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Lettera inviata a Montagne360, periodico del Club Alpino Italiano

Gentile Redazione,
 
L'interessante articolo di Gillian Price apparso su Montagne360 di Luglio 2015, dedicato ai sentieri percorsi dai prigionieri alleati [POW] in fuga dai campi di prigionia, opportunamente integrando le recenti iniziative editoriali dedicate ai sentieri partigiani nel 70.mo della Liberazione, ci porta a conoscenza di quella che è in effetti solo la punta di un iceberg. Gli storici hanno iniziato in tempi recenti a ricostruire quello che fu l' "universo concentrazionario" italiano: si parla di 876 tra luoghi di internamento, prigionia, lavori forzati o confino, sul solo territorio nazionale (cfr. http://www.campifascisti.it/ )... In questi luoghi, i prigionieri anglosassoni erano solo una delle presenze, e nemmeno maggioritaria: tra i prigionieri stranieri erano soprattutto numerosi gli jugoslavi. In Appennino centrale oltre ai campi marchigiani di Servigliano e Sforzacosta menzionati nell'articolo, se ne contavano numerosi altri, e al confine con l'Umbria nell'incantevole altipiano di Colfiorito sorgono tuttora le "Casermette", dove erano rinchiusi migliaia di montenegrini che in gran parte evasero da un varco nella recinzione nella notte tra il 22 e il 23 settembre 1943. Erano invece soprattutto sloveni i reclusi del campo della Motina a Renicci, presso Anghiari, che presero la fuga il 14 settembre 1943. Ancora in Umbria, oltre alle numerose destinazioni per i lavori forzati dove gli jugoslavi erano impiegati in grande numero, vale la pena di ricordare soprattutto il carcere della Rocca di Spoleto, da cui centinaia di detenuti evasero in maniera rocambolesca e romanzesca a più riprese dopo l'8 Settembre. Più a sud, in Abruzzo, confluirono dai campi di Corropoli, Tossicia, Civitella ed altri ancora quegli stranieri – tra cui 60 inglesi e 45 jugoslavi – che ebbero un ruolo centrale nei fatti di Bosco Martese, dove si svolse "la prima battaglia in campo aperto della Resistenza italiana" (Ferruccio Parri).
Proprio in Abruzzo furono tanti gli antifascisti slavi che, nel tentativo di passare le linee e recarsi nell'Italia meridionale sotto controllo alleato, rimasero bloccati sulle montagne dove spesso trovarono la protezione delle famiglie locali, ma talvolta – come nel caso di Radusinović e Radonjić – perirono drammaticamente per assideramento.

Diversamente dagli inglesi, che hanno curato la memoria creando enti dedicati, gli antifascisti jugoslavi sono stati vittime di un oblio che trova spiegazione nelle note vicende politiche passate e presenti. Il ricordo delle loro imprese è sopravvissuto solo grazie alla passione di alcuni singoli, tra i quali meritano riconoscenza Vlado Vujović e Drago Ivanović. Eppure, ripercorrendo i destini di tutti loro, è possibile tracciare itinerari di grande interesse escursionistico e storico. 
Una direttrice fondamentale è quella del crinale appenninico tra Umbria e Marche: in particolare, da Colfiorito lungo il versante ovest dei Sibillini fino ai Monti della Laga e al Gran Sasso; con una possibile variante, storicamente importante, sul versante opposto dei Sibillini, fino a Sarnano.
Da Spoleto si possono invece idealmente seguire le sorti degli evasi della Rocca salendo alla Forca di Cerro per poi attraversare la Valnerina e risalire sul Monte Coscerno, teatro della prima grande strage nazifascista in quel comprensorio (Mucciafora 29/11/1943), per eventualmente proseguire verso gli altri luoghi che videro protagonista la locale Brigata Gramsci, in cui gli slavi confluirono: Norcia, Cascia, Monteleone, Leonessa, Polino.
Da Anghiari possiamo "seguire" gli sloveni verso nord, in montagna, o verso sud, lungo la valle del Tevere.
In tutti i casi, ripercorrere quelle direttrici ci riporta ad un mondo sul quale non solo le vicende storiche del secondo dopoguerra, o i devastanti terremoti, ma soprattutto i cambiamenti socio-economici (urbanizzazione in primis) hanno infierito come vere schiacciasassi. L'escursionista attento può comunque riconoscere su quei sentieri non solo i segni oramai labili dei valori di un tempo, tra giustizia sociale e pietas rurale, ma anche l'opera super-storica della Natura, che si è trionfalmente riconquistata ampie porzioni del nostro Appennino.
 
Andrea Martocchia, 6 agosto 2015




Itinerari partigiani sulla montagna abruzzese

A L'Aquila, "l’assessorato alla Cultura del Comune ha sposato in pieno il progetto, ideato dalla sezione dell’Aquila dell’ANPI e realizzato grazie alla collaborazione del CAI, dell’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia Contemporanea e del Parco Nazionale Gran Sasso e Monti della Laga. Il percorso, di circa 60 chilometri, si articola in sei tratti:
1. L’Aquila–San Sisto–Collebrincioni, inaugurato l’anno scorso con il cippo in memoria dei 9 Martiri,
2. Collebrincioni–Fonte Nera–Arischia, zona operativa del gruppo partigiano di Antonio D’Ascenzo e luogo di fucilazione dei pescaresi Vermondo Di Federico e Renato Berardinucci, medaglie d’oro al valor militare,
3. Arischia–Casale Cappelli, luogo di scontro armato tra il gruppo di Giovanni Ricottilli e i tedeschi, in cui perse la vita il partigiano Giovanni Vincenzo,
4. Casale Cappelli–Assergi–Filetto, luogo d’azione dei partigiani del gruppo Aldo Rasero e della strage dei civili del 7 giugno ’44, quando Filetto fu dato alle fiamme,
5. Filetto–Monte Archetto, luogo di insediamento del gruppo di Aldo Rasero nella primavera del ’44,
6. Monte Archetto–Onna, luogo della strage nazista dell’11 giugno ’44."

All'interno del percorso è possibile rintracciare la presenza della compagine slava sulle montagne abruzzesi. 
Nella tappa n.1 il 23 settembre 1943 le truppe tedesche, alla ricerca dei POWs fuggiti dalle casermette, alleati e slavi, dettero luogo a Collebrincioni ad uno dei primi scontri a fuoco della Resistenza nel corso del quale morirono due prigionieri inglesi e "9 martiri giovinetti" aquilani furono catturati e giustiziati.
Nella tappa n.2 ad Arischia operava, all'interno della banda partigiana locale, Blagoje Popović,che i locali ricordano ancora col nickname italianizzato di Biagio, ardimentoso studente universitario di diciannove anni, figlio dell’ambasciatore jugoslavo a Londra, ricordato dal suo comandante come «ragazzo coraggioso e battagliero che cadrà vittima dei tedeschi per la sua eccessiva temerarietà»,  catturato ed impiccato il 17 maggio 1944 ad un pilone della teleferica.
Nella tappa n.4 a Casale Cappelli truppe naziste attaccano il casale dove si era asserragliato il gruppo composto da sei partigiani, uccidendone uno e catturandone altri quattro, fra i quali gli slavi Badonić e Basević, quest’ultimo ferito.

Riccardo Lolli
, agosto 2015

Per maggiori informazioni si veda la ricerca dedicata ai partigiani jugoslavi in Abruzzo




(hrvatskosrpski / italiano.
En francais: « BIBLIOCIDE » : QUAND LA CROATIE METTAIT SES LIVRES À L’INDEX (Bilten 30.06.2015.)
Le changement de régime en Croatie au début des années quatre-vingt-dix s’est manifesté en politique, dans l’économie du pays mais également dans les bibliothèques, par la « radiation » exceptionnelle de certains livres, que ce soit à cause de la nationalité ou d’autres détails biographiques de leurs auteurs, de leur lieu d’édition ou de leur contenu. Un collectif d’artistes a entrepris de scanner ces livres mis à l’index, et appelle les citoyens à participer en apportant leurs exemplaires...


--- ITALIANO

http://www.bilten.org/?p=7977


Il ricordo della "dismissione": la distruzione dei libri negli anni '90

Igor Lasić
30.06.2015.


Il cambio di regime in Croazia all'inizio degli anni Novanta ha avuto, accanto alla sua accezione politica ed economica, anche una dimensione bibliotecaria, prima di tutto attraverso la "dismissione" straordinaria dei libri, ovvero una sistematica e pedante eliminazione di tutti i libri che il nuovo regime riteneva inadatti, sia a causa della nazionalità ed altri dettagli bibliografici degli autori, che del luogo di edizione del libro, che del suo contenuto.

Lo scarico inventariale dei libri è un procedimento standard nella prassi bibliotecaria. Esso comporta la dismissione di edizioni e titoli malandati o obsoleti, i quali vengono normalmente sostituiti con nuove copie o traduzioni, se disponibili. Nel ramo bibliotecario si prescrive una quota di dismissione, ovvero la massima percentuale annuale permessa per la riduzione di un fondo bibliotecario. Tuttavia, i dati ufficiali delle librerie di Zagabria dell'ultimo decennio del XX secolo – e cosa simile successe allora anche altrove in Croazia – ci rivelano che per diversi anni, lo scarico fu fino a tre volte e mezzo maggiore di quanto permesso.
Dei motivi di questo scarto inventariale organizzato di due volte e mezzo più ampio di quanto prescritto dai requisiti della professione, parla in queste settimane il progetto "I dismessi – In occasione del ventesimo anniversario dell'Oluja[Operazione Tempesta, ndt]" del collettivo curatore WHW ("Che cosa, come e per chi") e dell'Istituto Multimediale mi2 nella Galerija Nova di Zagabria. Su questo ritorneremo, ma per ora prestiamo attenzione a una sola componente del progetto che ci dà una panoramica della selezione dei titoli dell'argomento: ovvero alla scannerizzazione dei libri eliminati – disprezzati e scomunicati – con l'appello ai cittadini alla collaborazione nel consegnare tali volumi. Perché molte copie venivano in quel tempo salvate da benefattori e da chi passava, ad esempio,  accanto a discariche nei pressi delle biblioteche pubbliche.
Già da tale esposizione, che al momento della stesura del presente articolo conta una novantina di libri, diviene piuttosto chiaro quali criteri seguissero gli architetti della degradazione dei fondi librari. Ne furono vittime principalmente le opere di scrittori serbi e montenegrini, più i rari dissidenti croati di allora. Se la passarono altrettanto male le edizioni stampate nella variante ekava e nel cirillico [tipici della cultura di matrice serba, ndCNJ]. Inoltre, bastava che l'editore fosse di Belgrado o Novi Sad, a volte anche di Sarajevo – città evidentemente considerate estremamente indesiderabili. Ma un posto speciale venne occupato dai libri scartati per motivi tematici, indipendentemente dalla lingua, dalla variante dialettale, dal luogo di edizione o dalla nazionalità degli autori.

L'Index librorum prohibitorum nazionale

Un'enorme quantità di opere di questa categoria sono appunto marxiste, rivoluzionarie, socialmente impegnate, di sinistra in generale. Bisognava dunque dissociarsi e disconnettersi velocemente dalla realtà sociale in voga fino ad allora, la quale prevedeva la coesistenza dei Croati con gli altri Slavi del Sud e una vita socialista-autogestita. Questa esperienza aveva portato con sé anche un imponente lascito dialettico sotto forma di intere collane, i cui fondamenti teorici rigettavano recisamente la minaccia mortale della guerra mossa sulle basi dell'intolleranza interetnica.
Era tra l'altro pure necessario che la presidentessa croata e l'arcivescovo – ma anche molti socialdemocratici [del partito al governo SDP, ndt] – ci dicessero oggi che accanto al fascismo e nazismo dobbiamo ripudiare anche il comunismo, il suo passato e soprattutto il suo futuro. La contemporanea coltivazione della ristretta mentalità della proprietà privata ed in generale il ragionamento basato sugli elementi nazione, famiglia e individuo, rispetto alla preminenza del pubblico, alla dimensione internazionale e solidale, ha preso decisamente piede in larga parte grazie all'efficace soppressione della memoria e all'eliminazione della sua ulterioreriproduzione attiva. E per qualche tempo la tattica descritta è riuscita benissimo, compensando l'opposizione di determinate roccaforti sociali ed economiche con mitologie identitarie, come quella della classe media o quella esclusivamente confessionale.
Il processo è in parte rallentato solo negli ultimi anni, in virtù del notevole crollo della base materiale della società e comunque della maggioranza dei suoi singoli membri. La ribalta creata da WHW e mi2 potrebbe solo ora, sembra, avere terreno fertile. Ma esaminiamo ancora come questa folle, specifica disinfezione bibliotecaria, ha operato tecnicamente in questi ultimi due decenni. Non si tratta ovviamente di una particolarità croata, e molto di questa storia rimanda alla figura e opera di Wolfgang Herrmann, bibliotecario nazista tedesco all'inizio degli anni '30 del secolo scorso, autore del documento storico "Principi della pulizia delle biblioteche pubbliche".

Gli igienisti della controrivoluzione

Questo scritto, il preferito di Joseph Goebbels, ha classificato in modo sistematico i testi che negli anni seguenti sarebbero scomparsi nelle fiamme dalle quali nasceva il costrutto politico della sovra-razza ariana. Il caso croato fu meno trasparente, ma ha comunque avuto molti elementi ideologici simili. Ricorderemo vari istanti noti, sebbene non in ordine cronologico, ma piuttosto in base alla loro influenza e importanza concettuale. Il primo posto lo merita Borislav Škegro, vicepresidente del Consiglio croato dal 1993 al 2000.
Da ministro delle finanze e uno dei fondatori più eminenti della dottrina neoliberale, in seguito al cambio della matrice economica e all'accumulazione primitiva del capitale avvenuta con le privatizzazioni, fu proprio Škegro ad introdurre in Croazia l'imposta sul valore aggiunto. Uno dei più rilevanti effetti negativi dell'IVA fu subito proprio per l'industria letterario-editoriale, e il ministro delle finanze sottolineerà che i fondi resi disponibili dall'introduzione dell'IVA verranno utilizzati, tra l'altro, per "la pulizia delle biblioteche dai libri in serbo e simili lingue". A causa dell'appassionato conflitto etno-igienico e controrivoluzionario, tuttavia, molti hanno chiuso gli occhi di fronte al sarcasmo che l'idioma più simile al serbo è... il croato, e viceversa, se si può affatto parlare di lingue diverse.
Anche prima di questa sortita esplicita, la "pulizia" delle biblioteche aveva per anni funzionato regolarmente, e due eccezionali atti ufficiali del 1992 testimoniano indiscutibilmente che questa purtroppo non era solo un'odiosa attività senza sorveglianza. Uno porta la firma della ministra della cultura Vesna Girardi-Jurkić ed il titolo "Direttiva obbligatoria per l'uso del fondo librario nelle biblioteche scolastiche", caratterizzandosi con formulazioni piuttosto contorte come "adeguamento dei programmi d'insegnamento alla nuova realtà" o "eliminazione dalle biblioteche di quei libri che apparivano negli elenchi dei testi didattici precedenti".

Un libricidio documentato

Dieci anni più tardi, Girardi-Jurkić dichiarerà: "... Ritengo che ciò fosse la cosa più morbida che si poteva in quel momento firmare; di certo sapete che periodo era. Mi telefonavano ogni giorno per fare questo e quello". E non molto prima di lei, Veronika Čelić-Tica e Ranka Javor della Biblioteca Nazionale e Universitaria, ovvero la Biblioteca della Città di Zagabria, composero una "Direttiva per il lavoro con le biblioteche delle scuole elementari" la quale elencava principi precisi sul riordino del fondo librario secondo il nuovo, rigido parametro bibliografico nazionale, e vi ricordava l'obbligo della revisione regolare e la dismissione scrupolosa dei libri.
Preziosa, in senso storiografico, è la trascrizione della seduta del Consiglio Comunale di Korčula, nella quale non si esitò nemmeno a festeggiare l'esempio meglio documentato di distruzione dei libri indesiderati. Lo scarto inventariale della biblioteca cittadina nel 1997, che andava addirittura oltre la procedura prescritta – come verrà stabilito dalle autorità conteali competenti – fu diretto dalla bibliotecaria Izabel Skokandić. Questo caso, come altri a Zagabria, Fiume e Spalato, fino a Slatina, Orsera e Velika Gorica, per menzionarne solo alcuni, verrà poi trattato dal docente di economia Ante Lešaja nella vasta opera Knjigocid – uništavanje knjiga u Hrvatskoj devedesetih ("Libricidio – la distruzione dei libri nella Croazia degli anni '90").
L'opera inestimabile di Lešaja contiene un decennio e mezzo di ricerche e analisi, lui che fu il fondatore della biblioteca cittadina di Korčula e il cronista della scuola estiva del movimento jugoslavo di Praksis a Korčula. Ed è facile ritenere che la vasta maggioranza dei casi in cui i libri vennero distrutti in Croazia sarebbe rimasta, senza il suo impegno, non documentata, come sconosciuta sarebbe altrimenti rimasta questa prassi in generale. Ma non ci sarebbe stata nemmeno la sua opera, senza l'aiuto dei molti bibliotecari coscienziosi e di altri individui che salvarono i libri scomunicati e la loro verità nascosta.
Proprio i loro preziosi contributi potrebbero assumere un posto centrale nell'iniziativa "I dismessi"; saranno soprattutto loro a rianimare il tesoro, proprio e sociale, attraverso lo scanner, e a far ritornare in circolazione questi libri in formato digitale. Accanto alla inseparabile revisione dell'eredità del Domovinski rat [Guerra patriottica, nome ufficiale in Croazia per la guerra civile jugoslava, ndt] cui si riferisce l'estensione del titolo dell'iniziativa – "in occasione del XX anniversario dell'Oluja" –, l'iniziativa è svolta in collaborazione con il progetto anti-commercializzazione "Biblioteche pubbliche" dell'Istituto Multimediale mi2. Nello stesso ambito, all'inizio di luglio, una serie di artisti nazionali dedicheranno le proprie esibizioni ai libri tragicamente scomunicati, e c'è ora un più ampio desiderio di renderli nuovamente pubblici, di distribuirli e leggerli. Per quel che concerne il rapporto tra le parole scritte e le idee progressiste, non c'è miglior pegno per la salute pubblica di domani, di quello che ci era destinato ieri.

(Trad. di AD per CNJ-onlus)


--- HRVATSKOSRPSKI


Sjećanje na “otpis”: uništavanje knjiga devedesetih

Igor Lasić
30.06.2015.

Smjena režima u Hrvatskoj počekom devedesetih je uz politički i ekonomski imala i svoj bibliotekarski izraz, prije svega kroz izvanredne “otpise” knjiga, odnosno sustavno i pedantno izbacivanje svih knjiga koje je novi režim smatrao nepoćudnima, bilo zbog nacionalnosti i drugih biografskih detalja autora, mjesta izdavanja knjige ili naposljetku njenog sadržaja.

Otpis knjiga standardni je postupak u bibliotečnoj praksi, a podrazumijeva rashodovanje dotrajalih ili oštećenih ili zastarjelih izdanja i naslova koji se obično mijenjaju novim primjercima ili prevodima, ako su takvi dostupni. S obzirom na prosječne okolnosti u branši propisuje se otpisna kvota, odnosno najviši postotak godišnjeg smanjivanja zatečenog knjižnog fonda. No službeni podaci o knjižnicama u Zagrebu posljednje decenije 20. stoljeća, a slično je tad bilo i drugdje po Hrvatskoj, otkrivaju nam da je kroz više godina otpisivanje bilo pak do tri i pol puta veće od zacrtanog.

O razlozima organiziranog bibliotekarskog izlučivanja dodatne dvije i pol knjige na onu jednu koja je predviđena zahtjevima struke, kazuje ovih tjedana projekt “Otpisane, povodom 20. godišnjice Oluje” kustoskog kolektiva WHW (“Što, kako i za koga?”) i Multimedijalnog instituta mi2 u zagrebačkoj Galeriji Nova. Njemu ćemo se još vratiti, ali zasad obratimo pažnju tek na jednu projektnu komponentu koja omogućuje uvid u predmetnu selekciju naslova; posrijedi je akcija skeniranja otpisanih – prezrenih te izopćenih – knjiga uz poziv građanima na sudjelovanje i donošenje takvih svezaka. Jer mnoge primjerke spašavali su u ono vrijeme (dobro)namjernici u prolazu pokraj npr. smetlišta u blizini javnih knjižnica.

Već iz takvog izloga koji u trenutku pisanja ovog članka broji devedesetak knjiga, biva prilično jasno kojim su se kriterijima vodili arhitekti razgradnje knjižničnih fondova. Stradavala su primarno djela srpskih i crnogorskih pisaca te rijetkih aktualnih hrvatskih disidenata. Također su jednako loše prolazila izdanja tiskana na ekavici i na ćirilici, tj. ona koja su zadovoljavala jedno od ta dva mjerila. Štoviše, bilo je dovoljno da nakladnik bude iz Beograda ili Novog Sada, ponekad i Sarajeva – takva se građa očito smatrala krajnje nepoželjnom. No posebno mjesto zauzimaju knjige koje su odbacivane s motiva tematskih, bez obzira na pismo, tretman dugog i kratkog jata, mjesto objave i nacionalnost autora.

Nacionalni Index librorum prohibitorum

Upravo golema količina djela iz te skupine jest literatura marksistička, revolucionarna, socijalno angažirana, općenito ljevičarska. Valjalo se dakle ubrzano ograditi i izolirati od dotadašnje društvene stvarnosti koja je uključivala zajednički život Hrvata s ostalim južnim Slavenima i život socijalističko-samoupravni. Potonje iskustvo nosilo je sobom i raskošnu dijalektičku zaostavštinu u vidu čitavih knjižnih edicija, a pripadajući teorijski fundamenti znatno su se lakše iz svake upotrebe odstranjivali kroz smrtnu prijetnju ratom pokrenutim po principu međunacionalne netrpeljivosti.

Bilo je to uostalom potrebno i da bi nam danas predsjednica države i nadbiskup zagrebački – ali i mnogi socijaldemokrat – poručivali kako se uz fašizam i nacizam moramo odreći i komunizma, njegove prošlosti i osobito budućnosti. Simultani uzgoj skučenog privatno-posjedničkog mentaliteta i uopće rezona baziranog na instancama nacije, obitelji i pojedinca, u odnosu na prioritete javnog, međunarodnog i solidarnog, uzeo je tako maha uvelike zahvaljujući djelotvornom brisanju zatečene memorije i onemogućavanju njezine daljnje aktivne reprodukcije. I neko je vrijeme opisana taktika izuzetno uspijevala, kompenzirajući određena društvena i ekonomska uporišta identitetskim mitologemima poput onoga srednjeklasnog ili ekskluzivno konfesionalnog, itd.

Proces je donekle usporen tek posljednjih godina, s osjetnijim kriznim te recesijskim urušavanjem materijalne osnove društva i svakako većine pojedinaca. Prevrat koji su osmislili WHW i mi2 tek bi sad mogao, čini se, pasti na iole plodno tlo, ali pogledajmo još i kako je tehnički djelovala ta specifična bibliotečna sanitarna ludnica unatrag svega dva desetljeća. Nije dakako riječ o hrvatskom specifikumu, pa mnogo što u priči podsjeća na lik i djelo Wolfganga Hermanna, nacističkog bibliotekara iz Njemačke početkom tridesetih godina prošlog stoljeća, autora povijesnog dokumenta “Principijelno o čišćenju javnih knjižnica”.

Higijeničari kontrarevolucije

Taj omiljeni spis Josepha Goebbelsa sustavno je klasificirao literaturu koja će narednih godina nestajati u plamenu iz kojeg se rađao živi politički konstrukt arijevske nadrase. Hrvatski je slučaj bio manje transparentan, no ipak je za sobom ostavio dosta traga ideološke srodnosti s historijski relevantnim biblioklastima. Podsjetit ćemo ovdje na nekoliko poznatih momenata, premda ne formalno kronološki, nego se ponaprije ravnajući po njihovoj utjecajnosti i koncepcijskoj važnosti. Na prvom bi se mjestu zaslužio stoga naći Borislav Škegro, potpredsjednik Vlade RH od 1993. do 2000. godine.

S pozicije ministra financija i jednog od viđenijih domaćih rodonačelnika neoliberalne ekonomske doktrine nakon promjene ekonomskog uređenja i privatizacijske prvobitne akumulacije kapitala, upravo Škegro uveo je porez na dodanu vrijednost u Hrvatskoj. Među istaknutijim lošim efektima PDV-a bio je spočetka baš onaj na književno-izdavačku industriju, pa će se ministar financija uto pozvati na krunski argument. Naglasio je naime da će sredstva namaknuta od netom uvedenog poreza biti iskorištena, među ostalim, za “čišćenje knjižnica od knjiga na srpskom i sličnim jezicima”. Uslijed strasnog sraza etnohigijeničarskog i kontrarevolucionarnog impulsa, doduše, mnogi su zatvorili oči pred sarkastičnom činjenicom da je srpskom najsličniji – hrvatski, kao i obrnuto, ako pritom uopće možemo govoriti o različitim jezicima.

I prije tog eksplicitnog ispada, čišćenje knjižnica je godinama regularno funkcioniralo, a na valu dvaju iznimnih oficijelnih akata iz 1992. godine koji neprijeporno svjedoče da ovdje nažalost ipak nije bila posrijedi tek odiozna stihijska aktivnost. Jedan nosi potpis ministrice kulture Vesne Girardi-Jurkić i naslov “Obvezatni naputak o korištenju knjižnog fonda u školskim knjižnicama” te se odlikuje donekle uvijenim formulacijama kao što je “prilagođavanje nastavnih programa novoj stvarnosti” ili “izlučivanje iz knjižnice onih knjiga koje su bile u ranijim popisima lektire”.

Dokumentirani knjigocid

Desetak godina kasnije, Girardi-Jurkić izjavit će: “(…) Držim da je ovo nešto najmekše što se u tom trenutku moglo potpisati, znate valjda kakvo je to bilo vrijeme. Svaki dan imala sam pozive da napravim ovo i ono”. A nedugo prije nje, Veronika Čelić-Tica i Ranka Javor iz Nacionalne i sveučilišne knjižnice, odnosno Knjižnica Grada Zagreba, sastavile su “Naputak za rad s knjižnicama osnovnih škola” koji donosi egzaktna načela o preuređivanju knjižnog fonda prema nacionalnom i rigidnom novolektirnom parametru, i podsjeća na obavezu redovne revizije i marljivog otpisa.

Dragocjen je u istom historiografskom smislu i transkript sjednice Gradskog Vijeća Grada Korčule na kojoj se nije prezalo ni od slavljenja najdokumentiranijeg primjera uništavanja nepoćudnih knjiga. Otpisa dakle u korčulanskoj Gradskoj knjižnici 1997. godine, koji je čak mimo propisane procedure – kako će ustanoviti nadležne županijske službe – provela bibliotekarka Izabel Skokandić. Taj slučaj, kao i druge od Zagreba i Rijeke i Splita do Slatine i Vrsara i Velike Gorice, da istaknemo samo neke, obradit će na koncu sveučilišni profesor ekonomije Ante Lešaja u obimnoj studiji “Knjigocid – uništavanje knjiga u Hrvatskoj devedesetih”.

Desetljeće i pol istraživanja i politološkog analiziranja sabrao je Lešaja, inače utemeljitelj Gradske knjižnice u Korčuli te kroničar praksisovske Korčulanske ljetne škole, u svom neprocjenjivom tekstu. I lako se može ustvrditi kako bi golema većina navedenih spoznaja o uništavanju knjiga u Hrvatskoj ostala bez njegova zalaganja nezabilježena, kao što bi nedosegnutima ostali i politički zaključci o toj kardinalnoj praksi. Ali tu dolazimo također do fakta da niti njegova djela ne bi bilo bez pomoći mnogobrojnih savjesnih knjižničara i raznih vanstrukovnih individua koje su spašavale anatemizirane knjige i potiskivanu istinu o njima.

Upravo njihovi vrijedni prilozi mogli bi zauzeti središnje mjesto u akciji “Otpisane”; prvenstveno njih ćemo vidjeti kako donose svoje i općedruštveno blago na reanimaciju skenerom i digitalni povrat u javni opticaj. Uz neodvojivu reviziju nasljeđa Domovinskog rata, o čemu govori nastavak imena te inicijative – “povodom 20. godišnjice Oluje” – dio je to šire projekcije u suradnji s antikomercijalizacijskim projektom “Javne knjižnice” Multimedijalnog instituta mi2. U istom okviru početkom srpnja niz domaćih umjetnika posvetit će nastupe knjigama koje su bile tragično prokazane, a sad je pokrenuta šira volja da konačno budu opet javno pokazane, dijeljene i čitane. Nema boljeg zaloga, što se tiče odnosa spram pisane riječi i progresivne misli, za društveno sutra zdravije od onoga što nam je bilo namijenjeno koliko jučer.





By the same Author on similar issues:

Kosovo “Freedom Fighters” Financed by Organised Crime (Covert Action Quarterly 10 April 1999)

NATO's War of Aggression against Yugoslavia (Jackson Progressive, 1999)
http://globalresearch.ca/articles/CHO309C.html  or  https://www.cnj.it/24MARZO99/chossu1999.htm

The Criminalization of the State: "Independent Kosovo", a Territory under US-NATO Military Rule (Global Research, February 4, 2008)



The History of “Humanitarian Warfare”: NATO’s Reign of Terror in Kosovo, The Destruction of Yugoslavia


Global Research, August 05, 2015

The following text was written in the immediate wake of the 1999 NATO bombings of Yugoslavia and the invasion of Kosovo by NATO troops. 

It is now well established that the war on Yugoslavia was waged on a fabricated humanitarian pretext and that extensive war crimes were committed by NATO and the US. 

In retrospect, the war on Yugoslavia was a “dress rehearsal” for subsequent US-NATO sponsored humanitarian wars including Afghanistan (2001), Iraq (2003), Libya (2011), Syria (2011), Ukraine (2014).

Who are the war criminals? In a bitter irony, the so-called International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) in The Hague is controlled by those who have committed extensive war crimes. 

US-NATO started the war on Yugoslavia. President Milosevic was indicted on charges of war crimes. He was poisoned in his prison cell under the auspices of the ICTY. 

According to Nuremberg jurisprudence, the ultimate war crime consists in starting a war. According to William Rockler, former prosecutor of the Nuremberg War Crimes Tribunal:

“The [1999] bombing war violates and shreds the basic provisions of the United Nations Charter and other conventions and treaties; the attack on Yugoslavia constitutes the most brazen international aggression since the Nazis attacked Poland to prevent “Polish atrocities” against Germans. The United States has discarded pretensions to international legality and decency, and embarked on a course of raw imperialism run amok.”

According to Nuremberg jurisprudence, NATO heads of State and heads of government are responsible for the supreme crime: “the crime against peace.”

Reagan’s NSDD 133 (1984) “Secret and Sensitive”

There is evidence that the US administration in liason with its allies took the decision in the early 1980s to destabilise and dismantle Yugoslavia.

The decision to destroy Yugoslavia as a country and carve it up into a number of small proxy states was taken by the Reagan adminstration in the early 1980s. 

A “Secret Sensitive” National Security Decision Directive (NSDD 133) entitled “US Policy towards Yugoslavia.”  (Declassified) set the foreign policy framework for the destabilization of Yugoslavia’s model of market socialism and the establishment of a US sphere of influence in Southeastern Europe.

Yugoslavia was in many regards “an economic success story”. In the two decades before 1980, annual gross domestic product (GDP) growth averaged 6.1 percent, medical care was free, the rate of literacy was 91 percent, and life expectancy was 72 years.

While NSDD 133 was in itself a somewhat innocous document, it provided legitimacy to the free market reforms. A series of covert intelligence operations were implemented, which consisted in creating and supporting secessionist paramilitary armies, first in Bosnia then in Kosovo.

These covert operations were combined with the destabilization of the Yugoslav economy. The application of strong economic medicine under the helm of the IMF and the World Bank ultimately led to the destruction of Yugoslavia’s industrial base, the demise of the workers’ cooperative and the dramatic impoverishment of its population.

Kosovo “Independence”

The record of US-NATO war crimes is important in assessing recent developments in Kosovo.

From the outset of their respective mandates in June 1999, both NATO and the UN Mission to Kosovo (UNMIK)  have actively supported the KLA, which has committed numerous atrocities.

It is important to understand that these atrocities were ordered by the current and former prime ministers of the Kosovo “government”.

Since 1999, State terrorism in Kosovo has become an integral part of NATO’s design.

The present government of prime minister Hashim Thaci (a former KLA Commander), is an outgrowth of this reign of terror. It is not a government in the common sense of the word. It remains a terrorist organization linked to organised crime. It is instrument of the foreign occupation. 

Michel Chossudovsky, 23 February 2008, 5 August 2015



NATO HAS INSTALLED A REIGN OF TERROR IN KOSOVO

by Michel Chossudovsky

10 August 1999

This text was presented to the Independent Commission of Inquiry to Investigate U.S./NATO War Crimes Against The People of Yugoslavia, International Action Center, New York, July 31, 1999.

PART I: MASSACRES OF CIVILIANS IN KOSOVO

While the World focusses on troop movements and war crimes, the massacres of civilians in the wake of the bombings have been casually dismissed as “justifiable acts of revenge”. In occupied Kosovo, “double standards” prevail in assessing alleged war crimes. The massacres directed against Serbs, ethnic Albanians, Roma and other ethnic groups have been conducted on the instructions of the military command of the Kosovo Liberation Army (KLA).

NATO ostensibly denies KLA involvement. These so-called “unmotivated acts of violence and retaliation” are not categorised as “war crimes” and are therefore not included in the mandate of the numerous FBI and Interpol police investigators dispatched to Kosovo under the auspices of the Hague War Crime’s Tribunal (ICTY). Moreover, whereas NATO has tacitly endorsed the self-proclaimed KLA provisional government, KFOR the international security force in Kosovo has provided protection to the KLA military commanders responsible for the atrocities. In so doing both NATO and the UN Mission have acquiesced to the massacres of civilians. In turn, public opinion has been blatantly misled. In portraying the massacres, the Western media has casually overlooked the role of the KLA, not to mention its pervasive links to organised crime. In the words of National Security Advisor Samuel Berger,

“these people [ethnic Albanians] come back … with broken hearts and with some of those hearts filled with anger.”1

While the massacres are seldom presented as the result of “deliberate decisions” by the KLA military command, the evidence (and history of the KLA) amply confirm that these atrocities are part of a policy of “ethnic cleansing” directed mainly against the Serb population but also against the Roma, Montenegrins, Goranis and Turks.

Serbian houses and business have been confiscated, looted, or burned, and Serbs have been beaten, raped, and killed. In one of the more dramatic of incidents, KLA troops ransacked a monastery, terrorized the priest and a group of nuns with gunfire, and raped at least one of the nuns. NATO’s inability to control the situation and provide equal protection for all ethnic groups, and its apparent inability or unwillingness to fully disarm the KLA, has created a serious situation for NATO troops…2

The United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), confirms in this regard that:

“more than 164,000 Serbs have left Kosovo during the seven weeks since… the NATO-led Kosovo Force (KFOR) entered the province… A wave of arson and looting of Serb and Roma homes throughout Kosovo has ensued. Serbs and Roma remaining in Kosovo have been subject to repeated incidents of harassment and intimidation, including severe beatings. Most seriously, there has been a spate of murders and abductions of Serbs since mid-June, including the late July massacre of Serb farmers.”3

POLITICAL ASSASSINATIONS

The self-proclaimed Provisional Government of Kosovo (PGK) has also ordered assassinations directed against political opponents including “loyalist” ethnic Albanians and supporters of the Kosovo Democratic League (KDL). These acts are being carried out in a totally permissive environment. The leaders of the KLA rather than being arrested for war crimes, have been granted KFOR protection.

Madeleine Albright and Hashim Thaci

According to a report of the Foreign Policy Institute (published during the bombings):

“…the KLA have [no] qualms about murdering Rugova’s collaborators, whom it accused of the `crime’ of moderation… [T]he KLA declared Rugova a `traitor’ yet another step toward eliminating any competitors for political power within Kosovo.”4

Already in May [1999], Fehmi Agani, one of Rugova’s closest collaborators in the Kosovo Democratic League (KDL) was killed. The Serbs were blamed by NATO spokesperson Jamie Shea for having assassinated Agani. According to Skopje’s paper Makedonija Danas, Agani had been executed on the orders of the KLA’s self-appointed Prime Minister Hashim Thaci.5 “If Thaci actually considered Rugova a threat, he would not hesitate to have Rugova removed from the Kosovo political landscape.”6

In turn, the KLA has abducted and killed numerous professionals and intellectuals:

“Private and State properties are threatened, home and apartment owners are evicted en masse by force and threats, houses and entire villages are burned, cultural and religious monuments are destroyed… A particularly heavy blow… has been the violence against the hospital centre in Pristina, the maltreatment and expulsion of its professional management, doctors and medical staff.”7

Both NATO and the UN prefer to turn a blind eye. UN Interim Administrator Bernard Kouchner (a former French Minister of Health) and KFOR Commander Sir Mike Jackson have established a routine working relationship with Prime Minister Hashim Thaci and KLA Chief of Staff Brigadier General Agim Ceku.

ATROCITIES COMMITTED AGAINST THE ROMA

Ethnic cleansing has also been directed against the Roma (which represented prior to the conflict a population group of 150,000 people). (According to figures provided by the Roma Community in New York). A large part of the Roma population has already escaped to Montenegro and Serbia. In turn, there are reports that Roma refugees who had fled by boat to Southern Italy have been expelled by the Italian authorities.8 The KLA has also ordered the systematic looting and torching of Romani homes and settlements:

“All houses and settlements of Romani, like 2,500 homes in the residential area called `Mahala’ in the town of Kosovska Mitrovica, have been looted and burnt down”.9

With regard to KLA atrocities committed against the Roma, the same media distortions prevail. According to the BBC: “Gypsies are accused by [Kosovar] Albanians of collaborating in Serb brutalities, which is why they’ve also become victims of revenge attacks. And the truth is, some probably did.”10

INSTALLING A PARAMILITARY GOVERNMENT

As Western leaders trumpet their support for democracy, State terrorism in Kosovo has become an integral part of NATO’s postwar design. The KLA’s political role for the post-conflict period had been mapped out well in advance. Prior to Rambouillet Conference, the KLA had been promised a central role in the formation of a post-conflict government. The “hidden agenda” consisted in converting the KLA paramilitary into a legitimate and accomplished civilian administration. According to US State Department spokesman James Foley (February 1999):

“We want to develop a good relationship with them [the KLA] as they transform themselves into a politically-oriented organization, …[W]e believe that we have a lot of advice and a lot of help that we can provide to them if they become precisely the kind of political actor we would like to see them become.’”11

In other words, the US State Department had already slated the KLA “provisional government” (PGK) to run civilian State institutions. Under NATO’s “Indirect Rule”, the KLA has taken over municipal governments and public services including schools and hospitals. Rame Buja, the KLA “Minister for Local Administration” has appointed local prefects in 23 out of 25 municipalities.12

Under NATO’s regency, the KLA has replaced the duly elected (by ethnic Albanians) provisional Kosovar government of President Ibrahim Rugova. The self-proclaimed KLA administration has branded Rugova as a traitor declaring the (parallel) Kosovar parliamentary elections held in March 1998 to be invalid. This position has largely been upheld by the Organisation for Security and Cooperation in Europe (OSCE) entrusted by UNMIK with the postwar task of “democracy building” and “good governance”. In turn, OSCE officials have already established a working rapport with KLA appointees.13

The KLA provisional government (PGK) is made up of the KLA’s political wing together with the Democratic Union Movement (LBD), a coalition of five opposition parties opposed to Rugova’s Democratic League (LDK). In addition to the position of prime minister, the KLA controls the ministries of finance, public order and defence. The KLA also has a controlling voice on the UN sponsored Kosovo Transitional Council set up by Mr. Bernard Kouchner. The PGK has also established links with a number of Western governments.

Whereas the KLA has been spearheaded into running civilian institutions (under the guidance of the OSCE), members of the duly elected Kosovar (provisional) government of the Democratic League (DKL) have been blatantly excluded from acquiring a meaningful political voice.

ESTABLISHING A KLA POLICE FORCE TO `PROTECT CIVILIANS’

Under NATO occupation, the rule of law has visibly been turned up side down. Criminals and terrorists are to become law enforcement officers. KLA troops which have already taken over police stations will eventually form a 4,000 strong “civilian” police force (to be trained by foreign police officers under the authority of the United Nations) with a mandate to “protect civilians”. Canadian Prime Minister Jean Chretien has already pledged Canadian support to the formation of a civilian police force.14 The latter which has been entrusted to the OSCE will eventually operate under the jurisdiction of the KLA controlled “Ministry of Public Order”.

US MILITARY AID

Despite NATO’s commitment to disarming the KLA, the Kosovar paramilitary organisation is slated to be transformed into a modern military force. So-called “security assistance” has already been granted to the KLA by the US Congress under the “Kosovar Independence and Justice Act of 1999″. Start-up funds of 20 million dollars will largely be “used for training and support for their [KLA] established self-defence forces.”15 In the words of KLA Chief of Staff Agrim Ceku:

“The KLA wants to be transformed into something like the US National Guard, … we accept the assistance of KFOR and the international community to rebuild an army according to NATO standards. … These professionally trained soldiers of the next generation of the KLA would seek only to defend Kosova. At this decisive moment, we [the KLA] do not hide our ambitions; we want the participation of international military structures to assist in the pacific and humanitarian efforts we are attempting here.” 16

While the KLA maintains its links to the Balkans narcotics trade which served to finance many of its terrorist activities, the paramilitary organisation has now been granted an official seal of approval as well as “legitimate” sources of funding. The pattern is similar to that followed in Croatia and in the Bosnian Muslim-Croatian Federation where so-called “equip and train” programmes were put together by the Pentagon. In turn, Washington’s military aid package to the KLA has been entrusted to Military Professional Resources Inc. (MPRI) of Alexandria, Virginia, a private mercenary outfit run by high ranking former US military officers.

MPRI’s training concepts which had already been tested in Croatia and Bosnia are based on imparting “offensive tactics… as the best form of defence”.17 In the Kosovar context, this so- called “defensive doctrine” transforms the KLA paramilitary into a modern army without however eliminating its terrorist makeup.18 The objective is to ultimately transform an insurgent army into a modern military and police force which serves the Alliance’s future strategic objectives in the Balkans. MPRI has currently “ninety-one highly experienced, former military professionals working in Bosnia & Herzegovina”.19 The number of military officers working on contract with the KLA has not been disclosed.

PART II. FROM KRAJINA TO KOSOVO. A FORMER CROATIAN GENERAL APPOINTED KLA CHIEF OF STAFF

The massacres of civilians in Kosovo are not disconnected acts of revenge by civilians or by so-called “rogue elements” within the KLA as claimed by NATO and the United Nations. They are part of a consistent and coherent pattern. The intent (and result) of the KLA sponsored atrocities have been to trigger the “ethnic cleansing” of Serbs, Roma and other minorities in Kosovo.

KLA Commander Agim Ceku referring to the killings of 14 villagers at Gracko on July 24, claimed that: “We [the KLA] do not know who did it, but I sincerely believe these people have nothing to do with the KLA.”20 In turn, KFOR Lieutenant General Sir Mike Jackson has commended his KLA counterpart, Commander Agim Ceku for “efforts undertaken” to disarm the KLA. In fact, very few KLA weapons have been handed in. Moreover, the deadline for turning in KLA weaponry has been extended. “I do not regard this as noncompliance” said Commander Jackson in a press conference, “but rather as an indication of the seriousness with which General Ceku is taking this important issue.”21

Yet what Sir Mike Jackson failed to mention is that KLA Chief of Staff Commander Agim Ceku (although never indicted as a war criminal) was (according to Jane Defence Weekly June 10, 1999) “one of the key planners of the successful `Operation Storm’” led by the Croatian Armed Forces against Krajina Serbs in 1995.

General Jackson who had served in former Yugoslavia under the United Nations Protection Force (UNPROFOR) was fully cognizant of the activities of the Croatian High Command during that period including the responsibilities imparted to Brigadier General Agim Ceku. In February 1999, barely a month prior to the NATO bombings, Ceku left his position as Brigadier General with the Croatian Armed Forces to join the KLA as Commander in Chief.

FROM KRAJINA TO KOSOVO: THE SHAPE OF THINGS TO COME

According to the Croatian Helsinki Committee for Human Rights, Operation Storm resulted in the massacre of at least 410 civilians in the course of a three day operation (4 to 7 August 1995).22 An internal report of The Hague War Crimes Tribunal (leaked to the New York Times), confirmed that the Croatian Army had been responsible for carrying out:

“summary executions, indiscriminate shelling of civilian populations and “ethnic cleansing” in the Krajina region of Croatia….”23

In a section of the report entitled “The Indictment. Operation Storm, A Prima Facie Case.”, the ICTY report confirms that:

“During the course of the military offensive, the Croatian armed forces and special police committed numerous violations of international humanitarian law, including but not limited to, shelling of Knin and other cities… During, and in the 100 days following the military offensive, at least 150 Serb civilians were summarily executed, and many hundreds disappeared. …In a widespread and systematic manner, Croatian troops committed murder and other inhumane acts upon and against Croatian Serbs.” 24

US `GENERALS FOR HIRE’

The internal 150 page report concluded that it has “sufficient material to establish that the three [Croatian] generals who commanded the military operation” could be held accountable under international law.25 The individuals named had been directly involved in the military operation “in theatre”. Those involved in “the planning of Operation Storm” were not mentioned:

“The identity of the “American general” referred to by Fenrick [a Tribunal staff member] is not known. The tribunal would not allow Williamson or Fenrick to be interviewed. But Ms. Arbour, the tribunal’s chief prosecutor, suggested in a telephone interview last week that Fenrick’s comment had been `a joking observation’. Ms. Arbour had not been present during the meeting, and that is not how it was viewed by some who were there. Several people who were at the meeting assumed that Fenrick was referring to one of the retired U.S. generals who worked for Military Professional Resources Inc. … Questions remain about the full extent of U.S. involvement. In the course of the three yearinvestigation into the assault, the United States has failed to provide critical evidence requested by the tribunal, according to tribunal documents and officials, adding to suspicion among some there that Washington is uneasy about the investigation… The Pentagon, however, has argued through U.S. lawyers at the tribunal that the shelling was a legitimate military activity, according to tribunal documents and officials”.26

The Tribunal was attempting to hide what had already been revealed in several press reports published in the wake of Operation Storm. According to a US State Department spokesman, MPRI had been helping the Croatians “avoid excesses or atrocities in military operations.”27 Fifteen senior US military advisers headed by retired two star General Richard Griffitts had been dispatched to Croatia barely seven months before Operation Storm. 28 According to one report, MPRI executive director General Carl E. Vuono: “held a secret top-level meeting at Brioni Island, off the coast of Croatia, with Gen. Varimar Cervenko, the architect of the Krajina campaign. In the five days preceding the attack, at least ten meetings were held between General Vuono and officers involved in the campaign…”29

According to Ed Soyster, a senior MPRI executive and former head of the Defence Intelligence Agency (DIA):

“MPRI’s role in Croatia is limited to classroom instruction on military-civil relations and doesn’t involve training in tactics or weapons. Other U.S. military men say whatever MPRI did for the Croats and many suspect more than classroom instruction was involved it was worth every penny.” Carl Vuono and Butch [Crosbie] Saint are hired guns and in it for the money,” says Charles Boyd, a recently retired four star Air Force general who was the Pentagon’s No. 2 man in Europe until July [1995]. “They did a very good job for the Croats, and I have no doubt they’ll do a good job in Bosnia.”30

THE HAGUE TRIBUNAL’S COVER UP

The untimely leaking of the ICTY’s internal report on the Krajina massacres barely a few days before the onslaught of NATO’s air raids on Yugoslavia was the source of some embarrassment to the Tribunal’s Chief Prosecutor Louise Arbour. The Tribunal (ICTY) attempted to cover up the matter and trivialise the report’s findings (including the alleged role of the US military officers on contract with the Croatian Armed Forces). Several Tribunal officials including American Lawyer Clint Williamson sought to discredit the Canadian Peacekeeping officers’ testimony who witnessed the Krajina massacres in 1995.31

Williamson, who described the shelling of Knin as a “minor incident,” said that the Pentagon had told him that Knin was a legitimate military target… The [Tribunal's] review concluded by voting not to include the shelling of Knin in any indictment, a conclusion that stunned and angered many at the tribunal”…32

The findings of the Tribunal contained in the leaked ICTY documents were downplayed, their relevance was casually dismissed as “expressions of opinion, arguments and hypotheses from various staff members of the OTP during the investigative process”.33 According to the Tribunal’s spokesperson “the documents do not represent in any way the concluded decisions of the Prosecutor.” 34

The internal 150 page report has not been released. The staff member who had leaked the documents is (according to a Croatian TV report) no longer working for the Tribunal. During the press Conference, the Tribunal’s spokesman was asked: “about the consequences for the person who leaked the information”, Blewitt [the ICTY spokesman] replied that he did not want to go into that. He said that the OTP would strengthen the existing procedures to prevent this from happening again, however he added that you could not stop people from talking”.35

THE USE OF CHEMICAL WEAPONS IN CROATIA

The massacres conducted under Operation Storm “set the stage” for the “ethnic cleansing” of at least 180,000 Krajina Serbs (according to estimates of the Croatian Helsinki Committee and Amnesty International). According to other sources, the number of victims of ethnic cleansing in Krajina was much larger.

Moreover, there is evidence that chemical weapons had been used in the Yugoslav civil war (1991-95).36 Although there is no firm evidence of the use of chemical weapons against Croatian Serbs, an ongoing enquiry by the Canadian Minister of Defence (launched in July 1999) points to the possibility of toxic poisoning of Canadian Peacekeepers while on service in Croatia between 1993 and 1995:

“There was a smell of blood in the air during the past week as the media sensed they had a major scandal unfolding within the Department of National Defense over the medical files of those Canadians who served in Croatia in 1993. Allegations of destroyed documents, a coverup, and a defensive minister and senior officers…”37

The official release of the Department of National Defence (DND) refers to possibility of toxic “soil contamination” in Medak Pocket in 1993 (see below). Was it “soil contamination” or something far more serious? The criminal investigation by the Royal Canadian Mounted Police (RCMP) refers to the shredding of medical files of former Canadian peacekeepers by the DND. In other words did the DND have something to hide? The issue remains as to what types of shells and ammunitions were used by the Croatian Armed Forces ie. were chemical weapons used against Serb civilians?

OPERATION STORM: THE ACCOUNT OF THE ROYAL CANADIAN REGIMENT

Prior to the onslaught, Croatian radio had previously broadcasted a message by president Franjo Tudjman, calling upon “Croatian citizens of Serbian ethnicity… to remain in their homes and not to fear the Croatian authorities, which will respect their minority rights.”38 Canadian peacekeepers of the Second Battalion of the Royal 22nd Regiment witnessed the atrocities committed by Croatian troops in the Krajina offensive in September 1995:

“Any Serb who had failed to evacuate their property were systematically “cleansed” by roving death squads. Every abandoned animal was slaughtered and any Serb household was ransacked and torched”.39

Also confirmed by Canadian peacekeepers was the participation of German mercenaries in Operation Storm:

“Immediately behind the frontline Croatian combat troops and German mercenaries, a large number of hardline extremists had pushed into the Krajina. …Many of these atrocities were carried out within the Canadian Sector, but as the peacekeepers were soon informed by the Croat authorities, the UN no longer had any formal authority in the region.”40

How the Germans mercenaries were recruited was never officially revealed. An investigation by the United Nations Human Rights Commission (UNHRC) confirmed the that foreign mercenaries in Croatia had in some cases “been paid [and presumably recruited] outside Croatia and by third parties.”41

THE 1993 MEDAK POCKET MASSACRE

According to Jane Defence Weekly (10 June 1999), Brigadier General Agim Ceku (now in charge of the KLA) also “masterminded the successful HV [Croatian Army] offensive at Medak” in September 1993. In Medak, the combat operation was entitled “Scorched Earth” resulting in the total destruction of the Serbian villages of Divoselo, Pocitelj and Citluk, and the massacre of over 100 civilians.42

These massacres were also witnessed by Canadian peacekeepers under UN mandate:

“As the sun rose over the horizon, it revealed a Medak Valley engulfed in smoke and flames. As the frustrated soldiers of 2PPCLI waited for the order to move forward into the pocket, shots and screams still rang out as the ethnic cleansing continued. …About 20 members of the international press had tagged along, anxious to see the Medak battleground. Calvin [a Canadian officer] called an informal press conference at the head of the column and loudly accused the Croats of trying to hide war crimes against the Serb inhabitants. The Croats started withdrawing back to their old lines, taking with them whatever loot they hadn’t destroyed. All livestock had been killed and houses torched. French reconnaissance troops and the Canadian command element pushed up the valley and soon began to find bodies of Serb civilians, some already decomposing, others freshly slaughtered. …Finally, on the drizzly morning of Sept. 17, teams of UN civilian police arrived to probe the smouldering ruins for murder victims. Rotting corpses lying out in the open were catalogued, then turned over to the peacekeepers for burial.”43

The massacres were reported to the Canadian Minister of Defence and to the United Nations:

“Senior defence bureaucrats back in Ottawa had no way of predicting the outcome of the engagement in terms of political fallout. To them, there was no point in calling media attention to a situation that might easily backfire. …So Medak was relegated to the memory hole no publicity, no recriminations, no official record. Except for those soldiers involved, Canada’s most lively military action since the Korean War simply never happened.”44


(francais / english / italiano)

Gheddafi lo aveva detto

0) Ciliegina
1) 2011, Gheddafi da Tripoli: «Il Mediterraneo sarà invaso. La scelta è tra me o Al Qaeda» 
2) Daniel S. Schiffer: La France bafoue ses droits de l'homme. Pitoyable et déshonorant !


See also:

I'm Sorry Libya - Marcel Cartier & Agent of Change (with lyrics) (Marcel Cartier, 11 ago 2015)

Migrants morts : on paie le désastre de la politique de Sarkozy et BHL en Libye (D.S. Schiffer, 21-04-2015)


=== 0: CILIEGINA ===

Angelino Alfano (Ministro dell'Interno): << L'Italia sta pagando due volte il conto alla comunità internazionale, la prima l’ha pagato in Libia quando è finito il regime di Gheddafi e la seconda la sta pagando adesso sull’inerzia della comunità internazionale... La crisi libica rappresenta un vulcano acceso davanti all’Europa. >>


=== 1 ===

La versione originale francese di questa intervista, censurata e condita di insulse ridicolaggini tipiche del giornalismo di guerra dei paesi colonialisti, appare online con il titolo:

Kadhafi: "C'est moi ou Al-Qaïda" (par Laurent Valdiguié - Le Journal du Dimanche - dimanche 06 mars 2011)
En exclusivité mondiale, deux journalistes du JDD ont pu rencontrer Mouammar Kadhafi, samedi, sous la tente du dictateur, à Tripoli. Récit...

A voir aussi:

Laurent Valdiguié (JDD): "Mon interview avec Kadhafi (leJDDfr, 5 mar 2011)
Envoyé spécial du JDD à Tripoli, Laurent Valdiguié raconte au JDD.fr sa rencontre avec Mouammar Kadhafi. Propos recueillis par Laurent Guimier...

et aussi:

Interview exclusive de Mouammar Kadhafi sur FRANCE 24 (FRANCE 24, 7 mar 2011)
Dans une interview à FRANCE 24, Mouammar Kadhafi accuse de nouveau Al-Qaïda d'être à l'origine de la "crise" libyenne et dénonce l'ingérence de la communauté internationale après le soutien de Paris au Conseil national libyen formé par les insurgés. http://www.france24.com/fr/
L'interview a été réalisée à Tripoli, Libye, le soir du dimanche 6 mars. Elle a été diffusée lundi 7 mars au matin sur les antennes de FRANCE 24 en français, en anglais et en arabe...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=teY6ChozpzI

English version: Exclusive - Libya : Muammar Gaddafi speaks to FRANCE 24 (FRANCE 24 English, 7 mar 2011)
In an exclusive interview with FRANCE 24, Libyan leader Muammar Gaddafi repeated his claim that al Qaeda was responsible for plunging the country into chaos and denied media reports of mass killings...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=mCuZeKB19iQ


http://www.corriere.it/esteri/11_marzo_07/o-me-o-al-qaeda-l-europa-tornera-ai-tempi-del-barbarossa_db774cfc-4884-11e0-b2f1-0566c0fae1de.shtml#.VOBavrucSAR.facebook

«Il Mediterraneo sarà invaso»


Gheddafi da Tripoli: «La scelta è tra me o Al Qaeda. L'Europa tornerà ai tempi del Barbarossa»


TRIPOLI - Qual è la situazione oggi?

«Vede... Sono qui...».

Cosa succede?
«Tutti hanno sentito parlare di Al Qaeda nel Maghreb islamico. In Libia c'erano cellule dormienti. Quando è esplosa la confusione in Tunisia e in Egitto, si è voluto approfittare della situazione e Al Qaeda ha dato istruzioni alle cellule dormienti affinché tornassero a galla. I membri di queste cellule hanno attaccato caserme e commissariati per prendere le armi. E' successo a Bengasi e a Al-Baida, dove si è sparato. Vi sono stati morti da una parte e dall'altra. Hanno preso le armi, terrorizzando la gente di Bengasi che oggi non può uscir di casa e ha paura».

Da dove vengono queste cellule di Al Qaeda?
«I leader vengono dall'Iraq, dall'Afghanistan o anche dall'Algeria. E dal carcere di Guantanamo sono stati rilasciati alcuni prigionieri».

Come possono convincere i giovani di Bengasi a seguirli?
«I giovani non conoscevano Al Qaeda. Ma i membri delle cellule forniscono loro pastiglie allucinogene [si tratta del Fénétylline chlorhydrate o Captagon, cfr. http://www.theguardian.com/world/shortcuts/2014/jan/13/captagon-amphetamine-syria-war-middle-east http://www.voltairenet.org/article183119.html prodotto nella Bulgaria sotto il controllo della NATO, ndCNJ], vengono ogni giorno a parlare con loro fornendo anche denaro. Oggi i giovani hanno preso gusto a quelle pastiglie e pensano che i mitra siano una sorta di fuoco d'artificio».

Pensa che tutto questo sia pianificato?
«Sì, molto. Purtroppo, gli eventi sono stati presentati all'estero in modo molto diverso. E' stato detto che si sparava su manifestanti tranquilli... ma la gente di Al Qaeda non organizza manifestazioni! Non ci sono state manifestazioni in Libia! E nessuno ha sparato sui manifestanti! Ciò non ha niente a che vedere con quanto è successo in Tunisia o in Egitto! Qui, gli unici manifestanti sono quelli che sostengono la Jamahiriya».

Quando ha visto cadere, in poche settimane, i regimi di Tunisia e Egitto, non si è preoccupato?
«No, perché? La nostra situazione è molto diversa. Qui il potere è in mano al popolo. Io non ho potere, al contrario di Ben Ali o Mubarak. Sono solo un referente per il popolo. Oggi noi fronteggiamo Al Qaeda, siamo i soli a farlo, e nessuno vuole aiutarci».

Quali opzioni le si offrono?
«Le autorità militari mi dicono che è possibile accerchiare i gruppuscoli per lasciare che si dileguino e per portarli pian piano allo sfinimento. Questa è gente che sgozza le persone. Che ha tirato fuori i prigionieri dalle carceri, distribuendo loro le armi, perché andassero a saccheggiare le case, a violentare le donne, ad attaccare le famiglie. Gli abitanti di Bengasi hanno cominciato a telefonare per chiederci di bombardare quella gente».

Le inchieste delle organizzazioni umanitarie parlano di 6.000 morti. Contesta questa cifra?
(Risata). «Le porto un esempio. C'è un villaggio abitato da meno di mille persone, compreso il segretario del comitato popolare. E' stato detto che lui era in fuga verso l'estero. Invece, era qui, con me, sotto la mia tenda! E' stato detto che c'erano stati 3.000 morti in questo villaggio che ne conta 1.000, e resta un luogo tranquillo, dove la gente non guarda nemmeno la tv».

Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha preso una risoluzione contro la Libia...
«Non è competente per gli affari interni di un Paese. Se vuole immischiarsi, che invii una commissione d'inchiesta. Io sono favorevole».

Dal 1969 lei ha conosciuto 8 presidenti americani. L'ultimo, Barack Obama, dice che lei deve «andarsene» e lasciare il Paese...
«Che io lasci cosa? Dove vuole che vada?».

La Cirenaica è una regione dove lei ha sempre avuto dei detrattori. Non c'è richiesta di una più grande autonomia, di federalismo?
«E' una regione poco popolata, che rappresenta il 25% della popolazione. Nel piano attuale, le abbiamo accordato 22 miliardi di dollari di investimenti. E' una regione della Libia un po' viziata».

Cosa si aspetta oggi?
«Che Paesi come la Francia si mettano al più presto a capo della commissione d'inchiesta, che blocchino la risoluzione dell'Onu al Consiglio di sicurezza e che facciano interrompere gli interventi esterni nella regione di Bengasi».

Quali interventi?
«So che esistono contatti semi-ufficiali, dei britannici o di altri europei, con personaggi di Bengasi. Abbiamo bloccato un elicottero olandese atterrato in Libia senza autorizzazione».

I piloti sono vostri prigionieri?
«Sì, ed è normale».

A sentir lei, tutto va bene».
«Il regime qui in Libia va bene. E' stabile. Cerco di farmi capire: se si minaccia, se si cerca di destabilizzare, si arriverà alla confusione, a Bin Laden, a gruppuscoli armati. Migliaia di persone invaderanno l'Europa dalla Libia. Bin Laden verrà ad installarsi nel Nord Africa e lascerà il mullah Omar in Afghanistan e in Pakistan. Avrete Bin Laden alle porte».

Lei agita lo spettro della minaccia islamica...
«Ma è la realtà! In Tunisia e in Egitto c'è il vuoto politico. Gli estremisti islamici già possono passare di lì. Ci sarà una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo. La Sesta Flotta americana sarà attaccata, si compiranno atti di pirateria qui, a 50 chilometri dalle vostre frontiere. Si tornerà ai tempi di Barbarossa, dei pirati, degli Ottomani che imponevano riscatti sulle navi. Sarà una crisi mondiale, una catastrofe che dal Pakistan si estenderà fino al Nord Africa. Non lo consentirò!».

Lei sembra pensare che il tempo giochi in suo favore...
«Sì, perché il popolo è frastornato per quel che accade. Ma voglio farle capire che la situazione è grave per tutto l'Occidente e tutto il Mediterraneo. Come possono, i dirigenti europei, non capirlo? Il rischio che il terrorismo si estenda su scala planetaria è evidente».

Alle democrazie non piacciono i regimi che sparano sulla propria popolazione...
«Non ho mai sparato sulla mia gente! E voi non credete che da anni il regime algerino combatte l'estremismo islamico facendo uso della forza! Non credete che gli israeliani bombardano Gaza e fanno vittime fra i civili a causa dei gruppi armati che si trovano lì? Non sapete che in Afghanistan o in Iraq l'esercito americano provoca regolarmente vittime fra i civili? Qui in Libia non abbiamo sparato su nessuno. Sfido la comunità internazionale a dimostrare il contrario».

Gli americani minacciano di bloccare i suoi beni bancari...
«Quali beni? Sfido chiunque a dimostrare che io possegga un solo dinaro! Questo blocco dei beni è un atto di pirateria, fra l'altro imposto sul denaro dello Stato libico. Vogliono rubare denaro allo Stato libico e mentono dicendo che si tratta di denaro della Guida! Anche in questo caso, che ci sia un'inchiesta, affinché sia dimostrato a chi appartengono quei soldi. Quanto a me, sono tranquillo. Posseggo solo questa tenda».


Laurent Valdiguié 
Journal du Dimanche
(traduzione di Daniela Maggioni)


07 marzo 2011



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Aussi dans http://www.agoravox.fr/tribune-libre/article/la-tragedie-des-migrants-libyens-170862

http://leplus.nouvelobs.com/contribution/1408473-migrants-libyens-la-france-bafoue-ses-droits-de-l-homme-pitoyable-et-deshonorant.html

Migrants libyens : la France bafoue ses droits de l'homme. Pitoyable et déshonorant !

Par Daniel Salvatore Schiffer, Philosophe
Publié le 16-08-2015

137 000 personnes, tel est l'astronomique chiffre des migrants afflués, durant les seuls six premiers mois de cette année 2015 (un nombre presque deux fois supérieur à celui de 2014), sur les îles méditerranéennes, dont celle désormais tristement célèbre de Lampedusa, du sud de l'Italie.

 

Ainsi, ce samedi 15 août 2015, jour de fête chrétienne pour nos sociétés occidentales, sont-ce encore près de 350 migrants, presque tous en provenance de Libye, que l'héroïque marine italienne, dont on ne sait si c'est la générosité d'âme ou le sens du devoir qu'il faut vanter le plus, a sauvé de la noyade au large des côtes de la Mer Méditerranée.

 

Il faut saluer la solidarité italienne

 

Horreur, par-delà cet énième acte de bravoure, toutefois ! Car, dans l'hermétique et nauséabonde cale de ce modeste bateau de pêche auquel elle prêtait ainsi vaillamment secours, ce sont 40 cadavres d'hommes et de femmes entassés les uns sur les autres, tous morts par asphyxie, faute de pouvoir respirer à l'air libre, que cette même marine italienne, comble d'un spectacle particulièrement macabre, a découverts.

 

D'où, dépité, scandalisé en même temps qu'indigné, cette juste et opportune déclaration, pas plus tard que ce même 15 août, du Ministre italien de l'Intérieur, Angelino Alfano :

 

"quand les pays de l'Union Européenne, sinon l'ONU elle-même, se décideront-ils donc à se pencher enfin sérieusement, afin de la solutionner, sur la question libyenne ?"

 

A cet appel, aussi pressant qu'urgent, je ne peux, bien sûr, que m'associer. Et ce d'autant plus solennellement que, bien que de culture française, je suis moi-même, de naissance et de passeport, un citoyen de nationalité italienne.

 

Mais que fait la France ? Nous devons aider

 

Ainsi, nombreux sont aujourd'hui mes compatriotes à m'appeler, depuis Rome ou Milan, Venise ou Palerme, pour me demander avec raison, mais également aussi déçus qu'inquiets face à l'indifférence générale, ce que mon pays d'adoption, la France, fait concrètement, ne fût-ce que par solidarité européenne, pour alléger ce fardeau, par-delà même cette immense tragédie humaine.

 

Un fardeau que porte pratiquement à elle seule en ce moment, quoique depuis quelques années déjà et quasi quotidiennement désormais, l'Italie. La Grèce, autre important pays européen du bassin méditerranéen, est en train de se voir confronté, par ailleurs, à ce même genre de drame.

 

Cette question que n'ont de cesse de me poser mes concitoyens italiens, ils me l'adressent d'autant plus légitimement, à moi qui ai fait de Paris ma ville de prédilection, et du Siècle des Lumières ma période de référence sur le plan intellectuel, qu'ils considèrent la France, précisément, comme le principal responsable, par le rôle que l'ancien président de la République, Nicolas Sarkozy (aiguillonné en cela par l'inénarrable Bernard-Henri Lévy), joua dans la chute de Kadhafi, de l'actuel chaos libyen et,  partant, de ses désastreuses conséquences, y compris donc pour l'Italie, quant à la nécessaire mais difficile gestion de l'aide humanitaire à apporter à ces désespérés.

 

L'Europe paie le naufrage de Sarkozy

 

Ainsi, s'il est exact que le naufrage de ces miséreux se révèle être effectivement "le naufrage de l'Europe", comme bon nombre d'observateurs vont le proclamant à longueur de tribunes dans la presse internationale, il est encore bien plus vrai qu'il s'avère être tout d'abord, par cette manifeste imprévoyance, le naufrage de Sarkozy dont le bellicisme alors mené tambours battant, afin de déloger Kadhafi de son tyrannique pouvoir, ne se préoccupa jamais, parallèlement, de la reconstruction d'un pays aussi instable, politiquement, que la Libye.

 

D'où, en guise de conclusion à ce tragique et pourtant implacable constat : combien de temps l'Italie, et le reste de l'Europe, devront encore payer sur le plan économique et social, bien que l'Italie ne rechigne certes pas pour autant à accomplir jusqu'au bout son devoir moral (sorte d'"impératif catégorique kantien" qui s'ignore) en matière d'aide humanitaire, pour cette coupable irresponsabilité de la France ?

 

Et les droits de l'homme dans tout ça ? 

 

La moindre des choses, en l'occurrence, serait que le pays de Voltaire vienne enfin véritablement en aide, sinon à la Libye elle-même (dont elle se fout apparemment, après cette catastrophe annoncée mais qu'elle a pourtant causée, comme d'une guigne), du moins à la patrie de Dante !

 

Mais non, bien au contraire : la France, pour aggraver son cas, se cantonne là, ajoutant ainsi la lâcheté, sinon l'infamie, à l'irresponsabilité, de bloquer ces mêmes clandestins libyens (et autres) à sa frontière, comme elle le fit récemment du côté de Menton, les laissant ainsi macérer, pendant de longues et cruelles heures, sous le soleil cuisant d'Italie, à même les plages rocailleuses et peu hospitalières de Vintimille.

 

Et là, toute honte bue, c'est ce sacro-saint principe des "droits de l'homme" dont elle s'enorgueillit tant, depuis que les Lumières en firent l'illustre quoique illusoire dépositaire, que la France trahit ainsi, au mépris de toute humanité, bafouant ses propres valeurs morales, en premier lieu. Pitoyable et déshonorant !