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Era l'ex Jugoslavia Oggi è l'oro del calcio

Dai croati ai bosniaci, in Serie A comandano loro: sono 47! Più di argentini e brasiliani

di Ettore Intorcia – mercoledì 12 agosto 2015

ROMA - La Storia ha insegnato che non potevano e non potranno mai più essere uniti sotto la stessa bandiera. Né sullo stesso campo di calcio, luogo per eccellenza dove esaltare i nazionalismi. Ma se il calcio è un gioco, dopo tutto, si può usare anche un po’ di fantasia, prendere la base della Croazia, la più forte delle sei nazionali nate dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia, e metterci dentro i gol di Dzeko e la fantasia di Pjanic, ragazzi della Bosnia, la spinta di Basta e colpi di Ljajic, figli della Serbia, l’esperienza di Pandev, dalla Macedonia, i guizzi di Jovetic, il montenegrino, e le mani di Handanovic, gigante sloveno: non ne verrebbe fuori uno squadrone?

Se fossero uniti tutti insieme - serbi e bosniaci, croati e macedoni, montenegrini e sloveni - da noi in Italia sarebbero il partito di maggioranza: la più grande colonia straniera del nostro campionato. Su 296 (finora) calciatori della nostra Serie A nati all’estero, il contingente della ex Jugoslavia è quello che conta più tesserati: 47 calciatori. Varrebbe, cioè, più di Brasile (40) e Argentina (33) che nell’immaginario pallonaro sono da sempre il luogo del calcio, la più grande riserva di talenti, una miniera inesauribile di dribbling e giocate sopraffine. La tendenza. Comanda, tra le sei nazionalità slave, quella croata, e non è un caso: dal 2013 Zagabria è entrata nell’Unione Europea spalancando definitivamente la frontiera, senza più bisogno di affannarsi per rispettare la norma sugli extracomunitari. Non che la questione dello status sia poi un ostacolo, anzi. La tendenza dell’estate è molto chiara: andiamo sempre più a prendere i calciatori al di là dell’Adriatico, in quella che una volta chiamavamo Jugoslavia. In Serie A sono entrati, finora, un argentino (Vadalà, arrivato alla Juve nell’ambito dell’affare Tevez) e cinque brasiliani: Cassini al Palermo, Fernando alla Samp, Gilberto a Firenze, Wallace (un ritorno, in realtà) a Carpi e Winck a Verona. I nuovi slavi, invece, sono in tutto otto: Dzeko e Krunic dalla Bosnia, Mandzukic dalla Croazia, Pandev (altro ritorno) e Trajkovski dalla Macedonia, Jovetic (ancora lui) dal Montenegro, Milinkovic e Lazovic dalla Serbia, mentre il contingente sloveno è rimasto com’era. Le ragioni. «La realtà è che chi compra da noi, e intendo noi ex jugoslavi, sa di andare sul sicuro, anche più che con brasiliani e argentini. Poi c’è anche una questione di costi: a parità di livello, un giocatore slavo costa la metà di un italiano, parlo di atleti medi presi spesso per completare le rose», spiega Marko Naletilic, procuratore croato e grande esperto del mercato slavo.

L’ingresso nell’Unione Europea ha alimentato il flusso dalla Slovenia ai grandi campionati nell’ultimo decennio e ha fatto impennare i trasferimenti dei croati. Ma a cascata ha fatto bene anche a serbi e bosniaci: non si vanno più a pestare i piedi sulle poche caselle da extracomunitari per venire in Italia. «E poi - aggiunge Naletilic - si tratta di ragazzi molto flessibili sul piano culturale, che sanno ambientarsi rapidamente data la facilità con cui imparano le lingue». Pjanic, per esempio, ne parla sei. Del resto, questa è la generazione nata o quasi sotto le bombe: in tanti sono cresciuti all’estero, dalla Svizzera alla Germania per esempio. La Croazia ha la nazionale più forte, la Bosnia (con la storica qualificazione ai mondiali 2014) è quella che è cresciuta più in fretta di tutte. La Dinamo Zagabria, passando ai club, la società che sa vendere meglio i propri gioielli: Modric al Tottenham per 22 milioni il riferimento. Il prossimo affare? Cedere Marco Pjaca, classe ‘95: dall’Italia si erano informate Milan, Juve e Roma.

@ettoreintorcia



(srpskohrvatski / deutsch / francais / english / italiano)


Kosmet, istituito un nuovo Tribunale-truffa ad hoc

0) Nouveau livre: Daniel S. Schiffer, Le Testament du Kosovo - Journal de guerre
1) Sevim Dagdelen (Die Linke): Kfor: Zurück zum Völkerrecht / Poslanica u Bundestagu optužila Albance za terorizam i stala na stranu Srbije
2) Auf die Flucht getrieben / Forced to Flee (IV) (Germany and refugees from Kosovo)
3) Il Kosovo come laboratorio della jihad filo-occidentale:
– Michael Giffoni, ex "ambasciatore italiano in Kosovo", sospeso e poi reintegrato per uno scandalo visti ad alcuni jihadisti
– Brevi: In Kosovo arrestato membro del gruppo terroristico protagonista degli scontri a Kumanovo (FYROM) / Uniformi, esplosivo e volontari dal Kosovo per l'ISIS


Vedi anche:

IL KOSOVO APPROVA IL NUOVO TRIBUNALE PER I CRIMINI DI GUERRA (Violeta Hyseni Kelmendi | Pristina, 10 agosto 2015)
Dopo mesi di stallo il parlamento kosovaro ha approvato una legge che istituisce un Tribunale speciale per giudicare i crimini dell'UÇK. I commenti in Kosovo e all'estero..

KOSOVO : LE PARLEMENT APPROUVE LA CRÉATION DU TRIBUNAL SPÉCIAL (CdB, 4 août 2015)
Après des mois de débats, le Parlement du Kosovo a voté, lundi, les amendements constitutionnels qui devaient permettre la création du Tribunal spécial chargé de juger les crimes imputés à l’UÇK...

KOSOVO, TUTTI I PARADOSSI DELLA CORTE SPECIALE (Andrea Lorenzo Capussela, 1 luglio 2015)
... Andrea Capussela, in un commento,  solleva tutti i paradossi della vicenda legata alla creazione di questo tribunale ad hoc...
ENG: The six paradoxes of Kosovo’s special court (Andrea Lorenzo Capussela, 1 July 2015)
http://www.balcanicaucaso.org/eng/Regions-and-countries/Kosovo/The-six-paradoxes-of-Kosovo-s-special-court-162735


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à paraître le 10 septembre 2015:

Daniel S. Schiffer

Le Testament du Kosovo - Journal de guerre

Paris: Editions du Rocher, 2015

512 pages, 21 euro
ISBN-13: 978-2268079165

http://www.amazon.fr/Kosovo-journal-dune-guerre-oubli%C3%A9e/dp/2268079163

1999. La Serbie est bombardée par l aviation de l OTAN, sans mandat de l ONU. Seul intellectuel étranger à être présent sur le terrain, dans ce que l on appelait alors l ex-Yougoslavie, durant toute la durée de cette intervention militaire (du 24 mars au 10 juin 1999), Daniel Salvatore Schiffer offre, par ce document exceptionnel, un témoignage unique. L auteur, qui parcourt sans relâche, au péril de sa vie, le pays en guerre, ne se limite cependant pas à y analyser, en philosophe et en humaniste, la cruelle réalité du conflit. Il l étaye aussi, preuves à l appui, par une
impressionnante série de constats matériels, d échanges directs avec les survivants et de photos inédites, récoltés aux quatre coins de la Serbie, dont le Kosovo faisait encore partie intégrante. Daniel Salvatore Schiffer, qui fut aussi blessé par un de ces raids aériens de l Alliance atlantique, n a pas souhaité publier ce livre jusqu ici. Car ce journal de guerre contient en effet des révélations qui auraient été auparavant inaudibles, voire irrecevables, au vu du contexte de diabolisation dans lequel une grande partie de l intelligentsia européenne et des médias internationaux en leur ensemble avaient alors décidé, sans esprit critique ni effort d'analyse, de jeter unilatéralement, systématiquement à de rares exceptions près, les Serbes, sans nuances ni distinctions.
Ainsi est-ce la vérité historique, concernant cette dernière guerre, en Europe, du xxe siècle, que Daniel Salvatore Schiffer tente de rétablir, contre l opinion communément reçue, dans ce Testament du Kosovo.


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Sevim Dagdelen, DIE LINKE: Kfor: Zurück zum Völkerrecht (Fraktion DIE LINKE. im Bundestag, 19 giu 2015)
Doppelte Standards, deutsche Machtpolitik und die Heiligung von Völkerrechtsbrüchen schaffen keinen dauerhaften Frieden in Europa. Wir müssen zurück zum Völkerrecht und zu einer friedlichen Außenpolitik Willy Brandts auf das kein Krieg mehr ausgehe von deutschem Boden. Wir brauchen keine deutschen Soldaten auf dem Balkan, die Partei ergreifen und Völkerrechtsbrüche absichern. Wir brauchen eine Rückkehr zum Völkerrecht, denn nur dies kann die Basis für ein friedliches Zusammenleben in Europa...



ŠOK U BUNDESTAGU: Poslanica optužila Albance za terorizam i stala na stranu Srbije

среда, 01 јул 2015

Za govornicom je rekla da s Kosova odlazi najviše boraca za Islamsku državu Iraka i Sirije i to ispred nosa NATO i "vojske koju smo tamo poslali". Mislim da Nemačka ne može da nastavi s podrškom velikoalbanskom nacionalizmu i terorističkim centrima poput Kosova, bila je jasna poslanica turskog porekla

BERLIN - Poslanica nemačke levice (Die Linke) Sevim Dagdelen, članica Odbora za spoljnu politiku nemačkog saveznog parlamenta, digla je nezapamćenu prašinu kada je za govornicom Bundestaga rekla da kompletnu vladu u Prištini čine pripadnici bivše terorističke OVK kao i da je u senci nemačkih tenkova na Kosovu upravo ove 2015. godine obnovljena ista ta teroristička organizacija koja je terorom preplavila i susedne zemlje poput Makedonije.
Izlaganje nemačke poslanice turskog porekla u nekoliko navrata je izazvalo salve gromoglasnog aplauza posebno kada je govorila o tome šta je na Kosovu učinjeno u minulih 16 godina.

Iznevši ozbiljne i teške optužbe na račun vrha vlasti u Prištini, Dagdelenova je 19. juna na sednici nemačkog parlamenta rekla šta misli o zahtevu vlade Angele Merkel i NATO da se nemačkim vojnicima u sastavu Kfora odobri još 45 miliona evra! Podsetivši da su Nemci u sastavu Kfora na Kosovu prisutni već 16 godina, poentirala je rekavši da za sve to vreme nijedan od ciljeva - da Kosovo postane stabilno, multietničko i demokratsko - nije ostvaren.
Ona je podsetila i da pripadnici OVK, učesnici terorističkog napada nedavno likvidirani u Kumanovu, na Kosovu sahranjeni kao heroji, na groblju mučenika i u prisustvu visokih zvaničnika. Ona je za govornicom Bundestaga izrekla i da je Kosovo mesto odakle, kada je reč o Evropi, odlazi najviše boraca za Islamsku državu Iraka i Sirije i to ispred nosa NATO i "vojske koju smo tamo poslali".
"Mislim da Nemačka ne može da nastavi s podrškom velikoalbanskom nacionalizmu koji promoviše OVK i terorističkim centrima poput Kosova koji donose nasilje ne samo u region već i na Bliski istok.

Ona je naglasila i da je proteklih godina Kosovo napustilo na stotine hiljada Srba i Roma te je stoga ravnoteža u tom smislu potpuno uništena. Poslanica je podsetila nemačke kolege i na prošlogodišnju senzacionalnu izjavu bivšeg kancelara Nemačke Gerharda Šredera da je bombardovanje Jugoslavije bilo nezakonito.
- Ja vas pitam koje ste posledice vi izvukli iz te izjave. Bundesver je na Kosovu kao rezultat kršenja međunarodnog prava, a politika Nemačke tamo nikada nije bila neutralna. Nisu nam potrebni nemački vojnici na Balkanu koji će podržavati jednu ili drugu stranu i stajati u zaštitu kršenja međunarodnog prava... Treba nam povratak na međunarodno pravo, jer samo to može biti osnov za miran suživot u Evropi – kazala je Dagdelenova i dodala da zemlje EU koje nisu priznale nezavisnost Kosova - Kipar, Rumunija, Španija, Grčka i Slovačka - treba da upozore nemačku vladu na kršenje međunarodnog prava na Kosovu.
- Ovo je čisto licemerje - rekla je praćena burnim aplauzom.

Dagdelenova je na kraju poručila je ključ trajnog mira u Evropi politika bez dvostrukih standarda. Ona se založila i da Nemačka treba da se vrati miroljubivoj spoljnoj politici Vilija Branta kako njeni vojnici više nikada ne bi napustili nemačko tlo.
"Nadam se da Srbija neće podleći pritisku i uvesti sankcije Rusiji"
Sevim Dagdelen je nedavno postavila pitanje nemačkoj vladi kakav je stav Nemačke o odnosu Srbije prema sankcijama Rusiji. Ona je tada za Dojče vele rekla da se nada da Srbija neće podleći pritisku i uvesti sankcije Rusiji. "Nadam se da Srbija neće podleći pritisku Berlina niti se odreći dobrih odnosa sa Rusijom, rekla je i dodala da vreme diktata u spoljnoj politici mora da pripada prošlosti. "Oni koji ponovo barataju pretnjama zapravo stvaraju opasnost od rata u Evropi. To ne smemo da dozvolimo", istakla je nemačka poslanica.


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In english: Forced to Flee (IV) (Germany and refugees from Kosovo – GFP 13.08.2015)
Germany is significantly responsible for helping create the conditions causing tens of thousands to flee from Kosovo. This has been confirmed by an analysis of the development that seceded territory has taken since NATO's 1999 aggression, in which Germany had played a leading role. Prominent German politicians have also played leading roles in establishing Kosovo's subsequent occupation, helping to put the commanders and combatants of the mafia-type Kosovo Liberation Army (KLA) militia into power in Pristina. They created social conditions that have drawn sharp internationally criticism. In 2012, the European Court of Auditors (ECA) reported that organized crime continues at "high levels" in Kosovo. The Council of Europe even discerns some of the highest-ranking politicians, including a long-standing prime minister, as being members of the Mafia. Poverty is rampant. After 16 years of NATO and EU occupation, around one-sixth of the children suffer from stunted growth due to malnutrition. Germany has played an important role in organizing the occupation. If it were not for cash transfers refugees send home, many Kosovo families would not be able to survive. In the first semester of 2015 alone, more than 28,600 found themselves forced to apply for refugee status in Germany - with little chance of success. Berlin is now seeking more rapid ways for their deportation...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58873


http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59182

Auf die Flucht getrieben (IV)
 
13.08.2015
BERLIN/PRIŠTINA
 
(Eigener Bericht) - Deutschland trägt maßgebliche Mitverantwortung für die Ursachen der Flucht zehntausender Menschen aus dem Kosovo. Dies belegt eine Analyse der Entwicklung in dem Sezessionsgebiet seit dem NATO-Überfall im Jahr 1999, dessen Vorbereitung unter führender Mitwirkung der Bundesrepublik geschah. Auch die anschließende Besatzung des Kosovo haben deutsche Politiker in leitenden Positionen mitgestaltet. Dabei haben sie geholfen, Kommandeure und Kämpfer der Mafiamiliz UÇK in Priština an die Macht zu bringen, unter deren Herrschaft sich international scharf kritisierte soziale Verhältnisse herausgebildet haben. In einem Bericht des Europäischen Rechnungshofs hieß es etwa im Jahr 2012, die Organisierte Kriminalität bestehe im Kosovo auf "hohem Niveau" fort; im Europarat wurden sogar höchstrangige Politiker, darunter ein langjähriger Ministerpräsident, der Mafia zugerechnet. Die Armut grassiert; rund ein Sechstel aller Kinder leidet wegen Mangelernährung an Wachstumsstörungen - nach ungefähr 16 Jahren von NATO und EU geführter Besatzung, die maßgeblich von Berlin mitgestaltet wurde. Ohne Rücktransfers von Exil-Kosovaren könnten zahlreiche kosovarische Familien wohl nicht überleben. Allein im ersten Halbjahr 2015 haben mehr als 28.600 Kosovaren keine andere Chance gesehen, als in Deutschland Asyl zu beantragen - faktisch ohne Aussicht aus Erfolg. Berlin bemüht sich nun um Wege zu ihrer schnelleren Abschiebung.

Geostrategisch motiviert
Das Kosovo, aus dem die Menschen zuletzt in Scharen geflohen sind, ist in den vergangenen zwei Jahrzehnten ein Schwerpunkt der deutschen Außenpolitik gewesen. Dabei zielte die Bundesrepublik zunächst vor allem darauf ab, das Gebiet aus Jugoslawien bzw. Serbien zu lösen und es zu einem eigenen Staat zu machen. Dies schien geeignet, Belgrad - einen traditionellen Opponenten der deutschen Südosteuropa-Politik - dauerhaft empfindlich zu schwächen und zugleich mit einem kosovarischen Staat einen neuen loyalen Verbündeten in der südosteuropäischen Peripherie zu schaffen. Schon um das Jahr 1992 begann deshalb der Bundesnachrichtendienst (BND), wie der Geheimdienstexperte Erich Schmidt-Eenboom berichtet [1], "erste Kontakte" zur "militanten Opposition" der Kosovaren aufzubauen. Bald entstanden enge Beziehungen inklusive Aufrüstung und Training der 1996 gegründeten Mafiaorganisation UÇK. Die UÇK diente dann, nachdem sie maßgeblich dazu beigetragen hatte, die südserbische Provinz 1998 durch bewaffneten Terror zu destabilisieren, als Bodentruppe der NATO nach deren Überfall auf Jugoslawien am 24. März 1999.

Unter deutscher Obhut
Dies ist vor allem deshalb von erheblicher Bedeutung, weil die UÇK entsprechend ihrer zentralen Rolle im Krieg gegen Jugoslawien nun auch in der anschließenden Zeit der Besatzung wichtige Funktionen im Kosovo für sich einforderte - und sie von den Besatzungsmächten auch bekam. Unter diesen hat die Bundesrepublik eine exklusive Position innegehabt. Sie entsandte nicht nur sieben der bislang 20 Kommandeure der NATO-Besatzungstruppe KFOR und damit mehr als jedes andere Land. Dem Berliner Polit-Establishment entstammten darüber hinaus mit Michael Steiner (2002 bis 2003) und Joachim Rücker (2006 bis 2008) zwei Leiter der UN-Verwaltung UNMIK, die jeweils wichtige Weichen für die Sezession des Kosovo stellten.[2] Unter ihrer Oberaufsicht amtierten ehemalige UÇK-Kämpfer (Bajram Rexhepi, 2002 bis 2004) und UÇK-Kommandeure (Agim Çeku, 2006 bis 2008; Hashim Thaçi, ab 2008) als Ministerpräsidenten des Kosovo. Steiner unterstützte zudem Thaçi, Rücker den berüchtigten Ex-UÇK-Kommandeur Ramush Haradinaj bei ihrem Kampf gegen justizielle Ahndung ihrer Taten (german-foreign-policy.com berichtete [3]). Wie die Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) bereits vor Jahren rückblickend resümierte, erlangten die "mit organisierter Kriminalität aufs Engste verflochtenen politischen Extremisten und gewalterprobten Untergrundkämpfer" der UÇK unter der UNMIK "als gewählte Volksvertreter oder neu gekürte Beamte ... unter internationaler Obhut politische Respektabilität".[4]

Berufswunsch "Mafiaboss"
Die Machenschaften der ehemaligen UÇK-Anführer, die das Kosovo ab 1999 maßgeblich prägten, haben immer wieder für internationales Aufsehen gesorgt. Über Hashim Thaçi etwa, der noch bis 2014 als Ministerpräsident in Priština amtierte, urteilten der BND und das Berliner "Institut für Europäische Politik" (IEP) bereits vor Jahren, er sei nicht nur Auftraggeber eines "Profikillers" gewesen, sondern verfüge auch "auf internationaler Ebene über weiter reichende kriminelle Netzwerke".[5] Thaçi ist zudem vom ehemaligen Sonderberichterstatter der Parlamentarischen Versammlung des Europarats, Dick Marty, beschuldigt worden, nicht nur jahrelang an führender Stelle in den Schmuggel von Waffen und Rauschgift involviert gewesen zu sein, sondern sich außerdem am Handel mit menschlichen Organen beteiligt zu haben.[6] Über die Organisierte Kriminalität im Kosovo erklärte das Institut für Europäische Politik Anfang 2007: "Aus früheren UCK-Strukturen ... haben sich unter den Augen der Internationalen Gemeinschaft mittlerweile mehrere Multi-Millionen-Organisationen entwickelt", die großen Einfluss besäßen; "Mafiaboss" stelle mittlerweile "den meistgenannten Berufswunsch von Kindern und Jugendlichen dar".[7]

Rechtsfreie Räume
Über die gesellschaftlichen Verhältnisse, die sich unter der Herrschaft ehemaliger UÇK-Strukturen und der Oberaufsicht auch deutscher UNMIK-Verwalter herausbildeten, äußerte sich das Institut für Europäische Politik bereits 2007 am Beispiel der im Kosovo nach wie vor üblichen Streitbeilegung per Gewohnheitsrecht. Letzteres schreibe "nicht nur die Vorherrschaft des Mannes fest", berichtete das Institut; es baue "darüber hinaus auf einem gewaltlegitimierenden Ehrkonzept auf", das nicht zuletzt die traditionelle "Blutrache" "in den Mittelpunkt eines pseudojuristischen Ordnungssystems stellt".[8] Deutliche Worte fand 2012 sogar der Europäische Rechnungshof. Es gebe trotz mehr als zehn Jahre währender Besatzungstätigkeit allenfalls "geringe Fortschritte im Kampf gegen das organisierte Verbrechen"; vielmehr bestehe die Organisierte Kriminalität auf "hohem Niveau" fort, hieß es damals in einem Bericht der Institution. Die Untersuchung selbst schwerster Verbrechen bleibe "immer noch unwirksam". Die OSZE habe sich ausdrücklich bestätigen lassen, dass zahlreiche Richter nicht bereit seien, "ihre Urteile auf der alleinigen Grundlage des Rechts" zu sprechen, sondern "dazu tendierten, in vorauseilendem Gehorsam gegenüber äußeren Einflüssen zu handeln".[9] Noch Anfang dieses Jahres urteilte die SWP, es gebe im Kosovo "ausgedehnte rechtsfreie Räume" - aufgrund einer "symbiotischen Beziehung zwischen weiten Teilen von Verwaltung und Politik mit der organisierten Kriminalität".[10]

Mangelernährung
Auch ökonomisch ist die Lage des Kosovo, das sich am 17. Februar 2008 nach intensiver deutscher Vorarbeit und unter Bruch des internationalen Rechts zum Staat erklärte, nach wie vor desolat. Das Bruttoinlandsprodukt pro Kopf beläuft sich auf 2.935 Euro im Jahr (EU: 25.700 Euro). Die Arbeitslosigkeit wird mit 40 bis 45 Prozent beziffert; die Jugendarbeitslosigkeit beträgt real bis zu 70 Prozent. Die Wirtschaft liegt - wie zu Beginn der Besatzungszeit 1999 - weitestgehend am Boden; die Investitionen aus dem Ausland gingen von rund 220 Millionen Euro in den ersten neun Monaten 2013 auf knapp 122 Millionen Euro im selben Zeitraum 2014 zurück. Das Kosovo musste 2014 Waren im Wert von rund 2,5 Milliarden Euro importieren, um über die Runden zu kommen; dem standen Exporte in Höhe von nur 325 Millionen Euro gegenüber. "Eine wichtige Triebkraft für den privaten Konsum stellen weiterhin die Überweisungen von im Ausland lebenden und arbeitenden Landsleuten an ihre Familien in der Heimat dar", berichtet die Außenwirtschaftsagentur Germany Trade and Invest (GTAI).[11] Ohne die Rücktransfers von Exil-Kosovaren könnte das Land, in dem 16 Prozent aller Kinder wegen Mangelernährung unter Wachstumsstörungen und 23 Prozent aller Schwangeren unter Anämie leiden [12], wohl nicht überleben.

"Drastisch reduzieren"
16 Jahre nach dem NATO-Krieg, der mit der Behauptung begründet wurde, man müsse das Kosovo befreien und seiner Bevölkerung zu einem menschenwürdigen Leben verhelfen, fliehen nun Zehntausende - und stellen damit den westlichen Staaten, die Verantwortung für den Krieg und die anschließende Besatzung tragen, ein verheerendes Zeugnis aus. Führend bei der Vorbereitung des Krieges und bei der Besatzung ist Deutschland gewesen. In Reaktion auf die steigende Zahl der Flüchtlinge bereitet Berlin nun die Einstufung des Kosovo als "sicheres Herkunftsland" vor, um die Menschen, die vor den auch von der Bundesrepublik zu verantwortenden Verhältnissen fliehen, umgehend abschieben zu können. Dass Flüchtlinge aus Südosteuropa sich nicht anders zu helfen wissen, als in der reichen Bundesrepublik Asylanträge zu stellen, sei "inakzeptabel und für Europa eine Schande", erklärt Bundesinnenminister Thomas de Maizière: "Das Wichtigste ist, deren Anzahl" - gemeint sind die Flüchtlinge - "drastisch zu reduzieren".[13]
[1] Erich Schmidt-Eenboom: Kosovo-Krieg und Interesse. www.geheimdienste.info. S. dazu Vom Westen befreit (IV).
[2] S. dazu Berliner BeuteDayton II und Politische Freundschaften.
[3] S. dazu Politische Freundschaften und Heldenfigur.
[4] Die Balkan-Mafia. Diskussionspapier der Stiftung Wissenschaft und Politik 09.12.2007. S. dazu Aufs Engste verflochten.
[5] S. dazu "Danke, Deutschland!".
[6] S. dazu Teil des Westens geworden.
[7], [8] Operationalisierung von Security Sector Reform (SSR) auf dem Westlichen Balkan. Institut für Europäische Politik 09.01.2007. S. dazu Aufs Engste verflochten.
[9] S. dazu Die Logik des Krieges.
[10] Dušan Reljić: Kosovo braucht einen Beschäftigungspakt mit der EU. www.swp-berlin.org 12.02.2015. S. dazu Vom Westen befreit (IV).
[11] Kosovo rechnet für 2015 mit Konjunkturschub. www.gtai.de 05.02.2015.
[12] Dušan Reljić: Kosovo braucht einen Beschäftigungspakt mit der EU. www.swp-berlin.org 12.02.2015. S. dazu Vom Westen befreit (IV).
[13] "Als reiches Land sind wir überhaupt nicht überfordert." Frankfurter Allgemeine Zeitung 19.07.2015.


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http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/salerno/cronaca/15_giugno_16/ex-ambasciatore-italiano-kosovo-reintegrato-tar-salernitano-d9854750-1409-11e5-867e-da55c2f4b9eb.shtml

IL CASO

Ex ambasciatore italiano in Kosovo reintegrato dal Tar: è salernitano

Michael Giffoni era stato sospeso dalla Farnesina dopo uno scandalo visti ad alcuni jihadisti che però non l’aveva coinvolto. Ora il Tribunale gli ridà l’incarico

di Lorenzo Peluso

Ci sono voluti ben 16 mesi, ma l’odissea dai contorni kafkiani che ha investito, travolgendolo, l’ex ambasciatore italiano in Kosovo, Michael Louis Giffoni, originario di Teggiano, nel Salernitano, sembra essersi avviata verso una positiva conclusione. Se non terminata del tutto, probabilmente, ha visto un vero e proprio “giro di boa”, fissando un punto fermo. Oltre un anno, poi l’udienza di merito del Tar del Lazio due mesi fa, e venerdì 12 giugno la sentenza che accoglie il ricorso presentato da Giffoni ed annulla il provvedimento di destituzione emesso a luglio dello scorso anno dal ministero degli Esteri, dopo 5 mesi di sospensione cautelare, dando ordine allo stesso dicastero di ottemperare alla sentenza, quindi probabilmente reintegrando l’ambasciatore Giffoni nei ranghi e nelle funzioni diplomatiche. 

La storia
Una vicenda complicata quella di Giffoni. Agli inizi dello scorso anno scoppiò lo scandalo dei visti falsi all’ambasciata di Pristina in Kosovo, con il coinvolgimento di alcuni funzionari dell’Ambasciata italiana che lì operavano, in primo luogo un impiegato a contratto locale. Era poi emerso che tra chi aveva ottenuto visti vi erano anche tre terroristi jihadisti, pericolosi islamisti di origine kosovara, entrati in Italia facendo poi perdere le tracce, tranne per uno fattosi saltare in aria in un attentato in Iraq. L’inchiesta nasce su impulso della polizia europea “Eulex” ed anche la Procura della Repubblica di Roma apre un fascicolo che vede coinvolti i contrattisti dipendenti dell’ambasciata. Finisce nel vortice anche l’ex ambasciatore italiano a Pristina, Michael Giffoni, che intanto dall’ottobre 2013 è rientrato a Roma per regolare avvicendamento dopo 5 anni e mezzo di servizio in Kosovo coronato da successi su tutti i fronti, nominato Capo della delicata Unità per il Mediterraneo e Nord Africa e impegnato principalmente sul difficile fronte libico. Sia Eulex, l’organo inquirente internazionale, sia la procura kosovara sia quella di Roma precisano però che Giffoni non è indagato né può essere considerato responsabile di ciò che è accaduto, palesandosi invece come una vera e proprio vittima di raggiro da parte di impiegati infedeli e collusi con la malavita locale. 

Il provvedimento
Tuttavia, la Farnesina lo sospende dalle attività e poi addirittura lo destituisce a luglio scorso: una decisione che ha provocato amarezza e sofferenza nel diplomatico di origini salernitane e anche sconcerto e incredulità in tutti coloro che in venti e più anni di carriera lo hanno visto operare efficacemente e lealmente in contesti diplomatici di grande difficoltà, dalla Sarajevo sotto assedio degli anni ’90, a Bruxelles prima per la presidenza europea di turno del 2003 e poi nella veste di direttore per i Balcani dell’Alto Rappresentante Ue Solana, incarico che apre le porte a quello di primo ambasciatore d’Italia in Kosovo, al momento della sua indipendenza nel 2008. Contro tale decisione, lo stesso Giffoni ha presentato subito ricorso al Tar del Lazio. Ora la sentenza che ristabilisce la verità almeno dal punto di vista della giustizia amministrativa.

Le prime parole
«Se non siamo già alla fine dell’incubo, siamo forse all’inizio della sua fine – riferisce Giffoni – ma sono felicemente sereno perché, forte della mia coscienza e della mia dignità, pur nell’amarezza e nella sofferenza non ho mai perso la fiducia nelle istituzioni cui ho lealmente dedicato una vita di lavoro e sacrifici, certo che prima o poi si sarebbero ristabilite verità e giustizia. Alla sentenza ho pianto, per la gioia; ho giocato e scherzato con il mio piccolo Adriano sentendomi finalmente leggero come una piuma e con mia moglie ci siamo detti: non abbiamo mollato per un anno e mezzo, continueremo a tenere duro, se necessario ancora. Ma intanto godiamoci questi giorni di luce e serenità». 

16 giugno 2015

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Fonte: www.glassrbije.org / italiano

In Kosovo è stato arrestato Sulejman Osmani Sulja, il membro del gruppo terroristico

08. 07. 2015. – In Kosovo è stato arrestato Sulejman Osmani Sulja, il membro del gruppo terroristico che era compossto di 40 membri, ha confermato la polizia kosovara alla Kosovo Press. Quel gruppo terroristico ha partecipato agli scontri militari con la polizia macedone nel quartiere Divo di Kumanovo nel maggio dell’anno corrente. Osmani è stato arrestato nei pressi di Vitina in Kosovo, su mandato di cattura che hanno spiccato le autorità della Macedonia.

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http://voiceofserbia.org/it/content/polizia-kosovara-ha-trovato-uniformi-lettera-arabo-ed-esplosivo

Polizia kosovara ha trovato uniformi, lettera in arabo ed esplosivo

20. 07. 2015. – La polizia kosovara ha trovato due borse vicino al lago Badovac, nei pressi di Pristina. Le borse sono state rinvenute vicino al luogo dove una settimana fa sono state arrestate alcune persone accusate di terrorismo. In una delle borse si trovavano le uniformi nere, una lettera in lingua araba e due kalasnikov. Nell’altra borsa si trova probabilmente l’esplosivo, hanno riportato i media di Pristina.

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http://voiceofserbia.org/it/content/circa-20-famiglie-kosovare-sono-andate-iraq-e-siria-combattere-nelle-file-dell’isis

Circa 20 famiglie kosovare sono andate in Iraq e Siria per combattere nelle file dell’Isis

20. 07. 2015. – Circa 20 famiglie kosovare sono andate in Iraq e Siria per combattere nelle file dell’Isis, scrive il quotidiano Zeri di Pristina. I giornalisti di quel quotidiano hanno parlato con alcune di quelle famiglie, includendo la famiglia Hasani di Klina. Dieci membri di quella famiglia sono andati in Siria all’inizio dell’anno corrente. Nella casa è rimasta soltanto la nonna con il nipote più giovane. La nonna ha detto ai giornalisti che tutti i membri della sua famiglia sono andati a combattere nel nome di Allah. Uno dei memnri di quella famglia Ekrem Hasani è stato uccisio nelle file dei jihadisti. Non si sa ancora che cosa è successo con sua moglie e i figli. L’imam della moschea a Podujevo Bakim Jasari ha detto che i vahabiti sono colpevoli della situazione attuale in Kosovo. A quella gente è stato lavato il cervello dalle persone che l’ha invitata e pesuasa a combattere a nome di Allah in Siria e Iraq, ha dichiarato Jasari.





(francais / italiano / deutsch / english / srpskohrvatski)

Oluja: Otvorena pisma pobjednicima i novinarima

1) Domagoj Margetic: Otvoreno pismo pobjednicima: FUJ!
2) Daniel Salvatore Schiffer: La Croatie commémore l'anniversaire de l'opération Tempête, c'est une honte pour l'Europe
3) Unione dei Serbi in Italia: Lettera ai giornalisti sull'Operazione Tempesta


A voir et lire aussi / Vedi e leggi anche:

THOMPSON - PROSLAVA OLUJE (Knin 5.8.2015.g.) *(HD/HQ)*
Il cantante rock nazista Thomson al centro dei festeggiamenti nel ventennale della pulizia etnica delle Krajine, Knin 5/8/2015

M.P. THOMPSON - OLUJA 2015. KNIN (15min)
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Knin, cori al concerto di Thomson: "Ammazza il serbo!". Nessuna condanna dai governi europei

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La presidentessa della Croazia apre i festeggiamenti per il ventennale della pulizia etnica in Croazia

CROATIE : FEUX D’ARTIFICE ET GROS CANONS POUR « OLUJA »(CdB, 5 août 2015)
La Croatie a fêté les 4 et 5 août l’opération Oluja en grande pompe, mais entre soi : aucune délégation étrangère n’a répondu présent aux festivités...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/croatie-feux-d-artifice-et-gros-canons-pour-feter-oluja.html

OLUJA, LA TEMPESTA CHE DIVIDE LA CROAZIA (di Drago Hedl | Osijek  6 agosto 2015)
La celebrazione del ventennale dell'operazione militare Oluja (Tempesta) non ha solo inasprito le relazioni tra Zagabria e Belgrado, ma ha persino creato delle divisioni all'interno della stessa Croazia...

OLUJA: LA “TEMPESTA” SUI BALCANI (di Antonela Riha | Belgrado  4 agosto 2015)
In Croazia il giorno in cui furono cacciati oltre 200.000 serbi si celebra con una parata militare, in Serbia invece è lutto nazionale. Se il governo di Zagabria tace sulle vittime, a Belgrado non è mai stato confermato ufficialmente il loro numero...

PARADE IM SIEGESTAUMEL (von Roland Zschächner, junge Welt, 5/8/2015)
Kroatien feiert die Zerschlagung der Republik Serbische Krajina und die Vertreibung von über 220.000 Menschen vor 20 Jahren
http://www.jungewelt.de/2015/08-05/020.php

VERITAS Statement on the Anniversary of Operation "Storm"


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Otvoreno pismo pobjednicima: FUJ!

Domagoj Margetic
, 3.8.2015.


A dok slavimo ratove, o kakvom to miru govorimo? Dok su nam zločini državni praznici, a zločinci nacionalni junaci, o kakvom mi pomirenju i s kim govorimo?

Pobjednici slave pobjede. A slobodni ljudi su jednostavno – slobodni. Slobodnima ne trebaju ni pobjede niti pobjednici, ne trebaju im masovne pompozne, bahate proslave tuđe nesreće. Ne razumiju pobjednici taj stav kontra njihove pobjede. Jer pobjednici su nekako, po definiciji, taoci svojih pobjeda. Ili su pobjednici – ili nisu ništa. Zato ta potreba veličanja njihovih pobjeda. Jer ako im uzmeš tu njihovu „pobjedu“, ne ostaje im više ništa. I nisu više ništa, ako nisu pobjednici. A slobodnima ne trebaju pobjede da bi bili nešto, ne treba im ta iskompleksiranost pobjedonosnim sindromom. Dok gledam te njihove perverzne pripreme za slavljenje još jednog od tolikih, nebrojenih, balkanskih pobjedničkih mitova, prisjetio sam se jedne moje kolumne iz 2010. godine: „Diferencijacija pameti – Odričem se Hrvatske!“.

A u ovih se pet godina, nažalost, nije promijenilo ništa zbog čega bih požalio što sam se tada odrekao zemlje, koju mi eto nameću kao domovinu. Kao što mi žele nametnuti svoju pobjedu. Kao što mi žele nametnuti, žele mi narediti zahvalnost što su nas „oslobodili“. Kakva ultimativna glupost! Tko uopće koga može ičega ili ikoga osloboditi?! Ne razumiju pobjednici da nas nisu „oslobodili“, nego su nas raspametili, razbaštinili ono malo ljudskosti koja nam je bila preostala, razbaštinili su nas one tri vrijednosti kroz koje smo odrastali i odgajani – sloboda, bratstvo i jedinstvo. Nije mi jasno kako ti naši suvremeni pobjednici misle da eto smiju paušalno to vrijednosti proglašavati jugonostalgičarskim floskulama! Jer kakve su tek floskule njihove priče o pobjedama, o oslobođenju, o nekakvoj nacionalnoj i apsurdnoj državnoj slobodi, kako nama tek neprihvatljivo zvuče te njihove floskule o domovinskom ratu, o svemu tome na čemu oni inzistiraju da im tko zna kako budemo zahvalni.

A ja, ovako slobodan, i oslobođen od svega, jednostavno ne razumijem na čemu i kome to bih trebao biti zahvalan. Nemaju što za jesti, nemaju čime školovati djecu, rade za crkavicu kojom ne mogu platiti niti osnovne mjesečne troškove života, rade a ne primaju plaću, oduzimaju im domove, blokirani su, nezaposleni, ali slave ratove! Još uvijek ih je moguće manipulirati i natjerati da mašu zastavama, da se kunu u grbove, da slave ratove za tamo nekakve „nacionalne interese“. Podilaziti tom njihovom kolektivnom ludilu za mene bi bila izdaja tog mojeg disidentstva kao osobnog životnog opredjeljenja, kao mojeg izbjeglištva savijesti pred njihovom pobjedničkom histerijom. Zamislite rulju koja slavi tamo nekakav „dan zahvalnosti“, a da pritom kao hipnotizirani nisu u stanju razmisliti na čemu to imaju biti zahvalni?

Na čemu biti zahvalan u zemlji u kojoj su ratni zločinci – heroji; u kojoj su ustaški kapelani – sveci; u kojoj su pljačkaši i ratni profiteri – ugledni tajkuni i biznismeni. Zar da demonstracijom ludog naroda pokazujemo koliko smo zahvalni ratnoprofiterskoj eliti što nas je opljačkala i otela nam sve, a mi još pjevamo, mašemo zastavama i plješćemo onima koji su nam to učinili? A ljuti ih kada im kažem – lud narod. No, ne vidim kako bih drugačije sam sebi mogao racionalizirati i argumentirati to njihovo ponašanje.

Oni su nas kao „oslobodili“, a žele mi uskratiti slobodu da kažem što mislim o tom njihovom „oslobođenju“, o toj njihovoj pobjedi. Ako vi imate pravo slaviti, imam vam pravo i moralnu obvezu reći – za mene ta vaša pobjeda, za mene Oluja, i proslava te vaše „pobjede“ i rata nije ništa drugo nego proslava ratnih zločina i ratnog profiterstva. I ništa više. Želite nam zabraniti da i nakon dvadeset godina stvari nazovemo pravim imenom. Zločine zločinima! Pljačku pljačkom! Želite nas kolektivno, prisilom na šutnju, u ovim dvadeset godina pretvoriti u svoje suučesnike u tom ratnom zločinu, pljački, kriminalu i ratnom profiterstvu.

Priznanje te vaše pobjede, za mene bi bio jedini konačni poraz.

Jer ako je to što vi ovih dana slavite – sloboda, onda ću glasno vikati – JEBEŠ SLOBODU! JEBEŠ SLOBODU! Ali vama ne dopire do mozga, niti nakon svih ovih godina, da sloboda i pobjeda nemaju baš puno toga zajedničkog. I upravo ta suštinska suprotstavljenost pobjede i slobode, ta sukobljenost slobode sa svakom pobjedom i svakim pobjednikom, otkriva o kakvom se ovdje ludilu radi. To je ta točka diferencijacije na kojoj se razilazimo – razlika između pobjednika i slobodnih. Vama toliko nejasna i neprimjetna. Vaša se pobjeda toliko razlikuje od moje slobode, upravo po tome što ćete vi zauvijek ostati zarobljenici svojih pobjeda. U jednom ste doduše, u pravu. Ta vaša pobjeda ima ime. Štoviše, više imena. Ta vaša pobjeda ima upravo onoliko imena – koliko je pobijenih i protjeranih u ime te vaše pobjede. Gadi mi se to vaše krvavo slavlje. Neka slave oni koji su na krvi, leševima i ruševinama profitirali. A vi koji im na paradama mašete zastavama i euforično kičete iz svojih gladnih usta, obični ste suučesnici tog njihovog gotovo neprekinutog krvavog, lešinarskog pohoda.

Ne pišem ovo da bih išta promijenio. Svjestan sam da je to nemoguće. Ali u vremenu dominantnih luđaka, možemo se barem distancirati i diferencirati od gomile koja im skandira.

Zato si uzimam lobodu javno reći – Oluja je zločin u kojem su jednu pobijeni, drugi protjerani, treći popljačkani. A vi mi sad pokušajte racionalno objasniti što se tu točno ima slaviti?

A dok slavimo ratove, o kakvom to miru govorimo? Dok su nam zločini državni praznici, a zločinci nacionalni junaci, o kakvom mi pomirenju i s kim govorimo? Protjerali ste organizirano oko 380 tisuća građana ove zemlje i to nazivate pobjedom? I nisu li te militantne proslave vaših pobjeda upravo jasna poruka onima koje ste protjerali da im slučajno ne padne na pamet vraćati se, da za njih ovdje više nema mjesta, da ovo nije njihova zemlja? Jer tko bi se normalan vratio u zemlju u kojoj je dan tog etničkog čišćenja državni praznik?

A tko ste vi, bijedo, da govorite i određujete što je čija zemlja, i što je kome domovina? Fuj!

Svojim ratnim pobjedama pokušavate nadomjestiti umrlu savijest, ako ste je ikada imali. Samo onima bez savijesti može biti tako lako pobjeđivati. I samo onima bez savijesti može biti tako lako slaviti takve pobjede i pobjednike.

Gadi mi se i ova država, i ovo društvo, i ova masa. Ne mogu vam dovoljno uopće uprizoriti koliko vas iskreno prezirem ovako kolektivno lude. Negdje u podsvijesti očito vam je jasno da ne postoji kolektivna sloboda, pa ste možda zato pobjegli u svoje kolektivno ludilo i proglasili ga slobodom, poput onih luđaka zatvorenih po ludnicama koji se proglase isusima, i tko zna kakvim povijesnim, stvarnim ili izmišljenim likovima.

Eto – to je ta vaša sloboda. Jedna velika masovna ludnica koju ste proglasili državom, i kolektivno ludilo koje ste proglasili nacionalnom slobodom. Zato se još jednom mogu samo odreći Hrvatske i uz sav taj prijezir i gađenje viknuti s ulice: Fuj! Vi ćete ionako nastaviti uživati u svojem ludilu, jer kao i svakom luđaku, vama samima sa sobom, tako ludima je baš savršeno dobro. Bez obzira što vas pljačkaju, bez obzira što nemate za život.

Samo, eto, ostaju žrtve te vaše pobjede. Žrtve kojima još uvijek nismo rekli obično, ljudsko, od srca – oprosti. Žrtve kojima ne dopuštamo niti da budu obilježena imena, jer se bojite ako negdje ispišemo imena tih žrtava ta će vaša pobjeda dobiti taj krvavi, lešinarski, prljavi identitet ratnog zločina. I ma koliko bježali od toga, vašu će pobjedu tada proganjati imena kojima ste ispisali taj svoj pobjednički pohod.

Zato za kraj samo mogu reći Oprosti, molim te – svakoj žrtvi tih pobjeda, ako su pobjeđivane i u moje ime. Oprosti. I moje je krivnje puno u tome. Jer kao mnogi, možda, nisam učinio dovoljno da pružim otpor toj njihovoj pobjedi. Oprosti. I samo se mogu bez riječi nakloniti onima koje ste pobijedili.

Nemate pojma koliko ste nas porazili tom svojom pobjedom.


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Aussi dans:



La Croatie commémore l'anniversaire de l'opération Tempête : c'est une honte pour l'Europe

Par Daniel Salvatore Schiffer
Philosophe

05-08-2015

Scandale au cœur de notre Europe moderne, dite libre et démocratique ! La Croatie, qui fait officiellement partie de l'Union européenne depuis deux ans, a célébré en grandes pompes, ce 5 août, le 20e anniversaire d'une opération militaire éclair, alors baptisée "Tempête" (Oluja en serbo-croate), qui se caractérisa, pendant de la guerre en ex-Yougoslavie, par le pire des nettoyages ethniques.

 

250.000 Serbes, tous civils, femmes et enfants compris, y furent en effet chassés sans pitié, bombardés sans relâche pendant quatre jours d'affilée, du 1er au 4 août 1995, de la Krajina, territoire situé au nord-ouest de la Bosnie, lors de ce que le président croate d'alors, Franjo Tudjman, nationaliste patenté, antisémite notoire et révisionniste chevronné, ne craignait pas d'appeler, au faîte d'un abominable cynisme, une "guerre de reconquête".

 

Une Europe indigne de ses valeurs morales

 

Ce fut là, de triste mémoire, le pire des exodes massifs en ex-Yougoslavie, au regard duquel pourtant, pour corser cette odieuse affaire, le responsable militaire en chef, le général croate Ante Govina, fut définitivement acquitté, lors du verdict prononcé le 16 novembre 2012, par le Tribunal pénal international (le fameux TPI) de la Haye !

 

Pis : la nouvelle et actuelle présidente, Kolinda Grabar-Kitarovic, de cette même Croatie, qui déclara son indépendance le 25 juin 1991, a osé parlé là aujourd'hui, face à la foule en liesse et une impressionnante parade militaire défilant à coups de canons dans les rues de Zagreb, la capitale du pays, d'"opération brillante, justifiée et légitime".

 

Et ce dans un silence assourdissant, sans qu'aucun de nos dirigeants politiques ne bronche, ni n'émette, fût-ce officieusement sinon encore officiellement, le moindre signe de réprobation en la matière.

 

Bref : une honte pour l'Europe, indigne là, plus que jamais, de ses valeurs morales et autres principes philosophiques, au premier rang desquels émerge le sacro-saint "devoir de mémoire", qu'elle ne cesse de brandir, du haut d'on ne sait quelle et hypothétique bonne conscience, afin de mieux faire la leçon, croit-elle, à la terre entière !

 

Un "deux poids, deux mesures" injustifiable

 

Quant à nos médias occidentaux, rares sont ceux, à quelques notables exceptions près, qui ont eu le courage professionnel, sinon l'élémentaire et équitable décence, de rappeler, comme ils le firent récemment, à juste titre, pour le 20e anniversaire du massacre de Srebrenica, cet innommable martyre des Serbes de Krajina.

 

Comme quoi, après cet énième et injustifiable "deux poids, deux mesures", fruit d'une déplorable et tout aussi répétitive indignation sélective, les Serbes sont encore victimes aujourd'hui, malgré le temps passé, de cette inique "diabolisation" que je n'hésite pas à qualifier, pour ma part, d'"antiserbisme" ! Quantité négligeable, donc, les morts serbes, au nombre de 10.000 pour cette seule opération "Tempête" en Krajina ?


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Fonte: rubrica "Una triestina a Roma" di Martina Seleni

"Lettera ai giornalisti" sull'Operazione Tempesta


Tra il 4 e l'8 agosto del 1995 si svolse l'operazione militare "Tempesta", coordinata dall'esercito croato. Nel corso di questa operazione più di 2.000 serbi furono uccisi ed altri 250.000 furono costretti ad abbandonare le proprie casedalla regione della Krajina. Fu uno dei grandi esodi del ventesimo secolo. L'"Unione dei Serbi in Italia", formata da dieci associazioni culturali serbe operanti nel Triveneto, di cui quattro in Friuli Venezia Giulia ("Nikola Tesla" e "Unità della diaspora serba" di Udine, "Pontes-Mostovi" e "Vuk Karadzic" di Trieste) ha pubblicato una lettera aperta ai giornalisti, chiedendo obiettività nell’informare i cittadini italiani di tutti gli avvenimenti dolorosi che sono accaduti durante il conflitto nei Balcani e rispettare tutte le vittime. (...)


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Lettera ai giornalisti 

Noi cittadini serbi, nella regione Veneto maggiormente presenti (secondo le statistiche sull’immigrazione), emigrammo dalle nostre terre in ex Jugoslavia in cui divampava guerra, pulizie etniche e  povertà, negli anni novanta. Eravamo migliaia, ma per avere un lavoro e una casa dovevamo nasconderci dietro il nome del luogo di provenienza, senza rivelare la nazionalità, tanto era forte la propaganda antiserba, scatenata dai media occidentali, in funzione alle politiche adottate dai loro paesi.

La maggior parte di noi veniva dalla Bosnia e Croazia, cacciati dalle nostre case che dovevamo abbandonare in fretta davanti ai feroci ustascia o mujahidin. La Serbia era diventata stretta per tutti i profughi che arrivarono dalla Slavonia, Krajina, Bosnia e Kosovo. Stremata dalle sanzioni e bombardamenti, quasi metà della sua popolazione emigrò e  tuttora continua ad emigrare. Ma di questo non scrisse la stampa occidentale. Le atrocità venivano attribuite solo ai soldati serbi. Le informazioni giunte agli italiani dai giornali e tv, volevano convincere che solo i politici serbi erano colpevoli del conflitto, solo i soldati serbi furono spietati e solo croati e musulmani erano vittime delle pulizie etniche. Ciononostante la propaganda, basata sulle bugie e semiverità, non è riuscita a convincere gli italiani che i serbi sono un popolo barbaro e crudele. Avevano molte occasioni di conoscere di persona i serbi come amici sinceri, ottimi lavoratori e  gente affidabile…

Con il tempo ci siamo organizzati in diverse associazioni, per far conoscere agli amici italiani la  nostra cultura basata sulle tradizioni della fede cristiana ortodossa. Recentemente si è costituita anche l’Unione dei serbi. Tutto questo nasce dal bisogno di trasmettere la nostra cultura e le nostre tradizioni alle generazioni che nascono e crescono lontano dalla Serbia. Abbiamo una grande ricchezza da trasmettere ai nostri figli, ormai cittadini italiani e non abbiamo niente da nascondere sulla guerra civile in cui era coinvolto il nostro popolo. Solo la verità ci permette di perdonare e farsi perdonare.

La verità sulla guerra in Jugoslavia è che i massacri, pulizie etniche, atrocità e vendette c’erano da parte di tutti tre gli eserciti coinvolti e  tutte le vittime sono ugualmente degne di pietà e commemorazione. Il popolo sebo non è genocida, siamo noi stessi stati vittime di esecuzioni di massa nella Croazia governata dagli ustascia ma anche nell’ultimo conflitto. Fra poco sarà triste anniversario della più grande pulizia etnica, dell’esodo biblico di 20 anni fa dalla Krajina in cui 250 000 serbi furono cacciati dalla regione in Croazia in cui vivevano da secoli, brutalmente ammazzati quelli che non volevano abbandonare i propri focolari. Invece di risoluzione e commemorazione, in Croazia si festeggia. Se solo noi ricordiamo quel triste esodo, mentre i nostri vicini festeggiano, se il nostro primo ministro va a Srebrenica  e viene aspettato con i sassi invece che con la mano tesa,  non ci sarà ne perdono ne conciliazione, ne  pace nei Balcani.

Questa lettera si rivolge ai giornalisti di buona volontà e che hanno voglia di capire davvero cosa è stata quella guerra. Aspettiamo solidarietà, onestà e coraggio di essere obbiettivi nell’ informare i cittadini italiani di tutti gli avvenimenti dolorosi che ricordiamo ogni anno,  rispettare tutte le vittime del recente conflitto nei Balcani e valorizzare l’impegno del nostro governo nel risolvere  i gravi problemi che oggi minacciano la stabilità e pace nei Balcani.

 
Unione dei Serbi in Italia
Via Cartiera 23,
36028 Rossano Veneto ( Vicenza )
unionedeiserbi @ savezsrba.it




(english / deutsch / russkij / italiano)

Nuove interviste ai comunisti del Donbass

1) Maxim Chalenko, Secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee
– Link
– Interview by Workers' World
2) Boris Litvinov, leader of the Communist Party of the Donetsk People’s Republic
– Links
– Interview by Newcoldwar.org, Nov 30, 2014
– Intervista di Veronika Yukhnina, 6 Agosto 2015
3) Ghost Brigade: July 29, one year since founding
– Links
– Ideological principles of the Ghost Brigade / Die Leitlinie der Brigade Prizrak
– July 1st: 40 days since the death of Ghost Brigade Commander Alexei Mozgovoi
– Ghost Brigade in solidarity with Greek people, Turkish & Kurdish comrades


Read also / Vedi anche:

Raising the Soviet flag on Donbass (Banda Bassotti Version – Voxkomm, 9 mar 2015)
Brigade Prizrak, Communist militiaman raising the Soviet flag on freed Debaltsevo
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=vdZ4R2mAX4U

Communists brought two special gifts to Brigade « Don » [sub ENG\SPA\POR\ITA] (Voxkomm, 23 dic 2014)
Communists of Workers’ Front organizzation, Association of Novorossia officers, brought two special gifts to Brigade « Don » that is fighting at the front…
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=ROsVn082giw

Victor Shapinov interview: Donbass uprising based in the 'Soviet world' (by Alexander Chalenko, Ukraina.Ru July 21, 2015)
Interview with Victor Shapinov, an active participant in the "Russian Spring" in Kharkov and Odessa, and coordinator of the Borotba (Struggle) movement...
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/08/victor-shapinov-interview-donbass.html

Ghost Brigade: Urgent Appeal for Humanitarian Assistance (By Darya Mitina, head of International Relations – United Communist Party of Russia, 22/7/2015)
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/06/ghost-brigade-urgent-appeal-for.html


=== 1: Maxim Chalenko ===

Read also:

Lugansk communist: ‘We fight first and foremost for peace’ (By Greg Butterfield – WW, June 17, 2015)
Workers World interviewed Ekaterina Popova, a leader of the Communist Party, Lugansk Regional Committee in the Lugansk People’s Republic. Popova is a founding member of the Forum of Communist, Socialist, Workers’, Environmental and Anti-Fascist Forces...
http://www.workers.org/articles/2015/06/17/lugansk-communist-we-fight-first-and-foremost-for-peace/

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27/7/2015


By Greg Butterfield

Workers World interviewed Maxim Chalenko, Secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee in the Lugansk People’s Republic (LC). Chalenko is a founder of the Forum of Communist, Socialist, Workers’, Environmental and Anti-Fascist Forces. He helped to organize the Donbass International Forum titled “Anti-Fascism, Internationalism, Solidarity” held on May 8 in Alchevsk. This is part 1 of the interview.

Workers World: Where did you grow up and go to school? How did you become involved in the communist movement?

Maxim Chalenko: I was born on June 30, 1980, in Severodonetsk, in the Lugansk region [then part of Soviet Ukraine]. I spent most of my youth in Lugansk city, where my family moved in 1990. I graduated from Lugansk School Number 57, then East Ukrainian State University with a degree in history and archiving. 

I’ve been active in the communist movement for 17 years. In 1997, I joined the Leninist Communist Youth Union of Ukraine (the youth organization of the Communist Party of Ukraine). I organized protests for the restoration of students’ rights in 2000-2003, and became a member of the Communist Party of Ukraine in 2000. 

In Kiev, I was active in the movement "Ukraine without Kuchma" in 2002, when police violently broke up our tent camp. Later I organized a series of protests of workers and miners in the Lugansk region. 

I was elected secretary of the Zhovtnevy District Committee of the Communist Party in Lugansk, then secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee, Secretary of the Lugansk Municipal Committee of the Communist Party, and as a deputy to the Lugansk Regional Council.

WW: As a young person, what it was like to live through the collapse of the Soviet Union?

MC: As the son of a Soviet soldier, the collapse of the USSR hit me very hard. The destruction of this great country, whose cornerstone was to protect the workers’ interests, made many in the military burn with a desire to defend the Soviet Union. But unfortunately, after the collapse, those actively serving in the military were forbidden to speak of the USSR. 

Many communists began to focus their efforts and energy on trying to build a just, socialist society within the framework of the national states formed after the collapse of the Soviet Union, including us in Ukraine. Perhaps this was one of the main reasons for our failures. 

In my opinion, the disintegration of the Soviet Union into national states, which each went into its own socio-political process, only sped up the transition from the socialist to the capitalist path. A powerful, ideologically cohesive communist movement was then split and disorganized. 

WW: Tell us about the activity of the communists in Lugansk following the U.S.-backed coup in Kiev in February 2014.

MC: After the anti-people coup in Kiev -- and even during it, at the end of 2013 -- we organized the first militia squadron to protect the civilian population of Lugansk from fascism. Our goals were to protect the population from aggression, provocations and attacks by neo-fascists, and to protect monuments related to our history and culture. We worked to block the arrival of neo-Nazi militants from the West. 

We also took on the important task of opposing attempts by the Lugansk authorities to negotiate the conditions for their surrender to the Kiev junta. After all, capitalists in power are indifferent to the problems of the people; all that is important is to preserve and increase their capital. We understood this, and moreover, saw it happening in practice. 

Powerful politicians, dominated by members of the Party of Regions, were negotiating the surrender of Lugansk to the neo-fascists. With the tacit consent of the Kiev junta, they appointed new regional heads of the Interior Ministry, Prosecutor's Office and Security Service of Ukraine, whose purpose was to suppress the anti-fascist resistance in Lugansk. 

We proposed to organize a broad anti-fascist front to stop the spread of fascism to the East and also raised the issue of geopolitical choice. At that time the issue of the restoration of the USSR came to the fore. 

In the face of resurgent fascist ideology, including aggressive nationalism, we must intensify international work to demand the restoration of the USSR. We believe that now more than ever we have the basis to do it.

WW: What organizing and activities have you conducted since the start of the war?

MC: In April and May 2014, Lugansk residents were very worried about Slavyansk [in neighboring Donetsk] and its inhabitants, who were subjected to Ukrainian military aggression. We organized the first collection and shipment of humanitarian aid from Lugansk to the defenders of Slavyansk. No one realized that in a month we ourselves would need help. 

Later, when the war came to our door, we actively engaged in the collection and transfer of humanitarian aid to Lugansk from Russia. We were really helped by the Communist Party committees of Rostov and Voronezh. These two areas border Lugansk, and even before the war we had established a wonderful comradeship with them. We appealed for help and they immediately responded, organizing the collection of food, medicine and clothing through their party structures. Almost every week throughout the summer, we brought this assistance into the LC. 

Then, in early September, when the ceasefire agreement was signed in Minsk, we held a re-registration of the party ranks and started to restore our party structures. Some people had left, some had disappeared and did not respond to phone calls. Several communists were killed. The secretaries of the party committees were scattered, mainly engaged in solving problems in their cities. At that time communication and transportation were restored, and within a few months, we restored ties with all local organizations.

WW: Why did you decide to organize an international solidarity forum this spring?

MC: There were two reasons: First, it was the landmark 70 anniversary of the victory of socialism over fascism [the Soviet defeat of Nazi Germany in World War II]; second, and most important, today the left-wing in Donbass is in great need of international support and assistance from allied organizations. 

In spite of high ideals, including our own, the movement of the People’s Republics along the socialist path has not been simple and unambiguous. Yes, at the initial stage, all the revolutionary movements of the streets and squares were associated with anti-fascism and the desire of the majority of the population to take the socialist path of development. But no one really voiced the slogans “factories to the workers” and “land to the peasants,” and the socialistic character of the republics remained only in form but not in essence.

The forum was significant in that it gave youth of Europe and the world an understanding of the conditions in which we are fighting today.



29/7/2015


By Greg Butterfield

Workers World interviewed Maxim Chalenko, Secretary of the Communist Party – Lugansk Regional Committee in the Lugansk People’s Republic (LC). Chalenko is a founder of the Forum of Communist, Socialist, Workers’, Environmental and Anti-Fascist Forces. He helped to organize the Donbass International Forum titled “Anti-Fascism, Internationalism, Solidarity” held on May 8 in Alchevsk. This is the second part of the interview.


Workers World: The Donbass International Forum was hosted by the Ghost Brigade anti-fascist militia in Alchevsk. How did that come about?

Maxim Chalenko: Originally, we planned to hold the forum in Lugansk city, but due to the worsening military confrontation and internal political situation, we decided to hold it in Alchevsk, the second largest city in the region. An invitation was extended by Brigade Commander Alexei Mozgovoi, who was ideologically a communist though not a member of the party, and he played an important role. I think the decision was correct; we not only held the forum, but also supported our ideological comrades in Alchevsk. [Mozgovoi and four other Ghost Brigade members were assassinated on May 23.]

WW: What were your impressions of the forum? What was achieved?

MC: One of the main objectives was to consolidate the efforts of leftist and anti-war organizations of the world on the issue of Donbass. This goal must seem very romantic, given current geopolitical realities, but we have already achieved some important steps. 

The forum brought together a large number of left-wing organizations that are interested in the situation of the anti-fascist resistance in the Donbass. Generally, our situation is quite unusual, and I’m aware of the many contradictions and disputes among leftists around the world in relation to our assessment of events, and most importantly, how communists, internationalists and anti-fascists should operate in these conditions.

Even during the forum, on a par with the wishes for victories in the struggle against fascism in Ukraine, there were questions about the role of the left in the events in Ukraine and Donbass. What position should we take in a situation where the main question is which side to take in a geopolitical confrontation? The answer is very complex and the opinion of one person or national organization is not enough. 

By and large, this was the second key objective of the forum: to begin a dialogue about the role of the left in events spurred by the geopolitical confrontation in southeastern Ukraine.

WW: The forum also announced the creation of an international solidarity committee. What will this body do?

MC: We are working for the creation of an international solidarity movement with Donbass, which we hope will be a platform to define a unified ideological position on the situation in Donbass and the forms and methods of work for left-wing political forces in these conditions. 

To that end, we have initiated these projects:

1. Assist in the formation of a Committee for Solidarity with Donbass in every country of Europe and the world.
2. Analysis of the situation in the Donbass, preparation of reports, information, and messages about the social and political environment.
3. Preparation and holding of international seminars, round tables, presentations, conferences and meetings related to the current situation in the Donetsk and Lugansk People’s Republics of Donbass.
4. Organization of solidarity actions, like those which took place following the death of Brigade Commander Mozgovoi.
5. Publication of newspapers, pamphlets and books.
6. Struggle against political repression in Ukraine, informational pickets in support of demands to release political prisoners in Ukraine. Creating a list of repressions in Ukraine. Picketing of Ukrainian embassies in Europe. Protest rallies in Kiev.
7. Promoting media that openly and honestly cover the events taking place in Donbass.
8. Creation of online media resources to disseminate accurate information about the situation in the struggling republics.

WW: How do you see the role of communists in Lugansk today?

MC: Today the communists in Lugansk, as well as in Ukraine, are experiencing a serious systemic crisis. We were not prepared for a serious geopolitical confrontation here, could not give an ideological assessment as the events were occurring, or answers on how to proceed. 

In fact, this problem is not unique to Lugansk. Here the issues were thrust to the forefront by the acute confrontation and war on our territory. But a similar trend is weakening leftist movements with repression and splits throughout the former Soviet Union. I'm afraid that we may soon witness the failure of the last bastion of the Communist Party of the Soviet Union in Russia. 

It must be understood that the potential for progress envisioned by communists after the collapse of the USSR has already completely exhausted itself. If we do not find adequate answers and develop new ways of working, we will be excluded from the country’s political life for many years to come.

Therefore, in Lugansk, it is necessary to consolidate all communists around a unified organization, and then develop a new strategy and methods of work for its realization. We must search for new social bases for the party among the working class to enhance its capacity and size. And most importantly, develop a clear position on where we are going and what is the role of the left in the modern realities of the young Lugansk and Donetsk republics. 

Another important issue is establishing an international left movement that will develop a concept of a fighting left in the new "post-unipolar" world that is today being built by the actions we have actively participated in.

WW: What is your vision for the future of socialism in Donbass?

MC: In many respects, it depends on whether we communists find successful ways of working to ensure the movement of the republics along the path of socialism, rather than something that may appear socialist in form, but is essentially a neoliberal state. 

We are developing an organization to unite all supporters of socialism-communism under the name "Union of the Left of Donbass," and to the extent possible, to influence the political development of the republic.

Respect and revolutionary greetings to all comrades!


=== 2: Boris Litvinov ===

LINKS:

Pioneer youth organization established in Makeyevka, Donetsk (May 19, 2015)
On May 19 in Makeyevka, a solemn rally was held devoted to establishing the Pioneer organization of the Donetsk People's Republic (DNR). The initiator of the event was Deputy of the DNR National Soviet Boris Litvinov, reported the state media correspondent...
http://redstaroverdonbass.blogspot.it/2015/05/pioneer-organization-established-in.html?view=magazine 
В Макеевке создана пионерская организация (Министерство информации ДНР, 19 mag 2015)
19 мая в Макеевке состоялось торжественное собрание, посвященное основанию пионерской организации Донецкой Народной Республики. Инициатором мероприятия выступил депутат Народного Совета ДНР Борис Литвинов, сообщил корреспондент Государственного медиа-холдинга...
http://dnr-online.ru/news/v-makeevke-sozdana-pionerskaya-organizaciya/ 
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?t=16&v=aHrpFYkrIOA

Komsomol revived in Donetsk People’s Republic (June 8, 2015)
In Donetsk, the constituent congress of the Lenin Communist Youth League (LKSM) of the Donetsk People's Republic (DNR) was held June 7...
http://redstaroverdonbass.blogspot.com/2015/06/komsomol-revived-in-donetsk-peoples.html
VIDEO: Учредительный съезд Комсомола ДНР (Министерство информации ДНР, 8 giu 2015)
https://www.youtube.com/watch?v=HNi3wgtlR3k

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Interview with Boris Litvinov

January 7, 2015

Boris Litvinov was interviewed by Halyna Mokrushyna for New Cold War.org on November 30, 2014 about the political situation in Donetsk, the region’s relations with Ukraine and Russia, and the future of the Donetsk People’s Republic (DPR). Boris Litvinov is the former head of the Supreme Council of the DPR and is a deputy of the People’s Council of the DPR. He is the leader of the Communist Party of the Donetsk People’s Republic, founded in October 2014.

Is the project of the Donetsk People’s Republic supported by the population?

When we organized our referendum in May [referendum for the independence of the Donetsk People’s Republic], we thought that common sense would prevail. We have 3.2 million voters in Ukraine Donetsk and 2,700,000 thousand voted, of which 2,511,000 voted for the creation of Donetsk republic. We believed in people’s right to self-determination.

We are united in our aspirations. That’s why we wanted a negotiated, ‘civilized’ separation with Ukraine. And indeed, at the beginning, it was going this way.

We knew that negotiations with Kyiv would be long and difficult, but we wanted a separation. We would cooperate with Kyiv, since we have a common economy and a common transportation system. We would share it and pay for it. But Kyiv decided otherwise. They started bombing us already during the day of referendum. And it got worse. Now we have a full-blown civil war.

Do you see your future with Ukraine?

I support united Ukraine with both hands. I was born here, I live here, and I am an ethnic Russian. We are different mentally and spiritually [from Western Ukraine – HM]. Several hundred years under Polish-Lithuanian rule created a certain Polish-Lithuanian spirit.

We in Eastern Ukraine are very young. Our Ukraine has only 150 years – before that was Dikoe pole (the wild plains). Our land is international. With the beginning of industrialization, people of all nationalities came here. It did not matter what nationality you were. What mattered was your readiness to build, to create. It came out particularly strong during the Soviet period. Added to this was the ideology of internationalism. That is why we are internationalists.

We do not want Kyiv’s idea of building a mono-ethnic state, and particularly the methods which they have been using since Yushchenko came to power. [1] We are internationalists. We do not want a state for one nation. This is a contradiction, and I do not see how we can resolve it.

Another contradiction that we have with Kyiv is their drive to join the European Union, which is not in a hurry to accept Ukraine. It is a rupture of links with Russia. We do not like this, and we do not think that Kyiv will turn towards the Eurasian Union [2] any time soon.

A third contradiction is the image of Russia as the enemy, which has been formed and imposed during 23 years of Ukrainian independence. It has been formed through education, ideology, arts. If a state creates an enemy, it has to protect itself against this enemy, or to fight it. Because Ukraine is too weak, it appeals to NATO and other Western allies. We know quite well that NATO cannot be allowed here, because this would be a direct threat to us and to our brothers and sisters in Russia.

All these contradictions are very hard to resolve in the near future. Only time will resolve them and show who was right and who was wrong. With time we will reconcile. But still we continue killing each other…

We do not have the motivation to kill, we are defending ourselves. Those who come to our land do not have the motivation to kill, either. Who comes here? Workers and peasants. They come to kill their own people because they have a different opinion. We did not come to their land, they came to ours. Most of them have been forced. Of course, there are ideologically driven individuals among them. But most of them are soldiers, officers who fulfill their duty. They are forced to fight this civil war.

How did the ‘Anti-Maidan movement begin in Donetsk?

I was on Maidan Square three times – in November, when it all started, in December, and in early February. I saw how it all unfolded. In the second half of February, the wave reached us in Donetsk and Donetsk region. We stood up because we did not want Maidan ideology to invade our land.

The first confrontation happened on February 21, when Pravyi Sektor [3] planned to come to Donetsk to take by assault the regional administration building and to destroy monuments to Lenin and other symbols of Soviet epoch. We stood in front of the Lenin monument – communists, members of the Party of Regions, monarchists, other rightist and leftist movements – protecting it as a symbol of our land. We stood up and remained there till the end of May. Tents have been taken down, as nothing threatens our symbols anymore.