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Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma" <comitatoantifasc_pr @ alice.it>Data: 31 gennaio 2010 14:50:49 GMT+01:00Oggetto: iniziative antifasciste a Parma il 10 e l'11 febbraio 2010 in alternativa al "giorno del ricordo"L'11 febbraio a Parma al cinema "Astra" (p.le Volta) quinta edizione della manifestazione antifascista promossa dal Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma alternativa alla "Giornata del ricordo delle vittime delle foibe". Alle 21 il giornalista e saggista Franco Giustolisi, che nel '94 scoprì l' "armadio della vergogna", parlerà su: "L'armadio della vergogna, disinformazione, Costituzione", seguirà il prof. Gorazd Bajc, storico, docente presso l' Università del Litorale a Capodistria e coautore del libro "Foibe" (Einaudi 2009), sul tema: "Il problema foibe e il confine italo-jugoslavo". Alle 22.15 saranno proiettate sequenze del filmato della BBC "Fascist Legacy" ("Il lascito fascista") sui crimini dell'Italia fascista in Jugoslavia.Il 10 febbraio a Parma in largo Tito (piazzetta della periferia sud est della città su via Budellungo) si terrà dalle 12 alle 13 un presidio democratico antifascista per ribadire il grande valore della Resistenza e della lotta armata jugoslava contro il nazifascismo guidata da Tito.
il 10 febbraio in Italia è dal 2004 la “giornata del ricordo delle vittime delle foibe”
Quando l’Italia riconoscerà i crimini del fascismo in Jugoslavia?
dopo le “scuse” di Berlusconi a Gheddafi per l’occupazione coloniale italiana della Libia
Vittime delle foibe, al confine nordorientale, nel settembre-ottobre 1943 e nel maggio 1945 sono state alcune centinaia di italiani, in gran parte militari, capi fascisti, dirigenti e funzionari dell’amministrazione italiana occupante la Jugoslavia, collaborazionisti. Si è trattato, nel complesso delle cinquecento,seicento vittime, di atti di giustizia sommaria, di vendette ed eccessi, per mano di partigiani jugoslavi, derivanti dall’odio popolare e dalla rivolta nei confronti dell’Italia fascista. Sulla base degli studi storici, questi tragici fatti non hanno assolutamente avuto le dimensioni che destre e fascisti vogliono far credere, né si è trattato di un’operazione organizzata e programmata dall’alto del vertice jugoslavo di Tito.
Violenza di gran lunga maggiore, sistematica e pianificata, precedente, usata per costruire l’ impero sull’Adriatico, è stata l’aggressione e l’occupazione della Jugoslavia da parte del fascismo. A partire dal 1920, azioni delle squadracce contro centri culturali, sedi sindacali, cooperative agricole, giornali operai, politici e cittadini di “razza slava”, poi, nel ventennio, la chiusura delle scuole slovene e croate, il cambiamento della lingua e dei nomi, l’italianizzazione forzata, quindi, dalla primavera del ’41, la guerra d’aggressione alla Jugoslavia e l’occupazione di suoi vasti territori. E con la guerra la distruzione di interi villaggi sloveni e croati, dati alla fiamme, il massacro di decine di migliaia di civili, i campi di concentramento. “Si ammazza troppo poco in Jugoslavia” affermava nel 1942 il generale Mario Robotti, comandante dell’XI Corpo d’Armata italiano in Slovenia e Croazia. Questo spiega la rivolta contro l’Italia fascista, lo sviluppo impetuoso del movimento partigiano guidato da Tito, la grande lotta antifascista e antinazista nei Balcani. E nessuno degli oltre 700 – tanti sono stati secondo la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra – criminali di guerra italiani, a cominciare dai generali Roatta e Robotti, è stato mai condannato né estradato e consegnato alle autorità jugoslave.
Enorme è stato il tributo jugoslavo alla guerra contro il nazifascismo: su una popolazione di 18 milioni di abitanti dell’intero Paese, furono al comando di Tito 300.000 combattenti alla fine del ’43 e 800.000 al momento finale della liberazione, 1.700.000 furono i morti in totale, sul campo 350.000 i partigiani morti e 400.000 i feriti e dispersi. Da 400.000 a 800.000, ovvero da 34 a 60 divisioni, furono i militari tedeschi e italiani tenuti impegnati nella lotta, con rilevanti perdite inflitte ai nazifascisti.
Alla Resistenza jugoslava si unirono, l’indomani dell’8 settembre ’43, quarantamila soldati italiani, la metà dei quali diedero la vita in quell’epica lotta nei Balcani; accolti come fratelli dalle popolazioni jugoslave, essi, col loro sacrificio, riscattarono l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata. A questi italiani devono andare il ricordo e la riconoscenza della Repubblica democratica nata dalla Resistenza.
11 febbraio 2010 Parma cinema “Astra” (p.le Volta)
ore 21 conferenza
di Franco Giustolisi autore de “L’armadio della vergogna”
e Gorazd Bajc storico, Università del Litorale-Capodistria
ore 22.15 proiezione di sequenze di “Fascist Legacy”
filmato inglese della BBC sui crimini dell’Italia fascista in Jugoslavia
COMITATO ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA – PARMA - comitatoantifasc_pr@...
L’annunciata drastica riduzione del contingente Kfor (compresa la prevista diminuzione del contingente italiano da duemila unità a cinquecento), attuata in risposta alle richieste Usa di un maggiore impegno nella guerra in Afghanistan, rischia di alimentare ulteriormente il dramma che da oltre un decennio vivono le popolazioni di Kosovo e Metohija, che in questo modo si vedrebbero abbandonate al proprio destino.
Preoccupati della sorte dei villaggi serbi che da più di dieci anni vivono sotto protezione, isolati, ghettizzati, minacciati dalle frange estremiste e violente del terrorismo ex Uck oggi al potere… preoccupati per la sorte dei monasteri ortodossi, patrimonio culturale dell’umanità intera, la cui distruzione è stata tentata e realizzata con la perdita definitiva di circa 150 monasteri della regione… con la reale possibilità che un popolo intero, che da secoli abita il Kosovo e Metohija scompaia definitivamente dalla propria terra, ci appelliamo:
a personalità della politica, della cultura, dell’arte e a tutte quelle associazioni del pacifismo militante, che da anni si sono impegnate per ristabilire la verità storica di quanto accaduto nella ex Jugoslavia e in Kosovo e Metohija, in totale contrasto con quanti hanno di fatto cooperato al distacco definitivo del Kosovo dalla Serbia e della comunità serba dal Kosovo, affinché:
- di fronte alla situazione venutasi a creare in questi anni nel Kosovo e Metohija, di fatto controllato e governato da clan malavitosi retti da ex criminali di guerra che hanno impedito lo sviluppo di ogni possibilità di dialogo fra le parti in causa, l’Italia faccia un passo indietro e si pronunci contro la proclamazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, in questi giorni in discussione presso la Corte di Giustizia internazionale;
- si denunci con forza che in questo momento storico, senza che si siano realizzate le condizioni minime e sufficienti a preparare il terreno per un ritiro totale delle truppe, la drastica diminuzione del contingente italiano in Kosovo e Metohija, posto a garanzia della minoranza serba e dei monasteri Ortodossi, abbandonerà a se stesse tutte le realtà “resistenti” nella regione, fatte di villaggi abitati da serbi e poche altre etnie (compresi quegli albanesi non collusi con mafia e terrorismo), da monasteri e cimiteri ortodossi, patrimonio culturale e artistico dell’umanità;
- si lavori affinché tutte le parti in gioco nel Kosovo, comprese le confessioni religiose, tornino a recitare il proprio fondamentale ruolo nel rispetto dei diritti di tutti;
- si arrivi alla istituzione di una commissione internazionale che verifichi la situazione delle proprietà abbandonate dalla popolazione serba in fuga, per poi procedere alla restituzione del patrimonio ai profughi, perché questi possano rientrarne in possesso, smascherando chi se ne è illegalmente impossessato.
Tutto questo perché si possa restituire il territorio del Kosovo e Metohija a tutti coloro che, da sempre, in quel territorio hanno convissuto.
A nostro avviso, il ruolo dell’Italia potrà tornare determinante, come lo fu per la sciagurata scelta dell’intervento armato. E, per una volta, potremo essere d’accordo.
“Non vi crediamo!”- Un giornale economico tedesco mette in discussione l’11/9
La rivista economica tedesca «Focus Money» (N. 2 / 2010), affronta una narrazione dettagliata sull’11/9 e mette radicalmente in discussione la versione ufficiale. Stiamo parlando del secondo settimanale economico della nazione economicamente più forte dell’Europa, un magazine edito da un colosso dell’editoria tedesca, il gruppo di Hubert Burda.
Il signor Burda è un insigne esponente della superclasse globale, un editore-intellettuale di primissimo piano nell’establishment germanico: è leader della VDZ, la “confindustria degli editori”, nonché cofondatore dell’analogo sindacato su scala europea, ma è anche membro del Consiglio del World Economic Forum e ha partecipato perfino a riunioni dell’esclusivo Club Bilderberg.
L’uscita di questo articolo - http://www.focus.de/finanzen/news/terroranschlaege-vom-11-september-2001-wir-glauben-euch-nicht_aid_467894.html - è dunque degna di attenzione: è la prima volta che un giornale così ben inserito nelmainstream occidentale si cimenta nel raccontare in modo talmente critico i lati più scomodi dell’evento che ha dato l’impronta al secolo, l’11 settembre.
«Focus Money», espone la maggior parte degli argomenti e delle contraddizioni cruciali in cinque pagine patinate. Tra le altre questioni affrontate, l’articolo suppone che il crollo del World Trade Center possa essere stata una demolizione intenzionale.
Inoltre, l’articolo solleva seri dubbi circa la “follia” attribuita alle personalità critiche, che di solito vengono stigmatizzate come “teorici del complotto”. La rivista ricorda che «non si tratta solo di politici seri che non vogliono più credere alla versione ufficiale», bensì anche, «di migliaia di scienziati che mettono in discussione l’11/9».
L’autore dell’articolo è Oliver Janich. Lavora come giornalista d’inchiesta freelance per «Financial Times Deutschland», «Sueddeutsche Zeitung», «Euro&Finance» e ha una rubrica fissa per «Focus Money».
Nel suo blog - http://www.oliverjanich.de/ - Janich spiega che ha lottato molti anni per convincere la redazione della necessità di pubblicare queste cinque pagine. Si chiede sommessamente perché il mainstream resista, e prova a rispondere: non è necessaria una grande congiura dei media per impedire che si pubblichi questo tipo di storie, soprattutto per i grandi eventi. Ogni redattore, secondo Janich, ha il timore di incappare nella vergogna di ripetere l’infortunio dei falsi diari di Hitler, che nel 1983 danneggiò enormemente il settimanale «Stern». Janich descrive questa riluttanza dei colleghi, dovuta proprio alla grandezza dell’evento, finché, guardando ai fatti, i colleghi ammettono che è sbagliato non porsi dubbi. E così nasce anche l’articolo sull’11/9.
La prima pagina dell’articolo mostra le foto di personalità scettiche sull’«11/9 “ufficiale”», tra cui Charlie Sheen, Sharon Stone, Rosie O’Donnell, William Rodriguez (accanto a George W. Bush), l’ex governatore Jesse Ventura, Richard Gage, il giudice federale tedesco Dieter Deiseroth e molti altri.
Il resto dell’articolo è denso di accenni a molte informazioni. La prova di una demolizione controllata degli edifici, la critica della teoria dell’incendio, le domande sugli intercettori, sull’Edificio 7 del WTC e sul Pentagono. Si parla delle “manovre di volo impossibili,” delle dimissioni del senatore Max Cleland, che viene citato nel dire «È una truffa, uno scandalo nazionale», sdegnato dalla marea di menzogne alla Commissione, che hanno ostacolato le indagini. Si fa anche cenno alla misteriosa morte di Barry Jennings - http://pino-cabras.blogspot.com/search?q=barry+jennings -, un alto funzionario del Dipartimento dei Servizi di emergenza della città di New York. Era un testimone chiave dei fatti accaduti all’Edificio 7. Ancora ricoperto di polvere, Jennings aveva rilasciato un’intervista in diretta alla ABC e poi più avanti nel tempo per il documentario “Loose Change Final Cut” - http://lc911finalcut.com/ - diretto da Dylan Avery.
Appena pochi mesi fa, ai primi di settembre, c’era stato già un articolo - http://www.911video.de/news/020909/ - corretto e bilanciato sull’11/9 in un settimanale TV tedesco.
Le ragioni della pubblicazione dell’articolo di «Focus Money» sono da comprendere. Può darsi che la redazione abbia autonomamente deciso di pubblicare una storia in sé interessante, che ormai anche per una testata giornalistica di quella dimensione risulta difficile “regalare” ai media “alternativi”. E quindi potrebbe essere un caso legato a scelte commerciali contingenti.
Non si può ignorare però che la pubblicazione ricade in un momento in cui ha ripreso vigore tutta la retorica legata ad al-Qa’ida, sull’onda dello strano pseudo-attentato di Mutanda Boom sul volo Amsterdam-Detroit. Quella retorica è usata a piene mani dall’Amministrazione USA per sostenere un rinnovato sforzo bellico in Afghanistan. La Germania, troppo militarmente coinvolta in quell’area e assai riluttante a esporsi con ulteriori soldati, potrebbe essere interessata a iniziare a screditare il racconto di fondo, a partire proprio dall’11/9. Qualcosa di simile è accaduta in Giappone con il cambio della guardia nel governo, laddove il Partito Democratico giapponese sfida apertamente la versione ufficiale del governo USA sui fatti dell’11/9 e ne mette in discussione la capacità di giustificare l’intervento in Afghanistan.
Può quindi accadere che le redazioni si sentano più libere di riportare i dubbi che non avevano mai osato pubblicare prima, perché temevano la catena di domande radicali che si trascinavano con sé sulla struttura del potere. Anche in seno alle classi dirigenti forse si apre qualche dibattito sul destino del mondo e sulle soluzioni non solo militari.
L'articolo pubblicato da «Focus Money»: http://www.focus.de/finanzen/news/terroranschlaege-vom-11-september-2001-wir-glauben-euch-nicht_aid_467894.html.
Vedi anche: luogocomune.net e zerofilm.info.
Versione in spagnolo: http://www.megachipdue.info/finestre/zero-11-settembre/2318-qino-os-creemosq-un-periodico-economico-aleman-pone-en-discusion-el-119.html
WIR GLAUBEN EUCH NICHT!
Die Webseite www.patriotsquestion911.com zählt inzwischen rund 2000 Universitätsprofessoren, Militärs, Piloten, Polizisten, Architekten, Ingenieure, Physiker, Geheimdienstexperten, Richter und Prominente auf, davon allein 400 Wissenschaftler – ohne dabei selbst Stellung zu beziehen. Mit Francesco Cossiga haben auch ein Ex-Präsident Italiens und mit dem Schriftsteller Dario Fo ein Nobelpreisträger Zweifel an der offiziellen Theorie von George W. Bush. Sind diese Menschen, denen sonst in ihren Berufen eine hohe Glaubwürdigkeit zugebilligt wird, denen zum Teil Menschenleben anvertraut werden, alle verrückt geworden? Was unterscheidet diese besorgten Bürger von jenen, die alle, die nicht an die offizielle Version glauben, für verrückte Verschwörungstheoretiker halten? Sie haben sich mit den Fakten beschäftigt, von denen in den traditionellen Medien kaum die Rede ist.
Das dritte Newton´sche Gesetz. „Masse geht immer den Weg des geringsten Widerstands“, hatte der berühmte Physiker schon vor mehr als 300 Jahren erkannt. Es ist noch nicht einmal möglich, ein Streichholz von oben nach unten zusammendrücken. Es knickt an der Stelle ab, an der es zuerst nachgibt. Ähnlich wie ein Baum zur Seite fällt, wenn mit der Axt eine Kerbe hineingeschlagen wird. Das heißt: Wo immer der Stahl durch den Aufprall des Flugzeugs zuerst nachgegeben haben mag, auf diese Seite hätte das Gebäude fallen müssen.
„Stellen Sie sich eine ganz einfache Frage: Warum bot der untere Gebäudeblock überhaupt keinen Widerstand für den weit kleineren oberen Gebäudeteil?“, fragt der Architekt Richard Gage. „Die Türme beschleunigten ohne Unterbrechung in freier Fallgeschwindigkeit, weich und symmetrisch, als ob die unteren 90 Stockwerke überhaupt nicht existierten. Der einzige Weg, das zu Stande zu bringen, ist eine kontrollierte Sprengung.“ Die Regierungsbehörde NIST, die für die Untersuchung der Zusammenbrüche zuständig ist, hat die Möglichkeit einer kontrollierten Sprengung aber gar nicht in Betracht gezogen. Die kuriose Begründung: Kontrollierte Sprengungen beginnen normalerweise von unten im Keller. Jedoch hat der Hausmeister William Rodriguez genau solche Sprengungen in den unteren Stockwerken bei mehreren Gelegenheiten unter anderem in Jesse Venturas Serie bezeugt.
Ventura selbst änderte seine Meinung erst, als ihn sein Sohn überredete, den Film „Loose Change“ anzuschauen, der im Web inzwischen über 100 Millionen Mal abgerufen worden sein soll. Filme wie „Zero“ des italienischen Europa-Abgeordneten Giulietto Chiesa oder „911 Mysteries“ wurden inzwischen auch im ORF oder auf Vox gezeigt. Venturas Serie „Conspiracy Theorie“ ist auf Ted Turners Kabelsender TruTV zu sehen. Auch der Hollywood-Produzent Aaron Russo („Die Glücksritter“) beschäftigte sich in seinem Dokumentarfilm „America: From Freedom to Fascism“ mit den Hintergründen von 9/11. Alle Filme sind bei Google-Video abrufbar.
Architects and Engineers for 911 Truth. Der Architekt Richard Gage bestreitet zudem, dass Feuer die drei Wolkenkratzer zum Einsturz brachte: „Feuer in Wolkenkratzern haben noch niemals Stahlgebäude zum Einsturz gebracht.“ Gage ist seit zwanzig Jahren Architekt und hat dabei zahlreiche feuersichere Stahlgebäude errichtet. Zuletzt arbeitete er an einem 400-Millionen-Euro-Projekt, bei dem 1200 Tonnen Stahl verbaut wurden. Er hat die Bewegung Architects and Engineers for 911 Truth (ae911truth.org) gegründet, der sich inzwischen knapp tausend Architekten und Ingenieure und 5000 weitere Unterstützer angeschlossen haben. „Der Zusammenbruch der Twin Towers und von World Trade Center 7 erfüllt alle Kriterien einer kontrollierten Sprengung, aber kein einziges Kriterium für einen Einsturz auf Grund von Feuer“ erklärt Gage (siehe Kasten links). Er verweist auch auf die zahlreichen Beweise für Sprengungen. „Wir haben Tonnen an geschmolzenem Stahl gefunden. Stahl schmilzt erst bei 3000 Grad Fahrenheit, Kerosin und Bürofeuer erreichen maximal 1400, vielleicht 1600 Grad Fahrenheit.“
Laut Gage ist die Wahrscheinlichkeit dafür, dass die Feuer exakt gleichzeitig alle tragenden Teile schädigten, gleich null. Aber selbst wenn die Wahrscheinlichkeit beispielsweise bei zehn Prozent läge, ist zu bedenken, dass an diesem Tag drei Gebäude symmetrisch in sich zusammenstürzten. Die Wahrscheinlichkeit dafür, dass das dreimal am selben Tag passiert, wäre dann 0,1 (zehn Prozent) mal 0,1 mal 0,1 mal 100, also 0,1 Prozent. Mit anderen Worten: Selbst wenn man die Chancen für so ein Ereignis vergleichsweise hoch einschätzt, liegt die Wahrscheinlichkeit dafür, dass die offizielle Theorie falsch ist, bei 99,9 Prozent. Menschen neigen dazu, Wahrscheinlichkeiten falsch einzuschätzen, wenn sie die vermeintliche Ursache – den Flugzeugeinschlag – zu glauben kennen. Das World Trade Center 7 stürzte ebenso in fast freier Fallgeschwindigkeit zusammen wie WTC 1 und 2. Der Unterschied: Es schlug überhaupt kein Flugzeug ein. Videos vom Einsturz dieses Gebäudes verbreiteten sich schnell im Internet. Die einzig logische Erklärung für so einen Zusammenbruch wäre eine Sprengung (siehe Kasten).
Scholarsfor911truth. Wissenschaftler wie Steve Jones wollen sogar den Sprengstoff gefunden haben. Der Physiker war Professor an der Brigham Young University. Als er begann, die Organisation scholarsfor911truth (www. www.st911.org, Akademiker für 911-Wahrheit) aufzubauen, wurde er von der Universitätsleitung dazu gedrängt, in Frühpension zu gehen. Professor Jones und andere, darunter auch der dänische Wissenschaftler Dr. Niels Harrit, haben 20 Proben aus dem Staub des World Trade Center untersucht und dabei klare Spuren von Nanothermit gefunden – einem Sprengstoff, der bisher nur vom Militär benutzt worden sein soll.
Zahlreiche Feuerwehrmänner und Rettungssanitäter bezeugten Explosionen. „Es war, als wenn es explodierte ... als ob sie geplant hätten, ein Gebäude zu sprengen, boom, boom, boom“, erzählte der Feuerwehr-Captain Dennis Tardio Kollegen, während er von einem Team gefilmt wurde. Der Rettungssanitäter Daniel Rivera wird noch konkreter: „Es war wie eine professionelle Sprengung, wo sie Sprengkörper auf bestimmten Etagen anbringen: pop, pop, pop.“ Gelegenheiten, die Bomben zu platzie-ren, gab es zahlreiche. Ben Fountain, der als Finanzanalyst im Südturm arbeitete, berichtete, „in den Wochen zuvor gab es zahlreiche unbegründete und ungewöhnliche Übungen, bei denen Sektionen von beiden Zwillingstürmen und WTC 7 aus Sicherheitsgründen evaku-iert wurden“.
Das Problem: Der damals zuständige Oberstaatsanwalt von New York, Eliot Spitzer, verweigerte eine gerichtliche Untersuchung. In den USA gibt es noch die Möglichkeit, einen Zivilprozess auf Schadensersatz anzustrengen. Zahlreiche Opferangehörige versuchen bis heute, diesen Weg zu gehen. Eine Gruppe wurde dabei von Stanley Hilton vertreten, der Berater des republikanischen Präsidentschaftskandidaten Bob Dole war. Die Klage gegen George W. Bush, Dick Cheney und weitere wurde 2004 auf Grund der Immunität der Amtsträger – nicht auf Grund mangelnder Beweise – abgewiesen.
Stand-down-Order. Ein Prozess könnte zum Beispiel auch klären, warum die Abfangjäger am Boden blieben (siehe Kasten links). Laut Zeugen gab Dick Cheney eine sogenannte Stand-down-Order, also den Befehl an die Abfangjäger, auf keinen Fall abzuheben. So lassen sich die Aussagen des Verkehrsministers Norman Mineta und von Sergeant Lauro Chavez interpretieren, der am 11. September Dienst hatte. Ein Staatsanwalt hätte die Möglichkeit, die Dienstpläne einzusehen und alle an diesem Tag anwesenden Personen unter Eid aussagen zu lassen.
Die 9/11-Kommission ersetzt keine gerichtliche Untersuchung. Senator Max Cleland trat mit folgenden Worten aus der Kommission zurück: „Es ist ein Betrug, ein nationaler Skandal.“ Zahlreiche Zeugenaussagen wurden einfach nicht in den Bericht aufgenommen. Andere Kommissionsmitglieder bis hin zum Vorsitzenden Thomas Kean beschwerten sich darüber, laufend von den Behörden belogen worden zu sein. Auch die Aussage von Barry Jennings erschien nie im Bericht der 9/11-Komission. Jennings war Vizedirektor des Emergency Service Department der Stadt New York. Der Mann, der am 11. September vielen Menschen im WTC 7 das Leben rettete, gab noch am selben Tag, mit Staub bedeckt, auf ABC ein Live-Interview, wonach er Explosionen gehört hatte. 2007 konkretisierte er seine Aussagen in einem Interview mit Dylan Avery, einem der Macher von „Loose Change“. Er berichtete, dass er die Explosionen bereits miterlebte, bevor der erste Zwillingsturm einstürzte, und dass die Eingangshalle entgegen der offiziellen Darstellung mit Leichen übersät war.
Mysteriöser Todesfall. Laut Avery bat ihn Jennings, das Material nicht zu veröffentlichen, weil ihm gedroht wurde, dass er dann seinen Job verlieren würde. Nachdem aber die BBC ein Interview mit Jennings veröffentlichte, das Averys Meinung nach entstellt wurde, entschied er sich, seine volle Aussage in „Loose Change Final Cut“ zu bringen. Am 19. August 2008, zwei Tage bevor die Regierungsbehörde NIST den offiziellen WTC-7-Bericht herausgab, der der Aussage von Jennings diametral entgegensteht, starb Jennings im Alter von 53 Jahren unter ungeklärten Umständen. Ein Privatdetektiv, den Avery engagierte, damit dieser Nachforschungen anstellte, brach seine Arbeit ab.
Die zahlreichen Ungereimtheiten veranlassten kürzlich sogar einen deutschen Bundesverwaltungsrichter, Dieter Deiseroth, in einem Interview mit dem Internet-Dienst Heise eine neue Untersuchung zu fordern: „Es darf in einem Rechtsstaat nicht sein, dass man auf die erforderlichen Maßnahmen der Ermittlung von Verdächtigen, ihre Dingfestmachung und eine Anklageerhebung vor einem unabhängigen Gericht verzichtet ... Interessanterweise wird Osama bin Laden vom FBI bis heute nicht wegen 9/11 gesucht.“ Das Interview schließt mit den Worten: „Das schreit geradezu nach Aufklärung.“
Die Zwillingstürme – Kontrollierte Sprengungen?
Beweise für Sprengungen
Laut der Architektenvereinigung ae911truth.org waren alle Kriterien für eine kontrollierte Sprengung erfüllt:
Die Zerstörung folgt dem Pfad des größten Widerstands.
Die Trümmerteile sind symmetrisch verteilt.
extrem schneller Beginn der Zerstörung (rapid onset)
Über 100 Zeugen berichteten von Explosionen und Lichtblitzen.
Mehrere Tonnen schwere Stahl- teile flogen vertikal heraus.
90000 Tonnen Metall und Beton wurden in der Luft pulverisiert.
sehr große, sich ausdehnende pyroklastische Wolken (siehe rechts)
keine pfannkuchenartige Aufei-nanderhäufung von Etagen
isolierte horizontale Explosionen 20 bis 40 Stockwerke tiefer
geschmolzener Stahl und Sprengstoff Thermit gefunden
Kriterien für Feuer
Drei Kriterien hätten mindestens erfüllt sein müssen, wenn das Gebäude auf Grund von Feuer einstürzte:
langsamer Beginn mit großen sichtbaren Verformungen
asymmetrischer Kollaps entlang des geringsten Widerstands
Beweis von Temperaturen, die Stahl schwächen könnten
Und: Noch nie stürzte ein Stahlhochhaus auf Grund von Feuer ein.
World Trade Center 7 – Fehler im Report
World Trade Center 7, ein 47 Stock hohes, gut gesichertes Stahlgebäude, in dem CIA und Secret Service residierten, brach etwa sieben Stunden nach den Zwillingstürmen zusammen, obwohl dort gar kein Flugzeug hineingerast war. Im offiziellen „9/11 Commission Report“ wird das Gebäude gar nicht erwähnt. Die zahlreichen Anfragen von Mitgliedern der 9/11-Wahrheitsbewegung haben aber das National Institute of Standards and Technology (NIST), eine Bundesbehörde, dazu bewegt, sieben Jahre nach dem Zusammensturz eine Studie vorzulegen. Das größte Rätsel, das die Experten zu lösen hatten, war, dass die Gebäude praktisch in freier Fallgeschwindigkeit zusammenbrachen. Normalerweise bieten die jeweiligen Etagen einen Widerstand, sodass das Gebäude viel langsamer hätte zusammenfallen müssen. Nach offizieller Lesart beschädigten herabfallende Trümmerteile der Zwillingstürme das Gebäude. Allerdings ist WTC 7 circa ein Fußballfeld weit entfernt, und es sind auf den Aufnahmen keine erheblichen Schäden erkennbar. Zudem hätte das Gebäude dann auf die Seite der Beschädigungen und nicht in sein eigenes Fundament fallen müssen. Die Lösung, die NIST dann lieferte, führte zu Ausbrüchen von Heiterkeit bis Entsetzen in der Wahrheitsbewegung. „Lächerlich“, „totaler Bullshit“, das waren noch die höflichsten Kommentare.
Die offizielle Version geht so: Innerlich wäre das Gebäude schon 30 Minuten lang zusammengebrochen, und am Schluss kam die Außenhaut in freier Fallgeschwindigkeit runter – ein noch nie da gewesener Vorgang. Wissenschaftler der Truther-Gemeinde verfassten seitenlange Studien, in denen sie Detail um Detail der offiziellen Studie in Frage stellten. Keine dieser Fragen wurde bislang beantwortet, die vollständigen Daten des benutzten Computermodells bleiben geheim. Nur ein Beispiel der Widersprüchlichkeiten im NIST-Report: Es werden Temperaturen für 5.30 und 6.00 Uhr nachmittags auf den Etagen angezeigt. Das Gebäude brach aber schon um 5.21 Uhr zusammen.
Pentagon-Crash – Unmögliche Flugmanöver
Über 200 Piloten und Luftfahrtexperten zweifeln die offizielle Version an. Piloten der Vereinigung „Pilots for 911 Truth“ (http://pilotsfor911truth.org/) sagen, es sei unmöglich, mit einer Boeing so ein Manöver durchzuführen, um das Pentagon zu treffen. Captain Russ Wittenberg, der 35 Jahre lang für PanAm und United Airlines arbeitete, sagte: „Ich flog beide Flugzeugtypen, die am 11. September eingesetzt wurden. Die Flugzeuge sollen ihr Geschwindigkeitslimit um über 100 Knoten überschritten und Hochgeschwindigkeitskurven geflogen haben, bei denen 5, 6, 7 G auftraten. Und das Flugzeug hätte buchstäblich aus der Luft fallen müssen. Ich könnte das nicht, und ich bin absolut sicher, sie konnten es nicht.“. Die Piloten stellen auch in Frage, ob jemand, der auf einer Cessna übt, überhaupt eine Boeing fliegen kann. Zumal die Fluglehrer berichten, dass es sich um miserable Piloten handelte, einer konnte gar nicht fliegen. Viele Piloten bezweifeln sogar, dass es möglich ist, die Twin Towers in voller Geschwindigkeit zu treffen, zumal eines der Flugzeuge mitten in einer Kurve lag. Ungewöhnlich ist auch, dass praktisch keine Flugzeugteile beim Pentagon zu sehen sind. Ralph Omholt, ein langjähriger Boeing-Pilot: „Da war kein Heck, da waren keine Flügel, keine Bestätigung für den Crash einer Boeing 757.“ Vor allem die Triebwerke aus Titanium hätten den Crash überleben müssen.
Außerdem weisen die Piloten darauf hin, dass das Loch im Pentagon viel zu klein sei. Entweder die Fenster daneben müssten zum Beispiel beschädigt sein, oder Trümmer müssten davor liegen. Nicht einmal der Rasen ist angekratzt. Ebenso verdächtig: Das Pentagon als eines der bestbewachten Gebäude der Welt ist umringt von Überwachungskameras. Das einzige Video, das der Öffentlichkeit präsentiert wurde, zeigt alles, nur keine Boeing.
Luftabwehr – Wo waren die Abfangjäger?
Eines der großen Rätsel dieses Tages ist, warum die Flugzeuge nicht abgefangen wurden, obwohl noch bis zu eine Stunde Zeit dazu war. Das Abfangen von Flugzeugen, die vom Kurs abweichen, ist reine Routine. Es passiert in den USA etwa hundertmal im Jahr. Aber im Juni 2001 wurde diese Standardprozedur geändert. Aus einem Memo an den vereinigten Generalstab (Joint Chiefs of Staff) geht hervor, dass zuerst das Verteidigungsministerium gefragt werden müsse, bevor Abfangjäger aufsteigen. Es gibt sogar Hinweise darauf, dass Dick Cheney eine explizite Stand-down-Order gab, die besagt, dass die Fighter am Boden bleiben müssen. Sergeant Lauro Chavez behauptet Folgendes: Er tat an diesem Tag Dienst im United States Central Command in Florida und war an Übungen beteiligt, die die Entführung von Flugzeugen, die ins World Trade Center, ins Pentagon und ins Weiße Haus fliegen sollten, beinhalteten. Diese Übungen sind inzwischen durch offizielle Dokumente bestätigt. Als ihm durch die TV-Bilder klar wurde, dass es ernst ist, fragte er nach, warum keine Abfangjäger aufstiegen. Als Antwort erhielt er, dass es eine Stand-down-Order gäbe.