Informazione
Era l'ex Jugoslavia Oggi è l'oro del calcio
Dai croati ai bosniaci, in Serie A comandano loro: sono 47! Più di argentini e brasiliani
Se fossero uniti tutti insieme - serbi e bosniaci, croati e macedoni, montenegrini e sloveni - da noi in Italia sarebbero il partito di maggioranza: la più grande colonia straniera del nostro campionato. Su 296 (finora) calciatori della nostra Serie A nati all’estero, il contingente della ex Jugoslavia è quello che conta più tesserati: 47 calciatori. Varrebbe, cioè, più di Brasile (40) e Argentina (33) che nell’immaginario pallonaro sono da sempre il luogo del calcio, la più grande riserva di talenti, una miniera inesauribile di dribbling e giocate sopraffine. La tendenza. Comanda, tra le sei nazionalità slave, quella croata, e non è un caso: dal 2013 Zagabria è entrata nell’Unione Europea spalancando definitivamente la frontiera, senza più bisogno di affannarsi per rispettare la norma sugli extracomunitari. Non che la questione dello status sia poi un ostacolo, anzi. La tendenza dell’estate è molto chiara: andiamo sempre più a prendere i calciatori al di là dell’Adriatico, in quella che una volta chiamavamo Jugoslavia. In Serie A sono entrati, finora, un argentino (Vadalà, arrivato alla Juve nell’ambito dell’affare Tevez) e cinque brasiliani: Cassini al Palermo, Fernando alla Samp, Gilberto a Firenze, Wallace (un ritorno, in realtà) a Carpi e Winck a Verona. I nuovi slavi, invece, sono in tutto otto: Dzeko e Krunic dalla Bosnia, Mandzukic dalla Croazia, Pandev (altro ritorno) e Trajkovski dalla Macedonia, Jovetic (ancora lui) dal Montenegro, Milinkovic e Lazovic dalla Serbia, mentre il contingente sloveno è rimasto com’era. Le ragioni. «La realtà è che chi compra da noi, e intendo noi ex jugoslavi, sa di andare sul sicuro, anche più che con brasiliani e argentini. Poi c’è anche una questione di costi: a parità di livello, un giocatore slavo costa la metà di un italiano, parlo di atleti medi presi spesso per completare le rose», spiega Marko Naletilic, procuratore croato e grande esperto del mercato slavo.
L’ingresso nell’Unione Europea ha alimentato il flusso dalla Slovenia ai grandi campionati nell’ultimo decennio e ha fatto impennare i trasferimenti dei croati. Ma a cascata ha fatto bene anche a serbi e bosniaci: non si vanno più a pestare i piedi sulle poche caselle da extracomunitari per venire in Italia. «E poi - aggiunge Naletilic - si tratta di ragazzi molto flessibili sul piano culturale, che sanno ambientarsi rapidamente data la facilità con cui imparano le lingue». Pjanic, per esempio, ne parla sei. Del resto, questa è la generazione nata o quasi sotto le bombe: in tanti sono cresciuti all’estero, dalla Svizzera alla Germania per esempio. La Croazia ha la nazionale più forte, la Bosnia (con la storica qualificazione ai mondiali 2014) è quella che è cresciuta più in fretta di tutte. La Dinamo Zagabria, passando ai club, la società che sa vendere meglio i propri gioielli: Modric al Tottenham per 22 milioni il riferimento. Il prossimo affare? Cedere Marco Pjaca, classe ‘95: dall’Italia si erano informate Milan, Juve e Roma.
Dopo mesi di stallo il parlamento kosovaro ha approvato una legge che istituisce un Tribunale speciale per giudicare i crimini dell'UÇK. I commenti in Kosovo e all'estero..
Après des mois de débats, le Parlement du Kosovo a voté, lundi, les amendements constitutionnels qui devaient permettre la création du Tribunal spécial chargé de juger les crimes imputés à l’UÇK...
... Andrea Capussela, in un commento, solleva tutti i paradossi della vicenda legata alla creazione di questo tribunale ad hoc...
http://www.amazon.fr/Kosovo-journal-dune-guerre-oubli%C3%A9e/dp/2268079163
impressionnante série de constats matériels, d échanges directs avec les survivants et de photos inédites, récoltés aux quatre coins de la Serbie, dont le Kosovo faisait encore partie intégrante. Daniel Salvatore Schiffer, qui fut aussi blessé par un de ces raids aériens de l Alliance atlantique, n a pas souhaité publier ce livre jusqu ici. Car ce journal de guerre contient en effet des révélations qui auraient été auparavant inaudibles, voire irrecevables, au vu du contexte de diabolisation dans lequel une grande partie de l intelligentsia européenne et des médias internationaux en leur ensemble avaient alors décidé, sans esprit critique ni effort d'analyse, de jeter unilatéralement, systématiquement à de rares exceptions près, les Serbes, sans nuances ni distinctions.
Ainsi est-ce la vérité historique, concernant cette dernière guerre, en Europe, du xxe siècle, que Daniel Salvatore Schiffer tente de rétablir, contre l opinion communément reçue, dans ce Testament du Kosovo.
Doppelte Standards, deutsche Machtpolitik und die Heiligung von Völkerrechtsbrüchen schaffen keinen dauerhaften Frieden in Europa. Wir müssen zurück zum Völkerrecht und zu einer friedlichen Außenpolitik Willy Brandts auf das kein Krieg mehr ausgehe von deutschem Boden. Wir brauchen keine deutschen Soldaten auf dem Balkan, die Partei ergreifen und Völkerrechtsbrüche absichern. Wir brauchen eine Rückkehr zum Völkerrecht, denn nur dies kann die Basis für ein friedliches Zusammenleben in Europa...
BERLIN - Poslanica nemačke levice (Die Linke) Sevim Dagdelen, članica Odbora za spoljnu politiku nemačkog saveznog parlamenta, digla je nezapamćenu prašinu kada je za govornicom Bundestaga rekla da kompletnu vladu u Prištini čine pripadnici bivše terorističke OVK kao i da je u senci nemačkih tenkova na Kosovu upravo ove 2015. godine obnovljena ista ta teroristička organizacija koja je terorom preplavila i susedne zemlje poput Makedonije.
Izlaganje nemačke poslanice turskog porekla u nekoliko navrata je izazvalo salve gromoglasnog aplauza posebno kada je govorila o tome šta je na Kosovu učinjeno u minulih 16 godina.
Ona je podsetila i da pripadnici OVK, učesnici terorističkog napada nedavno likvidirani u Kumanovu, na Kosovu sahranjeni kao heroji, na groblju mučenika i u prisustvu visokih zvaničnika. Ona je za govornicom Bundestaga izrekla i da je Kosovo mesto odakle, kada je reč o Evropi, odlazi najviše boraca za Islamsku državu Iraka i Sirije i to ispred nosa NATO i "vojske koju smo tamo poslali".
"Mislim da Nemačka ne može da nastavi s podrškom velikoalbanskom nacionalizmu koji promoviše OVK i terorističkim centrima poput Kosova koji donose nasilje ne samo u region već i na Bliski istok.
Ona je naglasila i da je proteklih godina Kosovo napustilo na stotine hiljada Srba i Roma te je stoga ravnoteža u tom smislu potpuno uništena. Poslanica je podsetila nemačke kolege i na prošlogodišnju senzacionalnu izjavu bivšeg kancelara Nemačke Gerharda Šredera da je bombardovanje Jugoslavije bilo nezakonito.
- Ja vas pitam koje ste posledice vi izvukli iz te izjave. Bundesver je na Kosovu kao rezultat kršenja međunarodnog prava, a politika Nemačke tamo nikada nije bila neutralna. Nisu nam potrebni nemački vojnici na Balkanu koji će podržavati jednu ili drugu stranu i stajati u zaštitu kršenja međunarodnog prava... Treba nam povratak na međunarodno pravo, jer samo to može biti osnov za miran suživot u Evropi – kazala je Dagdelenova i dodala da zemlje EU koje nisu priznale nezavisnost Kosova - Kipar, Rumunija, Španija, Grčka i Slovačka - treba da upozore nemačku vladu na kršenje međunarodnog prava na Kosovu.
- Ovo je čisto licemerje - rekla je praćena burnim aplauzom.
Dagdelenova je na kraju poručila je ključ trajnog mira u Evropi politika bez dvostrukih standarda. Ona se založila i da Nemačka treba da se vrati miroljubivoj spoljnoj politici Vilija Branta kako njeni vojnici više nikada ne bi napustili nemačko tlo.
"Nadam se da Srbija neće podleći pritisku i uvesti sankcije Rusiji"
Sevim Dagdelen je nedavno postavila pitanje nemačkoj vladi kakav je stav Nemačke o odnosu Srbije prema sankcijama Rusiji. Ona je tada za Dojče vele rekla da se nada da Srbija neće podleći pritisku i uvesti sankcije Rusiji. "Nadam se da Srbija neće podleći pritisku Berlina niti se odreći dobrih odnosa sa Rusijom, rekla je i dodala da vreme diktata u spoljnoj politici mora da pripada prošlosti. "Oni koji ponovo barataju pretnjama zapravo stvaraju opasnost od rata u Evropi. To ne smemo da dozvolimo", istakla je nemačka poslanica.
Ex ambasciatore italiano in Kosovo reintegrato dal Tar: è salernitano
Una vicenda complicata quella di Giffoni. Agli inizi dello scorso anno scoppiò lo scandalo dei visti falsi all’ambasciata di Pristina in Kosovo, con il coinvolgimento di alcuni funzionari dell’Ambasciata italiana che lì operavano, in primo luogo un impiegato a contratto locale. Era poi emerso che tra chi aveva ottenuto visti vi erano anche tre terroristi jihadisti, pericolosi islamisti di origine kosovara, entrati in Italia facendo poi perdere le tracce, tranne per uno fattosi saltare in aria in un attentato in Iraq. L’inchiesta nasce su impulso della polizia europea “Eulex” ed anche la Procura della Repubblica di Roma apre un fascicolo che vede coinvolti i contrattisti dipendenti dell’ambasciata. Finisce nel vortice anche l’ex ambasciatore italiano a Pristina, Michael Giffoni, che intanto dall’ottobre 2013 è rientrato a Roma per regolare avvicendamento dopo 5 anni e mezzo di servizio in Kosovo coronato da successi su tutti i fronti, nominato Capo della delicata Unità per il Mediterraneo e Nord Africa e impegnato principalmente sul difficile fronte libico. Sia Eulex, l’organo inquirente internazionale, sia la procura kosovara sia quella di Roma precisano però che Giffoni non è indagato né può essere considerato responsabile di ciò che è accaduto, palesandosi invece come una vera e proprio vittima di raggiro da parte di impiegati infedeli e collusi con la malavita locale.
Tuttavia, la Farnesina lo sospende dalle attività e poi addirittura lo destituisce a luglio scorso: una decisione che ha provocato amarezza e sofferenza nel diplomatico di origini salernitane e anche sconcerto e incredulità in tutti coloro che in venti e più anni di carriera lo hanno visto operare efficacemente e lealmente in contesti diplomatici di grande difficoltà, dalla Sarajevo sotto assedio degli anni ’90, a Bruxelles prima per la presidenza europea di turno del 2003 e poi nella veste di direttore per i Balcani dell’Alto Rappresentante Ue Solana, incarico che apre le porte a quello di primo ambasciatore d’Italia in Kosovo, al momento della sua indipendenza nel 2008. Contro tale decisione, lo stesso Giffoni ha presentato subito ricorso al Tar del Lazio. Ora la sentenza che ristabilisce la verità almeno dal punto di vista della giustizia amministrativa.
«Se non siamo già alla fine dell’incubo, siamo forse all’inizio della sua fine – riferisce Giffoni – ma sono felicemente sereno perché, forte della mia coscienza e della mia dignità, pur nell’amarezza e nella sofferenza non ho mai perso la fiducia nelle istituzioni cui ho lealmente dedicato una vita di lavoro e sacrifici, certo che prima o poi si sarebbero ristabilite verità e giustizia. Alla sentenza ho pianto, per la gioia; ho giocato e scherzato con il mio piccolo Adriano sentendomi finalmente leggero come una piuma e con mia moglie ci siamo detti: non abbiamo mollato per un anno e mezzo, continueremo a tenere duro, se necessario ancora. Ma intanto godiamoci questi giorni di luce e serenità».
16 giugno 2015
20. 07. 2015. – La polizia kosovara ha trovato due borse vicino al lago Badovac, nei pressi di Pristina. Le borse sono state rinvenute vicino al luogo dove una settimana fa sono state arrestate alcune persone accusate di terrorismo. In una delle borse si trovavano le uniformi nere, una lettera in lingua araba e due kalasnikov. Nell’altra borsa si trova probabilmente l’esplosivo, hanno riportato i media di Pristina.
20. 07. 2015. – Circa 20 famiglie kosovare sono andate in Iraq e Siria per combattere nelle file dell’Isis, scrive il quotidiano Zeri di Pristina. I giornalisti di quel quotidiano hanno parlato con alcune di quelle famiglie, includendo la famiglia Hasani di Klina. Dieci membri di quella famiglia sono andati in Siria all’inizio dell’anno corrente. Nella casa è rimasta soltanto la nonna con il nipote più giovane. La nonna ha detto ai giornalisti che tutti i membri della sua famiglia sono andati a combattere nel nome di Allah. Uno dei memnri di quella famglia Ekrem Hasani è stato uccisio nelle file dei jihadisti. Non si sa ancora che cosa è successo con sua moglie e i figli. L’imam della moschea a Podujevo Bakim Jasari ha detto che i vahabiti sono colpevoli della situazione attuale in Kosovo. A quella gente è stato lavato il cervello dalle persone che l’ha invitata e pesuasa a combattere a nome di Allah in Siria e Iraq, ha dichiarato Jasari.
3) Unione dei Serbi in Italia: Lettera ai giornalisti sull'Operazione Tempesta
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/croatie-feux-d-artifice-et-gros-canons-pour-feter-oluja.html
Kroatien feiert die Zerschlagung der Republik Serbische Krajina und die Vertreibung von über 220.000 Menschen vor 20 Jahren
http://www.jungewelt.de/2015/08-05/020.php
Domagoj Margetic, 3.8.2015.
A dok slavimo ratove, o kakvom to miru govorimo? Dok su nam zločini državni praznici, a zločinci nacionalni junaci, o kakvom mi pomirenju i s kim govorimo?
Pobjednici slave pobjede. A slobodni ljudi su jednostavno – slobodni. Slobodnima ne trebaju ni pobjede niti pobjednici, ne trebaju im masovne pompozne, bahate proslave tuđe nesreće. Ne razumiju pobjednici taj stav kontra njihove pobjede. Jer pobjednici su nekako, po definiciji, taoci svojih pobjeda. Ili su pobjednici – ili nisu ništa. Zato ta potreba veličanja njihovih pobjeda. Jer ako im uzmeš tu njihovu „pobjedu“, ne ostaje im više ništa. I nisu više ništa, ako nisu pobjednici. A slobodnima ne trebaju pobjede da bi bili nešto, ne treba im ta iskompleksiranost pobjedonosnim sindromom. Dok gledam te njihove perverzne pripreme za slavljenje još jednog od tolikih, nebrojenih, balkanskih pobjedničkih mitova, prisjetio sam se jedne moje kolumne iz 2010. godine: „Diferencijacija pameti – Odričem se Hrvatske!“.
A u ovih se pet godina, nažalost, nije promijenilo ništa zbog čega bih požalio što sam se tada odrekao zemlje, koju mi eto nameću kao domovinu. Kao što mi žele nametnuti svoju pobjedu. Kao što mi žele nametnuti, žele mi narediti zahvalnost što su nas „oslobodili“. Kakva ultimativna glupost! Tko uopće koga može ičega ili ikoga osloboditi?! Ne razumiju pobjednici da nas nisu „oslobodili“, nego su nas raspametili, razbaštinili ono malo ljudskosti koja nam je bila preostala, razbaštinili su nas one tri vrijednosti kroz koje smo odrastali i odgajani – sloboda, bratstvo i jedinstvo. Nije mi jasno kako ti naši suvremeni pobjednici misle da eto smiju paušalno to vrijednosti proglašavati jugonostalgičarskim floskulama! Jer kakve su tek floskule njihove priče o pobjedama, o oslobođenju, o nekakvoj nacionalnoj i apsurdnoj državnoj slobodi, kako nama tek neprihvatljivo zvuče te njihove floskule o domovinskom ratu, o svemu tome na čemu oni inzistiraju da im tko zna kako budemo zahvalni.
A ja, ovako slobodan, i oslobođen od svega, jednostavno ne razumijem na čemu i kome to bih trebao biti zahvalan. Nemaju što za jesti, nemaju čime školovati djecu, rade za crkavicu kojom ne mogu platiti niti osnovne mjesečne troškove života, rade a ne primaju plaću, oduzimaju im domove, blokirani su, nezaposleni, ali slave ratove! Još uvijek ih je moguće manipulirati i natjerati da mašu zastavama, da se kunu u grbove, da slave ratove za tamo nekakve „nacionalne interese“. Podilaziti tom njihovom kolektivnom ludilu za mene bi bila izdaja tog mojeg disidentstva kao osobnog životnog opredjeljenja, kao mojeg izbjeglištva savijesti pred njihovom pobjedničkom histerijom. Zamislite rulju koja slavi tamo nekakav „dan zahvalnosti“, a da pritom kao hipnotizirani nisu u stanju razmisliti na čemu to imaju biti zahvalni?
Na čemu biti zahvalan u zemlji u kojoj su ratni zločinci – heroji; u kojoj su ustaški kapelani – sveci; u kojoj su pljačkaši i ratni profiteri – ugledni tajkuni i biznismeni. Zar da demonstracijom ludog naroda pokazujemo koliko smo zahvalni ratnoprofiterskoj eliti što nas je opljačkala i otela nam sve, a mi još pjevamo, mašemo zastavama i plješćemo onima koji su nam to učinili? A ljuti ih kada im kažem – lud narod. No, ne vidim kako bih drugačije sam sebi mogao racionalizirati i argumentirati to njihovo ponašanje.
Oni su nas kao „oslobodili“, a žele mi uskratiti slobodu da kažem što mislim o tom njihovom „oslobođenju“, o toj njihovoj pobjedi. Ako vi imate pravo slaviti, imam vam pravo i moralnu obvezu reći – za mene ta vaša pobjeda, za mene Oluja, i proslava te vaše „pobjede“ i rata nije ništa drugo nego proslava ratnih zločina i ratnog profiterstva. I ništa više. Želite nam zabraniti da i nakon dvadeset godina stvari nazovemo pravim imenom. Zločine zločinima! Pljačku pljačkom! Želite nas kolektivno, prisilom na šutnju, u ovim dvadeset godina pretvoriti u svoje suučesnike u tom ratnom zločinu, pljački, kriminalu i ratnom profiterstvu.
Priznanje te vaše pobjede, za mene bi bio jedini konačni poraz.
Jer ako je to što vi ovih dana slavite – sloboda, onda ću glasno vikati – JEBEŠ SLOBODU! JEBEŠ SLOBODU! Ali vama ne dopire do mozga, niti nakon svih ovih godina, da sloboda i pobjeda nemaju baš puno toga zajedničkog. I upravo ta suštinska suprotstavljenost pobjede i slobode, ta sukobljenost slobode sa svakom pobjedom i svakim pobjednikom, otkriva o kakvom se ovdje ludilu radi. To je ta točka diferencijacije na kojoj se razilazimo – razlika između pobjednika i slobodnih. Vama toliko nejasna i neprimjetna. Vaša se pobjeda toliko razlikuje od moje slobode, upravo po tome što ćete vi zauvijek ostati zarobljenici svojih pobjeda. U jednom ste doduše, u pravu. Ta vaša pobjeda ima ime. Štoviše, više imena. Ta vaša pobjeda ima upravo onoliko imena – koliko je pobijenih i protjeranih u ime te vaše pobjede. Gadi mi se to vaše krvavo slavlje. Neka slave oni koji su na krvi, leševima i ruševinama profitirali. A vi koji im na paradama mašete zastavama i euforično kičete iz svojih gladnih usta, obični ste suučesnici tog njihovog gotovo neprekinutog krvavog, lešinarskog pohoda.
Ne pišem ovo da bih išta promijenio. Svjestan sam da je to nemoguće. Ali u vremenu dominantnih luđaka, možemo se barem distancirati i diferencirati od gomile koja im skandira.
Zato si uzimam lobodu javno reći – Oluja je zločin u kojem su jednu pobijeni, drugi protjerani, treći popljačkani. A vi mi sad pokušajte racionalno objasniti što se tu točno ima slaviti?
A dok slavimo ratove, o kakvom to miru govorimo? Dok su nam zločini državni praznici, a zločinci nacionalni junaci, o kakvom mi pomirenju i s kim govorimo? Protjerali ste organizirano oko 380 tisuća građana ove zemlje i to nazivate pobjedom? I nisu li te militantne proslave vaših pobjeda upravo jasna poruka onima koje ste protjerali da im slučajno ne padne na pamet vraćati se, da za njih ovdje više nema mjesta, da ovo nije njihova zemlja? Jer tko bi se normalan vratio u zemlju u kojoj je dan tog etničkog čišćenja državni praznik?
A tko ste vi, bijedo, da govorite i određujete što je čija zemlja, i što je kome domovina? Fuj!
Svojim ratnim pobjedama pokušavate nadomjestiti umrlu savijest, ako ste je ikada imali. Samo onima bez savijesti može biti tako lako pobjeđivati. I samo onima bez savijesti može biti tako lako slaviti takve pobjede i pobjednike.
Gadi mi se i ova država, i ovo društvo, i ova masa. Ne mogu vam dovoljno uopće uprizoriti koliko vas iskreno prezirem ovako kolektivno lude. Negdje u podsvijesti očito vam je jasno da ne postoji kolektivna sloboda, pa ste možda zato pobjegli u svoje kolektivno ludilo i proglasili ga slobodom, poput onih luđaka zatvorenih po ludnicama koji se proglase isusima, i tko zna kakvim povijesnim, stvarnim ili izmišljenim likovima.
Eto – to je ta vaša sloboda. Jedna velika masovna ludnica koju ste proglasili državom, i kolektivno ludilo koje ste proglasili nacionalnom slobodom. Zato se još jednom mogu samo odreći Hrvatske i uz sav taj prijezir i gađenje viknuti s ulice: Fuj! Vi ćete ionako nastaviti uživati u svojem ludilu, jer kao i svakom luđaku, vama samima sa sobom, tako ludima je baš savršeno dobro. Bez obzira što vas pljačkaju, bez obzira što nemate za život.
Samo, eto, ostaju žrtve te vaše pobjede. Žrtve kojima još uvijek nismo rekli obično, ljudsko, od srca – oprosti. Žrtve kojima ne dopuštamo niti da budu obilježena imena, jer se bojite ako negdje ispišemo imena tih žrtava ta će vaša pobjeda dobiti taj krvavi, lešinarski, prljavi identitet ratnog zločina. I ma koliko bježali od toga, vašu će pobjedu tada proganjati imena kojima ste ispisali taj svoj pobjednički pohod.
Zato za kraj samo mogu reći Oprosti, molim te – svakoj žrtvi tih pobjeda, ako su pobjeđivane i u moje ime. Oprosti. I moje je krivnje puno u tome. Jer kao mnogi, možda, nisam učinio dovoljno da pružim otpor toj njihovoj pobjedi. Oprosti. I samo se mogu bez riječi nakloniti onima koje ste pobijedili.
Nemate pojma koliko ste nas porazili tom svojom pobjedom.
Philosophe
"Lettera ai giornalisti" sull'Operazione Tempesta
Tra il 4 e l'8 agosto del 1995 si svolse l'operazione militare "Tempesta", coordinata dall'esercito croato. Nel corso di questa operazione più di 2.000 serbi furono uccisi ed altri 250.000 furono costretti ad abbandonare le proprie casedalla regione della Krajina. Fu uno dei grandi esodi del ventesimo secolo. L'"Unione dei Serbi in Italia", formata da dieci associazioni culturali serbe operanti nel Triveneto, di cui quattro in Friuli Venezia Giulia ("Nikola Tesla" e "Unità della diaspora serba" di Udine, "Pontes-Mostovi" e "Vuk Karadzic" di Trieste) ha pubblicato una lettera aperta ai giornalisti, chiedendo obiettività nell’informare i cittadini italiani di tutti gli avvenimenti dolorosi che sono accaduti durante il conflitto nei Balcani e rispettare tutte le vittime. (...)
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Noi cittadini serbi, nella regione Veneto maggiormente presenti (secondo le statistiche sull’immigrazione), emigrammo dalle nostre terre in ex Jugoslavia in cui divampava guerra, pulizie etniche e povertà, negli anni novanta. Eravamo migliaia, ma per avere un lavoro e una casa dovevamo nasconderci dietro il nome del luogo di provenienza, senza rivelare la nazionalità, tanto era forte la propaganda antiserba, scatenata dai media occidentali, in funzione alle politiche adottate dai loro paesi.
La maggior parte di noi veniva dalla Bosnia e Croazia, cacciati dalle nostre case che dovevamo abbandonare in fretta davanti ai feroci ustascia o mujahidin. La Serbia era diventata stretta per tutti i profughi che arrivarono dalla Slavonia, Krajina, Bosnia e Kosovo. Stremata dalle sanzioni e bombardamenti, quasi metà della sua popolazione emigrò e tuttora continua ad emigrare. Ma di questo non scrisse la stampa occidentale. Le atrocità venivano attribuite solo ai soldati serbi. Le informazioni giunte agli italiani dai giornali e tv, volevano convincere che solo i politici serbi erano colpevoli del conflitto, solo i soldati serbi furono spietati e solo croati e musulmani erano vittime delle pulizie etniche. Ciononostante la propaganda, basata sulle bugie e semiverità, non è riuscita a convincere gli italiani che i serbi sono un popolo barbaro e crudele. Avevano molte occasioni di conoscere di persona i serbi come amici sinceri, ottimi lavoratori e gente affidabile…
Con il tempo ci siamo organizzati in diverse associazioni, per far conoscere agli amici italiani la nostra cultura basata sulle tradizioni della fede cristiana ortodossa. Recentemente si è costituita anche l’Unione dei serbi. Tutto questo nasce dal bisogno di trasmettere la nostra cultura e le nostre tradizioni alle generazioni che nascono e crescono lontano dalla Serbia. Abbiamo una grande ricchezza da trasmettere ai nostri figli, ormai cittadini italiani e non abbiamo niente da nascondere sulla guerra civile in cui era coinvolto il nostro popolo. Solo la verità ci permette di perdonare e farsi perdonare.
La verità sulla guerra in Jugoslavia è che i massacri, pulizie etniche, atrocità e vendette c’erano da parte di tutti tre gli eserciti coinvolti e tutte le vittime sono ugualmente degne di pietà e commemorazione. Il popolo sebo non è genocida, siamo noi stessi stati vittime di esecuzioni di massa nella Croazia governata dagli ustascia ma anche nell’ultimo conflitto. Fra poco sarà triste anniversario della più grande pulizia etnica, dell’esodo biblico di 20 anni fa dalla Krajina in cui 250 000 serbi furono cacciati dalla regione in Croazia in cui vivevano da secoli, brutalmente ammazzati quelli che non volevano abbandonare i propri focolari. Invece di risoluzione e commemorazione, in Croazia si festeggia. Se solo noi ricordiamo quel triste esodo, mentre i nostri vicini festeggiano, se il nostro primo ministro va a Srebrenica e viene aspettato con i sassi invece che con la mano tesa, non ci sarà ne perdono ne conciliazione, ne pace nei Balcani.
Questa lettera si rivolge ai giornalisti di buona volontà e che hanno voglia di capire davvero cosa è stata quella guerra. Aspettiamo solidarietà, onestà e coraggio di essere obbiettivi nell’ informare i cittadini italiani di tutti gli avvenimenti dolorosi che ricordiamo ogni anno, rispettare tutte le vittime del recente conflitto nei Balcani e valorizzare l’impegno del nostro governo nel risolvere i gravi problemi che oggi minacciano la stabilità e pace nei Balcani.
Unione dei Serbi in Italia
Via Cartiera 23,
36028 Rossano Veneto ( Vicenza )
unionedeiserbi @ savezsrba.it
Brigade Prizrak, Communist militiaman raising the Soviet flag on freed Debaltsevo
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=vdZ4R2mAX4U
Communists of Workers’ Front organizzation, Association of Novorossia officers, brought two special gifts to Brigade « Don » that is fighting at the front…
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=ROsVn082giw
Interview with Victor Shapinov, an active participant in the "Russian Spring" in Kharkov and Odessa, and coordinator of the Borotba (Struggle) movement...
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/08/victor-shapinov-interview-donbass.html
Ghost Brigade: Urgent Appeal for Humanitarian Assistance (By Darya Mitina, head of International Relations – United Communist Party of Russia, 22/7/2015)
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/06/ghost-brigade-urgent-appeal-for.html
Lugansk communist: ‘We fight first and foremost for peace’ (By Greg Butterfield – WW, June 17, 2015)
Workers World interviewed Ekaterina Popova, a leader of the Communist Party, Lugansk Regional Committee in the Lugansk People’s Republic. Popova is a founding member of the Forum of Communist, Socialist, Workers’, Environmental and Anti-Fascist Forces...
http://www.workers.org/articles/2015/06/17/lugansk-communist-we-fight-first-and-foremost-for-peace/
By Greg Butterfield
Workers World interviewed Maxim Chalenko, Secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee in the Lugansk People’s Republic (LC). Chalenko is a founder of the Forum of Communist, Socialist, Workers’, Environmental and Anti-Fascist Forces. He helped to organize the Donbass International Forum titled “Anti-Fascism, Internationalism, Solidarity” held on May 8 in Alchevsk. This is part 1 of the interview.
Maxim Chalenko: I was born on June 30, 1980, in Severodonetsk, in the Lugansk region [then part of Soviet Ukraine]. I spent most of my youth in Lugansk city, where my family moved in 1990. I graduated from Lugansk School Number 57, then East Ukrainian State University with a degree in history and archiving.
I’ve been active in the communist movement for 17 years. In 1997, I joined the Leninist Communist Youth Union of Ukraine (the youth organization of the Communist Party of Ukraine). I organized protests for the restoration of students’ rights in 2000-2003, and became a member of the Communist Party of Ukraine in 2000.
In Kiev, I was active in the movement "Ukraine without Kuchma" in 2002, when police violently broke up our tent camp. Later I organized a series of protests of workers and miners in the Lugansk region.
I was elected secretary of the Zhovtnevy District Committee of the Communist Party in Lugansk, then secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee, Secretary of the Lugansk Municipal Committee of the Communist Party, and as a deputy to the Lugansk Regional Council.
WW: As a young person, what it was like to live through the collapse of the Soviet Union?
MC: As the son of a Soviet soldier, the collapse of the USSR hit me very hard. The destruction of this great country, whose cornerstone was to protect the workers’ interests, made many in the military burn with a desire to defend the Soviet Union. But unfortunately, after the collapse, those actively serving in the military were forbidden to speak of the USSR.
Many communists began to focus their efforts and energy on trying to build a just, socialist society within the framework of the national states formed after the collapse of the Soviet Union, including us in Ukraine. Perhaps this was one of the main reasons for our failures.
In my opinion, the disintegration of the Soviet Union into national states, which each went into its own socio-political process, only sped up the transition from the socialist to the capitalist path. A powerful, ideologically cohesive communist movement was then split and disorganized.
WW: Tell us about the activity of the communists in Lugansk following the U.S.-backed coup in Kiev in February 2014.
MC: After the anti-people coup in Kiev -- and even during it, at the end of 2013 -- we organized the first militia squadron to protect the civilian population of Lugansk from fascism. Our goals were to protect the population from aggression, provocations and attacks by neo-fascists, and to protect monuments related to our history and culture. We worked to block the arrival of neo-Nazi militants from the West.
We also took on the important task of opposing attempts by the Lugansk authorities to negotiate the conditions for their surrender to the Kiev junta. After all, capitalists in power are indifferent to the problems of the people; all that is important is to preserve and increase their capital. We understood this, and moreover, saw it happening in practice.
Powerful politicians, dominated by members of the Party of Regions, were negotiating the surrender of Lugansk to the neo-fascists. With the tacit consent of the Kiev junta, they appointed new regional heads of the Interior Ministry, Prosecutor's Office and Security Service of Ukraine, whose purpose was to suppress the anti-fascist resistance in Lugansk.
We proposed to organize a broad anti-fascist front to stop the spread of fascism to the East and also raised the issue of geopolitical choice. At that time the issue of the restoration of the USSR came to the fore.
In the face of resurgent fascist ideology, including aggressive nationalism, we must intensify international work to demand the restoration of the USSR. We believe that now more than ever we have the basis to do it.
WW: What organizing and activities have you conducted since the start of the war?
MC: In April and May 2014, Lugansk residents were very worried about Slavyansk [in neighboring Donetsk] and its inhabitants, who were subjected to Ukrainian military aggression. We organized the first collection and shipment of humanitarian aid from Lugansk to the defenders of Slavyansk. No one realized that in a month we ourselves would need help.
Later, when the war came to our door, we actively engaged in the collection and transfer of humanitarian aid to Lugansk from Russia. We were really helped by the Communist Party committees of Rostov and Voronezh. These two areas border Lugansk, and even before the war we had established a wonderful comradeship with them. We appealed for help and they immediately responded, organizing the collection of food, medicine and clothing through their party structures. Almost every week throughout the summer, we brought this assistance into the LC.
Then, in early September, when the ceasefire agreement was signed in Minsk, we held a re-registration of the party ranks and started to restore our party structures. Some people had left, some had disappeared and did not respond to phone calls. Several communists were killed. The secretaries of the party committees were scattered, mainly engaged in solving problems in their cities. At that time communication and transportation were restored, and within a few months, we restored ties with all local organizations.
WW: Why did you decide to organize an international solidarity forum this spring?
MC: There were two reasons: First, it was the landmark 70 anniversary of the victory of socialism over fascism [the Soviet defeat of Nazi Germany in World War II]; second, and most important, today the left-wing in Donbass is in great need of international support and assistance from allied organizations.
In spite of high ideals, including our own, the movement of the People’s Republics along the socialist path has not been simple and unambiguous. Yes, at the initial stage, all the revolutionary movements of the streets and squares were associated with anti-fascism and the desire of the majority of the population to take the socialist path of development. But no one really voiced the slogans “factories to the workers” and “land to the peasants,” and the socialistic character of the republics remained only in form but not in essence.
The forum was significant in that it gave youth of Europe and the world an understanding of the conditions in which we are fighting today.
On May 19 in Makeyevka, a solemn rally was held devoted to establishing the Pioneer organization of the Donetsk People's Republic (DNR). The initiator of the event was Deputy of the DNR National Soviet Boris Litvinov, reported the state media correspondent...
http://redstaroverdonbass.blogspot.it/2015/05/pioneer-organization-established-in.html?view=magazine
В Макеевке создана пионерская организация (Министерство информации ДНР, 19 mag 2015)
19 мая в Макеевке состоялось торжественное собрание, посвященное основанию пионерской организации Донецкой Народной Республики. Инициатором мероприятия выступил депутат Народного Совета ДНР Борис Литвинов, сообщил корреспондент Государственного медиа-холдинга...
http://dnr-online.ru/news/v-makeevke-sozdana-pionerskaya-organizaciya/
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?t=16&v=aHrpFYkrIOA
Komsomol revived in Donetsk People’s Republic (June 8, 2015)
In Donetsk, the constituent congress of the Lenin Communist Youth League (LKSM) of the Donetsk People's Republic (DNR) was held June 7...
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/06/komsomol-revived-in-donetsk-peoples.html
VIDEO: Учредительный съезд Комсомола ДНР (Министерство информации ДНР, 8 giu 2015)
https://www.youtube.com/watch?v=HNi3wgtlR3k
Boris Litvinov was interviewed by Halyna Mokrushyna for New Cold War.org on November 30, 2014 about the political situation in Donetsk, the region’s relations with Ukraine and Russia, and the future of the Donetsk People’s Republic (DPR). Boris Litvinov is the former head of the Supreme Council of the DPR and is a deputy of the People’s Council of the DPR. He is the leader of the Communist Party of the Donetsk People’s Republic, founded in October 2014.
Is the project of the Donetsk People’s Republic supported by the population?
When we organized our referendum in May [referendum for the independence of the Donetsk People’s Republic], we thought that common sense would prevail. We have 3.2 million voters in Ukraine Donetsk and 2,700,000 thousand voted, of which 2,511,000 voted for the creation of Donetsk republic. We believed in people’s right to self-determination.
We are united in our aspirations. That’s why we wanted a negotiated, ‘civilized’ separation with Ukraine. And indeed, at the beginning, it was going this way.
We knew that negotiations with Kyiv would be long and difficult, but we wanted a separation. We would cooperate with Kyiv, since we have a common economy and a common transportation system. We would share it and pay for it. But Kyiv decided otherwise. They started bombing us already during the day of referendum. And it got worse. Now we have a full-blown civil war.
Do you see your future with Ukraine?
I support united Ukraine with both hands. I was born here, I live here, and I am an ethnic Russian. We are different mentally and spiritually [from Western Ukraine – HM]. Several hundred years under Polish-Lithuanian rule created a certain Polish-Lithuanian spirit.
We in Eastern Ukraine are very young. Our Ukraine has only 150 years – before that was Dikoe pole (the wild plains). Our land is international. With the beginning of industrialization, people of all nationalities came here. It did not matter what nationality you were. What mattered was your readiness to build, to create. It came out particularly strong during the Soviet period. Added to this was the ideology of internationalism. That is why we are internationalists.
We do not want Kyiv’s idea of building a mono-ethnic state, and particularly the methods which they have been using since Yushchenko came to power. [1] We are internationalists. We do not want a state for one nation. This is a contradiction, and I do not see how we can resolve it.
Another contradiction that we have with Kyiv is their drive to join the European Union, which is not in a hurry to accept Ukraine. It is a rupture of links with Russia. We do not like this, and we do not think that Kyiv will turn towards the Eurasian Union [2] any time soon.
A third contradiction is the image of Russia as the enemy, which has been formed and imposed during 23 years of Ukrainian independence. It has been formed through education, ideology, arts. If a state creates an enemy, it has to protect itself against this enemy, or to fight it. Because Ukraine is too weak, it appeals to NATO and other Western allies. We know quite well that NATO cannot be allowed here, because this would be a direct threat to us and to our brothers and sisters in Russia.
All these contradictions are very hard to resolve in the near future. Only time will resolve them and show who was right and who was wrong. With time we will reconcile. But still we continue killing each other…
We do not have the motivation to kill, we are defending ourselves. Those who come to our land do not have the motivation to kill, either. Who comes here? Workers and peasants. They come to kill their own people because they have a different opinion. We did not come to their land, they came to ours. Most of them have been forced. Of course, there are ideologically driven individuals among them. But most of them are soldiers, officers who fulfill their duty. They are forced to fight this civil war.
How did the ‘Anti-Maidan movement begin in Donetsk?
I was on Maidan Square three times – in November, when it all started, in December, and in early February. I saw how it all unfolded. In the second half of February, the wave reached us in Donetsk and Donetsk region. We stood up because we did not want Maidan ideology to invade our land.
The first confrontation happened on February 21, when Pravyi Sektor [3] planned to come to Donetsk to take by assault the regional administration building and to destroy monuments to Lenin and other symbols of Soviet epoch. We stood in front of the Lenin monument – communists, members of the Party of Regions, monarchists, other rightist and leftist movements – protecting it as a symbol of our land. We stood up and remained there till the end of May. Tents have been taken down, as nothing threatens our symbols anymore.