Informazione


(italiano / english)

Protest against austerity measures in Slovenia /
Sulle recenti proteste contro le politiche di austerità in Slovenia

1) Notizie recenti in lingua italiana
2) Slovenia threatened with national bankruptcy (WSWS 10/9/2012)
3) Protest against austerity measures in Slovenia (WSWS 27/11/2012)
4) FLASHBACK: L'ipoteca clericale che grava sulla Slovenia (2011-2012)


LINKS:

SLOVENIA "INDIPENDENTE": TUTTO IN SVENDITA (2 Agosto 2012)

Slovenia: NO to NATO, NO to austerity measures (8 Luglio 2012)

Slovenia: "cancellati" dalla secessione anagrafica (1 Luglio 2012)

LA GRANDE FESTA DEI DOMOBRANCI (27 Giugno 2012)

Masovni generalni štrajk u Sloveniji (20 Aprile 2012)

Attacchi alla cultura anche in Slovenia (17 Febbraio 2012)


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Slovenia: 30 mila in piazza contro austerità

17 Novembre 2012 - Oltre 30 mila sloveni hanno manifestato oggi a Lubiana per protestare contro la politica di austerità portata avanti dal governo di destra del premier Janez Jansa. 'Vogliamo vivere - Non sopravvivere', 'Il governo perde la testa - La Slovenia la sua giovinezza', 'Politica di austerita' uguale Recessione', questi alcuni degli slogan mostrati dai manifestanti su cartelli e striscioni.
Per Dusan Semolic, leader dell'Alleanza dei sindacati indipendenti sloveni (Zsss), responsabile della crisi attuale è il 'capitalismo avido e selvaggio' che impera in Europa e negli Usa, e che rende vana ogni riforma sociale. La Slovenia, che fa parte della Ue dal 2004 e della zona euro dal 2007, é in piena recessione, con il pil che dovrebbe calare del 2% quest'anno e dell'1,4% nel 2013.
L’iniziativa è stata lanciata dal sindacato del settore pubblico Ksjs, dalla confederazione indipendente Zsss e dall’associazione Knss, insieme all’organizzazione studentesca e all’associazione delle società dei pensionati. Negli ultimi mesi le misure anti-crisi del governo di Janez Jansa sono state oggetto di forti contestazioni, soprattutto quelle che prevedono tagli al settore pubblico. Uno dei provvedimenti più contestati dai sindacati è quello relativo al taglio del 5 per cento degli stipendi del settore pubblico.

(fonte: Redazione Contropiano 


Slovenia, dilaga la rivolta sociale nelle piazze

28 novembre 2012 - La rivolta di piazza si espande in Slovenia a macchia di leopardo. Dopo gli scontri di Maribor a scendere nelle strade è stata la capitale Lubiana. Per proteggere il palazzo del Parlamento e quello del governo la polizia ha schierato un cordone di poliziotti in assetto anti-sommossa. Il motto dei manifestanti è «Gotof je» (è finito) che riecheggia quello scandito nelle strade di Belgrado al momento della cattura di Milosevic e la sua consegna al Tribunale dell’Aja. Altre manifestazioni di piazza sono attese ancora a Lubiana, venerdì, e a Postumia, Capodistria, Murska Sobota, Novo Mesto e Kranj.
 
(fonte “Il Piccolo”)


Slovenia: proteste antiausterity e scontri a Maribor e Lubiana

1 Dicembre 2012 - Anche nella piccola e paciosa Slovenia le condizioni di vita peggiorano di giorno in giorno, scatenando la rabbia dei manifestanti che tentano di irrompere in Parlamento. Scontri e arresti in numerose città alla vigilia del ballottaggio delle presidenziali di domani.
Potremmo dire, per sdrammatizzare, che anche gli sloveni, nel loro piccolo, si incazzano.
E' infatti di parecchi feriti e di una trentina di manifestanti arrestati il bilancio degli scontri avvenuti ieri sera a Lubiana, la capitale della Slovenia, durante una protesta contro la politica di sacrifici e tagli del governo di destra di Janez Jansa e contro la corruzione della ''casta politica''. 
Alle proteste di ieri, che non hanno avuto una convocazione formale ma sono nate dalla mobilitazioni di alcune reti e organizzazioni non partitiche, hanno partecipato almeno 10 mila persone nella capitale e altre decine di migliaia in quasi tutte le principali città del piccolo paese. Rispetto alle proteste indette dai sindacati e dalle opposizioni negli ultimi mesi, inoltre, ieri si è assistito a una radicalizzazione della protesta, segno della maggiore determinazione di alcuni dei promotori della manifestazione e del rapido deteriorarsi delle condizioni di vita in Slovenia.
Contro un gruppo di manifestanti che nella capitale ha tentato di irrompere in Parlamento, la polizia ha usato i manganelli, i gas lacrimogeni e addirittura i cannoni ad acqua, arrestando una trentina di giovani e di lavoratori. 
Alcuni dimostranti hanno risposto alle cariche lanciato contro la polizia petardi, sassi e bottiglia, e secondo alcuni media all’interno del corteo avrebbero fatto la propria comparsa giovani vestiti completamente di nero e incappucciati. 
Le proteste erano iniziate lunedì scorso a Maribor, la seconda città della Slovenia, dove varie migliaia di persone avevano chiesto le dimissioni del sindaco e della giunta comunale, accusati di corruzione e di malgoverno. Anche in quel caso vi erano stati scontri con la polizia con alcuni feriti e arresti, e dopo il duro intervento della Polizia contro i manifestanti di Maribor, collettivi e gruppi sociali hanno invitato a scendere in piazza anche nelle altre città.
È in questo clima esplosivo, inusuale in uno dei paesi ritenuti più tranquilli dell’Europa centro-orientale, che domani in Slovenia si tiene il ballottaggio per le presidenziali fra il presidente uscente di centrosinistra Danilo Turk e lo sfidante, l'ex premier socialdemocratico Borut Pahor, dato per favorito dai sondaggi.
Chi vincerà dovrà gestire un paese in crisi verticale, con l'11,5% di disoccupazione, un'economia troppo dipendente dalle esportazioni e quindi a picco a causa della crisi, e con un governo che cerca di far cassa imponendo tagli verticali a cultura, sanità, istruzione, lavoro pensioni. 

(fonte: Redazione Contropiano 


Slovenia: vince Pahor, socialdemocratico pro-austerity

3 Dicembre 2012 - Affluenza scarsissima al ballottaggio per le presidenziali, vinte da un 'socialdemocratico' alleato della destra che annuncia lacrime e sangue. 
L'ex premier socialdemocratico Borut Pahor è diventato ieri il quarto Presidente della Slovenia, vincendo con ampio margine al ballottaggio nonostante il suo sostegno alle impopolari misure di austerità del governo. 
Pahor ha conquistato il 67,44% dei consensi, contro il 32,56% del suo principale avversario, il Presidente uscente Danilo Turk, liberale ed esponente di centrosinistra critico con le misure annunciate dal vincitore. 
Pahor, 49 anni, ha ottenuto non solo i voti del suo partito, ma anche quelli della 'Lista dei cittadini', espressione della coalizione di governo di centro-destra. 
L'11 novembre scorso, l'ex premier si era imposto al primo turno, con il 39,9% dei voti, smentendo tutti i sondaggi. "Questa vittoria è solo l'inizio di una nuova speranza, di un nuovo tempo - ha detto Pahor quando già gli exit poll lo vedevano in vantaggio - se vinco, questo risultato sarà un messaggio forte per tutti i politici sloveni sul fatto che servono collaborazione e unità per risolvere le difficoltà economiche". 
Ma l'affluenza alle urne è stata appena del 41,95% ieri (il 48,25% al primo turno), la più bassa da quando il piccolo paese si è reso indipendente dalla Iugoslavia nel 1991, scatenando l’implosione dello Stato federale con il sostegno di Austria, Germania e Vaticano. 
I sogni di gloria degli sloveni, entrati nell’Ue nel 2004 e nell’Eurozona nel 2007, si sono presto volatilizzati. Il paese è sull’orlo della bancarotta, con una disoccupazione quasi al 12% e la possibilità di un commissariamento da parte della troika a base di tagli e licenziamenti sulla scia di quanto già accaduto in Grecia, Spagna, Portogallo o Irlanda.
Pahor ha già affermato che collaborerà con il governo di centrodestra del primo ministro Janez Jansa, che, tra l'altro, vuole alzare l'età per andare in pensione, rendere più flessibile il mercato del lavoro facilitando i licenziamenti e precarizzando i contratti, tagliare gli stipendi dei lavoratori pubblici. Il tutto con la scusa di fare fronte ad un deficit di bilancio del 4,2%.
Nei giorni scorsi numerose manifestazioni popolari hanno scosso la relativa tranquillità che regna normalmente nel piccolo paese, e scontri tra manifestanti e polizia si sono avuti a Maribor e poi nella capitale Lubiana, dove migliaia di giovani e lavoratori hanno chiesto le dimissioni di Jansa e la fine delle politiche dei sacrifici a senso unico.

(fonte: Redazione Contropiano 


Slovenia; indignati ancora in piazza, scontri a Maribor

4 dicembre 2012
 - Nuovi scontri, arresti e feriti in Slovenia alle manifestazioni di protesta contro "la corruzione e la casta politica", in particolare a Maribor, seconda città del Paese dove ieri sera hanno protestato tra le 8 e le 10 mila persone, a seconda delle fonti.
Le manifestazioni di ieri sono state le più grandi finora, dal 26 novembre scorso quando è esplosa la rabbia degli “indignati in Slovenia”, organizzati tramite le reti sociali in internet, proteste dirette in particolare contro il sindaco di Maribor, Franc Kangler, preso di mira perché travolto da una serie di scandali di corruzione e clientelismo. Stamane la polizia ha riferito che negli scontri tra i gruppi più violenti e le forze dell’ordine sono rimasti feriti nove poliziotti. In tutto sono state arrestate 120 persone ed è stato fortemente danneggiato il palazzo del municipio, nel quale è stata lanciato un ordigno infiammabile. Danni hanno subito anche altre strutture pubbliche della città.
Manifestazioni si sono tenute anche a Lubiana, Celje ed in molte altre città, ma senza incidenti. Sul gruppo Facebook che raduna ormai circa 50 mila persone favorevoli alle proteste è stato annunciato che si continuerà a scendere in piazza ad oltranza, fino a un cambiamento radicale della politica economica del Paese. L’elezione domenica scorsa di Borut Pahor a presidente della Slovenia, secondo i manifestanti, non cambierà nulla dato che lui “rappresenta una vecchia faccia in una nuova poltrona”. Da parte di alcuni politici forti critiche sono state mosse ai mezzi di comunicazione, specie alla tv pubblica, che sarebbe complice nell’alimentare lo scontento e le proteste con continue dirette delle manifestazioni. La stampa oggi cita anche alcuni analisti secondo i quali l’ondata di proteste potrebbe avere un effetto negativo sul fronte internazionale, dato che le manifestazioni potrebbero destabilizzare il governo conservatore di Janez Jansa e costringerlo ad alleggerire la politica di austerità, ma al contempo alimentare sfiducia
 
(fonte AnsaMed )


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Slovenia threatened with national bankruptcy


By Markus Salzmann 
10 September 2012


Slovenia is likely to be the next candidate for the European bailout scheme. Although the country’s total debt is relatively low at 47 percent of GDP, the crisis gripping Slovenia’s three largest banks threatens to drag the country into the abyss.

In this regard, it is already being talked about as “the Spain of Central Europe.” As in Spain, cheap loans in Slovenia unleashed a huge real estate boom that exploded in 2008 with the global financial crisis. All the country’s major construction companies went bankrupt; the banks were left sitting on billions of euros in bad loans.

Slovenian economist Joze Damjan estimates the total amount of defaulting loans at between €6 billion and €8 billion. Without government assistance the banks cannot survive, but if the state, which owns about 50 percent of the banks, has to pay out for all their bad loans, the budget deficit would climb to 28 percent of GDP.

Slovenian Prime Minister Janez Jansa said at the weekend that Slovenia could be bankrupt in October. If a proposed bond issue for October fails, Slovenia is threatened with insolvency, according to the head of the centre-right coalition in Ljubljana.

Slovenia has been an EU member since 2004 and a member of the euro zone since 2007. The former Yugoslav republic has long been regarded as a paragon among the Eastern European accession countries, but the global financial crisis has brought the rotten foundations of Slovenian capitalism to light. In 2009, GDP fell by more than 8 percent, and last year the country was again in recession.

In the second quarter, economic output declined year-on-year by 3.2 percent. Ratings agency Moody’s downgraded Slovenia’s credit rating to just above junk status. Interest rates on 10-year government bonds are near the critical 7 percent mark.

With 2 million people and a GDP of €35 billion, Slovenia has one of the smallest economies in the EU. According to analysts, a “bailout” would currently cost about €5 billion. The major concern of the international financial elite, however, is the effect on other European countries.

“In the worst-case scenario, Austria is clearly vulnerable because its banking system is most exposed in Slovenia,” William Jackson of the London research firm Capital Economics told the news agency APA.

Jackson regards the further development of Slovenia negatively. The country faces several years of fiscal consolidation, which would lead to a vicious cycle of weak economic growth, lower government revenues and the need for additional consolidation, he said.

Nevertheless, representatives of international financial institutions and the EU are demanding Jansa’s coalition implement radical austerity measures.

Suma Chakrabarti, head of the European Bank, said in an interview with news agency STA that an important step in solving the economic problems for the euro zone member was the slimming down of the state and a much greater role for the private sector. Chakrabarti was referring to the relatively high proportion of state holdings in banks and companies.

OECD Secretary-General Angel Gurria tied aid directly to brutal cuts: “Why do we not talk about a reform of the pension system, labour market, banking sector, a debt ceiling, the privatization of state companies, before we talk about whether aid packages are needed or not?”

Economic analyst Andraz Grahek also pleaded for radical social cutbacks as a “rescue measure.”

In this context, the call for political unity between the right-wing government and the opposition Social Democrats is getting louder. For example, Slovenian Economics Minister Radovan Zerjav appealed: “I have called on the Slovenian political elite to seek a consensus on key issues. Above all, it’s about saving the banks. After all, without that there is no recovery of the Slovenian economy.”

The government needs a two-thirds majority in parliament in order to pass the reform plans, which is only possible with the votes of the opposition.

In recent years, there have been fierce clashes between the Social Democrats, who come in part from the former communist state party, and the right-wing bourgeois parties. There is absolutely no question that the Social Democrats, like the government, will advocate a drastic austerity programme. In December 2011, the Social Democratic government of Prime Minister Borut Paho collapsed.

Jansa and the right wing had prevented the Social Democrats from implementing a pension reform through a referendum. Sections of the current opposition in turn oppose the austerity plans of Jansa, in whose five-party coalition there are considerable disputes. Jansa postponed a vote of confidence in August because he had to reckon with a defeat.

The Jansa government has already prepared a “crisis budget for 2013 and 2014,” providing for the inclusion of a debt ceiling in the constitution and fundamental reforms of the labour market and pension system. The government is also considering the creation of a “bad bank” to rehabilitate the country’s ailing financial institutions at the expense of the state budget. In addition, companies with high levels of public ownership—such as Adria Airways, insurer Triglav, oil company Petrol and the state-owned telecoms corporation—are to be privatized.

In May this year, the government had already approved an austerity package: public spending is to be reduced in 2012 by €800 million and by €750 million in 2013. At the same time, the Slovenian parliament agreed to a reduction in corporation tax, lowering the rate from 20 percent to 18 percent. It will fall by another percentage point every year from now on, reaching 15 percent by 2015.



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Protest against austerity measures in Slovenia


By Markus Salzmann 
27 November 2012

On November 17, around 30,000 people protested in the Slovenian capital Ljubljana against the austerity policies of the centre-right government of Prime Minister Janez Jansa. Workers, civil servants, pensioners, students and artists demanded an end to the draconian austerity measures introduced by successive governments in recent months and years.

Participants gathered with banners at the city centre and demanded: "Social Security, new jobs and against state repression." Members of the Occupy movement chanted: "We will not pay for your crisis". A large banner with the text "Enough!" was unfurled at the historic castle which stands on a hill overlooking the city,

The right-wing government led by Prime Minister Jansa is planning further cuts in pensions, social benefits and salaries of public employees in order to reduce the federal deficit from its current level of 4.2 percent to three percent. In addition, the government plans to extend the retirement age and significantly restrict employment protection.

Since 2008 the Jansa government and the preceding social democratic government have introduced drastic cuts lowering living standards dramatically. In July, the salaries of public employees were cut by three percent along with the slashing of other allowances.

A few years ago politicians and economists singled out Slovenia as a role model for the European Union. Now it is regarded as the most likely new candidate for a European bailout. As in other European countries the economic crisis has been used to organize a major redistribution of social wealth from the working layers of the population to a wealthy elite.

Slovenian banks, most of them state-owned, are sitting on a mountain of bad loans totalling 6.4 billion euros. According to the Central Bank in Ljubljana, 18 percent of corporate loans were at risk of default at the end of 2011. The collapse of the two country's largest banks was only prevented by multiple injections of public finance.

Slovenia is now mired in recession. Its economy contracted in the second quarter of this year by 3.2 percent. According to the International Monetary Fund (IMF) the government deficit will increase to 52 percent of GDP by the end of the year. In 2008, this rate stood at 22 percent. The rating agency Moody's recently downgraded the country and interest payments on the country's ten-year government bonds are approaching the critical 7 percent mark.

The consequences for the population are devastating. Unemployment has doubled since the 2008 economic crisis and now stands at 12 percent. Youth unemployment stands at 17.7 percent. Despite the fact that the prices for many basic commodities have risen considerably average salaries fell in August by 2.4 percent and in September by 3.8 percent compared to one year earlier.

In October the Slovenian parliament voted to establish a state holding company to promote the privatization of the country's remaining public enterprises. It is assumed that the planned privatisations will lead to thousands of additional redundancies. The Jansa government also plans to establish a bad bank, where the country's troubled banks can deposit their bad loans at public expense.

Plans have been announced to hold referenda opposing the setting up of both the state holding company and the bad bank. In mid-November, parliamentary speaker Gregor Virant gave the green light for a campaign to collect signatures for a referendum against the establishment of a bad bank. Starting on November 19, 40,000 signatures must be collected within 35 days to ensure that the referendum takes place. It could then take place in January next year.

The right-wing government coalition wants to prevent such referenda in future. The coalition currently holds 48 of the 90 parliamentary seats and hopes to achieve in future elections the two-thirds majority necessary to pass a constitutional amendment. All-party talks towards obtaining such majority have been taken place for several months.

The current presidential elections are also dominated by the crisis. In the first ballot the former prime minister and social democrat Borut Pahor won 40 percent of the vote and leads non-party incumbent Danilo Türk who received 36 percent. Milan Zver, who is backed by the Jansa government, received just 24 percent.

Pahor and Türk, who will both take part in the second ballot in December, are both advocates of radical austerity measures. Pahor was forced to resign as prime minister last year because his government collapsed following its inability to implement its desired reform program. Since then Pahor is regarded as politically damaged goods and has little support even in his own party.

The situation is somewhat different for Türk, who can rely on support from Zoran Jankovic, the mayor of Ljubljana and leader of the party "Positive Slovenia". Jankovic's party won the most votes in its first showing in the parliamentary elections held last year but could not form a government. Victory for Türk in the presidential election would in turn be provide a political boost to Jankovic who is waiting in the wings to replace the Jansa government.

Against a background of popular protests, Türk is advocating collaboration with the unions in order to enforce further cuts with the unions and has called for pension and labour market reforms to be introduced "in harmony" with the unions.

The trade union organizations are backing Türk in the presidential election and also fully support the planned austerity measures. The protest on Saturday was prepared by three trade unions together with pensioner and student organizations in order to allow demonstrators to let off steam and thereby prevent independent protests which could genuinely challenge the government.

In the course of the last twenty years the Slovenian trade unions have been faithful servants to the ruling elite. In recent years they have supported the savings programs introduced by large companies such as Telekom Slovenije, the household appliance manufacturer Gorenje and the Petrol energy company—all at the expense of the workforce.

This is why more and more workers are turning their backs on the unions. The largest trade union confederation ZSSS, which emerged in 1990 from the former official communist trade union originally had a total of 400,000 members. Today there are only a little over 200,000 left in the organisation.




=== 4: FLASHBACK ===


Slovenia - 02 maggio 2012
 
http://www.viedellest.eu/news/2012/05/02/turismo/turismo.htm
 
Chiesa e Stato ai ferri corti per l'isolotto del Lago di Bled
 
In Slovenia, Stato e Chiesa sono ai ferri corti per la proprietà degli immobili dell'isolotto sul Lago di Bled. Tutta colpa dell'ex governo di centro-sinistra - leggiamo su Il Piccolo - che nel periodo del suo mandato si è rivolto al Tribunale di Kranj per fare invalidare un precedente accordo sottoscritto nel 2008 dall'allora ministro della Cultura Vasko Simoniti (di centro-destra), in base al quale lo Stato affidava l'isolotto del lago di Bled alla Chiesa e trasferiva la proprietà degli immobili alla parrocchia di Bled, ossia all'arcivescovado di Lubiana. Nel frattempo però l'intraprendente parroco, Janez Ferkolj, ha dato il via alla ristrutturazione del negozio di souvenir e della trattoria presenti sull'isolotto. I lavori sono iniziati a fine gennaio e i nuovi locali sono stati inaugurati all'inizio di aprile. Un investimento da 300mila euro, ottenuti in parte grazie al biglietto di "ingresso" di 3 euro che ciascun turista deve acquistare per accedere all'isolotto, in parte con un mutuo bancario. La scorsa settimana era attesa la decisione togata, ma i giudici hanno deciso di prendersi altro tempo chiedendo alle parti di fornire ulteriore documentazione scritta in difesa delle reciproche posizioni in merito alla vicenda. Scaduti i termini, la corte avrà un mese per emettere la sentenza.



Slovenia: la chiesa tra anime e investimenti in borsa


Se ne è andato per limiti di età. Ma in realtà sul suo commiato pesa un gravissimo crack finanziario della diocesi che guidava dalla metà degli anni '80. E' Franc Kramberger, vescovo di Maribor. La chiesa slovena, dal comunismo all'euforia degli affari
Era entrato in scena tra le polemiche e tra controversie ancora maggiori se ne è andato. Il vescovo di Maribor, Franc Kramberger, era stato nominato a metà degli anni '80 alla guida della seconda, per importanza, diocesi slovena, nell’ambito di una serie di avvicendamenti voluti dal Vaticano. La cosa fece andare su tutte le furie le autorità dell’epoca. Non che si avesse nulla di particolare contro il prelato, ma semplicemente si credeva che quel posto spettasse a Vekoslav Grmič, che per 12 anni era stato vescovo ausiliario della città.
I comunisti infatti apprezzavano le posizioni “progressiste” di quest’ultimo e le sue tesi che volevano il “socialismo più vicino al vangelo”. Per il regime, la manovra aveva chiaramente l’obiettivo di emarginare Grmič e lui stesso non mancò di mandare una lettera risentita al pontefice. Giovanni Paolo II in quel periodo era impegnato a dare un maggiore rigore dottrinario ed uniformità alla chiesa e il “socialista” Grmič non rientrava certamente nei piani del Vaticano.


L'addio

L’uscita di scena di Kramberger non è stata però accompagnata da polemiche di natura ideologica ma da scandali economici. Il prelato ufficialmente se ne è andato per raggiunti limiti d’età, ma nel suo discorso di commiato ha chiesto scusa anche per i suoi errori in campo finanziario.
 
Il pontefice l’ha sollevato dall’incarico agli inizi di febbraio, dopo che sul settimanale italiano “L’Espresso” era uscito un articolo in cui si accusava la sua diocesi, ovvero le società finanziaria ad esse connessa, di aver creato un buco di “un miliardo” di euro. Da Maribor hanno subito precisato che le cifre non reggono, ma non hanno negato la profonda crisi in cui versano le società della diocesi.


Anime ed affari

La storia iniziò già negli anni Novanta quando la chiesa, oltre che ad occuparsi dei fedeli, pensò bene di entrare anche nel mondo degli affari. Con il crollo del regime comunista per i vertici ecclesiastici le cose cambiarono repentinamente. Dopo aver giocato, per quarant’anni, un ruolo marginale finalmente poterono tornare a rinverdire i fasti del passato in tutti i settori della società: anche in quello imprenditoriale.
In Slovenia il clero aveva tradizionalmente avuto un ruolo centrale ed aveva acquisito un notevole patrimonio immobiliare che il regime comunista aveva nazionalizzato in fretta e furia. Dopo l’indipendenza castelli, monasteri, boschi e terreni vennero in gran parte restituiti alla chiesa, che si trovò nuovamente a gestire un cospicuo patrimonio.
La diocesi di Maribor così, cominciò coraggiosamente a muoversi nel mondo della finanza fondando una banca, delle società d’affari e acquisendo un’impresa che operava nel settore delle telecomunicazioni, la T-2. Fare business in Slovenia del resto sembrava cosa “buona e giusta”. Il mercato azionario tirava e investire in borsa pareva un gioco da ragazzi visto che le azioni erano in costante rialzo.
Non furono pochi i piccoli risparmiatori che affidarono i loro soldi alle società controllate dalla chiesa, si parla ora di circa 60.000 persone. Negli anni del boom la T-2 pensò bene di lanciarsi nell’ambizioso progetto di munirsi di una propria rete a fibra ottica. L’impresa offriva ai cittadini connessioni telefoniche ed internet di nuova generazione, nonché un nutrito pacchetto di programmi televisivi via cavo.


Programmi a luci rosse

Proprio a causa della TV ben presto nacquero le prime polemiche. In Slovenia sono molto diffusi vari tipi di collegamento via cavo o satellitari; mentre soltanto 1/3 della popolazione riceve il segnale televisivo attraverso le tradizionali antenne. Nell’offerta delle TV a pagamento, ovviamente, non manca nemmeno una ricca scelta di canali per soli adulti.
Questi ultimi non potevano mancare neppure nel pacchetto della T-2, anche se il fatto che una società di proprietà dei vescovi avesse programmi a luci rosse non mancò di suscitare ilarità o stizzite reazioni. Era sin troppo semplice accusare la chiesa di avere una doppia morale: da una parte difendeva i valori della famiglia tradizionale e chiedeva costumi sessuali morigerati, dall’altra non si preoccupava di offrire filmini pornografici per far cassa. Ad onor del vero la curia avrebbe visto di buon grado la cancellazione di quei programmi, ma si dovevano fare i conti con i circa 100.000 abbonati e con il danno economico che ci sarebbe stato se si fosse deciso di togliere quei canali.
In ogni modo l’allegra gestione delle finanze delle società legate alla diocesi di Maribor è stata presa in esame da un “visitatore apostolico” , inviato dal Papa, che non ha potuto far altro che constatare la gravità della situazione.


Santa sede non informata

Quello che sembra emergere è che la diocesi abbia agito senza tener conto delle severe regole del Vaticano in materia di investimenti e senza che la Santa sede ne fosse informata in alcun modo. Sta di fatto che ora ci sono molti soldi da restituire alle banche, che hanno allegramente concesso finanziamenti alle società dei preti. Per ottenerli sono state date in garanzia azioni, che ora sono poco più che carta straccia e persino qualche edificio di proprietà del clero.
Quello che è più grave, però, è che a rimetterci potrebbero essere i piccoli risparmiatori che hanno affidato i loro soldi alle società dei vescovi. La Conferenza episcopale slovena, che in questi giorni sta cercando di correre ai ripari, sembra compatta nel ribadire che cercherà prima di tutto di tutelarli. Ora si promette di voler far chiarezza e di essere intenzionati a punire esemplarmente i responsabili. Il colpo, comunque, per la chiesa è durissimo ed il danno d’immagine è evidente.
Il clero sloveno del resto, all’inizio di quest’anno ha dovuto già digerire la rimozione del suo più prestigioso rappresentante a Roma. Il cardinale Franc Rode, pur restando uno degli uomini importanti della curia pontificia, ha perso il posto di Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, ufficialmente per raggiunti limiti d'età. Non sono però mancate velenose speculazioni sulle sue amicizia con Marcial Marciel, il contestato fondatore della congregazione dei Legionari di Cristo.




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(srpskohrvatski / italiano / english)

‘Yugoslav Tribunal’ in hands of organized crime

1) Nikolic: il tribunale deve liberare tutti i serbi
2) ЗЛОЧИНИ ПРОТИВ СРБА СЕ НЕ КАЖЊАВАЈУ ! Izjava Beogradskog Foruma za Svet Ravnopravih
3) ‘Yugoslav Tribunal’ in hands of organized crime


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Nikolic: il tribunale deve liberare tutti i serbi

29. 11. 2012. - 20:39 -- MRS

Il Presidente della Serbia Tomislav Nikolic ha dichiarato a Kraljevo che dopo la liberazione del leader dell’UCK Ramus Haradinaj da parte del tribunale dell’Aja tutti i serbi devono lasciare il tribunale. Se l’operazione militare dell’esercito croato Tempesta non era un crimine, se Haradinaj non ha commesso nessun crimine, dove saranno trovati i crimini? Dai rappresentanti politici, oppure dai comandanti dell’esercito e della polizia? Tutti i serbi che si trovano nel tribunale dell’Aja devono essere liberati subito, ha detto Nikolic. Non può accadere che i popoli siano in guerra e che soltanto un popolo sia punito per i crimini commessi da tutti. La liberazione di Haradinaj avrà conseguenze pesanti sul processo della riconciliazione dei popoli nella nostra regione. Dopo tutto non potremo mantenere gli stessi rapporti con i Paesi limitrofi come avevamo prima, ha dichiarato il Presidente della Serbia.


=== 2 ===


БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ
29. новембар 2012. године

Ослобађање команданта албанске терористичке „ОВК“ Рамуша Харадинаја за злочине против Срба на Косову и Метохији, након ослобађања хрватских команданата „Олује“ Готовине и  Маркача за етничко чишћење 200.000 и убиство 2.000 Срба,  су најновији показатељи вишедеценијске антисрпске стратегије водећих чланица НАТО и ЕУ.  Те земље користе све полуге да смањују и слабе Себију као политичког и економског фактора на Балкану истовремено награђујући Хрватску, Бошњаке и Албанце. Зато је основно питање да ли ће Србија прихватити стратегијски одговор на такву дугорочну политику, или ће наставити поводљиву политику самопонижавања, самообмањивања и бесконачних уступака на рачун животних националних и државних интереса.


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Der ursprüngliche Artikel:
»Beweisnotstand«. Den Haag ist fest in Mafia-Hand
Von Werner Pirker - junge Welt, 31.11.2012
oder http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7504



‘Yugoslav Tribunal’ in hands of organized crime


By John Catalinotto on December 7, 2012 

The following is from an editorial by Werner Pirker in the German daily newspaper, Junge Welt, Nov. 30, translated by John Catalinotto. Pirker writes about the NATO-created Tribunal on the former Yugoslavia, which persecuted President Slobodan Milosevic and other Serb leaders following its creation.


The United Nations Security Council’s unlawfully appointed tribunal for war crimes in the former Yugoslavia — only the U.N. General Assembly should have called it into being — is brazenly flaunting its criminal character. Two weeks ago the Croatian general, Ante Gotovina, who was convicted of war crimes in 2005 and sentenced to 18 years in prison, was acquitted in a second trial. Now the former KLA (“Kosovo Liberation Army”) commander and former Kosovo prime minister, Ramush Haradinaj, whose first trial in 2008 had already ended in an acquittal, left the Hague, Netherlands, as a free man.

Even The Hague judges could not dispute that the KLA committed crimes — not only against Serbs and other non-Albanian Kosovars, but also against pro-Yugoslav Albanians who opposed the insurgents’ ethnocentric terror regime.

The court’s opinion, however, was that there was no evidence proving the guilt of Haradinaj and two of his co-defendants. Had the defendants been Serbs, then the Tribunal would have brought the charges under the guarantee of applying the principle — that it had itself invented — that there was a “joint criminal enterprise” (JCE).

In the case of Croatian massacre generals and that of the KLA commander of Western Kosovo known as “the Butcher,” no assumption was made that the defendant was per se a member of a collective group of murderers. According to the logic of The Hague Tribunal, since they are not Serbs, they therefore could not have been involved in a plan that ranged from ethnic cleansing to genocide.

Gotovina was the supreme commander of “Operation Lightning,” which was involved with massive ethnic cleansing to allow for the integration of the hitherto predominantly Serb-inhabited Krajina province into the Croatian federation.

Haradinaj was one of the most brutal enforcers of the full Albanianisation of the southern Serbian province. The alleged ethnic cleansing of Kosovar Albanians by the Serbs and the threat of genocide were pretexts for the bombing campaign against Yugoslavia in 1999. In reality, the Kosovo residents were fleeing the NATO bombing. After the destruction was completed, the ethnic cleansing began — with the goal of a pure Albanian Kosovo.

The judges of The Hague not only are aware of the crimes committed by the KLA, they also know why they lack of evidence about it. And they said that openly in the justification of their findings. Since everyone who made statements in his first trial that incriminated Haradinaj attracted the murderous arm of the KLA, there were no longer witnesses who would dare to speak out against the organized gang of criminals who were now wielding state power. The Hague Tribunal has apparently subordinated itself to the Mafia’s conception of justice.




(italiano / english / srpskohrvatski)

COMUNISTI CONTRO IL TRIBUNALE DELL'AIA

Una risoluzione del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia - NKPJ - contro il "Tribunale ad-hoc" dell'Aia è stata approvata al 14esimo Incontro internazionale dei partiti comunisti, tenutosi a Beirut a fine novembre.
Il giornale serbo Danas ha scritto, tra le altre cose, che "il risultato raggiunto all'incontro (l'approvazione della risoluzione) ottiene particolare peso se si considera che la risoluzione è stata approvata anche dal Partito Socialista dei Lavoratori Croato (SRP): 'Loro hanno accettato la risoluzione e hanno adottato lo stesso atteggiamento del nostro
partito. Anche se il SRP non ha influenza parlamentare, esso esprime le posizioni del proletariato croato
', ha detto il segretario esecutivo del NKPJ e delegato dello stesso all'incontro di Beirut, Aleksandar Banjanac" 

(Sintesi a cura di AD; si veda più sotto il testo della Risoluzione)


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3/12/2012 18:14 | Beograd

U Bejrutu usvojena rezolucija na predlog NKPJ


Komunisti protiv Haškog tribunala


AUTOR: MARIJA KOJČIĆ

Beograd - Tribunal u Hagu formiran je kako bi se prikrile činjenice koje vode do glavnih nalogodavaca krvavog rasturanja Jugoslavije, a čiji krvavi imperijalistički trag vodi i do najnovijih ratnih operacija u Gazi, u Siriji, širom Bliskog istoka, do Libije, Iraka, Avganistana - ovako glasi deo teksta rezolucije „Ujedinjeni protiv imperijalističke poluge međunarodnog kriminalnog tribunala za bivšu Jugoslaviju u Hagu“ usvojene na 14. međunarodnom sastanku komunističkih i radničkih partija, koji je ove godine održan u Bejrutu od 22. do 25. novembra.


Rezoluciju je predložila Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ), jedna od učesnica skupa čiji je domaćin bila Libanska komunistička partija.

Aleksandar Banjanac, izvršni sekretar NKPJ, koji je predstavljao partiju u Bejrutu, izjavio je za Danas da je usvajanje rezolucije izraz solidarnosti s Balkanom, gde je, kako naglašava, rušilački karakter imperijalizma još prisutan, kao i snaženja stava protiv „NATO države“, nezavisnosti Kosova i raspada Jugoslavije. „Rezoluciju su podržale kako male i neuticajne partije u svojim zemljama, tako i one koje vladaju ili su značajne u svojim društvima, na drugom ili trećem mestu po snazi u političkim arenama svojih država. Tako su svoj potpis za usvajanje rezolucije, između ostalih, dale KP Francuske, Španije i Indije“, kazao je Banjanac.

Kako je naglasio, rezultat postignut na sastanku u Bejrutu posebno dobija na težini ako se zna da je rezoluciju podržala i Socijalistička radnička partija iz Hrvatske (SRP). „Oni su prihvatili rezoluciju i zauzeli isti stav prema Tribunalu kao naša partija. Iako SRP nema parlamentarnog uticaja, ona izražava stav hrvatskog proleterijata“, rekao je izvršni sekretar NKPJ.

Međunarodni sastanak komunističkih i radničkih partija održava se krajem svake godine. Ovaj u Bejrutu, čija je tema bila „Osnažimo borbu protiv eskalacije imperijalističke agresivnosti, za zadovoljenje socio-ekonomsko-demokratskih prava i aspiracija ljudi, za socijalizam“, održan je zbog napete situacije na Bliskom istoku, budući da skup uvek demonstrira solidarnost među komunistima, ali i sa narodom u čijoj državi se sastanak održava.

Podrška arapskoj radničkoj klasi

„Ove godine skup na kojem je učestvovalo 60 partija sa svih kontinenata održan je u libanskoj prestonici jer je reč o području gde je situacija napeta, pa je međunarodni komunistički pokret poslao poruku solidarnosti narodu gde je rušilački karakter imperijalizma očigledan i dominantan“, objasnio je Banjanac i dodao da je na sastanku usvojena i finalna Deklaracija iz Bejruta u kojoj se ističe da „je skup predstavljao kontinuiranu solidarnost i podršku borbi radničke klase i narodnih ustanaka u arapskim zemljama protiv imperijalističke agresivnosti i krupnog kapitala“.


--- srpskohrvatski:

UJEDINJENI PROTIV IMPERIJALISTIČKE POLUGE MEĐUNARODNOG KRIMINALNOG TRIBUNLA ZA BIVŠU JUGOSLAVIJU U HAGU

Rezoluciju podnela NKPJ

Tribunal u Hagu predstavlja političku polugu imperijalizma koja je instrument permanentih ucena narodima bivše Jugoslavije. Tribunal u Hagu formiran je kako bi se prikrile činjenice koje vode do glavnih nalogodavaca krvavog rasturanja Jugoslavije, a čiji krvavi imperijalistički trag vodi i do najnovijih ratnih operacija u Gazi, u Siriji, širom Bliskog istoka, do Libije, Iraka, Afganistana... Radom tribunala u Hagu ostavruje se imperijalistički cilj potpune dominacije regionom, razjedinjenja naroda s prostora Jugoslavije, raspirivanje šovinizma, mržnje i nacionalizma koji su oduvek bili saveznici imperijalista, svaljivanje sve krivice gotovo isključivo na Srbe i time zatvoranje jedne totalne istorijske osude u kojoj se ne može naći ni najsitniji trag odgovornosti imerijalističkih faktora za čiju direktnu odgvoronost i umešanost u ratna zbivanja ima na hiljade nepobitnih dokaza.

Presude suda u Hagu ne izražavaju nikakvu istorijsku objektivnost, ne doprinose pomirenju naroda Jugoslavije te otud odbacujemo sve presude koje je donela ova institucija.

Dole sud nepravde, dole poluga imperijalizma, za trajni mir, napredak i solidarnsot među narodima bivše Jugoslavije i Balkana nemogućim bez socijalizma!



--- italiano:

UNITI CONTRO LO STRUMENTO IMPERIALISTA DEL TRIBUNALE PENALE INTERNAZIONALE DELL'AIA PER L'EX JUGOSLAVIA

Risoluzione presentata dal NKPJ

Il Tribunale dell'Aia rappresenta uno strumento politico dell'imperialismo e di permanente ricatto ai popoli dell'ex Jugoslavia. Il Tribunale dell'Aia è stato costituito per coprire i principali responsabili della sanguinosa spaccatura della Jugoslavia, dei quali le sanguinose tracce imperialiste portano anche alle più recenti operazioni militari a Gaza, in Siria, lungo tutto il Medio Oriente, fino in Libia, Iraq, Afghanistan... Mediante il lavoro del tribunale dell'Aia si realizza l'obiettivo imperialista del dominio totale nella regione, della dissoluzione dei popoli del territorio jugoslavo, dell'incitamento al sciovinismo, all'odio e al nazionalismo (da sempre alleati degli imperialisti), l'addossamento di tutte le colpe quasi esclusivamente ai serbi e con ciò l'epilogo di una condanna esclusivamente storica nella quale non si può trovare nemmeno la più minuscola traccia di responsabilità imperialista per la quale la diretta responsabilità e coinvolgimento nelle vicende di guerra ci sono migliaia di inconfutabili prove.

Le sentenze del tribunale dell'Aia non esprimono alcuna obiettività storica, non contribuiscono alla pacificazione dei popoli della Jugoslavia. Respingiamo dunque tutte le sentenze emanate da questa instituzione.

Abbasso il tribunale dell'ingiustizia, abbasso lo strumento dell'imperialismo, per la pace permanente, per il progresso e la solidarietà tra i popoli della ex Jugoslavia e dei Balcani, possibili solo con il socialismo!

(trad. di AD per JUGOINFO)


--- english:

United Against the Imperialistic Tool- International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia

The Hague Tribunal represents the political lever of imperialism, which is the instrument of permanent blackmailing of people of ex-Yugoslavia. The Hague Tribunal was formed to hide the facts that lead to the key instructing party for bloody dispersal of Yugoslavia, which bloody imperialistic trace goes to the recent war operations in Gaza, Syria, across the Middle East, to the Libya, Iraq, Afghanistan... The existence of the Hague Tribunal enables the accomplishment of imperialistic goals of total dominance over the region, dividing the peoples and nations of the territory of Yugoslavia, continue the chauvinism, hatred and nationalism which has always been an ally of imperialism, to place all the blame on Serbs and in that way to close one complete historical convinction in which is impossible to find even the thinnest trace of responsibility of imperialistic factors for which direct involvment in war events exist the thousands irrefutable evidences.

Verdicts of the Hague Tribunal don’t express any historical objectivity, don’t contribute to the conciliation of people of Yugoslavia, and that is why we reject all the verdict brought by this institution.

Down the court of injustice, down the tool of imperialism, for the lasting peace, for progress and solidarity among peoples of ex-Yugoslavia and Balkans which are all impossible without socialism!

• Algerian Party for Democracy and Socialism
• Communist Party of Bangladesh
• Workers Party of Bangladesh
• Workers Party of Belgium
• Communist Party of Brazil
• Brazilian Communist Party
• Communist Party of Britain
• Communist Party of China
• Socialist Workers Party of Croatia
• German Communist Party
• Communist Party of Greece
• Communist Party of Ireland
• Workers’ Party of Ireland
• Lebanese Communist Party
• Communist Party of Mexico
• Palestinian Communist Party
• Communist Party of the Russian Federation
• Communist Workers Party of Russia - Revolution Party of Communists (RKRP-RPC)
• Communist Party of Soviet Union
• South African Communist Party
• Communist Party of the People of Spain
• Communist Party of Sweden
• Syrian Communist Party
• Communist Party of Tajikistan
• Communist Party of Turkey
• Union of Communists of Ukraine
• Communist Party of USA
• CP of Vietnam





(srpskohrvatski / italiano)

Ricorrevano pochi giorni fa gli anniversari della I Seduta (Bihac 1942) e della II Seduta (Jajce 1943) dell'AVNOJ (Consiglio Antifascista di Liberazione Nazionale della Jugoslavia), cioè in pratica della nascita della Jugoslavia federativa e socialista. In tali occasioni si sono svolti raduni e manifestazioni che, ancor più che in passato, hanno registrato una partecipazione rilevante (quasi 3000 persone convenute con i pullman a Jajce), segno di un allargamento della base di massa delle posizioni jugoslaviste esplicite. Se a tali manifestazioni pubbliche aggiungiamo altri segnali inequivocabili - come i numerosi libri e servizi giornalistici; il fiorire di associazioni, gruppi e partiti jugoslavisti anche in aree in cui fino a pochissimi anni fa si rischiava letteralmente la vita a dichiararsi tali; o l' "esplosione" di blog e siti internet sull'argomento (il solo gruppo Facebook "SFR Jugoslavija - SFR Yugoslavia" registra oggi 138.647 iscritti!) - appare evidente come la direzione del vento sia cambiata dopo gli anni neri (in tutti i sensi) della guerra fratricida per procura imperialista.

Meglio di tutti esprime tale rinnovata atmosfera l'articolo, che riproduciamo più sotto nella traduzione di Jasna Tkalec, sulla apertura a Belgrado della mostra "La Jugoslavia dall'inizio alla fine". (a cura di IS)


=== LINK:

U BIHAĆU

Video: 70. GODIŠNJICA. PROSLAVA, I. ZASEDANJE AVNOJA U BIHAĆU.
http://www.youtube.com/watch?v=-GKbiM7fF3w

Evento FB
http://www.facebook.com/events/290701491039495/

U JAJCU

U Jajcu centralno obilježavanje godišnjice Drugog zasjedanja AVNOJ-a
http://www.klix.ba/vijesti/bih/u-jajcu-centralno-obiljezavanje-godisnjice-drugog-zasjedanja-avnoj-a/121124101
http://www.radiosarajevo.ba/novost/95494/
http://www.novosti.rs/vesti/planeta.300.html:407331-Pocinju-dani-AVNOJ-a-u-Jajcu

Video
http://www.youtube.com/watch?v=4lAVvxm5ZLw
http://www.youtube.com/watch?v=XJaudFV9QuA
http://www.youtube.com/watch?v=jP2Jk75CJRc

Foto in FB
http://www.facebook.com/media/set/?set=a.10151325191903834.523917.36436743833&type=1

DRUSTVA I SAJTOVI

Udruženje "Naša Jugoslavija"
http://www.nasa-jugoslavija.org

SFR Jugoslavija - SFR Yugoslavia
http://www.facebook.com/pages/SFR-Jugoslavija-SFR-Yugoslavia/36436743833

Liga Antifašista Jugoistočne Evrope
http://www.titoslavija.org/


=== 

(ovaj clanak na srpskohrvatskom: Iskra u oku
http://www.vreme.com/cms/view.php?id=1085468 )


Fonte: http://www.vreme.com/cms/view.php?id=1085468

VREME 1143, 29. Novembre 2012. / CULTURA 

Ancora una volta sulla Jugoslavia

La scintilla nell'occhio


Nel museo della Storia jugoslava il primo dicembre, giorno del compleanno della prima Jugoslavia, si è aperta l'esposizione «La Jugoslavia dall'inizio alla fine». In quella settimana cadeva pure il 29 Novembre, Giornata della Repubblica, il compleanno e la festa della seconda Jugoslavia. Ai nostri tempi si tenta di raccontare la Jugoslavia spogliata da ogni contenuto politico. Ma nella politica sta la chiave, la politica detiene una dimensione cruciale nell'idea jugoslava e nel progetto jugoslavo. La Jugoslavia non fu fatta a causa della sua cinematografia, né a causa della sua musica, né a causa del suo calcio: essa fu fatta per ragioni politiche. Diventare soggetto (politico), essere liberi, essere un fattore (politico), non essere una colonia, non essere ridotti a pura risorsa, non essere occupati: per queste ragioni si formò la Jugoslavia. Tutto il resto è venuto dopo.


Poche sono nella lingua le analogie tanto stupide quanto quella fra lo Stato e il matrimonio. Eppure qua, dalle nostre parti, questa analogia è diventata molto frequente, e quindi spesso si sente dire che la Cecoslovacchia ha avuto un divorzio pacifico e civile, mentre la Jugoslavia si è disgregata come si disgregano certi matrimoni poco tranquilli e poco civili, quando marito e moglie rompono posate e piatti, e anzi tirano fuori i coltelli. Allora nella forma giuridica si dice che marito e moglie si dividono a causa di «differenze inconciliabili». E davvero, in tali situazioni, «gli sposi» fino a poco tempo prima, generalmente mostrano pareri assolutamente discordanti a proposito di ogni cosa, a parte una unica proverbiale eccezione: non sanno in nessun modo, caro mio, perché in quella occasione avessero deciso di sposarsi...

A questo punto questa stupida analogia potrebbe far comodo; mentre nelle opinioni pubbliche dei vari statarelli postjugoslavi e nella loro provvisorietà esistono diverse, anche contrapposte, narrazioni dominanti – per usare questo termine che va di moda - che cercano di spiegare perché ci siamo divisi, le teorie dominanti sul perché ci eravamo messi insieme sono assai più conciliabili.


Errore e profitto

Nella Serbia è adesso molto popolare la tesi che considera la Jugoslavia come un tragico errore del popolo serbo. Questa, ad esempio, è la vera ossessione delle opere mature dello scrittore Dobrica Ćosić, e da lui questa visione è stata (ri)presa da una turba numerosa di (pseudo)storici e giornalisti. Questa idea ha sommerso la vita pubblica ed è diventata riconoscibile anche in luoghi dove non è coscientemente radicata in forma di concetto, ma viene scimmiottata con efficacia, visto che rispecchia lo spirito dei tempi. Essa è presente come retroscena politico nel film Montevideo, Bog te video (Montevideo, che ti veda Iddio). Dell’idea jugoslava come storia di un fatale errore si parla in modo esplicito nel libro “Il cerchio culturale serbo 1900-1918” di Petar Pijanović, nel quale l’idea jugoslava di Cvijić e di Sekulić è descritta come un utopismo nocivo. Era sbagliato verso la fine e dopo la Prima guerra mondiale costruire la Jugoslavia, afferma questa tesi, riassunta in modo più breve possibile. Bisognava costruire uno Stato serbo come Stato nazionale, su di un territorio più piccolo della Jugoslavia, ma quanto più grande possibile. Quello che per i serbi rappresenta un fatale errore, per i croati – seguendo la medesima logica - diventa un evidente profitto. I serbi si sarebbero precipitati tutti, sulle ali del destino e dell’entusiasmo, a fare la Jugoslavia, mentre i croati ne hanno tratto un profitto evidente. In questo sono d’accordo sia Dobrica Ćosić che Darko Hudelist, e la visione completa in questi giorni è sintetizzata da Inoslav Bešker, nella polemica con la famigerata frase di Stjepan Radić che rammenta «le oche nella nebbia». I rappresentanti croati nel 1918 non sono stati come oche credulone, dice Bešker, ma si sono preoccupati piuttosto di «minimizzare il danno”. Nel caso che non ci fosse stata la Jugoslavia, la Croazia sarebbe stata divisa fra i suoi aggressivi vicini dell’Occidente e dell’Oriente (Italia e Serbia). Ai croati sarebbe rimasto un paese-tampone, piccolo, piccolo, là, nel bel mezzo fra i due (non è senza interesse il fatto che ai tempi della disgregazione jugoslava Tudjman avrebbe voluto destinare il medesimo ruolo alla Bosnia-Erzegovina). In una simile concezione, la Jugoslavia ci ricorda quel mitico congelatore nel quale sarebbe stato congelato Walt Disney in attesa che si trovi un antidoto alla morte. Ai croati - ma opinioni simili si sentono anche in Slovenia - la Jugoslavia sarebbe servita unicamente come tappa per conseguire l’indipendenza, lungamente desiderata, da conquistare quando le condizioni fossero maturate. Dai montenegrini sentirete più di una volta che la Jugoslavia avrebbe cancellato il loro Stato, il più antico Stato e con la continuità statale più lunga nei Balcani, mentre i musulmani bosniaci vi diranno che essa li illuse con lo slogan della fratellanza e unità, e cosi li avrebbe predisposti allo sterminio e al genocidio. Probabilmente anche i macedoni avrebbero più di un rimprovero, ma per momento non me ne viene in mente nessuno...


Avvoltoi. Banditori. Urlatori.

Bene: per non peccare con l'anima, ammetto che in tutti quei paesetti ex-jugoslavi e anche nelle loro forme provvisorie, come pure nella cosiddetta “diaspora”, esistono piccoli mondi organizzati, che non si scaldano in modo tanto folcloristico per i propri Stati (nazionali). In verità, quegli Stati non gli fanno schifo, ciononostante si appoggiano molto di più a certe fondazioni ed organizzazioni internazionali, e vivono saltellando da un aereo all’altro, da una conferenza internazionale all’altra (conference-hop-ping come direbbero i colleghi della BBC), al contempo versando un mare di lacrime a causa di tutte le ingiustizie e per via di tutti i diseredati e gli emarginati. Anche questi non trovano parole lusinghiere per la Jugoslavia. Essa, per loro, come dice un adagio che ripetono spesso negli ultimi tempi, “avrebbe trovato la propria fine nelle fosse comuni e nei campi di concentramento”. Costoro sono amanti della giustizia e sono naturalmente di sinistra: si occupano e si preoccupano delle questioni mondiali. Il loro atteggiamento verso la Jugoslavia è perfettamente palese in un testo (peraltro schifoso) di Aleksandar Dragoš, critico musicale, che descrive il gruppo musicale Šarlo Akrobata confrontandolo con un altro gruppo musicale chiamato EKV. Citiamo quest'enfatica idiozia: "In breve, Šarlo sta a EKV come i principi del socialismo stanno alla Jugoslavia. Per i primi vale la pena di lottare ancora, mentre la seconda rappresenta il passato, che sarebbe meglio lasciare in pace." Questi tifosi dei principi del socialismo si mettono però in prima fila quando si fa la propaganda per “confrontarsi con il passato.” Affermano il loro impegno è di non permettere che si dimentichino le vittime. Nel caso che non avessimo voglia di passare per bugiardi, questi non sono altro che avvoltoi. Nella settimana in cui sono nate entrambe le Jugoslavie, in cui cade il 29 Novembre, Giornata della Repubblica, e la prima seduta dell’AVNOJ, nonché il 1 Dicembre, giorno in cui fu proclamata la prima Jugoslavia, bisogna leggere le poesie di Miloš Crnjanski e precisamente il poemetto che egli dedicò alla Jugoslavia. Questa poesia è stata scritta nel 1918 a Zagabria ed inizia con questi versi che tutti conoscono:

Nessun bicchiere che si vuota

nessun tricolore che viene proposto

non è il nostro...

In questa poesia si trovano i versi sui "terribili fratelli, di ciglia folte e canzoni tristi". Il verso chiave è il penultimo:

Ma di celebrazione che vino beve

di feste e chiese, cosa vuol che c’ importi?

Le lacrime dall’occhio cadranno fra breve

Mentre il tamburo urla in vece dei morti.”

Ahimè, quanta poesia in questi tamburi e banditori che urlano - peraltro scritta da Crnjanski, il meno turco fra i nostri grandi scrittori! Il banditore, che urla a suon di tamburo, secondo la spiegazione del dizionario, è colui a cui spetta il compito di rendere note cioè di pubblicare le comunicazioni del potere. Gli urlatori - i banditori del nuovo ordine mondiale, impiegati leali e assai ben pagati, e quei banditori che gridano al suon di tamburo di regola lo sono - urlano dunque il suo racconto, la sua narrazione sulla Jugoslavia; la urlano per conto dei morti e, come affermano loro, per i morti. Visto che i vivi, almeno alcuni, possiedono l’abitudine scomoda ad avere memoria, a ricordare, la narrazione dei banditori - urlatori sulla Jugoslavia - è ambivalente. Ecco, dicono i banditori-urlatori, si viveva bene (i principi del socialismo!), ci davano gli alloggi gratis, non si pagava l’istruzione e nemmeno si pagavano le cure mediche, andavamo tutti al mare, Vegeta [prodotto del periodo jugoslavo] era un ingrediente ottimo nella cucina, Zdravko Čolić era un ottimo cantante, Rade Šerbedžija era un ottimo attore... ma tutto ciò è finito nelle fosse comuni e nei campi di concentramento. La sostanza di quella narrazione è chiara: il racconto sulla Jugoslavia deve essere privato di ogni contenuto politico. 

Visto che nella politica sta la chiave, la politica (nel vero senso della parola, non volgarizzata e ridotta alle chiacchiere nei bar, trasformata in intrighi quotidiani e macchinazioni) rimane la dimensione cruciale dell’idea jugoslava e del progetto jugoslavo. Non si è costruita la Jugoslavia a causa della cinematografia, o a causa della musica leggera o a causa del calcio, essa si è costituita per ragioni politiche. Essere un soggetto, essere liberi, essere un fattore (politico), non diventare una colonia, non essere trattati come pura risorsa, non essere occupati - per tutte queste ragioni si è costruita la Jugoslavia. Tutto il resto arrivò, come si dice, come utile collaterale. E la Jugoslavia non fu fatta da calcolatori, da chi soppesava che cosa sarebbe stato meglio e realisticamente più fattibile nel momento dato, da quelli che possedevano soluzioni di riserva, gente carrierista e pragmatica: fu fatta da uomini liberi, che credevano nella poesia e nei sogni.


La stella sulla fronte

Esiste una consuetudine antica nei funerali ebraici, un’abitudine che Boris Davidovič Novski, in un colloquio breve con il suo mentore spirituale Isaak Ilič Rabinovič, aveva riassunto cosi: “Nel momento in cui si preparano a portare il morto fuori dalla Sinagoga per trasportarlo al cimitero, allora un servitore di Gèova si china sul defunto, lo chiama per nome e gli dice ad alta voce: Sappi che sei morto!” Questa consuetudine ha attecchito anche per quanto riguarda la Jugoslavia, ed ha attecchito anche molto bene. Non c’è da meravigliarsi. La gente da noi è molto amante delle consuetudini - esiste anche il proverbio: Meglio distruggere un villaggio intero che una consuetudine. E nel nome della mostra che apre il 1 dicembre nel Museo della storia jugoslava si evidenziano le briciole di quel proverbio, visto che porta il nome “La Jugoslavia dall’inizio fino alla fine”. Il defunto si nomina, lo si chiama per nome e gli si dice: Jugoslavia, è vero, hai avuto un inizio e dunque hai una fine, il che sarebbe una variante di: Sappi che sei morto. Le consuetudini nei funerali esistono e si praticano per i vivi, non per i morti. E questa consuetudine esiste per convincere i vivi che il defunto è morto per davvero. Nel caso jugoslavo, questa consuetudine è perversa al massimo, visto che tutte le varietà di traditori nostrani nonché i fattori stranieri hanno speso un colossale sacco di soldi e di esplosivo per elidere quel nome dalla vita e dalla realtà, per svuotarlo da ogni contenuto, per farlo diventare privo di ogni significato, vuoto come una buccia di noce svuotata. Eppure, a lungo termine, tutto questo non servirà a nulla. Come si dice: è possibile ingannare tutta la gente per un certo tempo, ma non è possibile ingannare tutta la gente per tutto il tempo. Verrà il tempo della verità. La verità è che la Jugoslavia non è finita nelle fosse comuni e nei campi di concentramento. In queste fosse comuni e in questi campi di concentramento hanno avuto inizio i suoi Statarelli-eredi, con le loro entità, con i loro territori provvisori o occupati, sia negli anni Quaranta che negli anni Novanta del secolo scorso.

La Jugoslavia nacque dalla stella sulla fronte e dalla scintilla nell’occhio, dalla piaga del defunto poeta Tin Ujević, dalla tomba fra gli uliveti del poeta Ljubomir Milanović “che passò la maturità a Smederevo", dallo sparo epocale di Gavrilo Princip, autore di versi che anche cento anni dopo restano il migliore commento possibile a proposito della morte della Jugoslavia: Chi vuole vivere, che muoia! Chi vuole morire, che viva!


Muharem Bazdulj


(trad. JT, rev. AM)