Informazione

(english / italiano)

Srebrenica: parola in codice per il linciaggio dei Serbi

1) Tentato linciaggio del premier Vučić a Potočari (Srebrenica) / Serb PM attacked with stones at Srebrenica memorial
2) An Interview with Diana Johnstone: “Denying” the Srebrenica Genocide Because It’s Not True
3) Opinioni: Efraim Zuroff  / Giorgio Coianiz e Sergio Gervasutti / Sandi Volk / Vitaly Churkin, Sergey Lavrov, Nebojsa Malic


=== 1 ===

Bosnia and Herzegovina: Serb PM attacked with stones at Srebrenica memorial (RT, 11 lug 2015)
A crowd of angry mourners chased Serbian Prime Minister Aleksandar Vucic during a ceremony for the 20th anniversary of the mass killing of Muslims in Srebrenica on Saturday, pelting the Serbian leader with rocks and bottles. The prime minster was reportedly hit in the face with a stone, breaking his glasses...

Serbia demands investigation after ‘deplorable’ attack on PM at Srebrenica (RT, July 11, 2015)

---


Vučić aggredito a Potočari

Andrea Oskari Rossini
 | Potočari  11 luglio 2015

Domani a Srebrenica non ci saranno più né il Primo ministro serbo né gli hooligan che lo hanno aggredito. Solo un po' di tensione in più
L'esito era prevedibile. Aspettando l'inizio delle commemorazioni ufficiali tra le tombe del Memoriale di Potočari, chiedevo ai bosniaci che continuavano ad affluire cosa ne pensassero della presenza del Primo Ministro serbo, Aleksandar Vučić. Nessuno dava risposte positive. Un signore di Tuzla era stato il più esplicito: “Non bisogna permetterlo.”
Eppure la visita era iniziata nel migliore dei modi. Vučić era stato accolto dalle Madri di Srebrenica, che gli avevano appuntato sul petto una margherita bianco-verde, simbolo del genocidio del '95. Anche il sindaco di Srebrenica, Ćamil Duraković, aveva mostrato disponibilità nei confronti del Primo Ministro. Ma le polemiche della vigilia avevano lasciato il segno. Proprio Duraković, nei giorni dell'arresto di Naser Orić in Svizzera su mandato interpol richiesto dalla Serbia, aveva detto di non poter garantire la sicurezza di Vučić a Potočari. Il rilascio del comandante della difesa di Srebrenica aveva fatto calare la tensione, ma ormai le parole erano state pronunciate. La vicenda del voto sulla Risoluzione per Srebrenica, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, aveva inquinato ancor più lo scenario. Il Primo Ministro serbo aveva legato la propria partecipazione al respingimento della Risoluzione, perché per la Serbia il termine “genocidio” è inaccettabile. Troppi distinguo.

La folla

Dopo i discorsi tenuti nell'ex base dei caschi blu olandesi, i rappresentanti internazionali si sono spostati nell'area del Memoriale. La folla – più di 50.000 persone - ha cominciato a sussultare. Vučić ha deposto un fiore per le vittime, poi è cominciata l'aggressione. Un gruppo ha spiegato uno striscione con una frase attribuita a Vučić (“Per ogni serbo morto uccideremo 100 musulmani”), e in un attimo sono tornati gli anni '90, con l'aggiunta di qualche sporadico “Allahu Akbar”. Nonostante la difesa delle forze di sicurezza, e gli inviti alla calma immediatamente pronunciati dal reis ulema Kavazović, il leader religioso dei musulmani bosniaci, la scena faceva paura. È diventato immediatamente chiaro che far entrare Vučić, in quell'arena, era stata una leggerezza, e la commemorazione delle vittime di Srebrenica è diventata subito qualcos'altro.
Domani a Srebrenica non ci saranno più né Vučić né gli “eroi” che l'hanno costretto a fuggire, solo un po' di tensione in più nel giorno in cui i serbi commemorano le proprie vittime al Memoriale di Kravica, tra manifesti di Putin e inni alla Republika Srpska.

Un'occasione sprecata

Nei Balcani vige la politica del “Da, ali”, “Sì, però”. È un leit motiv, sia tra la gente comune che nelle posizioni ufficiali. “Anche noi abbiamo commesso crimini, però”. Nella condanna dei crimini di guerra non servono i “però”. Serve la posizione delle Donne in Nero di Belgrado. Anche loro vengono dalla Serbia, e si presentano al Memoriale di Potočari ogni 11 luglio. Con un messaggio semplice: “Solidarietà” con le vittime, e “Responsabilità” per i crimini commessi dalla propria parte. Non si può aspettare che Vučić parli tutto a un tratto come le Donne in Nero, sue oppositrici da sempre. Negli anni '90, lui era parte integrante della politica nazionalista serba che tanti lutti ha provocato nella regione. Proprio per questo, tuttavia, il cambiamento del suo discorso politico è un segnale importante. Non ha certo la limpidezza della posizione delle donne, ma oggi Vučić china il capo di fronte alle vittime di una strage che fino a qualche anno fa, per gran parte delle istituzioni e dell'opinione pubblica serba, non era neppure esistita. Per questo quella di oggi è stata un'occasione sprecata.

11 luglio

L'11 luglio è una data sempre più carica di significati. Il ricordo della più grande strage avvenuta in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale meriterebbe più rispetto, e un profilo più basso da parte dei diversi rappresentanti delle istituzioni coinvolte. Meno chiasso prima, durante, e dopo. Si tratta di seppellire le vittime faticosamente ritrovate e identificate dall'Istituto Internazionale per le Persone Scomparse e dall'apposita commissione bosniaca nel corso dell'anno trascorso, e di manifestare rispetto per loro e i loro familiari. La politica stride in questa giornata. Ci sono famiglie che hanno atteso 20 anni questo momento. Altre continuano a vivere con l'angoscia di non sapere dove sono i resti dei propri cari. Ci sono madri che, perdendo la ragione, vanno sui campi minati alla ricerca delle ossa dei figli, sulla base di semplici voci secondo cui “lì ci potrebbe essere una fossa”. Vučić ha risposto all'aggressione subita oggi in Bosnia con parole di saggezza e moderazione, dichiarando di voler continuare con una politica di mano tesa verso il vicino e di riconciliazione tra Serbia e Bosnia Erzegovina. Potrebbe fare di più. Intervenire presso le istituzioni serbo bosniache perché mettano a disposizione delle famiglie le informazioni sulla dislocazione delle fosse comuni. Mancano ancora quasi 2.000 persone all'appello, e non è possibile aspettare altri 20 anni. La riconciliazione ha bisogno di gesti concreti. La sua presenza, l'anno prossimo, sarebbe accolta in maniera diversa.

---


Governo bosniaco ha imposto che si organizzino indagini

13. 07. 2015. – Il Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina ha imposto al Ministero della Sicurezza di indagare tutte le circostanze che hanno paortato all’attacco contro il premier serbo Aleksandar Vucic a Potocari, nei pressi di Srebrenica, sabato scorso. Il Ministro della Sicurezza della Bosnia ed Erzegovina Dragan Mektic ha detto in conferenza stampa dopo la riunione straordinaria del Consiglio dei ministri a Sarajevo che l’Agenzia per le indagini e la protezione Sipa ha ignorato le richieste dell’aiuto nell’organizzazione della cerimonia commemorativa del ventesimo anniversario della strage. Il coordinamento tra le agenzie della polizia ha funzionato malissimo. I loro membri litigavano tra di loro, ha dichiarato Mektic. Il Governo della Bosnia ed Erzegovina ha ordinato che tutti gli organi della polizia statale collaborino nelle indagini.

---


Agenzia Securitas è stata incaricata della sicurezza durante la cerimonia commemorativa a Potocari

13. 07. 2015. – L’agenzia Securitas, che appartiene a Mirsad Catic, il consulente del lieder dei musulmani bosniaci Bakir Izetbegovic, è stata incaricata della sicurezza durante la cerimonia commemorativa a Potocari nei pressi di Srebrenica, ha riportato la TV della Federazione della Bosnia ed Erzegovina. La procura dello Stato ha organizzato le indagini sull’attacco contro il premier serbo Aleksandar Vucic. Quell’incidente ha dimostrato che i servizi di sicurezza e la polizia della Bosnia ed Erzegovina non sono organizzzati bene, ha riportato la TV della Federazione.

---


Vasic: sono state identificate altre 10 persone che hanno aggredito il premier Vucic 

16. 07. 2015. – Il direttore della polizia della Repubblica serba Gojko Vasic ha confermato a Banjaluka che le indagini della polizia sull’incidente dell’11 luglio a Srebrenica, nel quale è stato aggredito il premier serbo Aleksandar Vucic, hanno dato i primi risultati. Finora sono state identificate venti persone che hanno sicuramente partecipato all’attacco. Le indagini sono dirette dalla procura speciale della Repubblica serba. Scambieremo le informazioni con i colleghi della Bosnia ed Erzegovina e la Serbia, perché deve essere scoperto chi ha partecipato al tentativo di attentato contro il premier Vucic, ha detto Vasic. Il Ministero dell’Interno della Repubblica serba ha già consegnato le relazioni alla procura speciale, nelle quali sono state identificate le persone che hanno preso parte all’attentato contro Vucic dopo la commemorazione delle vittime della strage a Srebrenica.

---


Dacic: Serbia attende relazione ufficiale dalle autorità della Bosnia ed Erzegovina 

17. 07. 2015. – La Serbia continuerà a condurre la politica della riconciliazione e del rafforzamento della stabilità nella regione. L’incidente che è accaduto durante la cerimonia commemorativa in occasione del ventesimo anniversario della strage a Srebrenica, nel quale è stato aggredito il premier Aleksandar Vucic, avrà le conseguenze negative, ha dichiarato il capo della diplomazia serba Ivica Dacic. L’attacco contro il premier Vucic a Potocari, nei pressi di Srebrenica, è uno dei peggiori incidenti nei rapporti tra i due Stati. La Serbia attende la relazione ufficiale al riguardo dalle autorità della Bosnia ed Erzegovina, ha dichiarato il ministro Dacic.


=== 2 ===



JULY 16, 2015

Saturday, July 11th, was the official 20th anniversary of what is called the “Srebrenica Massacre” and “the Srebrenica Genocide,” when Muslim men were killed by Serbian forces in the Bosnian civil war of 1992 to 1995. The Western consensus about what happened at Srebrenica is, like the official history of the Rwandan massacres, disputed by academics, journalists and international criminal defense attorneys including Ed Herman, David Peterson, Michael Parenti, Robin Philpot, John Philpot, Christopher Black, Peter Erlinder, Ramsey Clark, and Diana Johnstone.  Both official histories serve as cornerstones of Western interventionist ideology.

Last week, prior to the July 11th commemoration, Russia infuriated Samantha Power, US Ambassador to the United Nations, by vetoing a Security Council resolution on Srebrenica because it included the word “genocide.” Four Security Council members, Angola, China, Nigeria and Venezuela, abstained. Speaking to the Voice of America, Samantha Power then called all those who disagree with the Western consensus “genocide deniers.”  I spoke to genocide denier Diana Johnstone, author of Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO, and Western Delusions and Queen of Chaos: the Misadventures of Hillary Clinton, coming in September from CounterPunch Books.

Ann Garrison: Diana Johnstone, UN Ambassador Samantha Power calls you a genocide denier, along with Ed Herman, David Peterson, Michael Parenti, and anyone else who’s dared to challenge Western consensus on what happened at Srebrenica in July 1995. What’s your response?

Diana Johnstone: Well, I am very much a genocide denier, and I’m proud of it and I can say why.

AG: Please do.

DJ: Yes, because what happened was not a genocide. Note that denying “genocide” means denying an interpretation, not the facts, whatever they are. There was a massacre of prisoners, whose proportions are disputed. That was a war crime. But it was not genocide. When your victims are military age men and you spare women and children, that cannot be genocide by any sensible definition. The International Criminal Tribunal for Yugoslavia was set up to blame the Serbs for genocide, and they did so by a far-fetched sociological explanation, claiming that because the Bosnian Muslims had a patriarchal society, killing the men would be a sort of genocide in one town. But that is not what people understand by genocide.

AG: Why were Serbians a US target?  And why were Bosnian Muslims favored?

DJ: Well, for one thing, the Clinton Administration and subsequent administrations have had a policy of allying with Muslims all around the world. Partly in a long term anti-Russian strategy which goes back to Zbigniew Brzezinski’s policy of supporting Mujahadeen in Afghanistan. The notion that the soft underbelly of the Russian Empire is Muslim and that they can be used against Orthodox Christians – that’s a long term US strategy going back to Brzezinski’s role in the 1970s.

AG: In the Carter Administration?

DJ: Yes, and so Serbia was seen as a potential Russian ally in the region, as the Serbs are Orthodox Christians, and so that was the reason it was targeted. The story was that Orthodox Christians are the bad guys and the Muslims are the good guys. And that’s been a constant US strategy for the last several decades.

AG: So, you’re saying that the USA is not constantly fighting evil Muslims all over the world?  

DJ: No, it’s fighting the less evil ones. It’s been fighting the ones who are more secular. It was fighting the less fanatic. In Bosnia, the US supported Izetbegovic who was the most Islamist politician among Muslims there, who had written a declaration saying a country with a Muslim majority should be ruled by Islamic law.  It was fighting Gaddafi, whose main enemy was the extreme Muslims, and it got rid of Gaddafi, and now they’re taking over Libya. It attacked Saddam Hussein, who had a secular society, who was hated by the Islamic extremists. And now they’re taking over Iraq. And the United States has been against Assad’s regime in Syria. They have targeted precisely the Muslim regimes which were not religiously fanatic. So of course Islam is divided, so the United States has been killing Muslims, but they have been favoring the most extremist.

There’s another point I want to make and that is that calling Srebrenica a genocide is extremely harmful for more than one reason. Of course we know that the main reason for this has been to justify future wars by saying, “Oh dear, we let this happen in Rwanda. We let this happen in Srebrenica, so we have to have preventive wars to prevent it from happening again.” That’s the ideological pretext used by the United States. But, the fact is that supporting the view that the West stood by – which is a sort of Samantha Power thing –  we just stood by and let the Serbs commit genocide against Muslims is harmful in other ways as well.  That line, which is untrue, is used to recruit people to extreme Islam against the West, which is what is happening in the Middle East. Because they think the West is the enemy, the West supported genocide of Muslims, we are the victims, therefore we are justified. And they’re recruiting young men from all over the world, including Europe, to go and fight the West partly on the basis of that pretext. So it’s very harmful, this lie.

AG: So all of the US attacks on secular states, where Islam is the dominant religion, have led to Islamic fundamentalism and recruitment to groups like ISIS? 

DJ: ​Absolutely, absolutely. And the whole US policy for the past decades has in fact inspired this extreme Muslim radicalism against the West. The notion was that we’ll get the Muslims on our side by supporting them, but it’s worked quite the opposite way because we have weakened the secular Muslim leaders, and with the help of our dear ally Saudi Arabia, which is of course an extremist Muslim state and our close ally in the region.

AG: Would you like to say anything about the controversial figure of 8,000 dead? Global Research published an interview with Ed Herman headlined “The Srebrenica Massacre was a Gigantic Political Fraud,” in which he says that the numbers were inflated without supporting forensic evidence and that there were many massacres in the Srebrenica area, including massacres of women and children in Serb villages.

DJ: Well, I’m very skeptical about this 8,000 number, more than skeptical. I think it’s clearly not true, but I didn’t want to dwell on that because my main point is not so much how many bodies, but the uses of this, the exploitation of it.  And also, the fact that since it was men and boys of military age, this cannot be genocide.  This is the sort of massacre that happens in wars.  Men get killed because of what they are; they’re on the other side.  That’s what it’s all about.  And of course it happened on both sides. This was a war; it wasn’t just Serbs killing Muslims. Muslims were killing Serbs. I mean this was a civil war with two sides fighting.

AG: That is exactly what is ignored about Rwanda. The infamous 100 days in Rwanda were the final days of a four year war of aggression that begin when Ugandan troops invaded Rwanda in October 1990 and then waged a four year war until they seized power in Kigali.  The received story treats the 100 days as though it happened in a vacuum.

Is there anything else you’d like to say about Srebrenica?

DJ: Well, maybe there is one more thing I should have said.

AG: Go ahead.

DJ: That is, it’s very ironic that Bill Clinton is going there as one of the official mourners of the dead at Srebrenica, because a story that is very much circulated outside of mainstream media is that the whole Srebrenica Massacre was a trap that was deliberately laid to lure the Serbs in because Alija Izetbegovic, the Muslim leader, had heard from Bill Clinton that Clinton needed for there to be a massacre of at least 5000 Muslims in order to politically bring the US and NATO into the war on the Muslim side.

That’s in a book by a Bosnian Muslim leader, Ibran Mustafic. The book, however, is in Serbo-Croatian. It was mentioned in a UN report that a lot of Muslims have said that the Srebrenica Massacre was a setup in order to blame the Serbs and get the US and NATO in on the Bosnian Muslim side. That’s been said by a lot of people, and there’s a documentary film about it, but that has been kept out of the mainstream discourse entirely.

AG: Is there documentation that Clinton said that?

DJ:  There’s documentation that Izetbegovic thought he said that. And, remember that they don’t speak the same language. Clinton might have said offhand, “Well, y’know I’d need a massacre of at least 5000 to be politically able to come in,” without really meaning that anyone should stage such a massacre. I’m not accusing Clinton of having ordered the massacre. But on the other hand, it is extremely probable that Izetbegovic, whose whole strategy was to portray the Bosnian Muslims as pure victims, might have taken that up. And he ordered the commander out of Srebrenica. There was no defense there, although there were more soldiers, more Bosnian Muslim soldiers, in Srebrenica than Serbian soldiers who attacked. But they did not defend, they ran away. And this has been interpreted by a lot of Bosnian Muslims as deliberately setting things up in order to have Serb vengeance, because there had been a lot of Serb victims of the Muslim soldiers. They had killed over 3000 Serb villagers in the region. And so, many believe that this was deliberately set up to have the victims that would bring the US in on the Bosnia Muslim side.  Even the French General Morillon said that.

But another reason it was not genocide against Muslims is that the Serbs were allied with another group of Bosnian Muslims on the western side of Bosnia, whose leader was a secular Muslim, Fikret Abdic, who was originally more popular than Izetbegovic, got more votes. So the genocide label is absolutely absurd, and yes I’m a genocide denier because it’s not true.

Diana Johnstone is the Paris-based American author of Fools’ Crusade: Yugoslavia, NATO, and Western DelusionsHer 2005 essay “Srebrenica Revisited,” can be read on the Counterpunch website. From 1979 to 1990, she was the European Editor of In These Times. From 1990 to 1996, she was the press officer of the Green group in the European Parliament.  She is also the author of “The Politics of Euromissiles: Europe’s Role in America’s World,” and her new book “Queen of Chaos: The Misadventures of Hillary Clinton,” will be published by Counterpunch Books this year.  She can be reached at diana.johnstone@....


=== 3 ===

Read also:

All Srebrenica massacre culprits must be punished – Moscow (July 11, 2015)
The opinions of Vitaly Churkin, Sergey Lavrov, Nebojsa Malic
http://rt.com/news/273037-srebrenica-massacre-anniversary-justice/

---


Zuroff: a Srebrenica non è stato commesso un genocidio 

15. 07. 2015. – Il direttore del Centro Simon Wiesenthal Efraim Zuroff ha dichiarato che quello che è accaduto a Srebrenica nel 1995 non è stato un genocidio. La parola genocidio è stata abusata molte volte. Quel termine si abusa anche quando si parla dell’olocausto. L’olocausto è il genocidio. Nessuno desidera che esso accada di nuovo. Quello che è accaduto a Srebrenica non è stato un genociodio perché, tra l’altro, le forze serbe hanno liberato donne e bambini e non li hanno uccisi, ha detto Zuroff.

---

Lettera apparsa sul Messaggero Veneto (Udine) martedì 14/7/2015

SREBRENICA E LA STRADA DEL PERDONO

Perchè si consumò il massacro di 7-8 mila uomini musulmani di Bosnia, a Srebrenica, nel 1995 da parte di milizie serbo-bosniache e di cui si celebra in questi giorni il 20º anniversario? Perchè da Srebrenica erano partite nei mesi precedenti offensive musulmane contro i villaggi serbi della valle della Drina, tra Bratunac e Srbrenica, con stragi efferate di quattromila serbi, 1300 dei quali civili, donne, bambini e vecchi. Questa non vuole essere una spiegazione-giustificazione, ma la storia perversa di una delle troppe vendette incrociate delle guerre balcaniche.Attualmente le stragi contro i serbi sono state cancellate da un nuovo negazionismo occidentale desideroso di solidarietà verso i musulmani . E allora, che fine hanno fatto i quattromila serbi di Sarajevo scomparsi nell'assedio della città e finiti in gran parte nelle gole di Kazany? Quale la sorte dei prigionieri serbi rinchiusi nelle carceri-silos di Tarcin e Celebici vicino Sarajevo? Chi verrà mai punito o accusato per i massacri commessi dai mujaheddin, quei cinquemila combattenti della Jihad islamica arrivati in Bosnia dall’ Afghanistan e dai paesi islamici? Come per le foibe, si tacciono, politicamente e continuamente, molti degli effetti e delle cause della nostra storia. Giorgio Coianiz San Giorgio di Nogaro 

(risponde Sergio Gervasutti)  “Occhio per occhio, e il mondo intero diventerebbe cieco”. Mi è tornata in mente questa massima di Gibran quando pochi giorni fa ho letto che una folla di musulmani inferociti ha cacciato a sassate il premier serbo, Aleksandar Vucic, presente alla cerimonia-omaggio alle vittime del massacro di Srebrenica, dove oltre ottomila musulmani furono uccisi da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Mladic, nella zona protetta che si trovava al momento sotto la tutela delle truppe olandesi delle Nazioni Unite. Naturalmente non si tratta di auspicare che venga fatto silenzio su molti degli effetti e delle cause della nostra storia o che vengano fornite spiegazioni/giustificazioni a vicende aberranti come il genocidio di Srebrenica. È piuttosto un dovere della comunità internazionale perseguire la lunga strada del perdono e della riconciliazione per garantire un futuro migliore ai popoli di quella tormentata regione.

---

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Che Vucic, ex braccio destro di Seselj, capo dei cetnici e del Partito Radicale serbo, sia stato cacciato non è proprio una gran sorpresa. Negli anni della guerra dichiarava in parlamento che "per ogni serbo ucciso uccideremo 100 mussulmani", quindi mi pare che le pietre se le sia più che meritate. Il problema è che le stesse pietre se le meritano i governanti di TUTTI i paesi dell'ex Jugo. Oggi, dopo aver mollato Seselj, Vucic è capo del governo e capo di un nuovo partito - il Partito  Progressista Serbo - sostenitore dell'adesione alla UE, di politiche di "stabilizzaizone" (taglio del 10% di pensioni e salari) e della privatizzazione del privatizzabile e quindi "coccolo" dell'occidente. Un parafascista prima, un parafascista anche peggiore ora. 
Dall'altra parte non ci sono (stati) solo i mujaheddin arabi, arivati da tutto il mondo mussulmano, ma anche la pesante ingerenza del wahabismo saudita, quello a cui si ispira lSIS. Questi cercano di diffondere - senza gran successo per fortuna - in Bosnia il mussulmanesimo militante e integrale, armato e parafascista, e molti di loro sono a combattere proprio con l'Isis. Tollerati e sostenuti dall'"islamismo moderato" del presidente Izetbegovic, figlio dell'ex presidente messo giustamente in galera all'epoca della  Jugoslavia (come Seselj tra l'altro) per sciovinismo e incitamento all'odio etnico e religioso a causa di un suo papello. Sia gli uni che gli altri funzionali al progetto di distruzione della Jugoslavia che ha visto il sostegno a tutte le frangie più estreme del nazionalismo(come avviene oggi in Ucraina in forma anche più estrema) dei suoi vari popoli da parte di UE e USA. Con un continuum di demonizzazione del popolo serbo che non conosce tregue e che non può che alimentare il nazionalismo serbo. Oggi TUTTI i paesi nati dall'ex Jugoslavia sono in mano a vere e proprie bande di criminali. E che coloro che li hanno sostenuti nelle guerre "etniche" nella  ex Jugo in nome del "diritto di autodeterminazione dei popoli" e che li hanno messi al potere oggi cerchino di ribaltare la frittata fa ancora più voltare lo stomaco. 
La vera pacificazione avverrà quando i vari popoli faranno i conti con i vari responsabili locali della guerra e della rapina dei beni sociali/statali (che chiamano pudicamente privatizzazioni) che li ha portati in condizioni di vita indescrivibili rispetto a prima. Perché tra le bande che si sono spartite il controllo di quanto si poteva arraffare oggi la "pacificazione" sta effettivamente avvenendo sulla base del reciproco riconoscimento del loro diritto al bottino e a sfruttare i "loro" popoli. 
Quanto a Smuraglia da lui non ci si poteva aspettare altro che la difesa dei "diritti umani" nel nome dei quali le guerre sono state fatte, in particolare in nome del "diritto umano" a privatizzare tutto. 

Sandi Volk






(srpskohrvatski / italiano)

Privatizzazione delle telecomunicazioni in Serbia

1) Nema nade za Međunarodni radio Srbija (Radio Jugoslavija) / Governo spegne la Radio Internazionale della Serbia!

2) Београдски Форум: Не отуђујте Телеком / Зна ли ико шта у Србији није за продају? (Il Forum di Belgrado contro la privatizzazione di Telekom Srbija)


=== 1 ===


Governo spegne la Radio Internazionale della Serbia!

Gentili ascoltatori, il Governo serbo ha deciso che il 31 luglio la Radio Internazionale di Serbia – la Radio Jugoslavia cesserà di esistere. In questo modo sarà interrotta la nostra lunga collaborazione con Voi. Sarà interrotta anche la tradizione delle nostre trasmissioni per la diaspora serba e tutto il mondo, nelle quali venivano riportate in dodici lingue le notizie politiche ed economiche e gli articoli sulle offerte turistiche della Serbia e l'ex Jugoslavia, le loro bellezze naturali e la cultura. Le trasmissioni della Radio Internazionale di Serbia – la Radio Jugoslavia venivano trasmesse su onde corte per più di settantanove anni.

---

Izjava premijera Vučića o Radio Jugoslaviji (Glas Srbije, 19 giu 2015)


---


Nema nade za Međunarodni radio Srbija (Radio Jugoslavija)

Pon, 29/06/2015

Novi krajnji rok za privatizaciju medija biće 31. oktobar 2015. godine, utvrđeno je izmenama Zakona o javnom informisanju i medijima koje je danas usvojila Skupština Srbije. I pored burne rasprave i nekoliko amandmana kojima se zahtevalo da se i za Radio Jugoslaviju rok produži do 31. oktobra, poslanici nisu prihvatili taj predlog. 

Rešenost Ministarstva kulture i informisanja da se izmene zakona usvoje baš onako kako su oni predložili bila je jasna još na samom početku sednice kada smo saznali da Vlada nije prihvatila ni jedan od 35 predloženih amandmana. 

Tri amandmana odnosila su se na naš radio i pojedini poslanici i vladajuće koalicije i opozicionih SDS i Pokreta za preokret tražili su da se našem radiju takođe pruži šansa za dogovor o opstanku. 

Najduže i sa najviše argumenata svoj amandman branila je šefica Poslaničkog kluba SPS Dijana Vukomanović koja je podsetila na značaj informisanja svetske javnosti i dijaspore na 12 jezika. Vukomanović se založila da ministar još jednom razmisli o tome da sačuva ovaj medij čiji su troškovi višestruko manji od državne agencije Tanjug, ali odgovor je bio nedvosmislen. 

Ministar Ivan Tasovac je istakao da je ovo digitalna era, da je kratki talas stvar prošlosti, da je bilo spremnosti za dogovor ali rešenja nisu pronađena. Da ne bi bilo dileme, ministar je podvukao da zaposlenima ne treba pružati lažnu nadu i da će, doduše uz skroman socijalni program, svih 96-oro zaposlenih od 1. avgusta ostati bez posla. 

O našem radu govorila je i predsednica Odbora za kulturu i informisanje Vesna Marjanović iz DS koja je tražila ravnopravan tretman za zaposlene i pitala zašto novinari lokalnih medija ili Tanjuga imaju veća prava od novinara državnog radija. 

I samostalni poslanik Pokreta za preokret Janko Veselinović branio je amandman između ostalog pitanjem ko će dobiti kratkotalasnu frekvenciju Srbije, ali na to pitanje nije dobio odgovor. Jedino se zna da će o imovini našeg radija naknadno odlučiti Vlada Srbija. 

Poslanici Srpske napredne stranke podržali su gašenje našeg radija i sami priznajući da ne znaju tačno o čemu je reč. Sa druge strane bilo je primetno da su se naprednjaci zdušno založili za opstanak Tanjuga, po mogućstvu u državnom vlasništvu. 

Tako je i ova Vlada, kao i sve vlade posle 2000. godine pokazala da ima interes samo za unutrašnjopolitičko delovanje, dok je promocija zemlje u svetu ne interesuje previše. Poslanicima je predočeno da su mnoge ličnosti iz sporta i kulture kao i brojni slušaoci potpisali peticiju za očuvanje radija, ali to na njih nije uticalo. Zaposleni u Radio Jugoslaviji nisu ni prvi ni poslednji koji će na svojim leđima osetiti težinu izreke „Riba smrdi od glave, ali se čisti od repa“.

Mirjana Nikolić



=== 2 ===

http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/728-ne-otudjujte-telekom.html


Једно од дуже време актуелних питања је – продати или сачувати Телеком Србија. Оно има велики стварни и симболички значај. Стварни отуда што се ради о једном од највећих, највреднијих и најпрофитабилнијих предузећа у Србији и на Балкану, а симболички јер је однос према будућности Телекома у великој мери открива будући однос према читавом јавном сектору, према комуникацијама као привредној грани, индустрији телекомуникационе опреме, домаћој науци у тој области, кадровима, све до појединих аспеката државне безбедности.

Влада је јасно опредељена за продају Телекома. Једини услов је да постигне добру цену. Која је то добра цена, ко и на који начин ту цену утврђује, није сасвим јасно. Председник Републике Томислав Николић не би волео да се Телеком прода и у том смислу, ближи је расположењу јавности, односно, грађана који су га изабрали и стручњака из Србије, али истовремено сумња да је у праву најављујући «објективну анализу» «квалитетне одиторске (иностране?) куће», и у том смислу, подржава план Владе. Према медијима, он је изнео овакав став:

«Лично бих волео да не продамо Телеком, али увек постоје разлози који могу да разувере да та мисао, без објективне анализе, није исправна, зато ће бити ангажована квалитетна одиторска кућа».

Београдски форум за свет равноправних као независно, нестраначко и непрофитно удружење грађана придружује се јавним апелима грађана, удружења и независних стручњака из Србије да српске власти не продају Телеком већ да учине све што је у њиховој одговорности да се та моћна фирма и полуга развоја Србије даље развија и јача у технолошком, организационом и профитабилном правцу. Ево наших разлога:

  1. То је једна од најбољих и најпрофитабилнијих фирми у власништву Србије коју су развијли, којом и данас управљају домаћи стручњаци из које извиру значајни приходи буџету Србије. Не може бити боље за Телеком, ако државно руководство прима здраво за готово да су стране одиторске куће објективне, а страни власници и страни стручњаци боља и већа гаранција за напредак Телекома, него домаћи;
  2. Телеком је један од ретких сачуваних гиганата српске науке и технике. Може ли властима бити све једно да отуђе један од симбола модерне Србије? Телеком је до данашњих дана остао изузетно значајан фактор развоја домаће науке, технике, индустрије и кадрова који заједно баштине достигнућа српског и светског генија Николе Тесле.
  3. За озбиљну државу систем као што је Телеком, поред привредног и фискалног, има непроцењив значај за безбедност земље. Продаја таквог система странцима, па чак и његовог дела, значила би неразумевање ризика за државне интересе и заштиту важних људских права грађана;
  4. Очување и развој јавног сектора привреде битан је услов демократије. Да није тако не би владе земаља најстаријих европских демократија чувале и развијале јавни сектор, укључујући сектор телекомуникација.
  5. Зар се рупе у буџету не могу крпити ликвидирањем партократије и повећањем производње, а не ликвидирањем јавног сектора привреде!? Није искрено, нити одговорно говорити да би новац од продаје јавног сектора ишао у инвестиције.  Зашто Србија селила капитал из Телекома као најпродуктивнијег и најперспективнијег системати у неке друге секторе?
  6. Ако је истина да Телеком може још профитабилније да функционише, да се још брже модернизује – то нису разлози да се предаје другој државној компанији, страној држави, већ прави разлог да се Телеком задржи као јавни сектор?
  7. Ако би се приватизациј и даље прилазило као догми, божјој заповести, ако би се приватизовало све што у било којој области економије и надградње постоји у Србији ко би нас и на који начин заштитио од приватизације националног и духовног идентитета, од приватизације људи, њихових личних живота, индивидуалности и слободе?!
  8.  Како то изгледа кад власт јавно саопшти народу да њена одлука о продаји Телекома зависи само од тога да ли се за Телеком може добити добра или лоша цена, а не од мишљења народа да ли уопште треба продавати најбољи део народне имовине, државним, али страним, компанијама! А притом се чека само да страни «објективни» одитор саоппшти најбољу цену, да се влада похвали а народ да то прими са одушевљењем! Или са уверењем да се то мора. Телеком се продаје искључиво «за најбољу могућу цену». И то са Телекомима Републике Српске и Црне Горе. У пакету. Нека се туђе државе, односно, туђе државне компаније муче модернизацијама, реорганизацијама и рационализацијама, нисмо ми за то. А и тако је, у крајњој линији, све што буду радиле «у најбољем могућем интересу Србије и наших грађана».
  9. Апсолутна приватизација, је апсолутни приоритет. Продати све и то што пре. На највишем нивоу. Као што смо и неке друге државне послове брзо и за Србију и наше грађане на најбољи могући начин завршили. Обећали смо, то што обећамо и извршимо. Имамо и записано у поглављима која само што нису отворена. Да, и у ИПАПУ. Зашто бисмо ми то иначе обећали и потписали НАТО-у да све није добровољно, транспарентно, без ичијег притиска, «у најбољем интересу наших грађана»!
  10. Не као претходни режими. Не повлађујемо никоме, не размишљамо нити се оптерећујемо да ли ће нас неко у Србији похвалити за то. А, било би и превише комплимената! Довољно је то колико нас сви хвале – од Ерштонове и Могеринијеве, преко Нуландове и Меркелове. Све даме, све штедљиве на речима, а толико комплимената!
  11. Уосталом, ми смо предвидиви, тј. водимо предвидву политику. Ништа не треба да изненађује. Одлучујемо заједно на седницама владе којима присуствују и наши пријатељи из Брисла, Вашингтона, Лондона...! Ко не може да присуствује, јави телефоном, или писмено пошаље своје ставове. То је храбро, државнички одговорно, европски далековидо.
  12. Кад год били, редовни или ванредни, избори се неумитно приближавају, па није баш најбоље да продаје буду уочи самих избора. Далеко је биље док смо још у фул сфингу. Осим, ако не будемо у могућности да уочи избора стварно обезбедимо повећање плата и пензије. Тада је мање важно када ћемо спровести «тотал сејл».
  13. Замишљена ликвидација јавног сектора Србије није приватизација, већ подржављење. Ко још верује да је предаја најбољега што Србија има страном државном сектору приватизација и државни интерес Србије?
  14. Ако власт, како најављује, распрода све преостало - Телеком, ЕПС, ПКБ, Дунав осигурање, фабрике оружја и војне технике, руднике, шуме, бање, пољопривредно земљиште, посебно, ако под видом приватизације, српску јавну (државну) привреду, предаје у руке страним државним или мултинационалним корпорацијама – чиме ће управљати, којим полугама ће чувати суверенитет, посебно економски, и територијални интегритет? Или су за српску власт све то превазиђене категорије? Посебно у ери растућег поверења и подршке западних пријатеља према Србији, све већег уважавања српских интереса у региону и убрзаног отопљавања глобалних односа у Европи8 и свету?

БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ

Београд, 03. Јула 2015.


---


У јавности Србије дуже време присутно је питање продаје Телекома Србија. Оно има стварни и симболички значај. Стварни - јер се ради о једном од највреднијих и најпрофитабилнијих предузећа у Србији и на Балкану, а симболички јер однос власти према судбини Телекома открива однос према читавом јавном сектору, па и према вредностима уопште.

Влада је јасно опредељена за продају Телекома. Једини услов о коме говори је - да постигне «добру цену». Која је то «добра цена» није јасно. Председник Републике Томислав Николић каже да не би волео да се Телеком прода чиме показује свест о већинском расположењу грађана и стручњака који су против продаје. Међутим, у истој реченици Председник изражава и сумњу у ту «мисао» и указује да је потребна «објективна анализа» «квалитетне одиторске куће». Чије? Дакле, и његов став зависи само од цене. Да ли Телеком уопште треба да се продаје, или не ни за њега није спорно. Према медијима, он је, пре пар дана, изјавио:

«Лично бих волео да не продамо Телеком, али увек (стварно?) постоје разлози који могу да разувере (кога?) да та мисао (чија?), без објективне анализе, није исправна, зато ће бити ангажована квалитетна одиторска кућа» (за кога?).

Пред јавношћу се отвора питање: Да ли је власт спремна да (рас)прода све што Србија поседује ако може добити новац, поглавља, магични датум, «стратешког партнера», атест «реформатора»? Другачије речено – постоји ли било шта вредно у Србији што власт не би продала ни за какву цену? На пример, због независности, суверенитета и интегритета, због дигнитета, самосталности, одбране, безбедности, поштовања Устава? Постоји ли црвена линија или листа материјалних или нематеријалних вредности које власт неће продати за било коју цену, које, једноставно, нису за продају, трампу или «дил»?

Београдски форум за свет равноправних као независно, нестраначко и непрофитно удружење грађана придружује се јавним апелима грађана, удружења и независних стручњака из Србије да српске власти не продају Телеком већ да учине све што је у њиховој одговорности, да се та моћна фирма која је и стратешки ослонац привредног развоја земље, даље развија и јача у технолошком, организационом и профитабилном смислу. Ево наших разлога, који нису само наши:

Телеком је једна од најбољих и најпрофитабилнијих фирми у власништву Србије коју су развијали, којом и данас управљају, домаћи стручњаци и која обезбеђује значајне приходе буџета Србије. Телеком је ојачан куповином Телекома Републике Српске и Телекома Црне Горе што јача улогу Србије у регионалном саобраћају и развоју. Није упутно да државно руководство прихвата здраво за готово да су стране одиторске куће објективне, а страни власници стручњаци или саветници боља и већа гаранција за напредак Телекома и Србије, него домаћи;

Телеком је до данашњих дана остао изузетно значајан фактор развоја домаће науке, технике, индустрије и кадрова који заједно, поред осталог, баштине и достигнућа српског и светског генија Николе Тесле. Такву улогу треба да има и у будуће, али као део јавног сектора Србије, а не као део јавног сектора било које стране државе чији привредни и други интереси, логично, нису и не могу бити једнаки са интересима Србије.

Поред привредног и фискалног, Телеком има велики значај и за безбедност земље. Продаја таквог система странцима, па чак и његовог дела, значила би да Влада Србије потцењује ризике за шире државне интересе и заштиту важних људских права грађана уколико се тај систем прода страном власнику;

Очување и развој јавног сектора привреде битан је услов демократског, социјалног и културног развоја друштва. Да није тако не би владе земаља најстаријих европских демократија чувале и развијале сопствене јавне секторе, посебно секторе телекомуникација.

Непокривене расходе буџета треба смањивати ликвидирањем партократије, а не ликвидирањем јавног сектора привреде!? Није искрено, нити одговорно тврдити да би се новац од продаје јавног сектора инвестирао у друге секторе. То је обмана. Зашто би Србија селила капитал из Телекома као доказано најпрофитабилнијег и најперспективнијег система у неке друге секторе?

Нико не спори начелну потребу да пословање Телекома буде још профитабилније, организација рационалнија а модернизација бржа, али то нису разлози за продају најбоље, стратешки значајне домаће компаније туђој државној компанији, страној држави, већ разлог више да се Телеком задржи у власништву Србије уз предузимање одговарајућих мера.

Апсолутна приватизација је апсурд. То није начин да се исказује лојалност, предвидивост ни према ЕУ, ни Немачкој (уочи посете Ангеле Меркел), ни ММФ-у, ни НАТО-у (упркос обавези потписаној ИПАП-ом). Најмање – према Србији. Да ли Влада има икакве црвене линије шта у Србији није на продају без обзира на процене «квалчитетних одитора» и цену, или сматра да је то излишно, да је тржиште једини регулатор и гарант напретка? Ако би се приватизацији и даље прилазило као догми, ако би се приватизовало све што у било којој области економије и надградње постоји у Србији - ко би нас и на који начин заштитио од приватизације националног и духовног идентитета, од приватизације људи, њихових личних живота, индивидуалности и слободе?! Логика да су странци, страни стручњаци, страни саветници, страни власници, страни медији, стране банке, страни учитељи и проценитељи - да је све страно, посебно ако долази са једне, одређене стране света - боље за Србију него домаће, могла би нас довести у апсурну ситуацију да и директно управљање судбином Србије као државе, предамо у руке «паметнијих» странаца. 
Често из врха чујемо - што обећамо то извршимо. Предвидиви смо! А знамо ли шта се то обећава, односно, шта се и коме може обећати? Може ли се, на пример, другоме обећати комад јавног сектора, реке, језера, државне територије? Може ли се коме обећати промена Устава, федерализација или кантонизација Србије? 
Уместо грађане, Влада више слуша стране саветнике попут Тони Блера, или Гузенбауера и тзв. цивилни сектор који финансирају страни центри моћи, него своје грађане и српске стручњаке! Недавно, успут, чусмо и то да у државном врху имамо и саветнике из Немачке! Откуда тај нагон наше елите да се хвалише странцима, страним саветницима, да представнике најутицајнијих чланица НАТО-а јавно производи у највеће пријатеље Србије и српског народа?! Није ли то мало превише? Водимо ли рачуна о логици, чистоћи и јасноћи српског језика у коме се одувек зна по чему се разликују пријатељи од непријатеља, како се стичу пријатељи, а како постају непријатељи? Шта су нам представници оне огромне већине других земаља које српски државни врх не стиже ни да помене – ни по добру, ни по злу? Шта смо ми њима? Кога и шта ценимо?

Замишљена ликвидација јавног сектора Србије није приватизација, већ подржављење. Продаја српских државних фирми страним државама – тешко се може назвати приватизацијом. Такве продаје јесу у државном интересу, али страних држава, не Србије!

Ако власт, како најављује, распрода све преостало - Телеком, ЕПС, ПКБ, Дунав осигурање, фабрике оружја и војне технике, руднике, шуме, бање, пољопривредно земљиште, посебно, ако под видом приватизације, српску јавну (државну) привреду, преда у руке страним државним или мултинационалним корпорацијамапоставља се питање – чиме ће Србија, њене институције и грађани управљати, којим полугама ће чувати суверенитет, посебно економски, територијални интегритет и независност? Продаћемо или ликвидирати и «Радио Србију». Оставићемо страним државним медијима као што су, на пример, ББЦ, Глас Америке, Дојче Веле да и даље шире «истину» о Србији, о Косову и Метохији, о Републици Српској, људским правима. И тако су се показали и даље се показују добронаклоним, пријатељским и објективним према Србији и српском народу!

Ако је све напред овлаш поменуто за српску власт превазиђено, из старог вредносног система, откуда нам онда модрице по лицу и цеваницама, откуда несвестица и несаница? Ко нам и одакле ових дана шаље злослуте поруке – у виду савета, резолуција и каменица? Ко Србију и за чији рачун омекшава, ко је и зашто кињи и кажњава? Докле? Пријатељи, хуманисти, избавитељи!?


БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ
Београд, јули 2015.





Islamisti servi della NATO, dalla Cecenia all'Ucraina

1) N. Lilin: L'altra faccia della democrazia ucraina: il terrorismo Ceceno made in USA
2) G. Bensi: I ceceni e la guerra ucraina 
3) E. Piovesana: Ucraina, rispunta l’alleanza nazi-islamica. L’Isis a fianco delle brigate neofasciste
4) W. Engdahl: Putin dichiara che il terrorismo in Cecenia e nel Caucaso russo è stato attivamente sostenuto dalla CIA ...


Si vedano anche:

La gioia di Kiev per gli attentati a Grozny: “apriamo un secondo fronte contro Mosca” (di Fabrizio Poggi, 6 Dicembre 2014)
(Nella foto, un gruppo di neonazisti ucraini in Cecenia alcuni anni fa)

ISIS in Ukraine. Kiev and the jihadists: a dark alliance (by Justin Raimondo, March 06, 2015)
http://original.antiwar.com/justin/2015/03/05/isis-in-ukraine/
ITAL.: L’Impero del Caos si installa in Europa. Lo Stato Islamico in Ucraina (Justin Raimondo, 6 marzo 2015)
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=635:l-impero-del-caos-si-installa-in-europa-lo-stato-islamico-in-ucraina&catid=2:non-categorizzato
oppure https://aurorasito.wordpress.com/2015/03/09/lalleanza-kiev-stato-islamico/
FRANC.: L’Empire du Chaos s’installe en Europe. L’ État islamique en Ukraine (Par Justin Raimondo – Le 6 mars 2015 – Source Antiwar.com)
http://lesakerfrancophone.net/lempire-du-chaos-sinstalle-en-europel-etat-islamique-en-ukraine/

Islamic Battalions, Stocked With Chechens, Aid Ukraine in War With Rebels (by A.E. Kramer, The New York Times, July 7, 2015)
Wearing camouflage, with a bushy salt-and-pepper beard flowing over his chest and a bowie knife sheathed prominently in his belt... the man who calls himself “Muslim,” a former Chechen warlord, could not wave them over for more tea...
Le truppe d’assalto dell’Occidente democratico (PTV news 8 luglio 2015)
L’ISIS in Medio oriente, islamisti ceceni e neonazisti in Ucraina. Sono queste le unità d’élite dell’Occidente democratico...
http://www.pandoratv.it/?p=3629
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=FdLgDnMWaq8


=== 1 ===


Il vento dell'Est
di Nicolai Lilin, 3 feb 2015 

L'altra faccia della democrazia ucraina: il terrorismo Ceceno made in USA

Più leggo le notizie della guerra in Ucraina, più mi sembra evidente il legame con le dinamiche delle guerre che avevano scosso la Russia e altri paesi dell'ex URSS negli anni Novanta. Ma soprattutto è chiaro che l'Impero Oscuro, ovvero gli Stati Uniti d'America, si trova in tali difficoltà da buttare sulle barricate tutte le riserve terroristiche di cui dispone, facendo un'unione inconcepibile tra neonazisti ucraini, lettoni, estoni, lituani e polacchi, tra mercenari provenienti da ogni dove e terroristi wahabiti di varie provenienze.

Ieri è stata comunicata dalle agenzie sia novorosse che ucraine la morte del terrorista ceceno wahabita Isa Munaev. Era a capo di un battaglione pro ucraino di mercenari internazionali, composto in gran parte da ceceni wahabiti. Mi torna subito come alcuni nostri giornalisti per mesi hanno bombardato l'opinione pubblica italiana di le notizie false, raccontando di come i terroristi ceceni avessero invaso l'Ucraina insieme all'esercito russo. A quanto pare è l'esatto opposto, i terroristi ceceni combattano per il governo ucronazista di Kiev, ma di questo, stranamente, qui nessuno ne parla. Il battaglione del terrorista Isa Munaev partecipava, insieme all'esercito ucraino, all'operazione punitiva nel Donbass. Fedele alleato di USA e Ucraina, è caduto sotto i colpi delle milizie partigiane novorusse.

Per farvi capire meglio chi era Isa Munaev, ricordo solo che era ricercato in Russia per aver commesso crimini contro l'umanità durante la guerra in Cecenia. Aveva trovato rifugio in Europa, così come altri membri di Al-Qaeda, protetti e mantenuti dalle strutture non governative al soldo di oligarchi ultra-liberisti come George Soros.

Munaev era legato alle cellule terroristiche cecene che si sono macchiate di crimini contro l'umanità, come la strage al teatro Dubrovka di Mosca (Ottobre 2002) e la strage alla scuola di Beslan (Settembre 2004).

Quando nei miei libri dedicati alla guerra in Cecenia spiegavo che gli Stati Uniti hanno creato il terrorismo islamico nel Caucaso per destabilizzare la Russia, alcuni esponenti della politica atlantista "democraticamente" mi avevano accusato di, per dirla in modo pacato, non essere credibile. Oggi, a distanza di pochi anni dall'uscita del mio libro "Caduta Libera" che parla della guerra in Cecenia, tutti noi assistiamo ad una guerra molto simile, che si svolge nel cuore dell'Europa. Di nuovo di fronte a noi si apre uno spettacolo osceno: la morte, la disperazione, il dolore e tanta, tantissima rabbia. Però, se lasciamo da parte i sentimenti e cerchiamo di analizzare lo scenario, che analogie troviamo con il conflitto ceceno? I neonazisti di vari paesi europei, i terroristi wahhabiti ceceni che si trovano da anni in esilio in Occidente, gli Stati Uniti d'America con il premio Nobel per la pace in testa e tra gli altri anche il nostro premier Renzi con il suo fedele PD (loro governano l'Italia, sono quindi responsabili di aver mandato in Ucraina i veicoli da guerra con i quali i terroristi atlantisti ammazzeranno sempre più civili) conducono il genocidio del popolo ucraino, cercando di coinvolgere la Russia nella guerra e con questo salvare dall'inevitabile crollo l'ormai da decenni marcia e speculativa economia statunitense. Tutto come è avvenuto in Cecenia: una parte del popolo per mezzo di propaganda e i soldi rivolta contro i propri fratelli, con provocazioni e terrorismo scatena una guerra feroce e dietro a questo terribile conflitto si stanno svolgendo le trattative commerciali tra le più significative sul pianeta.

Io mi chiedo, ma quante altre prove servono al mondo moderno per comprendere tutto il pericolo del neonazismo atlantista? Quanto sangue degli innocenti deve ancora scorrere, prima che i sordi e ciechi dei vari partiti che si autodefiniscono "democratici" si accorgano che sono sfruttati dai politici corrotti, dai despoti sanguinari, servi dei poteri ultra-liberisti che incarnano la peggior espressione feudo-capitalista che il mondo abbia mai conosciuto?

http://lifenews.ru/mobile/news/149302

http://uapress.info/ru/news/show/59887


=== 2 ===


I ceceni e la guerra ucraina 

di Giovanni Bensi, 18 marzo 2015

Isa Munaev, comandante a Grozny durante la seconda guerra cecena, recentemente è morto nel Donbass. Era a capo di un battaglione pro-ucraino titolato a Dudaev
Circa un mese prima dell’assassinio di Boris Nemtsov, e precisamente il 1 febbraio 2015, da Londra, dove vive in esilio da parecchi anni, Ahmed Zakaev, ex capo del governo ceceno secessionista e successore di Doku Umarov, ha reso pubblico un comunicato nel quale annunciava che in quello stesso giorno era caduto in Ucraina Isa Munaev, generale di brigata dell’esercito ceceno clandestino, cioè della Repubblica Cecena di Ičkeria (RČI) o Cecenia separatista. Nel suo annuncio Zakaev si profondeva in elogi delle capacità militari del defunto e in ricordi delle battaglie comuni in nome dell’indipendenza cecena. 
Zakaev così descriveva la carriera di Isa Munaev: “Con l’inizio della seconda guerra russo-cecena Isa Munaev fu nominato dal presidente della RČI Aslan Maskhadov comandante della capitale cecena. Isa Munaev diede prova di sé come esperto comandante durante la difesa di Grozny nel 1999-2000”. Poi nel documento venivano presentate le sincere condoglianze a nome del governo della RČI e personali ai parenti e familiari del caduto. 
Ahmed Zakaev, Isa Munaev e Aslan Maskhadov ai tempi delle guerre cecene furono uniti dalla comunanza dei fini, cioè l’indipendenza della repubblica nord-caucasica di Cecenia. Aslan Maskhadov, trionfatore militare della prima guerra cecena, fu eletto presidente della Cecenia il 27 gennaio 1997 e venne poi ucciso l'8 marzo 2005 durante un'incursione delle forze russe alla periferia della capitale cecena. In quegli anni Maskhadov e Zakaev collaborarono strettamente nella lotta armata contro le truppe di Mosca e Isa Munaev fu ministro degli Interni e comandante militare di Grozny.
Quest'ultimo però finì per entrare in conflitto con Maskhadov circa i limiti della guerra anti-russa dei ceceni. Mentre Maskhadov intendeva mantenere il conflitto nell’ambito nord-caucasico, Munaev sosteneva che i ceceni dovevano essere presenti ovunque si aprisse un fronte anti-russo.
Durante la seconda guerra cecena, tra il 1999 e il 2000, Isa Munaev dopo aver subito una grave ferita lasciò il paese e ottenne asilo in Danimarca. Dalla Danimarca organizzò nel 2009 il movimento Svobodnyj Kavkaz (Caucaso Libero) e nel marzo 2014 costituì il battaglione di volontari “Dzhokhar Dudaev” di cui egli subito assunse il comando schierandosi nella guerra in Ucraina orientale a fianco delle forze governative (anti-russe).
Nel giugno scorso Munaev lanciò un videoappello in cui accusava la Russia di “genocidio” a carico dei ceceni negli anni della guerra nel Caucaso. In risposta a questo appello l’attuale capo della Cecenia, Ramzan Kadyrov emise un mandato di cattura contro Munaev e dichiarò di essere pronto ad inviare volontari ceceni nel Donbass con lo scopo di eliminarlo. Infine, il 1 febbraio 2015, la notizia della morte del generale ceceno, annunciata da Zakaev e confermata da Semjon Semenčenko, comandante del battaglione ucraino (antirusso) "Donbass”.
Secondo Ramzan Kadyrov il “generale di brigata dell’Ičkeria” Isa Munaev sarebbe stato eliminato per incarico dell’SBU (Servizi di sicurezza dell’Ucraina anti-russa) e dalla CIA. Quella fornita da Kadyrov non è però certo l’unica versione della morte di Munaev che circola in Cecenia. Secondo un’altra versione, Isa Munaev sarebbe morto in seguito a spari di bazooka nei pressi di Debaltsevo. Questa è almeno l’opinione espressa sulla sua pagina Facebook da un compagno del comandante ceceno, Idris Sultanov.
Gi appartenenti al battaglione di Munaev non sono gli unici cittadini ceceni coinvolti nel conflitto ucraino. Nel giugno 2014 il leader ceceno Kadyrov ammise in un’intervista al programma “Nedelja” del canale REN-TV che 14 ceceni stavano combattendo in Ucraina sud-orientale, al fianco dei separatisti,  sottolineando però che si trattava esclusivamente di volontari, giunti "obbedendo al richiamo del cuore”. ”Vi dico ufficialmente – aggiunse allora Kadyrov  - che non ho mandato laggiù nessun ceceno. Ma se venisse l’ordine, nel nostro paese ci sono 74.000 ceceni che sono pronti a partire per fare ordine sul territorio dell’Ucraina”. 
Dopo la morte di Munaev, Kadyrov si è rivolto ai possibili simpatizzanti pro-ucraini e dal suo profilo Instagram ha esortato "coloro che per mezzo dell’inganno sono stati attratti da Munaev nell’avventura dei fascisti ucraini” a fermarsi. "Questa – ha continuato il capo della Cecenia – non è la nostra guerra. Tornate urgentemente a casa”. E Kadyrov ha concluso con una frase minacciosa: "Non si consentirà a nessuno di lasciare da vivo il campo di battaglia”.
Munaev è stato sepolto l’8 febbraio scorso a Dnepropetrovsk, in Ucraina.


=== 3 ===


Ucraina, rispunta l’alleanza nazi-islamica. L’Isis a fianco delle brigate neofasciste

Il New York Times conferma il sodalizio militare di jihadisti e brigate ucraine contro i separatisti filorussi. Era già successo durante la Seconda Guerra Mondiale con le divisioni islamiche di SS croate, bosniache e albanesi. "L'alleanza rischia di aprire la porta alla Jihad in Europa"

di Enrico Piovesana | 10 luglio 2015

Battaglioni islamici di jihadisti legati all’Isis combattono in Ucraina a fianco delle brigate ucraine neofasciste contro i separatisti filorussi. Lo rivela il New York Times, confermando le notizie che circolano da tempo sulla preoccupante piega che sta prendendo il fronte governativo sostenuto da Europa, Nato e Stato Uniti. Nelle ultime settimane gli scontri si sono intensificati lungo tutta la linea del fronte e Kiev sta rafforzando le difese intorno a Mariupol nel timore di una massiccia offensiva dei ribelli filo-russi contro questa strategica città portuale sul Mar Nero, ultimo bastione che separa il Donbass dalla Crimea. Proprio qui, secondo il quotidiano statunitense, starebbero affluendo i combattenti jihadisti filo-ucraini.

Non potendo fare affidamento sull’esercito regolare di coscritti, male equipaggiati e demotivati, il governo di Petro Poroshenko si affida sempre più alle milizie paramilitari di volontari dell’estrema destra neonazista, più combattive, meglio armate e finanziate privatamente da ricchi oligarchi ucraini: dai battaglioni Azov – recentemente inquadrato nella Guardia Nazionale addestrata dagli americani – alle brigate di Settore Destro di Dmytro Yarosh, nominato in aprile consigliere dello stato maggiore della Difesa.

E’ in quest’ultima formazione, secondo il New York Times che, con il benestare del governo di Kiev, vengono inquadrati i volontari jihadisti che affluiscono, sempre più numerosi, dal Caucaso russo e dalle repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Sono state formate tre unità di combattenti islamici anti-russi: la ‘Dzhokhar Dudayev’ e la ‘Sheikh Mansur’, dove prevalgono ceceni, daghestani e uzbechi, e la ‘Crimea’, composta prevalentemente da tatari originari di quella regione. Insomma, una riedizione dell’alleanza nazi-islamista nata nei Balcani in funzioni anti-sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale con le divisioni islamiche di SS croate, bosniache e albanesi.

La maggioranza dei combattenti islamici che combattono sotto le insegne rosso-nere degli utranazionalisti ucraini di Settore Destro sono di origine cecena. Alcuni di loro provengono dalla ‘vecchia guardia’ nazionalista e laica della diaspora europea, come il noto Isa Munaev, comandante militare di Grozny durante la seconda guerra d’indipendenza cecena, arrivato in Ucraina dalla Danimarca già nel 2014 e fondatore dell’unità ‘Dzhokhar Dudayev’, ucciso lo scorso febbraio nella battaglia di Debaltseve.

Gran parte dei ceceni presenti sul fronte ucraino dalla parte di Kiev – perché ce ne sono anche con i separatisti – sono invece giovani integralisti provenienti dalle fila dell’Emirato del Caucaso: il movimento jihadista ceceno guidato di Aslan Byutukayev e alleato dello Stato Islamico, i cui combattenti si stanno distinguendo in battaglia anche in Siria e in Iraq guadagnando progressiva influenza nelle gerarchie del Califfato. Come ha denunciato già a febbraio il giornale online americano The Intercept, la loro penetrazione in Ucraina, avallata dalle autorità di Kiev, rischia di trasformare questo paese in un pericoloso porto franco della jihad in Europa.


=== 4 ===

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15093

E SE PUTIN STESSE DICENDO LA VERITA' ?

DI WILLIAM ENGDAHL

journal-neo.org


Il 26 aprile scorso la principale emittente televisiva nazionale della Russia, Rossiya 1, ha celebrato il presidente Vladimir Putin in un documentario creato per il popolo russo nel quale venivano esposti gli eventi dell' ultimo periodo storico, compreso l' evento dell' annessione della Crimea, quello del colpo di Stato in Ucraina supportato dagli Stati Uniti, e lo stato generale dei rapporti fra Russia e Stati Uniti e Unione Europea. Nelle sue parole si è potuta apprezzare la  franchezza e la schiettezza. Nel bel mezzo del suo intervento l' ex capo del KGB russo ha  “sganciato una bomba” politica comunque già di conoscenza dei servizi segreti russi da circa due decenni.


Putin ha dichiarato senza mezzi termini, che, a suo parere, l' Occidente sarebbe stato contento nell' avere una Russia debole, sofferente e mendicante, condizione che però, chiaramente, dato il loro carattere e l'indole, il popolo russo non sarebbe disposto a subire. Durante il suo intervento, il presidente russo ha detto, per la prima volta pubblicamente, qualcosa che in realtà l' intelligence russa conosce già da quasi due decenni, rimasta però in silenzio fino a quel momento, molto probabilmente, nella speranza di un' epoca di migliori e tranquille relazioni fra Russia e Stati Uniti.

Putin ha dichiarato che il terrorismo in Cecenia e nel Caucaso russo nei primi anni '90 è stato attivamente sostenuto dalla CIA e dai servizi segreti occidentali per indebolire deliberatamente la Russia. Ha osservato che la FSB russa (Servizi federali per la sicurezza della Federazione russa) straniera di intelligence avesse con sè la documentazione del ruolo segreto degli Stati Uniti, senza fornire dettagli.

Che Putin, un professionista di intelligence di altissimo livello, stesse soltanto accennando a tutto questo nel suo discorso, lo ho potuto documentare nel dettaglio anche da fonti non russe. Questo resoconto ha enormi implicazioni nel rivelare al mondo la lunga “agenda” nascosta degli influenti circoli di Washington allo scopo di distruggere la Russia come Stato sovrano funzionale, un “ordine del giorno” che includeva anche il colpo di stato neo-nazista in Ucraina e la guerra caratterizzata da gravi sanzioni pecuniarie nei confronti di Mosca. Quanto segue è tratto dal mio libro, Amerikas 'Heilige Krieg.

Le guerre della CIA in Cecenia

Non molto tempo dopo che i Mujahideen, finanziati dalla CIA e dai servizi segreti sauditi, avevano devastato l'Afghanistan alla fine del 1980, costringendo l'uscita da lì dell' esercito sovietico nel 1989, e la dissoluzione dell'Unione Sovietica qualche mese più tardi, la CIA iniziò a cercare nuovi possibili luoghi di collasso dell' Unione Sovietica, dove i loro addestrati "Arabi Afghani" avrebbero potuto essere reimpiegati per destabilizzare ulteriormente  e indebolire l' influenza russa nello spazio eurasiatico post-sovietico.

Erano chiamati “Arabi Afghani” per il fatto che furono reclutati fra i musulmani wahabiti sunniti ultraconservatori provenienti dall' Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi, dal Kuwait, e in altre parti del mondo arabo in cui era praticava l' ultrarigida wahabita dell' Islam. Giunti in Afghanistan nei primi anni 1980 furono portati da una recluta della CIA saudita (inviata proprio in Afghanistan) dal nome di Osama bin Laden.

Con l'ex Unione Sovietica nel caos totale e allo sbando, Amministrazione di George HW Bush decise di "prenderli a calci quando sarebbero stati a terra", un errore molto infelice. Washington reimpiegò i propri terroristi veterani afghani per portare caos e destabilizzazione in tutta l' Asia centrale, finache all' interno della Federazione Russa stessa, proprio in una fase di crisi profonda e traumatica durante il collasso economico dell' era Yeltsin.

Nei primi anni 1990, la società di Dick Cheney, Halliburton, esaminò le potenzialità petrolifere “offshore” di Azerbaigian, Kazakistan, e dell' intero bacino del Mar Caspio. La regione venne stimata essere “un altra Arabia Saudita", ma dal valore molto maggiore di diversi miliardi di dollari se valutato sul mercato contemporaneo. Gli Stati Uniti e il Regno Unito erano determinati a mantenere quella “miniera d'oro” (rappresentata dall' olio) fuori dal controllo russo con tutti i mezzi a disposizione. Il primo obiettivo di Washington fù quello di organizzare un colpo di stato in Azerbaijan nei confronti del presidente eletto Abulfaz Elchibey per farvi insediare un nuovo presidente più “amichevole” nei confronti dell' idea che l' oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC) fosse controllato dagli Stati Uniti, "la conduttura più politicizzata del mondo", che porta l'olio dall' Azerbaijan attraverso la Georgia verso la Turchia e il Mediterraneo.

A quel tempo, l' unico oleodotto esistente da Baku era uno dell' epoca sovietica che prendendo l' olio di Baku attraversava la capitale cecena, Grozny, portandolo verso nord attraversando la provincia del Daghestan in Russia, e, attraverso la Cecenia, giungere al porto russo del Mar Nero di Novorossiysk. L'oleodotto risultava l' unico maggiore ostacolo verso una via alternativa però molto più costosa per Washington e per le major petrolifere britanniche e statunitensi.

Il presidente Bush Sr. concesse ai suoi vecchi amici alla CIA il mandato di distruggere quell' oleodotto russo-ceceno creando così un tale caos nel Caucaso che nessuna società occidentale o russa avrebbero considerato l' idea di usare oleodotto russo di Grozny.

Graham E. Fuller, un vecchio collega di Bush e ex vice direttore del Consiglio Nazionale sull' Intelligence della CIA fu un architetto chiave nella strategia della CIA riguardo i Mujahideen. Fuller descrisse la strategia della CIA nel Caucaso durante primi anni '90: "La politica di guidare l' evoluzione dell' Islam sostenendoli contro i nostri avversari funzionò meravigliosamente bene in Afghanistan contro l'Armata Rossa. Le stesse dottrine possono ancora essere usate per destabilizzare ciò che resta del potere russo."

La CIA utilizzò per l'operazione anche un veterano, il generale Richard Secord, esperto in “sporchi trucchetti”. Secord creò una società di copertura della CIA, la MEGA Oil. Secord era già stato condannato nel 1980 per il suo ruolo centrale nelle operazioni illegali di armi nel caso Iran-Contra (caso anche conosciuto come Iran-Gate) e droga da parte della CIA.

Nel 1991 Secord, ex Vice Assistente Segretario alla Difesa, sbarcò a Baku costituendo la società di facciata della CIA, MEGA Oil. Era un veterano delle operazioni segrete della CIA dell' oppio in Laos durante la guerra del Vietnam. In Azerbaijan, costituì una compagnia aerea con lo scopo di far volare segretamente, dall' Afghanistan in Azerbaijan, centinaia di Mujahideen appartenenti ad al-Qaeda e bin Laden. Nel 1993, la MEGA Oil reclutò e armò 2.000 Mujahideen, convertendo così Baku in una base per operazioni terroristiche dei Mujahideen nel Caucaso.

L' operazione segreta dei Mujahideen del Generale Secord nel Caucaso dette il via al succitato colpo di stato militare che ebbe come esito il rovesciamento del presidente Abulfaz Elchibey eletto quello stesso anno e installandovi Heydar Aliyev, un più flessibile e bendisposto fantoccio degli Stati Uniti. Un rapporto segreto dell' intelligence turca, trapelato al Sunday Times di Londra, affermò che "due giganti del petrolio, BP e Amoco, inglesi e americani, rispettivamente, che insieme formano l' AIOC (Consorzio dell'Olio internazionale dell' Azerbaijan), sono dietro il colpo di Stato."

Il capo dei servizi segreti sauditi, Turki al-Faisal, diede disposizioni che il suo agente, Osama bin Laden, che mandò in Afghanistan all'inizio della guerra in Afghanistan nei primi anni 1980, avrebbe usufruito della sua organizzazione afgana Maktab al-Khidamat (MAK) per reclutare "Arabi Afghani" per quella che rapidamente stava diventando una Jihad globale. I mercenari di Bin Laden furono così utilizzati come truppe d' assalto dal Pentagono e dalla CIA per coordinare e sostenere le offensive musulmane non solo in Azerbaigian, ma poi anche in Cecenia e, in seguito, in Bosnia.

Bin Laden inserì un altro saudita, Ibn al-Khattab, per divenire Comandante, o Emiro del Jihadista Mujahideen in Cecenia (sic!) insieme al ceceno Shamil Basayev
, signore della guerra. Poco importa che Ibn al-Khattab fosse un saudita arabo che parlasse a malapena una parola di ceceno, e per niente il russo. Sapeva però come riconoscere i soldati russi e come ucciderli.

La Cecenia era, per tradizione, una società prevalentemente Sufi, un ramo più “morbido” dell' Islam apolitico. Ma la crescente infiltrazione dei benpagati e ben addestrati terroristi Mujahideen predicanti la Jihad o Guerra Santa contro i russi e sponsorizzati dagli Stati Uniti trasformò del tutto l' iniziale movimento riformista di resistenza cecena. Si diffuse così l' ideologia della linea dura islamista di al-Qaeda in tutto il Caucaso. Sotto la guida di Secord, le operazioni terroristiche dei Mujahideen furono così anche rapidamente estese nel vicino Daghestan e in Cecenia, trasformando Baku in un punto di spedizione per l' eroina afgana alla mafia cecena.

Dalla metà degli anni '90, bin Laden pagava i capi guerriglieri ceceni, Shamil Basayev e Omar ibn al-Khattab, la bella somma di diversi milioni di dollari al mese, la fortuna di un re pensando ad una Cecenia che nel 1990 era economicamente desolata, consentendo così loro di emarginare la maggioranza moderata cecena. I servizi segreti americani furono profondamente coinvolti nel conflitto ceceno fino alla fine degli anni 1990. Secondo Yossef Bodansky, l' allora direttore del Congressional Task Force degli Stati Uniti sul terrorismo e sulla guerra non convenzionale, Washington partecipò attivamente alla "ennesima jihad anti-Russia, cercando di supportare e potenziare le forze islamiste anti-occidentali più virulente."

Bodansky rivelò in dettaglio l' intera strategia della CIA nel Caucaso nel suo rapporto, affermando che i funzionari del governo statunitense vi  parteciparono,

"Una riunione formale in Azerbaijan nel dicembre 1999, in cui vennero discussi e concordati i programmi specifici per la formazione e l' equipaggiamento dei Mujahideen dal Caucaso, Asia del sud e Centrale e nel mondo arabo, culminò con un tacito incoraggiamento di Washington a vantaggio di entrambi gli alleati, i musulmani (principalmente Turchi, Giordani e dell' Arabia Saudita) e le 'società di sicurezza private' degli Stati Uniti. . . per aiutare i ceceni e i loro alleati islamici a insorgere nella primavera del 2000 e sostenere la conseguente Jihad per un lungo periodo ... la Jihad islamista nel Caucaso come un modo per deprivare la Russia di una via dell' oleodotto percorribile attraverso una spirale di violenza e terrorismo. "

La fase più intensa delle guerre di Cecenia diminuì nel 2000 solo dopo la pesante intervento militare russo che sconfisse gli islamisti. Fu però una “vittoria di Pirro”, che costò un tributo enorme in vite umane e distruzione di intere città. Il bilancio esatto delle vittime causate dal conflitto ceceno istigato dalla CIA è sconosciuto. Stime non ufficiali variavano da 25.000 a 50.000 fra morti e dispersi, per la maggior parte civili. Stime di perdite russe erano vicine a 11.000 persone secondo il “Comitato delle Madri dei soldati”.

Le major petrolifere anglo-americani e gli agenti della CIA erano felici. Ottennero quello che volevano: il loro oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, bypassando l' oleodotto di Grozny in Russia.

I jihadisti ceceni, sotto il comando islamico di Shamil Basayev, continuarono però gli attacchi di guerriglia dentro e fuori la Cecenia. La CIA si riorientò nel Caucaso.

Collegamento saudita di Basayev

Basaev fu fondamentale nella Jihad Globale della CIA. Nel 1992 incontrò il terrorista saudita Ibn al-Khattag in Azerbaijan. Dall' Azerbaijan, Ibn al-Khattab portò Basayev in Afghanistan per incontrare il suo compagno saudita Osama bin Laden. Il ruolo di Ibn al-Khattab è stato quello di reclutare i musulmani ceceni disposti a intraprendere la Jihad contro le forze russe in Cecenia per conto di una strategia di copertura della CIA per destabilizzare la Russia post-sovietica e garantire così il controllo britannico-statunitense sull' “energia” del Caspio.

Una volta tornati in Cecenia, Basayev e al-Khattab crearono la Brigata Internazionale Islamica (IIB) con il denaro dell' Intelligence saudita, con l' approvazione della CIA e coordinato attraverso la relazione con l' ambasciatore saudita di Washington nonché principe, Bandar bin Sultan, intimo conoscente della famiglia Bush. Bandar, ambasciatore saudita di Washington per più di due decenni, era così intimo con la famiglia Bush che George W. Bush riferiva all'ambasciatore playboy saudita come "Bandar Bush", considerandolo una sorta di membro onorario della famiglia.

Basayev e al-Khattab importarono in Cecenia i combattenti prelevandoli dal ramo fanatico saudita wahabita dell'Islam sunnita. Ibn al-Khattab ordinò che il suo esercito privato di arabi, turchi, e altri combattenti stranieri venisse chiamato "Mujahideen arabi in Cecenia". Gli fù anche commissionato di creare campi paramilitari nelle montagne del Caucaso e della Cecenia dove venissero addestrati ceceni e musulmani delle repubbliche russe del Caucaso del Nord e dell' Asia centrale.

La Brigata Internazionale Islamica, finanziata dai sauditi e dalla CIA, fu responsabile non solo del terrorismo in Cecenia. Essi condussero nell' ottobre 2002, al Teatro Dubrovka di Mosca, un sequestro di ostaggi e si macchiarono inoltre del raccapricciante massacro della scuola di Beslan nel settembre 2004. Nel 2010, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite pubblicò il seguente rapporto su al-Khattab e sulla Brigata Internazionale Islamico di Basayev:

la Brigata Internazionale Islamica (IIB) venne citata il 4 marzo 2003.. . per essere associata ad Al-Qaeda, Osama bin Laden e ai Talebani per la "partecipazione al finanziamento, progettazione, facilitazione, preparazione o perpetrazione di atti o attività da parte di, in collegamento con, con il nome di, per conto o a sostegno di” Al-Qaeda. . . la Brigata Internazionale islamico (IIB) fù fondata e guidata da Shamil Basayev Salmanovich (deceduto) ed collegata al Riyadus-Salikhin Reconnaissance e Battaglione di Sabotaggio dei Martiri Ceceni (RSRSBCM). . . e alla Special Purpose Islamic Regiment (SPIR). . .

La sera del 23 ottobre 2002, i membri della IIB, RSRSBCM e SPIR operarono congiuntamente allo scopo di sequestrare oltre 800 ostaggi a Teatro Podshipnikov Zavod (Dubrovka) di Mosca.

Nell'ottobre 1999, gli emissari di Basayev e Al-Khattab viaggiarono alla casa base di Osama bin Laden, nella provincia afghana di Kandahar, dove egli accettò di fornire assistenza militare e aiuti finanziari, prendendo anche accordi per inviare in Cecenia diverse centinaia di combattenti per la lotta contro le truppe russe e perpetrare atti di terrorismo. Successivamente, nello stesso anno, Bin Laden inviò ingenti somme di denaro a Basayev, Movsar Barayev (leader di SPIR) e Al-Khattab, i quali sarebbe stati utilizzati esclusivamente per la formazione di uomini armati, reclutamento di mercenari e di acquistare munizioni.

La "via terrorista" Afgano-Caucasica di Al Qaeda, finanziata dall'intelligence saudita, aveva due obiettivi. Uno era un obiettivo specificamente saudita che era quello di diffondere la fanatica Jihad wahabita nella regione dell'Asia centrale dell' ex Unione Sovietica. Il secondo era l' ordine del giorno della CIA di destabilizzare l' allora  ormai collassante Federazione Russa post-sovietica.

Beslan

Il 1 ° settembre 2004 i terroristi armati di Basaev e la IIB di al-Khattab presero più di 1100 persone come ostaggi in un assedio che includeva 777 bambini, e li tennero prigionieri nella School Number One (SNO) a Beslan in Ossezia del Nord, repubblica autonoma nel Caucaso settentrionale appartenente alla Federazione russa vicino al confine della Georgia.

Il terzo giorno di “crisi” degli ostaggi, come alcune esplosioni furono udite all' interno della scuola, la  FSB e altre truppe russe presero d' assalto l' edificio. Alla fine, almeno 334 ostaggi furono uccisi, tra cui 186 bambini, con un significativo numero di feriti e dispersi. Divenne chiaro successivamente che le forze russe gestirono male l' intervento.

La macchina di propaganda di Washington, da Radio Free Europe a The New York Times e  CNN, non perse tempo a demonizzare Putin e la Russia per la loro cattiva gestione della crisi di Beslan, anzichè concentrarsi sui collegamenti di Basayev con Al Qaeda e i segreti sauditi in quanto quest' ultimo aspetto avrebbe portato l' attenzione del mondo  verso le relazioni intime tra la famiglia del presidente degli Stati Uniti George W. Bush e la famiglia del miliardario saudita bin Laden.

Il 1 settembre 2001, appena dieci giorni prima del giorno degli attentati al World Trade Center e del Pentagono, il principe Turki bin Faisal Al Saud, capo dei servizi segreti sauditi, educato e formato negli Stati Uniti, che diresse l' Intelligence Saudita dal 1977, includendo anche l' intera operazione dei Mujahideen di Osama bin Laden in Afghanistan e nel Caucaso, all' improvviso e inspiegabilmente rassegnò le dimissioni, pochi giorni dopo aver accettato un nuovo mandato come capo dell' intelligence dal proprio re. Egli non dette alcuna spiegazione. Fu subito reimpiegato a Londra, lontano da Washington.

Le registrazioni dei legami intimi fra Bin Laden e famiglia di Bush è stata sepolta, nei fatti del tutto cancellata per motivi di "sicurezza nazionale" (sic!) nella relazione ufficiale sul 911 dalla Commissione degli Stati Uniti. Lo sfondo saudita di quattordici dei diciannove presunti terroristi del 911 a New York e Washington è stato cancellato anche dal rapporto finale della Commissione 911 del governo degli Stati Uniti, pubblicato solo nel luglio 2004 dall' amministrazione Bush, quasi tre anni dopo gli eventi.

Basayev reclamò meriti di aver inviato i terroristi a Beslan. Le sue richieste includevano la completa indipendenza della Cecenia dalla Russia, qualcosa che avrebbe offerto a Washington e al Pentagono un enorme arma strategica proprio nel ventre meridionale della Federazione russa.

Entro la fine del 2004, a seguito del tragedia di Beslan, il presidente Vladimir Putin, come riferito, ordinò una missione segreta da parte dell' intelligence russa di “ricerca e distruzione” per dare la caccia e uccidere i leader principali dei Mujahideen Caucasici di Basayev. Al-Khattab fu ucciso nel 2002. Le forze di sicurezza russe presto scoprirono che la maggior parte dei terroristi ceceni-afgani-arabi erano fuggiti. Ottennero un rifugio sicuro in Turchia, membro della NATO; in Azerbaijan, un altro membro della NATO; o in Germania, un membro della NATO; o a Dubai, uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti negli Stati Arabi e  nel Qatar, un altro stretto alleato degli Stati Uniti.

In altre parole, ai terroristi ceceni venne offerto dalla NATO un rifugio sicuro.


F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, si è laureato in scienze politiche dalla Princeton University ed è autore di best-seller sul petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online "New Eastern Outlook". 

Fonte: http://journal-neo.org

Link: http://journal-neo.org/2015/05/15/what-if-putin-is-telling-the-truth/

15.05.2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org  a cura di GIULIANO MONTELEONE







(english / italiano)

La Ustica ucraina – un anno dopo

0) LINKS
1) Flashback giugno 2015: alla TV russa l'ex militare ucraino Evghenij Agapov racconta di aver visto decollare tre caccia SU-25 armati di razzi...
2) Boeing malese abbattuto sul Donbass: la giustizia per le vittime può attendere (di Fabrizio Poggi, 17 Luglio 2015)
3) Olanda: "il Boeing malese abbattuto da un missile aria-aria” (Redazione Contropiano, 20 Luglio 2015)


=== 0: LINKS ===

LA SECONDA USTICA SUL CIELO DEL DONBASS (novembre 2014)

NOME E COGNOME DELL'AVIERE UCRAINO CHE HA ABBATTUTO IL VOLO MH17 (gennaio 2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8216

---

Ukrainian Su-25 fighter detected in close approach to MH17 before crash - Moscow (RT, 21 Jul, 2014)

MH17 broke up in mid-air due to external damage - Dutch preliminary report (RT, 9 Sep, 2014)

Netherlands rejects MH17 relatives' request for UN investigation (RT, 9 Dec, 2014)

Ustica ucraina, il governo olandese ammette: su indagini diritto di veto (4 gennaio 2015)
Due parlamentari olandesi costringono L'Aia a riconoscere che Kiev ha diritto di omissis per l'inchiesta sul volo MH17. E anche altre ammissioni smentiscono la narrativa corrente...
http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=114210&typeb=0

Ustica ucraina: la misteriosa riunione di 3 giorni prima (28 gennaio 2015)
Nuovo mistero sull'abbattimento del Boeing Malaysia del 17 luglio. Tre giorni prima ci fu una riunione con diplomatici europei e USA. Perché il contenuto è un segreto di Stato?..
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=115191&typeb=0

'How MH17 was shot down in Ukraine - Film by Andrey Karaulov (Eng subs – Antimaidan Ukraine, 13 feb 2015)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=wGxfn4R2r1k

La Germania ha diffuso i propri dati sulla tragedia del «Boeing» malaysiano (15 febbraio 2015)
http://comunicati.russia.it/la-germania-ha-diffuso-i-propri-dati-sulla-tragedia-del-boeing-malaysiano.html

Nuove rivelazioni sull’MH17 caduto in Ucraina (Daniele Cardetta, 27 aprile 2015)
...nell’articolo del quotidiano tedesco si fa riferimento al fatto che le autorità tedesche sapessero ben prima della partenza del volo dei rischi di volare sopra il Donbass, ma per qualche motivo non avrebbero avvisato la compagnia malese...
http://oltremedianews.it/nuove-rivelazioni-sullmh17-caduto-ucraina/

PTV News 3 giugno – MH17: Spunta un testimone chiave
La Russia ha rivelato l’identità di un testimone chiave del disastro aereo dell’MH17.  L’uomo è un meccanico dell’aeronautica militare Ucraina, che era in servizio il giorno dell’abbattimento del Boeing...
http://www.pandoratv.it/?p=3433
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?&v=PII6FTbMz78
Russian investigators reveal identity of key witness in MH17 crash (RT, June 03, 2015)
The Russian Investigative Committee has identified a key witness to the MH17 crash in Ukraine’s Donetsk Region. He is Evgeny Agapov, an aviation armaments mechanic in the Ukrainian Air Force...
http://rt.com/news/264545-mh17-investigators-key-witness/
VIDEO download (58,12MB): http://img.rt.com/files/news/40/96/10/00/investigation.mp4?event=download

Israeli-made air-to-air missile may have downed MH17 - report (RT, 16 Jul, 2015)

MH17 couldn’t be shot from rebel areas, West pressuring investigators – Russian Air Agency (RT, 16 Jul, 2015)

Tributes to MH17 Victims in east Ukraine (RT, 17 Jul, 2015)
Residents of the village Grabovo in East Ukraine unveiled a memorial stone on Friday dedicated to those who died when flight MH17 was downed exactly a year ago. A total of 298 people lost their lives on July 17, 2014, when the Malaysia Airlines plane was downed over the Donetsk Region, while en route from Amsterdam to Kuala Lumpur. Locals attended the ceremony carrying banners that read slogans such as: "Donbass 4906 - dead, Boeing - 298 dead, Total dead - 5204." They also carried the flags of the 10 counties, whose citizens were killed in the disaster, while white balloons were released at the end of the ceremony. Prayers and memorial services were held at local church.

MH17 un anno dopo: il silenzio degli inquirenti (PTV news 17 luglio 2015)
A un anno dal disastro dell’MH17 la commissione d’inchiesta non si pronuncia. Fu il pretesto per approvare le sanzioni contro la Russia. Ma i veri responsabili restano sconosciuti.
E a Kiev riforme costituzionali con la supervisione di Victoria Nuland. Ma la nuova autonomia per l’Est non piace a Poroshenko e scontenta i filorussi...

MH17 downed in Ukraine: What has happened in 365 days since the crash (RT, 17 Jul, 2015)

MH17: 'No one deserves to die that way' (RT Documentary – 17 lug 2015)
A year ago, Malaysia Airlines flight MH17 was brought down over the territory of conflict-torn Ukraine. This tragedy shocked the world and affected families in many countries. Today, debris can still be found in the area around the crash and the investigation, shrouded in secrecy, still hasn’t reached a definitive conclusion. RTD talks to witnesses, experts and family members of MH17 passengers in a bid to understand whether the truth of what caused the tragedy will ever be established.

'Was there a 2nd plane?' New footage shows MH17 crash site minutes after Boeing downing (RT, 17 Jul, 2015)
Horror video reveals MH17 crash aftermath (News Corp Australia, 16 lug 2015)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=K70igRdKVhA

‘A year without truth’: MH17 relatives, independent investigators want ‘facts not propaganda’ (RT, 18 Jul, 2015)


=== 1 ===

Fonte: Bombardamenti ucraini sul Donbass, molti morti – di Fabrizio Poggi, 4 Giugno 2015

(...) Intanto, torna sotto i riflettori – ma non per i media nostrani – la questione del Boeing malese abbattuto nel luglio scorso nei cieli dell'Ucraina. Verrebbe da dire, che il silenzio occidentale appare come un'esplicita ammissione dell'assoluta mancanza di un sia pur minimo appiglio per continuare a incolpare dell'abbattimento le milizie del Donbass e, per converso, della stessa assoluta mancanza di pretesti per “assolvere” l'aviazione o le batterie di razzi terra-aria governative che, il giorno della tragedia, occupavano l'area attorno a Zaroščinskoe, da dove, secondo gli esperti della russa “Almaz-Antej” (il complesso produttore dei sistemi missilistici antiaerei), sarebbe partito il missile “Buk-M1” che colpì il velivolo civile malese con circa trecento passeggeri a bordo.
Lo scorso martedì, il rappresentante di “Almaz-Antej”, aveva tenuto a Mosca una conferenza stampa, mostrando a centinaia di giornalisti russi e stranieri, la ricostruzione del possibile impatto del razzo con la cabina di pilotaggio del Boeing, compatibile con le tracce rinvenute sui resti dell'aereo. Il Comitato d'inchiesta russo sta ora vagliando le prove fornite da “Almaz-Antej” e, al contempo, la TV russa ha mostrato frammenti dell'interrogatorio dell'ex militare ucraino – di cui ora viene fornita l'identità, nonostante le sue dichiarazioni siano state rese note mesi fa – Evghenij Agapov che quel 17 luglio 2014 era in servizio come meccanico alla base aerea in cui è stanziata la squadriglia A4465. Agapov, rifugiato poi in Russia, ha sempre affermato di aver visto decollare tre caccia SU-25 armati di razzi; due sarebbero stati abbattuti, mentre il terzo, pilotato da tale capitano Vološin, al suo rientro alla base era privo di armamento e il pilota, scendendo dal velivolo, avrebbe dichiarato <non era quello l'aereo>. Al momento, a Mosca, vengono vagliate ambedue le versioni: sia quella dell'abbattimento del Boeing con un missile terra-aria, sia quella del razzo lanciato dal caccia ucraino.
Ma non fa nessuna differenza per il Dipartimento di Stato USA che, per bocca del portavoce Marie Harf, continuano a ritenere responsabili dell'abbattimento i miliziani del Donbass. Per ora, non è dato udire o leggere qualcosa in merito dai media di casa nostra.


=== 2 ===


Boeing malese abbattuto sul Donbass: la giustizia per le vittime può attendere

di Fabrizio Poggi, 17 Luglio 2015 

Esattamente un anno fa, nei cieli del Donbass, veniva abbattuto l'aereo di linea malese Boeing 777 in volo da Amsterdam a Kuala Lampur. Morivano tutti i 283 passeggeri e i 15 membri dell'equipaggio. Che il dito sul grilletto dell'arma che aveva sparato contro il velivolo civile dovesse per forza appartenere a un reparto delle “milizie filorusse” e che l'arma stessa fosse per forza di cose stata loro messa in mano dal Cremlino era di un’ovvietà talmente lampante che non aveva bisogno di alcuna dimostrazione. Era un'assioma della politica contemporanea. 
E tale continua a essere a un anno di distanza; così che non c'è nessuna necessità di portare prove a dimostrazione. E' sufficiente diffondere il teorema della malvagità di Mosca e dei suoi addentellati nel Donbass, perché ogni canale televisivo mondiale, sia a Sidney (la maggior parte delle vittime erano australiane, olandesi e belghe), a Amsterdam (l'Ucraina, formalmente competente per le indagine, delegò subito la faccenda al territorio olandese), a Washington (i satelliti USA, ufficialmente, non hanno mai registrato nulla dell'accaduto) lo “dimostri”, basandosi ora su l'uno ora sull'altro degli enunciati euclidei, secondo una ben sperimentata petitio principii che non abbisogna di opzioni diverse.

E di opzioni diverse, invece, ce ne sono tuttora, quando le indagini non sono affatto concluse (al momento si parla del prossimo ottobre) e quando dal mar del Nord e dall'Oceano pacifico si mettono in circolazione video (la cui autenticità le stesse autorità australiane dicono doversi ancora dimostrare) o si invocano costituzioni di tribunali ONU che dovrebbero suggerire agli inquirenti la pista desiderata.

Dunque, le opzioni.

Come mai, nel marzo scorso, si chiede la Komsomolskaja pravda, in Olanda furono mostrati ai giornalisti solo alcuni frammenti del Boeing abbattuto, mentre la maggior parte giaceva ancora nelle steppe del Donbass?
Già due giorni dopo l'accaduto, il Ministero della difesa di Mosca dichiarava che i controlli radiotecnici russi avevano registrato l'attività della stazione di radiolocalizzazione ucraina “Kupol” annessa al complesso missilistico “Buk-M1”, nella zona di Stylo, 30 km a sud di Donetsk. I dati del controllo (foto satellitari) sulla dislocazione di un complesso “Buk” ucraino, proprio nel giorno del disastro, a ridosso, ma fuori dalla zona controllata dalle milizie, venivano mostrati ai giornalisti il 21 luglio dal capo di stato maggiore russo Andrej Kartapolov, insieme a quelli sulll'intensificarsi dell'attività del “Kupol”. A tale versione si sono attenuti anche gli esperti dell'impresa “Almaz-Antej”, costruttrice del complesso missilistico: secondo la tesi da loro resa pubblica a inizio del giugno scorso, se il Boeing fu abbattuto da terra, ciò poteva essere opera solo di un missile 9M38M1, del complesso “Buk-M1”, che in Russia non viene più prodotto dal 1999 e che è invece in dotazione alle forze armate ucraine. Ieri il vice capo dell'Agenzia russa per il trasporto aereo, Oleg Storčevoj, ha dichiarato che, se effettivamente si fosse trattato di un missile terra-aria lanciato dal territorio liberato, come sostiene oggi ad esempio l'americana CNN, il sistema di localizzazione di Rostov sul Don l'avrebbe registrato; ma così non è stato. Storčevoj ha anche sottolineato lo strano momento per cui, all'epoca, erano stati vietati i voli sulla Crimea (a causa della sua unione alla Russia), ma non invece quelli sulla zona di guerra nel Donbass. Misteri della politica, quando vola sui cieli dell'interesse atlantico.

Altra opzione.

Il capo di stato maggiore dell'aviazione russa, generale Igor Makušev, sostiene che i controlli radar avevano registrato la presenza, a 3-5 km dal Boeing malese, di un aereo militare ucraino. Il Su-25 è dotato di razzi aria-aria in grado di colpire un bersaglio a 12 km di distanza. Tale versione è stata successivamente confermata (e più di una volta ne hanno parlato fonti diverse, di cui si è fatto cenno anche su Contropiano) dall'ucraino Evgenij Agapov, all'epoca in servizio presso l'aviazione ucraina in un aeroporto non distante da Dnepropetrovsk, e poi fuggito in Russia. Komsomolskaja pravda già nel dicembre scorso diffuse il video con l'intervista ad Agapov, in cui questi dichiarava che il 17 luglio 2014 <con compiti di guerra, decollò il Su-25 dell'evizione ucraina pilotato dal capitano Vološin> (tre gli aerei che si erano alzati in volo ma uno solo fece ritorno alla base) e che il velivolo rientrò alla base privo dell'armamento e che Vološin, sceso sconvolto dal mezzo, esclamò <l'aereo si è trovato al momento sbagliato nel posto sbagliato>. Secondo Agapov, il riferimento sarebbe stato al Boeing malese. Inoltre, ieri, una indagine non ufficiale avrebbe portato prove secondo cui il razzo aria-aria che colpì la cabina di pilotaggio del Boeing malese sarebbe verosimilmente, per le caratteristiche del foro provocato nella carlinga, un “Piton” israeliano, un discreto quantitativo dei quali a inizio anni 2000 andò a rifornire le forze aeree georgiane e da queste sarebbe passato poi a quelle ucraine.

Ma queste erano opzioni. Al contrario, ovviamente, il giorno successivo la tragedia, il presidente ucraino Porošenko dichiarò che tutto era opera <degli aggressori e degli insorti del Donbass> e, rispettando la formula di Tertulliano “ci credo, perché è assurdo”, basò le sue parole su un'intercettazione di trasmissioni delle milizie, subito rivelatasi falsa. Così come false risultarono alcune foto della scia lasciata dal “Buk” che, a detta del consigliere del Ministro degli interni, Anton Geraščenko, sarebbe stato lanciato dalle milizie popolari; venne fuori che foto e video si riferivano alla zona di Krasnoarmejsk, sotto controllo governativo ucraino.

A che punto si è dunque giunti oggi, quando la Malesia, sotto stimoli molto interessati, chiede l'istituzione di un tribunale internazionale e a Mosca – accusata di aver “patrocinato” l'abbattimento, fornendo le armi – è stato soltanto trasmesso un brogliaccio con i dati sommari delle indagini?

Si può dire, intanto, che all'epoca dell'abbattimento, le milizie si trovavano in una situazione difensiva (Slavjansk era stata da poco occupata dalle forze ucraine) e non puntavano certo ad attacchi, quali che fossero. L'operazione “Boeing”, in se stessa, rimanda invece ad altre situazioni similari. Ancora Komsomolskaja pravda ricorda l'operazione USA “Northwoods” del 1962 su Cuba. Ma si potrebbe citare anche la vicenda del Boeing 747 coreano, fatto deviare (con ogni evidenza, per provocare proprio l'incidente) dalla rotta stabilita e abbattuto da un caccia russo sulla Kamčatka nel 1983.

Già il 22 luglio dello scorso anno, NTV riportava un comunicato del Ministero della Difesa russo secondo cui i controlli avevano mostrato come sulla rotta del Boeing 777 malese volasse un caccia dell'aviazione ucraina Su-25, come l'aereo malese avesse deviato di 14 km dalla rotta dopo aver sorvolato Donetsk e come nello stesso periodo di tempo fossero in volo altri due aerei passeggeri (Copenhagen-Singapore e Copenhagen-Dehli) e l'aereo malese avesse improvvisamente ridotto la velocità di circa 200 km/h. Lo stesso giorno, Kommersant riferiva come il responsabile della direzione operativa dello stato maggiore russo Andrej Kartapolov, avesse puntualizzato che un aereo civile può effettuare una così sensibile deviazione dai limiti del corridoio aereo o su ordine del servizio di assistenza aerea, oppure per aggirare un fronte di tempesta e la manovra deve ricevere obbligatoriamente l'assenso dei servizi a terra. Da parte sua, il capo della direzione delle forze aeree russe Igor Makušev aveva aggiunto che era stata registrata <la quota di volo dell'aereo dell'aviazione militare ucraina, presumibilmente un Su-25>, in direzione dell'aereo civile malese, che il servizio di assistenza aerea russo, <avendo richiesto al velivolo apparso di qualificarsi>, non aveva ricevuto risposta, dato che, presumibilmente, non era fornito del sistema di doppio riconoscimento, come è d'uso per gli aerei militari. Dopo che il Boeing scomparve dai radar, l'aereo militare, secondo le sue parole, <fece barra sopra l'area in cui era caduto il mezzo civile>.

Ieri, il Presidente del parlamento della Repubblica popolare di Donetsk, Andrej Purghin, ha definito “non costruttivo per le indagini” il tentativo di istituire un tribunale internazionale: <nulla del genere è stato fatto> ha detto <quando ad esempio l'Ucraina abbatté un aereo israeliano sul mar Nero> (si trattava di un Tupolev della Siberian airlines in volo tra Tel Aviv e Novosibirsk) o quando, ha dichiarato il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, gli americani abbatterono l'aereo civile iraniano, con 290 persone a bordo, nel periodo di tensione tra USA e Iran. Lavrov qualifica l'insistenza sulla creazione del tribunale internazionale, come tentativo di esercitare pressioni sugli inquirenti. Purghin ha anche detto che l'indagine olandese <riveste un carattere chiuso, quasi di casta, perciò non infonde fiducia e lascia in sospeso molte domande sulla stessa metodologia d'indagine>.

Oggi nella Repubblica di Donetsk, nell'area dei villaggi di Grabogo, dove cadde l'aereo e di Petropavlovko (l'area delle ricerche dei resti) e nella vicina città di Šakhtërsk sono fissate iniziative funebri, per ricordare i 298 morti. Con le parole con cui Neottolemo ammonì Odisseo: <E giustizia scaltrezza sovrasta>.


=== 3 ===


Olanda: "il Boeing malese abbattuto da un missile aria-aria”

Redazione Contropiano, 20 Luglio 2015 

Rossijskaja gazeta riportava ieri sera un'informazione dell'ultima ora a proposito dell'abbattimento del Boeing malese un anno fa sui cieli del Donbass, episodio attorno al quale in questi giorni l'interesse si è di nuovo risvegliato con accuse e controaccuse.
<Sullo sfondo del sempre più acceso dibattito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull'opportunità della istituzione di un tribunale internazionale per le indagini sulla tragedia del Boeing della Malaysia Airlines abbattuto un anno fa sul Donbass, giunge dall'Olanda una dichiarazione che può cambiare radicalmente il contenuto delle discussioni.
Il rappresentante della Procura Generale dei Paesi Bassi, Wim de Brun, ha dichiarato a "Interfax" che, nel quadro dell'inchiesta, si stanno tuttora analizzando due versioni – che l'aereo sia stato abbattuto da un missile "terra-aria" oppure da uno "aria-aria". E' possibile che i risultati provvisori delle indagini vengano pubblicati entro la fine dell'anno.
Quasi in contemporanea con le notizie dall'Olanda, è giunta da New York l'informazione sul rinvio della votazione, inizialmente prevista per la prossima settimana, della risoluzione sull'istituzione del tribunale internazionale.
Si può presumere che esista un legame tra questi due eventi. I paesi che insistono sull'istituzione del tribunale – oltre alla Malesia anche Belgio, Gran Bretagna, Australia e Ucraina – contavano sul fatto che l'indagine condotta dagli olandesi avrebbe dimostrato in modo univoco, in primo luogo, che il Boeing era stato abbattuto da un missile lanciato da terra e che, quindi, in secondo luogo, si sarebbe così individuata la responsabilità delle milizie popolari del Donbass. 
Ma, secondo il rappresentante della procura generale dei Paesi Bassi, le responsabilità per l'abbattimento del velivolo non sono ancora state stabilite. E il fatto che sul tavolo degli investigatori ci sia la versione di un possibile attacco aereo contro il Boeing - che confermerebbe univocamente la responsabilità di Kiev per l'accaduto - può risolversi in un grave impaccio per le autorità ucraine>.