Informazione

COMUNICATO STAMPA/INVITO

L'associazione Zastava Trieste e la redazione de La Nuova Alabarda, in
occasione del Dan Republike (29 novembre) presentano la ristampa
integrale del testo "Trieste nella lotta per la democrazia", edito
originariamente dall'Unione antifascista italo-slovena nel novembre 1945.

Il testo parte dall'inizio del Novecento per parlare dei rapporti tra
le varie popolazioni del territorio detto della Venezia Giulia e
comprende la storia del fascismo e della repressione da esso compiuta,
la storia della Resistenza locale ed infine documenti ed analisi
relativi al periodo del potere popolare a Trieste fino all'arrivo
degli angloamericani ed i rapporti che l'UAIS ebbe con il Governo
Militare Alleato.

Si tratta di un testo praticamente introvabile nella sua edizione
originale e che ricopre un'importanza particolare per un'analisi della
storia del periodo al di là dei troppo facili e diffusi luoghi comuni.

La presentazione si terrà

sabato 2 dicembre alle ore 18
presso la Casa del Popolo di Sottolongera
(via Masaccio 24. Capolinea bus 35/)


LA NUOVA ALABARDA
PERIODICO DI INFORMAZIONE INDIPENDENTE
Reg. Tribunale di Trieste
n. 798 d.d. 16/10/1990
http://www.nuovaalabarda.org/

Gruppo Zastava-Trieste
Internazionalismo e Solidarieta'

Un vergognoso e vile attacco bipartizan
alla manifestazione per la Palestina di Roma
 
Comunicato della Rete dei Comunisti
 
Ancora una volta, e con particolare virulenza, è stato sferrato un vergognoso attacco a geometria variabile contro promotori e partecipanti alla bella e determinata manifestazione di Roma.
Un copione che si ripete fin dalla prima manifestazione del 2002 e che solo apparentemente riguarda alcuni episodi marginali e ai margini dell’iniziativa.
La riprova è che la campagna di demonizzazione, che oramai unisce sia la destra che quasi tutta la cosiddetta sinistra, è stata avviata prima e a prescindere, con il Corriere della Sera in testa, e per motivi oramai fin troppo chiari.
Si vuole contemporaneamente continuare ad oscurare e/o deformare i dati della realtà in campo e i contenuti della piattaforma dell’iniziativa di Roma che ad essi si riferiscono e che chiamano in causa anche la strabica politica “dell’equidistanza” del governo Prodi e della sua maggioranza.
Che così sia ce ne dà autorevole conferma, ed è anche questo il motivo di tanto livore, l’arguto direttore di Liberazione, Piero Sansonetti, che nel suo editoriale di oggi, oltre che insultare Oliviero Diliberto per avere rotto il fronte,  sostiene che la “sinistra-scema” si è messa di traverso alle ultime scelte di D’Alema sul Medioriente e alla “troppo morbida, beneducata e filodalemiana manifestazione di Milano”.
Come dire ci hanno colti con le mani nel sacco!
Una sinistra, dunque, che tanto scema non deve essere proprio perchè ravvisa nel mantenimento del trattato di cooperazione militare con Israele e nell’embargo ai danni del popolo palestinese un rapporto di complicità dell’Italia con l’occupazione militare e la politica coloniale portata avanti da decenni contro le legittime e sacrosante rivendicazioni del popolo palestinese.
Un rapporto privilegiato che deve garantire, nell’ambito di una nuova politica multipolare, maggiore spazio alla vocazione neoimperialista dell’Europa in quell’area, Italia in testa.
Scelte tanto velleitarie quanto criminali destinate ad alimentare la diffidenza e l’ostilità delle masse arabe verso una presenza militare che, pur camuffata da forza di interposizione, viene vissuta per quella che è, come ostile.
Fa bene, quindi, il ministro D’Alema a preoccuparsi per la nostra presenza in Libano anche se farebbe meglio a mettere in discussione i canoni della sua politica per evitare che la responsabilità di eventuali nuovi lutti venga addossata a coloro che si oppongono alle scelte di aggressione e di guerra ad altri popoli invece che a coloro che queste scelte compiono.
I militari morti a Nassirya non sono morti perché stavano svolgendo una missione umanitaria ma perché erano in guerra e pesano sulla coscienza di chi ce li ha mandati!
Solo la più bieca ed interessata retorica militarista può distorcere così tanto un dato di fatto.
Noi riteniamo, però, che la migliore risposta consista nel dare concretezza e continuità all’iniziativa del 18 novembre proseguendo con la raccolta delle adesioni alla petizione che chiede la disdetta del trattato di cooperazione militare, con l’avvio della campagna di boicottaggio e disinvestimento a partire da Telecom, con la mobilitazione per ottenere la disdetta degli accordi di cooperazione economica che alcune regioni ed altri enti locali hanno sottoscritto con Israele.
Anche per rispondere a chi, dall’alto dei massimi scranni istituzionali, minaccia scomuniche ed espulsioni dalla “comunità politica” ma che così facendo non fa che rendere necessaria ed accelerare la costruzione di una nuova comunità politica meno opportunista, corrotta e servile della sua.

 

21/11/2006
La Rete dei Comunisti
                                                                                                               cpiano@...

 


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Il Forum Palestina replica al killeraggio mediatico sulla manifestazione di sabato a Roma

Comunicato stampa

Un esposto alla Procura della Repubblica di Roma ed un altro alla Commissione di Vigilanza sulla RAI del Parlamento. Sono queste le prime iniziative legali intraprese dal Forum Palestina di fronte a quello che definisce “un killeraggio mediatico” sulla manifestazione per la Palestina di sabato 18 novembre a Roma. “Non è possibile né accettabile che di una manifestazione partecipata, tranquilla, riuscita, con una piattaforma chiara, spiegata ripetutamente e a lungo a tutti i giornalisti presenti, l’immagine che i telegiornali hanno restituito all’opinione pubblica sia quella dei roghi e di pochissimi slogans sui morti di Nassirya”. “Siamo di fronte ad una manipolazione della realtà che è sospetta e irricevibile”. Sarebbe come se una splendida partita a cui hanno assistito in diretta migliaia di persone fosse poi rappresentata la sera dalle televisioni solo con l’episodio di un fallo con espulsione. Chiunque penserebbe di aver assistito ad un’altra partita rispetto a quella trasmessa dai telegiornali”.

Per questi motivi verrà presentato un esposto alla Procura di Roma per diffamazione (relativa ad alcune sovrapposizioni tra volti e commenti redazionali che distorcevano il contenuto) e per richiedere l’acquisizione di tutto il materiale girato dalle televisioni dalle 14.00 fino alle 17.30 di sabato pomeriggio. Analogamente verrà presentato un esposto alla Commissione Vigilanza sulla RAI per verificare come e quanto il servizio televisivo pubblico si sia volutamente prestato ad una imboscata mediatica strumentale ad una resa di conti politica dentro la coalizione di governo e nei rapporti tra esecutivo e opposizione.

Roma, 21 novembre ’06
Il Forum Palestina

forumpalestina@...


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Serventi Longhi (FNSI) sul trattamento che i media hanno riservato al corteo pro-palestina di Roma: " siamo di fronte all'impazzimento dell'informazione e deella comunicazione "

Roma - “Ho una tragica certezza, che è quella che ormai l’informazione segue un percorso perverso. Di un evento i media enfatizzano una parte marginale, assolutamente non centrale, quella che però rende l’evento particolare, un cazzotto nello stomaco: credo che così non vada bene.”

Questo è ciò che Paolo Serventi Longhi, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha affermato ai microfoni di Radio Città Aperta in una lunga intervista andata in onda questa mattina alle 11.00, incentrata sull’analisi del modo in cui i mezzi di informazione hanno trattato una serie di eventi che si sono svolti nella giornata di sabato, in particolar modo il corteo per la Palestina di Roma.

“Sabato vi erano diverse ipotesi di concentrazione di opinioni in dissonanza con quelle dell’attuale governo e di quello precedente. Vi erano tutta una serie di eventi assolutamente rilevanti rispetto ai quali tutto è scomparso, tutto è stato cancellato: la partecipazione, i temi, lo sforzo di mobilitare la gente. Invece è stata enfatizzata una vicenda, quella del rogo dei fantocci con le divise, che da tre giorni monopolizza gli organi di informazione, radio, TV e quotidiani. E’ stata approvata una Finanziaria e scarse tracce vi erano di questo sui giornali di ieri.

Io credo che siamo tutti impazziti. Siamo di fronte ad un impazzimento dell’informazione e della comunicazione nella società italiana. E’ incredibile come ormai l’informazione in Italia - forse per strumentalizzazione, forse per incapacità di trovare il senso delle cose che accadono - enfatizzi un fatto che è stato chiaramente circoscritto. Quello che preoccupa è che il messaggio mediatico viene immediatamente raccolto, enfatizzato e amplificato dal sistema politico. Non vorrei che l’istituzione e la politica fossero un tutt’uno con questa cassa di risonanza mediatica che non riesce più a vedere al di là del proprio naso.”

Aggiunge il leader del sindacato nazionale dei giornalisti Serventi Longhi ai microfoni dell’emittente romana:

“La libertà di informazione va difesa. Stiamo rinnovando un contratto che limiti la precarietà nel settore giornalistico; d’altra parte però gli interessi politici ed economici delle testate, dei proprietari delle testate e degli amici dei proprietari delle testate operano un tale condizionamento da generare un coro unanime che rende impossibile capire quello che succede”


(Fonte:Rca news )


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Gli incidenti a Roma 

Per Diliberto agenti deviati in azione 

ROMA Criticato e isolato anche all'interno del centrosinistra per 
aver partecipato alla manifestazione dei soldati-manichino bruciati 
e del «10-100-1000 Nassirya», Oliviero Diliberto trova un capro 
espiatorio che sembra cadere a fagiolo. «La storia d'Italia è piena 
di apparati deviati che si servono della piazza, si intrufolano 
nella piazza...», Dice infatti il segretario del Pdci in 
un'intervista a «Repubblica». C'è insomma lo zampino dei servizi 
segreti anche nella violenta manifestazione contro i militari 
italiani? «Affermo solo - precisa Diliberto - che la natura 
provocatoria di quei gesti è talmente flagrante e la storia d'Italia 
talmente fitta di deviazioni e sabotaggi che sono autorizzato a 
chiedermi: chi sono costoro, da dove vengono e, soprattutto, c'è 
dietro qualcuno?».
Giustificazioni che non convincono certo gli alleati di maggioranza 
e che alimentano nuove polemiche nell'opposizione. «Non poteva non 
sapere», taglia corto il segretario ds Fassino. «Non fa che 
aggravare la sua posizione», attacca Maurizio Gasparri. «Sparge 
veleni per uscire dall'angolo, ma non ci riesce», accusa anche 
Isabella Bertolini (Forza Italia). «Anzi, offende ancora una volta 
chi lavora al servizio dello Stato, si dovrebbe vergognare».
Ma anche all'interno dell'Unione non si alza una sola voce di 
solidarietà con Diliberto. Anzi, il segretario del Pdci viene 
apertamente attaccato anche da Armando Cossutta, ex presidente del 
partito, dimissionario da qualche mese, e ora in rotta sempre più 
divergente. Cossutta si dice infatti amareggiato per «la deriva» del 
suo partito. E certifica la sua distanza: «Non mi sento di 
condividere più nessuna responsabilità con il Partito dei comunisti 
italiani». Sotto accusa è ovviamente il segretario, colpevole di 
aver recato un danno alla causa della Palestina, «ma anche 
all'immagine del governo e dell'Unione».
E dopo Prodi, una nuova ramanzina al segretario del Pdci arriva 
anche da Francesco Rutelli. «Un politico con la testa sulla spalle - 
sottolinea infatti il vice presidente del Consiglio - sa scegliere 
le manifestazioni di piazza e può prevedere in quale manifestazione 
può venirsi a trovare. Non ho nulla da dire a Diliberto, nel senso 
che tutto quello che doveva essergli detto è stato detto». Ma 
Rutelli aggiunge anche che non dovrebbe essere dato «tutto questo 
spago a dei fanatici estremisti che non lo meritano».
a. p. 


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Mail: forumpalestina@...          


Revoca dell'accordo di cooperazione militare Italia-Israele

 

Petizione popolare

 

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Ministro della Difesa
Al Ministro degli Esteri

 

 

-          viste le ultime operazioni militari del Governo Israeliano nel territorio libanese che hanno portato distruzione e morte soprattutto tra i civili, in gran parte donne e bambini, creato migliaia di profughi, distrutto infrastrutture vitali e provocato danni economici notevoli
-          vista la reazione spropositata del Governo di Israele con bombardamenti e stragi (vedi massacro di Cana) in seguito alla cattura di 2 soldati israeliani
-          viste le continue aggressioni militari subite dalla popolazione palestinese con la morte di numerosi civili, tra cui molti bambini, a Gaza e in Cisgiordania, aggressioni subite anche da parlamentari eletti democraticamente e ministri componenti dell’attuale governo, alcuni ancora in stato di arresto
-          visto il regime di occupazione militare a cui sono sottoposti i cittadini palestinesi di Gaza e Cisgiordania che vedono quotidianamente annientati i loro diritti civili più elementari
-          visto l’utilizzo da parte di Israele di armi vietate dal diritto internazionale come denunciato dall’Human Right Watch
-          visto  che Israele non aderisce al trattato di non proliferazione atomica ed è una potenza nucleare non dichiarata, l’unica del Medio Oriente
-          visto che Israele viola  le convenzioni di Ginevra, come ha dichiarato anche la Croce Rossa Internazionale
-          visto  che Israele non ha rispettato le decisioni della Comunità Internazionale, in particolare le numerose risoluzioni dell’ONU dal 1947 in poi
-          visto che Israele continua impunemente la costruzione del muro nonostante la condanna della Corte di Giustizia dell’AIA

 

Chiediamo al Governo Italiano di:
 
-          Revocare l’accordo di Cooperazione Militare tra Italia e Israele siglato dal precedente Governo Berlusconi nel maggio 2005, accordo che ha già consentito all’aviazione israeliana di partecipare ad esercitazioni militari in ambito NATO nel sud della Sardegna
-          Bloccare la fornitura di armi ad Israele assieme ad ogni forma di collaborazione militare

 

 I moduli firmati e compilati possono essere inviati a : Forum Palestina (via Casalbruciato 27, 00159 Roma) oppure a Associazione Amicizia Sardegna-Palestina via Montesanto 28, 09121 Cagliari

 

le firme via internet possono essere spedite a: forumpalestina@... oppure a sardegnapalestina@...

 

 

nome e cognome                            IN STAMPATELLO
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PAZZI ED INCAPACI... O FURBI E MALVAGI?


SERVENTI LONGHI (FNSI) SUL TRATTAMENTO CHE I MEDIA HANNO RISERVATO AL CORTEO PRO-PALESTINA DI ROMA:
“SIAMO DI FRONTE ALL’IMPAZZIMENTO DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE”

Rca news – martedì 21 novembre 2006


“Ho una tragica certezza, che è quella che ormai l’informazione segue un percorso perverso. Di un evento i media enfatizzano una parte marginale, assolutamente non centrale, quella che però rende l’evento particolare, un cazzotto nello stomaco: credo che così non vada bene.”
Questo è ciò che Paolo Serventi Longhi, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha affermato ai microfoni di Radio Città Aperta in una lunga intervista andata in onda questa mattina alle 11.00, incentrata sull’analisi del modo in cui i mezzi di informazione hanno trattato una serie di eventi che si sono svolti nella giornata di sabato, in particolar modo il corteo per la Palestina di Roma.
“Sabato vi erano diverse ipotesi di concentrazione di opinioni in dissonanza con quelle dell’attuale governo e di quello precedente. Vi erano tutta una serie di eventi assolutamente rilevanti rispetto ai quali tutto è scomparso, tutto è stato cancellato: la partecipazione, i temi, lo sforzo di mobilitare la gente. Invece è stata enfatizzata una vicenda, quella del rogo dei fantocci con le divise, che da tre giorni monopolizza gli organi di informazione, radio, TV e quotidiani. E’ stata approvata una Finanziaria e scarse tracce vi erano di questo sui giornali di ieri.
Io credo che siamo tutti impazziti. Siamo di fronte ad un impazzimento dell’informazione e della comunicazione nella società italiana. E’ incredibile come ormai l’informazione in Italia - forse per strumentalizzazione, forse per incapacità di trovare il senso delle cose che accadono - enfatizzi un fatto che è stato chiaramente circoscritto. Quello che preoccupa è che il messaggio mediatico viene immediatamente raccolto, enfatizzato e amplificato dal sistema politico. Non vorrei che l’istituzione e la politica fossero un tutt’uno con questa cassa di risonanza mediatica che non riesce più a vedere al di là del proprio naso.”
Aggiunge il leader del sindacato nazionale dei giornalisti Serventi Longhi ai microfoni dell’emittente romana:
“La libertà di informazione va difesa. Stiamo rinnovando un contratto che limiti la precarietà nel settore giornalistico; d’altra parte però gli interessi politici ed economici delle testate, dei proprietari delle testate e degli amici dei proprietari delle testate operano un tale condizionamento da generare un coro unanime che rende impossibile capire quello che succede”


Ancora sul '56 ungherese

1) INFILTRATI DELLA CIA A BUDAPEST DURANTE LA RIVOLTA

2) Il PCI e il 1956. Dal XX Congresso ai fatti d’Ungheria.
Un’antologia di scritti e documenti a cura di Alexander Höbel


=== 1 ===

UNGHERIA: INFILTRATI DELLA CIA A BUDAPEST DURANTE LA RIVOLTA
DECLASSIFICATI DOCUMENTI DELL'INTELLIGENCE USA SUI FATTI DEL '56

Washington, 5 nov. - (Adnkronos) - Nella Budapest dell'invasione sovietica del '56, i servizi segreti americani riuscirono ad infiltrare piccoli gruppi paramilitari e unita' di guerra psicologica. Si trattava di emigrati che erano riusciti ad entrare nel paese del Patto di Varsavia gia' nei primi anni cinquanta, denominati 'Red Sox' o 'Red Cap' o ancora 'Volunteer Freedom Corps'. Anche se ufficialmente l'Agenzia non ne ha mai confermato l'esistenza, da alcuni documenti appena declassificati in occasione del cinquantenario dei fatti d'Ungheria emerge che questi gruppi riuscirono a portare a termine diverse operazioni e fornire preziose informazioni al quartier generale oltreoceano, in piena Guerra Fredda. La penetrazione della Cia al di la' della cortina di ferro colpì particolarmente i sovietici. Tanto da far sentenziare il 28 ottobre 1956 al generale Klement Voroshilov durante la sessione del Presidio:''i servizi segreti americani sono piu' attivi in Ungheria dei compagni Suslov e Mikoyan''. Tuttavia, sempre secondo i file declassificati dalll'intelligence USA sulla rivolta ungherese, l'Agenzia nata nel 1947 dalle ceneri dell'Office Strategic Service (Oss), non potè contare che su un solo ufficiale di collegamento a Budapest: Geza Katona, che ha permesso allo storico Charles Gati, professore della John Hopkins University, di rivelare il suo nome nel libro appena pubblicato dal titolo 'Failed illusions: Moscow, Washington, Budapest and the 1956 Hungarian Revolt'.


=== 2 ===

Subject: PCI e 1956
Date: November 15, 2006 12:57:09 PM GMT+01:00

da qualche giorno è uscito, edito dalla casa editrice "La Città del Sole" nella collana "Archivio storico del movimento operaio", un libretto che ho curato dal titolo "Il PCI e il 1956. Scritti e documenti dal XX Congresso del PCUS ai fatti d'Ungheria". Si tratta di una raccolta di testi dell'epoca - prevalentemente di Togliatti, ma non solo - sui principali nodi politici che emersero in quell'anno. Al di là dei giudizi che se ne possono dare e delle diverse posizioni che possono esservi in ambito comunista oggi su quei fatti, mi sembra si tratti di una documentazione interessante, utile da conoscersi o da rileggersi, in quanto può: 1) aiutarci a respingere l'offensiva avversaria sul '56 e non solo, restituendo le motivazioni e la complessità delle posizioni espresse allora; 2) contribuire a rilanciare il dibattito dei comunisti oggi sulle questioni che si posero in quei mesi (storia dell'URSS e degli anni di direzione staliniana, ruolo dell'URSS negli anni della Guerra fredda, decolonizzazione, rapporti tra partiti comunisti, "vie nazionali" ecc.), andando al di là delle banalizzazioni di temi così complessi emerse in ambito politico negli scorsi mesi e anni.
Vi allego pertanto indice e premessa del volume (frutto di un lavoro di mediazione tra le diverse posizioni presenti nell'Archivio storico del mov. op.), sperando che possano essere di qualche interesse. In particolare, se vi fossero compagni o strutture interessati ad acquistare un po' di copie (il costo è di 10 euro, le pagine poco più di 200), possono rivolgersi alla casa editrice (info@...). Se invece ci fosse l'intenzione di presentazioni o dibattiti che prendano spunto dal libro, possiamo sentirci direttamente per e-mail.
Fraterni saluti,

 

Alessandro Höbel


Il PCI e il 1956
Dal XX Congresso ai fatti d’Ungheria.
Un’antologia di scritti e documenti
a cura di Alexander Höbel


Indice

- Premessa
- Introduzione


1.P. Togliatti, Il XX Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica, rapporto alla sessione del CC del PCI del 13-14 marzo 1956 
2.P. Togliatti, Conclusioni al Consiglio nazionale del PCI, 5 aprile 1956 
3.P. Togliatti, Risposte a “Nove domande sullo stalinismo” (Intervista a “Nuovi Argomenti”), maggio-giugno 1956 
4.P. Togliatti, La via italiana al socialismo, rapporto alla sessione del CC del PCI del 24-25 giugno 1956 
5.P. Togliatti, La presenza del nemico, “l’Unità”, 3 luglio 1956
6.Sugli avvenimenti polacchi e ungheresi e sulla dichiarazione della delegazione recatasi in Jugoslavia, comunicato della Direzione del PCI, “l’Unità”, 26 ottobre 1956 
7.Cellula del PCI “Giaime Pintor” della casa editrice Einaudi, Appello ai comunisti, 29 ottobre 1956
8.Lettera dei 101, 29 ottobre 1956 
9.P. Togliatti, Sui fatti d’Ungheria, “l’Unità”, 30 ottobre 1956
10. Verbale della riunione della Direzione del PCI, 30 ottobre 1956 
11. Il giudizio della Direzione del PCI sui fatti di Ungheria e di Polonia, comunicato della Direzione del PCI, “l’Unità”, 3 novembre 1956 
12. P. Togliatti, Ancora sui fatti di Ungheria, discorso tenuto all’VIII Congresso della Federazione bolognese del PCI 18 novembre 1956 
13. P. Togliatti, Per una via italiana al socialismo. Per un governo democratico delle classi lavoratrici, rapporto all’VIII Congresso del PCI, 8 dicembre 1956 
14. P. Togliatti, Iradalmi Ujsàg, “Rinascita”, marzo 1957 


Premessa

1.Il cinquantesimo anniversario del 1956 – anno cruciale per la vicenda del comunismo storico novecentesco, con il XX Congresso del PCUS, lo scioglimento del Cominform, le rivolte di Poznan e Budapest e l’intervento sovietico in Ungheria – ha inevitabilmente riaperto il dibattito su quegli eventi. O meglio, di due tipi di dibattito. Quello ideologico (nel senso marxiano di produttore di falsa coscienza), condotto in primo luogo dai mass-media, egemonizzato dai critici acerrimi e dai demonizzatori del comunismo, i quali si fanno forza anche delle autocritiche di importanti esponenti dell’allora PCI; e quello più propriamente storico-politico, frutto del lavoro di vari ricercatori a livello internazionale, oltre che della passione critica di studiosi militanti e di alcuni dei protagonisti di allora.
Soffermiamoci brevemente sul primo versante, molto forte soprattutto sulla vicenda ungherese. È un tipo di discussione fatta perlopiù di anatemi, giudizi morali e a volte moralistici, che non si cura molto dei fatti in quanto tali né tanto meno del loro contesto, né riporta nulla della nuova documentazione emersa nei più accreditati studi sulla guerra fredda. Parliamo, ad esempio, dei verbali del Presidium del PCUS dei giorni che precedono il secondo intervento sovietica, che dimostrano il peso dell’attacco anglo-francese a Suez nel determinare il mutamento di linea del gruppo dirigente del PCUS, facendolo optare per il ritorno dell’Armata Rossa in Ungheria. (1)
Naturalmente la stampa ricorda solo en passant che negli stessi giorni Israele, Gran Bretagna e Francia attaccavano l’Egitto, che aveva osato nazionalizzare il canale di Suez. Un articolo di “Repubblica” pare ridurre quell’aggressione quasi a un fatto di costume, di cui segnalare aspetti “singolari” come il piano di battaglia disegnato su un pacchetto di sigarette, sottolineando altresì che l’Egitto era per Israele un “avversario tenace e bellicoso”, decisamente pericoloso. (2)  Toni ben diversi, dunque, rispetto a quelli usati per i fatti ungheresi. Cosicché, mentre si sollecitano e si raccolgono le autocritiche degli ex-dirigenti comunisti, è piuttosto improbabile che si chieda a qualcuno dei leader politici occidentali di allora di “autocriticarsi” per Suez. Eppure non pochi uomini politici e intellettuali occidentali appoggiarono l’attacco, compresi molti democratici e progressisti (presidente del Consiglio francese era il socialista Guy Mollet). Il governo italiano, che aveva giudicato la nazionalizzazione del Canale un atto ‘illecito’ e ‘chiaramente ostile nei confronti di tutto il mondo occidentale’, non approvò la guerra, ma il ministro Martino alla Camera espresse comprensione verso Israele, che aveva dovuto reprimere ‘le forze più bellicose e intransigenti dei paesi vicini’, aggiungendo di non aver ‘potuto approvare le ultime decisioni anglo-francesi’ non in base a un giudizio di merito, ma per non ‘menomare l’autorità delle Nazioni Unite’. (3)
E qui veniamo a quella che si potrebbe definire la “asimmetria delle critiche e delle autocritiche”, che rimanda a un’asimmetria complessiva nell’informazione e nell’analisi che i mass-media impongono rispetto alla guerra fredda, e in generale al Novecento e al tremendo scontro di classe su scala mondiale che lo ha caratterizzato: i “buoni” sono collocati da una parte, i violenti e gli antidemocratici dall’altra. Dimenticando che, proprio in nome dell’anticomunismo e della “difesa della democrazia” e della “libertà” (o, come si dice più sinceramente, “del nostro stile di vita”), si sono giustificate decine di golpe e dittature militari promossi o sostenuti dagli USA, e si sono perpetrati una quantità di crimini orrendi, che vanno da guerre spaventose come quella del Vietnam fino alla strategia della tensione che ha insanguinato il nostro paese, passando per il milione di comunisti uccisi in Indonesia dopo il colpo di Stato del 1965: un vero e proprio genocidio. (4) Di quest’ultimo è da poco ricorso l’anniversario: qualcuno se n’è ricordato?
Nessuno chiede conto di tutto ciò ai politici che sostenevano lo schieramento atlantico. E qui c’è l’asimmetria, abilmente costruita e consolidata dai mass-media e da un revisionismo storico che mette sullo stesso piano le foibe e la Shoah. Asimmetria per cui i comunisti si autocriticano da 50 anni, gli ex-comunisti da almeno 15, ma non si cessa di chiedere loro pentimenti e abiure, ma nessuno ha mai chiesto, ad esempio, a un ex dirigente della DC, di autocriticarsi per la guerra del Vietnam, in cui gli USA massacrarono la popolazione per circa dieci anni con bombe e napalm, mentre Moro, che era un cattolico democratico, esprimeva “comprensione” per l’alleato statunitense, nel quadro degli equilibri della guerra fredda, e tutti i partiti filo-occidentali – pur con significativi distinguo – furono sulla stessa linea. Il silenzio su questi eventi rende dubbia – oltre che unilaterale e incompleta – l’abbondanza di commenti, servizi giornalistici, inchieste, sui fatti ungheresi e le relative “responsabilità del PCI”. (5)

2.Di questo tipo di dibattito, che rimanda alla battaglia per l’uso pubblico della storia, non si può non tenere conto, e occorre un rinnovato impegno su questo terreno. C’è, però, anche un secondo tipo di confronto, non pregiudiziale e non strumentale, che tenta di entrare maggiormente nel merito delle questioni. Esso riguarda tutti i nodi del 1956, dal significato storico del XX Congresso alle nuove contraddizioni (economiche, ideologiche ecc.) che esso apre, dalla natura della rivolta ungherese all’intervento militare sovietico. A tale proposito, la questione posta da Rossana Rossanda non può essere elusa:

Non è vano – scrive Rossanda – chiedersi che cosa sarebbe avvenuto ‘se’ nel 1956 il rapporto segreto di Kruscev fosse stato recepito come un goffo ma serio segnale, ‘se’ il PCUS e gli altri partiti lo avessero elaborato invece che sfuggito, ‘se’ pochi mesi dopo avessero inteso la rivolta di Poznan, e poi quella di Budapest, e infine ‘se’ [...] la seconda non fosse stata repressa dall’intervento militare sovietico.

La possibilità, cioè, di andare verso un socialismo che desse più spazio alla partecipazione attiva delle masse e più ascolto ai loro bisogni – pur nella complessità della pianificazione e in una situazione di difficoltà economica oggettiva – non va sottovalutata.  (6) E tuttavia, oltre alla questione della realizzabilità di tale prospettiva nel contesto dato, non si può negare che, soprattutto nel caso ungherese, accanto alle forze riformatrici, fossero “scese in campo” anche forze apertamente anti-sistema: il simbolo della rivolta – la bandiera con lo stemma della Repubblica tagliato – e gli obiettivi del ritiro di ogni presenza militare sovietica sul territorio nazionale e della fuoriuscita dal Patto di Varsavia, paiono confermarlo. E in questo quadro va considerato che, negli equilibri ferrei della guerra fredda, a nessuna forza “anti-sistema” era consentito di accedere al potere, nell’uno come nell’altro campo: non al PCI in Italia, perfino dopo la sua accettazione della NATO; e tanto meno ai rivoltosi ungheresi, che volevano la neutralità del Paese (decretata da Nagy il 1° novembre), il che significava un vero e proprio terremoto negli equilibri tra i due campi. (7) È stato scritto a tale riguardo:

Proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo in Italia se il PCI, anziché attenersi alla logica di Jalta avesse trasformato lo sciopero di protesta seguito all’attentato di Togliatti in un movimento insurrezionale e in una rivoluzione socialista. C’è qualcuno, sano di mente, convinto che gli americani avrebbero osservato impassibili un simile evento senza usare i loro cingolati?. (8)

Quanto al PCI, la Rossanda afferma che esso nel 1956 avrebbe potuto “mettersi ragionatamente contro il gruppo dirigente dell’URSS e dare una sponda a quanto di popolare e fin socialista c’era nel dissenso”.  (9) Dal canto suo, Mario Pirani contesta il “ritardo” del PCI nel compiere lo “strappo” dall’Unione Sovietica – e nello specifico la mancata condanna dell’intervento in Ungheria – come cause del mancato accesso delle sinistre al governo del Paese. (10) Ha scritto invece lo storico Martinelli:

‘Ritardo’ [...] è evidentemente un termine non scientifico, assai poco idoneo a dar conto [...] di fenomeni e processi reali: i quali, com’è noto, non sono meramente e unicamente riconducibili a scelte politiche soggettive. ‘Ritardo’ rispetto a che cosa? La storia del PCI non è [...] la storia di scelte da valutare – in rapporto a uno svolgimento finalistico e lineare – giuste o sbagliate, ma un complicato percorso in cui giocano un peso essenziale eventi, realtà, fattori interni e internazionali talvolta imprevedibili, tali da limitare di molto la libertà di scelta [...] dei dirigenti. (11)

Sullo stesso inserto del “Manifesto” in cui è comparso l’articolo della Rossanda, Valentino Parlato ha sostenuto una posizione opposta:

Nel 1956 quella del PCI e di tutti noi che restammo nel PCI fu una scelta obbligata e giusta, anche nel medio periodo. [...] c’era la guerra fredda e [...] il mondo era diviso in due secondo l’accordo di Yalta. [...] dopo il primo intervento i sovietici si ritirarono e [...] il secondo brutale intervento ci fu quando Nagy [...] annunciò l’uscita dell’Ungheria dal patto di Varsavia [...].
Non mi convince neppure la tesi dell’‘occasione perduta’ da parte del PCI. A mio parere il PCI [...] si sarebbe spaccato. [...] Invece, forse proprio per quell’‘occasione perduta’, già le elezioni del 1958 segnarono un consolidamento del PCI. Il quale [...] con il suo VIII Congresso segna la fine dello stato guida e del partito guida e avvia [...] la via italiana al socialismo. (12)

C’è poi un altro punto, che si dimentica sempre. Il movimento comunista è per sua natura internazionalista. Anche al di là della guerra fredda, è del tutto ovvio che il PCI avesse un legame organico col paese in cui era in corso il più importante tentativo di costruire una società socialista, e cercasse di mantenerlo in tutti i modi, sia pure in chiave critica e cercando di avviare in Occidente un processo che sarebbe stato necessariamente diverso. Secondo lo storico D. Blackmer, nel 1956 “l’alternativa di separare il PCI dal movimento internazionale non esisteva come possibilità pratica”; il PCI “non poteva fare un simile passo senza virtualmente autodistruggersi”. (13)
È evidente, dunque, che su queste questioni esistono, a sinistra e tra gli studiosi, posizioni diverse, e che pertanto il dibattito resta aperto. Anche all’interno dell’Archivio storico del movimento operaio – la struttura di cui questa collana editoriale è emanazione – i giudizi sul 1956 e il ruolo del PCI sono diversi, e la pubblicazione di questo volume ha stimolato una discussione non formale né sterile, ma anzi ricca di stimoli e sollecitazioni, che ha migliorato il presente lavoro. Tra l’altro, è parso chiaro che la rivolta ungherese è stata un evento complesso, per cui appaiono fuorvianti sia la definizione di “controrivoluzione”, emersa nei primi giudizi dati dal PCI, sia quella di “rivoluzione”, oggi ampiamente in auge. Si è trattato piuttosto di un fenomeno articolato ed eterogeneo, in cui erano presenti diverse componenti: quella studentesca e intellettuale, di orientamento prevalentemente nazionalista; quella operaia, di impostazione consiliare (e dunque socialista, sindacalista-rivoluzionaria o addirittura comunista di sinistra); e infine quella costituita dai residui dei vecchi ceti dominanti, con l’appoggio della Chiesa, apertamente reazionaria. (14) L’antisovietismo, tuttavia, e/o l’ambizione di liberarsi della tutela dell’URSS, appare l’elemento comune che poi ha determinato l’intervento.
Nel suo emendamento a una bozza di comunicato comune col PCF, Togliatti parla di “movimento popolare” e dell’intervento sovietico come di una “dura necessità”, incontrando l’opposizione dei francesi, che parlano di “controrivoluzione” e intervento come “dovere di classe”. Il comunicato comune non si farà, e anche da questa contrapposizione esce confermata una posizione del PCI più dialettica rispetto a quella di altre forze comuniste, anche rispetto ai “fatti d’Ungheria”.
Negli scritti di Togliatti sull’argomento – accanto a un netto schieramento “di campo” e alla convinzione che la rivolta, se non fermata, avrebbe avuto effetti disastrosi per la revanche delle forze reazionarie e l’indebolimento del “campo socialista” – troviamo elementi di critica forte al gruppo dirigente ungherese; troviamo cioè la consapevolezza che se la situazione era giunta a tale grado di tensione, significava che qualcosa si era rotto nel rapporto tra partito e masse, e che ben prima che si arrivasse a tanto occorreva correggere, rettificare, migliorare. E dunque bene faceva il PCI a porre al centro della “via italiana” il rapporto dialettico democrazia-socialismo, rilanciata proprio nel 1956 assieme al “policentrismo” del movimento comunista internazionale. Tutto ciò costituisce il retroterra comune a tutto il gruppo dirigente. D’altra parte, sui fatti d’Ungheria si apre un dibattito ricco e aspro, con prese di posizione di aperto dissenso come quella di Di Vittorio o di molti intellettuali, di cui pure nel presente volume si dà conto. Certo, tali posizioni rimangono minoritarie e vengono emarginate, ma pure hanno avuto il loro peso politico nella vicenda del PCI e della sinistra nel suo complesso.

3.Nel 1956, peraltro, non c’è solo l’Ungheria. Il XX Congresso provoca nel gruppo dirigente del PCI una riflessione sulla figura di Stalin e sulla storia dell’Unione Sovietica, che è tuttora di grande interesse. In particolare la porta avanti Togliatti, e nei suoi scritti di quel periodo che qui riproponiamo – l’intervista a “Nuovi Argomenti” in primis – si ritrovano elementi di analisi su ciò che non ha funzionato nell’esperienza sovietica, sul come, quando e perché hanno cominciato a prodursi quelli che definisce “fenomeni di burocratizzazione, di violazione della legalità, di stagnazione, e anche, parzialmente, di degenerazione, in differenti punti dell’organismo sociale”, attirandosi la critica di Chruščëv; elementi di analisi che consentono di affrontare il tema nel merito, al di là degli attacchi pregiudiziali o complessivi e delle difese acritiche. Si può certo osservare che tale elaborazione non ha ricevuto poi uno sviluppo sistematico a livello di partito: e questo rimane un limite; e tuttavia in occasione del XXII Congresso del PCUS (1961) e poi col Memoriale di Jalta Togliatti tornerà su questi temi, e più in generale tutta la sua elaborazione degli ultimi anni è centrata sul problema della “rivoluzione in Occidente” e sul nesso fra trasformazioni socialiste, programmazione e sviluppo democratico.
Quanto allo “stalinismo”, Togliatti rifiuta questa categoria. All’VIII Congresso del PCI – dopo aver ricordato lo sforzo immane successivo alla Rivoluzione d’Ottobre per porre le basi della società socialista, e il fatto che questa “ha dimostrato la capacità di scoprire [...] i propri difetti, di criticarli con coraggio e di accingersi a correggerli” – afferma:

Per questo noi non accettiamo l’uso del termine di ‘stalinismo’ e dei suoi derivati, perché porta alla conclusione, che è falsa, di un sistema in sé sbagliato, anziché spingere alla ricerca dei mali inseritisi, per cause determinate, in un quadro di positiva costruzione economica e politica, di giusta attività nel campo dei rapporti internazionali e di conseguenti, decisive vittorie. Errano coloro che ritengono che quei mali fossero inevitabili. Ancora più gravemente coloro che su di essi cercano di fondare una vana critica distruttiva. (15)

 Del tutto diversa la posizione del leader socialista Nenni, che parla di difetti del sistema e non nel sistema, ma anche dei firmatari della lettera dei 101 o di dirigenti del PCI come Giolitti; non a caso alcuni di loro confluiranno nel PSI. Anche per la sinistra italiana nel suo complesso, dunque, il 1956 costituisce un tornante di eccezionale importanza. Riguardo al PCI, il suo VIII Congresso, alla fine dell’anno, ribadisce con Togliatti che “non vi è né Stato guida, né partito guida”, e sancisce la sistemazione e il rilancio della “via italiana al socialismo”, che costituisce comunque un passaggio essenziale della sua storia, già in nuce nella svolta del 1944 e da cui sono derivati molti degli sviluppi successivi.
Con questo volume cerchiamo dunque di documentare come il PCI si è rapportato al “terribile 1956”, e di restituire spunti ed elementi di analisi che possono essere interessanti e util ancora oggi. Tornare da un lato ai fatti di quell’anno, e dall’altro ai documenti, all’elaborazione dei protagonisti di allora, può servire inoltre ad avvicinarsi a una comprensione maggiore di quelle vicende e a una loro visione più storica e meno “ideologica”. È questo l’intento a cui è ispirato il presente lavoro.
Accanto alla documentazione, è inevitabile che emerga un livello di giudizio, parziale e temporaneo. Occorrerà quindi proseguire la ricerca e la discussione, col conforto – è auspicabile – anche di nuovi materiali documentari provenienti da archivi poco esplorati o fino a poco fa non accessibili.

A. H.


Nota ai testi

I testi qui selezionati sono stati tutti ridotti per motivi di spazio. Sono state quindi “tagliati” incisi, excursus, e le ripetizioni inevitabili in scritti e discorsi che si susseguono in un contesto che mantiene elementi di fondo costanti. Naturalmente i “tagli”, segnalati con parentesi quadra e puntini, sono stati operati in modo tale da non inficiare i contenuti essenziali dei testi stessi.


Ringraziamenti

Un grazie a Giuseppe Aragno, Sergio Manes e Sergio Muzzupappa per l’appassionata discussione collettiva che ha accompagnato la preparazione di questo libro, migliorandolo significativamente rispetto alla versione originaria. Ringrazio inoltre il direttore della Fondazione Istituto Gramsci, prof. Silvio Pons, per l’autorizzazione concessa alla pubblicazione dell’appello della cellula “Giaime Pintor”. Grazie infine a Daniele Quatrano per il supporto tecnico.

(1) M. Kramer, The “Malin Notes” on the Crises in Hungary and Poland, 1956, “Cold War International History Project Bullettin”, 1996-97, nn. 8-9.
(2) A. Stabile, Suez, la guerra di Dayan su un pacchetto di sigarette, “la Repubblica”, 9 ottobre 2006.
(3) Cfr. G. Calchi Novati, Mediterraneo e questione araba nella politica estera italiana, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. 2, tomo I, Torino, Einaudi, 1995, pp. 222-227. La redazione de “Il Mondo”, di area radical-democratica, si spaccò. Il “Corriere della Sera”, per bocca dell’editorialista Augusto Guerriero, si rammaricò che l’azione bellica non fosse giunta fino alla ‘liquidazione’ e alla resa di Nasser. Lo stesso Mollet esprimerà un parere analogo (D. Sassoon, Cento anni di socialismo. La sinistra nell’Europa occidentale del XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 260).
(4) Cfr. W. Blum, Con la scusa della libertà, Milano, Marco Troppa Editore, 2002; Id., Il libro nero degli Stati Uniti, Roma, Fazi Editore, 2003. Quanto all’Europa occidentale, si veda D. Ganser, Gli eserciti segreti della NATO. Operazione Gladio e terrorismo in Europa occidentale, prefazione di G. De Lutiis, Roma, Fazi Editore, 2005.
(5) Allo stesso modo, sono sospette le aspre condanne di tali fatti da parte di chi, oggi, rimane indifferente dinanzi alle aggressioni all’Iraq o al Libano, ai civili uccisi ogni giorno in Afghanistan o in Iraq, alle “esecuzioni mirate” e ai raid contro i palestinesi, ad aberrazioni come Guantanamo o Abu-Ghraib, o magari le giustifica in nome della “lotta al terrorismo”.
(6) R. Rossanda, Un “Se” che è utile porsi, “il manifesto”, 22 ottobre 2006
(7) Paradossalmente, sarà proprio nel blocco sovietico che infine forze anti-sistema come Solidarnosc in Polonia potranno accedere al potere, col benestare dei gruppi dirigenti polacco e sovietico.
(8) S. Ricaldone, Budapest 1956: l’Europa ad un passo dal conflitto nucleare. Pentimenti e ipocrisie di postcomunisti cinquanta anni dopo, in www.resistenze.org.
(9) Rossanda, Un “Se” che è utile porsi, cit.
(10) Si veda ad es. M. Pirani, L’occasione persa dal PCI, “la Repubblica”, 3 ottobre 2006.
(11) R. Martinelli, Introduzione a Quel terribile 1956. I verbali della Direzione comunista tra il XX Congresso del PCUS e l’VIII Congresso del PCI, a cura di M.L. Righi, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. XLVIII.
(12) V. Parlato, Troppo comodo pentirsi, 50 anni dopo, “il manifesto”, 22 ottobre 2006.
(13) D.L.M. Black

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