Informazione
di Gianandrea Gaiani - AnalisiDifesa.
A due anni dall’inizio della “rivoluzione” contro il regime di Muammar Gheddafi possiamo essere ben fieri dei progressi compiuti dalla Libia nel campo della libertà, della sicurezza, dei diritti umani e della civiltà. Grazie all’intervento politico e militare dell’Occidente è stato rovesciato un regime brutale e noi occidentali siamo stati bravi a non farci incantare dalle bugie del Colonnello che ci voleva convincere che tra i ribelli c’erano milizie islamiste e di al-Qaeda. Così come non abbiamo creduto agli ammonimenti dell’Unione Africana che sosteneva che il crollo di Gheddafi avrebbe trasformato la Libia in una Somalia sulle rive del Mediterraneo. Neppure quando il Consiglio Nazionale di Transizione, l’organismo politico dei ribelli assicurò che in Libia sarebbe stata imposta la sharìa abbiamo voluto riflettere su cosa stavamo facendo. Infatti oggi la Cirenaica è in mano ai jihadisti e alle milizie che si richiamano ad al-Qaeda, forze ben presenti del resto in tutto il Paese dove il governo di Tripoli non sembra controllare un granché considerato che ci sono almeno 70 milizie armate che hanno ormai feudalizzato la Libia.
E’ anche vero che le armi trafugate dalle caserme di Gheddafi e i miliziani tuareg un tempo al servizio del Colonnello hanno permesso di scatenare i il caos in Malì dove l’intervento francese ha probabilmente solo dato il via a un nuovo conflitto insurrezionale che potrebbe anche coinvolgere di nuovo il sud della Libia.
Ma si tratta di bazzecole in confronto al progresso sociale e politico che la Libia ha compiuto da quando è stato seviziato e ucciso quel tiranno megalomane del Colonnello. Il nostro ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ci ha rasserenato nei giorni scorsi sostenendo che il tema della sicurezza in Libia ha una “priorità altissima” per l’Italia, perché “condiziona inevitabilmente lo sviluppo economico e sociale del paese” aggiungendo però che le condizioni della sicurezza non sono tali da contrastare la continuità della presenza imprenditoriale” italiana in Libia, “che prosegue ed è positiva anche se c’è ancora molto da fare”.
Dichiarazioni che Terzi ha rilasciato a margine di un seminario alla Farnesina sulla promozione delle libertà religiose. Per ironia della sorte, un tema di stretta attualità nella Libia democratica e pluralista che noi italiani abbiamo contribuito a costruire giungendo perfino a calpestare l’accordo di amicizia stipulato con Gheddafi.
Il 12 febbraio infatti quattro cittadini stranieri sono stati arrestati a Bengasi perché sospettati di essere missionari cristiani e di stampare libri sul Cristianesimo. Lo hanno reso noto fonti della sicurezza libica precisando che i quattro sono un egiziano, un sudafricano, un coreano e uno svedese con un passaporto degli Stati Uniti.
”Sono stati arrestati nella sede di una casa editrice dove stavano stampando migliaia di libri sulla conversione al Cristianesimo – ha riferito Hussein Bin Hmeid, un ufficiale della sicurezza che ben rappresenta lo spirito libertario che aleggia sulla nuova Libia. “Il proselitismo è vietato in Libia. Noi siamo un Paese al cento per cento musulmano e questo tipo di azioni interferisce sulla nostra sicurezza nazionale” ha aggiunto Hmeid aggiungendo che gli ”interrogatori stanno andando avanti” e che "i quattro saranno consegnati alla intelligence libica".
A Tripoli non tira un’aria migliore. “Non passa giorno senza che le tombe subiscano atti di vandalismo” ha denunciato Bruno Dalmasso, custode del cimitero italiano nella capitale libica dove i cristiani temono l’aumento dell’estremismo islamico.
“Sono state tirate fuori dalle tombe ossa umane e sparse nel cimitero: le autorità libiche sono venute e hanno scattato fotografie. Hanno promesso di prendere provvedimenti, ma non è stato fatto nulla”.
Dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi, nel 2011, i timori della piccola comunità cristiana libica sono aumentati, soprattutto dopo che una chiesa nel dicembre scorso è stata bombardata a Dafniya provocando due morti.
Padre Dominique Rezeau sottolinea che in Libia c’erano 100mila cristiani prima della rivoluzione e “ora sono poche migliaia”. Un bel risultato davvero nel segno del progresso e dei diritti umani anche se il meglio della nuova Libia l’ha fatto vedere il 9 febbraio la sezione costituzionale della Corte Suprema di Tripoli che ha reintrodotto la poligamia, ribaltando una parte della legge sul matrimonio del regime di Muammar Gheddafi che vietava a un uomo di avere più mogli. Una legge modificata dalla Corte Suprema perché contraria alla sharia, la legge islamica che oggi domina la Libia grazie alle bombe della Nato e al voltafaccia dell’Italia nei confronti “dell’amico e alleato” Gheddafi.
Da oggi un uomo potrà sposare una seconda moglie senza il consenso della prima o l’autorizzazione di un tribunale. Un bel passo avanti verso la civiltà non vi pare?
Fonte: http://www.analisidifesa.it/2013/02/liberta-e-democrazia-in-libia/.
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By Justus Leicht / WSWS - 9 December 2009
Since taking office, the new German government has been involved in a conflict over the filling of one particular post... It concerns the membership of the supervisory board of the government foundation, “Flight, Expulsion, Reconciliation,” or, more precisely, the appointment of Erika Steinbach, president of the Association of Displaced Persons (Bund der Vertriebenen—BdV), onto the board of this otherwise insignificant body...
A study on the history of the German League of Expellees (Bund der Vertriebenen - BdV) financed by the German government is relativizing the Nazi-activities of former "expellee" functionaries... (2010)
Die "Stiftung Flucht, Vertreibung, Versöhnung", die auf eine Initiative des "Bundes der Vertriebenen" zurückgeht, ist Gegenstand scharfer internationaler Kritik... (2010)
Der Bund der Vertriebenen (BdV) eröffnet seine bundesweiten Veranstaltungen zum diesjährigen "Tag der Heimat" mit neuen Forderungen und heftigen Attacken gegen mehrere osteuropäische Nachbarstaaten... (2011)
The League of Expellees (Bund der Vertriebenen, BdV) opened its annual national "Homeland Day" commemorations this year with new demands and strong attacks against several east European neighboring countries... (2011)
Proteste von NS-Opferverbänden begleiten die aktuelle Reise der Präsidentin des Bundes der Vertriebenen (BdV), Erika Steinbach, nach Polen... (2011)
Aktivisten der äußersten deutschen Rechten kündigen neue Prozesse gegen Polen auf Rückgabe ehemaligen "Vertriebenen"-Eigentums an. Der "Eigentümerbund Ost" und der "Zentralrats der vertriebenen Deutschen", extrem rechte Abspaltung des "Bundes der Vertriebenen"... (2012)
Im Beisein der deutschen Kanzlerin hat der Bund der Vertriebenen (BdV) am gestrigen Dienstag an zentralem Ort im Herzen Berlins eine neue Ausstellung eröffnet... (2012)
Yesterday the League of Expellees (BdV) opened a new exhibition right in the heart of Berlin with the German Chancellor in attendance... (2012)
Von Wiegrefe, Klaus / Der Spiegel 19.11.2012
- Scritto da CIVG
A cura del Forum Belgrado Italia e CIVG
KRAJINA Notizie, è un impegno di informazione e solidarietà, non legato a partiti o ideologie, ma orientato ad una informazione ed a una solidarietà con il popolo sofferente, annichilito e da tutti ormai dimenticato, delle Krajine. Una informazione legata a dati, fatti, documentazioni ufficiali, ma spesso nascoste o eluse dai media occidentali.
Sarà uno spazio informativo di documenti, foto, segnalazioni di filmati, dichiarazioni, prove dei crimini commessi in quelle terre, nella storia e nel presente, e, al tempo stesso, portare informazioni aggiornate sulla situazione attuale.
KRAJINA Notizie si propone il superamento di astiosità, della violenza, il rigetto dei conflitti interetnici e la diffusione di odio etnico, nazionale o razziale e dell'intolleranza.
Per realizzare questo è necessario un lavoro per la verità e la giustizia, che sveli interessi, obiettivi, strategie di chi su quelle tragedie ha costruito il suo dominio anche indiretto, in tutti i sensi.
Dal 1578la comunità serbasi stabilì in questa regione alloradesolatadella Krajina ( frontiera militare).
Da allora fu un luogo dibattaglia costanteei serbi dovettero affrontare secoli di lotte e battaglie per difenderla dalle invasioni, e con essa l’Europa.
Durantela seconda guerra mondiale, per manodegli “Ustasha” croati guidati dall’alleato e protetto dal nazifascismo Ante Pavelic, un sanguinario e feroce dittatore,i serbifurono oggetto di un feroce genocidio.
[FOTO] Qui Pavelic saluta le sue truppe croate, armate e vestite dall’esercito nazista
Con la disgregazione della ex Jugoslavia, il rinascente nazifascismo croato, con il sostegnodelle potenze occidentali, il popolo serbo delle Krajine ha conosciuto nuovamente l’annientamento e la distruzione, come durante il tempodi Hitler e Mussolini. Le genti serbe sono state cacciate dalle loro terreancestralie dalle loro case e proprietà. Dall'agosto 1995 la Krajinaè ancora una voltabruciatae desolata.
Da innumerevoli e insospettabili osservatori e rappresentanti internazionali , l’espulsionedeiserbi di Krajinaè stata innegabilmente definita la più grandepulizia etnica ed il più grande esodo di popolo in Europa, dopo lafine dellaseconda guerra mondiale, si tratta di una cifra tra le 250.000 e le 300.000 persone.
Sommario:
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[ORIGINALNI TEKST: Savo Štrbac, 28.11.2012., HAŠKA GORČINA
http://www.veritas.org.rs/28-11-2012-haska-gorcina/ ]
Il rancore verso l’Aja 22.11.2012
L’associazione "Veritas" si è costituita nello stesso anno del Tribunale dell'Aia, e in meno di 20 anni della loro esistenza, i loro percorsi si sono spesso incrociati.
A volte sembra che "Veritas" è sopravvissuta in tutti questi anni, proprio perchè ha trovato il significato del proprio lavoro, nella cooperazione molto con l'Ufficio del Procuratore ICTY, ma anche nella convinzione che la giustizia alla fine vincerà.
E non era né semplice né sicuro vivere tra i serbi e lavorare, in quegli anni di guerra, con "odiato" l'ICTY. Il Tribunale dell'Aia non è mai stato benvisto da parte dei Serbi, che sostenevano che era stato fondato con lo scopo di, attraverso un procedimento giudiziario formale, rinforzare nella comunità internazionale e nell'opinione pubblica mondiale, un giudizio precostituito che ritiene i serbi come aggressori e "cattivi". Quindi, il Tribunale doveva essere boicottato con tutti i mezzi.
Neanch'io avevo un'opinione migliore dei compiti e degli obiettivi del tribunale, ma pensai che i giudici sarebbero andati avanti e avrebbero continuato ad operare, nonostante il boicottaggio della Serbia. Già che non possiamo impedire il suo lavoro, dai, dissi a me stesso e agli altri, cerchiamo di lavorarci all'interno, attraverso una leale collaborazione, di modificare il suo scopo primario. E solo cosi vedremo come sarà la loro risposta alle nostre verità e potremo dare una valutazione valida delle loro funzioni.
Dal novembre 1994., quando ero a Knin e, rappresentando "Veritas", ho ricevuto la delegazione del Tribunale per la prima volta, al verdetto di primo grado nel caso "Oluja", ho lavorato, direttamente o indirettamente, con decine di ufficiali e funzionari del Tribunale, tra cui investigatori, pubblici ministeri e giudici. Molti di loro venivano da diverse parti del mondo. Con molte persone ho fatto amicizia e fraternizzato con alcuni. Altri come Nepalka Kabita, hanno pianto tantissimo ascoltando e scrivendo le testimonianze tragiche dei rifugiati di Krajina. Ho incontrato i procuratori capo Louise Arbour e Carla Del Ponte, e accordato con loro una strategia di indagine in cui le vittime erano la gente della Krajina. Ho parlato anche con il loro vice, l’austriaco Blewitt, che mi ha incoraggiato a continuare la collaborazione per portare giustizia per le vittime di Krajina, e anche con la loro portavoce, Artman, che mi ha spesso attaccato per aver interferito nel "suo lavoro".
Il risultato di questa collaborazione sono stati anni di intense ricerche nei casi di: "Gospić '91" (dopo l'inchiesta finita, il caso è stato consegnato alla magistratura croata, e si è concluso con il proscioglimento definitivo di tre dei cinque imputati), "Sacca di Medačk" (dopo l'atto d'accusa contro i tre generali croati , il caso è stato lasciato al sistema giudiziario croato, e si è concluso con il proscioglimento definitivo di uno degli imputati) e "Oluja".
Ci sono stata altre investigazioni episodiche come nei casi di: Pakračka poljana, Paulin Dvor, Osijek, Sisak, Vukovar, Laura, Kerestinac, Marino selo, Varivode, Gošić, Grubori, Dvor ... per i quali il Tribunale ha raccolto prove e le ha consegnate al sistema giudiziario croato. Queste prove hanno portato alla fine ad alcuni processi (con assoluzioni), mentre alcuni casi sono ancora in indagine, e alcuni non sono ancora stati cominciati.
Il caso dell’ "Oluja" è l'unico caso (in cui ci sono vittime di Krajina) che è stato processato all'Aia. Il procedimento di primo grado è finito con condanna di due generali croati per aver partecipato ad una "impresa criminale congiunta (UZP), guidata da Tuđjman come presidente del paese, con l'obiettivo dell’ uscita forzata ed espulsione permanente dei serbi dalla regione della Krajina", condannando uno (Gotovina) a 24 anni e un altro (Markač) a 18 anni di carcere.
Noi serbi di Krajina eravamo soddisfati della decisione che descriveva "Oluja" come UZP, perché per noi, questa è diventata un'opportunità reale di recuperare direttamente e ufficialmente quello che ci è stato tolto, come i nostri diritti personali, politici e di proprietà.
E se la Camera d'appello avesse confermato la sentenza di primo grado del UZP, i Serbi di Krajina avrebbero dato una valutazione positiva del Tribunale, che probabilmente sarebbe stata accettata anche dai serbi in generale.
Però, non è stato cosi. I cinque membri del gruppo d'Appello, presieduto dal giudice Meron, che è stato anche il presidente del Tribunale, con la maggioranza dei voti 3 a 2, ha adottato una assoluzione su tutti i fronti e di tutti le prove di accusa. Questo è stato qualcosa che non era mai successo nella pratica di questo Tribunale. Si è scatenata una gioia isterica dei croati, in tutta la nazione. Mentre i serbi sono infuriati e per la prima volta tutti uniti nella loro valutazione che questo verdetto è profondamente ingiusto.
E se solo un giudice della Sezione di Appello avesse cambiato la sua opinione, i ruoli sarebbero completamente cambiati. Per i serbi, l'unica scarsa consolazione è il fatto che cinque degli otto giudici della Camera di primo grado (3) e della Camera d'appello (2) hanno votato per la condanna.
Il fatto che noi serbi siamo indignati di questa decisione della maggioranza della Camera d'appello è del tutto comprensibile, e potrebbe essere interpretata tramite quel motto popolare "chi perde ha il diritto di essere arrabbiato." Ma come facciamo a capire la gravità senza precedenti di disaccordi tra i giudici della Camera d'appello? I giudici che sono rimasti in minoranza sostengono che i giudici hanno ignorato grossolanamente e apertamente mal interpretato la maggior parte dei risultati della Camera di primo grado (giudice Ađijus); il ragionamento della maggioranza lo chiamano "grottesco" e insinuano che questo ragionamento ha avuto motivi extralegali e descrivono il giudizio come "il contrario di qualsiasi concezione della giustizia" (giudice Pocar).
E dal giudizio di questi due giudici, si potrebbe dire, onorevoli giudici, che in conseguenza, la conclusione è che la notorietà del magistrati dell'Aia è completamente distrutta. Il suo presidente Theodor Meron (spero sia l'ultimo) ha certamente contribuito a questo, che nella spiegazione a quanto avvenuto, ha argomentato (su Politika, del 19/11/012,) dandogli un giudizio molto positivo, si potrebbe dire quasi da narcisista, con attributi ed essenze che, purtroppo, non sono stati confermati nei 20 anni della sua esistenza.
Eppure a me non rimane che, con molta amarezza, ammettere che il mio popolo aveva ragione quando affermava dal inizio che questo Tribunale, è davvero anti-serbo.
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