Informazione
Bosnia, minatori in sciopero si barricano sottoterra
Circa 150 minatori bosniaci si sono barricati per protesta all'interno di una galleria del sito estrattivo di Djurdjevik, nel nordest del paese: si tratta di una miniera di carbone nel quale lavorano più di 1000 persone e dal quale vengono estratte ogni anno 600.000 tonnellate di materiale che riforniscono la vicina città di Tuzla.
Ad aver scatenato lo sciopero è stata l'assunsione di un nuovo responsabile amministrativo per la miniera, una decisione che viola un accordo siglato precedentemente col governo nel quale si stabiliva che non sarebbero state assunte persone non legate alla produzione fino a quando gli stipendi dei minatori non fossero stati aumentati.
Da tempo i lavoratori di Djurdjevik domandano migliori condizioni di lavoro, aumenti salariali e una modernizzazione del sito estrattivo; a maggio la compagnia proprietaria della miniera aveva accettato un accordo col quale si impegnava ad aumentare le paghe dei minatori ma la firma del documento e il rispetto delle decisioni prese continuano ad essere rimandati ormai da mesi.
Già ad agosto erano scoppiate le prime proteste per il mancato rispetto degli accordi e l'assunzione del nuovo responsabile amministrativo ha fatto riaccendere la rabbia dei lavoratori di Djurdjevik che lunedì notte si sono barricati all'interno di una delle gallerie della miniera, a duecentocinquanta metri da terra, proclamando uno sciopero della fame e rifiutando gli aiuti e il cibo che gli venivano portati.
La protesta ha innervosito la compagnia, che ha accusato i lavoratori di scioperare 'illegalmente' perché il blocco dei lavori non è stato annunciato con 10 giorni di anticipo ma i minatori minacciano di voler andare avanti a oltranza fino a quando non otterranno quanto chiedono.
Katastrofalan bilans tajkunske privatizacije
Odgovorni urednik: Ivan Đerković
Privatizzazioni in Bosnia Erzegovina, un vero disastro
Proprietà di 15 miliardi vendute per 2, 3 miliardi
15 anni dopo proseguono gli scioperi quotidiani
Il fiasco della revisione in RS
Il potere ha reso possibile il saccheggio
Cosa fare?
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Scritto da Enrico Vigna
1993-2013: A vent'anni dal massacro della " Sacca di Medak", Croazia
[FOTO: "Sacca di Medak" nella Krajina, regione nel sud della Croazia:]
Settembre 1993 : esattamente venti anni fa, l’esercito secessionista croato, con più di 2.500 soldati, appoggiati da carri armati, lanciarazzi e artiglieria, “sfonda” le linee di resistenza a Medak, delle milizie volontarie di autodifesa della Repubblica Serba di Krajina e occupa la cittadina ed i villaggi a sud e a sud-est dalla città di Gospic e l’intera zona. In quell’area erano stanziate per l’ONU, come forze di interposizione tra le parti in conflitto, i soldati canadesi, alla richiesta di questi ultimi di essere presenti all’occupazione della città e dei villaggi, per proteggere i civili, ci fu il rifiuto dei secessionisti croati e solo dopo violenti scontri durati 16 ore tra canadesi e croati, con 27 miliziani croati uccisi, questi accettarono le ispezioni e i terribili sospetti delle forze canadesi di pace trovarono riscontro ( in questo caso va dato atto di una reale volontà di essere forza di pace neutrale, tant'è che il governo canadese ha decorato i propri soldati che parteciparono a quegli avvenimenti con coraggio e lealtà, fedeli ai propri compiti). In meno di 20 ore senza controllo di nessuno nella cittadina, i miliziani croati avevano già commesso innumerevoli crimini: massacri, incendi, violenze efferate contro vecchi, bambini, donne serbi e rom, mutilando e violentando ferocemente.
Il numero complessivo degli assassinii perpetrati in quei nove giorni, non è mai stato accertato con precisione, ufficialmente sono 88, di cui 18 donne, sei poliziotti ed il resto tutti civili, ventisei di essi erano anziani. Ma si parla di oltre cento, considerando i dispersi e scomparsi. Alcuni giorni dopo il massacro, le forze croate hanno consegnato ai serbi 52 corpi; membri delle forze di protezione dell’ONU (UNPROFOR) operanti nella zona, hanno consegnato altri 18 corpi trovati nei campi intorno a Medak, i quali erano mutilati e bruciati; altri 11 corpi furono trovati nascosti nella fossa delle fogne; negli anni, periodicamente furono ritrovati altri singoli corpi sparsi nella zona.
Le milizie secessioniste croate hanno dapprima saccheggiato e poi raso al suolo tutti e tre i villaggi intorno a Medak: Dioselo, Citluk e Pocitelj e dozzine di frazioni vicine, sono finite nella strategia di “terra bruciata” degli Ustascia croati.
Il portavoce UNPORFOR Shannon Boyd ha pubblicato un rapporto nella capitale croata, Zagabria, il 18 settembre 1993, nel quale dice: “...le truppe dell’UNPROFOR hanno trovato 11 piccoli villaggi nella valle di Medak, completamente distrutti (...). E’ stato verificato che la distruzione è sta ben organizzata, sistematica e totale. Le case sono state ridotte in macerie dalle detonazioni e gli animali morti hanno reso invivibile l’area..”.
Il massacro è durato dal 9 al 17 settembre 1993, il comandante in Croazia delle forze ONU, il Generale francese Jean Cot, ha detto che i battaglioni francese e canadese “ ...non potevano prevedere il massacro dei serbi, inclusi giovani e bambini, da parte dei croati...”, testimoniando che le truppe croate non avevano lasciato "...nemmeno un gatto vivo...” a Medak.
Nel rapporto dell’UNPORFOR pubblicato il 19 settembre 1993, il Generale Cot ha affermato: “...Non ho trovato segno di uomini o animali vivi nei diversi villaggi attraverso i quali siamo passati oggi. La distruzione è totale, deliberata e sistematica...”.
Il peacekeeper canadese, Tony Spiess, è stato uno dei tanti soldati canadesi che hanno sofferto di incubi, dopo essere stato testimone della ferocia delle milizie croate. “...La milizia croata cercava di impedire che le truppe canadesi potessero divulgare le notizie, circa le operazioni di pulizia etnica dei villaggi serbi che praticavano, dice Spiess, confermando i racconti ricostruiti nel libro del 2004, scritto da Carol Off e intitolato “I fantasmi di Medak Pocket: la storia della guerra segreta canadese...”.
Testimoni diretti della strage sono stati i soldati dei tre plotoni del Princess Patricia's Canadian Light Infantry, forze canadesi di pace, comandate dal tenente colonnello J. Kevin.: “... quando gli spari, i bombardamenti e il caos furono finalmente cessati a Medak, con nessuna vittima tra le file canadesi, una delle cose che Spiess ricorda di più era la puzza di morte proveniente dappertutto, uomini e cavalli.
“Quella puzza non se ne andrà mai”, ha detto.
Mentre Spiess ed un suo compagno canadese camminavano tra le macerie del villaggio serbo distrutto, i croati tentarono di fermarli, per non far loro vedere i corpi bruciati che erano ovunque.
"...Prima delle ore 10 del mattino, un ombrello denso di fumo copriva tutte le quattro cittadine della sacca di Medak, i croati hanno cercato di uccidere o distruggere tutto ciò che vi era nella loro scia..."
Spiess in modo angosciante ricorda"... i corpi di due giovani ragazze serbe legate a due seggiole a dondolo, con le braccia legate dietro alla schiena. Stavano ancora fumando...è stata una totale devastazione”, dice Spiess.
“...le ragazze erano state stuprate, poi uccise a colpi di pistola e poi bruciate”.
Il tenente colonnello J. Kevin dichiarò alla Reuters: "...alti ufficiali delle Nazioni Unite hanno valutato che ai soldati croati era stato ordinato dal comando più alto di distruggere quei villaggi. Questo poteva essere stato ordinato solo da generali di alto grado....".
"...Ademi dovrebbe essere chiamato a rendere conto", dice Kevin. "...Nessun soldato, degno di essere così chiamato, dovrebbe essere in grado di cavarsela con quello che è stato compiuto..."
"...Avremmo potuto vedere cosa stava succedendo dalle nostre postazioni sicure...", dice Kevin. " Ma i miei soldati sapevano che il loro ruolo era quello di proteggere i deboli e gli innocenti, e sono stati assolutamente ligi a questo loro dovere...".
Un altro testimone, l'ufficiale Green: "...Ogni edificio sul loro percorso era stato demolito e molti erano ancora fumanti. Cadaveri giacevano sul ciglio della strada, alcuni gravemente mutilati e altri bruciati e irriconoscibili.... Sapevamo che sarebbe stato brutto...", disse Green, "...ma le cose che abbiamo trovato e visto sono state peggio di qualsiasi cosa che ci aspettavamo..."
I canadesi hanno documentato tutto ciò che hanno visto. I rapporto di Kevin contribuirono a sollecitare il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia di emettere un atto d'accusa, nel 2001 contro Ademi, con l'accusa di crimini contro l'umanità. Reso pubblico, il Rapporto è una lista brutale di omicidi e torture. Tra le vittime: Sara Krickovic, donna, 71 anni, gola tagliata; Pera Krajnovic, donna, 86, bruciata a morte; Andja Jovic, donna, 74 anni, picchiata e poi uccisa con proiettili. In tutto, le forze canadesi trovarono 16 cadaveri mutilati - alcuni con gli occhi levati.
Il Dott. Z. Karan specialista di medicina legale che ha esaminato i corpi mutilati scrisse nei referti: "...gli ematomi di sangue e le contusioni sono stati causati da colpi di uno strumento meccanico sordo...Le vittime venivano poi spinte nel fuoco, mentre ancora in vita. Molti avevano ferite da taglio ... Non è necessario commentare come i prigionieri sono stati trattati... "
L’unica sopravissuta, Ivanka Rajcevic, ha raccontato così gli eventi vissuti: “... io e mio figlio stavamo dormendo in casa. E’ stato intorno alle 6 della mattina quando una granata ha colpito una delle case che è andata immediatamente in fiamme. Ho chiamato mio figlio. Lui mi ha detto: mamma, non lasceremo la casa per causa dei bombardamenti...Poi sentito un Ustascia muoversi intorno alla casa. Si è avvicinato alla finestra e mi ha vista. Ha acceso una granata a mano e l’ha gettata in casa. Quando è esplosa è rimasto a guardare se mi aveva uccisa. Ero rimasta solo ferita, ma ho finto di essere morta. Allora è andato dietro alla casa e ha cominciato a sparare con un fucile automatico (...). Gli altri sono arrivati successivamente davanti alla casa su mezzi di trasporto e un carro armato. Non sono rimasti a lungo, ma quattro Ustascia sono rimasti davanti alla porta. Non parlavano la nostra lingua, credo parlassero tedesco (...probabilmente parlavano olandese, lingua simile al tedesco, infatti è stato successivamente accertato che 13 fascisti olandesi presero parte al massacro...). Quando altri due Ustascia si sono uniti a loro hanno chiesto all’interprete di tradurre. L’interprete ha detto:
"Questo è un villaggio serbo, tagliate tutte le gole, anche ai gatti! Uccidete tutto, niente deve rimanere dietro di noi, neppure i bambini...”.
Un certo numero di loro indossava maschere nere, una trentina di loro o forse di più. Quando si sono sparsi in tutto il villaggio ed hanno cominciato ad incendiare tutte le case, sono andata nell’altra camera per vedere se mio figlio fosse tornato indietro. Non c'era. Allora sono uscita dalla casa così che non mi potessero bruciare viva. A gattoni sano passata attraverso le staccionate di siepi per scappare.
Dietro ad una fitta siepe mi sono bendata la ferita e sono rimasta la' tutta la notte e tutto il giorno successivo....”
DOPO VENT'ANNI la Giustizia dell'occidente è stata fatta:
un solo colpevole condannato ad una pena di 6 anni di prigione.
A quel tempo la corte della Nato all'Aja, aveva annunciato i capi d’imputazione contro tre generali delle milizie secessioniste croate per il massacro di Medak Pocket: il kosovaro albanese Rahim Ademi e i croati Janko Bobetko e Mirko Norak, tutti accusati di crimini contro l’umanità e di violazione delle leggi e dei trattati di guerra.
Agim Ceku, un altro criminale di guerra kosovaro albanese, che comandava le truppe croate che massacrarono i serbi di Medak, non è mai stato accusato per aver commesso crimini di guerra. Al contrario gli fu persino data negli anni scorsi la presidenza del governo di transizione in Kosovo, sotto l’Amministrazione della Missione delle Nazioni Unite (UNMIK); in quanto è stato tra i più noti comandanti la guerriglia terrorista dell'UCK, nella provincia serba del Kosovo Metohija.
Secondo le testimonianze e le prove documentate presso l'UNPROFOR, le milizie e spesso anche civili croati“...hanno sistematicamente saccheggiato” la popolazione serba e i piccoli villaggi durante e dopo l’assalto delle forze militari, “... appropriandosi di beni personali, elettrodomestici, mobili, dalle case che stavano per essere distrutte; rubando animali ed attrezzature dalle fattorie, smantellando case e fabbricati e trasportando via tutto ciò con camion; hanno sistematicamente distrutto 164 case e approssimativamente 148 altri fabbricati (e tutto ciò che contenevano) con l’utilizzo di fuoco ed esplosivo..."..
La stessa ex Procuratrice Capo dell'Aja, Carla Del Ponte, ha dichiarato che, durante una settimana di orgia di sangue, le truppe croate hanno mutilato e ucciso contadini serbi “...sparando, accoltellando, tagliando dita, colpendo brutalmente col calcio del fucile, bruciando con sigarette, saltando sui corpi, legando i corpi a una macchina e trainandoli lungo la strada, effettuando mutilazioni e altre forme di torture...".
Per illustrare le crudeltà senza paragoni delle milizie croate, le accuse evidenziano il caso di due donne: Boja Pjevac, che, dopo essere stata stuprata, è stata mutilata e poi il suo corpo è stato sezionato e Boja Vujanvic che, dopo essere stata stuprata, è stata bruciata viva. e mentre lei agonizzava, intorno a lei i suoi carnefici ridevano e ballavano.
Anche quattro membri della 9° Brigata detta i "Lupi", ed un ex membro dei Servizi Militari Segreti croati sono ancora indagati a Zagabria, per crimini di guerra contro civili e prigionieri di guerra per gli eccidi di Medak: J. Krmpotic, uno dei comandanti la Brigata, I. Jurkovic, M. Petti e V. Solaja membri della stessa e K. Tomljenovic ex agente del SIS croato.
Krmpotic e Solaja erano stati testimoni di difesa nel processo del cosiddetto "gruppo Gospic", comandato dai generali Mirko Norac e Tihomir Oreskovic, che erano accusati di crimini di guerra nell'area di Gospic...GIA' per il 1991 e 1992.
Ma, alla fine, non è stato istituito alcun processo all'Aja contro i generali croati che hanno guidato l’eccidio contro i serbi di Medak Pocket.
Nel settembre del 2005 il Tribunale Penale dell'Aja ha trasferito il caso del massacro di Medak presso le autorità giudiziarie croate, che, prontamente hanno assolto Rahim Ademi e riconosciuto colpevole Mirko Norak con una vergognosa condanna a 6 anni di prigione, chiudendo così il fascicolo del massacro di Medak Pocket.
Un uomo condannato a sei anni di prigione per la distruzione di tre villaggi e 11 piccoli paesi rasi al suolo, 88 vite portate via nella maniera più feroce e per una sistematica persecuzione e liquidazione della popolazione serba ed anche rom nella regione.
....E quando e quanto si sono alzate forti le voci e l'indignazione dei pacifinti, dei "dirittumanisti", degli info/ disinformatori di casa nostra?!
In compenso uno dei massimi esponenti militari delle forze secessioniste croate, il kosovaro albanese Agim Ceku, ricercato e condannato come criminale di guerra in Serbia, poi diventato uno dei comandanti il terrorismo secessionista albanese in Kosovo....è stato ricevuto negli USA nel 2006 con i massimi onori.
[ FOTO: Qui sotto con C. Rice...]
A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum di Belgrado Italia
Settembre 2013
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Da: "Gilberto Vlaic" <gilberto.vlaic @ elettra.eu>Data: 27 agosto 2013 18.47.00 GMT+02.00Oggetto: Relazione economica sulle nostre famiglie in Serbia
Trieste, 27 agosto 2013
Care amiche e cari amici solidali, vi inviamo una delle periodiche relazioni sullo stato economico della Serbia e delle tante famiglie che sosteniamo.
Il prossimo viaggio per la consegna degli affidi a distanza sara’ effettuato tra il 17 e il 20 ottobre prossimo.
Invitiamo i sostenitori che non lo abbiano gia’ fatto versare per tempo le quote.
Abbiamo assoluto bisogno di incrementare il numero dei nostri sottoscrittori; abbiamo avuto alcune cancellazioni, dovute alla crisi economica che devasta il nostro Paese, ma non possiamo cancellare nessuno degli affidi in corso (forse uno solo) perche’ le situazioni delle famiglie che seguiamo non sono certamente migliorate! Al momento stiamo sostenendo 163 famiglie.
Inoltre durante il viaggio di ottobre dovremo prendere in carico almeno un nuovo progetto, forse due: il restauro di una scuola elementare e la ricostruzione dell’ambulatorio in un piccolo villaggio di campagna, e non riusciamo piu’ a far fronte a tutte le necessita’.
Contiamo sulla generosita’ e sulla solidarieta’ dei nostri lettori; chiedete di aderire alla nostra campagna ai vostri amici, ai vostri parenti, voi siete i migliori testimoni della serieta’ delle nostre azioni.
Un caro saluto a tutte/i voi.
Gilberto Vlaic
a nome della ONLUS Non Bombe Ma Solo Caramelle
Vi informiamo che stiamo caricando sulla nostra pagina facebook le fotografie relative e tre nuovi progetti, due realizzati ed uno in corso di realizzazione.
Potrete vedere che sono progetti onerosi, ma assolutamente necessari, ed e’ per questo che vi preghiamo caldamente di sostenerci!
www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle
Serbian government reshuffled in preparation for assault on workers’ conditions
By Paul Mitchell
10 September 2013
The Serbian government was reshuffled last week in preparation for an assault on jobs, wages and pensions demanded by the European Union (EU) and the International Monetary Fund (IMF).
In early 2012, the IMF suspended a $1.3 billion loan to Serbia over delays to “structural reforms” and spending cuts. Since then, the IMF and EU have repeatedly warned that further support is dependent on cuts to the public sector and the pension system.
Other demands include “rigorous wage and employment policies” to end the “highly rigid and protected labour market”; acceleration of the privatisation programme; a strict limit on subsidies, particularly to agriculture; “targeting”, i.e., reducing, welfare benefits; increases to VAT and higher utility charges; and removing “excessive regulations” on businesses.
The Fiscal Council of Serbia—a three-member body appointed by parliament to monitor budget compliance—has parroted the IMF/EU demands. Council Chairman Pavle Petrovic declared, “Significant savings in 2013 and 2014 are impossible without control of salaries and pensions. ... The IMF said we have to freeze salaries in the public sector and drastically cut down expenditures...”
Seven of the 18 ministers in the new cabinet will be non-party technocrats. The three ministers belonging to the smallest party in the coalition, the United Regions of Serbia (URS), were ousted in the reshuffle, including Finance and Economy Minister Mladjan Dinkic. The URS, a group of economists and technocrats, has been part of every government since 2000, slavishly following IMF/EU dictates. They have been made the scapegoats for what First Deputy Prime Minister Aleksandar Vucic called the country’s “nightmare” economic situation.
Serbia went back into recession in 2012 and ended the year with the public debt at 62 percent of gross domestic product (GDP), well above the legal ceiling of 45 percent. The budget deficit could end up as high as 8 percent of GDP this year, compared to the target of 3.6 percent. Despite years of IMF economic “consolidation” measures in Serbia, the 2013 World Economic Forum report on global competitiveness, which ranks 148 countries, showed Serbia falling six places last year to 101st, its worst ever result.
In the reshuffle, Dinkic’s ministerial post was split in two, with 28-year-old Yale-educated Lazar Krstic leaving global consultancy firm McKinsey to become finance minister and consultant Sasa Radulovic, who has also studied and worked in the US, taking over as economy minister.
Krstic said he intended to introduce a “comprehensive” reform of the public sector and tax system, to “reduce, mostly eliminate, subsidies” for well over 100 loss-making state firms and “aggressively” tackle red tape so as to secure a new loan deal with the IMF. “We need to fix our house”, Krstic declared “We’re at the point where we have very little manoeuvering space. ... There is an awareness and an agreement that ... we’re at the point that we really need to do something serious to get the economy back on track and make it sustainable in the long term.”
It is a sign of the deep crisis in the country that the reshuffle comes just one year after elections led to the formation of a coalition government comprising the Serbian Progressive Party (SNS), the Socialist Party (SPS) and the URS. Having won 73, 44 and 14 parliamentary seats, respectively, they commanded a narrow 131 majority in the 250-seat parliament.
There was some initial concern within European ruling circles over the formation of an SNS-SPS coalition and the defeat of the openly pro-EU, pro-US Democratic Party, led by Boris Tadic. The SNS had split only in 2008 from the ultra-nationalist Radicals, led by Vojislav Seselj, now on trial at the International Criminal Tribunal in The Hague. The SPS is the direct successor to the League of Communists of Serbia, the official Stalinist party formerly led by Slobodan Milosevic.
However, under Seselj’s right-hand man, Tomislav Nikolic (now Serbian president), and Milosevic’s right-hand man, Ivica Dacic (now Serbian prime minister), the SNS and SPS have moderated their rhetoric, particularly over opposition to Kosovan independence from Serbia, and pursued a pro-EU policy.
In April 2013, the Serbian government approved an EU-brokered deal normalising relations with Kosovo. The agreement was called “historic” by European Commission President José Manuel Barroso. It cleared away the final obstacles to Serbia’s accession into the EU, and the first conference is planned to be held by January 2014.
In June, the government adopted a package of new “painful but necessary’’ austerity measures that included many of the IMF/EU demands, including slashing government expenditure by 40 percent, a “radical” structural reform of public services, and a new labour law.
These new measures will devastate the living standards of workers already amongst the most impoverished in Europe. Unemployment in Serbia is currently at 27 percent (much higher amongst young people), average salaries are a paltry €370 a month, and the minimum wage is €188—less than that in China.
At the same time, the cost of living has spiralled. Since May 2012, the increase in food prices has been almost 13 percent. In August, the price of electricity increased by around 11 percent for households, and the price of gas increased this month by 4.4 percent. About 10 percent of the Serbian population of 7,260,000 is below the poverty line, living on a monthly income of less than €80.
In the midst of such misery, some have done well. Serbia is the top destination for foreign direct investment in the Balkans, receiving $10 billion in 2007-2012—a quarter of the total—exceeding even EU members Bulgaria and Romania. Fiat has moved a large share of its production from Italy, citing low wages, well educated workers, generous tax incentives and, uniquely, free trade agreements with both the EU and Russia. Panasonic has set up a plant 110 kilometres from Belgrade, with its director Dirk Bantel explaining that Serbia offers a huge cost advantage over Germany, the destination of the factory’s total output.
Of central importance to the ruling elite have been the trade unions, whose role has been to disorient and disarm the working class.
Confederation of Autonomous Trade Unions of Serbia (CATUS) President Ljubisav Orbovic points to the dictatorial nature of the new measures, declaring that “social dialogue ... is now non-existent”, but his answer is, “... for the time being, it is too early to say what steps the union would take.”
Orbovic says labour reforms are not necessary because, “Up to now, there hasn’t been any obstacle to dismissals, and this can be verified by the fact that in the last couple of years, 500,000 jobs were lost”. He advises, “When it comes to enterprises in restructuring, those which can’t recover should be shut down, and those which are able to get back on their feet should be supported with a little help.”
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11 SETTEMBRE 1973: LA TRAGEDIA CILENA
Si yo a Cuba le cantara,
le cantara una canción,
tendría que ser un son,
un son revolucionario,
pie con pie, mano con mano,
corazón a corazón.
Como yo no toco el son
pero toco la guitarra,
que está justo en la batalla
de nuestra revolución,
será lo mismo que el son
qui hizo bailar a los gringos,
pero no somos guajiros,
nuestra sierra es la elección.
Victor JARA
L’11 settembre di 40 anni fa un complotto imperialista interrompeva nel sangue un sogno, il sogno cileno di una rivoluzione “democratica”, cioè della conquista del potere da parte delle sinistre tramite elezioni regolari. Questa sconfitta, oltre a provocare la morte di migliaia di cileni compreso il presidente Salvador Allende, ed a precipitare il Cile per quasi un ventennio in un incubo di violenze e di miseria, ebbe una forte ripercussione anche nei militanti di sinistra dei paesi europei, che avevano creduto nella rivoluzione legalitaria proposta da Allende e si sentirono essi stessi sconfitti nella lotta che avevano portato avanti, cioè la speranza di una vittoria elettorale che portasse al potere un governo di sinistra. Fu forse anche in seguito a quella tragedia che molti smisero di credere nella possibilità di un cambiamento radicale in seno alla democrazia istituzionale e forse fu anche questo uno dei motivi della recessione della sinistra dalla fine degli anni ‘70 in poi, recessione dalla quale non siamo ancora usciti.
Oggi intendiamo ricordare la figura di Salvador Allende e con lui ricordare anche tutti i suoi compagni di lotta, che pagarono con la vita, la carcerazione, le torture e l’esilio la loro fede nella possibilità di un cambiamento radicale ma pacifico.
Lo spirito con il quale l’Unidad Popular (la coalizione politica che faceva capo al candidato Presidente Salvador Allende), si presentava alle elezioni emerge chiaramente da alcuni versi della canzone scritta dal poeta e musicista Victor Jara che vi abbiamo proposto all’inizio; la canzone è dedicata a Cuba ed è un elogio della rivoluzione cubana, ma Jara fa un distinguo rispetto al modo di fare una rivoluzione: “pero no somos guajiros, nuestra Sierra es la eleccion”, canta, cioè: noi non siamo guerriglieri, non faremo la guerra di guerriglia, noi ci presenteremo alle elezioni e le vinceremo regolarmente.
Victor Jara, che non voleva essere un guerrigliero ma partecipare alle elezioni, fu bestialmente torturato e poi ucciso nei primi giorni del golpe dai criminali che non avevano accettato che il popolo vincesse le elezioni e pretendesse di governare il Paese.
Che il governo di Unidad Popular non dovesse durare lo avevano già deciso, ancora prima che la vittoria di Allende fosse compiuta, le alte sfere della CIA e le multinazionali che avevano i propri interessi nell’economia cilena. Infatti milioni di dollari furono versati dalla Cia e dalla Casa Bianca all’editore del quotidiano “el Mercurio” fin dal 1970 affinché il giornale attaccasse ogni giorno il governo di Allende.
Subito dopo le elezioni un infame crimine, l’assassinio del generale René Schneider fedele al governo eletto, iniziò la strategia della tensione in Cile.
E dato che la vittoria di Allende fu di misura, i problemi per la gestione della cosa pubblica si presentarono da subito, dato che il partito democristiano (di centro) si barcamenò tra i due schieramenti (sinistra e destra all’opposizione) ed alla fine, quando le cose iniziarono a mettersi male per il governo, gli tolse il sostegno politico e lo abbandonò al suo destino.
In questa sede non c’è lo spazio per riportare la documentazione relativa alle responsabilità statunitensi nel golpe in Cile ma vi invito a leggere il testo di Patricia Verdugo, “Salvador Allende. Anatomia di un complotto organizzato dalla CIA” ed. Baldini Castaldi Dalai, che spiega diffusamente come fu organizzato a tavolino il golpe che causò la morte di migliaia di cileni.
C’è un altro testo, che però è oggi più o meno introvabile: “L’imperialismo contro il Cile. Documenti segreti dell’ITT” sapere edizioni 1973, che riporta i documenti della multinazionale delle telecomunicazioni relativi al loro coinvolgimento nel golpe. Infatti lo stesso Allende aveva così denunciato in un intervento alle Nazioni Unite:
“L’ITT, una gigantesca multinazionale, ha iniziato,nello stesso momento in cui si conobbe la vittoria popolare, una minacciosa azione, in collusione con forze fasciste interne, per impedire che io mi insediassi alla presidenza. Signori delegati, io accuso, davanti alla coscienza del mondo, l’ITT di voler provocare nella mia patria una guerra civile!”
Inoltre è fondamentale la lettura di “Dal Cile” di Saverio Tutino (Mazzotta) che ricostruisce l’ultimo periodo del governo di Allende, quando la destra aveva scatenato tutta la propria forza di destabilizzazione, con le manifestazioni della buona borghesia che scendeva in piazza sbattendo casseruole per dimostrare che erano vuote e non c’era da mangiare; quando gli scioperi dei camionisti che bloccavano i rifornimenti alle città erano organizzati e foraggiati dagli stessi che spingevano in strada le casalinghe dei quartieri alti (che al mercato nero trovavano tutto quello che volevano, mentre era nei quartieri poveri che mancavano i mezzi di sussistenza, nonostante quanto facessero le associazioni di autogestione popolare). In quell’ultimo anno Allende si trovò anche a dover tenere a freno le associazioni di estrema sinistra che avrebbero voluto scegliere una via armata di resistenza e difesa del governo, cosa che il Presidente rifiutava sia per il suo attaccamento alla democrazia, sia perché comprendeva che sarebbe stato un suicidio; e d’altra parte è anche necessario fare piazza pulita delle accuse fatte “da sinistra” ad Allende di avere tradito i compagni più “estremisti” perché addirittura accoglieva in casa propria i militanti del MIR ricercati dalla polizia per evitare loro l’arresto.
Nonostante tutti i tentativi di destabilizzare la società cilena per ribaltare il governo di Allende, alle elezioni del marzo 1973 l’Unidad Popular ottenne ancora la maggioranza (nelle manifestazioni popolari a sostegno di Allende molti lavoratori marciavano con i cartelli “es un gobierno de mierda pero es mi gobierno”, a dimostrazione del fatto che l’alternativa avrebbe significato perdere tutto quello che si era riusciti a conquistare in quei tre anni) e fu questo sostegno popolare che costrinse l’imperialismo a cercare la via del golpe.
La mattina dell’11 settembre i vertici dell’esercito, che solo pochi giorni prima avevano assicurato la propria fedeltà di militare al governo legittimo, iniziarono la sollevazione a Valparaiso. E l’addetto navale degli USA in Cile, Patrick Ryan, informò il Pentagono la mattina dell’11 settembre 1973 con queste parole:
“Il nostro D-day è stato pressoché perfetto”.
Il resto è storia più o meno nota, e non approfondiremo in questa sede né la gestione del potere da parte di Pinochet, né le ripercussioni internazionali del Plan condor, la rete terroristica di cui fecero parte anche neofascisti italiani, che assassinò esuli latino americani in fuga dalle varie dittature in diversi Paesi esteri; né parleremo delle calunnie che ancora oggi vengono diffuse per infangare la figura di Allende.
Oggi ci piace ricordare il governo di Unidad Popular per una piccola, grandissima riforma: garantire un mezzo litro di latte quotidiano ad ogni bambino cileno, per dare anche i piccoli dei barrios di periferia la possibilità di nutrirsi meglio e di crescere al pari dei loro coetanei dei quartieri alti. Questo mezzo litro di latte è diventato un simbolo, il simbolo di un governo che vuole il bene del proprio popolo e che per garantirgli questo mezzo litro di latte quotidiano, così come tutte le altre riforme più “grandi” necessitava di enormi risorse, che poteva trovare solo nazionalizzando le ricchezze cilene. Perché solo se la ricchezza del Cile rimaneva al Cile (e per fare questo bisognava impedire alle multinazionali di depredarle), il Paese avrebbe potuto garantire il benessere a tutto il suo popolo e non solo alla minoranza di ricchi che vedeva i propri privilegi intaccati dalle scelte di Unidad Popular.
Così spiegava Allende in un’intervista rilasciata a Roberto Rossellini nella primavera del 1972:
“Noi definiamo l’imperialismo come l’estrema fase del capitalismo. È il capitale finanziario dei paesi industrializzati che cerca terreni di investimento nei paesi dove si possono ricavare maggiori profitti , ossia larghi margini di utile (…) i paesi in via di sviluppo sono paesi che vendono materie prime. Vendiamo a poco prezzo e compriamo a caro prezzo. Il processo di inflazione fa sì che noi siamo costretti a fornire sempre più materie prime per importare lo stesso quantitativo di prodotti finiti.
Nell’ultimo decennio è stato più quello che è uscito da questi paesi dell’America latina di quello che è entrato. E tutto questo è avvenuto per pagare crediti, profitti, ammortamenti, oltre ai contributi che vengono dati dall’America latina per prestiti agli organismi semi-statali o statali e per investimenti delle economie private. Questo dramma è quello che fa sì che l’America latina sia andata impoverendosi sempre più mentre si consolidava il capitale straniero particolarmente il capitale internazionale.
Questo l’intervento di Allende alle Nazioni Unite nel 1972:
“Ci troviamo davanti a un vero scontro frontale tra le grandi corporazioni internazionali e gli Stati.
Questi subiscono interferenze nelle decisioni fondamentali, politiche, economiche e militari da parte di organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato.
Per le loro attività non rispondono a nessun governo e non sono sottoposte al controllo di nessun Parlamento e di nessuna istituzione che rappresenti l'interesse collettivo.
In poche parole la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta.
Le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei paesi industrializzati in cui hanno sede.
La fiducia in noi stessi che incrementa la nostra fede nei grandi valori dell'umanità, ci da la certezza che questi valori dovranno prevalere e non potranno essere distrutti.”
Questo discorso, che durò soltanto due minuti, fu seguito da un applauso di un minuto: lo trovate su http://www.youtube.com/watch?v=1OyI326QdvA con i sottotitoli in italiano.
Dunque il golpe delle multinazionali e della CIA fu anche, simbolicamente, rivolto contro quel mezzo litro di latte quotidiano, perché non si poteva permettere di intaccare i privilegi dei pochi ricchi per dare la possibilità alla maggioranza povera di migliorare la propria condizione di vita. Ma questo discorso era stato ben capito dai lavoratori e dai proletari cileni, ed era questo il motivo del sostegno che Allende ebbe dal suo popolo, al quale rimase fortemente legato fino alla fine, come dimostrano le ultime parole che riuscì a far uscire dal palazzo della Moneda, dove aveva deciso di rimanere invece di tentare la fuga e dove rimase vittima dei golpisti. Che si sia suicidato o sia morto per mano degli insorti non ha importanza: la morte di Allende è comunque un crimine dell’imperialismo.
Quando seppe dell’inizio del golpe Allende inviò alle 7.55 un primo messaggio radio in cui chiedeva al popolo di restare unito, mantenere la calma evitando provocazioni e manifestava la propria fiducia nella fedeltà dell’esercito al governo legale; nei messaggi successivi appare come Allende si sia via via reso conto che la situazione stava precipitando e l’ultimo messaggio delle 9.30 ci mostra un uomo che pur sentendosi sconfitto e prossimo alla fine non viene meno alla propria coerenza ed integrità. Eccolo.
“Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi.
La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes. Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno. Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri.
Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo. E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.
Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli. Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.
In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi. (…) Dinanzi a tali fatti non posso dire che una sola parola ai lavoratori: (a questo punto la registrazione è confusa, si odono sempre più forti scoppi di bombe).
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più. Non importa. Continuerete a sentirla. Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi. Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole (si odono scoppi vicinissimi) e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento”.
I SATRAPI.
Nixon, Frei e Pinochet
fino ad oggi, fino a questo amaro
mese di settembre,
dell’anno 1973,
con Bordaberry, Garrastazu e Banzer
iene voraci
della nostra storia, roditori
delle bandiere conquistate
con tanto sangue e tanto fuoco,
impantanati nei loro orticelli,
predatori infernali
satrapi mille volte venduti
e traditori eccitati
dai lupi di New York,
macchine affamate di sofferenze,
macchiate dal sacrificio
dei loro popoli martirizzati,
mercanti prostitute
del pane e dell’aria d’America,
fogne, boia, branco
di cacicchi di lupanare
senza altra legge che la tortura
e la fame frustrata del popolo.
Pablo NERUDA
Claudia Cernigoi
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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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