Informazione

(The original article, in english:
Kosovo is American
http://www.nspm.rs/nspm-in-english/kosovo-is-american.html
or http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6883 )

http://sitoaurora.altervista.org/Eurasia/Balkanija70.htm

Il Kosovo è americano

Hannes Hofbauer

Strategic Culture Foundation, 24.8.2010


Traduzione di Alessandro Lattanzio

"Il Kosovo è Serbo", è uno degli slogan chiave di ogni dichiarazione politica di Belgrado e dei meeting della diaspora Serbia in tutto il mondo. I monasteri ortodossi in tutto il paese sembrano dimostrare questo punto di vista. "Il Kosovo è territorio albanese", è la risposta della maggioranza di 1,9 milioni di persone che vivono in questo territorio. La loro prova sembra essere basata sulla quantità della semplice maggioranza etnica, che - per inciso - non necessariamente ha a che fare con uno Stato. "Il Kosovo è europeo", è la dichiarazione delle autorità di Bruxelles, che sottolineano il fatto che il Kosovo fa parte dell'"Eurozona" ed è sotto sorveglianza dell'UE. Storicamente serba, etnicamente albanese, economicamente della periferia europea. Sì e no. Tuttavia, geopoliticamente, il Kosovo è statunitense.
Il 22 luglio 2010, 10 su 14 giudici della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell'Aja hanno approvato la dichiarazione d'indipendenza kosovara come compatibile con le norme del diritto internazionale. L'indipendenza è stata dichiarata il 17 febbraio 2008 da un "Assemblea del Kosovo" nel parlamento di Pristina. La dichiarazione dell'ICJ s'è limitata alla proclamazione dell'indipendenza e non fa riferimento alla legittimità della secessione. Questa è una contraddizione minore. Una contraddizione più grave sta nel fatto che l'assemblea kosovara in parlamento, al momento era (ed è ancora oggi) formalmente non in rappresentanza del Kosovo, in ambito internazionale. La risoluzione ONU 1244 del 1999, che indicava un "Rappresentante speciale del Segretario generale" come rappresentante ufficiale della provincia, che viene definita parte integrante della Jugoslavia e della Serbia, rispettivamente. Per dirla precisamente: Il parlamento kosovaro non era legittimato a rappresentare il Kosovo sulla scena internazionale. Secondo il diritto internazionale, nessun corpo legale aveva chiesto l'indipendenza. Nel comunicato stampa della Corte internazionale di giustizia, si può leggere della legittimità dell'"Assemblea del Kosovo", che ha dichiarato l'indipendenza: "Su questo punto, la Corte giunge alla conclusione che gli autori della dichiarazione di indipendenza... non hanno agito come una delle istituzioni provvisorie di autogoverno nel quadro costituzionale, ma piuttosto come persone che hanno agito nella loro veste di rappresentanti del popolo del Kosovo, al di fuori del quadro dell'amministrazione ad interim (..) Gli autori della dichiarazione d'indipendenza non erano vincolati dal quadro delle competenze stabilite per governare (...)". Pertanto, la Corte Internazionale di Giustizia, "rileva che la dichiarazione d'indipendenza non ha violato il quadro costituzionale". In altre parole: poiché l'organismo che ha dichiarato la propria indipendenza non si compone di rappresentanti legali del Kosovo, le norme del diritto internazionale non erano state violate. Questa è una grave contraddizione.
La Corte internazionale di giustizia con il suo verdetto, di fatto segue la posizione degli Stati Uniti e della maggior parte degli stati UE. L'alleanza occidentale aveva già provato, prima della dichiarazione di indipendenza, di attuare una cosiddetto "indipendenza sotto sorveglianza" delle Nazioni Unite. Il piano Ahtisaari è stato liquidato dalla Russia (e dal Sud Africa). Così Washington, Parigi, Londra e Berlino, hanno realizzato questo piano, senza mandato delle Nazioni Unite.
De jure, la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, è ancora valida. Il Kosovo è quindi parte della Serbia e l'amministrazione delle Nazioni Unite ha ufficialmente uno status neutrale.
Il ricorso all'ICJ pone la questione dell'indipendenza dello stato a livello internazionale. Ed è stata la Serbia che ne ha fatto richiesta. Quindi Belgrado non può semplicemente ignorare il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia. Ripetere lo slogan "Kosovo è Serbia" non aiuterà a superare la sua posizione difensiva. Per non parlare del rifiuto serbo di prendere in considerazione la realtà kosovara. Il 90% della popolazione non è disposta ad accettare le insegne nazionali serbe. Questo fatto non può essere ignorato.


Un Precedente


Come precedente, il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sulla dichiarazione di indipendenza kosovara, è di vasta portata. Prima di tutto si sottolinea il passaggio dal diritto internazionale verso una preponderante gestione dei conflitti sui diritti umani. Negli ultimi due decenni, la gestione dei conflitti occidentale sempre più opera con gli argomenti dei diritti umani, invece del diritto internazionale. L'intera guerra della NATO contro la Jugoslavia, che ha spezzato il diritto internazionale, quando iniziò nel marzo 1999, seguiva l'argomento dei diritti umani per salvare la popolazione albanese dalla presunta aggressione serba. Il codice del diritto delle nazioni, in tal modo è stato messo da parte, escluso. La guerra della NATO contro la Jugoslavia pose anche fine al quadro giuridico, ad esempio, del CSCE nel garantire la sovranità nazionale, l'integrità territoriale e il rispetto dei confini nazionali. Da allora, invece del diritto internazionale codificato, i diritti umani servirono come argomenti per le aggressioni e gli interventi militari (ad esempio, anche in Afghanistan). La gamma di possibili interpretazioni dei diritti umani rende facile usare argomenti manipolativi che servano come strumenti per i propri interessi.
L'accettazione dell'indipendenza del Kosovo contro la volontà di Belgrado, è anche un precedente per molti casi concreti. Su tutto il territorio della ex-Jugoslavia. Dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia, sarà più difficile da spiegare perché "la Republika Srpska" debba rimanere all'interno della Federazione della Bosnia-Erzegovina e perché dovrebbe essere impossibile dividersi e unirsi alla Serbia. Allo stesso modo, non sarà facile spiegare alla minoranza albanese in Macedonia, perché dovrebbe essere contro il diritto internazionale dichiarare l'indipendenza da Skopje o unirsi con l'Albania e/o Kosovo. Per non parlare dei serbi nel nord del Kosovo, che non accettano l'autorità Prishtina. Perché dovrebbero rimanere in uno Stato comune con gli albanesi? La loro possibile indipendenza e/o unificazione con la Serbia avrebbe seguito la stessa logica dell'ICJ.
La dichiarazione dell'ICJ approfondisce l'argomento dell'indipendenza nazionale ben al di là dell'ex-Jugoslavia. Come precedente, è importante ad esempio anche per Tiraspol. La Repubblica Moldava di Pridnestrovia (PMR) da 20 anni chiede l'indipendenza dalla Moldavia e il riconoscimento internazionale. Solo poche ore dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sul Kosovo, le autorità del PMR hanno sottolineato il loro punto di vista. E nella periferia georgiana, il precedente del Kosovo ha già portato ad una reazione da parte russa, quando Mosca ha riconosciuto le dichiarazioni d'indipendenza di Abkhasia e Ossezia del Sud, nell'agosto 2008.



Autodeterminazione contro governo coloniale


La dichiarazione di indipendenza del Kosovo, il suo riconoscimento da parte - al momento – di 69 stati (su 192) e il verdetto dell'ICG non può nascondere che il Kosovo, in realtà, non è indipendente per nulla. Ciò non è previsto dal comunque dagli USA. L'autodeterminazione è assai fuori portata.
Per quanto riguarda l'aspetto militare, questo è più evidente. Dopo che le truppe russe si ritirarono nel giugno 1999 e successivamente nel 2003, la NATO a guida USA si stabilì in ogni angolo del paese. A Camp Bondsteel, dal nome di una ufficiale USA che fu ucciso in Vietnam, l'esercito USA ha installato il suo più grande campo militare in Europa, che copre un territorio di quasi 4 chilometri quadrati. Ma anche l'amministrazione civile non è nelle mani del governo o del parlamento locale. Il Piano Ahtisaari del marzo 2007, è il progetto della costituzione kosovara. Questa costituzione rileva chiaramente lo stato coloniale, nell'articolo 143: "Tutte le autorità della Repubblica del Kosovo devono rispettare tutti gli obblighi della Repubblica del Kosovo, sotto la proposta globale per lo status del Kosovo del 26 marzo 2007 (che è il Piano Ahtisaari; HH). (...) Le disposizioni della proposta globale per lo status del Kosovo del 26 marzo 2007 devono avere la precedenza (priorità, HH) su tutte le altre disposizioni giuridiche in Kosovo. (...) Se ci sono incongruenze tra le disposizioni di questa Costituzione, le leggi o altri atti giuridici della Repubblica del Kosovo e le disposizioni di detto regolamento, prevalgono queste ultime".
"L'indipendenza sotto sorveglianza" è stata (ed è) la parola chiave della politica occidentale in programma per il Kosovo. I profittatori di questa "indipendenza sotto sorveglianza", oltre alla criminalità organizzata che infatti gestisce le attività tra le strutture legali e illegali, sono decine di migliaia di colonizzatori. Sotto abbreviazioni come UNMIK, EULEX e migliaia di ONG, riempiono i loro conti in banca con un salario mensile da 10 a 20 volte superiore a quello di un dipendente medio del paese. Il Kosovo è un enorme campo di sperimentazione: militare, politico, giuridico, amministrativo. Rispetto al fatto che il potere esecutivo e legislativo non sono divisi, sotto l'amministrazione dell'UNMIK del "Rappresentante speciale del Segretario generale" (SRSG) e dell'"International Civilian Representative" (ICR) dell'EULEX, si dimostra come la politica può essere fatta senza i procedimenti politici occidentali. Il Rappresentante speciale e le amministrazioni dell'ICR, sono al di sopra delle leggi locali e degli standard internazionali.
Da quando la Russia non ha potuto fermare l'attuazione del piano Ahtisaari, non sembra esserci alcuna alternativa allo status coloniale della regione. La proposta di Belgrado dal 2007, per unire l'integrità territoriale e la sostanziale autonomia del Kosovo, non ha nemmeno trovare un sostegno sufficiente in Serbia. La soluzione più ragionevole sarebbe quella di dividere il Kosovo lungo il fiume La popolazione serba a nord di esso sarebbe diventata quello che di fatto è: cittadina della Serbia. A sud di Ibar, un secondo stato albanese è diventato realtà dal 1999. Parallelamente a questa divisione, una mossa anti-coloniale potrebbe portare all'autodeterminazione all'interno del Kosovo albanese.
Diversi ostacoli si oppongono a questa visione: il governo di Pristina, che agisce come un corpo esteso di Washington ha recentemente minacciato un intervento militare, in caso in cui i serbi nel nord dichiarassero l'indipendenza da Prishtina; il governo di Belgrado, che segue le linee guida di Bruxelles e gli interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Le vaghe promesse da parte di Bruxelles d'inserire il Kosovo nel quadro dell'Unione europea, non devono essere prese sul serio. Già oggi Bruxelles ha tutti i mezzi economici nelle sue mani, e valuta e controlla il processo di privatizzazione. Una più stretta integrazione avrebbe confrontato Bruxelles agli interessi USA. Così lo status quo è utile per entrambe le parti, anche se viene realizzato mettendo i serbi e gli albanesi gli uni contro gli altri.

LA SLOVENIA RACCOGLIE QUELLO CHE HA SEMINATO DAL 25 GIUGNO 1991 IN POI

Il Piccolo (Trieste), 29 ottobre 2010 - http://ilpiccolo.gelocal.it/

Dalla Slovenia proteste per il volo delle Frecce Tricolori

L'esibizione, martedì pomeriggio, delle Frecce tricolori nel cielo sopra Trieste in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità nazionale e i 56 anni del ritorno della città all'Italia è stata vissuta dai triestini e dai loro ospiti come uno dei momenti più emozionanti dell'intera giornata.
Oltreconfine, però, in Slovenia non tutti hanno gradito. Sul quotidiano "Delo" ieri è apparso infatti un articolo dal titolo "Le Frecce tricolori italiane hanno violato lo spazio aereo sloveno". Per l'articolista, i jet italiani non avevano il permesso di entrare nello spazio sloveno, anche se dalle risposte che il giornale ha avuto dal Servizio di controllo dello spazio aereo e dal Ministero della difesa sloveni appare abbastanza chiaro che l'accordo tra Slovenia e Italia nell'ambito della Nato prevede che nel caso di aerei militari che hanno la licenza di sorvolo (come appunto le Frecce tricolori) sia sufficiente notificare l'ingresso nello spazio aereo sloveno, cosa in questo caso fatta. Di più: l'Italia fornisce per accordi Nato con i suoi jet e radar la copertura dello spazio aereo sloveno. Del resto, sempre per la Difesa slovena, nel 2010 si registra una media di sette sorvoli al giorno di aerei militari stranieri nello spazio aereo sloveno. Come dire, non è successo nulla di anomalo né di strano. Per il "Delo" però il volo delle Frecce sopra l'Istria non è stato né permesso né casuale ma si sarebbe trattato di una specie di "gita" sopra la penisola, che «nel 1954 non è stata annessa all'Italia ma è rimasta alla Jugoslavia». Del volo delle Frecce Tricolori, che sono arrivate fino sopra il monte Taiano, ha scritto ieri anche il quotidiano "Primorske Novice", il quale tuttavia rileva che la Slovenia era informata che gli aerei sarebbero entrati nel suo spazio aereo.

Serbia ed Unione Europea, 10 anni dopo il golpe

1) Dieci anni di... teppismo liberista in Serbia (A. Martocchia / L'Ernesto online)
2) Ora tocca alla Serbia (Tanja Trikic / Blic)


=== 1 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19817

DIECI ANNI DI... TEPPISMO LIBERISTA IN SERBIA

di A. Martocchia*

per l'Ernesto Online del 26/10/2010

*Segretario Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus


Visto quello che ha fatto a Genova, vista la "celebrità" che gli hanno accordato i media, vista la sua provenienza da un... esotico paese slavo - la Serbia - affibbiargli il soprannome è facile: "Ivan il Terribile". Ma capire la logica delle sue azioni è ben altra impresa.

I danneggiamenti e gli scontri di cui si è reso protagonista assieme ai suoi accoliti si sarebbero potuti evitare con una normale prevenzione poliziesca, così come si sarebbe potuta evitare questa sovraesposizione mediatica, di fronte alla quale in tanti siamo rimasti perplessi. Da Belgrado accusano: "Sapevate cosa stava per succedere". (1) I servizi di sicurezza serbi spiegano di avere preavvertito, nel corso di un vertice e poi di nuovo attraverso il delegato della Uefa, sulle intenzioni degli "ultras" (teppisti, a tutti gli effetti) che dalla Serbia dovevano giungere in Italia per la partita tra le due nazionali di calcio lo scorso 12 ottobre. Il presidente della Federcalcio serba, Tomislav Karadzic, ha dichiarato che i tifosi della nazionale "non erano venuti soli a Genova": per Karadzic infatti si sarebbe trattato di un piano preordinato per creare incidenti e far saltare l'incontro. E' la stessa impressione che hanno avuto i giocatori della Serbia, alcuni dei quali il giorno stesso, prima della partita, avevano ricevuto inedite minacce, restandone sconvolti.

Anche se i responsabili serbi non avessero preavvertito, è quantomeno bizzarro che i servizi di sicurezza italiani non abbiano saputo prevenire le distruzioni e le escandescenze, data la "stretta" securitaria ordinata da Maroni già da qualche tempo (tessera del tifoso eccetera). Cosicchè, in Italia quei fatti sono subito diventati materia per una effimera polemica politica. Il Pd ha chiesto al ministro degli interni "come sia stato possibile che questo gruppo di violenti sia potuto giungere in Italia, a Genova e dentro allo stadio con tutto il corredo di armi improprie". Il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, ha rivelato anche che, messasi in contatto con la Questura, aveva percepito una scarsa volontà di prevenzione: "Ho capito che c'era una linea morbida per evitare la tragedia" (sic). (2)

Nei giorni successivi però da Belgrado sono arrivati altri dettagli, che dimostrano che il problema non è solo di politica interna, ma ha implicazioni molto gravi di politica internazionale. E' stato rivelato infatti che i teppisti erano stati "pagati per creare incidenti a Genova". Secondo il principale quotidiano belgradese Politika, due boss latitanti avrebbero versato 200 mila euro ai teppisti per organizzare i disordini. (3) Inoltre, i quotidiani di Belgrado hanno scandagliato la figura di "Ivan il Terribile", scoprendo alcune cose che i media italiani si sono guardati bene dal riportare.

Ivan Bogdanov appartiene ad una ben precisa tipologia di teppisti. E' stato un protagonista degli incidenti di piazza a Belgrado il 5 Ottobre 2000, quando bande di (ribadiamo) teppisti anti-jugoslavi assaltarono il Parlamento, diedero fuoco agli uffici elettorali e alle sedi dei partiti della sinistra, e realizzarono così quella che da noi è stata candidamente elogiata come la "rivoluzione anti-Milosevic" ("Belgrado ride", intitolò vergognosamente Liberazione). In particolare, Bogdanov guidò l'attacco alla stazione di polizia e i connessi saccheggi sulla Via Jevrosime Madre. Quest'anno è ricorso il decennale di quella "rivoluzione" - nessuno in realtà lo ha festeggiato. Non sappiamo se "Ivan il Terribile" già allora viveva nel lussuoso quartiere di Dedinje - i "Parioli" o la "Via San Babila" di Belgrado -, in Bulevar Karadjordjevic, di fronte all'ambasciata di Israele. Uno dei suoi più prossimi vicini di casa è il Ministro dell'Interno Ivica Dacic. (4)

La tipologia cui appartiene "Ivan il terribile" è dunque quella del teppista provocatore, ben pagato e rifornito di ogni comfort. Ciò che Ivan, con i suoi colleghi di lavoro, ha ottenuto è stato di accentuare l'immagine già negativa che è stata appiccicata addosso alla Serbia e ai serbi negli ultimi 20 anni. (5) Il fatto che questi teppisti ostentino simbologie e slogan "ultranazionalisti serbi" e bigotti-reazionari in occasione dei loro show più recenti (ricordiamo anche, ad esempio, la manifestazione contro il "gay pride" a Belgrado lo scorso 10 ottobre) non ci dice molto del significato "politico" di queste loro azioni, ma viceversa serve a distorcerlo o capovolgerlo: questo è d'altronde il mestiere dei provocatori.

Come CNJ-onlus valutiamo che << certamente, negli stadi e nelle piazze l'estremismo teppista trova anche alimento nei settori sociali sconfitti, delusi ed impoveriti dagli eventi balcanici degli ultimi 20 anni - inclusi ovviamente i profughi dallo stesso Kosovo. Ma non ci sembra questa la componente determinante, quanto piuttosto quella costituita dai numerosissimi provocatori infiltrati dai "servizi di sicurezza" che esistono in tutte le tifoserie, calcistiche o meno, e svolgono un ruolo ben preciso e prevedibile.
Quale potrebbe essere la strategia provocatoria in questo caso? Ci sono almeno due funzioni "utili" che questi "hooligans" stanno svolgendo.
Innanzitutto, gli incidenti non sono affatto "destabilizzanti" per il governo serbo. Viceversa, con essi la stessa questione del Kosovo viene relegata a questione "di ordine pubblico" e definitivamente sepolta - assieme ai serbi-kosovari, che sono oggi o profughi oppure prigionieri nei "bantustan" della provincia.
L'unica destabilizzazione possibile che gli incidenti di Genova possono arrecare è quella dei rapporti tra Berlusconi e Tadic, il cui incontro previsto in questi giorni, in occasione di un summit bilaterale, era già stato rimandato. >> (6)

E' impressionante anche la coincidenza degli incidenti al Marassi di Genova con la visita della Hillary Clinton a Belgrado, avvenuta lo stesso giorno, dopo la tappa a Sarajevo e prima di quella a Pristina. A Belgrado la Clinton ha usato parole di scontato sostegno all'orientamento capitalista-atlantista della Serbia, nel decennale appunto del "nuovo corso", ed ha affermato anche che i tempi sarebbero maturi per l'entrata della Serbia nella UE. In effetti, questo argomento era stato messo all'ordine del giorno a Bruxelles per il 25 ottobre.

Ma il giorno dopo essere stata a Belgrado, in Kosovo la Clinton ha ribadito piuttosto il sostegno degli USA all'irredentismo pan-albanese nei Balcani, chiedendo che tutti i paesi riconoscano la "indipendenza" e dunque la secessione della provincia dalla Serbia. La Segretaria di Stato è stata salutata come una eroina da centinaia di persone convenute in Bulevar Bill Clinton, all'incrocio dove sorge la statua che raffigura suo marito Bill, alta circa quattro metri. (7) Sempre lo stesso giorno, 13 ottobre, il parlamento olandese ha votato all'unanimità una risoluzione che chiede agli altri paesi UE di posporre la valutazione della candidatura serba almeno fino a fine 2010, e cioè almeno fino al prossimo rapporto del procuratore dell'Aia sulla cooperazione di Belgrado con il "tribunale ad hoc". E' ben noto che la questione dei "processi" dell'Aia è usata ad ogni piè sospinto, in maniera pretestuosa, a giustificare la costante applicazione dei "due pesi due misure" nei confronti della Serbia.

Chi sia veramente favorevole, e chi contrario, alla adesione della Serbia alla UE è questione che meriterebbe lunga e complessa analisi. La nostra impressione è che su questo punto tra i singoli paesi europei e gli USA ci sia uno strano "gioco delle parti". L'Italia potrebbe essere uno dei paesi più favorevoli alla "normalizzazione" dei rapporti internazionali con la Serbia. Tale politica sarebbe coerente anche con la linea abbastanza autonoma perseguita dal governo Berlusconi nei confronti di vari paesi "scomodi" (Libia, Russia); ma la gestione degli incidenti di Genova fa pensare che qualcuno, a Roma oppure a Belgrado, "remi contro" la politica del proprio governo e preferisca mantenere l'isolamento internazionale della Serbia.

Dunque dieci anni sono passati, la Jugoslavia (Serbia-Montenegro) è stata cancellata ed è stata forzata una secessione de facto del Kosovo dal resto della Serbia; dal punto di vista economico e sociale, sono state prese tutte le principali misure per cancellare quanto rimaneva in Serbia delle strutture e delle prerogative del sistema socialista jugoslavo: le banche e le grandi industrie sono state privatizzate (si pensi al caso Zastava Auto, dove la FIAT ha avuto gratis la fabbrica con un migliaio di operai sottopagati da usare contro quelli di Pomigliano) e si passa adesso ad altre svendite. L'ultima operazione annunciata è quella su Telekom Serbia, di cui stanno per essere messe in vendita il 51% delle azioni detenute dalla Stato, per un valore stimato sui 1,4 miliardi di euro. (8) Dunque è passato un decennio in cui le politiche liberiste e filo-atlantiche sono state imposte in tutti i modi ad ogni anfratto della società e dell'economia della Serbia - eppure ancora qualcuno è contrario alla "normalizzazione" dei rapporti con quel paese.

Il problema della collocazione internazionale della Serbia ha assunto una cronicità che dovrebbe preoccupare anche i diplomatici più cauti. Secondo l'istituto di analisi geopolitica statunitense Stratfor (9) il clima che si è instaurato attorno e all'interno della Serbia è quello della Repubblica di Weimar. Frustrata in tutte le sue legittime ambizioni, la Serbia potrebbe covare al suo interno forze animate da un forte spirito revanscista; e questo si potrebbe ritorcere contro l'Europa come a suo tempo successe con la Germania.

Anche se questa valutazione fosse esagerata, va riconosciuto che in ampi settori della opinione pubblica serba domina lo scontento per la situazione che si è determinata dopo quel fatidico 5 Ottobre. E' opinione comune che il paese sia in mano a corrotti e ladri: se ne scrive tutti i giorni sui giornali. La situazione economica e occupazionale non è mai migliorata. Infine, non è solo opinione dell'ex collaboratore di Slobodan Milosevic, Vladimir Krsljanin, che la Serbia sia oggi "un paese sotto occupazione straniera" (10). Questa è in effetti l'impressione generale, benché ancora in Serbia i paesi della NATO non abbiano potuto installare direttamente alcuna base militare (fatta eccezione per il Kosovo, ovviamente). Insistentemente peraltro si parla di adesione del paese alla NATO: nella scorsa primavera a fronte delle dichiarazioni esplicite del Ministro della Difesa, che si è detto favorevole, c'è stata la reazione di vasti settori di intellettuali (11) e semplici cittadini. E le pressioni continuano, da ultimo attraverso una visita a Belgrado di una delegazione del "Parlamento NATO" guidata dal vicepresidente Vincenzo Bianco. (12)

Anche molti di quelli che condivisero il moto di protesta dieci anni fa, dichiarano oggi di essere profondamente delusi. A suo tempo costoro salutarono la "svolta", incarnata in particolare dal neopresidente Vojislav Kostunica, pensando che tale ricambio della classe dirigente in senso liberista-europeista poteva meglio garantire la difesa piena degli interessi nazionali, ritenuti a rischio per la "impresentabilità" della vecchia classe dirigente erede dei valori jugoslavisti e socialisti. Con il passare degli anni, però, Kostunica è stato estromesso, ed è stato infine relegato all'opposizione. L'attuale governo ha una posizione di compromesso sulla questione del Kosovo, che in tanti ritengono rinunciataria: no alle secessione formale ed al riconoscimento di qualsiasi statualità, si invece ad una interlocuzione da pari a pari con la classe dirigente dell'ex UCK. Insomma una rinuncia de facto a quel territorio, benchè da non formalizzare e "salvaguardando" le enclave non-albanesi ed i locali simboli e tesori della storia serba.

Uno dei paradossi serbi oggi è che al governo, a perseguire tali politiche liquidazioniste (privatizzazioni e svendita dello stato sociale, rinuncia al Kosovo), c'è un governo composto anche dal Partito Socialista della Serbia (SPS) - o meglio, da ciò che ne rimane. Già Milosevic dal carcere dell'Aia contestava come opportunisti e traditori diversi esponenti dell' SPS che si trovano oggi al governo. Dopo quel 5 Ottobre, il partito ha subito fuoriuscite e scissioni. Tra le varie formazioni "socialiste" che sono nate, vale la pena di segnalare il "Pokret Socijalista" guidato dal giovane Aleksandar Vulin, che appare tra le formazioni più vivaci e ferme su di una linea contemporaneamente attenta alla sovranità nazionale e ai diritti dei lavoratori.

Vivace è anche l'area comunista, che registra continue "fondazioni" di organizzazioni nuove ma anche incessanti tentativi di unificazione. Questi ultimi si scontrano però da un lato con il soggettivismo e le logiche di piccolo gruppo - che "a pensar male" sembrano talvolta di carattere provocatorio - e dall'altro con settarismi ideologici di vecchia data tra l'area "cominformista", quella "trotzkista" variamente declinata, e i "titoisti". Va detto anche che tale vivacità in campo comunista (nel bene e nel male) ha pressoché gli stessi connotati in tutta l'area jugoslava, cioè anche nelle repubbliche confinanti con la Serbia. Un esercizio semplice ma abbastanza istruttivo può essere il seguente: si provi in Facebook a digitare "Jugoslavija" oppure "Tito" oppure "Komunisticka partija", e simili. Si troveranno decine di migliaia di risultati di gruppi e singoli individui che si richiamano (anche solo simbolicamente, anche solo nel nome o nell'immagine del profilo) al passato socialista. Evidentemente, nonostante le pressioni di ogni genere che hanno subito, gli jugoslavi (serbi e non solo) sanno distinguere tuttora molto bene che cosa sia nel loro comune interesse, e che cosa no.

Note:

(1) Repubblica online, 15 ottobre 2010: http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/15/news/serbia_italia_15_ottobre-8069677/ .

(2) Si veda: http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/13/news/arresti_italia_serbia-7997211/?ref=HREA-1 e http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/13/news/polemica_maroni-8010519 .

(3) Repubblica online, 16 ottobre 2010: http://www.repubblica.it/sport/calcio/2010/10/16/news/serbi_pagati_per_incidenti-8119237/ .

(4) Fonte: http://www.pressonline.rs/sr/vesti/vesti_dana/story/136784/Huligan+sa+Dedinja!.html .

(5) << Addirittura il presidente del Senato Renato Schifani ha dichiarato: "Quello che è accaduto ieri allo stadio di Genova (...) mostra il volto peggiore di un'Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona". Non ci vuole una particolare fantasia per associare tale "volto peggiore" alla Serbia e ai serbi, attribuendo così a tutto un popolo (etnia? razza?) il rifiuto della superiore "civiltà" di Schifani. >> (Dal Comunicato stampa di CNJ-onlus: "Hooligans serbi? Sgombriamo il campo dagli equivoci" - https://www.cnj.it/CNJ/huligani2010.htm )

(6) Ibidem.

(7) Voice of America, 14 ottobre 2010: http://www.voanews.com/english/news/europe/Clinton-to-Push-for-Wider-Kosovo-Recognition-104901414.html .

(8) B92, 19 ottobre 2010. La privatizzazione dell'altra compagnia di telefonia mobile, la Mobtel, era già avvenuta nel 2006. In Kosovo alla Telekom Serbia poche settimane fa hanno arbitrariamente "spento" le antenne. E' anche interessante confrontare questa prevista privatizzazione con l'operazione Telekom Serbia che tanto scandalo scatenò in Italia alla fine degli anni 90: in quel caso allo Stato serbo rimaneva il "golden share" della maggioranza assoluta del pacchetto azionario...

(9) Stratfor 14.10.2010: "Serbia: A Weimar Republic?" - http://www.nspm.rs/nspm-in-english/serbia-a-weimar-republic-q.html .

(10) Intervista rilasciata a "junge Welt" (Berlino), 6 ottobre 2010.

(11) Da registrare il cosiddetto "Appello dei Trecento": http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6647 .

(12) Tanjug, 22 ottobre 2010.


=== 2 ===

http://www.presseurop.eu/it/content/article/371561-ora-tocca-alla-serbia

Ora tocca alla Serbia

26 ottobre 2010
BLIC BELGRADO


Il 25 ottobre i ventisette hanno deciso di inoltrare alla Commissione la domanda di adesione di Belgrado. Ma restano da compiere diversi passi cruciali, primo tra tutti l'arresto del criminale di guerra Ratko Mladic.

Tanja Trikić


Finalmente dal Lussemburgo arriva una buona notizia: i ministri degli esteri dell'Unione europea hanno deciso di inoltrare alla Commissione la domanda di candidatura della Serbia all'ingresso nell'Ue. La decisione è stata presa all'unanimità dopo il successo delle pressioni sui Paesi Bassi, che volevano condizionare l'intera procedura di adesione all'arresto di Ratko Mladic – accusato di crimini di guerra e genocidio dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia.

La fermezza dei Paesi Bassi è stata tuttavia presa in debita considerazione. I ventisette hanno insistito affinché ogni tappa del processo di adesione sia approvata da tutti i governi dell'Ue, ed esigono che Belgrado collabori in modo soddisfacente con il Tribunale. In altri termini, la Serbia deve arrestare Ratko Mladic e gli altri ricercati.

La palla passa quindi in campo serbo. E non soltanto per ciò che concerne l'arresto di Mladic, impegno che la Serbia tarda a soddisfare. Nel questionario che sarà presto spedito a Belgrado, la Serbia dovrà rispondere sui progressi fatti per rispettare i criteri politici ed economici preliminari a una sua adesione all'Ue, come la lotta alla corruzione e l'instaurazione di rapporti diplomatici con il Kosovo.

Come ha fatto notare Štefan Füle, il commissario europeo incaricato dell'allargamento, l'appoggio che la Serbia ha ottenuto da parte delle autorità europee è proporzionale alle attese di queste ultime nei confronti di Belgrado.

L'euforia, dunque, avrà breve durata. Se non vuole restare un'eterna promessa, Belgrado farà bene a mettersi al lavoro senza perdere altro tempo. Bisognerà infatti intraprendere profondi e radicali cambiamenti, a prescindere da quanto difficili si riveleranno.

Dopo le spiacevoli esperienze di Bulgaria e Romania, Bruxelles ha ribadito che la Serbia non potrà entrare nell'Ue dalla porta di servizio. L'Unione europea non abboccherà a un altro bluff.

(traduzione di Anna Bissanti)

Dove sarebbero andate esposte le opere di Ivan Mestrovic ...

... se non ci fosse stata la Jugoslavia? Era una domanda che qualcuno, a suo tempo, si poneva. Infatti ecco, oggi 19.10.2010 sono stato vedere la Mostra del Centenario al Vittoriano di Roma, intitolata "Roma verso il 2011". Tra i documenti esposti ho visto la rivista "Panorama" del 1911, aperta alla pagina dedicata all' arte slava nel padiglione serbo all' Esposizione internazionale d' arte a Roma, 1911. Eh si, giacche' non esisteva ancora la Jugoslavia, anche Mestrovic fu indicato come artista serbo.
Allego qui l' articolo apparso su "Il Messaggero" del 1911. Ieri in Jugoslavia, oggi in tutte le ex Repubbliche jugoslave si trovano opere d' arte di questo maestro originario dalla Dalmazia interna. Primeggiano senz' altro il mausoleo al Milite ignoto sul monte Avala vicino Belgrado, il Vincitore sul Kalemegdan di Belgrado e, sulla cima più alta del monte Lovcen in Montenegro, il mausoleo a Petar Petrovic-Njegos.

Ivan per CNJ-onlus

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http://mestrovic.kkz.hr/web_redizajn/ART-srppavilj.htm

Il padiglione della Serbia

"Il Messaggero", Roma 11 aprile 1911

Se è vero che in tutti gli atti e le idee vi sia un punto culminante che adombra ed identifica il miracolo, ecco, il miracolo di Valle Giulia è questo: il padiglione della Serbia. Certamente i visitatori di questa esposizione internazionale, dotti ed indotti, riporteranno nel padiglione serbo le impressioni più profonde e indimenticabili.
Qui storia e leggenda vivono insieme – prodigio inatteso ai nostri tempi – a formare l'epopea palpitante, quale dovette essere nell'antichissima Ellade, quando dal loro connubio nacque, e in organismo vivo e contemporaneo, il paganesimo puro. Di tutto ciò noi supponevamo e favoleggiavamo: oggi è sotto gli occhi nostri un caso moderno di questa vera realizzazione dell'ormai irrealizzabile.

Cosa son mai davanti a ciò le tragedie, i poemi mitologici od epici che noi sentiamo adesso con uno spossante ed imponente sforzo cerebrale?
Qui si vede, qui si tocca con mano come la nostra civiltà, già troppo lontana da ciò che fu a' tempi eroici, deve aver il coraggio di rinunziare definitivamente alla loro reincarnazione; che ci riesce muta o grottesca: manierata ed insensata sempre.
Dio mio, che sgomento a dover fissare in brevi e frettolose note ciò che meriterebbe un libro ed un libro che fosse poema! Ah, lasciatemelo dire sotto l'impressione immediata e col coraggio di chi non ha paura a riconoscer se stesso; noi tutti del bacino mediterraneo occidentale e di quello nord-atlantico, noi tutti civili e liberi siam gente troppo dotta, vissuta, raffinata: scienza, coscienza e civiltà hanno finito per deprimere, livellare, distruggere naturalezza, subcoscienza, sensibilità; siamo davanti a costoro, come una stirpe di signori che ha lineamenti aristocratici e finezze di esperienza, ma non ha più né muscoli, né volontà, siamo una gente che scende per l'altro dell'altro versante della montagna della storia e della vita, mentre costoro si arrampicano su per il versante opposto con una violenza inaudita.
Oltre a ciò la meravigliosa esposizione, così povera di dottrina e così ricca di forza, ispirazione e passione, ha due caratteri, uno frequente, sebbene non troppo, e l'altro che è unico. Ha il carattere nazionale evidentissimo che elimina ogni idea di conglomerati e di antecedenti: ed ha poi un vero e proprio – tanto più prezioso per quanto meno voluto – carattere politico: una orma costante di rivolta e speranza, di dolore e d'odio, che potrebbe far fremere (io faccio qui esame d'arte e posso parlar sincero) i vani tentativi di rinnovamento cerebrale, scolastico, accademico, privi di un contenuto nazionale, deboli di vita, di un'altra mostra assai vicina a quella della Serbia.
Il grande regno di Dusciano, re e zar dei Serbi e dei Greci, conquistatore dei Balcani. Il di cui impero nel secolo XIV scendeva fino al mare Adriatico, fu pari a quello di Alessandro il Macedone e di Napoleone il Grande, così nelle vittorie, come nella sua fine prematura.
Il regno dei Nemagna cade nella fatale battaglia di Kosovo (1389). Ecco l'invasione turca che poi si stende in Croazia ed Ungheria: e comincia il martirio del popolo serbo, durato quattro secoli. Furono i primi, i serbi, i più vicini, i più ferocemente trattati dalle barbarie arabe prima e poi mongoliche e tartare.
Pochi esempi vi sono di popoli eroici e liberi trattati con più crudele signoria. Il sangue che si versava ogni giorno sui pali, sotto le mannaie, nelle terre spopolate, deserte, ogni gloriosa traccia del passato distrutta a ferro e fuoco, le fanciulle violate, rapite, l'armata dell'oppressore composta ormai di uomini che da fanciulli erano stati rubati alle madri serbe per poi essere scristianizzati ed evirati, tutto questo inferno di secoli avrebbe distrutto qualunque nazione non fosse stata fortissima: ma non riuscì a distruggere l'invitta Serbia.
Dove il miracolo fu compiuto dalla poesia, frutto, a sua volta, delle mirabili energie della razza. I canti nazionali serbi, che quel popolo rassomiglia ai canti di Omero, conservarono lo spirito nazionale, prepararono la rivincita.
I cantori di gusle: vecchi, ciechi, povera gente inerme, condotta a mano da fanciulletti scalzi, per quattro secoli ricantarono nella più schietta lingua, nella forma più commovente le leggende della gloria e del dolore. Le gesta dei re magnanimi fino alla morte del grande Dusciano, la tragedia di Kosovo con la fine di Lazaro, ultimo zar, e la morte grandiosamente eroica della Niobe serba, la madre dei nove figli Jugovici, che non pianse nemmeno dinanzi ai cadaveri degli otto figli sgozzati, ma si spense di angoscia quando i corvi le gettarono in grembo la mano troncata del suo ultimo nato; tutto cantarono i guslari, aggiungendovi l'epopea di Marko Kraljevic, l'eroe nazionale, il Sigfried serbo, figlio di re, gigante di corpo, fanciullo d'animo, che accorrendo dovunque, come un arcangelo, sul suo grande cavallo nero, libera fanciulle, debella mostri, combatte infedeli, tracanna fiumi di vino, esuberante di vita e di gioia, e s'addormenta infine nell'antro fatato delle Villi dei monti, conficcando nella rupe la spada favolosa che lo risveglierà da morte soltanto nel dì della riscossa.
E la battaglia di Kosovo fu vendicata. Guai a quella nazione moderna, civile od incivile, che volesse nuovamente allungare la mano sacrilega su la indipendenza della Serbia! Son pochi: ma pronti a tutto. Le rivolte albanesi, in cui freme un medesimo dolore, possono darne un esempio.
La figura di Marko Kraljevic, famigliarizzata dalla passione patriottica del popolo serbo e al tempo stesso sovrannaturalizzata, è una delle più belle e vive incarnazioni svoltesi lungo il corso del Danubio e dei secoli, della figura del paladino errante dell'eterno eroe di Roncisvalle, simbolo della magnanimità e del valore. Ma io mi accorgo di essermi troppo trattenuto su ciò che è il contenuto nazionale, etnico e passionale della mostra serba: della quale avrei piuttosto dovuto parlare.
E non me ne dolgo. Un soffio di poesia e di fede è sempre la più alta espressione e celebrazione delle forti intenzioni e delle grandi opere. Parleremo in seguito con qualche particolare di ciò che vi è di più mirabile in codesto padiglione, dove il disegno è ancora – quasi sempre – primitivo, ma la colorazione è violenta e l'espressione è tragica e potentissima sempre.
Nel bel padiglione, che arieggia all' esterno e all'interno, un tempio neoegiziano, stanti i caratteri specifici dell'architettura locale, trionfa fra tutti Ivan Mestrovic: un giovine dall'aspetto dolce e pensieroso, quasi umile, vicino alla caratteristica voluttuosa bellezza slava della sua signora che, nelle linee del volto e negli occhi, ricorda un poco la regina Elena.
Ivan Mestrovic è il Giotto serbo: ed egli, come quasi tutti gli artisti suoi connazionali, ha avuto la eccezionale fortuna di poter immergere la sua nativa e vigorosa ingenuità artistica nel flusso della piena civiltà circostante; quindi il miracolo! Ivan Mestrovic quindici anni a dietro pasceva le greggi su le balze della Dalmazia: ed oggi è più e meglio che un Giotto, un Michelangelo quasi, ancor tarsognato ed informe, ma che dove tocca con la sua stecca o batte col suo scalpello crea una vita formidabile e sempre nuova. Egli giganteggia nella mostra, tutta pervasa dall'opera sua, con la quale sono stati costruiti i frammenti, le materie prime ed essenziali di quel gran Tempio del Kosovo che presto sorgerà, ricordo della stirpe e della risurrezione, monumento gigantesco e perenne come quello di Vittorio Emanuele a Roma.
La mano di questo improvviso aedo nazionale dello scalpello, di questo nuovo Omero della pietra, questo creatore di mondo sparito – al quale, tenendo conto della sua abbondanza e della sua potenza, le associazioni artistiche internazionali, il comitato, la cittadinanza devono e renderanno certamente onori eccezionali ed indimenticabili, perchè sarà egli uno dei trionfatori nelle mostre del 1911 – sollevò l'enorme statua ignuda di Marko Kraljevic sopra un membruto cavallo danubiano di quelli che le legioni di Traiano riportarono e che prevalsero nella scultura dell'Impero. E impone stupore e terrore questo grandioso simulacro dell'ira nazionale e delle forze indomite frementi e giubilanti che scossero e atterrarono il Moloch asiatico, tiranno della intera Jugoslavia.
All'appello del Mestrovic, dissotterrante atletiche divinità mai viste e plasmante innumeri genti, come coloro che effigiarono la potenza di Roma diffusa per tutto il mondo conosciuto, accorse una schiera di giovani forze, serbi e croati, figli di una madre comune e parlando una stessa lingua, che han voluto e saputo aiutarlo a creare l'arte nazionale, sempre con la stessa ingenuità e spesso con identico vigore, ed a fissare in perpetuo la storia della razza, l'epopea del passato.
Ma – e con molto dispiacere – devo qui fermarmi.
Un'altra volta parleremo singolarmente delle opere migliori, vale a dire di quasi tutte.
(.....)

G.D.