Informazione

Data: Lun 6 Nov 2006 10:48 am
Da: "fontanof"
Oggetto: In ricordo dei partigiani italiani, sloveni e croati.....


"...Nella notte fra il 24 e 25 novembre del 1944, il battaglione
muggesano "Alma Vivoda" venne a trovarsi al centro di un
rastrellamento tedesco che ha come obiettivo proprio la sua
liquidazione. Le colonne nemiche stringono in un cerchio di fuoco le
compagnie partigiane ed eccetto la terza compagnia il battaglione è
distrutto. Comincia così il calvario dei prigionieri, fra i quali vi
sono Libero Stradi e Mario Sinico, duramente percossi e seviziati
sono costretti a camminare scalzi fino a Capodistria, in testa al
corteo cammina lo studente Nevio Lonza, vicecommissario di
compagnia. Arrivati nella piazza principale di Capodistria i
partigiani sono esposti al ludibrio dei fascisti e dei loro
collaboratori dove subiscono altre sevizie..."

Dopo dieci anni di assenza delle Giunte Comunali precedenti (di
destra) finalmente il Sindaco di Muggia, Nerio Nesladek, ha voluto
ristabilire la tradizione, essere cioè presente, e l'ha fatto con
grande sensibilità e cognizione di causa.
Devo dire che il discorso è stato interrotto molte volte da applausi
sentiti e commossi da parte dei numerosissimi presenti.

fabio

Ps Per chi non conosce queste zone dirò che Kucibreg si trova
nell'Istria croata, ad una decina di Km da Capodistria.


Kucibreg, 5 novembre 2006

Sono onorato, molto onorato, di essere qui oggi, come Sindaco, per
rappresentare tutta la mia città, Muggia, in questo importante
incontro.
Per ben dieci anni, pur essendo stata sempre invitate, le due
precedenti amministrazioni di destra della mia città, con un'unica
eccezione, hanno regolarmente ignorato questa manifestazione.
Così facendo, non solo è stato spezzato un solido legame tra la mia
gente e questi luoghi, ma è stata anche offesa la memoria dei nostri
concittadini caduti.
Sono stati calpestati i sentimenti di chi è sopravvissuto e di tutti
coloro che non hanno dimenticato in tutti questi anni.
Sono stati ignorati, infine, i valori su cui poggia la nostra stessa
Repubblica.
In verità, anche se sono mancati i rappresentanti ufficiali, la
città di Muggia invece è sempre stata presente: con la sua
Associazione dei partigiani, con i suoi partiti democratici ed
antifascisti, con i molti consiglieri comunali e con i tanti,
tantissimi cittadini qui presenti ogni anno.
Oggi commemoriamo un importantissimo fatto d'armi della lotta di
liberazione dalla tirannia nazifascista: qui, 62 anni fa, sono
caduti tanti partigiani croati, sloveni ed italiani.
Essi sono morti semplicemente per darci la libertà di cui oggi noi
tutti godiamo.
La città di Muggia ha versato un pesante contributo di sangue in
questa battaglia cui ha partecipato con il suo battaglione
partigiano, che portava il nome di Alma Vivoda, la prima partigiana
italiana caduta per gli ideali antifascisti, ancora nel 1943.
In questo luogo invece caddero sul campo 7 partigiani muggesani e
ben 22 morirono successivamente nei campi di concentramento nazisti.
Grande, quindi, è il significato di questo monumento attorno al
quale, di anno in anno, ci ritroviamo per commemorare coloro che qui
sono caduti.
Rendiamo così un doveroso omaggio alla loro memoria, ma sopratttutto
ricordiamo, specialmente alle giovani generazioni, il grande valore
della battaglia di Kucibreg: qui hanno combattuto e sono caduti
tanti giovani di lingua, cultura e tradizioni diverse, uniti però da
un comune, grande ideale: quello della libertà, della pace e
dell'amicizia tra i popoli.
Questi combattenti infatti rappresentavano tutte le etnie che, da
secoli, su queste terre, in questa nostra Istria, hanno
pacificamente convissuto.
Pacificamente convissuto anche quando la durissima politica di
snazionalizzazione messa in atto dal fascismo ha cercato di mettere
questi popoli l'un contro l'altro, togliendo ai croati e agli
sloveni ogni diritto alla propria lingua e alla propria cultura.
Ecco, Kucibreg, la battaglia, l'eroismo, il sacrificio: queste sono
state forti ed inequivocabili risposte a quella politica.
Qui tre popoli, hanno avuto l'orgoglio, assieme, di levare la
testa e prendere le armi contro il sopruso e la sopraffazione. Qui
assieme hanno combattuto contro un nemico che, in quei giorni, era
ancora convinto di essere invincibile.
Molto si va parlando in questi tempi di pacificazione, della
necessità che i capi delle tre repubbliche di Croazia, Slovenia ed
Italia si incontrino e assieme rendano omaggio ai luoghi della
memoria.
Ebbene, i popoli di queste terre, per questa pacificazione, forse
non hanno bisogno di aspettare questi incontri, spesso solo formali:
la pacificazione l'hanno compiuta già allora, combattendo assieme
per la libertà, la democrazia e il progresso sociale.
E non solo qui, in questo o in altri luoghi dell'Istria: essi
avevano già cominciato molti anni prima, assieme in terra di Spagna,
per difendere quella Repubblica dall'attacco fascista.
Non mi stancherò di ripetere che è per me un grande onore, io che
faccio parte della generazione che è venuta dopo, rappresentare in
questo luogo la mia città.
Muggia decorata al valor Militare per attività partigiana, Muggia
che vanta due medaglie d'oro per il contributo di lotta dato dai
suoi partigiani e da grandi dirigenti politici del calibro di Natale
Colarich e Luigi Frausin.
Muggia che nella lotta di liberazione ha dato duecento caduti.
Muggia che ha visto morire altri cento suoi figli per causa della
guerra, in casa, sui campi di battaglia, sul mare.
Per colpa di una guerra voluta dai fascisti, non certamente dalla
nostra pacifica e operosa popolazione.
Essere qui oggi è un dovere e questa manifestazione in onore di
coloro che hanno dato la loro vita per la nostra libertà non è (e
non può essere) un puro atto di formale ricordo: deve essere invece
una testimonianza dell'impegno che ci assumiamo di non dimenticare e
di portare avanti quelle idee per le quali tanti giovani sono caduti.
Libertà, pace, amicizia, in antitesi alla dittatura, la guerra, la
superiorità della razza: non dobbiamo stancarci di ripeterlo.
Sappiamo che non c'è futuro senza la memoria.
E sappiamo anche che chi non ha memoria del passato è condannato a
ripeterlo. (...)


(Fonte: resistenza_partigiana @yahoogroups.com )

(francais / italiano)

Ossezia, Transnistria, Montenegro, Kosovo

1) Ossétie, Monténégro: deux standards differents pour les
imperialistes OTAN !

2) Giulietto Chiesa sui "due pesi e due misure" adottati dal
Parlamento Europeo


=== 1 ===

Déclaration du Secrétaire général sur le "référendum" et "l'élection
présidentielle" en Ossétie du Sud/région de Tskhinvali (Géorgie)

http://www.nato.int/docu/pr/2006/p06-142f.htm

Au nom de l'OTAN, je me joins aux autres dirigeants internationaux
pour rejeter le prétendu "référendum" et la prétendue "élection"
conduits en Ossétie du Sud/région de Tskhinvali (Géorgie). Les
actions de ce type ont pour seul but d'exacerber les tensions dans le
Sud-Caucase. La communauté internationale, dont l'OTAN, a réaffirmé
avec force et de façon continue qu'elle soutient l'intégrité
territoriale de la Géorgie. J'appelle toutes les parties à agir de
bonne foi et à conduire des négociations dans le but de parvenir à un
règlement politique. Trouver une solution pacifique est la seule
manière d'instaurer la paix et la stabilité à long terme dans le Sud-
Caucase.


Petit rappel, du 22 mai 2006

Déclaration du Secrétaire général de l'OTAN
au sujet du référendum au Monténégro

Au nom de l'OTAN, je félicite les autorités et la population du
Monténégro pour la tenue, dans des conditions régulières, d'un
référendum libre et équitable. L'OSCE a conclu que le résultat de
cette consultation est le reflet de la volonté de la population,
conformément aux principes directeurs agréés pour le référendum.
Compte tenu de cette évaluation et au vu de la forte participation
électorale, qui donne une véritable légitimité à cette consultation,
l'OTAN reconnaît les résultats du référendum.

L'OTAN invite tous les partis politiques et les citoyens à respecter
le résultat du référendum. Les gouvernements de Belgrade et de
Podgorica doivent maintenant examiner les nombreuses questions
bilatérales auxquelles ils devront trouver une solution. L'Alliance
compte bien maintenir de bonnes relations avec les deux gouvernements.


Source : http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages
Liste gérée par des membres du Comité de Surveillance OTAN


=== 2 ===

Giulietto Chiesa su Ossezia e Transnistria

Segnalato da: Mauro Gemma

Approvate risoluzioni su Ossezia e Transnistria - 26-10-06

Strasburgo, 26 ottobre 2006

Il Parlamento europeo ha approvato oggi, a grande maggioranza, due
risoluzioni: una sull' Ossezia del sud (Georgia) l'altra sulla
Transnistria (Moldavia). I due testi approvati dalla Plenaria sono il
frutto della negoziazione tra i diversi Gruppi politici, i quali,
precedentemente, hanno elaborato la propria posizione attraverso un
dibattito tra i propri membri. Qui di seguito il contributo di
Giulietto Chiesa alla discussione su Ossezia e Transnistria svoltasi
all'interno del Partito Socialista Europeo.


Cari amici,

leggo la vostra proposta di risoluzione su Transdnistria e Ossetia e
vi scrivo per manifestarvi il mio diverso parere.

Nel mio intervento alla riunione del gruppo avevo già manifestato
opinioni sostanzialmente differenti rispetto a quelle che in questa
risoluzione sono contenute. Ribadisco qui le mie opinioni.

In primo luogo ritengo che il contenuto e il tono di una tale presa
di posizione siano tali da produrre un risultato opposto a quello che
credo ci stiamo proponendo. Se l'obiettivo è quello di raggiungere
soluzioni pacifiche e negoziate, allora questo tipo di argomentazione
non solo è tale da produrre una reazione di rigetto, ma soprattutto
quello di rendere impossibile una qualunque posizione mediatrice
dell'Europa. Essendo evidente che non può fare da mediatore chi si
schiera da una parte contro l'altra.

In secondo luogo rilevo che l'intera argomentazione, parola per
parola, che viene usata per destituire di ogni fondamento il
referendum della Transdnistria, potrebbe, a stretto rigore dei
termini, essere usata a proposito delle elezioni in Russia, di tutte
le elezioni in Russia che si sono tenute a partire dal gennaio 1992
fino ad oggi. Purtroppo noi, e l'Europa, non abbiamo mai detto queste
cose alla Russia e, anzi, abbiamo sonoramente applaudito tutte le
elezioni dell'era Eltsin e anche le prime dell'era Putin. Ora, alla
luce di questo record, risulta difficile pensare che una nostra così
drastica posizione contro Tiraspol sia giustificabile, se non
adottando la ben nota pratica dei "due pesi e due misure", cioè uno
per i nostri amici e l'altro per i nostri nemici. Io vorrei solo far
rilevare che è proprio questa pratica, da molti anni adottata
dall'Europa, è quella che ci ha largamente screditato di fronte a
ampi, maggioritari settori dell'opinione pubblica russa, cioè non
solo dei dirigenti, ma della gente in generale.

Inoltre, in un caso come nell'altro, in Transdnistria come in
Ossetia, siamo di fronte a popolazioni essenzialmente (in larga
maggioranza sicuramente) di lingua russa e, nel caso della
Transdnistria di etnia russa, che compattamente vogliono ritornare
sotto il governo russo, cioè sotto la protezione russa. Per quanto si
possa affermare che i due referendum siano stati e saranno
manipolati, dovrebbe essere chiaro a tutti noi (se non vogliamo
mettere la testa sotto la sabbia) che proprio quella è la realtà
della volontà popolare. Così come lo sarebbe quella del Nagorno
Karabakh nel chiedere l'annessione formale all'Armenia se si dovesse
giungere a un referendum.

Esiste ancora il principio dell'autodeterminazione dei popoli, che
non è stato abolito e che noi europei ci apprestiamo ad applicare nel
caso del Kosovo. Non si vede perchè dovremmo escluderlo nel caso
dell'Ossetia del Sud e della Transdnistria. Tanto più che, in nessuno
dei due casi, siamo di fronte a una tremenda pulizia etnica quale
quella che le popolazioni albanesi del Kosovo stanno commettendo nei
confronti della minoranza serba.

Ciò vale particolarmente per l'Ossetia del Sud. Ciò che è accaduto in
Georgia, dopo l'indipendenza, durante il regime di Zviad
Gamsakhurdia, lo sterminio cui la popolazione osseta è stata
sottoposta e di cui sono stato testimone diretto, escludono
categoricamente ogni possibilità di un ritorno di quella piccola
popolazione sotto controllo georgiano. Quali che siano le motivazioni
che si vogliono utilizzare, le critiche nei confronti della Russia
(di Eltsin e di Putin), è un fatto inammissibile quello di spingere
gli osseti a ritornare alla situazione precedente. La gente di
Transdinistria, di Ossetia, ha visto e ben compreso, in questi anni,
quale è la sorte delle popolazioni di lingua russa che rimangono
tagliate fuori dalla madrepatria: quale che sia l'azione
propagandistica di Mosca nei loro riguardi, si deve tenere conto che
la gente non è così cieca come talvolta amiamo raccontarci. Sanno
assai bene che l'Europa è più ricca e più democratica, ma i legami
storici e le paure attuali sono molto più forti delle lontane
aspettative. Il fatto che preferiscano installarsi in un sistema
autoritario piuttosto che nella libera Europa, in un lontano futuro,
dovrebbe farci riflettere invece che condurci a lanciare anatemi nei
loro confronti.

Ritengo dunque un errore, anzi un grave errore, procedere su una tale
linea, che non solo non è motivata e motivabile secondo criteri di
giustizia, ma che è insostenibile giuridicamente e che, infine,
recherà pregiudizio ai rapporti tra Russia ed Europa e agl'interessi
europei più in generale.

Ricevete i miei rispettosi saluti,

Giulietto Chiesa


Il diritto internazionale condannato a morte...


La sentenza è drastica, gravissima e senza appello: il diritto internazionale è stato condannato a morte. 
Ma quando è stata emessa la sentenza? Pochi giorni fa, ai danni del presidente della repubblica irachena Saddam Hussein, da parte di un tribunale fantoccio strumento delle truppe di occupazione occidentali? O forse più di tre anni fa, con l'inizio della sanguinosa aggressione ed occupazione dell'Iraq da parte degli angloamericani, sostenuta peraltro dai loro servitori italiani? O magari più di sette anni fa, con la aggressione NATO contro la Jugoslavia? O prima ancora, con l'embargo ed il deliberato squartamento politico-diplomatico della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia? Oppure già con il micidiale embargo ai danni della popolazione irachena? O con l'impiego di uranio impoverito, in Iraq come in Jugoslavia? O con le bombe a grappolo? Oppure non in Iraq ne' in Jugoslavia, ma in qualcun altro dei tanti paesi aggrediti dall'imperialismo: forse in Afghanistan, o in Somalia, o in Palestina, o in Vietnam qualche decennio fa, o prima ancora?...
Potremmo continuare. Ma ci interessa rimarcare una cosa sola: il processo-farsa e la vergognosa condanna a morte di Saddan Hussein non sono che l'ennesimo atto con cui l'imperialismo, statunitense in primis, attenta a quei brandelli di legalità internazionale edificati dopo la II Guerra Mondiale. Ricordiamoci di Slobodan Milosevic, che è stato assassinato da un analogo "tribunale internazionale" senza nemmeno essere formalmente condannato a morte. È stato assassinato negandogli le cure mediche richieste, oppure attraverso la somministrazione di qualche deleterio medicinale che accelerasse il deterioramento del suo stato di salute, oppure in tutti e due i modi, da un "tribunale" altrettanto politico ed altrettanto illegittimo quanto quello iracheno. "Tribunale" che continua a svolgere la sua discutibile attività nella indifferenza generale. "Tribunale" che nega agli imputati il diritto alla difesa: recentissimo il caso di Seselj, al quale sono stati imposti "avvocati d'ufficio" contro la sua volontà, come era già stato fatto con Milosevic. "Tribunale" che continua il suo sporco lavoro nella indifferenza generale.
Dovrebbe saperlo bene Antonio Cassese quando scrive che << a Bagdad si e’ celebrata una farsa. I giudici sono stati nominati dal governo e da esso sostituiti quando non si allineavano sulle posizioni ufficiali delle autorita’ o si dimostravano scarsamente efficaci. Il tribunale sin dall’inizio e’ stato finanziato dagli USA, che hanno anche elaborato il suo Statuto. Imputazioni precise contro gli otto imputati sono state formulate solo a meta’ processo. La Corte non ha consentito alla difesa di convocare un certo numero di testimoni a discarico che dovevano ancora essere ascoltati» (di seguito riportiamo integralmente il suo articolo). Dovrebbe saperlo bene, perché Antonio Cassese e’ stato presidente del "Tribunale ad hoc" dell’Aja. 

(A cura di I. Slavo. 
Sull'assassinio di Milosevic vedi la raccolta di documenti - in costruzione - alla pagina https://www.cnj.it/MILOS/index.htm
Sul carattere illegittimo e criminale del "tribunale ad hoc" dell'Aia vedi ad esempio: 
PROCESSO MILOSEVIC: UN "PROCESSO ALLE INTENZIONI" - http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/231)


1) Il processo senza giustizia con un verdetto farsa (di ANTONIO CASSESE)
2) Justice is impossible under occupation. Workers World statement on the verdict against Saddam Hussein 
3) Proceedings and Verdict in the show trial of Mr. Hussain are illegal (Dirk Adriaensens and Abdul Ilah Al Bayaty - members of the BRussells Tribunal Advisory Committee)
4) Saluti da Saddam... Una iniziativa aTorino
5) International Action Center Statement - November 06-06


=== 1 ===


La condanna di Saddam un grave errore
Con l'Iraq pronto ad infiammarsi


Il processo senza giustizia con un verdetto farsa


di ANTONIO CASSESE


Anche a Norimberga i vincitori hanno processato i vinti. Ma almeno il processo è stato equo. A Bagdad si è invece celebrata, per i fatti di Dujail, una farsa. I giudici sono stati nominati dall'esecutivo (il Consiglio di governo) e da esso sostituiti quando non si allineavano sulle posizioni ufficiali delle autorità o si dimostravano scarsamente efficaci. Il tribunale sin dall'inizio è stato finanziato dagli Usa, che hanno anche elaborato il suo Statuto, poi formalmente approvato dall'Assemblea nazionale irachena, nell'agosto 2005. Imputazioni precise contro gli otto imputati sono state formulate solo a metà processo. La Corte non ha consentito alla difesa di convocare un certo numero di testimoni a discarico che dovevano ancora essere ascoltati. 

Inoltre, molti documenti prodotti dall'accusa contro gli imputati (tra cui l'ordine di Saddam Hussein di eseguire la condanna a morte inflitta ai civili che avrebbero attentato alla vita del dittatore e l'ordine di conferire onorificenze alle forze di sicurezza che avevano arrestato e interrogato i presunti colpevoli), sono stati contestati dalla difesa, che ha affermato trattarsi di falsi. Per verificarne l'autenticità, il tribunale non ha convocato esperti internazionali (come sarebbe stato doveroso), ma esperti iracheni che, secondo la difesa, erano legati a filo doppio all'attuale ministero dell'interno iracheno. Insomma, un processo privo di qualsiasi seria garanzia dei diritti della difesa. 

Certo, non è facile processare un ex dittatore che cerca di usare le udienze pubbliche per comizi e polemiche politiche. I giudici però non avrebbero dovuto rispondere alle arringhe pretestuose dell'ex-dittatore urlando più di lui o espellendolo dalla sala delle udienze, ma con equilibrio e serenità, limitando ad esempio il suo tempo di parola, inducendolo a discutere i problemi specifici del processo, e soprattutto affrontando seriamente i problemi giudiziari che gli avvocati di Saddam sollevavano. In una parola, mostrandosi pazienti, equilibrati ed imparziali. 

La condanna a morte dei tre maggiori imputati è sbagliata sotto un triplice profilo. Anzitutto, si tratta di una punizione che non è affatto credibile perché conclude un processo-farsa. In secondo luogo, la pena capitale è stata oramai condannata dalla vasta maggioranza della comunità internazionale. Anche se paesi come gli USA e la Cina continuano a praticarla, si può dire che la pena di morte è diventata, sul piano internazionale, se non illegale, almeno illegittima. Prova ne sia che tutti i tribunali internazionali finora istituiti dalle Nazioni Unite (alcuni, come quello dell'Aja per l'ex Jugoslavia e quello per il Ruanda, con il fortissimo sostegno degli americani) bandiscono la pena di morte. 

Lo stesso vale per la Corte penale internazionale, il primo tribunale internazionale a vocazione universale, che oramai agisce come suprema istanza penale internazionale per ben 104 Stati. In terzo luogo, la pena di morte inflitta ai tre imputati costituisce un grave errore politico, perché naturalmente aggraverà la situazione in Iraq. Il paese è da tempo in preda ad una sanguinosa guerra civile, anche se i vertici statunitensi, per ragioni politiche, si ostinano a negare che sia in atto una vera e propria insurrezione armata. Saddam Hussein diventerà un martire, oltre ad essere già considerato un eroe dell'antiamericanismo. L'odio per il gruppo dirigente iracheno e per gli americani aumenterà a dismisura e i massacri si moltiplicheranno. 

L'appello che subito interporranno i condannati non potrà che rinviare l'esecuzione capitale, anche in attesa che vengano celebrati contro l'ex dittatore altri processi, per fatti, tra cui il genocidio dei Curdi negli anni '80, che appaiono obiettivamente molto più gravi del massacro di Dujail. In breve, in Iraq anche sul versante della giustizia è stata imboccata una strada radicalmente sbagliata, e appare assai probabile che si arriverà alla peggiore soluzione possibile. 

(6 novembre 2006)


=== 2 ===


Justice is impossible under occupation


Published Nov 6, 2006 11:05 AM

Workers World statement on the verdict against Saddam Hussein


The U.S.-machinated “trial” and the Nov. 5 guilty verdict and death sentence against Iraqi President Saddam Hussein and two of his colleagues are nothing more nor less than a continued attack on the people of Iraq and all the peoples of the region threatened by U.S. imperialism. No good for the people can come from a U.S.-dictated punishment of the Iraqi president. The “trial” is a frontal attack by the conquering power on Iraqi sovereignty at a time when the 2003 U.S. conquest of Iraq is collapsing under the determined assault of Iraqi resistance fighters.

The whole conduct of the Baghdad kangaroo court was intended to justify the completely illegal and aggressive U.S.-British assault on Iraq in 2003 and their subsequent seizure of the Iraqi people’s resources, especially Iraq's oil and natural gas reserves. No one should be deceived that it has anything to do with the charges in the indictment against the Ba’athist leaders. With Washington responsible for the deaths of over 2 million Iraqis during 16 years of wars and sanctions, it should be apparent to all that the verdict has nothing to do with U.S. concern for the Iraqi people.

Even if the trial had been conducted in an impeccably fair manner in all its details, the court and the charges could not stand up as legitimate. But its conduct was far from fair. There is no legal basis for such a trial under the Geneva Conventions. The acts the prisoners were charged with did not take place as acts of war.

Three defense lawyers were among nine people associated with the trial who were assassinated. Another defense lawyer was wounded. A judge was replaced when others decided he was too soft on Saddam Hussein and gave him too much opportunity to speak in court.

Even Malcolm Smart, director of Amnesty International’s Middle East and North Africa Program and no friend of Hussein, said of the verdict, “We don't consider it was a fair process. The court was not impartial. There were not adequate steps taken to protect the security of defense lawyers and witnesses...."

Given the obvious bias of the court, the verdict was no surprise. Nor was its timing, as the administration of President George W. Bush is presenting this news as a victory for the occupation forces and for his Iraq policy.

The timing of the verdict shows the utter subservience of the court to the most minute demands of imperialism. The timing alone should disqualify the verdict, inasmuch as it is prima facie evidence that the proceeding was closely coordinated with Bush, showing the dominant political role of Washington. It demonstrates the impossibility of there being any judicial validity behind the sentence. If Bush dictated the timing, it must be presumed that he also had a hand in the verdict.

Bush has already welcomed the verdict as a “milestone in the Iraqi people’s efforts.” He says this when the disastrous Iraq war and occupation has become a millstone around the neck of the Republican Party in its attempt to maintain control of the Congress in the midterm elections.

It should also be clear that this verdict has nothing to do with evaluating Saddam Hussein’s historic role. An extensive Workers World Party statement at the time of Hussein’s capture in December 2003 evaluated his often contradictory historic role and especially the negative impact of his government’s decision to “wage a reactionary bourgeois war of conquest against Iran.” (workers.org/ww/2004/hussein1225.php) The U.S. took advantage of that war in the 1980s to the detriment of both Iran and Iraq. At this time, too, none of the forces struggling against imperialism for sovereignty and self-determination in the Gulf region can gain from the U.S.-imposed verdict against Saddam Hussein.

While the verdict’s impact on the Iraq occupation and on the U.S. elections is still a question, there is no doubt that anyone who opposes the U.S. war on the people of the Middle East should also stand up and protest Washington’s criminal attempt to impose an illegal verdict against an individual who represented the sovereign state that U.S. imperialism is attempting to conquer.

The verdict will bring no justice to Iraq. As Workers World said in its Dec. 25, 2003, statement, “Justice for the Iraqi people will begin on the day that the war criminals in Washington are put on trial.”

Workers World, Nov. 5, 2006



=== 3 ===

SOURCE :  

Justice ?

1. The Court was illegal.
2. The trial had no legal basis. (see below)
3. The attorneys were assassinated.
4. The judge was removed by Bush's puppets.
Justice ? What did they want to hide ?

MICHEL COLLON


MALCOLM SMART, DIRECTOR OF AMNESTY INTERATIONAL'S MIDDLE EAST AND NORTH AFRICA PROGRAMME :
"Obviously we deplore the verdict of the death penalty against Saddam and one of his co-accused. We don't consider it was a fair process. The court was not impartial. There were not adequate steps taken to protect the security of defence lawyers and witnesses..."

Proceedings and Verdict 
in the show trial of Mr. Hussain are illegal

Dirk Adriaensens (member of the BRussells Tribunal Executive Committee). 

Abdul Ilah Al Bayaty (member of the BRussells Tribunal Advisory Committee). 

(05 November 2006) 



The BRussells Tribunal has already alerted World public opinion on June 29 that the proceedings against Mr. Hussain should be halted. We raised fundamental legal questions about the detention and trial of Mr. Hussain in light of existing rules of the laws and customs of war (humanitarian law), and the laws established under the international system of human rights. These bodies of law are binding on all judicial actions. 

We confirm that neither the Special Tribunal nor its verdict issued today are legal or could serve the cause of peace and justice. We ask all people who believe in peace and justice to condemn the US illegal occupation and illegal actions, including Mr Hussain's trial.

We notice that most Human Right Organisations have also condemned the proceedings of the trial and today's verdict. Amnesty International's Malcolm Smart declared: "Obviously we deplore the verdict of the death penalty against Saddam and one of his co-accused. We don't consider it was a fair process. The court was not impartial. There were not adequate steps taken to protect the security of defence lawyers and witnesses... "
We also notice the double standards of the brutal occupation forces and its puppet government. With rivers of blood flowing on the streets of Baghdad, the whole Saddam trial looks meaningless! It does not mark the prevailing of justice nor the rule of law! 
There are Iraqi political figures in power, who are linked to the sectarian killing and the death squads, when will they be held accountable? 

We hope that the US and it's puppet government come to their senses and stop all proceedings against Mr. Hussain, cancel the verdict, stop the illegal occupation of Iraq, get the foreign troops out, and leave Iraq to the Iraqis. 

Dirk Adriaensens (member of the BRussells Tribunal Executive Committee). 
Abdul Ilah Al Bayaty (member of the BRussells Tribunal Advisory Committee).


Declaration on the legal necessity to halt the proceedings against POW President Saddam Hussain. 

1. On June 21, 2006, attorney Khamis al-Obaidi was killed in Baghdad. He is the third defense counsel for Mr. Saddam Hussain to be killed, joining Mr. Sadoun al-Janabi, killed in October 2005 and Adel al-Zubaidi, killed in November 2005. Attorney Thamir al-Khuzaie was wounded in the November incident. 

2. Attorney al-Obaidi was the ninth person connected with the trial of Mr. Hussain to be killed, prompting another attorney in the case, Najeeb al-Naimi (former Qatari minister of justice), to state: "there is no security. All of us have received threats." 

3. The murder of yet another defense counsel has prompted many concerned with the overall situation in Iraq to question whether all proceedings should be halted due to the undue risk of the participants' lives and safety. While agreeing that proceeding should be halted on safety grounds, we also have more fundamental legal questions about the detention and trial of Mr. Hussain in light of existing rules of the laws and customs of war (humanitarian law), and the laws established under the international system of human rights. These bodies of law are binding on all judicial actions. 

4. In order to sort out all the possible irregularities if not violations of fair trial rules from both humanitarian and human rights law, we must first state that Mr. Hussain is a prisoner of war. This is because he was the commander-in-chief of the armed forces of Iraq in the war by the United States against Iraq. As a POW, he is entitled to all provisions of Geneva Convention III of 1949, Protocol Additional I to the Geneva Conventions, and all binding customary humanitarian law relating to confinement of POWs. Of particular note in this regard is Article 22 of Geneva Convention III, which provides that POWs may not be held in penitentiaries unless in the interest of the POWs themselves. It appears that Article 22 is being violated in the confinement of Mr. Hussain, and we also question whether there is full application of the rights set out in Articles 25 - 27 regarding other conditions. In this light we urge that the authorities allow full access of the International Committee of the Red Cross or other competent organization to assess the conditions of confinement. It appears that the US has clear physical control over Mr. Hussain. 

5. Of key importance in this situation is to determine who may try Mr. Hussain and for what acts. While the invasion of Iraq by the United States forces was illegal, the Geneva Conventions nonetheless apply, and under provisions of the Geneva Convention, the United States, as the Occupying Power, may charge and try Mr. Hussain for acts in contravention of humanitarian law. Whether on Occupying Power could try a POW for human rights violations occurring outside the context of the armed conflict raises serious questions. (That question was only partially raised in the Astiz case: Mr. Astiz was captured in the Malvinas War, but was alleged to have participated in human rights violations in Argentina. Several States wanted to try him for those violations, but he was instead returned to Argentina by the Protecting Power). The United States, for political reasons, did not want to try Mr. Hussain itself because Mr. Hussain had not committed any actionable offences against the United States, either during the US-Iraqi war or at any other time. Further, the United States would not have been able to validly sentence Mr. Hussain unless as a result of a proceeding in the same courts as it uses for its own armed forces (Article 102), provided that a number of other conditions are met. The United States could turn Mr. Hussain to a neutral State (or in Geneva Convention language Protecting Power), but also for political reasons did not choose to do so. In fact, the United States has not authorized any State[s] as Protecting Power[s]. However, as the Astiz case suggests, a Protecting Power itself can neither try a person under its protection in its own courts for criminal acts committed in another State, nor turn a Protected Person over to a third party State. The United States could also try Mr. Hussain in its own civil courts "if its laws permit civil courts jurisdiction over its own armed forces (Article 84). Instead, the United Stated turned Mr. Hussain over to a specially constituted "court" of occupied Iraq, supposedly under the command of a judicial system controlled by the "Iraqi" government. The "Iraqi" government, however, is not an independent State, but one controlled by the Occupying Power. In the situation in Iraq, there is essentially no functioning, independent judiciary, and there had not been any provision in the old judicial system for trying POWs in civilian courts. The Occupying Power destroyed any possibility of Iraqi military tribunals as the venue for trying Mr. Hussain. The Iraqi court is inherently biased and fails to meet minimun standards of impartiality. The situation, then, is one of total judicial abnormality with a lack of legal authority. Accordingly, the trial of Mr. Hussain should be halted until such time as there is a court with proper legal authority and with jurisdiction over the alleged acts at issue. 

6. While the court itself is a legal aberration and must be halted on that ground alone, it is still important to point out that in the process as a whole, there have been numerous violations of other minimum requirements for either military or civil courts, as set out in Article 9 and 14 of the International Covenant on Civil and Political Rights. So even if there may be some grounds for "legalizing" an illegal tribunal, the proceedings in themselves would require nullification of either imposition of or carrying out any sentence. 

7. It is important to note that the crimes that Mr. Hussain is currently charged with did not take place in the context of the current war: in fact they did not take place in the context of any war and thus are not actionable as breaches of the Geneva Conventions or other instruments or principles of humanitarian law. The alleged crimes are criminal law violations, not war crimes. Conditions in Iraq preclude meaningful, impartial investigation into the events, and even if a proper-constituted court were to be established, fair trial rules relating to evidence may be impossible to meet. 

8. The trial of Mr. Hussain is taking place in a context of the daily commission of grave breaches of the Geneva Conventions by the Occupying Power. Under such conditions alone, the trial should be halted as impossible under the circumstances. 

9. The 1945 Nuremberg Charter states clearly: "To initiate a war of aggression ..is not only an international crime, it is the supreme international crime, differing only from other war crimes in that it contains within itself the accumulated evil of the whole." The UN Charter and its Definition of Aggression (GA Res. 3314) reinforce this rule. Since the invasion under the Nuremberg and UN Charters was utterly illegal, all that followed from it is illegal, from Mr. Bremer's laws to the new constitution to the trial of Mr. Hussain. 

10. For the reasons set out above, the current judicial proceedings against Mr. Hussain should be halted. The provisions of Geneva Convention III relating to Protecting Powers and POWs should be implemented regarding Mr. Hussain and all similarly situated persons of the government in place at the time of the invasion of Iraq who are detained in Iraq. All persons involved with the proceedings must be fully protected. 
To all those who respect international legality: Please raise your voice against the constant breaking of international rules governing Mr. Saddam Hussain's trial. 

The BRussells Tribunal, in defence of international law, and in solidarity with the defense counsel and staff and with the families of those killed.
29 June 2006.

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posted by Sherif El Sebaie at 12:40 PM  

martedì, ottobre 31, 2006

Saluti da Saddam


Anche se con un po' di ritardo, ci tenevo a far giungere ai lettori di questo blog il messaggio inviato dall'ex-Presidente Saddam Hussein. No, non sto scherzando.

Alcuni giorni fa, in effetti, ho avuto l'onore di essere uno dei relatori invitati a parlare de "Il Processo a Saddam Hussein", argomento a cui è stato dedicato uno degli appuntamenti più in vista dell'edizione 2006 di Festival Storia. Il Festival, ideato e diretto dal professor Angelo d’Orsi, docente di Storia del Pensiero Politico Contemporaneo presso l'Università degli Studi di Torino, nasce con l’obiettivo di realizzare una rassegna internazionale di public history: quattro giorni di iniziative diversificate, rivolte a un ampio pubblico, nelle quali trasmissione della conoscenza e capacità di intrattenimento siano sempre contraddistinte da un rigoroso scrupolo scientifico. In effetti la manifestazione si avvale di un Comitato Scientifico internazionale di tutto rispetto, attualmente composto dagli storici Aldo Agosti (Università di Torino), Luciano Canfora (Università di Bari), Paola Carucci (Università “La Sapienza” di Roma), Victoria de Grazia (Columbia University, New York), Giuseppe Galasso (Università “Federico II” di Napoli), Gilles Pécout (École Normale Supérieure di Parigi), José Enrique Ruiz-Doménec (Universidad Autónoma de Barcelona), Giuseppe Sergi (Università di Torino), Françoise Waquet (Centre National de la Recherche Scientifique, Parigi).

Il tema della II Edizione era "Il processo nei secoli", al quale si è voluto premettere, a mo’ di titolo, “Imputato, alzatevi!”, una frase canonica tante volte letta o udita nei gialli degli scorsi decenni. Il Festival ha quindi proposto una ricca selezione di processi, dall'antichità ai nostri giorni: processi che hanno avuto un peso dal punto di vista dei cambiamenti di costume, processi emblematici – a carattere politico, religioso, di opinion – che hanno svolto un ruolo importante, su diversi piani (istituzionale, giudiziario, sociale…) nelle diverse epoche in cui si sono celebrati, segnando cesure, ponendo problemi alla coscienza dei contemporanei. Il primo era quello a Gesù Cristo, di cui si è parlato con Giovanni Filoramo, Padre Samir Khalil Samir, Ermis Segatti, Giorgio Bouchard, Rav Alberto Moshe Somekh, Ida Zatelli, Habib Tengour, Gustavo Zagrebelsky e Carlo Augusto Viano. Poi, fra gli altri, si è parlato anche del processo a Luigi XIV, di quello mancato a Napoleone Bonaparte, Norimberga, Eichmann, i processi dell'inquisizione, alla mafia, quelli finanziari ecc ecc. Tra i numerosissimi ospiti invitati a parlarne anche Marco Travaglio, Peter Gomez e Mario Almerighi. Insomma, c'era veramente l'imbarazzo della scelta. Uno degli appuntamenti conclusivi, infine, era quello dedicato appunto a Saddam Hussein. Se n'è parlato con Claudio Moffa, docente di Diritto e Storia dell'Africa e dell'Asia e direttore del Master Enrico Mattei in Medio Oriente (Università di Teramo), Augusto Sinagra, docente di Diritto delle Comunità europee e internazionale (Università di Roma "La Sapienza"), il sottoscritto e Ziad Najdawi, membro del consiglio difensivo di Saddam Hussein, che ha portato un messaggio da parte del presidente deposto. In particolare, Saddam Hussein, "ogni volta che sente di un soldato italiano ferito o caduto vittima di un attacco in Iraq, si sente profondamente addolorato" e "ringrazia il popolo italiano per aver esercitato pressione sul proprio governo per indurlo a ritirare le sue forze dal territorio dell'Iraq, che ha sempre intrattenuto con l'Italia proficui e costruttivi rapporti di amicizia".

Quello che è emerso, unanimamente, dal dibattito moderato da Mimmo Càndito, inviato de “La Stampa”, docente di Giornalismo presso l'Università di Genova nonché presidente italiano di “Reporter senza frontiere” di fronte ad un teatro incredibilmente gremito fino a Mezzanotte passata, è che il processo a Saddam è sostanzialmente una montatura statunitense destinata a distogliere l'attenzione dall'illegalità della guerra, dalle menzogne raccontate per giustificarla e dall'attuale disastro militare da cui l'amministrazione statunitense non sa come uscire. La Risoluzione 1511 del Consiglio di Sicurezza nelle Nazioni unite del 16 Ottobre 2003, che ha legalizzato la presenza delle forza d’occupazione in Iraq non ha cancellato a posteriori - e non avrebbe comunque potuto farlo - la lesione del diritto internazionale di cui si sono resi responsabili gli Stati Uniti e i loro alleati. Il tribunale istituito per processare Saddam è quindi illegale per tutta una serie di motivi: 1) è stato istituito dalle forze occupanti 2) non offre le minime garanzie di imparzialità verso l’accusato e di autonomia nei confronti dell'occupante 3) sono assenti le norme di diritto positivo iracheno sulla base delle quali giudicare i crimini del presidente deposto 4) il Tribunale applica pene non previste dall'ordinamento penale nel momento in cui i comportamenti (successivamente considerati illeciti) sono stati tenuti 5) la concessione ai giudici di una discrezionalità così ampia da attribuire loro un vero e proprio potere normativo... e tutta una serie di altri accorgimenti legali che dimostrano che quello è un tribunale che processa un imputato la cui condanna è stata già scritta, a prescindere, sulla base di una volontà politica che non è nemmeno quella degli iracheni. Questa è l'opinione che deve trarre chiunque si trovi ad affrontare l'argomento in buona fede, ovviamente. Non è quindi casuale che Angelo D'Orsi, direttore del Festival, abbia voluto sottolineare su L'Espresso che "D'altra parte, al Festival della Storia è invitato chi è ritenuto un interlocutore competente". Forse proprio per questo motivo non ho visto Magdi Allam in giro. Ma che i suoi fan non si preoccupino: ho provveduto a segnalare al pubblico, con dovizia di particolari, l'interessantissimo..ehm.. "


http://www.agitproponline.com/notizie/notizie.asp?id=444

Neofascisti, una storia taciuta

Nel Dopoguerra Capi della decima Mas reclutati per addestrare reparti
israeliani

La nascita del Msi fu favorita dai servizi segreti americani

Esce oggi dal Mulino un documentato libro sul neofascismo in Italia a
cura dello storico Giuseppe Parlato. Un volume ricco sul piano della
ricerca (materiali anche inediti, tratti dagli archivi americani e
dagli archivi privati dei protagonisti, oltre che carte riservate del
ministero degli Interni), ma che non mancherà di suscitare
discussione sia per alcune interpretazioni, sia per l´intonazione
complessiva, che pare ispirata da un sostanziale superamento della
bussola antifascista. Fascisti senza Mussolini - questo il titolo,
con il sottotitolo: Le origini del neofascismo in Italia 1943-1948 -
esce a ridosso del sessantesimo anniversario del Movimento Sociale
Italiano, fondato a Roma il 26 dicembre del 1946. Parlato ne rovescia
la tradizionale lettura d´un partito meramente nostalgico,
lumeggiando i rapporti con gli Usa in funzione anticomunista. Un
´estesa trama di contatti - quelli tra neofascisti e amministrazione
americana - che risale a prima della fine della guerra, grazie al
lavoro di tessitura di alcuni fascisti clandestini al Sud, oltre che
di Borghese e Romualdi, con ambienti dei servizi segreti
statunitensi. Non mancano pagine sorprendenti, specie sul
reclutamento nell´immediato dopoguerra degli uomini della Decima Mas
(tra le più zelanti nel difendere il Führer dell´Olocausto) come
addestratori dei reparti d´assalto israeliani. L´autore di Fascisti
senza Mussolini è un allievo di Renzo De Felice, insegna Storia
contemporanea alla Libera Università San Pio V di Roma, presso la
quale ricopre la carica di Rettore. È anche vicepresidente della
Fondazione Ugo Spirito.
Professor Parlato, lei riconduce le origini del Movimento Sociale al
fascismo clandestino operante tra il 1943 e il 1945 nel Sud dell
´Italia liberata.
«Sì, da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere
la nascita del Msi in modo totalmente diverso: non un movimento di
reduci, ma una forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerra
fredda. Tra i personaggi-chiave della tessitura segreta negli anni
della guerra spicca il principe Valerio Pignatelli della Cerchiara,
un irrequieto e romantico personaggio mandato nel Sud per organizzare
i gruppi fascisti. Le carte che ho consultato nei Nara, i National
Archives and Records Administration, mostrano i contatti del nobile
calabrese, che di fatto era il capo del fascismo clandestino, e
soprattutto della sua influente moglie con ambienti dell´Oss, che
facevano capo ad Angleton».
Quali episodi le paiono rivelatori?
«Nell´aprile del 1944 la principessa Pignatelli - che aveva
collaborato con il marito nella creazione di una vasta rete
clandestina tra Calabria, Campania, Puglia e Sicilia - attraversò l
´Italia scortata da agenti dell´Oss. Ora appare sconcertante che in
piena guerra la moglie di uno dei capi riconosciuti del fascismo
clandestino meridionale potesse tranquillamente varcare le linee,
attesa dai tedeschi e poi da Mussolini, e più tardi tornarsene a
Napoli con l´appoggio logistico e morale dell´Oss».
C´è anche il particolare del figlio.
«A Roma nello stesso periodo operava Emanuele De Seta, figlio della
principessa e collaboratore di Peter Tompkins, agente segreto
americano in Italia. In seguito Valerio Pignatelli si sarebbe
guardato bene dal parlare del coinvolgimento dei servizi. E in campo
neofascista questa ipotesi della collaborazione con il nemico storico
è sempre stata rigettata con veemenza».
Anche Valerio Junio Borghese, capo della Decima Mas, andava tessendo
rapporti con i servizi statunitensi.
«Sì, in quel caso il tramite fu l´ammiraglio Agostino Calosi,
responsabile dell´Ufficio Informazioni della Regia Marina del Sud. L
´attenzione degli americani per la Decima Mas fu notevole. Basti
pensare che il 26 aprile del 1945 Borghese riuscì a rifugiarsi a casa
di amici, per poi essere messo in salvo dallo stesso Angleton, che
andò a prenderselo a Milano. I documenti americani non dicono quando
esattamente cominciarono i primi contatti sotterranei, probabilmente
alla fine del 1944. È evidente che anticiparono d´un paio d´anni la
guerra fredda».
Meno conosciuto, in questa trama segreta, è il ruolo di Pino Romualdi.
«Sin dall´autunno del 1944 Romualdi, che era vicesegretario del
Partito Fascista Repubblicano, entrò in contatto con l´Oss attraverso
il suo segretario, l´ingegner Nadotti. Fu grazie a queste relazioni
che il 27 aprile del 1945 riuscì a scampare alla fucilazione. Ma non
furono contatti finalizzati alla salvezza personale. Sia Romualdi,
sia Borghese e i fascisti clandestini di Pignatelli si ponevano il
problema del "dopo", creando le basi del futuro Movimento Sociale».
Ma gli americani se ne fidavano?
«Quando nel 1946 Nino Buttazzoni, altro capo riconosciuto della
Decima Mas, tenta di sottolineare presso gli Alleati la potenzialità
anticomunista dei neofascisti, l´agente informatore che redige il
rapporto si mostra disponibile al progetto. Però attenzione alle
semplificazioni. I servizi americani non erano omogenei. In molte
note informative la destra neofascista è vista con timore e
perplessità. Se ci furono aperture e spiragli, fu per la paura del
pericolo comunista: questo era molto avvertito negli ambienti vicini
ad Angleton».
Lei scrive che il reclutamento dei neofascisti iniziò prestissimo, all
´indomani della Liberazione: sia da parte della Dc che del Pci.
«Il proselitismo cominciò nei campi di concentramento, circa
centodieci, dove furono rinchiusi i fascisti. A Terni, al principio
del 1946, durante la visita del vescovo agli internati, si fece
capire ai fascisti che, se avessero voluto uscire presto, l
´iscrizione alla Dc non sarebbe stata inopportuna».
Anche la Chiesa, lei documenta, ebbe un ruolo nell´ordito di rapporti
che darà poi origine al Msi.
«Molti fascisti latitanti, tra cui reduci di Salò, trovarono riparo
presso il Seminario maggiore al Laterano, lo stesso che durante l
´occupazione tedesca aveva ospitato De Gasperi, Nenni e Saragat.
Figure come quelle di Giorgio Pini e Giorgio Almirante ebbero lavoro
presso istituzioni ecclesiastiche. Roma si presentava come "una
mammona sensibile e accogliente", così la raccontano i testimoni».
Lei insiste anche sulla campagna di reclutamento ad opera del Pci.
«Ha raccontato Sandro Curzi che nel campo di reclusione di Coltano ci
andava anche lui, insieme ad altri suoi compagni: la direttiva del
partito era conquistare gli internati alla causa comunista. Già
durante la guerra, alla fine del 1941, dai microfoni di radio Milano
Libertà Togliatti s´era rivolto a chi aveva creduto nel fascismo.
Dopo la fine della guerra fu Pajetta ad aprire per primo la strada al
recupero, con una serie di interventi sull´Unità».
Quest´apertura è nota, come l´appello di Togliatti ai fratelli in
camicia nera. Lei però va oltre, sostenendo che l´idea di Togliatti
era quella di travasare nel Pci l´intera classe dirigente fascista.
«Naturalmente è una mia interpretazione, e come tale può essere
discussa. D´altra parte analogo processo era avvenuto sul piano
sindacale: la Cgil ereditò dirigenti e struttura organizzativa del
sindacato fascista. Ma il progetto di Togliatti era ancora più
ambizioso: annettere al partito la spina dorsale dell´amministrazione
che aveva operato sotto il fascismo. L´amnistia e l´affossamento dell
´epurazione vanno visti in questa chiave».
Sempre secondo la sua ricostruzione, la Dc comprese l´operazione.
«Intanto Togliatti non si aspettava che i rapporti tra fascisti e
servizi segreti americani fossero così intensi. E poi i democristiani
smontarono il piano di Togliatti, opponendovi subito una contromossa:
intanto la reimmissione nello Stato dei funzionari e degli impiegati
già epurati, successivamente la "non opposizione" alla costituzione
di un unico movimento neofascista, legale, strutturato, e in grado di
partecipare alle elezioni. In questo modo De Gasperi riuscì a
sventare la campagna comunista di conquista dei fascisti».
Fu grazie al referendum del 1946 che Romualdi acquistò un ruolo
politico.
«Si trattò in realtà di una beffa, che però gli riuscì. Promise sia
ai monarchici che ai repubblicani la neutralità dei neofascisti in
cambio della promessa dell´amnistia. Va detto che intanto lavorava
sotterraneamente per far arrivare al governo la minaccia d´una
possibile azione eversiva. Infatti i verbali del consiglio dei
ministri, prima e dopo il referendum, ci mostrano tutta la
preoccupazione per un possibile golpe da parte della Corona con l
´aiuto della manovalanza fascista».
Un dettaglio non secondario è che Romualdi era latitante, condannato
a morte in contumacia da una straordinaria Corte d´Assise.
«Ma non mancarono incontri segreti con esponenti dei vari partiti,
dal Psi alla Dc, che schierò alcuni dirigenti molto vicini a De
Gasperi. Colloqui che si intensificheranno in vista dell´amnistia.
Con il falso nome di Dottor Rossi, Romualdi andò a parlare con Ivanoe
Bonomi nell´appartamento privato dei nipoti, in piazza della Libertà,
a Roma. Probabilmente l´ex capo del governo non realizzò con chi
stesse parlando, ma accettò di porre fine alla legislazione
straordinaria contro i fascisti e di favorire l´amnistia».
Una pagina sorprendente è quella sui rapporti tra Decima Mas e Israele.
«Fu Ada Sereni, nel giugno del 1946, a rivolgersi all´ammiraglio
Calosi perché le indicasse elementi fidati che da un lato potessero
condurre le imbarcazioni dirette in Israele, dall´altro fossero in
grado di addestrare alla guerriglia le formazioni militari degli
ebrei palestinesi presenti in Italia: questo in vista dell
´inevitabile scontro con gli inglesi, decisi ad opporsi allo sbarco
degli ebrei in Palestina. Calosi le indicò uomini della Decima Mas,
che furono reclutati a tale scopo. Due anni più tardi sarà Fiorenzo
Capriotti ad accettare l´incarico di trasferirsi in Israele per
addestrare unità specializzate della neonata marina. Diventerà in
brevissimo tempo uno dei più apprezzati consiglieri militari».
Secondo la sua ricostruzione l´attentato all´ambasciata britannica,
nell´ottobre del 1946, fu il risultato della collaborazione tra
fascisti e destra sionista.
«Sì, Romualdi confessò che c´era anche il loro zampino».
Professore, posso muoverle un´obiezione? Lei dà una ricostruzione
molto dettagliata del neofascismo, ma un ragazzo che non sappia cos´è
stato il fascismo non coglie minimamente la drammaticità della
dittatura e della Repubblica di Salò. Molti dei personaggi dei quali
lei tratta furono responsabili di violenze o comunque conniventi con
un regime oppressivo e persecutore. L´ideologia nera lascerà poi una
traccia nella storia d´Italia, fino alla stagione delle stragi.
«Penso che il compito d´uno storico sia ricostruire le vicende nella
loro fattualità, soprattutto se di quel periodo è stato scritto
finora molto poco. Non credo che debbano intervenire giudizi di
carattere etico. Se entro in un´ottica morale, se faccio l´errore di
avvertire il lettore "guarda, sono dei criminali", finisco per
condizionarlo, anche perché "criminali" si trovano anche nelle file
avversarie. E così che l´ideologia annulla la ricerca storica».
Da un libro sull´eredità del fascismo ci si aspetta la sottolineatura
delle vaste zone d´ombra. Nella sua narrazione si sorvola sulle
vittime dei fascisti, mentre ci si sofferma a lungo sulle vittime
delle violenze partigiane. Anche il fatto che molte figure
compromesse con la dittatura e con Salò rimangano in posti chiave
dello Stato non sembra turbarla più di tanto. Altri storici, a
cominciare dalle ricerche fondamentali di Claudio Pavone, individuano
in questa continuità un grave vulnus per la crescita democratica del
paese.
«Ma il mio compito non è scandalizzarmi. Certo, lei mi fa notare che
sulla continuità tra fascismo e postfascismo è uscito un libro
importante come quello di Claudio Pavone, ma con accenti molto
diversi dai miei. Considero positivo che emerga una nuova generazione
di storici capace di sottrarsi a categorie moralistiche».
Morali, non moralistiche, professore, non disgiunte da ricostruzioni
storiografiche documentate.
«Va bene, morali. Ma io rimango persuaso che lo storico debba
compiere un passo indietro rispetto all´etica. Solo così può capire
la storia del Novecento italiano. Credo poi che il mio libro
scontenterà sostanzialmente un´altra categoria di lettori, ossia
coloro che hanno sempre coltivato un´immagine reducistica e
testimoniale del Msi. Non è un caso che i contatti con i servizi
segreti americani, con gli ambienti ecclesiastici, con i gruppi
monarchici, con settori massonici, ebbene tutta questa tessitura sia
rimasta per sessant´anni sotto una coltre di silenzio. Il mio lavoro
riempie una pagina rimasta fin troppo a lungo bianca».

da "La Repubblica" - 9 novembre 2006