Informazione
http://www.ticinolive.ch/2014/11/13/gran-bretagna-censura-canale-tv-russia-today/
La Gran Bretagna censura il canale TV Russia Today
13 novembre 2014L’Office of communications (Ofcom), autorità di controllo delle telecomunicazioni in Gran Bretagna, ha formulato il quarto avvertimento al canale televisivo RT Russia Today, rinnovando la minaccia di ritirare la licenza.
Riferendosi a notizie sugli eventi in Ucraina, i censori britannici deplorano che RT presenti informazioni con un background russo e tratti l’attualità dal punto di vista della Russia, mentre invece le notizie devono essere imparziali.
“Abbiamo appena lanciato il nostro canale televisivo in Gran Bretagna e già ci minacciano di chiusura con il pretesto di false accuse. E’ democrazia allo stato puro – si indigna sul suo blog la redattrice capo di RT, Margarita Simonian :
“Ritengono che la nostra copertura degli eventi in Ucraina sia di parte. Abbiamo trovato tonnellate di esempi di copertura parziale degli eventi in Ucraina da parte della BBC e abbiamo informato l’Ofcom.
Ci è stato risposto che Ofcom sorveglia tutti i canali televisivi operanti in Gran Bretagha ad eccezione della BBC. Se si ha un reclamo contro la BBC, bisogna scrivere alla BBC stessa.”
http://www.resistenze.org/sito/te/pe/dt/pedtem01-015261.htm
Samir Amin* | monthlyreview.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Settembre 2014
Non è un caso che il titolo stesso di questo contributo colleghi il ritorno del fascismo sulla scena politica con la crisi del capitalismo contemporaneo. Il fascismo non è sinonimo di un regime di polizia autoritario che rifiuta le incertezze della democrazia parlamentare elettorale. Il fascismo è una particolare risposta politica alle sfide con cui la gestione della società capitalistica deve confrontarsi in circostanze specifiche.
Unità e diversità dei fascismi
I movimenti politici che possono definirsi fascisti in senso proprio hanno occupato la scena ed esercitato il potere in un buon numero di paesi europei, in particolare negli anni 1930, fino al 1945 (Mussolini, Hitler, Franco, Salazar, Pétain, Horthy, Antonescu, Ante Pavelic e altri). La diversità delle società che ne sono state vittima - capitalisticamente più sviluppate qui, minori e dominate là, associate a una guerra vittoriosa qui, prodotto della sconfitta altrove - impedisce di confonderle.
Quindi vanno precisati i differenti effetti che questa diversità di strutture e circostanze hanno prodotto sulle società interessate. Tuttavia, al di là di questa diversità, tutti questi regimi fascisti condividono due tratti comuni:
1. Date le circostanze, accettano di inserire la loro gestione della politica e della società in un quadro che non metta in causa i principi fondamentali del capitalismo, cioè la proprietà privata capitalistica, compresa quella dei moderni monopoli. È per questo che qualifico questi fascismi dei modi particolari di gestione del capitalismo e non delle forme politiche che mettono in discussione la sua legittimità, anche se nella retorica del discorso fascista il "capitalismo" o i "plutocrati" sono oggetto di lunghe diatribe. La menzogna che nasconde la vera natura di questi discorsi appare appena si esamina la "alternativa" proposta da questi fascisti, sempre muta riguardo l'essenziale, la proprietà privata capitalistica. Tuttavia, l'opzione fascista non costituisce l'unica risposta alle sfide che la gestione politica di una società capitalista deve affrontare. È solo in determinate circostanze di crisi violenta e profonda che la soluzione fascista sembra essere, per il capitale dominante, la migliore se non addirittura la sola possibile. L'analisi deve centrare l'attenzione su tali crisi.
2. L'opzione di gestione fascista della società capitalista in questione è ancora fondata, per definizione, sul rifiuto categorico della "democrazia". Ai principi generali su cui sono fondate le teorie e le pratiche delle democrazie moderne - il riconoscimento della diversità di opinioni, il ricorso alle procedure elettorali per garantire una maggioranza, la garanzia dei diritti delle minoranze, ecc. - i fascismi sostituiscono sempre i valori opposti della sottomissione alle esigenze della disciplina collettiva, all'autorità del capo supremo e dei capi esecutivi.
Questo rovesciamento di valori è poi accompagnato da un ritorno a temi che guardano al passato, in grado di fornire alle procedure di sottomissione della società una legittimità apparente. A tal fine, la proclamazione di un presunto necessario ritorno al passato ("medievale"), alla sottomissione alla religione di Stato, o a una qualsiasi presunta specificità della propria "razza" o "nazione" (etnica) costituiscono la panoplia del discorso ideologico propagandato dal potere fascista coinvolto.
I fascismi storici della storia moderna europea presa in esame, che condividono queste due caratteristiche, non sono meno diversi e rientrano in una o l'altra delle seguenti quattro categorie:
1) Il fascismo delle potenze capitalistiche "sviluppate" maggiori, che aspirano a diventare potenze egemoni dominanti l'intero sistema capitalista mondiale, o almeno regionale.
Il nazismo costituisce il modello di questa categoria di fascismo. La Germania, diventata una grande potenza industriale a partire dal 1870, concorrente delle potenze egemoni del tempo (Gran Bretagna e in second'ordine la Francia) e di quelle che aspirano a diventarlo (Stati Uniti), affronta le conseguenze del fallimento del suo progetto segnato dalla sconfitta del 1918. Hitler formula chiaramente il suo progetto: imporre all'Europa, compresa la Russia e forse anche oltre, la dominazione egemonica della "Germania", vale a dire del capitalismo monopolistico del paese che ha sostenuto l'ascesa del nazismo. Egli è disposto ad un compromesso con i suoi principali avversari: a lui l'Europa e la Russia, al Giappone la Cina, alla Gran Bretagna il resto dell'Asia e dell'Africa, agli Stati Uniti le Americhe. Il suo errore è stato di pensare che questo compromesso fosse possibile: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti non lo hanno accettato, il Giappone invece lo ha sottoscritto.
Il fascismo giapponese appartiene alla stessa categoria. Dal 1895, il Giappone capitalista moderno aspira a imporre il suo dominio su tutta l'Asia orientale. Qui il cambiamento viene compiuto "dolcemente", passando da una forma "imperiale" di gestione del nascente capitalismo nazionale - poggiato su istituzioni dall'apparenza "liberale" (una "Dieta" eletta), controllata interamente dall'imperatore e dalla aristocrazia trasformata dalla modernizzazione - a una forma brutale gestita direttamente dall'Alto comando militare. La Germania nazista stringe l'alleanza con il Giappone imperial/fascista, mentre Gran Bretagna e Stati Uniti (dopo Pearl Harbour, 1941) entrano in guerra con Tokyo, come fa anche la resistenza in Cina, in cui le deficienze del Kuo Min Tang saranno compensate dai comunisti maoisti.
2) Il fascismo delle potenze capitaliste di seconda fascia
L'Italia di Mussolini (l'inventore del fascismo, incluso il nome) è un ottimo esempio. Il mussolinismo fu la risposta della destra italiana (vecchia aristocrazia, nuova borghesia, classi medie) alla crisi degli anni 1920 e alla crescente minaccia comunista. Ma né il capitalismo italiano, né il suo strumento politico, il fascismo di Mussolini, avevano l'ambizione di dominare l'Europa, per non parlare del mondo. Nonostante le farneticazioni del Duce sulla ricostruzione dell'Impero romano (!), Mussolini comprese che la stabilità del suo sistema era basata su un'alleanza - da subalterno - con la Gran Bretagna (padrona del Mediterraneo) o la Germania nazista. Questa esitazione tra le due possibili alleanze continuò fino alla vigilia della Seconda guerra mondiale.
Il fascismo di Salazar e Franco appartengono alla stessa famiglia. Essi furono due dittatori piazzati dalla destra e dalla Chiesa cattolica in risposta ai pericoli rappresentati dai repubblicani liberali o dai repubblicani socialisti. Per questa ragione, i due non furono mai ostracizzati per la loro violenza antidemocratica (con il pretesto dell'anticomunismo) dalle maggiori potenze imperialiste. Riabilitati dopo il 1945 da Washington (Salazar fu membro fondatore della Nato e la Spagna acconsentì all'installazione di militari statunitensi) e dalla Comunità europea (garante per natura dell'ordine capitalista reazionario), dopo la Rivoluzione dei garofani (1974) e la morte di Franco (1980), questi due sistemi si sono uniti al campo delle nuove "democrazie" a bassa intensità della nostra epoca.
3) Il fascismo delle potenze sconfitte.
Esso include la Francia di Vichy, ma anche il Belgio di Léon Degrelle e lo pseudo governo "fiammingo" sostenuto dai nazisti. In Francia, le classi dominanti scelgono "Hitler piuttosto che il Fronte popolare" (vedi sul tema i libri di Annie Lacroix-Riz). Questo tipo di fascismo, connesso con la sconfitta e la sottomissione a una "Europa tedesca", fu costretto a ritirarsi in disparte in seguito alla sconfitta dei nazisti. In Francia, cedette il passo ai Consigli della Resistenza che, per una volta, univano i comunisti agli altri soggetti resistenti (in particolare Charles de Gaulle). La sua ulteriore evoluzione dovette attendere (con l'avvio dell'integrazione europea e l'adesione della Francia al Piano Marshall e alla Nato, vale a dire la sottomissione volontaria all'egemonia degli Stati Uniti) la destra conservatrice e quella anticomunista e socialdemocratica per rompere definitivamente con la sinistra radicale scaturita dalla Resistenza antifascista e potenzialmente anticapitalista.
4) Il fascismo nelle società dipendenti dell'Europa orientale.
Dobbiamo scendere di parecchi gradi esaminando le società capitalistiche dell'Europa orientale (Polonia, Stati baltici, Romania, Ungheria, Jugoslavia, Grecia ed Ucraina occidentale durante l'epoca polacca). Qui si deve parlare di capitalismo ritardato, quindi dipendente. Nel periodo tra le due guerre, le classi dominanti reazionarie di questi paesi sostennero la Germania nazista. Tuttavia, occorre esaminare caso per caso le loro articolazioni politiche al progetto di Hitler.
In Polonia, la vecchia ostilità al dominio russo (della Russia zarista), che divenne ostilità nei confronti della Unione Sovietica comunista, assecondata dalla popolarità del papato cattolico, normalmente avrebbe reso il paese un vassallo della Germania sui modi di Vichy. Ma Hitler non era d'accordo: i polacchi, come i russi, gli ucraini, i serbi, erano popoli destinati allo sterminio insieme con gli ebrei, i rom ed altri. Non c'era quindi alcuno spazio per un fascismo polacco alleato di Berlino.
L'Ungheria di Horthy e la Romania di Antonescu furono, per contro, trattati come alleati subalterni della Germania nazista. Il fascismo in entrambi i paesi era esso stesso il prodotto delle loro specifiche crisi sociali: la paura del "comunismo", dopo l'esperienza di Béla Kun in Ungheria; la mobilitazione nazionale sciovinista contro ungheresi e ruteni in Romania.
In Jugoslavia, la Germania di Hitler (seguita dall'Italia di Mussolini) sostenne una Croazia "indipendente", affidata alla gestione anti-serba degli ustascia, con il supporto decisivo della Chiesa cattolica, mentre i serbi erano destinati allo sterminio.
La Rivoluzione russa aveva ovviamente cambiato le cose riguardo le prospettive di lotta della classe operaia e la risposta delle classi possidenti reazionarie a questa lotta, non solo nel territorio dell'Unione Sovietica pre-1939, ma anche nei territori perduti (Stati baltici e Polonia).
A seguito del Trattato di Riga del 1921, la Polonia annesse la parte occidentale della Bielorussia (Volinia) e l'Ucraina (Galizia meridionale, che in precedenza era proprietà della Corona austriaca; e Galizia settentrionale, che era stata una provincia dell'Impero zarista).
In tutta la regione, due campi presero forma a partire dal 1917 (e anche dal 1905 con la prima Rivoluzione russa): quello filo-socialista (che diventò filo-bolscevico), popolare in vasti settori della classe contadina (che aspiravano a una riforma agraria radicale in loro favore) e degli intellettuali (ebrei in particolare); e quello anti-socialista (e conseguentemente compiacente verso i governi anti-democratici sotto l'influenza fascista) in tutte le classi possidenti. La reintegrazione degli Stati baltici, della Bielorussia e dell'Ucraina occidentale nell'Unione Sovietica nel 1939 accentuò tale contrasto.
La mappa politica dei conflitti tra "filofascisti" e "antifascisti" in questa parte dell'Europa orientale venne offuscata dallo scontro tra sciovinismo polacco (che persisteva nel suo progetto di "polonizzare" le regioni annesse di Ucraina e Bielorussia attraverso insediamenti coloniali) e le popolazioni vittime, da un lato; e, dall'altro, dal conflitto tra "nazionalisti" ucraini, che erano sia anti-polacchi sia anti-russi (a causa dell'anticomunismo) e il progetto di Hitler, che non prevedeva alcuno stato ucraino come alleato subalterno, in quanto il suo popolo era semplicemente destinato allo sterminio.
Rimando il lettore all'opera fondamentale di Olha Ostriitchouk Gli ucraini di fronte al loro passato [1], la cui analisi rigorosa della storia contemporanea della regione (Galizia austriaca, Ucraina polacca, Piccola Russia e Ucraina sovietica ) permette di comprendere le questioni del conflitto ancora in corso, come anche il posto occupato dal fascismo locale.
Lo sguardo compiacente della destra occidentale verso il fascismo passato e presente
La destra parlamentare europea tra le due guerre ha sempre avuto uno sguardo compiacente verso il fascismo e l'ancora più ripugnante nazismo. Churchill stesso, nonostante il suo carattere terribilmente "british", non ha mai nascosto la propria simpatia per Mussolini. I presidenti Usa e l'establishment repubblicano e democratico hanno scoperto con molto ritardo il pericolo rappresentato dalla Germania hitleriana e, soprattutto, dal Giappone imperial/fascista. Con tutto il cinismo che caratterizza la classe dirigente statunitense, Truman ammise apertamente ciò che gli altri pensavano in silenzio: lasciare che la guerra esaurisse i protagonisti - Germania, Russia sovietica e gli europei sconfitti - e intervenire il più tardi possibile per raccoglierne i frutti. Cioè non proprio l'espressione di una posizione antifascista di principio! E senza mostrare alcuna esitazione vennero riabilitati Salazar e Franco nel 1945. Oltretutto, la connivenza con il fascismo europeo è stata una costante nella politica della Chiesa cattolica. Non è quindi una forzatura della realtà descrivere Pio XII come un collaboratore di Mussolini e Hitler.
Lo stesso antisemitismo di Hitler ha suscitato orrore solo molto tardi, quando raggiunse il livello più alto della sua follia omicida. L'enfasi posta sull'odio del "giudeo-bolscevismo", alimentato dai discorsi di Hitler, era comune a molti politici. Fu solo dopo la sconfitta del nazismo che si rese necessario condannare l'antisemitismo in linea di principio. Il compito è stato facilitato dal fatto che gli autoproclamati eredi del titolo di "vittime della Shoah" divennero i sionisti di Israele, alleati dell'imperialismo occidentale contro i palestinesi ed i popoli arabi, che ad ogni modo non erano mai stati coinvolti negli orrori dell'antisemitismo europeo!
Ovviamente, il crollo dei nazisti e dell'Italia di Mussolini obbligò le forze politiche di destra in Europa occidentale (a occidente della "cortina") a distinguersi da quelli che, all'interno dei loro gruppi, si erano resi complici e alleati del fascismo. Tuttavia i movimenti fascisti furono solo costretti ad abbandonare la scena e a nascondersi dietro le quinte, senza scomparire realmente.
In Germania occidentale, in nome della "riconciliazione", il governo locale ed i suoi patroni (Stati Uniti, e secondariamente Gran Bretagna e Francia) lasciarono al loro posto tutti o quasi gli autori di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità. In Francia, furono avviati procedimenti legali contro la Resistenza per "illecite esecuzioni di collaborazionisti" quando i vichysti riapparvero sulla scena politica con Antoine Pinay. In Italia, il fascismo rimase in silenzio, ma sempre presente nelle file della Democrazia cristiana e della Chiesa cattolica. In Spagna, la "riconciliazione" imposta nel 1980 dalla Comunità europea (che più tardi divenne l'Unione europea) ha semplicemente vietato qualsiasi ricordo dei crimini franchisti.
Il supporto dei partiti socialisti e socialdemocratici dell'Europa occidentale e centrale alle campagne anticomuniste sostenute dalla destra conservatrice hanno la loro parte di responsabilità per il successivo ritorno del fascismo sulla scena. Questi partiti della sinistra "moderata" erano comunque stati autenticamente e risolutamente antifascisti. Ma tutto questo venne dimenticato. Con lo spostamento di queste partiti verso il liberalismo sociale, il loro incondizionato appoggio all'integrazione europea, sistematicamente progettata per garantire l'ordine capitalista reazionario, e la loro non meno incondizionata sottomissione all'egemonia Usa (esercitata, tra gli altri mezzi, attraverso la Nato), si è consolidato un blocco reazionario che combina la destra classica e i socioliberali e che potrebbe includere, se necessario, la nuova estrema destra.
Successivamente, la riabilitazione del fascismo in Europa orientale è stata condotta a passo svelto a partire dal 1990. Tutti i movimenti fascisti dei paesi interessati erano stati fedeli alleati e collaboratori a vari gradi dell'hitlerismo. Con l'approssimarsi della sconfitta, molti dei loro capi vennero dispiegati ad ovest e poterono quindi "arrendersi" alle forze armate statunitensi. Nessuno di loro fu consegnato alle autorità sovietiche, jugoslave o degli altri governi delle nuove democrazie popolari per rendere conto dei propri crimini (in violazione degli accordi tra gli Alleati). Tutti trovarono rifugio negli Stati Uniti e in Canada e tutti furono coccolati dalle autorità per il loro feroce anticomunismo!
Ne Gli ucraini di fronte al loro passato, Olha Ostriitchouk mette a disposizione tutto il necessario per stabilire senza ombra di dubbio la collusione tra gli obiettivi della politica Usa (e, dietro di essi, dell'Europa) e quelli dei fascisti locali dell'Europa orientale (in questo caso, dell'Ucraina). Ad esempio, il "professore" Dmytro Dontsov, fino alla sua morte (nel 1975), ha pubblicato tutte le sue opere in Canada, che non soltanto sono violentemente anticomuniste (abituale è l'utilizzo del termine "giudeo-bolscevismo"), ma anche fondamentalmente anti-democratiche. I governi dei cosiddetti Stati democratici dell'Occidente hanno supportato, finanziato e organizzato la "rivoluzione arancione" (vale a dire, la controrivoluzione fascista) in Ucraina. E tutto questo continua... Precedentemente, in Jugoslavia, il Canada spianò la strada agli ustascia croati.
Il modo con cui i media "moderati" (che non possono ammettere apertamente di supportare dei fascisti dichiarati) nascondono il loro appoggio a questi fascisti è semplice: sostituiscono l'aggettivo fascista con "nazionalista". Il professor Dontsovs non è più un fascista, ma un "nazionalista" ucraino, proprio come Marine Le Pen, che non è più fascista, ma nazionalista! (come ha scritto Le Monde, ad esempio).
Ora, questi autentici fascisti sono veramente "nazionalisti", semplicemente perché si descrivono così? C'è da dubitarne. I nazionalisti oggi meritano di essere qualificati in questo modo solo se mettono in discussione il potere delle forze effettivamente dominanti nel mondo contemporaneo, vale a dire, quello dei monopoli degli Stati Uniti e dell'Europa. Ma questi cosiddetti "nazionalisti" sono amici di Washington, Bruxelles e della Nato. Il loro "nazionalismo" si riduce a odio sciovinistico nei confronti dei popoli vicini, in gran parte innocenti, che non sono mai stati responsabili delle loro disgrazie: per gli ucraini sono i russi (e non lo zar); per i croati sono i serbi; per la nuova estrema destra in Francia, Austria, Svizzera, Grecia e altrove, sono gli "immigrati".
Il pericolo rappresentato dalla collusione tra le maggiori forze politiche negli Stati Uniti (repubblicani e democratici) e in Europa (la destra parlamentare e i socioliberali) da un lato e i fascisti d'Oriente, dall'altro, non va sottovalutato. Hilary Clinton si è eretta a portavoce di questa collusione spingendo all'estremo l'isteria bellica. Ancora più di Bush, se possibile, invoca la guerra preventiva a oltranza (e non solo la riedizione della Guerra fredda) contro la Russia – con un più aperto interventismo in Ucraina, Georgia e Moldova, tra gli altri – contro la Cina e contro i popoli in rivolta in Asia, Africa e America Latina. Purtroppo, questa fuga in avanti degli Stati Uniti, in risposta al loro declino, potrebbe trovare un sostegno sufficiente da permettere a Hillary Clinton di essere "la prima donna presidente degli Stati Uniti!" Non dimentichiamo cosa c'è dietro questa falsa femminista.
Non c'è dubbio che il pericolo fascista può sembrare non ancora in grado di minacciare l'ordine "democratico" negli Stati Uniti e nell'Europa ad ovest della vecchia "cortina". La collusione tra la destra parlamentare e i socioliberali rende inutile per il capitale dominante fare ricorso ai servigi dell'estrema destra che segue a ruota i movimenti fascisti storici. Ma allora cosa dobbiamo dedurre dai successi elettorali dell'estrema destra negli ultimi dieci anni? Gli europei sono chiaramente anche vittime della diffusione generalizzata del capitalismo monopolistico [2]. Possiamo quindi capire perché, di fronte alla collusione tra la destra e la sinistra cosiddetta socialista, si rifugino nell'astensione elettorale o nel voto per l'estrema destra. La responsabilità della sinistra potenzialmente radicale è, in tale contesto, maggiore, in quanto se avesse l'audacia di proporre un reale superamento del capitalismo contemporaneo, ne guadagnerebbe in credibilità perduta. Una sinistra radicale coraggiosa è necessaria per dare quella coerenza di cui i frammentati movimenti di protesta attuali e le lotte difensive sono manchevoli. Il "movimento" potrebbe quindi invertire i rapporti di forza sociali a favore delle classi lavoratrici e consentire avanzamenti progressivi. I successi conseguiti dai movimenti popolari in Sud America lo testimoniano.
Nelle attuali circostanze, i successi elettorali dell'estrema destra derivano dal capitalismo contemporaneo stesso. Tali successi consentono ai media di biasimare e mettere nello stesso calderone, i "populisti dell'estrema destra e quelli dell'estrema sinistra" dimenticando che i primi sono filo-capitalisti (come il termine estrema destra dimostra) e quindi dei potenziali alleati, mentre i secondi sono gli unici oppositori potenzialmente pericolosi del sistema di potere del capitale.
Si osservano, mutatis mutandis, circostanze simili negli Stati Uniti, sebbene qui l'estrema destra non si sia mai definita fascista. Il maccartismo di ieri, proprio come i fanatici e guerrafondai del Tea Party di oggi (Hilary Clinton, per esempio) difendono apertamente le "libertà" - intese esclusivamente come quelle dei proprietari e dei dirigenti del capitale monopolistico - contro "il governo", sospettato di cedere alle richieste delle vittime del sistema.
Un'ultima osservazione finale sui movimenti fascisti. Essi sembrano incapaci di sapere quando fermarsi nelle loro richieste. Il culto del leader e l'obbedienza cieca, la acritica ed estrema valorizzazione delle costruzioni mitologiche pseudo-etniche o pseudo-religiose che trasmettono fanatismo, il reclutamento di milizie per azioni violente fanno del fascismo una forza difficile da controllare. Gli errori, anche al di là degli eccessi irrazionali nei termini degli interessi sociali al cui servizio si pongono i fascisti, sono inevitabili. Hitler, che era un autentico malato di mente, fu comunque in grado di costringere i grandi capitalisti che lo avevano messo al potere a seguirlo nella sua follia, conquistando anche l'ampio sostegno di un intero popolo. Anche se è solo un caso estremo e Mussolini, Franco, Salazar, Pétain non erano malati di mente, un grande numero di loro collaboratori e seguaci non ha esitato a perpetrare azioni criminali.
Il fascismo nel Sud contemporaneo
L'integrazione dell'America Latina nel capitalismo globalizzato nel XIX secolo si basava sullo sfruttamento dei contadini ridotti allo status di "peones" e la loro sottomissione alle crudeli pratiche dei grandi proprietari terrieri. Il sistema di Porfiro Diaz in Messico ne è un buon esempio. L'approfondimento dell'integrazione nel XX secolo ha prodotto la "modernizzazione della povertà". L'esodo rurale accelerato, più pronunciato e giunto prima in America Latina, rispetto ad Asia e Africa, ha portato a nuove forme di povertà nelle favelas urbane contemporanee, le quali sono andate a sostituire le vecchie forme di povertà contadina. Contemporaneamente, le forme di controllo politico sulle masse sono state "modernizzate" con l'istituzione di dittature, l'abolizione della democrazia elettorale, il divieto dei partiti politici e dei sindacati e il conferimento ai servizi segreti "moderni" di tutti i diritti di arrestare e torturare attraverso le loro tecniche di intelligence. Chiaramente, queste forme di gestione politica sono analoghe a quelle del fascismo nei paesi a capitalismo dipendente in Europa orientale. Le dittature latinoamericane del XX secolo si sono poste al servizio del blocco reazionario locale (grandi latifondisti, borghesia compradora e talvolta le classi medie beneficiarie di questo tipo di lumpen-sviluppo), ma soprattutto hanno servito il capitale straniero dominante, in questo caso degli Stati Uniti, che per tale ragione ha sostenuto queste dittature fino alla loro caduta per via della recente esplosione dei movimenti popolari. La forza di questi movimenti e le conquiste sociali e democratiche che hanno imposto escludono, almeno nel breve termine, il ritorno delle dittature para-fasciste. Ma il futuro è incerto: il conflitto tra il movimento delle classi lavoratrici e il capitalismo locale e mondiale è appena iniziato. Come per tutti i tipi di fascismo, le dittature dell'America Latina non evitano errori, alcuni dei quali sono stati fatali. Penso, per esempio, a Jorge Rafael Videla, che è sceso in guerra per le isole Malvine per capitalizzare il sentimento nazionale argentino a proprio vantaggio.
A partire dagli anni 1980, il lumpen-sviluppo caratteristico della diffusione generalizzata del capitalismo monopolistico ha sostituito i sistemi nazionali populisti dell'epoca di Bandung (1955-1980), in Asia e Africa [3]. Questo lumpen-sviluppo ha anche prodotto forme simili sia alla modernizzazione della povertà che a quella della violenza repressiva. Gli eccessi dei sistemi post-nasseristi e post-baathisti nel mondo arabo forniscono dei buoni esempi di ciò. Non dobbiamo mettere insieme i regimi populisti nazionali dell'epoca di Bandung e quelli dei loro successori, che sono saltati sul carro del neoliberalismo globalizzato, perché entrambi "non democratici". I regimi di Bandung, nonostante le loro pratiche politiche autocratiche, hanno goduto di qualche legittimazione popolare sia per i loro risultati effettivi, di cui hanno beneficiato la maggioranza dei lavoratori, che per le loro posizioni antimperialiste. Le dittature che seguirono persero questa legittimità non appena accettata la sottomissione al modello neoliberista globalizzato e il lumpen-sviluppo che lo accompagna. L'autorità popolare e nazionale, anche se non democratica, ha ceduto il passo alla violenza della polizia in quanto tale, al servizio del progetto neoliberale, antipopolare e antinazionale.
Le rivolte popolari recenti, a partire dal 2011, hanno messo in discussione le dittature. Ma le dittature sono solo state messe in discussione. Un'alternativa troverà i mezzi per giungere alla stabilità solo in caso riesca a conciliare i tre obiettivi attorno a cui le rivolte sono state mobilitate: la prosecuzione della democratizzazione della società e della politica; le conquiste sociali progressiste e l'affermazione della sovranità nazionale.
Ma siamo ancora lontani. Questo è il motivo per cui ci sono più alternative possibili nel breve termine visibile. Ci può essere un possibile ritorno al modello nazionale popolare dell'epoca Bandung, magari con un pizzico di democrazia, oppure una cristallizzazione più pronunciata di un fronte democratico, popolare e nazionale, o ancora un tuffo in una illusione rivolta al passato che, in questo contesto, assume la forma di una "islamizzazione" della politica e della società.
Nel conflitto, molto confuso, fra queste tre possibili risposte alla sfida, le potenze occidentali (Stati Uniti e suoi alleati subalterni europei) hanno fatto la loro scelta: hanno dato sostegno preferenziale ai Fratelli musulmani e/o altre organizzazioni "salafite" dell'islam politico. La ragione è semplice ed evidente: queste forze politiche reazionarie accettano di esercitare il loro potere all'interno del neoliberismo globalizzato (abbandonando così ogni prospettiva di giustizia sociale e indipendenza nazionale). Questo è l'unico obiettivo perseguito dalle potenze imperialiste.
Di conseguenza, il programma dell'islam politico appartiene al tipo di fascismo trovato nelle società dipendenti. Infatti, condivide con tutte le forme di fascismo due caratteristiche fondamentali: 1) l'assenza di una messa in discussione degli aspetti essenziali dell'ordine capitalistico (e in questo contesto ciò equivale a non contestare il modello di lumpen-sviluppo collegato alla diffusione del capitalismo neoliberale globalizzato); 2) la scelta di forme anti-democratiche, da stato di polizia, di gestione politica (come ad esempio il divieto di partiti e organizzazioni e l'islamizzazione forzata della morale).
L'opzione anti-democratica delle potenze imperialiste (che smentisce la retorica pro-democratica del diluvio propagandistico a cui siamo sottoposti), accetta quindi i possibili "eccessi" dei regimi islamici in questione. Come altri tipi di fascismo e per le stesse ragioni, questi eccessi sono iscritti nei "geni" del loro modo di pensare: sottomissione indiscussa al leader, fanatica valorizzazione dell'adesione alla religione di Stato e la formazione di forze d'urto utilizzate per imporre la sottomissione. In realtà, e questo si può già vedere, il programma "islamista" fa progressi soltanto in un contesto di guerra civile (fra sunniti e sciiti, tra gli altri) e provoca niente altro che caos permanente. Questo tipo di potere islamico è, quindi, la garanzia che le società in questione resteranno assolutamente incapaci di affermarsi sulla scena mondiale. E' chiaro che gli Stati Uniti in declino hanno rinunciato a ottenere qualcosa di meglio (un governo locale stabile e sottomesso) in favore di questa "seconda scelta".
Sviluppi analoghi e scelte simili possono trovarsi al di fuori del mondo arabo-musulmano, come ad esempio nell'India induista. Il Bharatiya Janata Party (BJP), che ha appena vinto le elezioni in India, è un partito religioso indù reazionario che accetta l'inclusione del suo governo nel neoliberismo globalizzato. E' il garante che l'India, sotto il suo governo, si ritirerà dal progetto di essere una potenza emergente. Descriverlo come fascista, poi, non è davvero forzare troppo la realtà.
In conclusione, il fascismo è tornato in Occidente, Oriente e nel Sud e questo ritorno è naturalmente connesso alla diffusione della crisi sistemica del capitalismo monopolistico generalizzato, finanziarizzato e globalizzato. Il ricorso effettivo o anche potenziale ai servigi del movimento fascista da parte dei centri dominanti di questo sistema in difficoltà richiede la massima vigilanza da parte nostra. Questa crisi è destinata a peggiorare e, di conseguenza, la minaccia di ricorrere a soluzioni fasciste diventerà un pericolo concreto. Il sostegno di Hillary Clinton ai guerrafondai di Washington non fa ben sperare per il futuro immediato.
Note
1. Olha Ostriitchouk, Les Ukrainiens face à leur passé [Gli ucraini di fronte al loro passato] (Bruxelles: PIE Lang, 2013).
2. Per un ulteriore approfondimento, vedere Samir Amin, The Implosion of Contemporary Capitalism [L'implosione del capitalismo contemporaneo] (New York: Monthly Review Press, 2013).
3. Per la diffusione generalizzata di capitalismo monopolistico, ibid.
(*) Samir Amin è direttore del Forum del Terzo mondo a Dakar, Senegal
dei magistrati Luca M. Baiada e Domenico Gallo, 21 marzo 2008
Ad inizio aprile dalle pagine del quotidiano britannico The Guardian, ha espresso critiche molto esplicite all'operato della missione europea in Kosovo e dell'International Civilian Office. Un punto di vista da tenere in considerazione dato che Andrea Lorenzo Capussela ha lavorato in Kosovo, sino alla primavera di quest'anno, proprio per l'ICO. Una nostra intervista…
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-le-contraddizioni-della-presenza-europea-93864
In Kosovo, una società pubblica viene espropriata per assicurare all'American University in Kosovo (privata) gli spazi per costruire il proprio campus. Secondo Andrea Capussela, ex direttore dell'ufficio economico dell'ICO, l'operazione rappresenta "tutto ciò che non va nel Kosovo di oggi"…
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Kosovo-e-internazionali-trasparenza-cercasi-98951
Una débâcle UE: il caso della Banca centrale del Kosovo (di Andrea Lorenzo Capussela, 24 gennaio 2012)
L'11 gennaio i giudici Eulex hanno definitivamente accantonato le accuse di corruzione e abuso d'ufficio nei confronti dell'ex direttore della Banca centrale del Kosovo. Un caso che ha portato alla luce seri problemi nella gestione della giustizia da parte della missione europea. Le riflessioni di Andrea Lorenzo Capussela, già direttore dell'ufficio economico dell'ICO…
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Una-debacle-UE-il-caso-della-Banca-centrale-del-Kosovo-110879
Organ trafficking in Kosovo: the Marty report, the Medicus case and the first convictions. Some open questions on the Eulex conduct
http://www.balcanicaucaso.org/eng/Regions-and-countries/Kosovo/Has-Eulex-changed-its-policy-136615
Eulex: cambio di politica? (Andrea Lorenzo Capussela, 27 maggio 2013)
Lo scandalo EULEX che sta scuotendo l'Unione europea e il Kosovo ha colpito al cuore la credibilità della più grande missione estera dell'Unione. I retroscena e le reazioni dalla nostra corrispondente da Pristina…
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/EULEX-lo-scandalo-corruzione-156961
Doveva eliminare la corruzione in Kossovo, missione Ue nella bufera per tangenti
Lanciata sei anni fa per aiutare i kossovari a combattere corruzione e illegalità, la missione "Eulex" è finita al centro della bufera mediatica per un caso di presunte tangenti che coinvolge alti funzionari di mezzo mondo
Lanciata sei anni fa per aiutare i kossovari a combattere corruzione e illegalità, la missione "Eulex" è finita al centro della bufera mediatica per un caso di presunte tangenti che coinvolge alti funzionari di mezzo mondo
Ivan Francese - Gio, 06/11/2014
Non è ancora passata una settimana dall'insediamento di Federica Mogherini come Alto rappresentante per la politica estera della Ue che già il neo "ministro degli esteri" dell'Unione si trova per le mani una bella patata bollente, forse la peggiore degli ultimi decenni di tutta la politica estera europea.
Si tratta dello scandalo di corruzione che ha travolto Eulex, missione avviata nel 2008 per assistere il cammino verso la democrazia del neonato Kosovo. Maria Bamieh, il procuratore britannico che ha svelato i numerosissimi casi di tangenti ed episodi di corruzione di cui sono accusati i più alti gradi di Eulex, è stata sollevata dal suo incarico. Il pubblico ministero britannico punta il dito contro quelli che chiama "due anni di mobbing, ispezioni e controlli", dovuti, secondo lei, alle accuse che aveva mosso contro i massimi responsabili della missione europea.
Nel mirino delle accuse della Bamieh è finito tra gli altri il magistrato italiano Francesco Florit, accusato di aver preso tangenti in cambio dell'insabbiamento di alcune indagini. Florit però sostiene che queste ipotesi siano "senza fondamento" e, pur accusando la Bamieh di essere "molto abile a relazionarsi con i media nonostante sia sotto indagine amministrativa da due anni", si dice contento che la questione venga esaminata fino in fondo. Con lui, tra gli altri, sono stati accusati anche il procuratore ceco Jaroslava Novotna e il magistrato anglo-canadese Jonathan Ratel.
Nel frattempo, lo scorso 24 ottobre la Bamieh è stata rimossa dal suo incarico a Pristina, capitale del Kosovo, per "cattiva condotta": Eulex ha fatto sapere che è sospettata di aver diffuso documenti riservati. La donna ha negato ogni accusa e continua a sostenere di essersi rivolta alla stampa solo dopo che le erano state contestate le accuse.
"È una vergogna che un'organizzazione che dovrebbe rappresentare la legge non sia essa stessa sottoposta alla legge - attacca la Bamieh parlando a The Guardian - Che messaggio stiamo mandando al Kosovo? È come se dicessimo al popolo kossovaro che se qualcuno dell'organizzazione criminale parla, bisogna prenderlo a calci nei denti. Stiamo dando l'impressione di non essere persone serie per quanto riguarda la corruzione, che l'istituzione chiamata a garantire la legalità si comporta in realtà in modo vergognoso."
Nel frattempo il nuovo responsabile di Eulex, Gabriele Meucci, assicura di "prendere molto sul serio" le accuse della Bamieh, ed anche la Mogherini ha annunciato, da Bruxelles, che una commissione legale indipendente ed esterna sarà inviata in Kosovo per monitorare la situazione. Una misura accolta con favore dalla diretta interessata: "Ben venga un'indagine indipendente, non mi fido di quelle interne", chiosa la Bamieh.
Eulex, costata più di un miliardo di euro, in sei anni ha lasciato il Kosovo, da cui aveva promesso di estirpare la corruzione, in condizioni ancora peggiori di quelle in cui si trovava all'inizio della missione. Analisti locali interpellati da The Guardianricostruiscono come il livello di criminalità organizzata e corruzione nel sistema politico del Paese siano notevolmente peggiorati dal 2008 ad oggi.
http://www.nkpj.org.rs/clanci-la/clanak_id=152.php
NACIONALISTIČKA PROVOKACIJA ALBANSKOG PREMIJERA
Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije osuđuje nacionalističku provokaciju buržoaskog pro-imperijalističkog premijera Albanije Edija Rame, koji je drsko tokom posete Srbiji izjavio da je “nezavisnost Kosova neumitna i da mora biti poštovana”.
Znajući da uživa punu podršku zapadnog imperijalizma, kojem verno služi protivno interesima albanskog naroda, Rama je isprovocirao incident, sličan onome u čijem organizovanju je učestvovao njegov brat tokom odigravanja fudbalske utakmice Srbija – Albanija u Beogradu, kada je pušten dron sa zastavom fašističke tvorevine “Velike Albanije” iznad stadiona Partizana. NKPJ ističe da je nakon drske nacionalističke provokacije i mešanja Rame u unutrašnje stvari Srbije, dužnost republičke Vlade da mu otkaže gostoprimstvo i prekine njegovu posetu našoj zemlji.
NKPJ koristi i ovu priliku da izrazi žestok protest protiv pogubne politike buržoaske pro-imperijalističke Vlade Srbije na čelu sa Aleksandrom Vućićem koja vodi ka formalnom priznavanju “nezavisnosti” Kosova i ulasku Srbije u tamnicu naroda Evropsku uniju čiji je jedini cilj da bogati budu još bogatiji a siromašni još siromašniji. Zahtevamo da se odmah prekinu svi pregovori i kontakti sa marionetskim pro-imperijalističkim režimom u Prištini a da okupatorske trupe NATO, udarne pesnice zapadnog imperijalizma odmah napuste teritoriju južne srpske pokrajine Kosova i Metohije. NKPJ ističe da albanski i srpski narod na Kosovu neće moći da žive u miru i prosperitetu dok okupatorske trupe ne napuste teritoriju te pokrajine i dok se ona ne vrati u sastav matice Srbije. Za sve zločine i razaranja na Kosovu i Metohiji isključivi krivac je zapadni imperijalizam i njegove marionetske sluge u Prištini. NKPJ naglašava da Srbija i Albanija treba da žive u dobrosusedskim odnosima bez mešanja u unutrašnje poslove druge države. Građani Srbije i Albanije ne smeju da dozvole da ih svađa i uništava zapadni imperijalizam zarad svojih pljačkaških interesa. Radni narod u obe zemlje ima isti cilj a to je borba protiv buržoaske eksploatacije i isterivanje NATO imperijalista sa Balkana.
Sekretarijat Nove komunističke partije Jugoslavije
Beograd,
10. novembar 2014. godine
Visite d’Edi Rama en Serbie : « le Kosovo indépendant est une réalité »
Par Ph.B.
Les Premiers ministres serbe Aleksandar Vučić et albanais Edi Rama ont laissé éclater lundi devant les caméras leurs divergences sur le Kosovo.
« Je ne permettrai à personne d’humilier la Serbie à Belgrade. Le Kosovo-et-Métochie n’a rien à voir et n’aura jamais rien à voir avec l’Albanie », s’est offusqué Aleksandar Vučić. « Le Kosovo est serbe, comme l’indique la Constitution de notre pays. C’est la dure réalité et je suis heureux d’être en mesure de le répéter devant M. Rama. »
Contenant difficielement sa colère, Aleksandar Vučić s’est dit « désolé » que son homologue albanais ait mentionné le Kosovo lors d’une conférence de presse conjointe au Palais de Serbie, peu après leur rencontre en tête-à-tête, soulignant que le sujet ne figurait pas à l’agenda officiel des discussions. Il a cependant ajouté qu’il espérait que les entretiens avec le Premier ministre albanais allaient se poursuivre.
Auparavant, Edi Rama avait rappelé que Preševo était un « pont d’importance stratégique entre deux pays partageant le même destin européen ».
« Concernant le Kosovo, nous avons des opinions divergentes », a déclaré le Premier ministre albanais. « Mais la réalité est irréversible et doit être respectée. La reconnaissance du Kosovo par les États européens est d’une importance capitale. »
« L’indépendance du Kosovo a fait que les Balkans sont plus stables et pacifiques », a encore estimé le chef du gouvernement albanais.
La plus grande partie du discours d’Edi Rama a été retransmise en direct sur la RTS... sans être traduite de l’albanais. « Une erreur technique », s’est justifiée la chaîne nationale serbe.
Par ailleurs, le protocole dans les cérémonies a manifestement été « allégé », les drapeaux albanais étant bien peu visibles dans les rues de Belgrade ce lundi.
Nouveau départ ?
Plus tôt dans la journée, les deux Premiers ministres ont convenu d’élaborer un accord permettant aux citoyens d’Albanie et de Serbie de franchir les frontières simplement munis de leur carte d’identité. Quant aux projets d’infrastructure importants, « nous voulons d’abord adhérer à l’Union européenne avant d’aller plus loin », a déclaré Aleksandar Vučić .
L’entretien entre les deux hommes a davantage porté sur la coopération économique et les échanges commerciaux entre les deux pays. Les gouvernements d’Albanie et de Serbie ont également signé un accord sur l’assistance mutuelle en matière de prévention et de répression des infractions douanières.
Mardi, Edi Rama doit se rendre dans la Vallée de Preševo. Ce sera la première fois qu’un Premier ministre albanais se rend à titre officiel dans cette région à majorité albanaise négligée par les autorités de Belgrade. « Une visite historique », s’est félicité le maire de Preševo Mustafa Fahmi.
Trafic d’organes au Kosovo : les principaux suspects échappent toujours à Eulex
(Avec Balkan Insight) - Plus de huit mois après les premières condamnations dans l’affaire de trafic d’organes à la clinique Medicus, la mission Eulex a reconnu qu’elle ne disposait toujours pas d’informations lui permettant d’arrêter les deux principaux suspects.
Le médecin turc Yusuf Sönmez et l’Israélien Moshe Harel, accusés de trafic d’organes et de crime organisés sont en cavale depuis qu’ils ont officiellement été inculpés en juin 2011. Ils figurent pourtant sur les fichiers des criminels activement recherchés d’Interpol.
Le juge d’Eulex Malcolm Simmons s’est dit « inquiet que rien ou presque n’ait eu lieu depuis ». « Nous ne pouvons faire que le strict minimum tant que les accusés n’ont pas été arrêtés », a-t-il rappelé lors d’une audience qui s’est tenue à Pristina pour rendre compte de l’évolution de l’enquête sur le trafic d’organes.
Pour le procureur d’Eulex Allen Cansick, « Harel se trouve toujours en Israël », tandis que « la mission a des informations qui indiquent que Sönmez se déplace tout autour de la planète ». Le procureur se veut néanmoins optimiste : « il y a des chances qu’ils soient un jour conduits au Kosovo ».
Les accusés ne peuvent pas être jugés par contumace, de sorte qu’un éventuel futur procès dépend de leur extradition.
Le juge britannique d’Eulex Welford-Carroll a prononcé l’acquittement des quatre derniers accusés encore en procès dans l’affaire Kleçka, dont l’ancien Premier ministre Fatmir Limaj. Le principal témoin avait été retrouvé pendu en Allemagne en septembre 2011…
Tanjug News Agency, December 23, 2011
UNSC debates organ trade draft
NEW YORK: Consultations are ongoing in the UNSC on Serbia's resolution on human organ trafficking in Kosovo, the Serbian Mission to the UN told Tanjug on Friday.
Russia is presiding over the UN Security Council until the end of December and intensive consultations have taken place in recent days on the text of the resolution, which calls for the appointment of a special representative of the UN Secretary-General Ban Ki-moon to oversee the investigation, but UNSC member countries have yet to reach a compromise.
No agreement has been reached and the UNSC is not expected to meet before the New Year, but consultations are ongoing, Tanjug has learned from the Serbian Mission to the UN. But the UNSC will suspend its activities for the year on Friday, barring emergencies.
Western countries in the UNSC believe only EULEX should be in charge of an investigation into the allegations made in Council of Europe Rapporteur Dick Marty's report. Belgrade, on the other hand, is advocating an independent investigation under a UN mandate, as the crimes mentioned in the report are not contained to Kosovo alone.
Tanjug News Agency, December 30, 2011
West refuses to probe organ trafficking – Russian envoy
MOSCOW: Russian Ambassador to UN Vitaly Churkin says he does not understand why the West refuses to carry out an investigation into human organ trafficking in Kosovo.
“We are very upset over this fact. We do not understand why our western colleagues in the UN refuse to implement measures which would confirm legitimacy of the EULEX investigation in Kosovo and find perpetrators of these crimes,” he told Russia Today.
The Russian envoy stressed that the Serbian delegation in the UN in cooperation with Russian diplomats had drafted a relatively simple resolution which envisaged appointment of a special representative of the UN secretary general in charge of control of the EULEX mission and protection of witnesses.
“I believe that EULEX mechanism is insufficient for implementation of an appropriate investigation, protection of witnesses and reporting to the UN Security Council. I fear that after five or six years of confidential investigations they will announce that they were not able to discover anything, that witnesses are deceased or murdered in the meantime, and that everything is over,” Churkin explained.
He underlined that Russia did not want silence to wrap this monstrous crime, but that for some reason that were unknown to him, there was a certain resistance in his western colleagues regarding a full investigation into the crime contained in the report by Council of Europe Special Rapporteur Dick Marty.
“Nevertheless I think that we will continue to work in this direction in 2012 as well, and that this resolution will be accepted so that the crime would not be forgotten,” Churkin concluded.
Members and leaders of the ethnic Albanian KLA are suspected to be the perpetrators of the atrocities, targetting kidnapped Serb and other civilians in Kosovo in 1999 and 2000.
Modern Tokyo Times
KLA DETENTION CAMPS
In my late December essay in 2010 called Amorality of US Kosovo Policy: Friends with the Snake I have published reactions to the Council of Europe (CoE) 27-page report authored by the Swiss-Italian politician, senator and prosecuting lawyer Dick Marty. The report, after his two-year investigation, claimed that the Kosovo Liberation Army (KLA) thugs headed by the current Kosovo prime minister Hashim Thaci, known as the “Snake,” abducted mostly Kosovo Serbs but also some Albanian so called “collaborators,” transported them to northern Albania, murdered them, extracted their organs like the kidneys, and sold them on the black market. These macabre Nazi/Croatian Nazi style crimes were covered up by the leading international organizations such as the UN, NATO, OSCE as well as the governments of leading western countries. NATO’s secret documents as well as an UN report have been leaked out clearly demonstrating that both of those international organizations had full knowledge of these grisly crimes and opted to cover them up in addition to several western governments, the U.S. and Germany in particular. While a EULEX investigation is being launched, it will focus on the grisly crimes committed by the Snake and his thugs but will not include an investigation of those who enabled these crimes to be covered up for over a decade. In addition, it is doubtful if EULEX is capable of conducting an all-encompassing inquiry. Hence, the most important question needs to be posed: Is the justice going to be served.
CoE Session: 169:8 Votes
On January 25, the CoE supported Dick Marty’s resolution demanding investigation into organ harvesting macabre crimes with a vote of 169:8. The resolution calls for EULEX to continue its investigation. It also calls for the governments of Serbia, Albania and Kosovo institutions to fully co
(Message over 64 KB, truncated)
Stranezze Usa Merkel tra sgarbi e dissensi poi è sempre pace. C’è un perché? (di Michele Marsonet - 13 ottobre 2014)
http://www.remocontro.it/2014/10/13/stranezze-usa-merkel-sgarbi-dissensi-poi-sempre-pace-ce-perche/
L’Europa non voleva. Obama l’ha costretta. Il vice presidente degli Stati Uniti, parlando ad Harvard, ha confessato esagerate pressioni Usa su Bruxelles contro la Russia. Biden ha anche ammesso che l’Isis non costituisce nessun pericolo per l’Occidente…
A Washington si dice che c'è stata una gaffe quando un politico dichiara inavvertitamente la verità. Battuta?
In due campi di Giordania e Turchia uno staff di dodici agenti ha partecipato alla formazione dei ribelli anti-Assad. Che poi sono andati con lo Stato Islamico…http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=111080&typeb=0&007-italiani-hanno-addestrato-militanti-sunniti-poi-passati-con-ISIS
Intelligence Usa scoprì che il denaro di Al Qaida passava per la banca svizzera l’Ubs. L’allora senatore Obama sapeva ma insabbiò. Da quei conti passano i soldi dell’Isis…
http://popoffquotidiano.it/2014/10/21/le-casseforti-dellisis-sono-ubs-e-hsbc-e-obama-lo-sapeva-dal-2008/
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/qamishli-i-curdi-accusano-turchia-1064903.html
Fantomas colpisce ancora
di Franco Fracassi
Il battaglione Donbass è uno delle cinque unità paramilitari (Aidar, Azov, Donbass, Dnepr-1 e Dnepr-2) composte da nazisti provenienti da tutta Europa aggregate alla Guardia nazionale ucraina, e che combatte a fianco dell’esercito di Kiev contro le milizie separatiste. Secondo un’associazione di avvocati ucraini, i cinque battaglioni si sarebbero macchiati di crimini di guerra, ampiamente documentati da foto, filmati e testimonianze. Popoff ha più volte raccontato come questi siano stati addestrati e armati dagli Stati Uniti e da altri Paesi della Nato. Ma è la prima volta che uno di loro, addirittura un comandante, parli della cosa così apertamente.
Prosegue il post di Semyonchenko: «Sono stati sviluppati standard per ogni reparto (ricognizione, forze speciali, di sicurezza eccetera) e per ogni sottufficiale. Particolare attenzione sarà rivolta alla formazione individuale e lavoro di squadra. Verranno utilizzati il numero massimo di esercitazioni pratiche. Un altro punto importante è la formazione dei sergenti (sottufficiali) per permettergli di agire in maniera indipendente e di gestione di un team. Gli istruttori saranno utilizzati anche per preparare le forze di sicurezza interna, e tale formazione è una delle forme di assistenza indiretta che l’Ucraina sta ricevendo. La formazione inizierà tra dieci giorni. Dopo aver concluso l’addestramento saremo pronti a condividere la nostra esperienza e a contribuire ad addestrare altre unità di volontari e di soldati regolari».
Il capo del battaglione di volontari nazisti è anche stato ricevuto dall’Iri (International Republican Institute) e dal Ndi (National Democratic Institute), i bracci internazionali dei due partiti statunitensi. In base a un’inchiesta realizzata in passato da Popoff, Iri e Ndi sono due fondazioni finanziate dal Dipartimento di Stato e costituiscono una sorta di controllo e di appoggio politico all’operato della Cia. «Sono stati dei colloqui molto profiqui. Abbiamo spiegato loro la situazione in Ucraina nella maniera più obiettiva possibile. Siamo certi che tutto andrà per il verso da noi auspicato», ha aggiunto Semyonchenko.
L'11 novembre, i tre caporioni delle milizie nazionaliste Semenchenko (battaglione "Donbass"), Teteruk e Bereza (Pravy Sektor), eletti alle ultime elezioni farsa nel parlamento di Kiev, si sono recati per una visita di un giorno a Washington, per incontrare il senatore McCain, uno dei principali istigatori delle violenze del majdan e organizzatore del golpe di febbraio.
Si tratta della seconda visita, nell'ultimo mese, di Semenchenko negli USA (foto
Nella seconda foto
<< Il miliardario sionista, nonché ex collaborazionista delle SS e delle Croci Frecciate in Ungheria, George Soros chiede all'Europa di difendere fino alla morte il regime golpista ucraino e di partecipare con ancora più veemenza alla guerra totale degli Usa contro la Russia… >>
Europe is facing a challenge from Russia to its very existence. Neither the European leaders nor their citizens are fully aware of this challenge or know how best to deal with it. I attribute this mainly to the fact that the European Union in general and the eurozone in particular lost their way after the financial crisis of 2008.
The fiscal rules that currently prevail in Europe have aroused a lot of popular resentment. Anti-Europe parties captured nearly 30 percent of the seats in the latest elections for the European Parliament but they had no realistic alternative to the EU to point to until recently. Now Russia is presenting an alternative that poses a fundamental challenge to the values and principles on which the European Union was originally founded. It is based on the use of force that manifests itself in repression at home and aggression abroad, as opposed to the rule of law. What is shocking is that Vladimir Putin’s Russia has proved to be in some ways superior to the European Union—more flexible and constantly springing surprises. That has given it a tactical advantage, at least in the near term.
Europe and the United States—each for its own reasons—are determined to avoid any direct military confrontation with Russia. Russia is taking advantage of their reluctance. Violating its treaty obligations, Russia has annexed Crimea and established separatist enclaves in eastern Ukraine. In August, when the recently installed government in Kiev threatened to win the low-level war in eastern Ukraine against separatist forces backed by Russia, President Putin invaded Ukraine with regular armed forces in violation of the Russian law that exempts conscripts from foreign service without their consent.
In seventy-two hours these forces destroyed several hundred of Ukraine’s armored vehicles, a substantial portion of its fighting force. According to General Wesley Clark, former NATO Supreme Allied Commander for Europe, the Russians used multiple launch rocket systems armed with cluster munitions and thermobaric warheads (an even more inhumane weapon that ought to be outlawed) with devastating effect.* The local militia from the Ukrainian city of Dnepropetrovsk suffered the brunt of the losses because they were communicating by cell phones and could thus easily be located and targeted by the Russians. President Putin has, so far, abided by a cease-fire agreement he concluded with Ukrainian President Petro Poroshenko on September 5, but Putin retains the choice to continue the cease-fire as long as he finds it advantageous or to resume a full-scale assault.
In September, President Poroshenko visited Washington where he received an enthusiastic welcome from a joint session of Congress. He asked for “both lethal and nonlethal” defensive weapons in his speech. However, President Obama refused his request for Javelin hand-held missiles that could be used against advancing tanks. Poroshenko was given radar, but what use is it without missiles? European countries are equally reluctant to provide military assistance to Ukraine, fearing Russian retaliation. The Washington visit gave President Poroshenko a façade of support with little substance behind it.
Equally disturbing has been the determination of official international leaders to withhold new financial commitments to Ukraine until after the October 26 election there (which will take place just after this issue goes to press). This has led to an avoidable pressure on Ukrainian currency reserves and raised the specter of a full-blown financial crisis in the country.
There is now pressure from donors, whether in Europe or the US, to “bail in” the bondholders of Ukrainian sovereign debt, i.e., for bondholders to take losses on their investments as a precondition for further official assistance to Ukraine that would put more taxpayers’ money at risk. That would be an egregious error. The Ukrainian government strenuously opposes the proposal because it would put Ukraine into a technical default that would make it practically impossible for the private sector to refinance its debt. Bailing in private creditors would save very little money and it would make Ukraine entirely dependent on the official donors.
To complicate matters, Russia is simultaneously dangling carrots and wielding sticks. It is offering—but failing to sign—a deal for gas supplies that would take care of Ukraine’s needs for the winter. At the same time Russia is trying to prevent the delivery of gas that Ukraine secured from the European market through Slovakia. Similarly, Russia is negotiating for the Organization for Security and Cooperation in Europe to monitor the borders while continuing to attack the Donetsk airport and the port city of Mariupol.
It is easy to foresee what lies ahead. Putin will await the results of the elections on October 26 and then offer Poroshenko the gas and other benefits he has been dangling on condition that he appoint a prime minister acceptable to Putin. That would exclude anybody associated with the victory of the forces that brought down the Viktor Yanukovych government by resisting it for months on the Maidan—Independence Square. I consider it highly unlikely that Poroshenko would accept such an offer. If he did, he would be disowned by the defenders of the Maidan; the resistance forces would then be revived.
Putin may then revert to the smaller victory that would still be within his reach: he could open by force a land route from Russia to Crimea and Transnistria before winter. Alternatively, he could simply sit back and await the economic and financial collapse of Ukraine. I suspect that he may be holding out the prospect of a grand bargain in which Russia would help the United States against ISIS —for instance by not supplying to Syria the S300 missiles it has promised, thus in effect preserving US air domination—and Russia would be allowed to have its way in the “near abroad,” as many of the nations adjoining Russia are called. What is worse, President Obama may accept such a deal.
That would be a tragic mistake, with far-reaching geopolitical consequences. Without underestimating the threat from ISIS , I would argue that preserving the independence of Ukraine should take precedence; without it, even the alliance against ISIS would fall apart. The collapse of Ukraine would be a tremendous loss for NATO , the European Union, and the United States. A victorious Russia would become much more influential within the EU and pose a potent threat to the Baltic states with their large ethnic Russian populations. Instead of supporting Ukraine, NATO would have to defend itself on its own soil. This would expose both the EU and the US to the danger they have been so eager to avoid: a direct military confrontation with Russia. The European Union would become even more divided and ungovernable. Why should the US and other NATO nations allow this to happen?
The argument that has prevailed in both Europe and the United States is that Putin is no Hitler; by giving him everything he can reasonably ask for, he can be prevented from resorting to further use of force. In the meantime, the sanctions against Russia—which include, for example, restrictions on business transactions, finance, and trade—will have their effect and in the long run Russia will have to retreat in order to earn some relief from them.
These are false hopes derived from a false argument with no factual evidence to support it. Putin has repeatedly resorted to force and he is liable to do so again unless he faces strong resistance. Even if it is possible that the hypothesis could turn out to be valid, it is extremely irresponsible not to prepare a Plan B.
There are two counterarguments that are less obvious but even more important. First, Western authorities have ignored the importance of what I call the “new Ukraine” that was born in the successful resistance on the Maidan. Many officials with a history of dealing with Ukraine have difficulty adjusting to the revolutionary change that has taken place there. The recently signed Association Agreement between the EU and Ukraine was originally negotiated with the Yanukovych government. This detailed road map now needs adjustment to a totally different situation. For instance, the road map calls for the gradual replacement and retraining of the judiciary over five years whereas the public is clamoring for immediate and radical renewal. As the new mayor of Kiev, Vitali Klitschko, put it, “If you put fresh cucumbers into a barrel of pickles, they will soon turn into pickles.”
Contrary to some widely circulated accounts, the resistance on the Maidan was led by the cream of civil society: young people, many of whom had studied abroad and refused to join either government or business on their return because they found both of them repugnant. (Nationalists and anti-Semitic extremists made up only a minority of the anti-Yanukovych protesters.) They are the leaders of the new Ukraine and they are adamantly opposed to a return of the “old Ukraine,” with its endemic corruption and ineffective government.
The new Ukraine has to contend with Russian aggression, bureaucratic resistance both at home and abroad, and confusion in the general population. Surprisingly, it has the support of many oligarchs, President Poroshenko foremost among them, and the population at large. There are of course profound differences in history, language, and outlook between the eastern and western parts of the country, but Ukraine is more united and more European-minded than ever before. That unity, however, is extremely fragile.
The new Ukraine has remained largely unrecognized because it took time before it could make its influence felt. It had practically no security forces at its disposal when it was born. The security forces of the old Ukraine were actively engaged in suppressing the Maidan rebellion and they were disoriented this summer when they had to take orders from a government formed by the supporters of the rebellion. No wonder that the new government was at first unable to put up an effective resistance to the establishment of the separatist enclaves in eastern Ukraine. It is all the more remarkable that President Poroshenko was able, within a few months of his election, to mount an attack that threatened to reclaim those enclaves.
To appreciate the merits of the new Ukraine you need to have had some personal experience with it. I can speak from personal experience although I must also confess to a bias in its favor. I established a foundation in Ukraine in 1990 even before the country became independent. Its board and staff are composed entirely of Ukrainians and it has deep roots in civil society. I visited the country often, especially in the early years, but not between 2004 and early 2014, when I returned to witness the birth of the new Ukraine.
I was immediately impressed by the tremendous improvement in maturity and expertise during that time both in my foundation and in civil society at large. Currently, civic and political engagement is probably higher than anywhere else in Europe. People have proven their willingness to sacrifice their lives for their country. These are the hidden strengths of the new Ukraine that have been overlooked by the West.
The other deficiency of the current European attitude toward Ukraine is that it fails to recognize that the Russian attack on Ukraine is indirectly an attack on the European Union and its principles of governance. It ought to be evident that it is inappropriate for a country, or association of countries, at war to pursue a policy of fiscal austerity as the European Union continues to do. All available resources ought to be put to work in the war effort even if that involves running up budget deficits. The fragility of the new Ukraine makes the ambivalence of the West all the more perilous. Not only the survival of the new Ukraine but the future of NATO and the European Union itself is at risk. In the absence of unified resistance it is unrealistic to expect that Putin will stop pushing beyond Ukraine when the division of Europe and its domination by Russia is in sight.
Having identified some of the shortcomings of the current approach, I will try to spell out the course that Europe ought to follow. Sanctions against Russia are necessary but they are a necessary evil. They have a depressive effect not only on Russia but also on the European economies, including Germany. This aggravates the recessionary and deflationary forces that are already at work. By contrast, assisting Ukraine in defending itself against Russian aggression would have a stimulative effect not only on Ukraine but also on Europe. That is the principle that ought to guide European assistance to Ukraine.
Germany, as the main advocate of fiscal austerity, needs to understand the internal contradiction involved. Chancellor Angela Merkel has behaved as a true European with regard to the threat posed by Russia. She has been the foremost advocate of sanctions on Russia, and she has been more willing to defy German public opinion and business interests on this than on any other issue. Only after the Malaysian civilian airliner was shot down in July did German public opinion catch up with her. Yet on fiscal austerity she has recently reaffirmed her allegiance to the orthodoxy of the Bundesbank—probably in response to the electoral inroads made by the Alternative for Germany, the anti-euro party. She does not seem to realize how inconsistent that is. She ought to be even more committed to helping Ukraine than to imposing sanctions on Russia.
The new Ukraine has the political will both to defend Europe against Russian aggression and to engage in radical structural reforms. To preserve and reinforce that will, Ukraine needs to receive adequate assistance from its supporters. Without it, the results will be disappointing and hope will turn into despair. Disenchantment already started to set in after Ukraine suffered a military defeat and did not receive the weapons it needs to defend itself.
It is high time for the members of the European Union to wake up and behave as countries indirectly at war. They are better off helping Ukraine to defend itself than having to fight for themselves. One way or another, the internal contradiction between being at war and remaining committed to fiscal austerity has to be eliminated. Where there is a will, there is a way.
Let me be specific. In its last progress report, issued in early September, the IMF estimated that in a worst-case scenario Ukraine would need additional support of $19 billion. Conditions have deteriorated further since then. After the Ukrainian elections the IMF will need to reassess its baseline forecast in consultation with the Ukrainian government. It should provide an immediate cash injection of at least $20 billion, with a promise of more when needed. Ukraine’s partners should provide additional financing conditional on implementation of the IMF -supported program, at their own risk, in line with standard practice.
The spending of borrowed funds is controlled by the agreement between the IMF and the Ukrainian government. Four billion dollars would go to make up the shortfall in Ukrainian payments to date; $2 billion would be assigned to repairing the coal mines in eastern Ukraine that remain under the control of the central government; and $2 billion would be earmarked for the purchase of additional gas for the winter. The rest would replenish the currency reserves of the central bank.
The new assistance package would include a debt exchange that would transform Ukraine’s hard currency Eurobond debt (which totals almost $18 billion) into long-term, less risky bonds. This would lighten Ukraine’s debt burden and bring down its risk premium. By participating in the exchange, bondholders would agree to accept a lower interest rate and wait longer to get their money back. The exchange would be voluntary and market-based so that it could not be mischaracterized as a default. Bondholders would participate willingly because the new long-term bonds would be guaranteed—but only partially—by the US or Europe, much as the US helped Latin America emerge from its debt crisis in the 1980s with so-called Brady bonds (named for US Treasury Secretary Nicholas Brady).
Such an exchange would have a few important benefits. One is that, over the next two or three critical years, the government could use considerably less of its scarce hard currency reserves to pay off bondholders. The money could be used for other urgent needs.
By trimming Ukraine debt payments in the next few years, the exchange would also reduce the chance of a sovereign default, discouraging capital flight and arresting the incipient run on the banks. This would make it easier to persuade owners of Ukraine’s banks (many of them foreign) to inject urgently needed new capital into them. The banks desperately need bigger capital cushions if Ukraine is to avoid a full-blown banking crisis, but shareholders know that a debt crisis could cause a banking crisis that wipes out their equity.
Finally, Ukraine would keep bondholders engaged rather than watch them cash out at 100 cents on the dollar as existing debt comes due in the next few years. This would make it easier for Ukraine to reenter the international bond markets once the crisis has passed. Under the current conditions it would be more practical and cost-efficient for the US and Europe not to use their own credit directly to guarantee part of Ukraine’s debt, but to employ intermediaries such as the European Bank for Reconstruction and Development or the World Bank and its subsidiaries.
The Ukrainian state-owned company Naftogaz is a black hole in the budget and a major source of corruption. Naftogaz currently sells gas to households for $47 per thousand cubic meters ( TCM ), for which it pays $380 per TCM . At present people cannot control the temperature in their apartments. A radical restructuring of Naftogaz’s entire system could reduce household consumption at least by half and totally eliminate Ukraine’s dependence on Russia for gas. That would involve charging households the market price for gas. The first step would be to install meters in apartments and the second to distribute a cash subsidy to needy households.
The will to make these reforms is strong both in the new management and in the incoming government but the task is extremely complicated (how do you define who is needy?) and the expertise is inadequate. The World Bank and its subsidiaries could sponsor a project development team that would bring together international and domestic experts to convert the existing political will into bankable projects. The initial cost would exceed $10 billion but it could be financed by project bonds issued by the European Investment Bank and it would produce very high returns.
It is also high time for the European Union to take a critical look at itself. There must be something wrong with the EU if Putin’s Russia can be so successful even in the short term. The bureaucracy of the EU no longer has a monopoly of power and it has little to be proud of. It should learn to be more united, flexible, and efficient. And Europeans themselves need to take a close look at the new Ukraine. That could help them recapture the original spirit that led to the creation of the European Union. The European Union would save itself by saving Ukraine.
—October 23, 2014
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I am deeply disturbed by a report in The New York Times quoting Human Rights Watch that subsequently—on October 2 and 5—Ukrainians also used cluster bombs, which I condemn. NATO should clarify both alleged Ukrainian and Russian use of such munitions. ↩