Informazione
Da: Claudio Cossu <claudio.cossu @...>Data: 14 settembre 2013 22.32.29 GMT+02.00Oggetto: La promulgazione delle leggi razziali-settembre 1938.Rispondi a: Claudio Cossu <claudio.cossu @...>.Con preghiera di cortese diffusioneVerrà proiettato , inoltre, il filmato "La Risiera di S.Sabba" di Alessio Zerial.Cittadini liberi ed eguali liberieguali@...
Trieste, settembre 1938- settembre 2013
( cell. + 39-333.27.37.624 )
TRIESTE E IL FASCISMO RAZZISTA
In occasione dei 75 anni dell’annuncio delle leggi razziali (Trieste, 18 settembre 1938) il Comitato spontaneo “Cittadini Liberi ed Eguali” promuove il Convegno “Trieste e il fascismo razzista” che si svolgerà presso il “Circolo della Stampa” di Corso Italia n. 13 in data
giovedì 19 settembre 2013 dalle ore 17 alle 20.
I relatori saranno, nell’ordine:
Tullia Catalan: Dalla Trieste tollerante alla Trieste xenofoba. Antislavismo e antisemitismo
Silva Bon: La persecuzione antiebraica a Trieste
Anna Maria Vinci: Il razzismo nel fascismo di confine
Gaetano Dato: Il passaggio della memoria della Risiera
Simone Rorato: Trieste 1961. La stampa locale di fronte al processo Eichmann
Sarà proiettato un video, curato da Claudio Sepin, sul discorso di Mussolini in Piazza Unità.
Di fronte al mare e alla folla delirante in Piazza Unità, il dittatore disse, tra l’altro: “Il problema di scottante attualità è quello razziale. Anche in questo campo noi adotteremo le soluzioni necessarie (...). Il problema razziale non è scoppiato all’improvviso”.
L’annuncio delle leggi razziali consacrava istituzionalmente una componente del fascismo che aveva radici lontane, in certo nazionalismo locale degli inizi del Novecento. Nel 1920 e 1922 Mussolini aveva visitato le terre al confine orientale esaltando ripetutamente la superiorità della civiltà latina e italiana su quella slava e non solo.
Il discorso del settembre 1938 fu una sfida alla storica multiculturalità mitteleuropea della città dove risiedeva una delle più numerose comunità ebraiche d’Italia, parte integrante del locale tessuto economico e culturale. Lo stesso Podestà, carica di nomina governativa, Paolo Salem, era fascista della prima ora e di padre ebreo. La sua conversione alla religione cattolica e il cambiamento del cognome nel più ariano D’Angeri non gli permisero di evitare le gravi conseguenze dell’antisemitismo legalizzato.
A 75 anni da quegli eventi proponiamo di analizzare e discutere, oltre che ricordare, il significato locale e nazionale dell’avvio, su decisione autonoma, di una collaborazione più stretta del regime fascista con l’antisemitismo nazista. Fu l’intensa attività istituzionale italiana a preparare, anche a Trieste, lo sterminio successivo. Ricostruire la memoria di quei fatti può aiutare ad evitare che tragedie simili possano ripetersi.
FIP – p.le Europa, 1
Cittadini Liberi e Eguali
Trieste, 12 settembre 2013
Bosnia, minatori in sciopero si barricano sottoterra
Circa 150 minatori bosniaci si sono barricati per protesta all'interno di una galleria del sito estrattivo di Djurdjevik, nel nordest del paese: si tratta di una miniera di carbone nel quale lavorano più di 1000 persone e dal quale vengono estratte ogni anno 600.000 tonnellate di materiale che riforniscono la vicina città di Tuzla.
Ad aver scatenato lo sciopero è stata l'assunsione di un nuovo responsabile amministrativo per la miniera, una decisione che viola un accordo siglato precedentemente col governo nel quale si stabiliva che non sarebbero state assunte persone non legate alla produzione fino a quando gli stipendi dei minatori non fossero stati aumentati.
Da tempo i lavoratori di Djurdjevik domandano migliori condizioni di lavoro, aumenti salariali e una modernizzazione del sito estrattivo; a maggio la compagnia proprietaria della miniera aveva accettato un accordo col quale si impegnava ad aumentare le paghe dei minatori ma la firma del documento e il rispetto delle decisioni prese continuano ad essere rimandati ormai da mesi.
Già ad agosto erano scoppiate le prime proteste per il mancato rispetto degli accordi e l'assunzione del nuovo responsabile amministrativo ha fatto riaccendere la rabbia dei lavoratori di Djurdjevik che lunedì notte si sono barricati all'interno di una delle gallerie della miniera, a duecentocinquanta metri da terra, proclamando uno sciopero della fame e rifiutando gli aiuti e il cibo che gli venivano portati.
La protesta ha innervosito la compagnia, che ha accusato i lavoratori di scioperare 'illegalmente' perché il blocco dei lavori non è stato annunciato con 10 giorni di anticipo ma i minatori minacciano di voler andare avanti a oltranza fino a quando non otterranno quanto chiedono.
Katastrofalan bilans tajkunske privatizacije
Odgovorni urednik: Ivan Đerković
Privatizzazioni in Bosnia Erzegovina, un vero disastro
Proprietà di 15 miliardi vendute per 2, 3 miliardi
15 anni dopo proseguono gli scioperi quotidiani
Il fiasco della revisione in RS
Il potere ha reso possibile il saccheggio
Cosa fare?
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Scritto da Enrico Vigna
1993-2013: A vent'anni dal massacro della " Sacca di Medak", Croazia
[FOTO: "Sacca di Medak" nella Krajina, regione nel sud della Croazia:]
Settembre 1993 : esattamente venti anni fa, l’esercito secessionista croato, con più di 2.500 soldati, appoggiati da carri armati, lanciarazzi e artiglieria, “sfonda” le linee di resistenza a Medak, delle milizie volontarie di autodifesa della Repubblica Serba di Krajina e occupa la cittadina ed i villaggi a sud e a sud-est dalla città di Gospic e l’intera zona. In quell’area erano stanziate per l’ONU, come forze di interposizione tra le parti in conflitto, i soldati canadesi, alla richiesta di questi ultimi di essere presenti all’occupazione della città e dei villaggi, per proteggere i civili, ci fu il rifiuto dei secessionisti croati e solo dopo violenti scontri durati 16 ore tra canadesi e croati, con 27 miliziani croati uccisi, questi accettarono le ispezioni e i terribili sospetti delle forze canadesi di pace trovarono riscontro ( in questo caso va dato atto di una reale volontà di essere forza di pace neutrale, tant'è che il governo canadese ha decorato i propri soldati che parteciparono a quegli avvenimenti con coraggio e lealtà, fedeli ai propri compiti). In meno di 20 ore senza controllo di nessuno nella cittadina, i miliziani croati avevano già commesso innumerevoli crimini: massacri, incendi, violenze efferate contro vecchi, bambini, donne serbi e rom, mutilando e violentando ferocemente.
Il numero complessivo degli assassinii perpetrati in quei nove giorni, non è mai stato accertato con precisione, ufficialmente sono 88, di cui 18 donne, sei poliziotti ed il resto tutti civili, ventisei di essi erano anziani. Ma si parla di oltre cento, considerando i dispersi e scomparsi. Alcuni giorni dopo il massacro, le forze croate hanno consegnato ai serbi 52 corpi; membri delle forze di protezione dell’ONU (UNPROFOR) operanti nella zona, hanno consegnato altri 18 corpi trovati nei campi intorno a Medak, i quali erano mutilati e bruciati; altri 11 corpi furono trovati nascosti nella fossa delle fogne; negli anni, periodicamente furono ritrovati altri singoli corpi sparsi nella zona.
Le milizie secessioniste croate hanno dapprima saccheggiato e poi raso al suolo tutti e tre i villaggi intorno a Medak: Dioselo, Citluk e Pocitelj e dozzine di frazioni vicine, sono finite nella strategia di “terra bruciata” degli Ustascia croati.
Il portavoce UNPORFOR Shannon Boyd ha pubblicato un rapporto nella capitale croata, Zagabria, il 18 settembre 1993, nel quale dice: “...le truppe dell’UNPROFOR hanno trovato 11 piccoli villaggi nella valle di Medak, completamente distrutti (...). E’ stato verificato che la distruzione è sta ben organizzata, sistematica e totale. Le case sono state ridotte in macerie dalle detonazioni e gli animali morti hanno reso invivibile l’area..”.
Il massacro è durato dal 9 al 17 settembre 1993, il comandante in Croazia delle forze ONU, il Generale francese Jean Cot, ha detto che i battaglioni francese e canadese “ ...non potevano prevedere il massacro dei serbi, inclusi giovani e bambini, da parte dei croati...”, testimoniando che le truppe croate non avevano lasciato "...nemmeno un gatto vivo...” a Medak.
Nel rapporto dell’UNPORFOR pubblicato il 19 settembre 1993, il Generale Cot ha affermato: “...Non ho trovato segno di uomini o animali vivi nei diversi villaggi attraverso i quali siamo passati oggi. La distruzione è totale, deliberata e sistematica...”.
Il peacekeeper canadese, Tony Spiess, è stato uno dei tanti soldati canadesi che hanno sofferto di incubi, dopo essere stato testimone della ferocia delle milizie croate. “...La milizia croata cercava di impedire che le truppe canadesi potessero divulgare le notizie, circa le operazioni di pulizia etnica dei villaggi serbi che praticavano, dice Spiess, confermando i racconti ricostruiti nel libro del 2004, scritto da Carol Off e intitolato “I fantasmi di Medak Pocket: la storia della guerra segreta canadese...”.
Testimoni diretti della strage sono stati i soldati dei tre plotoni del Princess Patricia's Canadian Light Infantry, forze canadesi di pace, comandate dal tenente colonnello J. Kevin.: “... quando gli spari, i bombardamenti e il caos furono finalmente cessati a Medak, con nessuna vittima tra le file canadesi, una delle cose che Spiess ricorda di più era la puzza di morte proveniente dappertutto, uomini e cavalli.
“Quella puzza non se ne andrà mai”, ha detto.
Mentre Spiess ed un suo compagno canadese camminavano tra le macerie del villaggio serbo distrutto, i croati tentarono di fermarli, per non far loro vedere i corpi bruciati che erano ovunque.
"...Prima delle ore 10 del mattino, un ombrello denso di fumo copriva tutte le quattro cittadine della sacca di Medak, i croati hanno cercato di uccidere o distruggere tutto ciò che vi era nella loro scia..."
Spiess in modo angosciante ricorda"... i corpi di due giovani ragazze serbe legate a due seggiole a dondolo, con le braccia legate dietro alla schiena. Stavano ancora fumando...è stata una totale devastazione”, dice Spiess.
“...le ragazze erano state stuprate, poi uccise a colpi di pistola e poi bruciate”.
Il tenente colonnello J. Kevin dichiarò alla Reuters: "...alti ufficiali delle Nazioni Unite hanno valutato che ai soldati croati era stato ordinato dal comando più alto di distruggere quei villaggi. Questo poteva essere stato ordinato solo da generali di alto grado....".
"...Ademi dovrebbe essere chiamato a rendere conto", dice Kevin. "...Nessun soldato, degno di essere così chiamato, dovrebbe essere in grado di cavarsela con quello che è stato compiuto..."
"...Avremmo potuto vedere cosa stava succedendo dalle nostre postazioni sicure...", dice Kevin. " Ma i miei soldati sapevano che il loro ruolo era quello di proteggere i deboli e gli innocenti, e sono stati assolutamente ligi a questo loro dovere...".
Un altro testimone, l'ufficiale Green: "...Ogni edificio sul loro percorso era stato demolito e molti erano ancora fumanti. Cadaveri giacevano sul ciglio della strada, alcuni gravemente mutilati e altri bruciati e irriconoscibili.... Sapevamo che sarebbe stato brutto...", disse Green, "...ma le cose che abbiamo trovato e visto sono state peggio di qualsiasi cosa che ci aspettavamo..."
I canadesi hanno documentato tutto ciò che hanno visto. I rapporto di Kevin contribuirono a sollecitare il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia di emettere un atto d'accusa, nel 2001 contro Ademi, con l'accusa di crimini contro l'umanità. Reso pubblico, il Rapporto è una lista brutale di omicidi e torture. Tra le vittime: Sara Krickovic, donna, 71 anni, gola tagliata; Pera Krajnovic, donna, 86, bruciata a morte; Andja Jovic, donna, 74 anni, picchiata e poi uccisa con proiettili. In tutto, le forze canadesi trovarono 16 cadaveri mutilati - alcuni con gli occhi levati.
Il Dott. Z. Karan specialista di medicina legale che ha esaminato i corpi mutilati scrisse nei referti: "...gli ematomi di sangue e le contusioni sono stati causati da colpi di uno strumento meccanico sordo...Le vittime venivano poi spinte nel fuoco, mentre ancora in vita. Molti avevano ferite da taglio ... Non è necessario commentare come i prigionieri sono stati trattati... "
L’unica sopravissuta, Ivanka Rajcevic, ha raccontato così gli eventi vissuti: “... io e mio figlio stavamo dormendo in casa. E’ stato intorno alle 6 della mattina quando una granata ha colpito una delle case che è andata immediatamente in fiamme. Ho chiamato mio figlio. Lui mi ha detto: mamma, non lasceremo la casa per causa dei bombardamenti...Poi sentito un Ustascia muoversi intorno alla casa. Si è avvicinato alla finestra e mi ha vista. Ha acceso una granata a mano e l’ha gettata in casa. Quando è esplosa è rimasto a guardare se mi aveva uccisa. Ero rimasta solo ferita, ma ho finto di essere morta. Allora è andato dietro alla casa e ha cominciato a sparare con un fucile automatico (...). Gli altri sono arrivati successivamente davanti alla casa su mezzi di trasporto e un carro armato. Non sono rimasti a lungo, ma quattro Ustascia sono rimasti davanti alla porta. Non parlavano la nostra lingua, credo parlassero tedesco (...probabilmente parlavano olandese, lingua simile al tedesco, infatti è stato successivamente accertato che 13 fascisti olandesi presero parte al massacro...). Quando altri due Ustascia si sono uniti a loro hanno chiesto all’interprete di tradurre. L’interprete ha detto:
"Questo è un villaggio serbo, tagliate tutte le gole, anche ai gatti! Uccidete tutto, niente deve rimanere dietro di noi, neppure i bambini...”.
Un certo numero di loro indossava maschere nere, una trentina di loro o forse di più. Quando si sono sparsi in tutto il villaggio ed hanno cominciato ad incendiare tutte le case, sono andata nell’altra camera per vedere se mio figlio fosse tornato indietro. Non c'era. Allora sono uscita dalla casa così che non mi potessero bruciare viva. A gattoni sano passata attraverso le staccionate di siepi per scappare.
Dietro ad una fitta siepe mi sono bendata la ferita e sono rimasta la' tutta la notte e tutto il giorno successivo....”
DOPO VENT'ANNI la Giustizia dell'occidente è stata fatta:
un solo colpevole condannato ad una pena di 6 anni di prigione.
A quel tempo la corte della Nato all'Aja, aveva annunciato i capi d’imputazione contro tre generali delle milizie secessioniste croate per il massacro di Medak Pocket: il kosovaro albanese Rahim Ademi e i croati Janko Bobetko e Mirko Norak, tutti accusati di crimini contro l’umanità e di violazione delle leggi e dei trattati di guerra.
Agim Ceku, un altro criminale di guerra kosovaro albanese, che comandava le truppe croate che massacrarono i serbi di Medak, non è mai stato accusato per aver commesso crimini di guerra. Al contrario gli fu persino data negli anni scorsi la presidenza del governo di transizione in Kosovo, sotto l’Amministrazione della Missione delle Nazioni Unite (UNMIK); in quanto è stato tra i più noti comandanti la guerriglia terrorista dell'UCK, nella provincia serba del Kosovo Metohija.
Secondo le testimonianze e le prove documentate presso l'UNPROFOR, le milizie e spesso anche civili croati“...hanno sistematicamente saccheggiato” la popolazione serba e i piccoli villaggi durante e dopo l’assalto delle forze militari, “... appropriandosi di beni personali, elettrodomestici, mobili, dalle case che stavano per essere distrutte; rubando animali ed attrezzature dalle fattorie, smantellando case e fabbricati e trasportando via tutto ciò con camion; hanno sistematicamente distrutto 164 case e approssimativamente 148 altri fabbricati (e tutto ciò che contenevano) con l’utilizzo di fuoco ed esplosivo..."..
La stessa ex Procuratrice Capo dell'Aja, Carla Del Ponte, ha dichiarato che, durante una settimana di orgia di sangue, le truppe croate hanno mutilato e ucciso contadini serbi “...sparando, accoltellando, tagliando dita, colpendo brutalmente col calcio del fucile, bruciando con sigarette, saltando sui corpi, legando i corpi a una macchina e trainandoli lungo la strada, effettuando mutilazioni e altre forme di torture...".
Per illustrare le crudeltà senza paragoni delle milizie croate, le accuse evidenziano il caso di due donne: Boja Pjevac, che, dopo essere stata stuprata, è stata mutilata e poi il suo corpo è stato sezionato e Boja Vujanvic che, dopo essere stata stuprata, è stata bruciata viva. e mentre lei agonizzava, intorno a lei i suoi carnefici ridevano e ballavano.
Anche quattro membri della 9° Brigata detta i "Lupi", ed un ex membro dei Servizi Militari Segreti croati sono ancora indagati a Zagabria, per crimini di guerra contro civili e prigionieri di guerra per gli eccidi di Medak: J. Krmpotic, uno dei comandanti la Brigata, I. Jurkovic, M. Petti e V. Solaja membri della stessa e K. Tomljenovic ex agente del SIS croato.
Krmpotic e Solaja erano stati testimoni di difesa nel processo del cosiddetto "gruppo Gospic", comandato dai generali Mirko Norac e Tihomir Oreskovic, che erano accusati di crimini di guerra nell'area di Gospic...GIA' per il 1991 e 1992.
Ma, alla fine, non è stato istituito alcun processo all'Aja contro i generali croati che hanno guidato l’eccidio contro i serbi di Medak Pocket.
Nel settembre del 2005 il Tribunale Penale dell'Aja ha trasferito il caso del massacro di Medak presso le autorità giudiziarie croate, che, prontamente hanno assolto Rahim Ademi e riconosciuto colpevole Mirko Norak con una vergognosa condanna a 6 anni di prigione, chiudendo così il fascicolo del massacro di Medak Pocket.
Un uomo condannato a sei anni di prigione per la distruzione di tre villaggi e 11 piccoli paesi rasi al suolo, 88 vite portate via nella maniera più feroce e per una sistematica persecuzione e liquidazione della popolazione serba ed anche rom nella regione.
....E quando e quanto si sono alzate forti le voci e l'indignazione dei pacifinti, dei "dirittumanisti", degli info/ disinformatori di casa nostra?!
In compenso uno dei massimi esponenti militari delle forze secessioniste croate, il kosovaro albanese Agim Ceku, ricercato e condannato come criminale di guerra in Serbia, poi diventato uno dei comandanti il terrorismo secessionista albanese in Kosovo....è stato ricevuto negli USA nel 2006 con i massimi onori.
[ FOTO: Qui sotto con C. Rice...]
A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum di Belgrado Italia
Settembre 2013
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Da: "Gilberto Vlaic" <gilberto.vlaic @ elettra.eu>Data: 27 agosto 2013 18.47.00 GMT+02.00Oggetto: Relazione economica sulle nostre famiglie in Serbia
Trieste, 27 agosto 2013
Care amiche e cari amici solidali, vi inviamo una delle periodiche relazioni sullo stato economico della Serbia e delle tante famiglie che sosteniamo.
Il prossimo viaggio per la consegna degli affidi a distanza sara’ effettuato tra il 17 e il 20 ottobre prossimo.
Invitiamo i sostenitori che non lo abbiano gia’ fatto versare per tempo le quote.
Abbiamo assoluto bisogno di incrementare il numero dei nostri sottoscrittori; abbiamo avuto alcune cancellazioni, dovute alla crisi economica che devasta il nostro Paese, ma non possiamo cancellare nessuno degli affidi in corso (forse uno solo) perche’ le situazioni delle famiglie che seguiamo non sono certamente migliorate! Al momento stiamo sostenendo 163 famiglie.
Inoltre durante il viaggio di ottobre dovremo prendere in carico almeno un nuovo progetto, forse due: il restauro di una scuola elementare e la ricostruzione dell’ambulatorio in un piccolo villaggio di campagna, e non riusciamo piu’ a far fronte a tutte le necessita’.
Contiamo sulla generosita’ e sulla solidarieta’ dei nostri lettori; chiedete di aderire alla nostra campagna ai vostri amici, ai vostri parenti, voi siete i migliori testimoni della serieta’ delle nostre azioni.
Un caro saluto a tutte/i voi.
Gilberto Vlaic
a nome della ONLUS Non Bombe Ma Solo Caramelle
Vi informiamo che stiamo caricando sulla nostra pagina facebook le fotografie relative e tre nuovi progetti, due realizzati ed uno in corso di realizzazione.
Potrete vedere che sono progetti onerosi, ma assolutamente necessari, ed e’ per questo che vi preghiamo caldamente di sostenerci!
www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle
Serbian government reshuffled in preparation for assault on workers’ conditions
By Paul Mitchell
10 September 2013
The Serbian government was reshuffled last week in preparation for an assault on jobs, wages and pensions demanded by the European Union (EU) and the International Monetary Fund (IMF).
In early 2012, the IMF suspended a $1.3 billion loan to Serbia over delays to “structural reforms” and spending cuts. Since then, the IMF and EU have repeatedly warned that further support is dependent on cuts to the public sector and the pension system.
Other demands include “rigorous wage and employment policies” to end the “highly rigid and protected labour market”; acceleration of the privatisation programme; a strict limit on subsidies, particularly to agriculture; “targeting”, i.e., reducing, welfare benefits; increases to VAT and higher utility charges; and removing “excessive regulations” on businesses.
The Fiscal Council of Serbia—a three-member body appointed by parliament to monitor budget compliance—has parroted the IMF/EU demands. Council Chairman Pavle Petrovic declared, “Significant savings in 2013 and 2014 are impossible without control of salaries and pensions. ... The IMF said we have to freeze salaries in the public sector and drastically cut down expenditures...”
Seven of the 18 ministers in the new cabinet will be non-party technocrats. The three ministers belonging to the smallest party in the coalition, the United Regions of Serbia (URS), were ousted in the reshuffle, including Finance and Economy Minister Mladjan Dinkic. The URS, a group of economists and technocrats, has been part of every government since 2000, slavishly following IMF/EU dictates. They have been made the scapegoats for what First Deputy Prime Minister Aleksandar Vucic called the country’s “nightmare” economic situation.
Serbia went back into recession in 2012 and ended the year with the public debt at 62 percent of gross domestic product (GDP), well above the legal ceiling of 45 percent. The budget deficit could end up as high as 8 percent of GDP this year, compared to the target of 3.6 percent. Despite years of IMF economic “consolidation” measures in Serbia, the 2013 World Economic Forum report on global competitiveness, which ranks 148 countries, showed Serbia falling six places last year to 101st, its worst ever result.
In the reshuffle, Dinkic’s ministerial post was split in two, with 28-year-old Yale-educated Lazar Krstic leaving global consultancy firm McKinsey to become finance minister and consultant Sasa Radulovic, who has also studied and worked in the US, taking over as economy minister.
Krstic said he intended to introduce a “comprehensive” reform of the public sector and tax system, to “reduce, mostly eliminate, subsidies” for well over 100 loss-making state firms and “aggressively” tackle red tape so as to secure a new loan deal with the IMF. “We need to fix our house”, Krstic declared “We’re at the point where we have very little manoeuvering space. ... There is an awareness and an agreement that ... we’re at the point that we really need to do something serious to get the economy back on track and make it sustainable in the long term.”
It is a sign of the deep crisis in the country that the reshuffle comes just one year after elections led to the formation of a coalition government comprising the Serbian Progressive Party (SNS), the Socialist Party (SPS) and the URS. Having won 73, 44 and 14 parliamentary seats, respectively, they commanded a narrow 131 majority in the 250-seat parliament.
There was some initial concern within European ruling circles over the formation of an SNS-SPS coalition and the defeat of the openly pro-EU, pro-US Democratic Party, led by Boris Tadic. The SNS had split only in 2008 from the ultra-nationalist Radicals, led by Vojislav Seselj, now on trial at the International Criminal Tribunal in The Hague. The SPS is the direct successor to the League of Communists of Serbia, the official Stalinist party formerly led by Slobodan Milosevic.
However, under Seselj’s right-hand man, Tomislav Nikolic (now Serbian president), and Milosevic’s right-hand man, Ivica Dacic (now Serbian prime minister), the SNS and SPS have moderated their rhetoric, particularly over opposition to Kosovan independence from Serbia, and pursued a pro-EU policy.
In April 2013, the Serbian government approved an EU-brokered deal normalising relations with Kosovo. The agreement was called “historic” by European Commission President José Manuel Barroso. It cleared away the final obstacles to Serbia’s accession into the EU, and the first conference is planned to be held by January 2014.
In June, the government adopted a package of new “painful but necessary’’ austerity measures that included many of the IMF/EU demands, including slashing government expenditure by 40 percent, a “radical” structural reform of public services, and a new labour law.
These new measures will devastate the living standards of workers already amongst the most impoverished in Europe. Unemployment in Serbia is currently at 27 percent (much higher amongst young people), average salaries are a paltry €370 a month, and the minimum wage is €188—less than that in China.
At the same time, the cost of living has spiralled. Since May 2012, the increase in food prices has been almost 13 percent. In August, the price of electricity increased by around 11 percent for households, and the price of gas increased this month by 4.4 percent. About 10 percent of the Serbian population of 7,260,000 is below the poverty line, living on a monthly income of less than €80.
In the midst of such misery, some have done well. Serbia is the top destination for foreign direct investment in the Balkans, receiving $10 billion in 2007-2012—a quarter of the total—exceeding even EU members Bulgaria and Romania. Fiat has moved a large share of its production from Italy, citing low wages, well educated workers, generous tax incentives and, uniquely, free trade agreements with both the EU and Russia. Panasonic has set up a plant 110 kilometres from Belgrade, with its director Dirk Bantel explaining that Serbia offers a huge cost advantage over Germany, the destination of the factory’s total output.
Of central importance to the ruling elite have been the trade unions, whose role has been to disorient and disarm the working class.
Confederation of Autonomous Trade Unions of Serbia (CATUS) President Ljubisav Orbovic points to the dictatorial nature of the new measures, declaring that “social dialogue ... is now non-existent”, but his answer is, “... for the time being, it is too early to say what steps the union would take.”
Orbovic says labour reforms are not necessary because, “Up to now, there hasn’t been any obstacle to dismissals, and this can be verified by the fact that in the last couple of years, 500,000 jobs were lost”. He advises, “When it comes to enterprises in restructuring, those which can’t recover should be shut down, and those which are able to get back on their feet should be supported with a little help.”
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