Informazione



Da: "anpibarona" <anpibarona @...>
Data: 07 gennaio 2009 14:57:35 GMT+01:00
A: <Undisclosed-Recipient:;>
Oggetto: Non possiamo dimenticare...

A.N.P.I.  A S S O C I A Z I O N E  N A Z I O N A L E  P A R T I G I A N I  D ’ I T A L I A  
COMITATO NAZIONALE
 
Un “Ordine del Tricolore” che disordina la storia e le radici della Repubblica
Col disegno di legge n. 1360 la maggioranza parlamentare pretende di equiparare partigiani, militari e deportati ai repubblichini di Salò con un istituendo Ordine del Tricolore. La relazione che accompagna il disegno di legge sostiene infatti “la pari dignità di una partecipazione al conflitto di molti combattenti, giovani e meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e imperiale del ventennio, che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente”. Analoga operazione fu già tentata dalla destra nelle precedenti legislature, ma venne respinta: ora tenta un gravissimo colpo di forza. L’ANPI e tutte le forze politiche, sociali, culturali che si richiamano all’antifascismo e ai valori della Resistenza sanciti nella Costituzione della Repubblica non possono che opporsi al disegno di legge attualmente in discussione nella Commissione Difesa della Camera. Intendiamo denunciare questo ennesimo tentativo di sovvertire la nostra storia e le radici stesse della nostra Repubblica in una conferenza pubblica che si terrà a Roma  martedì 13 gennaio, alle ore 16, alla Camera dei Deputati - Sala del Cenacolo (Vicolo Valdina, 3/a). Interverranno: Giuliano Vassalli, Claudio Pavone, Marina Sereni, Raimondo Ricci e Armando Cossutta.

Cade la neve..  sulla nostre lapidi.. sulle teste canute dei nostri Partigiani... un fiocco di neve scende sul cuore di tutti noi... non possiamo dimenticare, non possiamo far coprire per sempre la nostra idea di Libertà, Antifascismo, Resistenza...   vi trascriviamo un breve stralcio del discorso di Don Gianfranco Bottoni al campo della Gloria di Milano nel novembre 2007.  

Ivano Tajetti.  ANPI Barona. Milano.  http://anpibarona.blogspot.com/  

...."La casa è di tutti se nessuno se ne appropria, come invece aveva fatto il fascismo e ancora potrebbe fare sotto mutate spoglie. Ma, in una società pluralista, la casa non sarebbe più di tutti neppure qualora, per tentare di risolvere problemi ancora aperti dell’unità nazionale o per guarire ferite non sanate nel nostro paese, si cadesse nella tentazione di sostituire alla “pietas” civile, che deve distinguere tra morti e morti, quella specifica di una fede particolare. Di nessuna fede. Lo dico pensando alla stessa mia fede di cristiano. Certamente in nome di questa posso essere spinto a considerare i morti tutti uguali davanti a Dio e a metterli, nella mia coscienza interiore e personale, gli uni accanto agli altri. Ma questo non mi sottrae dal senso della cittadinanza che condivido con più e diverse sensibilità nella “comune” città terrena, nella quale e per la quale non metterò mai sullo stesso piano né troverei accettabile l’idea di seppellire o di onorare gli uni accanto agli altri i caduti sugli opposti fronti della guerra di liberazione nazionale. Che gli uni e non gli altri siano sepolti e onorati in questo Campo della Gloria non è conseguenza delle ragioni di forza di cui disponevano i vincitori sui vinti. È invece la civica “pietas” ad esigerlo, perché la città libera e democratica ha tra i suoi padri soltanto coloro che hanno scelto di combattere per liberarla e restituirla alla sovranità popolare. Né qui né in altro luogo della nostra città, medaglia d’oro della Resistenza, il pur apprezzabile desiderio di promuovere la riconciliazione nazionale dovrà portarci a mettere tutti i morti sullo stesso piano, cadendo in una sorta di “relativismo della memoria”."...




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(NB. la foto che accompagnava il testo seguente ci è pervenuta non visibile)
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Da:  comitato antifascista Parma

Oggetto:  Due proposte di legge per legittimare i fascisti

Data:  08 dicembre 2008 16:20:30 GMT+01:00

A:  jugocoord


Parlamento: due proposte di legge per legittimare i fascisti


di Alessandro Perrone 

FOTO: Dietro Gianfranco Fini l'onorevole Menia in saluto romano

Il Parlamento sta affrontando due proposte di legge in cui s'intende legittimare i fascisti e collaborazionisti che tra il '43/'45 militarono al fianco dell'occupante nazista. Ciò non è una novità, purtroppo, ma visto il clima, occorre vigilare e per quanto possibile, impedire ogni colpo di spugna che mira alla riabilitazione dei fascisti vecchi e nuovi. 
 
Il Parlamento, infatti, in sede referente, ha iniziato l’esame delle proposte di legge recanti Istituzione dell’Ordine del Tricolore (C1360Barani - rel. Cirielli, PdL) ed il riconoscimento della qualifica di ex combattente agli appartenenti alla Guardia Civica di Trieste (C682Menia - rel. Holzmann, PdL). 
 
Per la cronaca, fra il serio e il faceto:
L'On. Barani (Nuovo PSI-PdL) riguardo la giornata del ricordo in premessa ad un suo intervento in Parlamento ha esordito così: "Signor Presidente, come sindaco di Villafranca in Lunigiana, ho avuto la fortuna e l'occasione - uno dei casi più unici che rari (n.d.a.: giuro ho solo copia-incollato la dichiarazione) - di erigere un monumento alla Giornata del Ricordo, rappresentato da una pietra carsica di una foiba"...... Perbacco che statista!   
Mentre l'On. Menia,  il "capellone" dietro Fini nella foto sopra, tipetto educato pare,  è immortalato mentre sta "salutando" la gente...... Detto tutto! 
  
Per quanto riguarda l'Ordine del Tricolore, l'onorificenza è proposta a coloro che hanno prestato servizio militare, per almeno sei mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e invalidi, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati e invalidi della guerra 1940-1945 titolari di pensione di guerra e agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento o di prigionia,  nonché ai combattenti nelle formazioni dell'esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-1945. 
A cui per  l’articolo 6 dovrebbe essere assegnato un vitalizio annuo, non reversibile,di euro 200 da corrispondere in un’unica soluzione entro il 31 luglio di ogni anno. 

Per quanto riguarda invece, il riconoscimento di ex combattenti agli appartenenti alla Guardia Civica di Trieste, che la storica triestina Claudia Cernigoi ha definito: "Un corpo collaborazionista triestino, che giurava fedeltà a Hitler con una formula bilingue, tedesca e italiana, e da anni alcuni dei suoi ex aderenti continuano a chiedere di essere riconosciuti come combattenti dell’esercito italiano, nonostante siano stati agli ordini del Reich nazista", la proposta è composta da tre articoli, recanti disposizioni in favore di coloro che furono arruolati nella Guardia Civica di Trieste. 
In particolare, l’articolo 1 della proposta di legge è volto a consentire in loro favore il riconoscimento della qualifica di “ex combattente”. 
Inoltre, nei confronti dei citati arruolati che abbiano riportato ferite e lesioni o contratto infermità o menomazioni psico fisiche o siano stati deportati in campi di concentramento jugoslavi o siano stati collocati in congedo illimitato per infermità conseguente ad eventuale licenza per convalescenza, l’articolo 2 della proposta di legge riconosce il diritto alla fruizione di pensioni o indennità di guerra, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla vigente normativa. 

Ai fini del riconoscimento dei citati benefici l’articolo 3 attribuisce validità alle attestazioni rilasciate dal Comando del Corpo o dall'Associazione della Guardia Civica di Trieste  (che furbata!),

Un tanto, nella speranza che questo allarme sia recepito da tutt* e divulgato il più possibile. 
  
(Alessandro Perrone) 




CORREGGIO (RE) GIOVEDI’ 29 GENNAIO 2009 ORE 20.45

CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO
Camera del Lavoro – Zona Correggio

In occasione del “Giorno della Memoria” la Camera del Lavoro di Correggio organizza 
nell’ambito della Rassegna CGILINCONTRI

GIOVEDI’ 29 GENNAIO 2009 ORE 20.45
presso sala riunioni – 2° piano – Camera del Lavoro Correggio

la Presentazione del libro

LAGER ITALIANI
Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943
casa editrice Nutrimenti, 2008 - www.nutrimenti.net 

Dopo l’aggressione nazifascista alla Jugoslavia, fra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme.
Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani. Arbe – Rab, Gonars, Visco, Monigo, Renicci, Cairo Montenotte, Colfiorito, Fraschette di Alatri sono alcuni dei nomi dei campi in cui furono deportati sloveni, croati, serbi, montenegrini e in cui morirono di fame e malattie migliaia di internati.
Una tragedia rimossa dalla memoria nazionale e raccontata in questo libro anche grazie ad una importante documentazione in gran parte inedita fatta di foto, lettere, testimonianze dei sopravvissuti.

 MATTHIAS DURCHFELD
dell’ Istituto Storico della Resistenza di Reggio Emilia

intervista

ALESSANDRA KERSEVAN
Autrice del libro
Alessandra Kersevan, ricercatrice storica, da anni si dedica allo studio della storia del Novecento delle terre del confine orientale. Nel 1995 ha pubblicato Porzûs. Dialoghi sopra un processo da rifare, studio su una delle più controverse vicende della Resistenza italiana; nel 2003 ha svolto per conto del Comune di Gonars una ricerca sul campo di concentramento istituito in quel paese del Friuli, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943. Nel 2005, per conto della Commissione europea e del Comune di Gonars, è stata autrice del documentario The Gonars Memorial  1942-1943: il simbolo della memoria italiana perduta. È coordinatrice della collana “Resistenzastorica” delle edizioni Kappa Vu.




I «Protocolli dei Savi dell’Islam»
ovvero
come si costruiscono le leggende nere
 
Sfogliando su Internet le reazioni al mio ultimo libro (Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci 2008), accanto a commenti largamente positivi si notano altri contrassegnati da incredulità: è mai possibile che le infamie attribuite a Stalin e accreditate da un consenso generale siano per lo più il risultato di distorsioni e a volte di vere e proprie falsificazioni storiche?
A questi lettori in particolare voglio suggerire una riflessione a partire dalla cronaca di questi giorni. E’ sotto gli occhi di tutti la tragedia del popolo palestinese a Gaza, prima affamato dal blocco e ora invaso e massacrato dalla terribile macchina da guerra israeliana. Vediamo come reagiscono i grandi organi di «informazione». Sul «Corriere della Sera» del 29 dicembre l’editoriale di Piero Ostellino sentenzia: «L’articolo 7 della Carta di Hamas non propugna solo la distruzione di Israele, ma lo sterminio degli ebrei, così come sostiene il presidente iraniano Ahmadinejad». Vale la pena di notare che, pur facendo un’affermazione estremamente grave, il giornalista non riporta alcuna citazione testuale: esige di essere creduto sulla parola.
Qualche giorno dopo (3 gennaio) sullo stesso quotidiano incalza Ernesto Galli della Loggia. Per la verità, egli non parla più di Ahmadinejad. Forse si deve esser reso conto dell’infortunio del suo collega. Dopo Israele l’Iran è il paese in Medio Oriente che ospita il maggior numero di ebrei (20 mila), ed essi non sembrano subire persecuzioni. In ogni caso, i palestinesi dei territori occupati potrebbero solo invidiare la sorte degli ebrei che vivono in Iran, i quali ultimi non solo non sono stati sterminati ma non devono neppure fronteggiare la minaccia del «trasferimento», che i sionisti più radicali progettano per gli arabi israeliani.
Ovviamente, Galli della Loggia sorvola su tutto ciò. Si limita a tacere su Ahmadinejad. In compenso rincara la dose su un altro punto essenziale: Hamas non si limita a esigere «lo sterminio degli ebrei» israeliani, come sostiene Ostellino. Occorre non fermarsi a metà strada nella denuncia delle malefatte dei barbari: «Hamas auspica l’eliminazione di tutti gli ebrei dalla faccia della terra» («Corriere della Sera» del 3 gennaio). Anche in questo caso non viene apportato uno straccio di dimostrazione: il rigore scientifico è l’ultima delle preoccupazioni di Galli della Loggia, al quale però bisogna riconoscere il coraggio di sfidare il ridicolo: secondo la sua analisi, i «terroristi» palestinesi si propongono di liquidare la macchina bellica non solo di Israele ma anche degli Usa, in modo da portare a termine le infamie di cui l’editorialista del «Corriere della Sera» denuncia l’ampiezza planetaria. Peraltro, chi è in grado di infliggere una disfatta decisiva alla solitaria superpotenza mondiale, oltre che a Israele, può ben aspirare al dominio mondiale. Insomma: è come se Galli della Loggia avesse finalmente portato alla luce I protocolli dei Savi dell’Islam!
E come a suo tempo I protocolli dei Savi di Sion, anche I protocolli dei Savi dell’Islam valgono ormai come verità acquisita e non bisognosa di alcuna dimostrazione. Su «La Stampa» del 5 gennaio Enzo Bettiza chiarisce subito il reale significato dei bombardamenti massicci da Israele scatenati dal cielo, dal mare e dalla terra, col ricorso peraltro ad armi vietate dalle convenzioni internazionali, contro una popolazione sostanzialmente indifesa: «E’ una drastica e violentissima operazione di gendarmeria di un Paese minacciato di sterminio da una setta che ha giurato di estirparlo dalla faccia della terra».
Questa tesi, ossessivamente ripetuta, si colloca nell’ambito di una tradizione ben precisa. Tra Sette e Ottocento il mite abate Grégoire si batteva per l’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi: ecco che dai proprietari di schiavi è bollato quale leader dei «biancofagi», i neri barbari e smaniosi di pascersi della carne degli uomini bianchi. Qualche decennio più tardi qualcosa di simile avveniva negli Stati Uniti: gli abolizionisti, spesso di fede cristiana e di orientamento non-violento, esigevano «la completa distruzione dell’istituto della schiavitù»; essi erano prontamente accusati di voler sterminare la razza bianca. Ancora a metà del Novecento, in Sudafrica i campioni dell’apartheid negavano i diritti politici ai neri, con l’argomento che l’eventuale governo nero avrebbe significato lo sterminio sistematico dei coloni bianchi e dei bianchi nel loro complesso.
La leggenda nera in voga ai giorni nostri è particolarmente ridicola: più volte Hamas ha accennato alla possibilità di un compromesso, se Israele accettasse di ritornare ai confini del 1967. Come tutti sanno o dovrebbero sapere, a rendere sempre più problematica e forse ormai impossibile la soluzione dei due Stati è l’espansione ininterrotta delle colonie israeliane nei territori occupati. E comunque, la sostituzione dell’odierno Israele quale «Stato degli ebrei» con uno Stato binazionale, che abbracci al tempo stesso ebrei e palestinesi garantendo loro eguaglianza di diritti,  non comporterebbe in alcun modo lo sterminio degli ebrei, esattamente come la distruzione dello Stato razziale bianco prima nel sud degli Usa e poi in Sudafrica non ha certo significato l’annientamento dei bianchi. In realtà, coloro che idealmente agitano I protocolli dei savi dell’Islam mirano a trasformare le vittime in carnefici e i carnefici in vittime.
Non meno grottesche e non meno strumentali sono le mitologie oggi in voga in relazione a Stalin e al movimento comunista nel suo complesso. Si prenda la tesi dell’«olocausto della fame» ovvero della «carestia terroristica» che l’Unione sovietica avrebbe imposto al popolo ucraino negli anni ’30. A sostegno di questa tesi non c’è e non viene apportata alcuna prova. Ma non è neppure questo il punto essenziale. La leggenda nera diffusa in modo pianificato ai tempi di Reagan e nel momento culminante della guerra fredda serve a mettere in ombra il fatto che la «carestia terroristica» rimproverata a Stalin è da secoli messa in atto dall’Occidente liberale in particolare contro i popoli coloniali o che esso vorrebbe ridurre in condizioni coloniali o semicoloniali.
E’ quello che  ho cercato di dimostrare nel mio libro. Subito dopo la grande rivoluzione nera che alla fine del Settecento a Santo Domingo/Haiti spezzava al tempo stesso le catene del dominio coloniale e dell’istituto della schiavitù, gli Stati Uniti rispondevano per bocca di Thomas Jefferson, dichiarando di voler ridurre all’inedia (starvation) il paese che aveva avuto la sfrontatezza di abolire la schiavitù. Questa medesima vicenda si è riproposta nel Novecento. Già subito dopo l’ottobre 1917, Herbert Hoover, in quel momento alto esponente dell’amministrazione Wilson e più tardi presidente degli Usa, agitava in modo esplicito la minaccia della «fame assoluta» e della «morte per inedia» non solo contro la Russia sovietica ma contro tutti popoli inclini a lasciarsi contagiare dalla rivoluzione bolscevica. Agli inizi degli anni ’60 un collaboratore dell’amministrazione Kennedy, e cioè Walt W. Rostow, si vantava per il fatto che gli Stati Uniti erano rusciti a ritardare per «decine di anni» lo sviluppo economico della Repubblica Popolare Cinese!
E’ una politica che continua ancora oggi: è noto a tutti che l’imperalismo cerca di strangolare economicamente Cuba e possibilmente di ridurla alla condizione di Gaza, dove gli oppressori possono esercitare il loro potere di vita e di morte, prima ancora che coi bombardamenti terroristici, già col controllo delle risorse vitali. 
Siamo così ritornati alla Palestina. Prima di subire l’orrore che sta subendo in questi giorni, il popolo di Gaza era stato colpito da una prolungata  politica che cercava di affamarlo, assetarlo, privarlo della luce elettrica, delle medicine, di ridurlo ad una condizione di sfinimento e di disperazione. Tanto più che il governo di Tel Aviv si riservava il diritto di procedere come al solito, nonostante la «tregua», alle esecuzioni extragiudiziarie dei suoi nemici. E cioè, prima ancora di essere invasa da un esercito simile ad un gigantesco e sperimentato plotone di esecuzione, Gaza era già oggetto di una politica di aggressione e di guerra. Sennonché, una concentrata potenza di fuoco multimediale è scatenata soprattutto in Occidente per annientare ogni resistenza critica alla tesi falsa e bugiarda, secondo cui Israele sarebbe in questi giorni impegnata in un’operazione di autodifesa: che nessuno osi mettere in dubbio l’autenticità dei «Protocolli dei Savi dell’Islam»!
E’ così che si costruiscono le leggende nere, quella che oggi suggella la tragedia del popolo palestinese (il popolo-martire per eccellenza dei giorni nostri), così come quelle che, dipingendo Stalin come un mostro e riducendo a storia criminale la vicenda iniziata con la rivoluzione d’Ottobre, intendono privare i popoli oppressi di ogni speranza o prospettiva di emancipazione.
 
 
                                                                              Domenico Losurdo
 
6 gennaio 2009



Da: forumpalestina @...

Oggetto: Israele espelle il relatore ONU per i diritti umani. Ne parleranno i giornali italiani?

Data: 15 dicembre 2008 16:36:14 GMT+01:00


ISRAELE ESPELLE IL RELATORE O.N.U. PER I DIRITTI UMANI NEI TERRITORI PALESTINESI… LEGGEREMO QUESTA NOTIZIA SU QUALCHE GIORNALE?

Espulso ieri da Israele Richard Falk, giurista statunitense, relatore dell'ONU per i diritti umani

Il 10 dicembre, il Consiglio ONU per i diritti umani ha chiesto ad Israele di compiere passi per togliere il blocco di Gaza e liberare molti palestinesi detenuti. Lo speciale relatore ONU per i diritti umani nei Territori palestinesi, Richard Falk, ha definito la politica israeliana verso la popolazione araba molto simile a un “crimine contro l’umanità”. In una sua dichiarazione al Consiglio per i diritti umani a Ginevra, egli ha detto che “sarebbe obbligatorio per una Corte criminale internazionale investigare sulla situazione e determinare se i leader politici israeliani e i comandanti militari responsabili dell’assedio di Gaza non andrebbero accusati e processati per violazioni contro le leggi criminali internazionali”.

Falk è un ebreo americano, professore di diritto internazionale. Egli ha anche suggerito che l’Onu faccia uno sforzo per assicurare protezione alla popolazione di Gaza.

Il Consiglio ONU per i diritti umani, composto di 47 membri, ha portato avanti la discussione su Israele per 2 giorni. Alla fine sono stati consegnati al rappresentante israeliano 99 raccomandazioni per migliorare il rispetto dei diritti umani verso i palestinesi. In marzo, Israele dovrà presentare una risposta sul modo in cui intende attuare le raccomandazioni.

Secondo le agenzie dei giorni scorsi, l’ambasciatore israeliano all’ONU aveva detto, da parte sua, che “Israele è impegnato a rafforzare le aree in cui stiamo avendo successo e a migliorare i punti che necessitano miglioramenti”, aggiungendo che il dialogo nella Commissione era stato “positivo e produttivo”.

Invece, la risposta israeliana alle raccomandazioni dell’ONU è stata di tutt’altro segno e non ha atteso il prossimo marzo: il 15 dicembre, come riporta il sito del quotidiano Haaretz, il Professor Falk è stato espulso dallo Stato ebraico, con l’accusa di aver dichiarato che esistono similitudini fra il trattamento riservato dagli Israeliani ai Palestinesi e quello che i nazisti riservavano agli Ebrei. Non solo: il governo israeliano ha anche accusato il relatore ONU di “limitare le sue denunce alle violazioni israeliane dei diritti dei Palestinesi e di non includervi le violazioni dei Palestinesi verso Israele”.

www.forumpalestina.org

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http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090104/pagina/04/pezzo/238657/
INTERVISTA   |   di Michelangelo Cocco
PALESTINA RICHARD FALK
da il Manifesto del 4-1-2008 p. 4

«Un crimine terribile»

Il relatore dell'Onu: F-16, Apache e uranio impoverito contro la popolazione. Così muore Gaza Impossibile qualsiasi azione «umanitaria» finché durano l'assedio e l'occupazione. Ridicola la tesi dell'autodifesa: utilizzo della forza sproporzionato e sopraggiunto prima che ci fossero vittime israeliane. Espulso da Tel Aviv, il rappresentante dell'Onu si scaglia contro la propaganda sull'attacco alla Striscia

Il 15 dicembre scorso Richard Falk è stato espulso dall'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv dove, per conto delle Nazioni Unite, era sbarcato per indagare sulle violazioni dei diritti umani nei Territori occupati. Falk, di origine ebraica, è Relatore speciale dell'Onu per i diritti umani nei Territori occupati, nonché professore emerito di diritto internazionale alla Princeton University. Lo abbiamo raggiunto al telefono per chiedergli la sua opinione sulla situazione a Gaza.

Professor Falk, il ministro degli esteri israeliano, Tzipi Livni, ha dichiarato che «non c'è alcuna crisi umanitaria a Gaza».

Un'affermazione straordinaria, che prescinde completamente dalla realtà. Ma è ancora più sbalorditiva la prontezza dei media internazionali - quelli statunitensi in modo particolare - nel diffondere la propaganda israeliana. Anche prima dell'attacco iniziato il 27 dicembre la situazione di vecchi, donne e bambini residenti a Gaza rappresentava una grave crisi umanitaria, ben documentata da molti osservatori delle Nazioni Unite sul terreno e confermata da giornalisti israeliani indipendenti come Amira Hass. E bombardare quotidianamente una popolazione indifesa in un'area sovraffollata come quella della Striscia rappresenta un crimine. 

Crede che il governo israeliano debba essere perseguito?

Certo, il diritto penale internazionale non dovrebbe perseguire solo gli sconfitti, come è avvenuto negli ultimi 15 anni. Ma Israele, come gli Stati Uniti, non è entrato a far parte della Corte penale internazionale. Le Nazioni Unite hanno il potere - che è stato utilizzato per creare i tribunali per i crimini nella Ex Jugoslavia e in Ruanda - per creare un tribunale ad hoc per giudicare presunti crimini di guerra israeliani, ma gli ostacoli politici che incontrerebbe un'iniziativa simile sono tali da farla ritenere impossibile.

Negli ultimi giorni si è parlato molto di «tregua umanitaria». Servirebbe?

Qualsiasi attenuazione dell'emergenza è benvenuta. Ma bisogna ricordare che, prima di questo attacco, gli effetti di 18 mesi di un assedio estremo che ha negato alla popolazione cibo, carburante e medicine hanno creato una situazione di sofferenze di massa e deterioramento della salute mentale e fisica dell'intera popolazione: circa il 46% dei bambini di Gaza soffre di anemia acuta. Si può considerare positivamente qualsiasi forma di cessazione dei bombardamenti, ma chiamarla «tregua umanitaria» vuol dire manipolare il significato delle parole: non c'è alcuna possibilità di un'azione «umanitaria» finché l'assedio non sarà tolto e la gente avrà accesso regolare a cibo, medicine e carburante.

Il governo israeliano però ripete: ci stiamo solo difendendo dal lancio di razzi palestinesi e ne abbiamo pieno diritto.

A livello teorico Israele ha diritto all'autodifesa, come ogni Stato sovrano. Se però esaminiamo concretamente ciò che sta accadendo in queste ore, non lo si può in alcun modo presentare come un'autodifesa, perché - in un anno - nessun israeliano è morto per i razzi lanciati dai palestinesi, prima che scattassero i bombardamenti israeliani. Le vittime israeliane (finora quattro, ndr) sono sopraggiunte dopo i raid scattati il 27 dicembre. Inoltre anche se accettassimo la tesi secondo la quale Israele sta agendo per proteggere i suoi cittadini, resta il fatto che questi bombardamenti massicci e continui su una popolazione indifesa costituiscono un uso talmente sproporzionato della forza, tale da configurarsi certamente come violazione del diritto internazionale. L'utilizzo di F-16 ed elicotteri Apache contro la popolazione priva di difese è incontestabile. Ci sono anche rapporti che parlano dell'utilizzo di uranio impoverito nelle bombe cosiddette «bunker buster», per distruggere i tunnel che collegano Gaza con l'Egitto. E bisogna ricordare che Hamas ha espresso più volte disponibilità a una tregua (che negli ultimi sei mesi aveva funzionato) di lungo termine, in cambio di un ritiro dell'assedio israeliano alla popolazione della Striscia. Una posizione assolutamente ragionevole, dal momento che l'embargo nei confronti di una popolazione sotto occupazione può essere considerato un atto di guerra.

Perché è stato respinto da Tel Aviv?

Non conosco i motivi esatti che hanno portato a questa decisione, che però va inquadrata in una serie d'iniziative che hanno costretto fuori da Gaza giornalisti, esperti di diritti umani, e che hanno impedito a intellettuali palestinesi di lasciare la striscia, in maniera particolare nelle ultime settimane. Una politica che mira a nascondere le condizioni a cui è sottoposta la popolazione palestinese.

La stampa israeliana ha ricondotto la decisione di espellerla al suo paragone della situazione dei palestinesi di Gaza con quella degli ebrei nell'Europa occupata dai nazisti.

Un mese prima di essere nominato dall'Onu Relatore speciale, ho scritto un articolo giornalistico in cui sostengo che le punizioni collettive subite dalla gente di Gaza ricordano quelle inflitte dai nazisti agli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Non ho detto che sono la stessa cosa. Ma ritengo che la mentalità che ha prodotto queste politiche a Gaza sia paragonabile a quella che ha generato le esperienze terribili sperimentate dagli ebrei. Ho inoltre affermato che se queste politiche persistono, c'è il rischio di un «olocausto» per la gente di Gaza, che non è ovviamente la stessa cosa della «soluzione finale» che Hitler aveva previsto per gli ebrei. Ciò non toglie che per il popolo palestinese quello di Gaza rappresenti un olocausto di proporzioni gigantesche. E proprio le notizie delle ultime ore, i tiri d'artiglieria contro la Striscia e la possibilità concreta di un'invasione di terra suggeriscono che il mio commento non fosse un'esagerazione.

La situazione di Gaza rappresenta solo un problema umanitario?

No, oltre che di una crisi umanitaria si tratta di un problema politico molto complicato. Ci sono le divisioni tra i partiti palestinesi: la presa del potere da parte di Hamas che - come suggerisce Amira Hass - gli israeliani stanno utilizzando come giustificazione per mantenere l'occupazione in Cisgiordania ed espandere gl'insediamenti. In un certo senso una delle questioni più grosse è che Israele sta cercando di «pacificare» la Cisgiordania spostando l'attenzione sulla Striscia di Gaza.