretka.

Afirmacija pluralizma nacionalnih interesa u Jugoslaviji – položaj SR Hrvatske

Veliki značaj u životu jednog naroda ima njegovo osjećanje da je u svojoj stvaralačkoj afirmaciji ne samo slobodan, već i da samostalno raspolaže uvjetima i sredstvima za takvu afirmaciju koje je sam sposoban stvarati, a to znači i da pored političke i kulturne samostalnosti raspolaže viškom svog društvenog rada i slobodno upravlja cjelokupnom društvenom reprodukcijom – što SR Hrvatska uspijeva u cjelini ostavarivati.

Jedinstvo naroda i narodnosti Jugoslavije nije građeno samo na nekoj goloj ekonomskoj i političkoj računici; njih povezuje dobar dio zajedničke povijesti, duboki osjećaj sudbinske povezanosti, etničke bliskosti većine njih i prije svega zajednička svijest koju je izgradila socijalistička revolucija i zajednička borba za demokratsko socijalističko samoupravno društvo. Mnogonacionalnost i afirmacija pluralizma nacionalnih interesa nije nikakav hendikep ili nesreća Jugoslavije; naprotiv, to je snažan progresivan faktor demokratizacije samoupravnog razvoja. U socijalističkoj samoupravnoj zajednici (kakva je Jugoslavija i u njoj Hrvatska) evidentne nesuglasice se obično ispoljavaju kroz međunacionalne protivrječnosti. Produbljavanjem samoupravljanja, jačanjem delegatskog sistema, razvijanjem humanih odnosa među ljudima, narodima i narodnostima – na osnovama pune ravnopravnosti – stvaraju se pretpostavke za razrješavanje društvenih, a time i međunacionalnih protivrječnosti u pravcu društvenog progresa.

Nacionalni interes je veoma složen i raznovrstan društveni fenomen, ima mnogobrojne aspekte, komponente i vidove svoga ispoljavanja i društvenog afirmiranja – ovdje samo neki od njih:
a) pluralizam ekonomskih nacionalnih interesa;
b) pluralizam nacionalnih intersa u političko-pravnoj sferi;

c) pluralizam nacionalnih interesa u kulturnoj sferi i afirmaciji ravnopravnosti jezika.

U uvjetima suvremenih socijalističkih ekonomskih odnosa koji se zasnivaju na raspodjeli prema radu i sve snažnije se ispoljavaju kao društveno samoupravljanje radnog čovjeka, polazna tačka ekonomske samostalnosti naroda može biti samo u primjeni tog istog principa raspodjele prema radu i u međunacionalnim ekonomskim odnosima. Uzajamni odnosi među narodima u Jugoslaviji zavisili su od toga koliko je svako od njih razvio proizvodne snage, raspodjelu prema radu i unutrašnje tržište. Svi narodi i narodnosti imaju svoje interese i svoja prava da se razvijaju u skladu s rezultatima svoga rada i da nikakve druge snage (birokratizam, tehnokratizam, oblici nacionalizma) van njih ne mogu raspolagati plodovima rada. Nacija se u ostvarivanju svojih interesa naslanja na bazične društvene procese, a ne na njihovu nadgradnju. Baza nacije postaje samoupravljanje, jer je samoupravni sistem na taj način dao sasvim novu demokratsku sadržinu naciji i republikama – međunacionalnim odnosima. Kroz prevladavanje sopstvenog osamostaljivanja nacija se, kao oblik jugoslovenske zajednice, vraća svom radnom mjestu – radu – a nacija postaje prirodnija zajednica.

Nova obilježja nacije u samoupravnom društvu razvijaju se kroz prevladavanje posredničke uloge nacije (njenog interesa) između (njene) ekonomske osnove, konkretnog načina podruštvljavanja proizvodnje i totaliteta društva te kroz osamostaljivanje nacije kao oblika zajednice. Svako nasilno prelivanje nacionalnog proizvoda, bilo na osnovi ekonomske snage ili političke prinude, bezuvjetno mora izazivati međunacionalne konflikte, jer se neposredno napadaju interesi nacije.

Realnost društvenog bića nacionalnih interesa u Jugoslaviji protkana je i osamostaljujućim i udružujućim tendencijama na socijalističkoj samoupravnoj osnovi, ali i jakim dezintegracionim i monopolističkim tendencijama na etatističko-tehnokratskoj i građanskoj osnovi. U odnosu na to koliko je udruživanje rada njihovo oružje zavisi domet, stupanj i brzina prevladavanja udružujućih nad dezintegracionim i osamostaljujućih nad centralističkim tendencijama. Otuda bi bile konzervativne i antihistorijske one posebne razvojne strategije koje ne bi, u mjeri koja je suglasna istorijskim interesima svakog ponaosob, uvažavale istorijske interese svih zajedno unutar Jugoslavije.

Pluralizam nacionalnih interesa u politički-pravnoj sferi

U toku revolucije narodi i narodnosti Jugoslavije su ostvarivali svoj nacionalni suverenitet, ravnopravnost i afirmaciju konstituirajući se (nacije) kao političko pravna posebnost izražena u narodnoj republici, a zajedništvo im je oličeno u federaciji. Suština nacionalnih interesa u političko-pravnoj sferi bila je uspostavljanje i razvijanje nacionalnih odnosa u duhu pune ravnopravnosti, nezavisno od toga kolika je veličina naroda ili narodnosti, kakva je ekonomska moć naroda ili narodnosti, bez obzira na veličinu teritorijalnog prostranstva na kojima su egzistirali. Neosporno je da je vitalni interes naroda i narodnosti Jugoslavije da se međusobni odnosi razvijaju bez ikakvih:

a) privilegija;
b) diskriminacije;
c) hegemonizma i
d) nacionalne supermacije.

Sredinom i potkraj pedesetih godina u javnom političkom životu gotovo je prestala rasprava o problemima međunacionalnih odnosa u Jugoslaviji. Upravo u tom istom vremenu dolazi do oživljavanja unitarističko-centralističkih tendencija u kojima dominira borba protiv nacionalnog faktora u društvenom razvoju, a položaj republika se svodi na puku formu i administrativno-teritorijalnu stepenicu centralističkog društvenog sistema. Posljedice birokratsko-centralističkih tendencija počele su se naročito osjećati u odnosima prema nacionalnim manjinama:
- nepovjerenje prema pripadnicima nacionalnih manjina;
- potiskivanje njihovih pripadnika s odgovornih političkih funkcija;
- proturanje teze da je za budućnost nacionalnih manjina bolje da se što više koriste srpskohrvatskim jezikom, jer im olakšava napredovanje itd.
SKJ zauzima energičan i odlučujući stav: „Nacionalne manjine se tretiraju kao potpuno ravnopravni faktor sa svim drugim jugoslovenskim narodima. Svoja suverena prava prema Ustavu SFRJ od 1963. godine ostvaruju u federaciji kada je to u zajedničkom interesu, a u svim ostalim odnosima u socijalističkim republikama.“

U cilju otklanjanjanja protivrječnosti na relaciji međunacionalnih odnosa, a sa stanovišta afirmacije pluralizma nacionalnih interesa u političko-pravnoj sferi, u Ustavu SFRJ je konstatirano da se federacija ne izgrađuje po nekim statističkim državno-pravnim formulama, nego kao specifična socijalistička, kako kao država tako i samopravna zajednica, koja u prvom redu mora odgovarati potrebama, uvjetima i perspektivama socijalističkog i samoupravnog razvoja svakog naroda, a u okviru zajedničkih i političkih interesa i potreba naroda i narodnosti Jugoslavije. Bitno obilježje Ustava čine principi prema kojima se suverena prava ostvaruju u republikama, odnosno pokrajinama, a u federaciji samo ona suverena prava koja su Ustavom izričito utvrđena i to na osnovu suglasnosti svih republika i autonomnih pokrajina.

Pluralizam nacionalnih interesa u kulturnoj sferi i afirmacija ravnopravnosti jezika

Slobodan razvoj kulturnog života, stvaralaštvo i obrazovanje radnih ljudi, naroda i narodnosti Jugoslavije ne vodi zatvaranju u nacionalne okvire, već oslobođenju prirodnih težnji svih naroda i narodnosti da se povezuju i uzajamno obogaćuju međusobnim uticajem. Ravnomjerni kulturni razvoj svake pojedine nacije predstavlja značajan uvjet daljnjeg razvoja, zbližavanja, ujedinjavanja i ispomaganja naroda i narodnosti. To je pretpostavka spoznaje druge kulture kada se sama obogaćuje vrijednostima drugih kultura, a uvijek stagnira kada se zatvara u sebe. Kulturne vrijednosti svake pojedine nacije i narodnosti imat će pravu veličinu ako isti odnos razumijevanja i poštovanja svako od njih pokazuje prema tekovinama kulture drugih nacija i narodnosti. U Jugoslaviji ne postoji neka nadnacionalna ili anacionalna kultura, ali to ne znači da se pojam „jugoslovenska kultura„ ne može upotrebljavati za označavanje svega onoga što je od zajedničkog interesa svih jugoslovenskih naroda i narodnosti. Proces povezivanja kultura nacija na osnovama pluralizma interesa nacija u sferi kulture nije suprotan idejama samoopredjeljenja, slobode, samodjelatnosti, nezavisnog razvitka i ravnopravnosti naroda. Nasilno kulturno zajedništvo može imati samo reakcionarne posljedice.

Razvoj nacionalnih kultura naroda i narodnosti Jugoslavije je ostvaren na njihovim jezicima i u duhu afirmacije ravnopravnosti jezika svih narodnosti. Ukoliko ovo načelo ne bi nalazilo potvrdu i podršku u društvenoj praksi, imalo bi značenje intelektualnog slova i humanističko-demokratske preporuke, koje praksa nije obavezna da uvažava. U samoupravljanju se radi upravo o tome da je svakodnevna praksa zagovornik jezika. Mogućnost svakog radnog čovjeka da se koristi maternjim jezikom na koji može da se najpotpunije izrazi je uvjet da on uopće ostvaruje svoja samoupravna prava. Ukoliko su samoupravni odnosi razvijeniji utoliko je samoupravna demokracija uspješnija, a ukoliko je samoupravna demokracija uspješnija utoliko više radni čovjek ostvaruje svoja samoupravna prava. Ravnopravnost jezika je ukorijenjena u samoupravnu praksu i javlja se kao potreba svakodnevnog potvrđivanja stvarne ravnopravnosti radnika različitih naroda i narodnosti. Afirmacija ravnopravnosti jezika nije samo potreba uopćeno shvaćenih ličnih sloboda i prava čovjeka i građanina nego i vid ostvarivanja tih sloboda u stvarnim samoupravnim uvjetima čiji je razvoj u interesu cijele zajednice i u kome se spajaju lični i zajednički interesi.

U Ustavu SFRJ iz 1974. godine u članu 170 se kaže „Građaninu je zajamčena sloboda izražavanja nacionalne kulture i slobode, upotrebe svog jezika i pisma“, zatim u članu 171 “pripadnici nacionalnih manjina imaju u skladu sa ustavom i zakonom pravo na upotrebu svoga jezika i pisma“, a u članu 214 “neznanje jezika na kojem se vodi postupak ne smije biti smetnja za odbranu i ostvarivanje opravdanih interesa.“

To što se pripadnici naroda i narodnosti Jugoslavije često u svakodnevnom komuniciranju međusobno sporazumijevaju na srpskohrvatskom jeziku ne znači da su pripadnici naroda i narodnosti, kojima to nije maternji jezik, dužni i obavezni da se njime služe. Nasuprot, njihovo je neotuđivo pravo da se javno služe svojim jezikom i da ga upotrebljavaju u svim oblicima komuniciranja. (1)

PUT R HRVATSKE KA NEOLIBERALIZMU I OSAMOSTALJENJU

Smatra se (u znanstvenim krugovima, a onda i u praksi) da je suvremeni razvoj hrvatskog društva pod izrazitim utjecajem sustava vrijednosti i života koji su prevladavali u socijalističkoj Hrvatskoj. Govori se o takozvanom komunističkom mentalitetu koji danas preovladava u društvenoj svijesti. Ovom sintagmom se često koriste političke stranke desne provijencije, te katolički teolozi i znanstvenici bliski Katoličkoj crkvi, a da nedovoljno precizno definiraju sam pojam. Drugi su pak skloni prenaglašavati rat i ratne okolnosti obnavljajući na taj način obilježja tzv. plemenske kulture koju karakteriše sklonost upotrebi nasilja, netolerantnosti, sklonost pljački i otimačini (hajdučki mentalitet itd.)

Ideja o uspostavi samostalne hrvatske države u doba socijalističke Jugoslavije bila je prije svega prisutna u političko-ideološkim programima političke emigracije koja je napustila hrvatsku krajem drugog svjetskog rata. Misli se prije svega na ustaše, zatim HSS (hrvatska seljačka stranka) kao i niz drugih političkih organizacija i grupacija. Iz toga proizilazi da su afirmaciju političkog projekta državnog osamostaljenja Hrvatske i mogućnost njegove realizacije zavisile od političkog povezivanja Hrvata u Hrvatskoj i Hrvata u dijaspori ili, kako je to Tuđman formulirao, od „političkog povezivanja sveg hrvatskog„.

Tuđmanova osnovna pretpostavka za uspostavu samostalne hrvatske države jeste pomirba svih političkih različitosti unutar hrvatske nacije, a prije svega ustaša i partizana – dviju oštro sukobljenih ideološko-političkih struja u Drugom svjetskom ratu. Ta se pomirba ponajprije trebala izraziti u saglasnosti oko osnovne ideje – uspostavi samostalne hrvatske države. Vrlo brzo će se pokazati da sama saglasnost oko te ideje nije dovoljna što i sadašnja zbivanja sama po sebi dokazuju. Da bi se razbila i izmijenila izrazito negativna slika o ustaškom pokretu (zločinima) trebalo je afirmirati mišljenje da je ustaški pokret, bez obzira na sve slabosti njegove ideologije (minimiziranje zločina do njihovog opravdavanja), pa i istorijske prakse, zauzimajući se za stvaranje samostalne hrvatske države, zapravo simbolizirao „iskonsku težnju hrvatskog naroda za vlastitom državom“ (Tuđman). Sa druge strane, ono čega se treba odreći jeste partizanski pokret i njegov doprinos Narodno oslobodilačkoj borbi. Ideja svehrvatskog pomirenja jest sveobuhvatno prihvaćanje hrvatske države, a slobodna odluka o ulasku hrvatskog naroda u jugoslovensku zajednicu naroda bio je istorijski promašaj.

Ovome treba dodati i koncept stvaranje hrvatske države kroz okupljanje Hrvata kako u Hrvatskoj tako i u dijaspori. Tek stvarnim povezivanjem i pomaganjem svih tih segmenata hrvatstva moći će se ostvariti hrvatska država i hrvatska nacija, što će omogućiti da ista postane aktivnim vojnim, ekonomskim i političkim faktorom na ovim prostorima. Jedna (ne manje važna) pretpostavka Tuđmanova projekta osamostaljivanja Hrvatske odnosila se na potpuno negiranje bilo kakvih vrijednosti bivše SFR Jugoslavije i njezina društveno-ekonomskog i političkog poretka (što se ugrađuje u Ustav R Hrvatske).

Za Hrvate Jugoslavija je bila tamnica naroda, država u kojoj je hrvatska nacija bila sistematski gospodarski, politički i kulturno izrabljivana, u kojoj nisu bile priznate religijske slobode, te država koja je bila nedemokratska i totalitarna, a ni u samoupravljanju se ne vidi bili što dobro – poričući bilo kakvu razliku između samoupravnog socijalizma i državno-centralističkog modela socijalizma.

Što se tiče tipa gospodarskog sistema koji će se razvijati u osamostaljenoj hrvatskoj državi, Tuđmanov projekt predviđa uspostavu neoliberalizma. Proces pretvorbe i privatizacije društvenog bogatstva treba iskoristiti za formiranje nove kapitalističke klase koja će omogućiti gospodarski prosperitet Hrvatske, a to je nužno stvaranje 200-300 bogatih porodica koje će biti okosnica nove kapitalističke klase, ostalo je, prema Tuđmanu, „stoka sitnog zuba“. U duhovno-ideološkom i kulturnom smislu samostalna hrvatska država treba se utemeljiti na nacionalističkoj ideologiji s osnovnim ciljem da se u relativno kratkom vremenu ostvari jedinstvena nacionalna svijest Hrvata koji će nesmetano i slobodno isticati svoje hrvatstvo. To je neophodno potrebno zato što su u dosadašnjoj istoriji pojedini dijelovi hrvatskog naroda bili teritorijalno, kulturno i duhovno podijeljeni, pa čak i međusobno sukobljeni, a u interesu drugih nacija i državnih tvorevina koje su vladale Hrvatima. Posebnu pažnju treba posvetiti nacionalnoj baštini i tradiciji kako bi se današnjim i budućim generacijama Hrvata pokazalo da je hrvatska nacija, iako brojčano mala i dugo bez vlastite države, jedna od najstarijih nacija i „Božji narod“, vrijedna poštovanja (i straha) i da je zaslužila vlastitu državu.

Ostvarivanje etničkih i nacionalnih prava nacionalnih manjina (posebno Srba) ne smije biti u funkciji slabljenja hrvatske države. U podtekstu razmatranja odnosa srpske nacionalne manjine i hrvatske nacije i države, stanovište je da bi bilo dobro da udio srpske manjine u ukupnom stanovništvu Hrvatske ne bude veće od pet posto (što je ostvareno u vrijeme vojne akcije Oluja), što onda ne bi obavezivalo hrvatsku vlast na davanje šire kulturne i političke autonomije toj manjini.

Stvaranje samostalne hrvatske države pretpostavljalo je posebnu ulogu katoličke religije, odnosno crkve s obzirom na njezinu iznimnu ulogu u duhovno-kulturnom razvoju i opstanku hrvatske nacije. Ona mora biti, ne samo duhovno-moralna i svjetonazorska okosnica svekolikog društvenog života, nego i bitan element legitimnosti same državne vlasti i države kao takve – dolazi do poistovjećivanja hrvatstva i katoličanstva.

U pogledu ljudskog sastava novostvorena vladajuća gospodarska i politička elita doživljava veliku promjenu. Političku nomenklaturu uglavnom čine novi ljudi koji su za vrijeme socijalizma bili u emigraciji. Karakteristično je da ta elita ima veliku društvenu i političku moć kojom se koristi za vlastito ekonomsko zbrinjavanje uz visoke plaće i druge povlastice, a veliki broj njih ostvario je to nelegalnim putem (mito, korupcija, ratno profiterstvo). Uz poznate „tajkune“ (kapitalističku klasu) ubrajaju se i mnogi drugi, u javnosti manje poznati, većinski vlasnici proizvodnih i drugih organizacija (banke, osiguravateljska društva, hotelijeri...) i u snažnoj su političkoj sprezi sa novom političkom nomenklaturom.

Osim brojčanog smanjenja bitno se promjenila i socijalna pozicija radničke klase, jer je u kratko vrijeme izgubila sve pogodnosti koje je stjecala svojim radom u socijalizmu (sigurnost radnog mjesta, besplatno zdrastveno osiguranje, socijalnu sigurnost, besplatno školovanje djece itd.). U procesu pretvorbe i privatizacije radnička klasa u Hrvatskoj često je i žrtva samovolje vlasnika i poslodavaca, a gubitak samoupravnih prava nije bio, niti će biti, nadoknađen primjerenom sindikalnom zaštitom. Kao zoran primjer nepovoljnog položaja radničke klase može se navesti primjer da oko 80.000 ljudi radi, a ne prima redovno plaću, da se prosječne plaće kreću od 2000 do 4.500 kuna, što nije dovoljno za podmirivanje najosnovnijih potreba porodice. U Hrvatskoj je problem nezaposlenosti poprimio alarmantne razmjere, što je praćeno velikim socijalnim posljedicama na ukupno stanje u društvu, a što, sa druge strane, vodi ka masovnom iseljavanju naročito mladih i obrazovanih. Ta socijalna i ekonomska stvarnost dovodi do stvaranja prosjaka, skitnica i beskućnika, čiju je brojku teško precizno odrediti, ali su naročito vidljivi u velikim gradovima i turističkim mjestima. S obzirom na dugotrajnu ekonomsku krizu (a pretpostaviti je da će se produbljavati) njihov će broj rasti.

Nakon ratnih zbivanja tokom devedesetih godina prošlog vijeka (etničkog čišćenja – Tuđmanovog „humanog preseljenja“), došlo je do velikih promjena u nacionalnoj i etničkoj strukturi stanovništva Hrvatske. Te se promjene očituju u znatnom smanjenju broja pripadnika nacionalnih i etničkih manjina, a najveće smanjenje manjinskog stanovništva dogodilo se u srapskoj etničkoj zajednici – čak za dvije trećine u odnosu na njihov broj 1991. godine (sa 581.000 na 201.000). To je vrijeme pojačane asimilacije pripadnika nacionalnih manjina i njihovih porodica, to je vrijeme u kojem vladajuća politička stvarnost ne priznaje i ne prihvata da je hrvatsko društvo multietničko i multikonfesionalno (svaki deseti građanin nije hrvatske nacionalnosti). Dilema je i dalje prisutna (pretpostavljam da će to još dugo potrajati) da li su građani hrvatske nacionalnosti voljni navedeno respektirati i vlastitim ponašanjem pridonositi nesmetanom ostvarivanju svih nacionalnih, jezičkih, kulturnih, religioznih i drugih prava pripadnika nacionalnih, etničkih i religioznih manjina.

Hrvatska društvena mreža isprepletena je korupcijom u svim segmentima i na svim nivoima, a nositelji su politička elita inkorporirana u cjelokupnom društvu – institucijama sistema. Uzrok fenomena korupcije (sa nesagledivim posljedicama), treba tražiti u:
a) nagli prjelaz iz socijalističke planske ekonomije u robnonovčanu i tržišnu ekonomiju s obilježjima prvobitne akumulacije kapitala praćene pljačkom;

b) nepostojanje ili nerazvijene institucije civilnog društva kao i nerazvijenost efikasnih mehanizama javne kontrole vlasti;
c) specifičan načina regrutiranja novih političkih elita čiji pripadnici obnašanje političkih funkcija shvaćaju kao normalan način sticanja materijalnih dobara;

d) neprimjerena čistka u svim institucijama putem lustracije.
„Ono što se u ratu i poslije rata događalo s pravosuđem, ali i s drugim državnim i društvenim ustanovama Hrvatske može se u obliku čvrste hipoteze nazvati nacionalističkom revolucijom: nacionalističkom zbog političkog sadržaja izvedenih promjena, a revolucijom zbog protupravnosti, nasilnosti i razornosti načina izvođenja tih promjena. Hrvatsko pravosuđe je devastirano političkim udarom, što je dovelo do toga da su iz pravosuđa izbačene gotovo sve osobe srpske nacionalnosti i mnoštvo osoba osumnjičenih za političku nelojalnost po kriterijima nacionalizma. Pravosuđe u novom stanju, a ponajprije Državno odvjetništvo, vojni sudovi i novoimenovani predsjednici sudova, postali su ravnodušni promatrači i akteri bezbrojnih nezakonitosti i zločina političke i parapolitičke prirode – tako što nisu gonili ili nisu kažnjavali, a to znači da su tolerirali i pasivnošću poticali ubojstva, uništavanje imovine, izbacivanje s posla, nezakonite deložacije, nepriznavanje državljanstva i drugih prava stotina tisuća ljudi (dr.prof. Nikola Visković, Novi list, 2001, 5).

Sve to dovodi do repatrijarhalizacije hrvatskog društva i političkog života, a to znači oslanjanje pojedinaca na užu i širu obitelj u odnosu na ostvarivanje bitnih ciljeva, zaposlenje, stambeno zbrinjavanje, političku promociju, što sa druge pak strane dovodi do klijentelizma, koji je usmjeren na formiranje i održavanje masovne klijentele vladajuće političke elite s jedne strane i dovodi do razvijanja procesa dristibucije i posebnih beneficija samim članovima političke elite, njihovim bliskim pomagačima, srodnicima i rodbini s druge strane.

Ako se kritički promatra i struktuira korupcija u hrvatskom društvu, iluzorno je očekivati da će vlast ozbiljnije započeti borbu protiv mita, korupcije i organiziranog kriminala, bez obzira što u članku 31. Ustava R Hrvatske piše: “Ne zastarjevaju kaznena djela ratnog profiterstva, kao ni kaznena djela iz procesa pretvorbe i privatizacije počinjene u vrijeme Domovinskog rata i mirne reintegracije, ratnog stanja i neposredne ugroženosti neovisnosti i teritorijalne cjelovitosti države propisane zakonom ili ona koja ne zasterjevaju prema međunarodnom pravu. Imovinska korist, ostvarena tim djelima ili povezana s njima oduzet će se .“

Split, juli 2016. godine

Piše: doc. dr. sc. Pavle Vukčević 
Udruženje "Naša Jugoslavija" e-mail: pavlevukcevic @ gmail.com


(1) Napomena: Napisani tekst je skraćena verzija magistarskog rada „Pluralizam samoupravnih interesa i delegatski sistem u Jugoslaviji“, odbranjen na Fakultetu Političkih Nauka, u Beogradu 1983. godine.


=== 2 ===

Sull'invio di truppe croate al confine della Russia, deciso al summit NATO di Varsavia... e la ripresa di nomi e simbologia dello "Stato Indipendente" (NDH, nazifascista) da parte delle formazioni dell'esercito croato che saranno lì impiegate...

http://www.standard.rs/politika/35133-на-исток-иде-сатнија

НА ИСТОК ИДЕ САТНИЈА 

• понедељак, 11 јул 2016 11:58

ЉУБАН КАРАН

Зашто упућивање хрватске јединице на границу Русије изазива еуфорију и одушевљење код већине Хрвата?


Хрватска предсеница Колинда Грабар Китаровић не крије своје одушевљење по повратку из Варшаве, где је присуствовала самиту лидера НАТО. Она само репрезентује одушевљење комплетне хрватске нације, јер, како сама каже, очекује консензус око слања контингента хрватских војника на руску границу. Под насловом На исток иде сатнија објављена је ударна вест на Хрватској телевизији. Шта је то дефектно у овом наслову и које су његове скривене пруке хрватској нацији? Ради се о елитној јединици Хрватске војске, која је интегрисана у немачко-холандски контингент стациониран у Немачкој и која ће вероватно бити распоређена у неку од балтичких земаља у скаду са најновијим одлукама челника НАТО.

Шта је то сатнија и да ли ће та јединица значајно увећати снагу НАТО на Истоку? Многима ван Хрватске овде треба објашњење јер је ова држава усвојила формацију, назив јединица и чинове у војсци по узору на усташку војску НДХ Анте Павелића. Тако је сатнија јединица величине чете а официр који њом командује има чин сатника, што је у рангу капетана. Значи, хрватско учешће у престројавању НАТО снага према границама Русије са циљем војног притиска на ту земљу је симболично, јер једна чета може променити однос снага само када би била сучељена два батаљона а не две најјаче војне силе на свету – НАТО и Русија. Чему онда толико одушевљење у Хрватској?

Симболика је у питању. Да би се разумело хрватско одушевљење новом улогом у глобалном војном сучељавању, у помоћ би требало позвати хрватску историју и традицију. Јер није њима први пут да шаљу војни контингент на Исток, и тога се већина Хрвата са носталгијом и, како знају да кажу, „са посебним пијететом“, сећају. Прва јединица која је својевремено из Хрватске упућена на Исток била је 369. појачана пјешачка пуковнија усташке војске. Пуковнија је 1941. године, такође из Немачке, као и садашња сатнија, упућена на Исток, у сучељавање са Русима. Додуше, не као сада у балтичке земље (Естонија, Летонија и Литва), него много јужније – под Стаљинград, где је немачка нацистичка војска водила једну од најтежих битака у Другом светском рату. Али симболика је иста.

ЛЕГЕНДА ТРАЈЕ
Била је то најелитнија јединица тадашње Павелићеве војске и као таква понос проусташког дела нације. Није случајно да је ову јединицу на бојишту у Русији обишао Павелић лично у друштву са најпознатијим и најопеванијим усташким командантом Јуром Францетићем. Хрватско учешће на Источном фронту са Вермахтом и тада је требало бити симболично. Међутим, да ли због пропаганде или стварног хрватског расположења у то време, на позив поглавника за одлазак на Источни фронт јавило се 5.000 добровољаца, далеко више него што су очекивали, јер се знало да иду у тешке битке. Тако је пала одлука да се формира већа јединица – пуковнија. Изабрано је 3.865 добровољаца који су распоређени у три бојне (батаљона) ове јединице. Прва бојна је формирана од добровољаца из Сарајева, а друге две из Загреба и Вараждина. Војну обуку су завршили у Немачкој а затим упућени под Стаљинград у састав 100. лаке ловачке дивизије, 17. немачке армије у Групи армија југ. Били су познати под именом Хрватска легија, са геслом: „Шта бог да и срећа јуначка“.

Ова јединица је у проусташком корпусу Хрватске постала легендарна, са угледом који ни приближно никада није имала ниједна друга. О њој су певане песме и испредане приче. Иако је ју је комплетну (или оно што је од ње остало) заробила 1943. године Црвена армија, ушла је у легенду. Има ту један апсурд, јер у том величању никада се не прича шта се десило са овом легијом након заробљавања. Чак би се могло рећи да је то лажна хрватска легенда. Њен последњи командант, који је заробљен са око 700 легионара, био је артиљеријски пуковник Марко Месић (на слици испод у црвеном кругу) – стриц далеко познатијег Стјепана Месића, хрватског политичара који је био последњи председник Председништва СФРЈ и који је на крају рекао: „Мој посао је завршен, Југославије више нема“.

Марко Месић је са већином својих војника преврбован у заробљеништву, тако да је постао командант Прве југословенске бригаде која је са Црвеном армијом под борбама са Немцима дошла на подручје Југославије и где је ушла у састав 23. српске дивизије 14. корпуса НОВЈ. Тако су се Месић и његове елитне усташе на крају рата, као партизани, борили против своје усташке сабраће, док су их они славили и величали и од њих направили легенду. Било је помало и смешно што су усташке главешине у Загребу доделиле Месићу једно од највиших одликовања, јер су били убеђени да је погинуо под Стаљинградом. Тако је потпуни апсурд да је ова легија у Хрватској постала легенда јер од тада постоји термин „Црвене усташе“. Али управо тако се догодило – то је најцењенија и најпоштованија војна формација у Хрватској свих времена.

„ЦРВЕНЕ УСТАШЕ“
Њену популарност код Хрвата није тешко доказати. Већ у Другом светском рату једна домобранска војна формација носила је име ове контроверзне пуковније, да би јој проласком времена популарност расла. Нису тачна нека писања да је легија била домобранска јединица, једноставно зато што су домобранске формације чинили мобилисани људи, а усташке јединице добровољци. До грађанског рата у Хрватској легенда је вишеструко надувана, тако је у Хрваткој и БиХ било више јединица под називом 369. бојна. Сматрало се за велику част распоређивање у такве јединице. Већ то је био сигуран знак и показатељ да нова хрватска власт у лику ХДЗ неће бити опредељена за антифашизам, него управо за фашизам и усташке традиције. Чак ни левом крилу ХДЗ, које је предводио Фрањо Туђман, није сметало што се њихова борба ослања на усташке легенде јер су са усташком емиграцијом ушли у чврст савез на идеји стварања независне Хрватске државе. Када се размишља и анализира како је уопште могуће да су се повезали и договорили усташка емиграција и партизански и левичарски део Хрватске, требало би имати на уму следбенике Марка Месића и такозване „Црвене усташе“.

И не само то. Веза усташа и комуниста у Хрватској датира још из времена Краљевине Југославије, значи још пре Другог светског рата, јер су се истовремено и заједно налазили у затворима по основу истих кривичних дела против државе. Без обзира на политичка определења, од ултралевих до ултрадесних, у затвору су успостављана пријатељства која су настављана по изласку из затвора. Ако се нису могли дружити због различитих политичких погледа, тајно су се веома поштовали и увек су били спремни да помогну једни другима, па и да тајно постижу договоре и савезе. Нема ту ништа чудно. Нешто слично се недавно дешавало у притвору Хашког трибунала, где су високи официри и политичари, који су у рату били на супротним странама, у притвору склапали пријатељства, међусобно се поштовали и били спремни да помогну један другоме и у приватном животу и у одбрани пред судом.

Зато не би требало да чуди одушевљење у Хрватској због слања сатније на границу Русије, јер је већинско мишљење у тој земљи да ова јединица наставља традиције „славне“ Хрватске легије. Сувише је примера да је то управо тако, а навешћу само један – однос према војсци Краљевине Југославије и касније према ЈНА у СФРЈ. Ниједну од ове две војске већина Хрвата никад није сматрала својом и увек су је притајено сматрали непријатељском. Војску Краљевине Југославије (Краљевине СХС) искористили су да врате своје изгубљене територије које су заузели Италијани, Аустријанци и Мађари. Војску СФРЈ искористили су да прикрију своју искрену активну улогу у фашистичком покрету. Зато је у време Југославије био латентно присутан проблем одзива Хрвата и пријављивање у војне школе. За ЈНА је то био велики проблем због фамозног кључа и дефинисаних процената официра и подофицира у складу са бројношћу нација у Федерацији. Конкретно за Хрвате тај проценат је пеглан тако што су далеко више од дефинисаног процента примани у Ратно ваздухопловство и Ратну морнарицу, јер је једино у тим видовима одзив био прихватљив. Солуција је била – ако већ неће у копнену војску, примај их тамо где хоће. Наравно да је то пеглање ишло на штету других нација.

ХРВАТСКА ПРЕД НАТО ДИСКРЕДИТУЈЕ СРБИЈУ
Општа је оцена да недавни самит лидера земаља НАТО пакта у Варшави није формалног карактера и да су донесене веома значајне одлуке – на Западу их представљају као искључиво одбрамбене, док се у Русији гледају као изразито офанзивне, до нивоа припрема за напад на Русију. Учињено је доста на општој мобилизацији и увезивању снага НАТО, као и пропагандном деловању на бољем разумевању опасности од Русије. У свему томе има и симболике – град у коме је основан Варшавски уговор сада је угостио шефове НАТО пакта.

Амерички председник Барак Обама био је веома конкретан и потпуно одређен када је позвао челнике НАТО да не попуштају пред све већом претњом Русије. Предложио је наставак санкција према Русији „док потпуно не прихвате прекид ватре у Украјини“, тако да нема дилеме да ли ће се санкције наставити иако неке земље под притиском властитих економских губитака стидљиво најављују њихово укидање. Ипак, најважнија ствар коју је самит донео јесте размештање нових НАТО снага на граници Русије, пре свега у балтичким земљама (где се нашла и хрватска сатнија), јер је то конкретан и провокативан војни потез који мора изазвати реакцију Русије. Управо тако се и догодило, јер је председник Русије Владимир Путин одмах потписао указ о повећању армије. Истовремено, врши предислокацију и распоред јединица Руске армије у складу са потезима НАТО.

Јавио се и гробар Совјетског Савеза Михаил Горбачов, који успаничено каже: „НАТО прича о одбрани, а припрма напад на Русе“. Горбачову би требало веровати, јер је увек имао добре везе на Западу, где је веома цењен. Његова узнемирност конкретним догађањима требало би да забрине. Он још каже: „Реторика у Варшави вришти од намера да практично прогласи рат Русији“.

Ко би рекао да ће хрватска председница, Колинда Грабар Китаровић у тако сложеној ситуацији покушати да усмери пажњу овог великог скупа, који увезује бар четвртину света, према Србији. Разрадила је тезу преко које је нашла начина да учесницима самита прикаже Србију као реалну и надолазећу опасност, која посебно забрињава Хрватску. Није то ни мало наиван напад, јер не може да се мери било која Колиндина изјава у Загребу са оним што је рекла о Србији пред 2.500 званичника, 2.000 медија, 28 чланица НАТО и 26 земаља партнера овог пакта. Овај потез се може третирати не само као перфидан него крајње злонамеран и подмукао, тако да заслужује адекватан одговор Србије. Инсистирала је да се мора зауставити продор Русије на Балкан преко Србије и образложила зашто је посебно брине војно повезивање Србије са Русијом. Према њој, та војна веза расте јер се најављују велике заједничке војне вежбе, међу којима је посебно поменула војну вежбу „Словенско братство“, која је најављена за октобар.

ГАЂАЈУ РУСИЈУ, ПОГАЂАЈУ СРБИЈУ
Основно питање није шта то Хрватска ради, него зашто то ради. На то питање Србија мора наћи одговор. Јер, ако неко у тако сложеној ситуацији, која би се без резерве могла назвати широка припрема за рат две најаче светске силе, које су истовремено светска опасност јер држе прст на нуклеарном окидачу, истакне Србију као светски проблем, његове намере нису чисте и треба их озбиљно схватити. Који је то интерес и који план Хрватске који може бити толико важан да занемарује своје тренутне економске интересе ради њега? Јер требало би знати да је број руских туриста у Хрватској последњих година увелико повећан. Да су они рекордери по просечном броју ноћења по једном туристи и галантни у трошењу новца. Сем тога, порастао је интерес руских купаца за некретнине у Хрватској. Зашто онда држави коју дрма и економска и политичка криза то није важно, него и даље одапињу отровне стреле према Русији. Уствари, када год у својим изјавама гађају Русију испадне да успут погоде Србију.

Ономе ко добро познаје усташки покрет и његове стратешке циљеве јасно је шта се крије иза сталних и перфидних напада на Србију – територијалне претнензије према Србији и Републици Српској. Само то је довољно важно да би се занемаривали важни економски интереси. Међутим, забринутост Хрватске није измишљена, она је стварна. Не зато што се плаши некаквог напада из Србије, него што осећа да би нека већа сила од Србије могла да осујети њихов прастари план – Хрватска до Дрине.

Није се у Хрватској пробудила носталгија само према 369. пуковнији на основу бојне која иде на Исток. Најмање пола године проусташке снаге и њихови познати ставови поново су потпуно овладали независном Хрватском, као пре 75 година. Симболи и узори младих постали су усташки хероји и викари а клерофашизам основна идеологија. Ствари су отишле до нивоа потпуне неприхватљивости не само од стране српског корпуса, који је тиме угрожен, него и неких поузданих хрватских савезника. Њихови савезници још увек толеришу понашање хрватске власти, али су све мање спремни да и сами учествују у фашизацији Хрватске. У последње време нема их ни на једној хрватској прослави где славе своје „велике победе“, у којима су почињени масовни ратни злочини.

Зато не би било исправно закључити како је антисрпски иступ Колинде Грабар Китаровић искључиво везан за предизборну кампању у Хрватској и очајнички покушај да ХДЗ задржи власт. Наравно да све то јесте везано за предизборну кампању и све што се у Хрватској буде рекло и дешавало до септембра биће у тој функцији. Али проблем је у томе што то нису лажне предизборне изјаве и обећања које ће се након избора заборавити. Ради се о трећем неоствареном циљу усташког покрета – проширењу граница Хрватске на границе бивше НДХ. Сви то могу заборавити, занемарити и сматрати утопијом, али усташки покрет неће, јер то је суштина његовог оснивања

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