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[ Este artículo en español: Thierry Meyssan: «Terroristas sirios fueron entrenados por el UCK en Kosovo»

Ovaj članak na cirilicom:
ТЈЕРИ МЕЈСАН, АУТОР КЊИГЕ „ВЕЛИ КАЛАЖ“, О 11. СЕПТЕМБРУ, ОСНИВАЧ И АНАЛИТИЧАР МРЕЖЕ „ВОЛТЕР“, ГОВОРИ ЗА ГЕОПОЛИТИКУ
Слободан Ерић - ГЕОПОЛИТИКА децембар 2012.



INTERVISTA ALLA RIVISTA SERBA GEOPOLITIKA

Thierry Meyssan: "I terroristi siriani sono stati addestrati dall’UCK in Kosovo"


Thierry Meyssan risponde alle domande della rivista serba Geopolitika. Ritornando sulla sua interpretazione dell’11 settembre, degli eventi in Siria e della situazione attuale in Serbia

RETE VOLTAIRE | BELGRADE (SERBIE)  | 5 DICEMBRE 2012

Geopolitika : signor Meyssan, siete diventato famoso in tutto il mondo quando è stato pubblicato il libro L’Incredibile Menzogna che mette in discussione la versione ufficiale delle autorità statunitensi sull’attentato terroristico dell’11 settembre 2001. Il suo libro ha incoraggiato altri intellettuali ad esprimere i loro dubbi su questo tragico evento. Potrebbe brevemente dire ai nostri lettori che cosa è realmente accaduto l’11 settembre, cosa è successo o cosa è esploso sul Pentagono: si trattava di un aereo, che vi si è schiantato, o di qualcosa d’altro? Che cosa è successo con gli aerei che si sono schiantati contro le torri gemelle, e in particolare nel terzo edificio vicino alle torri? Qual è il contesto più profondo dell’attacco, che ha avuto un impatto globale e ha cambiato il Mondo?
Thierry Meyssan: E’ sorprendente che la stampa mondiale abbia ripreso la versione ufficiale, da un lato perché è assurdo, dall’altra parte perché non riesce a spiegare alcuni fatti. L’idea che un tossicodipendente, nascosto in una grotta in Afghanistan, e venti individui, armati di taglierini, possano distruggere il World Trade Center e colpire il Pentagono prima che l’esercito più potente del Mondo avesse il tempo di reagire, non è nemmeno degna di un fumetto.
Ma la storia più grottesca è che pochi giornalisti occidentali si pongono delle domande. Inoltre, la versione ufficiale ignora la speculazione sul mercato azionario sulle aziende vittime degli attacchi, l’incendio di un edificio annesso alla Casa Bianca, o il crollo della terza torre del World Trade Center, quel pomeriggio. Tutti eventi che non sono nemmeno menzionati nella relazione finale della Commissione presidenziale d’inchiesta.
Nel merito, non si parla della cosa più importante di quel giorno: dopo l’attacco al World Trade Center, il piano di continuità del governo è stato attivato illegalmente. Esiste una procedura in caso di guerra nucleare. Se vi fosse l’annientamento delle autorità civili e militari, verrebbe instaurato un governo alternativo. Intorno alle 10:30, il piano venne attivato anche se le autorità civili erano ancora in grado di esercitare le loro responsabilità. Il potere passò ai militari che lo restituirono ai civili solo intorno alle 16:30.
Durante questo periodo, dei commando raccolsero quasi tutti i membri del Congresso e i funzionari di governo, per metterli in salvo nei rifugi nucleari. Quindi ci fu un colpo di stato militare di un paio d’ore, giusto il tempo per i golpisti per imporre una propria linea politica: uno stato di emergenza permanente all’interno e l’imperialismo globale all’estero.
Il 13 settembre, il Patriot Act venne presentato al Senato. E non si tratta di una legge, ma di un sostanzioso codice antiterrorismo la cui redazione venne effettuata in segreto per due o tre anni. Il 15 settembre, il presidente Bush approvò il piano della "matrice mondiale", che istituiva un sistema globale di rapimenti, prigioni segrete, torture e omicidi. Nella stessa riunione, venne approvato un piano di attacchi in successione a Afghanistan, Iraq, Libano, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Iran. Si può vedere che la metà del programma è già stata completata. Questi attacchi, il colpo di stato e i crimini successivi sono stati organizzati da quello che dovrebbe essere chiamato Stato profondo (questa espressione viene usata per descrivere il potere segreto militare in Turchia o in Algeria).
Questi eventi sono stati progettati da un gruppo molto ristretto: gli straussiani, vale a dire, i discepoli del filosofo Leo Strauss. Queste sono le stesse persone che hanno indotto il Congresso degli Stati Uniti al riarmo nel 1995, e che ha organizzato lo smembramento della Jugoslavia. Dobbiamo ricordare, ad esempio, che Alija Itzetbegovic ebbe come consulente politico Richard Perle, come consigliere militare Usama bin Ladin e come consulente mediatico Bernard-Henri Lévy.
Geopolitika: Il suo libro e il suo atteggiamento anti-americano, espresso liberamente sulla rete indipendente Voltaire, sono stati la fonte di problemi che avete avuto personalmente con l’amministrazione dell’ex presidente francese, Nicolas Sarkozy. Puoi dirci un po’ di più? Infatti, nell’articolo che ha scritto su Sarkozy, dal titolo "Operazione Sarkozy: come la CIA ha messo uno dei suoi agenti alla presidenza della Repubblica francese", ha inserito informazioni sensibili che ricordano dei thriller politico-criminali.
Thierry Meyssan: Non sono antiamericano. Io sono un antiimperialista e penso che anche il popolo degli Stati Uniti sia una vittima dei suoi leader politici. Ho scoperto che Nicolas Sarkozy ha vissuto la sua adolescenza a New York, presso l’ambasciatore Frank Wisner Jr. Questo personaggio è uno dei più grandi dirigenti della CIA, che è stata fondata dal padre, Frank Wisner Sr. Ne consegue che la carriera di Nicolas Sarkozy è stata interamente determinata dalla CIA. Non vi è quindi da stupirsi che, diventato presidente della Repubblica francese, abbia difeso gli interessi di Washington e non quelli francesi.
I Serbi hanno familiarità con Frank Wisner Jr., è lui che ha organizzato l’indipendenza unilaterale del Kosovo come rappresentante speciale del Presidente degli Stati Uniti. Ho spiegato tutto questo in dettaglio nel corso di un discorso al Media Forum Euroasiatico (in Kazakistan) e mi è stato chiesto di svilupparlo in un articolo per Odnako (Russia). Accadde che, per un capriccio del momento, venisse pubblicato durante la guerra in Georgia, quando Sarkozy si recò a Mosca. Il primo ministro Vladimir Putin mise la rivista sul tavolo prima di iniziare a chiacchierare con lui. Questo, ovviamente, non ha migliorato il mio rapporto con Sarkozy.
Geopolitika: signor Meyssan, qual è la situazione attuale in Siria, la situazione sul fronte e la situazione nella società siriana? L’Arabia Saudita e il Qatar, così come i paesi occidentali, che vogliono rovesciare il sistema politico del presidente Bashar Assad con forza, sono vicine a realizzare il loro obiettivo?
Thierry Meyssan: dei 23 milioni di siriani, 2-2,5 milioni sosterrebbero i gruppi armati che cercano di destabilizzare il paese e indebolire il suo esercito. Hanno preso il controllo di diverse città e vaste zone rurali. In ogni caso, questi gruppi armati non saranno in grado di rovesciare il regime. Il piano prevedeva che le prime azioni terroristiche occidentali creassero un ciclo di provocazione/repressione per giustificare un intervento internazionale, sul modello terrorismo dell’UCK e repressione di Slobodan Milosevic, seguito dall’intervento della NATO.
Indichiamo di passaggio, che è stato dimostrato che dei gruppi che combattono in Siria sono stati addestrati al terrorismo dai membri dell’UCK in Kosovo. Questo piano non è riuscito perché la Russia di Vladimir Putin non è quella di Boris Eltsin. Mosca e Pechino non hanno permesso alla NATO di intervenire e da allora la situazione marcisce.
Geopolitika: Che cosa otterrebbero Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita e Qatar, abbattendo il presidente al-Assad?
Thierry Meyssan: ciascuno Stato membro della coalizione ha un suo interesse in questa guerra, e ritiene di poterlo soddisfare, anche se questi interessi sono talvolta contraddittori.
A livello politico, c’è il desiderio di spezzare l’"Asse della resistenza al sionismo" (Iran-Iraq-Siria-Hezbollah-Palestina). C’è anche il desiderio di continuare il "rimodellamento del Grande Medio Oriente." Ma la cosa più importante è di natura economica: si sono scoperte enormi riserve di gas naturale nella parte sud-orientale del Mediterraneo. Il centro di questo giacimento è vicino Homs in Siria (più precisamente, Qara).
Geopolitika: Puoi dirci un po’ di più della ribellione di al-Qaida in Siria, i cui rapporti con gli Stati Uniti sono in contraddizione, a dir poco, se si guardano le loro azioni sul campo? Lei ha detto in un’intervista che il rapporto tra Abdelhakim Belhadj e la NATO è stato quasi istituzionalizzato. Al-Qaida per chi combatte in realtà?
Thierry Meyssan: Al-Qaida era in origine il nome dei database, dei file di computer, dei mujahidin arabi inviati a combattere in Afghanistan contro i sovietici. Per estensione, si sono denominati al-Qaida gli ambienti jihadisti in cui sono stati reclutati questi mercenari.
Poi con al-Qaida è stata designata la cerchia di bin Ladin e, per estensione, tutti i gruppi che nel Mondo sostengono l’ideologia di bin Ladin. Secondo il momento e le esigenze, questo movimento è stato più o meno numeroso. Durante la prima guerra in Afghanistan, la guerra in Bosnia e le guerre in Cecenia, questi mercenari erano dei "combattenti per la libertà", poiché combattevano contro gli slavi. Poi, durante la seconda guerra in Afghanistan e l’invasione dell’Iraq, erano dei "terroristi" perché stavano attaccando i GI.
Dopo la morte ufficiale di bin Ladin, sono ancora una volta diventati "combattenti per la libertà" durante le guerre in Libia e Siria, perché combattono a fianco della NATO. In realtà, questi mercenari sono sempre stati controllati dal clan Sudeiri, la fazione pro-USA e arci-reazionaria della famiglia reale saudita, e più in particolare, dal principe Bandar bin Sultan. Uno che George Bush padre ha sempre presentato come il suo "figlio adottivo" (vale a dire, il figlio intelligente che il padre avrebbe voluto avere), che non mai smesso di lavorare per conto della CIA.
Anche quando al-Qaida combatteva i soldati in Afghanistan e in Iraq, lo era ancora nell’interesse degli Stati Uniti perché poteva giustificarne la presenza militare. Si scopre che negli ultimi anni, i libici hanno formato l’ossatura di al-Qaida. La NATO naturalmente li ha utilizzati per rovesciare il regime di Muammar al-Gheddafi.
Una volta che questo è stato fatto, hanno nominato il numero due dell’organizzazione, Abdelhakim Belhaj, governatore militare di Tripoli, anche se è ricercato dalla giustizia spagnola per la sua presunta responsabilità negli attentati di Madrid. In seguito, hanno mandato i suoi uomini a combattere in Siria. Per trasportarli, la CIA ha usato le risorse del Commissariato per i Rifugiati di Ian Martin, rappresentante speciale di Ban Ki-Moon in Libia.
I cosiddetti rifugiati sono stati portati in Turchia, nei campi che servono come basi per attaccare la Siria e il cui accesso è stato vietato ai parlamentari e alla stampa turchi. Ian Martin è noto anche ai vostri lettori: è stato il Segretario Generale di Amnesty International e Alto rappresentante del Commissario per i diritti umani in Bosnia-Erzegovina.
Geopolitika: La Siria è al centro non solo di una guerra civile, ma della manipolazione e della guerra mediatica. Vi chiediamo come testimone diretto, presente sul terreno, cosa è realmente accaduto a Homs e Hula?
Thierry Meyssan: Non sono un testimone diretto di ciò che è successo a Houla. Per contro, mi sono fidato di terze parti, nei negoziati tra le autorità siriane e francesi, durante l’assedio dell’emirato islamico di Bab Amr. I jihadisti erano trincerati in questa zona di Homs, da cui avevano cacciato gli infedeli (cristiani) e gli eretici (sciiti). In effetti, solo 40 famiglie sunnite sono state lasciate tra circa 3.000 combattenti. Avevano introdotto la sharia, e un "tribunale rivoluzionario" ha condannato più di 150 persone, che furono uccise in pubblico.
Quest’auto-proclamato emirato era segretamente gestito da ufficiali francesi. Le autorità siriane volevano evitare il bombardamento e negoziarono con le autorità francesi affinché i ribelli si arrendessero. In definitiva, i francesi poterono lasciare la città di notte e fuggire in Libano, mentre le forze lealiste entravano nell’emirato e i combattenti si arrendevano. Lo spargimento di sangue fu evitato, ci furono meno di 50 morti, in ultima analisi, durante l’operazione.
Geopolitika: A parte gli alawiti, anche i cristiani vengono presi di mira in Siria. Puoi dirci un po’ di più sulla persecuzione dei cristiani in questo paese e perché la cosiddetta civiltà occidentale, le cui radici sono cristiane, non si mostra solidale con i propri correligionari?
Thierry Meyssan: I jihadisti per primo aggrediscono coloro che sono più vicini a loro: in primo luogo i sunniti e sciiti (compresi alawiti) progressisti, e solo dopo i cristiani. In generale, torturano e uccidono pochi cristiani. Per contro, li espellono e li derubano sistematicamente. Nella regione in prossimità del confine con il nord del Libano, l’esercito libero siriano ha concesso una settimana ai cristiani per fuggire. C’è stato un esodo di 80.000 persone. Coloro che non sono fuggiti in tempo sono stati massacrati. Il cristianesimo è stato fondato da San Paolo a Damasco. Le comunità siriane sono più antiche di quelle occidentali.
Hanno mantenuto gli antichi riti e una fede molto forte. La maggior parte è ortodossa. Coloro che sono legati a Roma hanno mantenuto i loro riti ancestrali.
Durante le Crociate, i cristiani d’Oriente combatterono con gli altri arabi contro i soldati inviati dal Papa. Oggi, stanno combattendo con i loro compagni contro i jihadisti inviati dalla NATO.
Geopolitika: E’ possibile aspettarsi un attacco contro l’Iran il prossimo anno, e in caso di un intervento militare, quale sarà il ruolo di Israele? Un attacco nucleare è il vero scopo di Tel Aviv, o Israele viene spinto in questa avventura da una struttura globalista, interessata a una ampia destabilizzazione delle relazioni internazionali?
Thierry Meyssan: L’Iran supporta una rivoluzione. Questo è l’unico grande paese che offre un modello alternativo di organizzazione sociale all’American Way of Life. Gli iraniani sono un popolo mistico e perseverante. Ha insegnato agli arabi l’arte della resistenza e dell’opposizione al progetto sionista, non solo nella regione, ma in tutto il Mondo. Detto questo, nonostante la sua furia, Israele non è in grado di attaccare l’Iran. E gli Stati Uniti hanno rinunciato ad attaccarlo. Si tratta di una nazione di 75 milioni di abitanti, dove tutti aspirano a morire per il proprio paese. Mentre l’esercito israeliano è composto da giovani la cui esperienza militare si limita al tormento dei palestinesi, e l’esercito statunitense è composto da disoccupati che non hanno intenzione di morire per una paga misera.
Geopolitika: Come vede il ruolo della Russia nel conflitto siriano e come vede il ruolo del presidente della Russia, Vladimir Putin, che viene ampiamente demonizzato dai media occidentali?
Thierry Meyssan: La demonizzazione del presidente Putin sulla stampa occidentale è l’omaggio del vizio alla virtù. Dopo aver raddrizzato il suo paese, Vladimir Putin intende rimetterlo al suo posto nelle relazioni internazionali. Ha basato la sua strategia sul controllo di quello che dovrebbe essere la principale fonte di energia nel XXI secolo: il gas. Già Gazprom è diventata la prima società gasifera mondiale e la Rosneft è la prima petrolifera. Ovviamente, non ha intenzione di lasciare che gli Stati Uniti mettano le mani sul gas siriano, e non lascerà che l’Iran utilizzi il proprio gas senza controllo. Di conseguenza, è dovuto intervenire in Siria e allearsi con l’Iran. Inoltre, la Russia sta diventando il principale garante del diritto internazionale, mentre gli occidentali sostengono, in nome della paccottiglia moralistica, di poter violare la sovranità delle nazioni.
Quindi non bisogna temere la potenza russa, perché serve la legge e la pace. A giugno, Sergej Lavrov ha negoziato un piano di pace a Ginevra. E’ stato rinviato unilateralmente dagli Stati Uniti, ma in definitiva dovrebbe essere attuato da Barack Obama durante il suo secondo mandato. Esso prevede il dispiegamento di una forza di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, composto prevalentemente da truppe della CSTO. Inoltre, permette la continuazione del potere di Bashar al-Assad, se il popolo siriano lo decide attraverso le urne.
Geopolitika: Cosa ne pensa della situazione in Serbia e del difficile cammino percorso dai serbi negli ultimi due decenni?
Thierry Meyssan: la Serbia è stata esaurita da una serie di guerre che ha affrontato, in particolare la conquista del Kosovo da parte della NATO. E’ davvero una guerra di conquista, in quanto si concluse con l’amputazione del paese e il riconoscimento unilaterale da parte della NATO dell’indipendenza di Camp Bondsteel, vale a dire di una base della NATO. La maggioranza dei serbi ha pensato a un avvicinamento all’Unione europea. Ignorando che l’Unione europea è la faccia civile di un’unica entità di cui la NATO è la faccia militare.
Storicamente l’UE è stata creata in riferimento alle clausole segrete del Piano Marshall, che precedette la NATO, ma è comunque parte dello stesso piano di dominio anglosassone. Può essere che la crisi dell’euro porti alla dissoluzione dell’Unione europea. In questo caso, Stati come Grecia e Serbia si volgeranno spontaneamente verso la Russia, con la quali condividono molti elementi culturali e la stessa domanda di giustizia.
Geopolitika: Si consiglia alla Serbia, in modo più o meno diretto, a rinunciare al Kosovo per poter entrare nell’Unione europea. Lei ha una grande esperienza delle relazioni internazionali, e noi sinceramente Le chiediamo se può darci consigli su cosa dovrebbero fare i serbi in politica interna ed estera?
Thierry Meyssan: Non ho consigli da dare a nessuno. Da parte mia mi dispiace che alcuni Stati abbiano riconosciuto la conquista del Kosovo da parte della NATO. Dal momento che il Kosovo è diventato il fulcro, per lo più, della diffusione in Europa della droga coltivata in Afghanistan sotto la vigile protezione delle truppe statunitensi. Nessun popolo otterrà nulla da questa indipendenza e di certo non i kosovari, ormai ridotti in schiavitù dalla mafia.
Geopolitika: Esisteva tra la Francia e la Serbia una forte alleanza che ha perso senso, quando la Francia ha partecipato al bombardamento della Serbia nel 1999, nel quadro della NATO. Tuttavia, in Francia e Serbia vi sono ancora persone che non hanno dimenticato "l’amicizia delle armi" della prima guerra mondiale, e che pensano che dovrebbero ripristinare la vita spezzata di queste relazioni culturali. Lei condivide questo punto di vista?
Thierry Meyssan: Sapete che uno dei miei amici, con i quali ho scritto Pentagate: L’attacco al Pentagono dell’11 settembre con un missile e non con un aereo fantasma, è il comandante Pierre-Henri Bunel. Venne arrestato durante la guerra della NATO per spionaggio a favore della Serbia. Successivamente, è stato estradato in Francia, processato e condannato a due anni di carcere, invece che a vita. Questo verdetto dimostra che in realtà ha agito su ordine dei suoi superiori.
La Francia, membro della NATO, è stata costretta a partecipare all’attacco alla Serbia. Ma lo ha fatto di malavoglia e spesso aiutando segretamente la Serbia che ha bombardato. Oggi, la Francia è in una situazione ancora peggiore. E’ governata da una élite che per proteggere i propri vantaggi economici, si è posta al servizio di Washington e Tel Aviv. Spero che i miei compatrioti, che hanno una lunga storia rivoluzionaria, alla fine caccino queste élite corrotte. E nello stesso tempo, la Serbia riacquisti un’indipendenza effettiva. Così i nostri due popoli si ritroveranno spontaneamente.
Geopolitika: La ringrazio molto per il tempo concessoci.



(english / francais / srpskohrvatski.

A proposito del paradossale conferimento del Premio Nobel per la Pace alla Unione Europea, il Consiglio Mondiale per la Pace -WPC- ha emesso un duro comunicato nel quale si stigmatizza il carattere imperialista della stessa UE. Sull'argomento pubblichiamo anche una intervista alla storica Annie Lacroix-Riz ed il secco comunicato del PC d'Irlanda. Rimandiamo inoltre ai nostri post recenti:


Na dodjelu Nobelove nagrade Europskoj Uniji

1) Reakcija Svjetskog Mirovnog Vijeća (WPC) na dodjelu Nobelove nagrade za mir Europskoj Uniji: "EU se ponaša kao imperijalistička sila"
2) Statement of the WPC Regional Meeting, held in Brussels October 29-30, 2012, on the award of the Nobel Peace Prize to the European Union
3) Annie Lacroix-Riz éclaire l’absurdité du Prix Nobel de la paix attribué à l’UE
4) Communist Party of Ireland Statement: Words mean what I want them to mean say EU elites


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Isto procitaj: Kapuralin: Dodjela Nobelove nagrade za mir EU upitna!



Reakcija Svjetskog Mirovnog Vijeća (WPC) na dodjelu Nobelove nagrade za mir Europskoj Uniji: "EU se ponaša kao imperijalistička sila"


advance.hr
vrijeme objave: Ponedjeljak - 10. Prosinac 2012


O DODJELI NOBELOVE NAGRADE ZA MIR EUROPSKOJ UNIJI

U reakciji na najavu o dodjeli Nobelove nagrade za mir Europskoj uniji, članice organizacije Svjetskog mirovnog vijeća WPC (World Peace Council) ne mogu a da ne podsjete:

- Da je tijekom posljednjih nekoliko desetljeća Europska unija sprovodila proces militarizacije, koji je ubrzan 1999.godine, nakon što je odigrala presudnu ulogu u brutalnom raspadu Jugoslavije i kasnije, u brutalnoj vojnoj agresiji protiv nje, koji je kulminirao procesom secesije srpske provincije Kosovo protivno međunarodnom pravu;

- Da je nakon NATO samita održanog u Washingtonu 1999. godine, Europskoj uniji dodijeljena stupna uloga tog vojno-političkog bloka predvođenog Sjedinjenim američkim državama. Ta je uloga od tada učvršćivana i jačana, od 2002. godine primjenom Lisabonskog ugovora. Treba imati na umu da je 21 zemlja Europske unije ujedno i članica NATO saveza;

- Da je tijekom proteklih nekoliko desetljeća Europska unija vodila i potpirala sve vojne agresije NATO-a i/ili njegovih članica protiv suvereniteta i nacionalne neovisnosti raznih zemalja, poput Jugoslavije, Iraka, Afganistana, Libije i Sirije koja je sada u toku, kao i brutalni režim sankcija koji su teško pogodili narode više zemalja;

- Da se Europska Unija zalaže i poduzima akcije, koje su u suprotnosti sa Poveljom Ujedinjenih Naroda o poštivanju suvereniteta i nemješanja u unutarnje poslove zemalja, naprotiv, promiče i jača nemilosrdnu militarizaciju u međunarodnim odnosima, popuštajući pred kršenjem ljudskih prava, poput tzv. "CIA-inih letova" i njihovim kriminalnim otmicama i aktima mučenja; 

U tom kontekstu naša organizacija smatra, u najmanju ruku, upitnom dodjelu Nobelove nagrade za mir Europskoj uniji za njen doprinos unapređenju mira i pomirbe, demokracije i ljudskih prava u Europi, kako što je naveo Norveški Nobelov komitet prilikom objave priznanja.

Štoviše, u vrijeme kad se u Europi suočavamo sa razvojem situacije koja rezultira rastom nejednakosti i socijalne nepravde, a odnosi među državama temelje na ekonomskoj, pa čak i političkoj dominaciji jednih država nad drugima, stvarnost je daleko od bratstva među nacijama ili kongresa mira, o čemu Alfred Nobel govori kao o kriterijima za dodjelu Nobelove nagrade, u svojoj oporuci 1895. Godine. 

Europska Unija je daleko od ostvarenja tzv. misije propagiranog mira,demokracije,ljudskih prava u ostalim dijelovima svijeta, što si pripisuju, upravo suprotno, Europska Unija ponaša se kao imperijalistička sila. 

Mir u Europi uslijedio je nakon pobjede naroda u II sv. ratu, za kojim su čeznuli milijuni ljudi, mnogi od njih uključeni u snažan i široki mirovni pokret, koji je započet i razvijan nakon 1945. Godine.

Stvarnost i svrha objave Europske Unije je daleko od vrijednosti i principa proklamiranih i utvrđenih na historijskoj konferenciji održanoj u Helsinkiju 1975. Godine, kao što su: poštivanje suverenosti, suzdržavanje od prijetnje upotrebe sile, poštivanje teritorijalnog integriteta, mirno rješavanje sukoba, nemiješanje u unutrašnje poslove zemalja, poštivanje ljudskih prava i temeljnih sloboda, pravo samo-opredjeljenja naroda i suradnja među državama zasnovana na vrijednostima i načelima povelje Ujedinjenih Naroda.

Upravo poput 2009. Godine, prilikom predaje Nobelove nagrade za mir Baracku Obami, novoizabranom predsjedniku SAD, sadašnja Nobelova nagrada za mir dodijeljena Europskoj Uniji ne doprinosi vjerodostojnosti i ugledu ove nagrade. 


Apendix:

Izjava je usvojena na regionalnoj konferenciji WPC za Europu, održanoj od 29-30 listopada u Bruxellesu. 

U mnoštvu različitih subjekata koji se suprotstavljaju globalnim hegemonima, koji proizvode i generiraju krize, institucionalni terorizam, nasilna svrgavanja legalnih vlasti u suverenim državama, koje imaju za cilj ovladavanje prirodnih resursa pojedinih zemalja i čitavih regija uz pomoć instaliranih poslušnika, svojom se masovnošću i organiziranošću ističe World Peace Concil – WPC, odnosno Svjetsko mirovno vijeće.
World Peace Concil je međunarodna mirovna anti-imperijalistička organizacija koja se zalaže za mirnu koegzistenciju među državama i narodima, razoružanje, zabranu oružja za masovno uništenje. Dio je međunarodnog mirovnog pokreta i djeluje u suradnji sa drugim međunarodnim i nacionalnim pokretima sa sjedištem u više od 100 država. Pod sadašnjim imenom djeluje od 1950. Godine, mada derivira iz nekoliko mirovnih kongresa održanih u razdoblju od 1948 – 1949 u Wroclawu, Parizu i Pragu.
Prvi predsjednik bio je Jean Frédéric Joliot-Curie, zet Pierra i Marie Curie i dobitnik Nobelove nagrade za kemiju 1935. Godine.
Aktualna predsjednica je Socorro Gomes iz brazilskog Centra za solidarnost među narodima i borbe za mir - CEBRAPAZ. Sjedište organizacije je od 1999. Godine u Grčkoj.

Socijalistička radnička partija jedini je subjekt iz Hrvatske, koji održava tijesnu višegodišnju suradnju sa WPC. Ukoliko postoji još organizacija i udruga u Hrvatskoj ili okruženju koje to žele, voljni smo pomoći pri uspostavi kontakta.

9. XII 2012.
Kapuralin Vladimir


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Statement of the WPC Regional Meeting, held in Brussels October 29-30,2012 

On the award of the Nobel Peace Prize to the European Union


In reaction to the announcement of the award of the Nobel Peace prize to the European Union, the World Peace Council member organizations, cannot fail to recall:

That during the past decades the European Union has led a process of militarisation, sped up since 1999, after having played a crucial role in the violent breakup of Yugoslavia and, later on, in the brutal military aggression against this country, culminating in a process of secession of the Serbian Province of Kosovo in defiance of international law.

That since the NATO Summit held in Washington, in 1999, the European Union has been given the role of the European pillar of this political­military bloc led by the USA. A role that since then has been asserting itself and strengthening, namely since 2002 and with the adoption of the Lisbon Treaty. It should be remembered that 21 European Union countries are NATO members.

That over the past decades, the European Union has led and supported all military aggressions by NATO and/or its members against the sovereignty and national independence of various States, like Yugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libya and now Syria, as well as violent regimes of sanctions that hit hard the peoples of several countries;

That the European Union has taken stands and actions that go against the principles set down in the United Nations Charter of respect for the sovereignty of the States and non­intervention in their internal affairs, and on the contrary, promote an increasing and relentless militarisation of international relations, being complaisant with the violation of human rights as was the case, for example, of the so­called «CIA flights» ­their criminal kidnappings and acts of torture; In this context, our organizations consider, to call the least, questionable the award of the Nobel Peace prize to the European Union (EU) for its contribution to the advancement of peace and reconciliation, democracy and human rights in Europe, as stated by the Norwegian Nobel Committee when it announced the prize.

Much more so, at a time when in the European Union we have the growth of a number of situations and developments that have resulted in an increase of inequalities and social injustice and of relations among States based on economic, and even, political domination by some States over others a reality far from the proclaimed fraternity among nations or the congress of peace that Alfred Nobel spoke about as a criterion for the Nobel Peace Prize in his 1895 will.

The European Union is far from accomplishing the so­called mission of propagating peace, democracy, human rights in the rest of the world that some claim to attribute, quite the contrary, the European Union behaves as an imperialist force. Peace in Europe was a victory of the peoples following World War II, in which weighed the aspiration for peace of millions of citizens, many of them activists from the strong and broad movement for peace that began and developed after 1945.

The reality and purposes anounced by the European Union are far removed from the values and principles proclaimed and established by the historic Helsinki Conference, held in 1975, such as: respect for sovereignty; refraining from the threat or use of force; respect for the territorial integrity of the States; peaceful settlement of conflicts; non­intervention in the internal affairs of the States; respect for human rights and fundamental freedoms; right to self­determination of the peoples; and cooperation among States values and principles set down in the United Nations Charter.

Just as in 2009, with the handing of the Nobel Peace prize to Barack Obama, then newly elected President of the USA, the Nobel Peace prize now awarded to the European Union does not contribute to give credibility and prestige to this award.


The Organisations of the European section of the WPC voice their protest against the award of the 2012 Nobel Peace Prize to the European Union, and call on all WPC member and friendly organizations to also voice their protest, namely on December 10th when the award is presented.



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Une historienne éclaire l’absurdité du Prix Nobel de la paix attribué à l’UE


Annie Lacroix-Riz, historienne, est professeur émérite d’histoire contemporaine à l’Université Paris-VII – Denis Diderot. Auteur de nombreux ouvrages, elle a notamment étudié les origines et les parrains de la Communauté européenne (lire en particulier : L'intégration européenne de la France : la tutelle de l'Allemagne et des États-Unis, Paris, Le Temps des Cerises, 2007). Lorsque jury Nobel de la paix a annoncé le 12 octobre que son choix se portait cette année sur l’Union européenne, BRN a souhaité recueillir sa réaction et son éclairage.



Interview publiée dans le mensuel Bastille-République-Nations daté du 29/10/12

Informations et abonnements : www.brn-presse.fr

 

BRN – L’Union européenne s’est vu décerner cette année le Prix Nobel de la paix. Quelle a été votre première réaction à l’annonce du jury d’Oslo ?

 

ALR – L’information pouvait d’abord être prise pour un canular. Mais dans notre univers de l’absurde, une telle distinction est dans la droite ligne des choix du jury Nobel dans la dernière période. Cette décision n’en bat pas moins des records de ridicule, tant au regard des pratiques actuelles que des origines de l’UE.

 

BRN – Des pratiques actuelles que vous jugez bellicistes…

 

ALR – Pour l’heure, elle joue le rôle de petit soldat de l’OTAN, comme elle l’a fait dès sa naissance. L’UE en tant que telle ou nombre de ses membres sont impliqués dans quasiment toutes les guerres dites périphériques depuis vingt ans.

 

BRN – Cependant, en tant qu’historienne, vous insistez plus particulièrement sur les origines tout sauf pacifiques de l’UE. Pourriez-vous préciser cette analyse ?

 

ALR – Les archives, sources par excellence de la recherche historique, permettent seules de décortiquer ses véritables origines et objectifs, qui excluent la thèse d’une prétendue « dérive » récente de l’UE, dont on nous rebat les oreilles.

 

BRN – Vous évoquez en particulier la « déclaration Schuman », du 9 mai 1950, souvent décrite comme l’acte fondateur de l’« aventure européenne »…

 

ALR – Oui, et ses circonstances précises méritent examen. Le lendemain même – le 10 mai 1950, donc – devait avoir lieu à Londres une très importante réunion de la jeune OTAN (organisation de l’Alliance atlantique, elle-même fondée un an plus tôt). A l’ordre du jour figurait le feu vert officiel au réarmement de la République fédérale d’Allemagne (RFA), que Washington réclamait bruyamment depuis deux ans (1948). Les structures et officiers de la Wehrmacht avaient été maintenus dans diverses associations de façade. Mais quatre ans après l’écrasement du nazisme, un tel feu vert atlantique était quasi impossible à faire avaler aux populations, en France notamment. La création de la Communauté du charbon et de l’acier (CECA) annoncée par le ministre français des Affaires étrangères Robert Schuman a ainsi permis d’esquiver ou de retarder l’annonce officielle, requise par les dirigeants américains, du réarmement en cours.

 

BRN – Qu’est-ce qui motivait cette stratégie américaine ?

 

ALR – Dès mars 1947, dans son célèbre « discours au Congrès », le président Truman demanda des crédits pour sauver la Grèce et la Turquie « attaquées », forcément par l’URSS (dont le nom n’était pas prononcé). Ce faisant, il entamait en grand l’encerclement politico-militaire de cette dernière. De fait, c’est entre 1942 et 1945 que Washington avait préparé l’affrontement futur contre ce pays, pour l’heure allié militaire crucial pour vaincre l’Allemagne (1). Une pièce majeure de cet affrontement était la constitution d’une Europe occidentale intégrée.

 

BRN – Ce sont donc les dirigeants américains qui ont poussé à l’intégration européenne ?

 

ALR – Oui. Washington entendait imposer une Europe unifiée sous tutelle de la RFA, pays dont les structures capitalistiques étaient les plus concentrées, les plus modernes, les plus liées aux Etats-Unis (qui y avaient investi des milliards de dollars dans l’entre-deux-guerres) et les moins détruites (80% du potentiel industriel était intact en 1945). Cette Europe serait dépourvue de toute protection à l’égard des exportations et des capitaux américains : les motivations des dirigeants d’outre-Atlantique étaient non seulement géostratégiques mais aussi économiques.

 

BRN – Comment ces derniers s’y sont-ils pris ?

 

ALR – Ils ont harcelé leurs alliés ouest-européens, pas vraiment enthousiastes à l’idée d’être aussi vite réunis avec l’ennemi d’hier. Et ils ont sans répit usé de l’arme financière, en conditionnant l’octroi des crédits du « Plan Marshall » à la formation d’une « entité » européenne intégrée, condition clairement formulée par le discours de Harvard du 5 juin 1947.

 

BRN – Mais quel était l’état d’esprit des dirigeants ouest-allemands ?

 

ALR – De 1945 à 1948, avant même la création officielle de la RFA, ils n’ont eu de cesse de se poser en « meilleurs élèves de l’Europe », suivant une stratégie mûrement calculée : toute avancée de l’intégration européenne équivalait à un effacement progressif de la défaite, et constituait un gage de récupération de la puissance perdue. Ainsi ressurgissait le thème de l’« égalité des droits » de l’après-guerre précédent.

 

BRN – Voilà une affirmation audacieuse…

 

ALR – C’était l’analyse des diplomates français d’alors, en poste en général depuis l’avant-guerre et lucides sur ce qu’ils ressentaient comme un péril, comme le montrent leurs notes et mises en gardeofficieuses. Car, officiellement, le discours était de saluer l’horizon européen radieux.

 

BRN – Pouvez-vous préciser cet « effacement progressif de la défaite » attendu par les élites de Bonn ?

 

ALR – Celles-ci ont vite obtenu l’abandon des limitations de production imposées par les accords de Yalta et de Potsdam : en fait, dès 1945 dans les zones occidentales ; en droit, dès le lancement publicitaire du Plan Marshall, à l’été 1947. Les dirigeants ouest-allemands ont repris le discours d’entre-deux-guerres de Gustav Stresemann (ministre des Affaires étrangères de 1923 à 1929) et du maire de Cologne Adenauer : les « accords de Locarno » (1925) garantirent – sur le papier – les frontières occidentales de l’Allemagne (pas les orientales), motivant l’attribution à Stresemann, en 1926, et à son collègue français Briand… du Prix Nobel de la paix. Berlin entonna le refrain du rapprochement européen avec pour condition expresse l’égalité des droits (« Gleichberechtigung »). C’est à dire l’abandon des clauses territoriales et militaires du traité de Versailles : récupération des territoires perdus en 1918 (et Anschluss prétendument « européen » de l’Autriche), et levée de l’interdiction des industries de guerre.

 

BRN – Peut-on pour autant établir le parallèle avec la RFA d’après la seconde guerre mondiale ?

 

ALR – Le diplomate français Armand Bérard câble à Schuman en février 1952 que Konrad Adenauer (premier chancelier de la RFA, de 1949 à 1963) pourra, en s’appuyant sur la « force supérieure (mise…) en ligne  » par les Américains contre l’URSS, contraindre celle-ci « à un règlement dans lequel elle abandonnera les territoires d’Europe centrale et orientale qu’elle domine actuellement » (RDA et Autriche incluses). Extraordinaire prévision de ce qui se réalisa près de quatre décennies plus tard…

 

BRN – Si l’on reprend votre analyse, l’Union européenne a donc été lancée sur injonction américaine, et soutenue avec détermination par les dirigeants ouest-allemands pour leurs objectifs propres…

 

ALR – Oui, ce qui nous place à des années-lumière des contes à l’eau de rose en vogue sur les « pères de l’Europe » taraudés par le « plus jamais ça » et exclusivement soucieux de construire l’« espace de paix » que les jurés Nobel ont cru bon d’honorer. A cet égard, il faut prendre en compte d’autres acteurs, au rôle déterminant dans l’intégration européenne.

 

BRN – Le Vatican ?

 

ALR – On évoque peu son rôle géopolitique dans la « construction européenne » du XXe siècle, mais après la seconde guerre mondiale, les dirigeants américains l’ont, encore plus qu’après la première, considéré comme un auxiliaire crucial. En outre, depuis la fin du XIXe siècle, et plus que jamais depuis la Première Guerre mondiale avec Benoît XV (pape de 1914 à 1922), les liens entre Reich et Vatican ont façonné le continent (Est compris), comme je l’ai montré dans l’ouvrage Le Vatican, l'Europe et le Reich. Globalement avec l’aval des Etats-Unis – sauf quand les rivalités (économiques) germano-américaines devenaient trop fortes. De fait, les relations du trio se compliquent quand les intérêts des dirigeants d’Outre-Atlantique et d’Outre-Rhin divergent trop. Dans ce cas, la préférence du Vatican va toujours à l’Allemagne. Le maximum de tension a donc été atteint au cours des deux guerres mondiales.

 

BRN – Précisément, vous décrivez une Europe voulue par Washington et Bonn (puis Berlin). Mais ces deux puissances n’ont pas nécessairement des intérêts qui coïncident…

 

ALR – Absolument. Et ces contradictions, perceptibles dans les guerres des Balkans de 1992 à 1999 (Michel Collon l’a écrit dans son ouvrage de 1997, Le grand échiquier), s’intensifient avec l’aggravation de la crise. Raison supplémentaire pour douter des effets « pacifiques » de l’intégration européenne.

 

BRN – Celle-ci est également promue par des dirigeants d’autres pays, comme la France.

 

ALR – François Bloch-Lainé, haut fonctionnaire des Finances devenu grand banquier, fustigeait en 1976 la grande bourgeoisie toujours prompte à « exploiter les malheurs de la patrie ». Du Congrès de Vienne (1815) à la Collaboration, en passant par les Versaillais s’alliant avec le chancelier prussien Bismarck contre la Commune, du modèle allemand d’avant-guerre au modèle américain d’après-guerre, cette classe dirigeante cherche à l’étranger un « bouclier socio-politique » contre son peuple.

 

BRN – Ce serait également une fonction de l’Union européenne ?


(srpskohrvatski / italiano / english)

Divagazioni arancioni

1) Arancione evviva, ma è il colore giusto? / Naranđasto: dobro, ali je li to uprava boja? (E. Remondino)

2) Una scheda su AVAAZ ed il suo creatore Ricken Patel: si allunga il libro paga di Soros...


ALTRI LINK:

Sulla assemblea del movimento "arancione" << Cambiare si può >> si vedano ad esempio i report di Marco Santopadre:


http://www.contropiano.org/it/news-politica/item/13031-“cambiare-si-può”-reazioni-a-sinistra
http://www.contropiano.org/it/news-politica/item/12986-“cambiare-si-può”-cocci-e-buone-intenzioni

ed il commento video di Mario Albanesi:


Sulle attività della lobby di Soros a sostegno del fascismo in Georgia e della distruzione dello Stato laico e sovrano in Siria si veda:

Soros tente de relativiser le jihadisme en Syrie

Billionaires Bond in Tbilisi: Soros Connives with Ivanishvili

Tbilisi: Saakashvili Grants Paymaster Soros Georgian Passport



=== 1 ===

Al di là delle posizioni anti-serbe e anti-Milosevic di Remondino, un articolo che vale la pena di leggere. 
Claudia






di Ennio Remondino -
Quel colore caldo. L’arancione è un bellissimo colore, caldo, vivace come il rosso ma più naturale, meno aggressivo nelle differenze con il resto della tavolozza. Arancione sono diventate alcune “rivoluzioni” recenti, in paesi a noi vicini. Ed ecco che la tentazione di riproporlo in chiave italiana prende campo. Del resto chi non avrebbe votato l’arancione del sindaco di Milano Pisapia rispetto all’azzurro ingrigito con cui la sindaco Moratti aveva vestito palazzo Marino? Arancione dell’ex magistrato De Magistris rispetto al pasticcio di un rosso opaco e litigioso nella bella Napoli. O a Genova tra il disorganico Doria rispetto al doppio rosa di apparato. Arancione è mia simpatia personale, ma il riferimento storico lascia perplessi. Almeno quelli di noi che per mestiere e per età qualcosa di più hanno visto e ricordano. Ed ecco un semplice “Amarcord”, promemoria delle vecchie “rivoluzioni arancione” da cui guardarsi, sottolinearne le differenze, prendere le distanze.
Arancioni a stelle e strisce. Il riferimento stampato è dal Manifesto del 30 Dicembre 2004. In Rai c’è senz’altro un Tv7 d’annata. Dai miei Balcani raccontavo di un «Serbo di Novi Sad», uno degli «istruttori» che ha allenato la piazza di Kiev contro il regime. Per idealità, dice, ma anche per soldi. I committenti? I governi Usa ed europei. E’ il «consigliere speciale» per l’Ucraina dell’American Freedom House. Accrediti professionali, Milosevic in galera all’Aja, Shevardnadze deposto in Georgia, e poi Yanukovic rovesciato. Tante trasferte e tanti «seminari sulla non violenza» tenuti da un ex colonnello della Cia, per lui e gli altri trainer. Chi paga?», chiedevo retoricamente allora, intervistando Stanko Lazendic. «Stanko è un giovane che nella vita ne ha viste molte, a cominciare dalla galera, che ha iniziato a frequentare dall’imporsi del regime di Milosevic. Diciassette arresti non sono male per un semplice leader studentesco, se mai Lazarevic è stato soltanto quello».
Storie lontane e utili memorie. Nulla di assimilabile a quanto di bello, di nuovo, di pulito, sta iniziando a muoversi in Italia. Ma ad evitare confusioni cromatiche, un ripassino di storia non guasta. Stanko Lazendic è stato uno dei fondatori del movimento studentesco serbo «Otpor», che vuol dire Resistenza, ed è da lì che parte tutto. Resistenza popolare e non violenta al regime di Milosevic in quel lontano 1998, quando il despota di Belgrado era ancora equivocamente corteggiato da molte cancellerie occidentali incerte fra l’adottarlo e il fargli guerra. Otpor nasce allora, ed è probabilmente l’unico erede del vasto movimento “antipartitico” di piazza che negli anni precedenti aveva quasi dato la spallata decisiva al potere della famiglia Milosevic. Poi i partiti tradizionali, anche quelli democratici, si erano ingoiati sia la «Rivoluzione dei fischietti» dell’ inverno `96-`97, sia le speranze di cambiamento interno senza interventi armati “umanitari”.
La fantasia al potere, ma non solo. Otpor rivoluziona la liturgia della politica, con i colori delle bandiere, nelle parole d’ordine, nella leadership collettiva, nella musica sparata in piazza a tutto volume, e nel costante sberleffo al potere. L’anima slava, sepolta sino allora nell’auto commiserazione, ne approfitta per tirare fuori la prorompente carica d’ironia e auto ironia della sua amara irriverenza. Ce l’avrebbero fatta da soli e prima e meglio, quelli di Otpor, con tutto il popolo serbo, se qualche stratega di Washington non avesse già deciso, in quella metà del 1998, che Milosevic serviva per collaudare la forza militare della Nato come guardiano del fronte Est dell’Impero. Quando, il 24 marzo del 1999 sulla Jugoslavia iniziano a piovere le bombe, Otpor si arruola, assieme a tutta la Serbia, non accanto a Milosevic, ma contro la Nato. Per loro quelle bombe sono insensate. Puntano al despota e colpiscono il popolo serbo e quello kosovaro. Memoria.
Quell’aiutino in più. La fantasia al potere della protesta, ma anche qualche soldino in più per manifesti, striscioni, apparato legale di difesa, bandiere, radio libere e Internet pirata. Molti di quegli studenti ormai abbondantemente fuori corso sembrava avessero studiato molto durante il duro inverno della guerra, lezioni sul come scardinare un rozzo apparato di potere per seppellirlo sotto il ridicolo della sua sostanziale impotenza. Anche Stanko Lazendic aveva studiato. In trasferta a Budapest, nella vicina Ungheria che ancora non chiedeva il visto per i serbi; altri suoi amici nel protettorato Nato della Bosnia o in quello statunitense del Montenegro. «Seminari» li chiamavano gli organizzatori, sulla «Resistenza non violenta». Due le cose interessanti che riesco ad ottenere dalla memoria di Stanko: il nome di almeno un «docente» e le molte sigle di chi pagava i conti di quelle trasferte di «studio». Che centra tutto questo con i nostri “arancioni”? Nulla, solo conoscere.
Rivoluzione col guanto di velluto. Nel marzo del 2000, uno dei docenti di Stanko all’Hilton di Budapest, fu un certo Robert Helvi, già colonnello della Cia, operativo a Rangoon e Burma. Lezioni per ogni movimento anticomunista che si rispetti, tecnica del Colpo di Stato col Guanto di Velluto. Quanti siano «pochi» i soldi che pagano le loro originali prestazioni professionali, Stanko Lazerdic non lo dice. In compenso ci racconta dei suoi committenti. «A volte le organizzazioni studentesche, a volte direttamente i loro finanziatori». La generosità democratica in Serbia, Ucraina, Georgia eccetera, ci dice Stanko Lazendic, esce dai conti correnti di Us Aid, l’organizzazione governativa statunitense, o dall’Iri, l’Istituto Internazionale Repubblicano (il partito allora di Bush), o dal suo gemello Democratico (Ndi), o dalla fondazione Soros, o dalla Freedom House, o dalle tedesche «Friedrich Ebert» e «Konrad Adenauer», o dalla britannica «Westminster». La pecunia che puzza.
Ovviamente è solo storia. Storia che pochi avranno l’opportunità di leggere su libri ufficiali che trattano di quelle ormai lontane (ma non lontanissime) vicende. Rispetto alle iniziative italiane in itinere con l’Arancione come colore simbolo di aggregazione pulita e innovativa, tutto questo valga soltanto come lontano ammonimento o non fidarsi di eventuali amici troppo organizzati. O troppo generosi. Sempre Stanko mi raccontava -documenti alla mano- che contro Shevarndnadze in Georgia, pagava Soros. La serba Otpor in formato esportazione partorì successivamente «Kmara» (Basta) a Tbilisi, e «Pora» (E’ ora) a Kiev. Non soltanto bei colori, ma anche slogan efficaci. Ma è poi così lontano, estraneo alla recente esperienza politica italiana tutto questo astruso e lontano racconto? Da quanto tempo il marketing pubblicitario è entrato in politica e di fatto la condiziona? Quando pesa oggi il web della rabbia e gli slogan dell’indignazione senza una proposta autentica?


Naranđasto: dobro, ali je li to uprava boja?

Ennio Remondino


Ta topla boja. Naranđasto je jako lijepa boja, živahna kao i crvena, ali prirodnija, manje agresivna u odnosu na razlike čitave palete. Naranđaste su nazvane izvjesne «revolucije» u nekim nama susjednim zemljama. I evo javlja se tendencija da ta boja prevlada i na talijanskom tlu.

Uostalom , tko ne bi glasao naranđastu boju milanskog gradonačelnika Pisapia u odnosu na plavu, što se pretvara i izblijedjelo sivu bivše gradonačelnice Moratti, kakva je u njeno vrijeme bila milanska gradska uprava, sa sjedištem u palači Marino? Naranđasto bivšeg suca De Magistrisa u odnosu na crvenu brlju, bez imalo sjaja, u posvađanom Napulju? Ili u Genovi, između Dorie, koji je bio nametnut izvana, u odnosu na dvostruko ružičastu upravnog aparata? Naranđasto je meni lično simpatična boja, ali historijske reference takvog su tipa, da moraju izazvati zapanjenost. Bar kod onih među nama, koji su s razloga profesije ili zbog godina vidjeli malo više i malo više pamte. Evo mog sjećanja, moje verzije fellinijevskog «Amaracorda», potsjetnika na «naranđaste revolucije», koje su se prilično davno dogodile i kojih se i te kako treba čuvati, podvlačiti njihove međusobne razlike i držati se što dalje od njih.

Bile su to naranđaste revolucije sa zvijezdama i sa prugama. Tako je pisao «il Manifesto» 30 decembra 2004. Sigurno u RAI-ju postoju o tome snimljeni zapis iz te godine u rubrici «Tv 7»(dana) . Tada sam s «mog» Balkana pričao o «Srbinu iz Novoga Sada», o jednom od «instruktora», koji je uvježavao istupe protiv režima na ulicama i trgovima Kijeva. Zbog ideje, veli, ali i za novce. A ko su bili naručioci? Vlade SAD-a i Evrope. Tako je postao «spcijalni savjetnik» za Ukrajinu American Freedom House. Imao je profesionalne akreditacije, jer je Milošević bio u zatvoru u Haagu, Shavernadze je bio prisiljen dati ostavku u Gruziji, a zatim je srušen i Yanukovič.

Koliko samo putovanja i koliko seminara «o nenasilju», koje je držao bivši pukovnik CIA-e, za njega i za ostale njegove drugare. «Tko plaća? » -postavio sam tada retoričko pitanje, inervjuirajući Stanka Lazendića. «Ovo je mladić, koji je mnogo toga vidio u životu, počevši od zatvora, u koji je počeo odlaziti vrlo često, otkad je Milošević došao na vlast. Sedamnaest puta bio je hapšen, što uopće nije malo za studentskog vođu, ukoliko je Lazendić ikada jedino to i bio.»

Davne priče i korisna sjećanja.Ne mogu se uopće usporediti s nečim lijepim, novim, čistim, što se počinje dešavati u Italiji. Kako bi se izbjegle kromatske konfuzije, ne škodi malo osvježiti pampćenje. Stanko Lazendić bio je jedan od osnivača srpskog studentskog pokreta «Otpor», što znači Rezistencija, i odastle je sve počelo. Otpor naroda, nenasilni, Miloševićevom režimu te davne 1998 godine, kad su se tom beogradskom despotu licemjerno udvarale mnoge zapadne vladine kancelarije, koje nisu bile baš načisto s tim, da li treba da ga posvoje ili da s njim zarate. Otpor nastaje u tom času i vjerojatno je jedini nasljednik širokog «antistrančkog» pokreta, koji se prijašnjih godina razvio na gradskim ulicama i gotovo da je uspio sam zadati odlučan udarac vlasti porodice Milošević. Zatim su tradicionalne partije, pa čak i one demokratske, progutale i pojele «Revoluciju pištaljki» u zimu 1996-1997, kao i nade na unutrašnji prevrat bez oružanih «humanitarnih» intervencija.

Fantaziju na vlast, ali ne samo nju. Otpor je revolucionirao političku liturgiju, sa bojama svojih zastava, sa svojim parolama i lozinkama, sa kolektivnim vodstvom, s muzikom koja je grmila na trgovima te permanentnim kreveljenjem i izrugivanjem vlasti. Slavenska duša, dotad sahranjena pod naslagama sažaljevanja samih sebe, iskoristila je trenutak, da izbije napolje i ispolji svoju poletnu snagu ironiziranja pa i autoironije i ruganja i sebi i drugima s ogorčenim nepoštovanjem. Bili bi to uradili sami i bili bi to uradili bolje oni iz Otpora, uz pomoć srpskog naroda, da neki vašingtonski strateg nije već bio odlučio, tada - polovinom 1998- kako će Milošević poslužiti za kolaudiranje militarističke ubojne snage NATO-a , kao čuvara istočnog fronta Imperija. Kada marta mjeseca 1999 po Jugoslaviji počinju pljuštati bombe, Otpor se javlja u vojsku, kao i cijela Srbija, ne uz Miloševića, već protiv NATO-a. Za njih su te bombe van pameti. Gađaju despota, a pogađaju srpski narod i narod na Kosovu. No to spada već u sjećanje.

Još jedna mala pomoć pri prisjećanju. Fantazija protesta na vlast, da, ali i ponešto parica za letke, za parole, za plaćanje advokata, za zastave, za slobodne radio stanice i za piratski Internet. Mnogi od tih studenata, koji su već odavna bili apsolvirali, čini se da su jako mnogo učili te zime u kojoj je Otpor zaratio s režimom: učili su kako izglaviti i razmraditi izvjestan grubi aparat moći i sahraniti ga, učinivši ga smješnim, zbog vlastite suštinske nemoći. I StankoLlazendić je također to učio. Premjestivši se u Budimpeštu, u susjednoj Mađarskoj, koja tada još nije tražila vize za srpske građane; i drugi njegovi prijatelji iz NATO-ovog protektorata u Bosni i Hercegovini ili iz američkog protektorata u Crnoj Gori bili su također tamo. Organizatori su to nazivali «seminarima» o «nenasilnom otporu». Dvije stvari uspio sam izvući iz Stankovog pamćenja: ime bar jednog od «docenata» na seminaru i nazive mnogih organizacija, koje su plaćale račune za ta putovanja i «studijske» boravke.

A kakve to veze ima s našim «naračastima»? Nikakve, ali neka se zna.

Revolucija u rukavicama od somota. U martu 2000 godine jedan od «docenata», koji je poučavao Stanka u hotelu Hilton u Budimpešti, bio izvjestni Robert Helvi, koji je kao pukovnik CIA-e , već bio operativac u u Rangoonu i u Burmi. Koliko je to nešto «parica», što su ih dobijali za svoje vrlo originalno profesionalno djelovanje, Stanko Lazendić nije želio kazti. Zato je govorio i opisivao vlastite naručioce. «Rjeđe su to same sudentske organizacije, a češće direktno oni, koji ih financiraju».

Demokratska velikodušnost Srbije, Ukrajine, Gruzije itd, tvrdi nam Stanko Lazendić, proističe direktno sa tekućih računa organizacija kao što je US AID, vladina organizacija Sjedinjenih Država, ili IRI, Internacionalni Republikanski Institut (tada Bushova stranka) ili od njegov rođeni brat, Demokrati (NDI), ili je to fondacija Soros ili pak fondacija Freedom House, ili su to njemačke organizacije «Friedrich Ebert» i «Konrad Adenauer» ili pak britanska «Westminster». Novac koji zaudara.

Naravno ovo je samo historija. Historija, koju će malo njih imati prilike čitati u službenim knjigama i udžbenicima povijesti, koje govore o tim davnim (ali ne predavnim) događanjima. U odnosu na talijanske incijative, koje su pokrenute s Naranđastom bojom, kao simbolom za nova i čista politička zajedništva, sve ovo treba da bude samo upozorenje izdaleka, koliko treba vjerovati izvjesnim malo previše organiziranim prijateljima. Ili prijateljima malo previše široke ruke. Stanko mi je to neprestano ponavljao – s dokumentima u ruci – kako je pobunu protiv Šavernazea u Gruziji platio Soros. Srpski otpor u eksport –formatu potom je porodio «Kmara»(Dosta!) u Tbilisiju i «Porà» (Vrijeme je!) u Kijevu. Nije se samo radilo o krasnim bojama, već i o efikasnim parolama. I, na kraju krajeva, da li je toliko daleka i strana, s obzirom na skorašnja talijanska politička iskustva, ta komplicirana i davna priča? Otkad je reklamni marketing ušao u politiku i otkad je on ustvari uslovljava? Šta danas može učiniti razbješnjeli web i koliko mogu uraditi indignirani slogani, ukoliko ne postoji autentični politički prijedlog?


(prijevod: Jasna Tkalec)



=== 2 ===

Da: Raffaele Simonetti

Oggetto: R: [JUGOINFO] Canadian Minister praises Ustasha supporter Stepinac

Data: 30 novembre 2012 18.25.53 GMT+01.00


Cari compagni del CNJ,

questa vostra denuncia del ministro canadese Jason Kenney (senz'altro sacrosanta, presumo) mi ha molto stupito per il semplice fatto che invitiate a firmare la petizione dell'organizzazione Avaaz.

Su Avaaz e sul suo fondatore Ricken Patel allego una scheda (compilata per mio uso personale, non la si trova in rete) che dovrebbe essere di per sé illuminante.

Eventuali residui dubbi dovrebbero essere fugati dal notare che Ricken Patel figura all'89esimo posto nella graduatoria, uscita in questi giorni, del "100 eroi" Foreign Policy:

http://www.foreignpolicy.com/articles/2012/11/26/the_fp_100_global_thinkers?page=0,53#thinker89

saluti
Raffaele Simonetti
(Milano)

P.S.  in relazione alla provvidenziale  TOP 100 di Foreign Policy ho raccolto, più chiaramente, in questa pagina tutti i personaggi della classifica:
http://www.webalice.it/raffaele.simonetti/archives/FP_la_Top_100_2012_dei_pensatori_globali.html
che mi riprometto di arricchire chiosando brevemente i soggetti più interessanti e noti in Italia.
Per adesso ho iniziato con Rick Patel di Avaaz e accennato a Mario Draghi (avevate notato che precede George Soros ma è dietro le Pussy Riot ?).


Ricken Patel / Avaaz.org

Avaaz - Wikipedia

avaaz.org -WHOIS
Created On:01-Oct-1997
Registrant Name:Ricken Patel


Avaaz: Salvare gli oceani, impegnarsi per i rinoceronti, bombardare la Siria - 24 aprile 2012
… Leggo che l''ong è nata nel 2007 per iniziativa di altre organizzazioni, le principali delle quali sono MoveOn e ResPubblica.
La prima è un influente gruppo di azione politica on line presieduta da Eli Paliser (membro anche della seconda), politicamente vicino al partito democratico di Obama e dei Clinton (ministro ed ex presidente), e in passato finanziata (circa 5 milioni di dollari, stando a wikipedia) dal miliardario George Soros. …

Come Avaaz sponsorizza la propaganda di guerra - 7 marzo 2012

Come si abbattono i regimi - Giulietto Chiesa - 18 febbraio 2012

Sostenere il governo USA senza saperlo: il grave esempio di “Avaaz” - 18 febbraio 2012
… “Avaaz” è infatti una ONG creata da Ricken Patel, personaggio politicamente ben schierato a destra che gode del sostegno finanziario del patron della multinazionale informatica “Microsoft” Bill Gates e della Fondazione Rockefeller (il cui ruolo a favore dei governi americani è ben spiegato in quest’altro articolohttp://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmp5a13.htm ). Non è tutto: “Avaaz” collabora strettamente con la famosa Fondazione Soros, una struttura vicina all’attuale governo statunitense e ai suoi servizi segreti che viene utilizzata per organizzare disordini e golpi nei paesi che in qualche modo non ubbidiscono ai diktat di Washington oppure che non autorizzano le grandi aziende occidentali a entrare nel loro mercato nazionale. …

Senate report: Funds funneled to private contractors in drug war go untracked - Brian Bennett - 8 giugno 2011
U.N. Secretary-General Ban Ki-moon, center left, accepts a End the War on Drugs petition last week from Ricken Patel, center right, of the advocacy group Avaaz, at U.N headquarters. Also pictured: former Brazilian President Fernando Henrique Cardoso, left, and Virgin Group chief Richard Branson. (Charles Sykes / Associated Press)

Fernando Henrique Cardoso

In this photograph taken by AP Images for Avaaz, UN Secretary-General Ban Ki-moon, center left, accepts the 'End the War on Drugs' petition from Avaaz Executive Director Ricken Patel, center right, accompanied by Richard Branson, right, and Fernando Henrique.

Can Avaaz change the world in a click? - Sarah Bentley 9 febbraio 2011
Patel has probably been preparing for this role all his life. Born in Edmonton, Canada, to a Russian-English mother and a South African-born Indian father it’s no surprise hisaffinity is with a global rather than national idea of citizenship. Aged 3, he knew about theCold War and the structure of the human cell and by 6 was striking up conversationsabout colonialism. He went to school on a Native Indian Reservation where he enduredbullying but, having read about the communities’ plight, claims to have felt empathy withhis persecutors. “I’ve always felt solidarity with people suffering injustice,” he says. “My theory is that my Mum gave me so much love I’ve always had extra to give.”

Kevin Libin: The third party no one talks about - Kevin Libin - 20 settembre 2010

Ricken Patel Bio - luglio 2010
… Ricken was voted "Ultimate Gamechanger in Politics" in 2009 by the Huffington Post and was named a Young Global Leader by the Davos World Economic Forum. Prior to Avaaz he lived in Sierra Leone, Afghanistan and other countries in conflict, and worked for the International Crisis Group, the Rockefeller Foundation, the International Center for Transitional Justice, and Res Publica. …

The new diplomacy: challenges for British foreign policy - 16 luglio 2007
The Rt Hon David Miliband MP, Secretary of State for Foreign and Commonwealth Affairs
Co-moderated by Dr Robin Niblett, Director, Chatham House and Ricken Patel, Executive Director, Avaaz.org





Due articoli di Antonio Mazzeo

1) Di Paola va dove porta la guerra (16/11/2012)
2) Patto militare Italia-Israele. Un accordo scellerato e illegale (28/11/2012)


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VENERDÌ 16 NOVEMBRE 2012


Di Paola va dove porta la guerra


Il pomeriggio del 16 novembre 2011 quando giurarono fedeltà alla Costituzione i ministri-tecnici del primo Governo Monti, lui non c’era. “L’ammiraglio Giampaolo Di Paola, alla difesa, è in missione in Afghanistan per conto dell’Alleanza atlantica”, giustificò il premier. Da quel momento in poi il ministro con le stellette non si è fermato un attimo, sempre in giro per il mondo a promuovere la grandeur dell’Italia e l’efficienza del suo complesso militare industriale.

La prima visita ufficiale dell’ex Capo di stato maggiore ed ex presidente del Comitato militare della Nato - tredici giorni dopo l’insediamento - era a Berlino nel nome del ritrovato asse italo-tedesco per lo sviluppo dei missili e dei droni. Poi, una dietro l’altra, le missioni in Mauritania, nuovamente in Afghanistan, Gran Bretagna, Libano, Albania, Tunisia, Belgio, Russia, Stati Uniti (faccia a faccia con il Segretario alla difesa, Leon Edward Panetta, per predisporre il supporto logistico italiano alla missione Onu in Siria e parlare di scudo antimissile Nato e Afghanistan), Giordania, Giappone, Filippine, Francia, una seconda volta in Germania e Libano,Algeria, Lituania, Lettonia, ancora Afghanistan, Cipro, il Comando Nato di Bruxelles per il vertice dei ministri dell’Alleanza, Armenia e, a fine ottobre, a Gerusalemme per il “terzo vertice intergovernativo Italia–Israele” a riprova di una partnership sempre più fatta di esercitazioni congiunte, in Sardegna e nel Tirreno, nel deserto del Negev e nel golfo di Haifa, e di import-export di caccia, missili, satelliti e velivoli spia. Infine, qualche giorno fa, i bis in Algeria e in Francia (più correttamente a Parigi per la riunione con i ministri della difesa e degli esteri di Germania, Francia, Polonia e Spagna).

Quando è rimasto a Roma, l’instancabile ammiraglio è stato disponibile a ricevere in pompa magna una lunga lista di omologhi ministri alla guerra e alti ufficiali Usa e Nato: nell’ordine di arrivo in Italia, quelli di Canada, Sud Africa, Serbia, Filippine, Somalia, Macedonia, il Segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen (all’ordine del giorno“l’impegno in Afghanistan al termine della fase di transizione, la situazione nei Balcani, la difesa missilistica e la riforma dei Comandi e delle Agenzie dell’Alleanza”), Libia, Polonia, Kazakhstan, Somalia bis, Russia, Montenegro, Lettonia, il generale James N. Mattis comandante dell’U.S. Central CommandAfghanistan, Senegal, Slovenia, Vietnam, Azerbaijan, Francia, Colombia. Ovviamente molti dei vertici si sono conclusi con la firma di memorandum e accordi di mutua cooperazione tra le forze armate, war games e addestramenti congiunti, sperimentazione e acquisizioni di sistemi d’arma e attrezzature tecnologiche di alto valore strategico.

Pur consolidando gli impegni nei principali teatri di conflitto internazionale intrapresi dai predecessori (Afghanistan, Libano, Balcani, Corno d’Africa, ecc.), Giampaolo Di Paola ha chiesto di estendere la proiezione militare italiana ai turbolenti scenari del continente africano: innanzitutto la “nuova Libia” uscita esangue dai bombardamenti Nato ed extra-Nato dello scorso anno e a cui già forniamo intelligence, addestratori e consulenti (senza dimenticare il consenso a Washington a lanciare, dalla base di Sigonella, stormi di droni contro Tripoli e Bengasi); il Maghreb (dove la priorità resta la lotta all’immigrazione “clandestina” nel Mediterraneo); l’Uganda (da fine agosto un team dell’esercito a Kampala addestra al combattimento i militari locali destinati al fronte somalo e alla caccia di “terroristi” nella regione dei Grandi Laghi); il Kenya, con cui l’esecutivo Monti ha avviato un’“intesa per consolidare le rispettive capacità difensive e migliorare la comprensione reciproca sulle questioni della sicurezza”; il martoriato Mali (l’Italia ha rassicurato l’Unione europea e gli stati africani che non farà mancare il suo supporto all’ormai prossimo intervento multinazionale d’occupazione).

L’Italia è pronta ad andare ovunque e comunque, è l’assunto del ministro, per difendere i valori e gli interessi del tricolore, specie se questi coincidono con quelli dei manager e degli azionisti delle grandi aziende produttrici di materiale bellico. “Il settore industriale italiano nel campo sicurezza e difesa è ad alta tecnologia e ad alta innovazione, di rilevante importanza per lo sviluppo economico di questo Paese”, ha dichiarato Di Paola durante l’’audizione con la Commissione difesa alla Camera dei deputati, lo scorso 6 novembre. Poi ha aggiunto: Finmeccanica, la più grande delle industrie italiane nel settore ed una tra le più grandi a livello globale, impiega circa 70.000 unità lavorative e ha un fatturato di oltre 16-17 miliardi di euro all’anno e di questo, l’80% viene dal settore sicurezza e difesa. Questa realtà tecnologica e industriale, importantissima anche per l’occupazione e la crescita a cui contribuisce, deve essere sostenuta con investimenti appropriati e collaborazioni internazionali importanti”. E per sostenere Finmeccanica e socie, Di Paola è capace a rimettersi in viaggio tra un meeting e l’altro, visitando le maggiori fiere internazionali degli strumenti di morte, come quella “aerea” di Farnborough, Gran Bretagna (12 luglio) o l’Euronaval di Parigi – Le Bourget (24 ottobre).

Encomiabile il pressing su Monti, media e Parlamento per risparmiare alla Difesa l’offesa dei tagli della spending review“Lo strumento militare e le Forze armate italiane devono disporre di capacità operative e tecnologiche avanzate, tra le quali certamente rientrano quelle nel settore delle forze aeree, come la linea dei cacciabombardieri F-35”, ha spiegato Di Paola in Commissione difesa. “L’ammodernamento dello strumento militare, però, è molto più ampio ed articolato ed investe programmi di rinnovamento delle forze terrestri, quali la Forza NEC (Network Enabled Capabilities), delle unità navali, degli elicotteri, dei sistemi satellitari, di difesa missilistica, di comando, controllo e comunicazione e dei droni, che rappresentano il futuro di questo settore”. Un programma di ammodernamento ad ampio raggio, dunque, con un occhio particolare alla guerra cibernetica, “la nuova frontiera della minaccia”, secondo il ministro.

Così, per sostenere l’impeto riarmista e consolidare il trasferimento di ingenti risorse finanziarie pubbliche alle industrie militari anche in tempi di crisi, Di Paola ha rilanciato la trasformazione del modello “difesa”, dove i “risparmi” per la progressiva riduzione del numero di avieri, marinai e fanti si convertiranno in “investimenti” in caccia, sottomarini, carri armati, droni e apparati elettronici. Il tutto condito da qualche opportuno gioco di prestigio nella predisposizione dei bilanci. Come ad esempio quello di posticipare gli ordini di qualche anno, spalmando le spese su più annualità (i nuovi velivoli blindati “Freccia” di Iveco e Oto Melara sono così slittati dal 2013 al 2016, i due sottomarini U 212 invece del 2016 arriveranno l’anno successivo, gli elicotteri d’attacco NH90 di AugustaWestland dal 2018 al 2021, quelli AW101 dell’Aeronautica dal 2014 al 2017, l’adozione dei missili “Spike” a bordo dei famigerati “Mangusta” dal 2017 al 2014).
Di contro nel 2013 saranno acquistati sistemi di cui nessuno sino ad oggi aveva parlato: 40 blindati multi-uso e anti-mine del consorzio tedesco Iveco-Krauss (costo 120 milioni di euro ma c’è l’opzione per altri 40), un imprecisato numero di mortai da 81 mm (16 milioni), un “velivolo senza pilota tattico UAV” per la Marina militare da utilizzare “per la sorveglianza e le operazioni navali anti-pirateria”, ecc.. All’esordio pure lo “sviluppo” dell’MC-27J, la versione dotata di cannoniere dell’aereo da trasporto C-27J “Spartan” prodotto da Alenia Aermacchi. E che nessuno dica che a Palazzo Baracchini non si operi alacremente…

=== 2 ===


MERCOLEDÌ 28 NOVEMBRE 2012


Patto militare Italia-Israele. Un accordo scellerato e illegale


Il Medio oriente è in fiamme. La Siria è in ginocchio, migliaia di profughi fuggono in Libano, in Turchia, in Giordania. Tel Aviv mobilita le forze terrestri, aeree, navali. Minaccia d’intervenire in Golan e di lanciare i suoi missili e i suoi caccia contro decine di “obiettivi strategici” in Iran. Intanto cannoneggia la striscia di Gaza e schiera carri armati e blindati alla frontiera con il Libano. Scenari di guerra che non sembrano intimorire più di tanto le forze politiche e il governo italiano. Quest’ultimo, anzi, trova pure il tempo d’inviare a Gerusalemme una delegazione d’eccezione, il premier con sei ministri, per il terzo summit intergovernativo in meno di due anni. Per rafforzare la partnership politica e militare e moltiplicare affari e scambi commerciali. Il comunicato ufficiale emesso lo scorso 25 ottobre è come sempre laconico. “In occasione del vertice Italia-Israele, al quale ha partecipato il Presidente del Consiglio, Mario Monti, il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ha incontrato il suo omologo dello Stato di Israele, Ehud Barak. A conferma dei solidi rapporti di amicizia e di collaborazione esistenti tra i due Paesi, sono stati approfonditi i temi inerenti alla cooperazione industriale nel settore della Difesa”.

Il faccia a faccia tra i ministri della guerra è stato preceduto da una serie d’incontri tra i massimi rappresentanti delle rispettive forze armate. Il 7 e l’8 febbraio 2012, il sottocapo di Stato maggiore israeliano, generale Nimrod Sheffer, ha incontrato a Roma i responsabili dell’Aeronautica italiana per “approfondire i processi di trasformazione in atto nelle due aeronautiche, le esperienze maturate nei rispettivi teatri di operazione e le future attività addestrative”. Il successivo 14 giugno è stato il comandante delle forze aeree israeliane, generale Ido Nehushtan, a giungere in Italia in missione ufficiale.

Meeting e visite di cortesia si sono sommate a tre importanti esercitazioni aeronavali bilaterali. Le prime due si sono svolte a fine 2011 in Sardegna (nome in codice Vega) e nel deserto del Negev (Desert Dusk). Durante i war games sono stati simulati combattimenti aerei tra cacciabombardieri F-15 ed F-16 israeliani ed “Eurofighter” e “Tornado” italiani; inoltre sono stati eseguiti veri e propri lanci di missili aria-terra e di bombe a caduta libera. Dal 3 all’8 novembre 2012, nelle acque prospicienti la città di Haifa, si è tenuta invece la prima edizione dell’esercitazione Rising Star a cui hanno partecipato i palombari artificieri del Gruppo operativo subacquei del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) di La Spezia e i Divers (specialisti sommozzatori) della Marina israeliana.

L’accordo che disciplina la partnership militare tra Italia e Israele risale a sette anni fa ed è stato ratificato dal Parlamento italiano il 17 maggio 2005. Nella parte “pubblica” del testo (esisterebbe infatti un memorandum segreto mai sottoposto alla discussione e al voto dei parlamentari) si legge in particolare che la “cooperazione” fra i due paesi riguarderà in particolare “l’industria della difesa, l’importazione, l’esportazione e il transito di materiali militari, le operazioni umanitarie, l’organizzazione delle forze armate e la gestione del personale la formazione e l’addestramento, i servizi medici militari”. Sempre per l’accordo, le attività si svilupperanno grazie “alle riunioni dei ministri della Difesa, dei Comandanti in Capo e di altri ufficiali autorizzati, lo scambio di esperienze fra gli esperti delle due parti, l’organizzazione e l’attuazione delle attività di addestramento e delle esercitazioni, le visite di navi e aeromobili militari e ad impianti, lo scambio di informazioni, pubblicazioni e hardware, la ricerca, lo sviluppo e la produzione di sistemi d’armamento”. “Italia e Israele si adopereranno al massimo per contribuire, ove richiesto, a negoziare licenze, royalties ed informazioni tecniche, scambiate con le rispettive industrie”, recita l’articolo 3 dell’accordo di mutua collaborazione. E ancora: “Le Parti faciliteranno inoltre la concessione delle licenze di esportazione necessarie per la presentazione delle offerte o proposte richieste per dare esecuzione al presente Memorandum”.

Senza troppi giri di parole, l’import e l’export di sistemi d’arma devono essere l’essenza delle consolidate relazioni tra Roma e Tel Aviv, in palese violazione della legge italiana che disciplina il commercio di tecnologie belliche e che vieta le vendite a paesi belligeranti o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali dei diritti umani. Israele riassume in sé tutte le caratteristiche per dover essere posta al bando dal complesso militare industriale italiano: le sue forze armate sono sistematicamente impegnate su più fronti di guerra e dal 1967 occupano ancora buona parte della West Bank. Inoltre il regime d’apartheid instaurato contro la popolazione palestinese e gli stessi cittadini israeliani di origine araba è stigmatizzato dalle principali organizzazioni non governative internazionali. Non ultimo, Tel Aviv non ha mai firmato il Protocollo di Non Proliferazione Nucleare e da tempo immemorabile, anche grazie la collaborazione tecnico-scientifica di Stati Uniti ed Unione europea, a Dimona, nel deserto del Negev, si costruiscono armi nucleari (secondo gli istituti di ricerca indipendenti Israele sarebbe già in possesso di più di 200 testate).

Nonostante la riesplosione della crisi mediorientale, proprio il 2012 ha rappresentato l’anno chiave nei trasferimenti di sistemi d’arma tra i due paesi. Il 19 luglio, in particolare, il Ministero della difesa italiano e l’omologo israeliano hanno ratificato la fornitura alle forze armate israeliane di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 “Master” prodotti da Alenia Aermacchi. La commessa ha un valore di poco inferiore al miliardo di dollari ma prevede vantaggiose contropartite per le industrie israeliane. Elbit Systems, azienda specializzata nella produzione di tecnologie avanzate, svilupperà il nuovo software che verrà caricato sugli addestratori. Il Virtual Mission Training System (Vmts) “ingannerà i sensori degli M-346 simulando le funzioni di un moderno radar di scoperta attiva capace di gestire numerose funzioni tattiche, nonché scelte d’armamento complesse”, riporta la World Aeronautical Press Agency. “Utilizzando il software una volta in volo, il pilota in addestramento potrà esercitarsi in scenari avanzati, quali la guerra elettronica, la caccia alle installazioni radar e l’uso di sistemi d’arma all’avanguardia”. Alle future guerre le forze aeree israeliane si addestreranno cioè con il made in Italy.

In cambio dei caccia, Tel Aviv ha anche imposto che l’aeronautica militare italiana si doti di due velivoli di pronto allarme “Gulfstream 550” con relativi centri di comando, controllo e sistemi elettronici, prodotti daIsrael Aerospace Industries (IAI) ed Elta Systems (costo complessivo, 800 milioni di dollari circa). Selex Elsag, una controllata di Finmeccanica, s’incaricherà per conto delle aziende israeliane a fornire ai velivoli i “sottosistemi” di comunicazione e link tattici secondo gli standard Nato. Le forze armate italiane dovranno pure acquistare un sistema satellitare elettro-ottico ad alta risoluzione di seconda generazione “Ofeq”, anch’esso di produzione IAI ed Elbit Systems (245 milioni di dollari). Prime contractor degli israeliani sarà Telespazio, azienda controllata in parte da Finmeccanica, che assicurerà entro il 2015 la costruzione del segmento terrestre, il lancio e la messa in orbita del nuovo sistema satellitare.

Quest’anno, l’Aeronautica italiana ha pure deciso d’installare sugli elicotteri EH101 e sugli aerei da trasporto C27J “Spartan” e C130 “Hercules” un nuovo sistema di contromisure a raggi infrarossi, denominato Dircm - Directional infrared countermeasures, co-prodotto da Elettronica Spa di Roma ed Elbit Systems. Venticinque milioni e mezzo di euro la spesa, con consegne che saranno fatte entro la fine del 2013. Gli elicotteri d’attacco AW-129 “Mangusta” di AugustaWestland, in dotazione all’esercito italiano, dal prossimo anno saranno armati invece con i missili aria-terra a corto raggio “Spike” prodotti da un’altra importante azienda militare israeliana, Rafael. I missili, con una gittata tra gli 8 e i 25 km, potranno esseri equipaggiati con tre differenti tipologie di testata bellica a seconda dell’uso: anticarro, antifanteria e per la distruzione di bunker. Roma e Tel Aviv puntano infine a sviluppare congiuntamente nuovi velivoli a pilotaggio remoto UAV (i famigerati droni) e a cooperare nella produzione e nella “gestione logistica” del nuovo cacciabombardiere a capacità nucleare F-35, uno dei programmi più costosi della storia mondiale dell’aviazione da guerra.

Mentre i programmi di riarmo italo-israeliani sono condivisi e sostenuti da tutte le forze politiche presenti in Parlamentare, si sta rafforzando tra alcune forze sociali e no war la convinzione che la solidarietà al popolo palestinese non può essere disgiunta dalla mobilitazione per ottenere l’embargo militare nei confronti di Israele. Singoli cittadini, associazioni e comitati di base hanno dato vita alla Campagna BDSper “il boicottaggio, il disinvestimento e sanzioni nei confronti di Israele” fino a che esso “non porrà termine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellerà il Muro; riconoscerà i diritti fondamentali dei cittadini Arabo-Palestinesi di Israele alla piena uguaglianza; rispetterà i diritti dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case e nelle loro proprietà come stabilito nella risoluzione 194 dell’ONU”.

Lo scorso 13 ottobre, di fronte allo stabilimento Alenia Aermacchi di Venegono-Varese, si è tenuta la manifestazione nazionale Nessun M346 a Israele per chiedere la revoca della vendita dei caccia addestratori alle forze armate israeliane, a cui hanno partecipato, tra gli altri, Pax Christi, la Commissione Giustizia e Pace dei Missionari Comboniani, Attac, Arci – Servizio Civile, Assopace e una serie di soggetti che sostengono il popolo palestinese. “Quella di Varese è stata una manifestazione anche contro lo scellerato accordo del 2005 di cooperazione militare, economica e scientifica tra il nostro Paese ed Israele”, ha spiegato Elio Pagani per il Comitato promotore. “Un accordo che non è stato scalfito neppure dall’Operazione piombo fuso del dicembre 2008 - gennaio 2009, che ha visto Israele colpire con il suo potere aereo la popolazione palestinese civile inerme (1.400 uccisi, di cui circa 400 bambini). Un’azione militare brutale, senza giustificazioni, nella quale sono state usate anche armi sconosciute o già vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito) e nella quale Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità”.

 

Articolo pubblicato in Adista, n. 43 dell’1 dicembre 2012