Informazione


Crimini italiani

0) SEGNALAZIONE: mostra fotografica “TESTA PER DENTE” a Castel Del Monte (AQ)
1) Recensione a "I massacri di luglio", di Giacomo Scotti (F. Angoscini)
2) Recensione a "Gli uomini di Mussolini", di Davide Conti, e un’intervista all’autore (S. Leotta e V. Strinati)


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Castel Del Monte (AQ) dal 4 al 20 agosto 2018

“TESTA PER DENTE”

Mostra fotografica presso il Punto Informativo del Comune di Castel del Monte: progetto “ Testa per Dente”, raccolta di foto sui crimini fascisti e la resistenza in Jugoslavia

Presentazione il 4 Agosto alle 17:00 presso il teatro comunale Francesco Giuliani con Riccardo Lolli e Mauro Alessandri. 

Orari della mostra 10:00-13:00 15:00-18:00.

Nell'ambito del Festival del Gran Sasso
Organizzatore: Comune di Castel del Monte
Info: +39 340 7299369

Sulla mostra "Testa per dente" si veda anche: 


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Giacomo Scotti
I MASSACRI DI LUGLIO
La storia censurata dei crimini fascisti in Jugoslavia
Introduzione di Giuseppe Ranieri
Red Star Press, Roma, giugno 2017
pag. 256, € 18,00



Il Generale, il Prefetto, il Serpente e la pulizia etnica della Jugoslavia

di Fiorenzo Angoscini, 13 novembre 2017  

L’invasione militare e l’occupazione amministrativo-politica di alcuni territori della Jugoslavia del nord, da parte dell’Italia monarco-fascista, con velleità imperialiste e mire espansionistiche, tramite la cosiddetta ‘guerra d’aprile’ dell’anno 1941, ha provocato numerose vittime, distruzione di villaggi e città, decimazioni di nuclei famigliari, sofferenze, povertà e miseria per le popolazioni slave (s’ciavi, schiavi) che da sempre abitavano quelle terre. Accompagnate da manovre di snazionalizzazione, prevaricazioni, tentativi di cancellazione dell’identità culturale e linguistica. Un vero e proprio piano di sostituzione etnica. 

Già dai tempi dell’occupazione, attraversando il dopo guerra post resistenziale, gli anni cinquanta: quelli delle parole d’ordine nazional-fasciste-scioviniste di ‘Trento, Trieste, Istria italiane’,1 mescolando un irredentismo casereccio a rivendicazioni annessionistiche, nonché la ‘proprietà’ geografia della mitteleuropea città alabardata, l’onda lunga della menzogna è giunta sino ai giorni nostri con l’istituzione (2004), per decreto, del 10 febbraio come ‘Giorno del ricordo’ dedicato alla “memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. 

In quella data, ogni anno, vengono consegnate ‘medagliette’ dorate (non sono d’oro, bensì in acciaio brunito e smaltato e recano la scritta “la Repubblica Italiana ricorda”) ai parenti degli ‘infoibati’ ma, tra i riconosciuti come vittime delle doline carsiche, ci sono anche caduti in combattimento (quindi non ‘infoibati’), ex-repubblichini2 e criminali di guerra3 . Un vero e proprio medaglificio fascista.4

Si parla, spesso gonfiandoli e falsificandoli, degli effetti, dimenticando e rimuovendo completamente quali sono state le cause: un’occupazione violenta e sanguinaria, crimini e misfatti, odiose forme di razzismo e repressione. Mescolando foibe e ‘profughi’ (come venivano chiamati dagli ‘italiani’ residenti i rientrati in Italia dalle zone jugoslave), bugie storiche e primati di insediamenti e radici mai avuti. Ribaltando la realtà dei fatti, applicando quello che molti storici definiscono ‘rovescismo’. Cercando di accreditare, cioè, l’esatto contrario di ciò che è avvenuto.

Per comprendere come le mire di annessione, l’odio ‘anti-slavo’ e le violenze fasciste abbiano radici lontane ma costanti, ricordiamo due avvenimenti tragici e criminali, collegati tra loro, nonostante la distanza temporale, dallo stesso e solito ‘filo nero’ squadrista. Il primo è l’attacco al Narodni Dom (Casa del popolo o Casa nazionale) di Trieste, sede delle organizzazioni degli sloveni triestini, un edificio polifunzionale nel centro di Trieste, nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo (Hotel Balkan).5 Incendiato dai fascisti il 13 luglio 1920, nel corso di quello che, persino Renzo De Felice definisce “il vero battesimo dello squadrismo organizzato”. L’altro, relativamente recente, significativamente avvenuto il 4 ottobre 1969 (due mesi prima della strage di Piazza Fontana alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano e riconducibile agli stessi ambienti responsabili, con identiche modalità, della strage) è il fallito attentato (per cause meteorologiche, non per volontà dei potenziali assassini) compiuto presso la Scuola elementare di lingua slovena a Trieste. 

Quel lunedì mattina, il custode, trova sul davanzale di una finestra una cassetta portamunizioni militare con scritte in inglese avvolta da filo zincato. Quando i Carabinieri intervenuti sollevano il coperchio, trovano sei candelotti (kg 5,7 di esplosivo) di gelignite spezzati a metà, avvolti in carta paraffinata rossa, e un congegno ad orologeria formato da una pila, due detonatori e un orologio da polso con una vite inserita nel quadrante e collegata ai fili elettrici a loro volta collegati ai detonatori. Ai piedi dell’edificio vengono inoltre rinvenuti otto foglietti di carta con scritte in stampatello di carattere xenofobo quali “No al viaggio di Saragat in Jugoslavia”, “No alle foibe”, firmati FRONTE ANTI SLAVO.

Contro queste tendenze e demagogiche, deboli culturalmente ma forti mediaticamente, scuole di pensiero, in una difficile, logorante e solitaria, ‘battaglia per la verità’ si sono da molto tempo distinti alcuni storici, ricercatori, scrittori, giornalisti e militanti politici, in una sorta di ‘Resistenza storica’ per l’affermazione della realtà. Tra questi Giacomo Scotti, napoletano di origini e italiano di nascita che ha deciso di trasferirsi a vivere, in una sorta di controesodo, in Jugoslavia già nel 1947, autore di numerose inchieste e pubblicazioni,6Claudia Cernigoi,7 Alessandra Kersevan,8 Alessandro Sandi Volk9 e, recentemente, affiancati anche dal collettivo di ricerca storica, filiazione della Fondazione Wu Ming, denominato ‘Nicoletta Bourbaky’10 che ha smascherato la montatura storico-politica della cosiddetta ‘foiba volante’ (appariva qui e là) che già dall’attribuzione finale si può intuire che era una cosa inesistente, non c’era materialmente.

L’invenzione mediatica ha visto come attori protagonisti reazionari veri, ‘democratici’ camuffati (un senatore Pd) e militanti ‘piddini’ dialoganti con Casa Pound.11 Anche Claudia Cernigoi, su questa strana foiba (foibe?), ha offerto un interessante contributo.12 Una bella compagnia di giro-armata Brancaleone, puntualmente sbugiardata13 . Mentre Scotti, Cernigoi, Volk, Kersevan, ‘Nicoletta Bourbaky’ ed altri, spesso accusati di negazionismo, combattono culturalmente il revisionismo storico vero, supporto e battistrada del revisionismo costituzionale.

Con questo nuovo contributo, Giacomo Scotti, utilizzando fonti articolate e diverse, dati e documenti alla mano, delinea le efferatezze, gli assassini e crudeltà perpretrate nel nord della Jugoslavia dagli occupanti italo-fascisti nella primavera-estate del 1942.
La ricostruzione storica parte dalla devastazione (12 luglio 1942) di un villaggio, Podhum, distante circa dieci chilometri da Fiume. Secondo il Prefetto Testa,14 ricordato dalla “popolazione come il boia del Fiumano e dei territori della Kupa”, il motivo-pretesto dell’eccidio è stato offerto, e compiuto, per vendicare “16 soldati uccisi dai ribelli”, mentre il ‘Federale’ fascista di Fiume, Genunzio Servitori, fa risalire le ragioni della rappresaglia alla morte di due maestri elementari, i coniugi Giovanni e Francesca Renzi, emissari del “regime fascista nelle terre occupate e annesse per italianizzare i ‘barbari slavi’”. Ma Scotti puntualizza: “Il ‘caso’ di Podhum si inserisce, in verità, in un disegno generale di sterminio delle popolazioni slave sui Territori annessi della Slovenia e della Croazia nel quadro, cioè, di un’operazione preparata accuratamente.
Il risultato sarà la totale o parziale distruzione col fuoco di circa cinquanta villaggi…con fucilazioni di centinaia di ostaggi e la deportazione di alcune migliaia di persone”.

Descrive come la popolazione veniva vessata e perseguitata perché aveva parenti che erano ‘andati nel bosco’ , cioè con i Partigiani, oppure di arrestati che venivano condannati a morte da un tribunale di guerra ma solo dopo essere già stati fucilati mentre i lori cadaveri marcivano in una fossa sconosciuta.
Puntualizza come la famigerata circolare 3-C emanata, il 1° marzo 1942, dal comandante della II Armata operante in quei territori, Mario Roatta,15 fosse “un documento-programma (riassunto in un opuscolo di circa 200 pagine e distribuito a tutti gli ufficiali dell’esercito) grazie al quale nel solo mese di luglio 1942 furono deportati 10mila civili dai territori coinvolti in una cosiddetta ‘Operazione Primavera’” . Il cui obiettivo era “lo spopolamento tramite la deportazione dei civili e il massacro dei ‘ribelli’…contenente tra l’altro la formula ‘non dente per dente ma testa per dente’…che rappresentò una normativa repressiva di tipo coloniale nei confronti delle popolazioni dei Territori annessi destinati alla bonifica etnica…facendo terra bruciata, in vista di una imminente colonizzazione italiana”.

Prima delle distruzione di luglio, anche la primavera era stata insanguinata, con decine di villaggi rasi al suolo, comunità distrutte e disperse, giovani e giovanissimi ammazzati perché appartenenti ad una ‘razza’ inferiore. Questa repressione, senza pietà, aveva come principale protagonista il Prefetto Temistocle Testa che, spesso, firmava di proprio pugno gli ordini che sancivano vere e proprie stragi di civili.

Scotti elenca, con precisione certosina, il numero e, a volte, anche i nomi dei fucilati, dei deportati, degli internati nei campi di concentramento, e spesso anche il nome dei fucilatori. Racconta delle lusinghe, dei premi, vere e proprie taglie poste sulla testa dei ‘ricercati’. Della costituzione di squadroni della morte (Milizia Volontaria Anticomunista) e per la caccia (Bela Garda, Camicie Bianche) alle ‘bande Comuniste’, ma che andavano sempre più ingrossandosi con l’aumentare della repressione.
L’autore documenta come non ci sia alcuna differenza tra fascisti della prima ora, neo-fascisti o post-fascisti: gli squadristi del manganello, della somministrazione dell’olio di ricino, degli agguati, dello sfoggio di camicie nere, e delle stragi (da Marzabotto a Piazza Fontana) sono sempre gli stessi, identici storicamente e ‘culturalmente’, siano essi ‘manovali’ oppure ‘intellettuali’.

Uno degli esempi è rappresentato dalla falsificazione relativa alla volontà, e ‘contentezza’, degli abitanti alcune frazioni di Castua, nell’essere internati nei ‘campi’ fascisti. In una comunicazione riservata (giugno 1942) al questore di Fiume, gli artefici della rappresaglia si esprimono così: “Gran parte della popolazione del Castuano che assisteva all’operazione stessa ha manifestato il desiderio di essere internata nel Regno […] Il numero degli internati è di N. 500”.
Sfrontataggine fascista. Contrabbandando per desiderio una deportazione che conduce gli abitanti a sopportare nuove sofferenze e perfino la morte nei ‘campi del Duce’. “Parecchi di loro infatti, finirono nel campo di sterminio di Kampor sull’isola di Arbe dove tra il giugno 1942 e l’inizio di settembre 1943, su 12mila deportati ne morirono di stenti, di fame e di malattia circa 3mila, per la gran parte bambini e vecchi”.

In loro soccorso, a distanza di quasi 70 anni, si prodiga un quotidiano ‘indipendente’, “Il Secolo d’Italia”, già organo ufficiale del ricostituito partito fascista Movimento Sociale Italiano.
Il 23 novembre 2011, a proposito di quel ‘campo di lavoro’, il giornale scrive: “Non era né un campo di concentramento, né un campo di sterminio, e le vittime furono ‘in maggioranza’ comunisti croati e sloveni”. Bolscevichi di pochi anni, oppure ultrasettantenni e donne di ogni età. Con buona pace di quegli ‘ambigui’ che parlano di pacificazione e di equiparare i Partigiani agli assassini (fascisti e Repubblichini).

Un altro esempio di manipolazione della verità e falsificazione degli avvenimenti, riguarda l’epilogo della meschina vita di Vincenzo Cuiuli,16 comandante del ‘campo della morte’17 di Kampor, sull’isola di Arbe, in Dalmazia settentrionale, allestito all’ inizio dell’estate del 1942, il cui padre fondatore (come si autodefinì) è stato il Prefetto Temistocle Testa.
“Il tenente colonello Cuiuli portava sempre con sé un frustino per incutere terrore ai deportati da lui disprezzati come fossero bestie”. Anche per questo motivo era stato soprannominato Zmija, ‘il Serpente’. 

Già dal gennaio ’43, nel ‘campo’ si era costituita una cellula clandestina del Fronte di Liberazione e, in luglio, una virtuale Brigata Partigiana (Rabska Brigada) che “si assunse il compito di creare migliori condizioni di vita nel campo e preparare gli internati alla lotta armata”. L’ 8 settembre 1943 la ‘brigata di campo’ prese il controllo della struttura senza compiere alcuna violenza sugli ex ‘controllori’, che non opposero resistenza. Solo “il Cuiuli minacciò i ribelli di farli fucilare, ma venne prontamente immobilizzato dagli internati, senza che gli altri ufficiali e soldati reagissero. Il ‘Serpente’ poté tornare negli uffici del Comando dove trascorse la notte”.
Successivamente tutto il personale militare venne ‘liberato’, furono trattenuti in stato di arresto solo il comandante, carabiniere Cuiuli, e una spia di nome Mohar, successivamente processati e condannati a morte per crimini di guerra.

E qui inizia la girandola di menzogne e ricostruzioni non veritiere.
Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski, nel volume “Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1942)” collocano la morte del ‘regio’ carabiniere, ad Arbe, il 13 settembre 1943 (oltre la data della loro ricostruzione) “ucciso durante la rivolta degli internati”.
Non è vero, documenta Scotti, che Cuiuli fu ucciso ad Arbe il 13 settembre.
“Le cose andarono diversamente”.
L’ex comandante viene trasferito sulla terraferma nella notte tra il16 e 17 settembre e rinchiuso, sotto sorveglianza, in una cella del carcere di Crikvenica. Il mattino dopo viene rinvenuto moribondo nella sua cella: si era suicidato tagliandosi il collo.18

Ma questa soluzione non può essere accettata da parte di chi vuole screditare comunisti, partiginai, slavi ed internati in campi fascisti. Così, in un libro19 pubblicato a Trieste, l’autore, Luigi Papo20 sostiene che Cuiuli è stato una vittima dei Partigiani di Tito: “Gli slavi lo hanno impiccato ad Arbe tra il 10 e il 12 settembre davanti al campo di internamento, in cui era rinchiuso, e lo hanno seppellito in mezzo alla strada assieme al suo cane”.

Ma Scotti, precisa e demistifica: “In tre righe una montagna di falsità”.
Riprendendo le testimonianze raccolte da Anton Vratusa “che smentiscono sia l’impiccagione, l’esistenza del cane dell’ ‘impiccato’ e tutto il resto”, così come confermato anche dallo storico Ivo Baric’ nella voluminosa storia della sua isola, “Rapska bastina” (Il patrimonio di Arbe).
“Il comandante del più malfamato lager per civili creato dalle truppe italiane nella seconda guerra mondiale-suicidatosi forse per rimorso-venne sepolto accanto alle sue vittime”.

L’italiano di Croazia per scelta, Giacomo Scotti, ribadisce: “Bisognerebbe farla finita con il silenzio sui crimini del fascismo italiano, soprattutto le stragi compiute non soltanto dai battaglioni speciali fascisti ma dalle truppe italiane che aggredirono e occuparono la Jugoslavia, annettendosi intere regioni della Slovenia, del retroterra della Provincia di Fiume, della Dalmazia e l’intero Montenegro”.

Rendendo omaggio a tutti i fucilati di quelle terre: oltre 400mila civili, di cui più di 100mila rinchiusi nei campi di concentramento di Molat, Arbe, Gonars e molti altri.
Ciò, in risposta ad un comunicato del 25 aprile 2017, a firma di Donatella Schurzel, vice presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, contro le persecuzioni subite dagli ebrei per opera nazista e dalla “comunità giuliano-dalmata vittima di persecuzioni, deportazioni, stragi e violenze nel corso della seconda guerra mondiale a opera dei nazionalcomunisti di Tito”.
Oplà! Con una giravolta la realtà è capovolta.


  1. http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2015/07/1953-GLI-SCONTRI-PER-TRIESTE-ITALIANA..pdf  

  2. http://www.corriere.it/cronache/15_marzo_19/foibe-criminali-guerra-fascisti-300-combattenti-rsi-medaglie-ricevute-il-giorno-ricordo-49b164a6-ce59-11e4-b573-56a67cdde4d3.shtml  

  3. http://www.diecifebbraio.info/2012/03/i-riconoscimenti-per-gli-infoibati-ai-criminali-di-guerra-italiani/  

  4. https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/04/il-giornodelricordo-dieci-anni-di-medaglificio-fascista-un-bilancio-agghiacciante/  

  5. http://www.anpi.it/media/uploads/patria/2011/29-34_PAHOR.pdf  

  6. con Luciano Giuricin, Rossa una stella. Storia del battaglione italiano Pino Budicin e degli Italiani dell’Istria e di Fiume nell’esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, Unione degli italiani dell’Istria e di Fiume, Rovigno, 1975; Ustascia tra il fascio e la svastica, storia e crimini del movimento ustascia, Incontri Editore, Udine, 1976; Bono Taliano. Gli italiani in Jugoslavia (1941-43), La Pietra, Milano, 1977, ristampato per Odradek Edizioni nel 2012;  Juris, juris! All’attacco! La guerriglia partigiana ai confini orientali d’Italia 1943-1945, Mursia, Milano, 1984; con Luciano Viazzi, Le aquile delle Montagne nere: storia dell’occupazione e della guerra italiana in Montenegro (1941-1943), Mursia, Milano, 1987; Dossier foibe, Manni, San Cesario di Lecce, 2005; Il bosco dopo il mare. Partigiani italiani in Jugoslavia, 1943-1945, Infinito Edizioni, Formigine (Mo), 2009; ed altri lavori  

  7. direttrice di “La Nuova Alabarda e la coda del diavolo”, notiziario di informazione culturale, politica e sociale; autrice di interessanti ‘dossier’ monografici: tra cui “L’ombra di Gladio. Le foibe tra mito ed eversione”; “La ‘foiba’ di Basovizza”; “Il caso Norma Cossetto”; “Operazione Foibe: tra storia e mito, Kappa Vu edizioni, Udine, 2005”; La «banda Collotti». Storia di un corpo di repressione al confine orientale d’Italia, Kappa Vu, Udine, 2013  

  8. animatrice della casa editrice Kappa Vu ed autrice di: “Un campo di concentramento fascista. Gonars (1942-1943)”, Kappa Vu Edizioni, Udine, 2010; “Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943”, Nutrimenti Editore, Roma, 2008  

  9. Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell’italianità sul confine orientale, Kappa Vu Edizioni, Udine, 2010; Truffe, fuffe e fascisti… I “premiati” del Giorno del Ricordo. Un bilancio provvisoriowww.diecifebbraio.info, 17 gennaio 2017  

  10. Nome usato da un gruppo di inchiesta sul revisionismo storiografico e le false notizie storiche in rete, con particolare riferimento alle manipolazioni su Wikipedia, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo ha voluto rendere omaggio a Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983  

  11. http://www.casapoundlombardia.org/index.php/en/112-archivio-brescia/164-cpi-brescia-linea-rossa-su-sfondo-nero  

  12. http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2016/05/intrigo-nazionale-a-roccabernarda-1-1.pdf e http://www.diecifebbraio.info/2016/03/udine-2332016-la-verita-documentale-sulla-foiba-mobile-di-rosazzo/  

  13. https://www.wumingfoundation.com/giap/2016/12/la-foiba-volante-non-esiste/  

  14. Temistocle Testa, criminale di guerra, Prefetto di Fiume e del Carnaro dal 1938 fino al gennaio 1943. “…tipico Prefetto fascista interprete della guerra di conquista contro la Jugoslavia(…)e della peggiore tradizione sciovinista e anti-slava del fascismo giuliano”, Marco Coslovich, storico triestino.  

  15. Mario Roatta, due volte capo di stato maggiore, generale dell’esercito (monarchico-fascista-repubblichino) regista dell’assassinio dei fratelli Rosselli, autore della famigerata circolare 3-C, che pianificava l’estirpazione degli ‘slavi’ dalle loro terre per insediare gli occupanti italo-fascisti.  

  16. Vincenzo Cuiuli, colonnello dei Carabinieri, kapò del campo di concentramento fascista di Kampor ad Arbe/Rab, soprannominato dalle popolazioni internate, per la sua ferocia, bestialità e viscidità, il Serpente.  

  17. E’ stato calcolato che la percentuale di morti di Kampor è stata proporzionalmente maggiore di quella di Buckenwald  

  18. Testimonianza di Dusan Prasnikar, raccolta da Anton Vratusa in “Dalle catene alla libertà. La «Rabska brigada», una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista”, Kappa Vu Edizioni, Udine, 2011  

  19. Luigi Papo de Montona, Albo d’oro: la Venezia Giulia e la Dalmazia nell’ultimo conflitto mondiale, Unione degli Istriani, Trieste, 1989  

  20. Nell’ ottobre 1943, passato al servizio dei nazisti, fonda il Partito fascista repubblicano e prende il comando di un battaglione della Milizia Difesa Territoriale e della Guardia repubblicana fascista, nata sulle orme della LX Legione Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale di stanza a Pola e operante in Istria, con i tedeschi, fino alla fine di aprile del 1945  



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Davide Conti
GLI UOMINI DI MUSSOLINI
Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica italiana”
Einaudi, 2017
271 pagine
Sul libro si veda anche:



Gli impuniti

di Sebastiano Leotta e Valerio Strinati, 3 ottobre 2017

La pubblicazione del volume di Davide Conti, “Gli uomini di Mussolini”, è un’occasione per approfondire il tema nella persistenza della presenza di personalità gravemente compromesse nell’epoca fascista durante il tempo della repubblica. Ed anche per misurare le difficoltà della piena affermazione delle idee della Resistenza nel dopoguerra, e di conseguenza dell’attuazione coerente della Costituzione. In questa riflessione si interpretano più agevolmente le vicende più drammatiche della storia italiana più recente: da Portella della Ginestra a Piazza Fontana ai ripetuti (ed abortiti) tentativi di golpe. Il tutto, nello scenario imprescindibile della Guerra fredda e dei condizionamenti delle alleanze politiche e militari del nostro Paese. I testi che seguono sono una recensione ed un’intervista: la recensione del volume è di Sebastiano Leotta; l’intervista all’autore Davide Conti è di Valerio Strinati.
G.P. 

La defascistizzazione incompiuta 

Sebastiano Leotta
Esistono eventi storici in grado di distinguere in modo perentorio e drammatico un prima e un dopo, come una specie di irreversibile discrimine: la Controriforma in Germania o le Rivoluzioni francese e russa.
Nella storia italiana, anche precedente all’Unità, è difficile invece rinvenire simili rotture, si pensi al passaggio “fondativo” dal regime fascista alla repubblica, che è stato da un lato ricco di novità assolute come la costituzione repubblicana, ma dall’altro contraddittorio e ambiguo visti i limiti dell’epurazione fascista e la cosiddetta “continuità dello Stato” puntualizzata a suo tempo da Claudio Pavone. E tuttavia la defascistizzazione, per una serie di ragioni che l’autore delinea nell’introduzione, si rivelerà un processo a metà che renderà più difficile l’attuazione della Costituzione, rallentando il transito verso la compiuta democratizzazione della società italiana. Si pensi al mantenimento del codice Rocco e del Testo unico di Pubblica Sicurezza di marca fascista, alla conservazione di pulsioni autoritarie nelle pratiche istituzionali; si potrebbe dire – riprendendo da altro contesto una frase di Saint Just – che la Costituzione fu parzialmente congelata, almeno fino agli anni Sessanta.
Settori della Magistratura e della Polizia, dell’esercito, della burocrazia e dell’università rimangono al loro posto, si sottraggono alle misure di bonifica democratica, gli stessi uomini che furono di Mussolini saranno gli stessi a gestire pezzi del potere istituzionale del nuovo Stato.
Davide Conti nel suo libro Gli uomini di Mussolini analizza la carriera di alcuni funzionari fascisti che ebbero ruoli importanti nell’amministrazione del nuovo Stato, in particolare nei servizi di sicurezza e della gestione dell’ordine pubblico, nomi che diranno poco a molti di noi: gli ispettori di polizia Ettore Messana e Ciro Verdiani, il capo della mobile Rosario Barranco, i generali Giuseppe Pièche e Giovanni Messe, prefetti come Temistocle Testa. Alcuni di questi furono anche imputati, e mai processati, per crimini di guerra compiuti durante l’occupazione italiana della Jugoslavia e della Grecia. Tutti costoro, sopravvissuti al 25 luglio 1943, si ritroveranno al loro posto negli anni del centrismo, della guerra fredda, di Mario Scelba, che, scrive Conti, fu uno dei fautori della rottura del nesso Stato e Resistenza.
Scelba, ministro degli Interni dal 1947 al 1953 e poi dal 1960 al 1962, ricollocò un buon numero di funzionari fascisti in posti chiave per l’ordine pubblico e per la repressione di ciò che si era individuato come nemico dello Stato: comunisti, partigiani, sindacati. La caduta del governo Parri, nonostante tutto il suo epos resistenziale, sembra inevitabile di fronte a una normalizzazione fatta dalla dialettica dei partiti, dalla presenza degli Alleati e di fronte a un nuovo schema geopolitico; scrisse Carlo Levi ne L’orologio, un libro ancora importante per comprendere quel nodo storico, che la grande guerra di Liberazione non era riuscita a bucare le acque stagnanti e fascistizzate dell’amministrazione statale.
Le biografie di fascisti transitate alla Repubblica sono da intendersi come il precipitato individuale di uno sviluppo storico, come scrive Conti, storico e archivista del Senato; si tratta di fare la storia di «un segmento del complesso processo di continuità dello Stato caratterizzato dalla reimmissione e dal reimpiego di un personale politico e militare non soltanto organico al ventennio fascista ma il cui nome, nella maggior parte dei casi, era stato inserito nelle War Crimes delle Nazioni Unite».
È proprio la mancanza di una rottura irreversibile, fatta a tempo debito, che – a mio modo di vedere – consente ancora in Italia che amministrazioni comunali erigano monumenti a Graziani o qualcuno tenti una riabilitazione di un golpista come Junio Valerio Borghese (anche da parte di uno storico come De Felice); la necessità di arrivare a una pacificazione purchessia, di cui l’amnistia Togliatti fu una tappa, portò già nel 1946 a considerare l’epurazione un capitolo chiuso. A livello burocratico, per stare ai numeri, dei 394mila impiegati pubblici solo 1580 furono licenziati e comunque molti rientrarono in seguito.
Il negativo delle carriere esemplari, cominciate nel regime e proseguite nella Repubblica, è quello delle sorti diametralmente opposte dei partigiani epurati e condannati dalle amministrazioni civili e dai tribunali dello Stato (si ricordi la rimozione dei prefetti insediati dal CLN all’indomani della Liberazione).
Giovanni Ravalli, accusato in veste di militare di crimini durante l’occupazione italiana della Grecia diventa prefetto nel 1960 di Catanzaro e poi di Palermo; scrive Conti che egli fu protagonista di una crociata anticomunista le cui vittime furono poveri braccianti e le organizzazioni sindacali della sinistra. Ravalli è morto indisturbato e mai processato nel 1998. L’inquietante Ettore Messana (classe 1888), questore di Lubiana e poi di Trieste tra il 1941 e il 1943, ricercato per crimini di guerra commessi sugli sloveni nel tentativo forzoso di italianizzarli; nel 1945 diviene ispettore di Pubblica sicurezza sotto Bonomi e De Gasperi; viene arruolato in Sicilia nelle attività anticomuniste del dopoguerra e nella repressione delle lotte dei contadini siciliani, e coinvolto nella strage politica di Portella della Ginestra; proteggerà di latifondisti e criminali come Salvatore Ferreri (il noto fra’ Diavolo, fascista e assassino al soldo della Repubblica di Salò). Nel 1953 Messana è collocato a riposo e, su proposta del ministro Scelba, riceverà l’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Sull’incompiutezza della defascistizzazione, ha scritto Silvio Lanaro: «gli autentici vincitori dello scontro sull’epurazione, alla fin fine, saranno gli irreprensibili e scrupolosi funzionari della Polizia di Mussolini, simili al protagonista di Notti e nebbie di Carlo Castellaneta che attende placidamente la sconfitta perché sa che i “nuovi padroni” avranno presto bisogno di gente come lui, secondo quanto è sempre accaduto e sempre accadrà fino a che l’uomo sarà fatto della stessa merda».

 


Il “miracolo” della Repubblica e della Costituzione 

intervista di Valerio Strinati a Davide Conti

La rottura tra lo Stato e la Resistenza su cui ti soffermi all’esordio del tuo lavoro, è segnata dalla precoce crisi e dal successivo fallimento dell’epurazione. Quali sono i passaggi cruciali di questa frattura, tra la caduta del primo governo Bonomi e il dopoguerra?
 Il primo fattore di continuità, che precede la stessa formazione organica del movimento di Resistenza, si determina all’interno delle modalità con cui la monarchia, lo stato maggiore del regio esercito e le strutture di vertice dello Stato sabaudo prima depongono Mussolini il 25 luglio 1943 e poi giungono alla firma dell’armistizio dell’8 settembre (ovvero della resa incondizionata).
In quei passaggi si manifestano le basi di un processo di ricostruzione dello Stato che nella logica del re e di Badoglio, nonché degli anglo-americani (soprattutto degli inglesi), è incentrato sulla totale assenza di una soluzione di continuità col passato. La Resistenza e il movimento partigiano riusciranno in parte a modificare questi assetti, e se da un lato i risultati più evidenti saranno la vittoria della Repubblica nel referendum del 2 giugno e la stesura della Costituzione, dall’altro all’interno dei gangli della macchina statale (magistratura, esercito, carabinieri, forze di polizia, pubblica amministrazione, strutture economiche) permangono personale, mentalità, gruppi di potere in grado di opporsi alle istanze di rinnovamento di cui la lotta partigiana si fece portatrice. La f

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(srpskohrvatski / italiano)

Il complotto fascista per smembrare la prima Jugoslavia

0) VIDEO: Ante Pavelić e gli ustascia a Borgotaro + ALTRI LINK
1) Vojislav Jovanović Marambo o atentatu na kralja Aleksandra
[In base a recenti novità storiografiche, derivanti dalla riscoperta di un colloquio del 1951 con il noto intellettuale e diplomatico serbo Vojislav Jovanović Marambo, Mussolini in persona volle accelerare il piano sfociato con l'attentato alla vita del re di Jugoslavia Alessandro (Marsiglia 1934), e Puniša Račić – autore della strage anti-croata all'interno del Parlamento jugoslavo il 20 giugno 1928 – era un agente dei servizi segreti italiani.]


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Ante Pavelić e gli ustascia a Borgotaro (Parma) (caricato da Storia Festival, 2 agosto 2016)
Il campo di addestramento paramilitare degli ustascia che si preparano all'attentato al re Alessandro I di Jugoslavia (Marsiglia, 1934) nel ricordo degli abitanti di Borgo Val di Taro.. Tratto da: Documenti di Storia e di cronaca, di Leandro Castellani (RAI 1969)
VIDEO: http://youtu.be/0hIcjcgjPc4

Sullo stesso argomento:

Poglavnik of Croatia, Dr. Ante Pavelic visits Rome, May 1941

Italia e Stato Indipendente Croato (1941-1943)
di Alberto Becherelli – Nuova Cultura, 2012

Dittatore per caso. Un piccolo duce protetto dall'Italia fascista
di Erik Gobetti – L'Ancora del Mediterraneo, 2001

Il Fascismo e gli ustascia - 1929-1941. Il separatismo croato in Italia
di Pasquale Juso – Gangemi Editore, 1998

Indici, recensione ed altri link alla nostra pagina:


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[In base a recenti novità storiografiche, derivanti dalla riscoperta di un colloquio del 1951 con il noto intellettuale e diplomatico serbo Vojislav Jovanović Marambo, Mussolini in persona volle accelerare il piano sfociato con l'attentato alla vita del re di Jugoslavia Alessandro (Marsiglia 1934), e Puniša Račić – autore della strage anti-croata all'interno del Parlamento jugoslavo il 20 giugno 1928 – era un agente dei servizi segreti italiani.]


Vojislav Jovanović Marambo o atentatu na kralja Aleksandra

Nedelja, 28. Jan 2018
IZVOR: RTS
AUTOR: DRAGAN KOLAREVIĆ

U dokumentu o razgovoru sa Vojislavom Jovanovićem koji je obavio istoričar tajanstvenog Instituta 16. juna 1951, zapisan je njegov osvrt na inspiratore atentata na jugoslovenskog kralja Aleksandra Karađorđevića. Prema njegovom mišljenju, Musolini je „ubrzaoˮ ubistvo jugoslovenskog suverena.

Istoričar Instituta je zabeležio u dokumentu koji se čuva u Arhivu Jugoslavije, u Fondu 100:

„... ja sam se bavio proučavanjem atentata na kralja Aleksandra. To je interesantna stvar. To zna i Milan Antić. Nije tačno da su Nemci u tome imali udela kako Rusi kažu. To je bila čisto talijanska stvar. (...) Ovako je bilo sa Aleksandrom: Musolini je bio glavni vinovnik stvari, a jedan detalj je pospešio ubistvo, ubrzao ga. U Zadru je jedan talijanski list doneo članak u kojem je napadao Srbe i prikazivao ih kao kukavice koji su bežali na Kosovu, pred Bugarima itd. Ovaj članak je došao do Aleksandra koji je bio jako uvređen i naredio Stanislavu Krakovu da u ʼVremenuʼ napiše članak protiv Italijana. Tako je u ʼVremenuʼ izašao članak ʼJunaci sa Kapoleta" u kojem se Italijanima na isti način odvraćalo. Musolini kad je pročitao ovaj članak toliko se je bio uvredio da je to pospešilo njegovu odluku da ustaše i VMRO-ovci mogu sprovesti svoj plan. Ja sam tada bio u Londonu i sećam se da je Forenj ofis tražio od nas taj broj ʼVremenaʼ zbog toga članka i to neposredno posle ubistva Aleksandra. Kad sam se vratio u Beograd pitao sam Krakova kako je napisan taj članak, pa mi je on potvrdio da je to bila želja Aleksandra i da je sam Aleksandar pregledao članak pre štampanja. Jedino da je bio izbacio rečenicu u kojoj se prikazivalo kako su Italijani posle poraza kod Adue došli na obalu punih gaća."
Možda je Musolinijevo angažovanje bila neka vrsta osvete zbog velikog dela jadranske obale koji je posle Prvog svetskog rata pripao Kraljevini SHS pre svega zbog delovanja srpskih masona u Francuskoj (u vreme rata), o čemu je pisao Nikoli Pašiću, u dva pisma, dr Vasilije I. Jovanović, advokat, osnivač Srpske revolucionarne akcije, ministar saobraćaja u posleratnoj vladi, predstavnik nove kraljevine u Društvu naroda...

Postoji još jedno izazovno svedočenje o navodnom angažovanju italijanskih „tajnih" službi između dva svetska rata na podrivanju Kraljevine. Ostavio ga je Milan Trešnjić, visoki oficir Ozne i Udbe. Video-zapis tog svedočenja je u posedu autora. Obaveštajac Trešnjić je rekao da je atentat u Skupštini 20. juna 1928, kada je Puniša Račić ubio hrvatskog političkog vođu Stjepana Radića, njegovog brata Pavla i Đuru Basaričeka, isprovocirala „tajna služba" susedne države kako bi političku situaciju učinila nesnošljivom pred istorijski sporazum Radića i kralja o srpsko-hrvatskim sporovima.. Po Trešnjiću, Račić je bio agent italijanske službe. Za vreme rata imao je njihovu zaštitu sve do kapitulacije Italije.

Nezahvalno je proveravati činjenice koje se odnose na delovanje takozvanih tajnih i zavereničkih organizacija. Činjenice ipak ne bi trebalo zaboravljati. Nikada se ne zna kada i gde će se pojaviti „krunski" dokaz. Kada je prošlost u pitanju, ne bi trebalo zaboravljati pretenzije na jadransku obalu, Albaniju, Kosmet, Solun kao kapiju Balkana... Naravno, ne bi trebalo ni preterivati.

Marambo je u razgovoru izrazio nezadovoljstvo zbog toga što mladi kadrovi u tadašnjoj diplomatskoj službi nedovoljno poznaju istoriju:

„Poznavanje naše istorije kod mlađih ljudi je škandalozno. Niko ne zna dobro svoju istoriju, pa kako može vani raditi i davati podatke drugome o svojoj zemlji. Ja sam predlagao još u početku u Diplomatskoj školi da se više uči nacionalna istorija, pa se onda nije uzimalo u obzir, ali se sada tamo posvećuje više pažnje jer je praksa pokazala štetnost toga. Jeste li čitali onaj članak Đilasa o potrebi izučavanja nacionalne istorije, tako stvari valja postaviti. I u tu našu Diplomatsku školu se u početku primalo svakoga, sigurno i danas polovina iz prve grupe i ne radi više u diplomatiji. Jednom je bilo došlo pitanje ʼUzroci Prvog svetskog rataʼ. A on ko vergl ʼzbog držanja srpske soldateske i pripremanja sarajevskog atentataʼ itd. Gluposti i šablon koje jedan komunista ne sme govoriti."

Na kraju ovog teksta o inspirativnim sećanjima Vojislava Jovanovića korisno je istaći da se i tada smatralo da je istorija „nepotrebna". Na sreću, brzo se odustalo od toga pod pritiskom savremenih događaja.




Partigiani italiani e sloveni

1) A Lubiana con i partigiani sloveni (ANPI / ZZB NOB Slovenije, luglio 2018)
2) Italia e Slovenia: un’intesa partigiana. Sottoscritto ad Aquileia un protocollo di collaborazione delle attività dell’ANPI-VZPI e della ZZB NOB della Slovenia (3 marzo 2018)
3) La stella rossa e la “Garibaldi Natisone” (L. Marcolini Provenza, 6 luglio 2017)


Segnaliamo anche, di argomento affine, un articolo sul campo di internamento di Casoli pubblicato dalla rivista "Svobodna beseda" (La parola libera), organo delle associazioni slovene degli ex combattenti della Lotta Popolare di Liberazione, degli internati e dei deportati sloveni e dei loro famigliari e discendenti:
»Koncentracijsko taborišče Casoli - Prepoznavanje internirancev, iskanje svojcev « (Svoboda Beseda, julij 2018.)
Sul campo di Casoli si veda anche: 


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A Lubiana con i partigiani sloveni

Redazione, 18 luglio 2018

Un’importante celebrazione in occasione del 70° anniversario della costituzione dell’Unione dei Combattenti sloveni (ZZB NOB Slovenije). L’intervento a nome dell’Anpi nazionale di Gianfranco Pagliarulo

Il 4 luglio si è svolta a Lubiana una solenne celebrazione del 70° anniversario della costituzione dell’Unione dei Combattenti sloveni (ZZB NOB Slovenije), presso la Sala Vitez del Museo di Storia Contemporanea della Slovenia. All’iniziativa ha partecipato il vicepresidente nazionale dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, direttore di questo periodico. In un clima di intesa e di solidarietà internazionale, dopo una presentazione del presidente della ZZB NOB Tit Turnšek, è intervenuta con una breve relazione la dottoressa Maca Jogan e successivamente Gianfranco Pagliarulo a nome dell’Anpi nazionale. All’iniziativa ha partecipato una delegazione di dirigenti dell’Anpi giuliana, fra cui il coordinatore regionale del Friuli Venezia Giulia, Dino Spanghero.

All’inizio di marzo di quest’anno era stato sottoscritto ad Aquileia un protocollo di collaborazione delle attività dell’Anpi-Vzpi e della ZZB NOB della Slovenia nell’area confinaria italo–slovena ed era intervenuta la Presidente nazionale Anpi Carla Nespolo, oltre che lo stesso Dino Spanghero. Si concludeva così un lungo percorso di avvicinamento fra le due associazioni come “esempio internazionale di cooperazione e collaborazione tra tre culture, slava, latina e germanica, che hanno gettato le basi per una prassi di buona democrazia e convivenza”.

Va ricordato che la Slovenia nel 1941 fu invasa dalla Wermacht da nord e dalle truppe italiane da ovest. L’esito portò prima all’occupazione tedesca per una parte del territorio e a quella italiana per la zona confinante e la stessa città di Lubiana che fu addirittura annessa al territorio nazionale come provincia, e poi, dopo l’8 settembre 1943, alla formazione della “Zona d’operazioni del Litorale adriatico” comprendente le province italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, sottoposta alla diretta amministrazione militare tedesca. Da ciò, fin dai tempi dell’occupazione fascista, l’organizzazione della Resistenza slovena che si coniugò via via con la Resistenza italiana.

Successivamente sorsero le complesse questioni di confine che si conclusero soltanto il 10 novembre 1975, col Trattato di Osimo, rendendo definitive le frontiere fra l’Italia e l’allora Jugoslavia.

Le complesse e drammatiche vicende del 900, quindi, hanno reso oggi essenziali i rapporti di amicizia fra Italia e Slovenia e fra le due organizzazioni combattentistiche che, proprio nel corso dell’iniziativa di Lubiana, hanno confermato profonde convergenze sui temi di maggiore attualità, come il contrasto verso ogni nazionalismo e razzismo.

“Per queste ragioni – ha affermato Gianfranco Pagliarulo durante il suo intervento – ci sembra urgente avviare la costruzione di una grande unità antifascista su scala europea; vogliamo riprendere così la lezione della Resistenza che, pur formata da persone e gruppi di orientamenti politici ed ideali diversi, vinse perché contrastò unita il nazismo e il fascismo.

A questo fine verso la fine del 2018 daremo vita a Roma ad un incontro europeo fra le più autorevoli forze dell’antico e del nuovo antifascismo, a cui proporremo una comune piattaforma politica, come ha detto Maca Jogan; vogliamo costruire una rete permanente ed un programma di iniziative per difendere e rilanciare nell’intero continente i principi condivisi a cui ci ispiriamo, a cominciare dalla democrazia politica e sociale. Abbiamo con voi, care compagne e compagni sloveni, un rapporto speciale per i vincoli di amicizia e per la prossimità che ci legano. Per questo voi siete i primi a conoscere questa nostra proposta politica ed i primi ad essere invitati all’incontro di Roma”.

Ed ha aggiunto: “Voi, care compagne e cari compagni della ZZB NOB Slovenjie, siete i combattenti e gli eredi dei combattenti della più grande resistenza europea contro il nazifascismo. Con i nostri martiri, i martiri della Resistenza italiana, noi onoriamo i vostri martiri, i martiri della Resistenza slovena; ci sentiamo accomunati da un sentimento che pensiamo stia alla base di qualsiasi resistenza popolare; questo sentimento è in particolare oggi l’unica chiave per aprire il futuro di un mondo di pace e di benessere: la fratellanza. Per questo pensiamo che dobbiamo contrastare in ogni modo vecchi e nuovi nazionalismi che dividono i popoli, creano paure, rancori e odi, trasformano i fratelli in nemici, alimentano discriminazioni”.

Dunque un bell’incontro in una bella città. Lubiana è adagiata fra le sponde del fiume Ljubljanica, ove confluisce con la Sava, ed è caratterizzata da un rilevantissimo numero di ponti dai nomi suggestivi – ponte dei Calzolai, ponte dei Draghi, ponte dei Macellai – e da un ancor più rilevante numero di lapidi che ricordano il sacrificio di tanti suoi cittadini per la libertà e per l’indipendenza. L’iniziativa del 4 luglio presso Museo di Storia Contemporanea della Slovenia è stata, per qualche aspetto, la giornata dei ponti: i ponti per la cooperazione e la collaborazione fra etnie, storie e culture che si intrecciano e si arricchiscono l’una con l’altra.


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Italia e Slovenia: un’intesa partigiana

Patrik Zulian

Sottoscritto ad Aquileia un protocollo di collaborazione delle attività dell’ANPI-VZPI e della ZZB NOB della Slovenia nell’area confinaria italo–slovena. L’intervento della Presidente nazionale Anpi Carla Nespolo e del coordinatore regionale Dino Spanghero

Aquileia, 3 marzo 2018 – Aquileia, città di incontro tra culture e mondi distinti ma in alcun modo distanti, volenterosi di reciproca conoscenza, scambio economico, interazione intellettuale. Non a caso l’incontro tra le massime delegazione antifasciste slovene e italiane ha avuto sabato 3 marzo come cornice e teatro la città di Aquileia: peraltro non era frutto del caso il precedente incontro con l’oggi Presidente Emerito dell’Anpi Carlo Smuraglia ed il Presidente dell’Unione delle Associazione dei Combattenti per i Valori della Lotta di Liberazione Nazionale della Slovenia Tit Turnšek il 28 febbraio 2015 sempre ad Aquileia.

Come ha infatti ricordato e sottolineato il Coordinatore regionale dell’Anpi Friuli Venezia Giulia  Dino Spanghero nel suo intervento-relazione sui contenuti della firmanda Intesa, “Aquileia è un esempio internazionale di cooperazione e collaborazione tra tre culture, slava, latina e germanica, che hanno gettato le basi per una prassi di buona democrazia e convivenza. Questo luogo non conosce razzismi e nazionalismi ma è abituato ad una cooperazione trasversale non confinata in soffocanti logiche di appartenenza nazionale”.

L’Italia liberale prima e fascista dopo, nonché l’annessione violenta al Terzo Reich attraverso la fondazione dell’Adriatisches Kunstenland da parte della Germania nazista dopo l’8 settembre 1943, hanno voluto a tutti i costi cancellare questo lascito di prassi democratica e cooperazione interculturale per affermare una artificiale e faziosa supremazia dell’italianità e della razza superiore. Ma la forte ed unitaria rivolta antifascista condotta dai combattenti sloveni ed italiani ha saputo, riuscendovi, riportare le forme di rappresentazione storica ad un’unica realtà verificabile ed intrinsecamente adeguata: la fratellanza e l’unità tra i popoli nel comune sentire antifascista, nella condivisione quindi di un sistema di valori universalmente riconosciuti e slegati dalle logiche di nazione, nazionalità o cultura.

Ciò è stato anche ampiamente confermato nella giornata di sabato 3 marzo, in cui nella sala del consiglio comunale di Aquileia sedevano compagni rappresentanti delle associazioni combattentistiche slovene e italiane che, seppur in larga misura non conoscendo reciprocamente la lingua dell’altro, si sono uniti ancora una volta in forza di quegli ideali antifascisti che hanno giocato un ruolo dirompente e decisivo nella comune vittoria sulla bestia fascista e nazista.

Le traduzioni degli interventi sono dunque sfociate nel pleonasmo, in quanto l’uditorio sentiva e sapeva benissimo qual è lo spirito che muoveva la firma dell’Intesa di coordinamento delle attività delle associazioni resistenziali slovene ed italiane a ridosso del confine nazionale. Questo spirito smentiva come false e astoriche le affermazioni di certa parte politica e associativa, che vogliono dipingere il confine italo-sloveno come luogo di scontri e pulizie etniche di ogni sorta e calibro, e che si presentano con sempre maggior veemenza dopo l’approvazione di quella discutibile legge del 2004; nella legge si mescolano fatti e avvenimenti storicamente slegati l’uno dall’altro e frutto di decennali cause e concause, ma rappresentati come avvenimenti di per sé esaustivi: foibe, esodo, e, sempre più rilegata nel dimenticatoio “la più complessa vicenda del confine orientale”. La più eclatante e misconosciuta delle quali è lo spostamento dello stesso confine per almeno sei volte nell’arco di nemmeno due generazioni, destabilizzando così territori interi con le loro popolazioni, ritrovatesi entro Stati diversi, con diversi ordinamenti giuridici e differenti posizioni governative ed ufficiali verso le maggioranze o minoranze venutesi artificialmente a creare.

La giornata del 3 marzo si presenta quindi come giornata di festa, con l’avvallo delle massime rappresentanze resistenziali italiane, la Presidente Carla Nespolo, e slovene, il Presidente Tit Turnšek, richiamando sempre la fratellanza tra italiani e sloveni, così come oramai prassi negli incontri internazionali come quello citato del 28 febbraio 2015 tra Smuraglia e Turnšek sempre ad Aquileia e come quello di Gorizia del 2013, a cui aderirono anche il Presidente dell’Unione dei Partigiani Combattenti ed Antifascisti della Repubblica di Croazia (SABA RH) Ratko Marićić e la Presidente dell’Unione dei Partigiani della Carinzia Austriaca Katja Šturm-Schnabl. L’intesa infatti riprende e ingloba i contenuti di entrambe le precedenti Risoluzioni e Dichiarazioni congiunte, a riprova che questi incontri ai massimi livelli non si verificano in maniera isolata e non coordinata, ma sono il frutto di un percorso da costruirsi comunemente e tuttora in fieri.

Il passo avanti dell’intesa di quest’anno è difatti, come esaustivamente riportato da Dino Spanghero, il coordinamento delle attività dell’ANPI – VZPI [1] e della ZZB-NOB della Slovenia nell’area confinaria italo-slovena. In questa direzione si stanno già muovendo il Coordinamento regionale del Friuli Venezia Giulia e il Distretto dell’Unione dei Combattenti di Nova Gorica, avendo già assunto l’impegno di dare concreta attuazione all’intesa con la promozione di un tavolo italo-sloveno composto da dieci rappresentanti per ogni parte con la previsione di una prima seduta d’insediamento del nuovo organismo paritetico già per il mese di maggio. La collaborazione italo-slovena ha sempre prodotto buoni frutti e dalle premesse si deduce che così sarà anche nel futuro prossimo venturo.

Tornando alla giornata di festa antifascista, va ricordato il saluto da parte dell’organismo ospitante nella persona del sindaco di Aquileia Gabriele Spanghero, che si è detto fiero di ospitare già per la seconda volta un incontro internazionale di enorme portata ideale e di valori. Il sindaco ha inoltre sottolineato che l’incontro si svolge nella sala consiliare, ovvero nel luogo concreto di svolgimento di quella democrazia per cui le forze unite partigiane hanno combattuto ed l’hanno infine ottenuta al prezzo di enormi sacrifici e perdite di giovani vite. Ha ricordato anche la manifestazione nazionale antifascista del 24 febbraio a Roma, ribadendo che mai il fascismo e l’antifascismo possono essere concepiti solamente come due varianti di opinione. L’antifascismo è pace, libertà, cooperazione, il fascismo è un crimine.

Il Presidente della sezione Anpi di Aquileia, Lodovico Nevio Puntin, ha ricordato come la lotta per la Liberazione ha avuto avvio prima in Jugoslavia che in Italia ed e proprio per questo che nel Triestino, nel Goriziano e nell’Udinese si è potuto assistere ad un’insurrezione precoce già nel biennio 1942 e 1943 grazie allo sprone ed all’assistenza data dalle formazione del IX Corpus di Tito agli partigiani italiani, ed anche grazie all’internazionalismo operaio delle grandi realtà produttive dell’Isontino, esempio fra tutti l’Italcantieri di Monfalcone, che hanno dato i natali alla prima formazione partigiana d’Italia, la Brigata Proletaria, che si è distinta subito dopo l’otto settembre 1943 nella Battaglia di Gorizia.

La Presidente Nespolo e l’omologo sloveno Turnšek nei loro interventi hanno trovato profondo accordo nel constatare l’inefficacia (e la mancata volontà) delle istituzioni europee a far fronte alla sempre più marcata diseguaglianza sociale frutto della crisi finanziaria mondiale. In questo modo la rabbia e la volontà di riscatto si sfogano attraverso l’adesione crescente ad organizzazioni antidemocratiche, xenofobe e infine funzionali alle classi finanziarie dominanti, che trovano nella guerra tra ultimi e penultimi della società terreno fertile per fagocitare quel poco che rimane dello stato sociale, del diritto del lavoro, del diritto alla dignità del singolo. L’Europa sta così sprofondando nella melma separatista ed ultranazionalista, così simile al brodo di coltura dei fascismi europei della prima metà del secolo scorso. L’auspicio è quindi che tutte le associazioni europee consorelle possano fare proprie le istanze minime di democrazia e dignità dell’uomo ribadite nell’Intesa italo-slovena, nella consapevolezza che solamente attraverso il sistema di valori posto dalla Lotta di Liberazione, che trascende nazionalità e appartenenza a gruppi ristretti di interessi particolari, si possa approdare ad un Europa a misura d’uomo, migrante o meno, e non a sponda sicura per speculazioni finanziarie e operazioni bancarie a totale disprezzo della dignità umana.

La Presidente Carla Nespolo ha inoltre sottolineato la lotta alla galassia nera operante in Italia, affermando che il Ministero dell’Interno ha il compito, in base alla XII Disposizione transitoria e finale ed in forza delle leggi Scelba e Mancino, di sciogliere le organizzazioni neofasciste: questo deve essere un punto fermo, che non può essere messo in discussione dalla diatriba tra amministrazione e potere giudiziario in merito all’interpretazione della legge.

La collaborazione italo-slovena è pertanto insediata su un binario forte e storicamente e fattualmente fondato: la prossima tappa sarà l’incontro tra la Presidente Nespolo e Tit Turnšek a Lubiana a luglio 2018 in occasione delle celebrazioni per il 70° anniversario della costituzione della ZZB za vrednote NOB Slovenije (L’Unione delle Associazioni dei Combattenti per i Valori della Lotta di Liberazione Nazionale della Slovenia).

Patrik Zulian, del Comitato Nazionale dell’Anpi

[1] VZPI è l’acronimo sloveno che sta per ANPI, e corrisponde a VSEDRŽAVNO ZDRUŽENJE PARTIZANOV ITALIJE. Il F-VG ha infatti adottato, con ordine del giorno presentato al Consiglio nazionale di Chianciano Terme e successivamente approvato dal Comitato Nazionale, la denominazione bilingue, peraltro prassi già lungamente consolidata nei Comitati Provinciali di Trieste e Gorizia.


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La stella rossa e la “Garibaldi Natisone”

Luciano Marcolini Provenza, 6 luglio 2017

La Divisione partigiana d’Assalto italiana che operava in Slovenia. Il monumento ai Caduti a Bukovo. La commemorazione del 4 giugno

Da qualche anno è scomparso il compagno Gino Lizzero “Ettore”, Capo di Stato Maggiore della Divisione d’Assalto “Garibaldi Natisone”. Tra le mani ho un suo appunto:

“Gennaio 1945. La Brigata Picelli, una delle tre Brigate della Divisione Natisone, è formata dai tre Battaglioni Manin, Verrucchi e Pisacane; dopo il tentativo di passare il fiume Bacia che le costò una quarantina di perdite umane e di molte armi e materiali vari, era valorosamente riuscita, percorrendo un percorso molto più lungo e insidioso, a raggiungere stremata la zona operativa del IX Corpus, nei dintorni di Circhina, sistemando i suoi tre battaglioni sull’altipiano di S. Vito, in cui esistono i piccoli abitati di Bukovo, Pecine e Panique. Il nome di Bukovo, in particolare, risuona tragicamente per i garibaldini che vi conobbero gravissime vicissitudini ed esperienze.

16 gennaio 1945. Una pattuglia del Manin in perlustrazione cade in un’imboscata tesa dal nemico che ha goduto dell’appoggio della popolazione civile e subisce la perdita di 6 garibaldini, 5 uccisi in combattimento e uno catturato e fucilato.

21 gennaio 1945. Sempre a Bukovo, nel centro dell’abitato, una pattuglia del Battaglione Mameli della Gramsci cade in un’imboscata tesa dai bersaglieri fascisti, con l’appoggio della popolazione si spara dalle finestre delle case. 17 garibaldini cadono subito, altri 7 dati per dispersi sono certamente morti. In totale 24 caduti.

In tutta la zona dell’altipiano di S. Vito (Jessenice, Bukovo, Paniqua, Zakoica e Pecine*) i combattimenti sono continui e numerose le perdite dei garibaldini e del nemico”.

La “Garibaldi-Natisone”, presente in zona proveniente dalle zone del Friuli orientale da una ventina di giorni, aveva già perso diversi compagni nell’imboscata sulla passerella del fiume Bača nella notte del 1° gennaio del 1945, pochi giorni dopo le imboscate di Bukovo: nell’arco di soli 20 giorni sono circa 70 i Caduti!

Bukovo è una frazione del Comune di Cerkno distante una quarantina di chilometri da Kobarid/Caporetto, italianizzato nel 1923 con regio decreto a firma Mussolini, in Pieve Buccova. In realtà il toponimo deriva dalla parola slovena Bukov = faggio e sta evidentemente a indicare una caratteristica del territorio boscoso. La strada per raggiungere Bukovo s’inerpica infatti lungo pendici ricche di faggi, querce e pini: l’intera scoscesa valle prende il nome di Bukovska Grapa. Porta testimonianza, questo insensato nome italiano, della violenta repressione, oltre che economica e sociale, anche linguistica subita in epoca fascista (e non solo!) dal popolo sloveno.*

Il monumento che ricorda il sacrificio di questi partigiani, è stato eretto nel 1982 da Z.B. NOV di Bukovo e da ANPI Rizzi di Udine, si trova in una posizione panoramica, consiste in sei stele di pietra, opera dell’architetto Nande Rupnik di Idria e dello scultore udinese Reno Coiz (partigiano della “Garibaldi-Natisone” ora novantunenne), su cinque di queste in rilievo e sovrapposte l’una all’altra, si riconoscono tre grandi stelle e sulla sesta la scritta in italiano e sloveno: “24 garibaldini caduti nel gennaio 1945”.

Grazie all’interessamento dei compagni Jože Jeram (Presidente della ZZB-NOB di Cerkno/Circhina) e di Vojko Hobič (Presidente della ZZB-NOB di Kobarid/Caporetto) è stato ritrovo, il 4 giugno 2017, della commemorazione dei Caduti della “Garibaldi-Natisone”.

La domanda spontanea che sorge a un lettore che non conosce la storia delle nostre zone è: cosa ci facevano dei partigiani italiani in queste valli della Slovenia?

A complicare le domande e a disorientare ulteriormente un visitatore poco informato, a poche centinaia di metri un monumento, sormontato da una stella rossa, ricorda i primi quattro caduti partigiani sloveni della zona trucidati dall’Italia monarchica e fascista alla vigilia di Natale del 1942!** Per risolvere l’arcano è necessario armarsi di buona volontà e leggere e informarsi sulle complesse vicende che hanno caratterizzato il confine orientale italiano non lasciandosi fuorviare dalla vulgata attuale che vede terrore comunista dove invece fu solo terrore fascista!

Alla cerimonia, di respiro internazionale, sono intervenute le rappresentanze partigiane della Carinzia (Marija Koletnik), i Presidenti delle Associazioni partigiane slovene della zona, il sindaco di Cerkno, l’ex console della Jugoslavia a Trieste Stefan Cigoj, il rappresentante dell’Ambasciata della Federazione russa in Slovenia Anatoly Kopilov (nel 1945 in zona operava una missione sovietica in contatto con il Comando del IX Korpus sloveno e con il Comando della “Garibaldi-Natisone”), le rappresentanze dell’ANPI regionale del FVG, di Udine e di Cividale del Friuli e anche lo scultore-partigiano Reno Coiz. A onorare i caduti un picchetto dell’Esercito sloveno.

Nel suo discorso il compagno Milan Gorjanc, membro della Presidenza nazionale della ZBB-NOB, ha ricordato il grande contributo dato dagli italiani alla Lotta di Liberazione del popolo jugoslavo, in Montenegro come in Serbia, in Croazia come in Slovenia. Segno che i nostri partigiani seppero riscattare le vergognose guerre di aggressione fasciste e la durissima repressione contro le popolazioni locali. Anche il Presidente del Comitato regionale del Friuli Venezia Giulia, Dino Spanghero, ha incentrato il suo intervento sulla collaborazione tra i nostri popoli, rimarcando che il più nobile degli insegnamenti è senz’altro quello di aver dimostrato che vivere insieme si può, che lottare insieme si vince, che ragionare insieme si progredisce. Ora è più che mai necessaria – sostiene Spanghero – una rete di scambio di esperienze, l’unione in un comune fronte antifascista, atto a combattere i rinascenti rigurgiti di xenofobia, razzismo e populismo che attraversano l’Europa.

L’attrice slovena Milena Zupančič ha recitato poi la testimonianza della signora Stefanija Raspet, all’epoca dei fatti ragazzina quindicenne, che lucidamente ricorda ancora quegli avvenimenti. Da tale testimonianza risulta chiaramente che la popolazione di Bukovo non appoggiò l’azione nazi-fascista ma fu invece segregata nelle proprie abitazioni e costretta al silenzio mentre i nazisti e i fascisti italiani ordivano l’imboscata contro i partigiani.

Il coro di Bukovo e il Coro della Resistenza di Udine hanno intonato assieme l’inno partigiano “Na Juriš” e singolarmente altre canzoni della Resistenza italiana e slovena. I ragazzi della scuola hanno recitato delle poesie accompagnate dal suono della fisarmonica.

La commemorazione, alla quale hanno partecipato oltre 200 persone, è finita in un incontro conviviale nei pressi della locale stazione dei Vigili del Fuoco con la promessa e la speranza di ritrovarci il prossimo anno.

In mattinata circa 40 soci dell’ANPI, grazie alla grande disponibilità della Direzione del Museo di Idria, sono state ospiti dell’Ospedale Partigiano “Franja” dove è stato ricordato il partigiano cividalese Rino Blasig “Franco” Medaglia d’Argento al Valor Militare e gli altri caduti a “Franja” e il medico Partigiano Antonio Ciccarelli “Dr. Anton” che prestò la propria assistenza medica fino alla fine della seconda guerra mondiale in Slovenia prima con i partigiani sloveni e poi con la Divisione d’Assalto “Garibaldi-Natisone”.

Luciano Marcolini Provenza, dell’ANPI Cividale del Friuli

* l’esatta denominazione dei luoghi tutti rientranti nel comune di Cerkno è: Jesenica, Bukovo, Ponikve, Zakojca e Pečine;

** I loro nomi sono: Jeram Bogdan, Čelik Peter, Erzen Valentin e Pajntar Gabrijel



[Sulla autogestione]

O samoupravljanju

1) Povodom Dana Samoupravljača: Od teorije pokreta do prakse (SRP Split, 26. 06. 2018.)

2) P. Vukčević: Oblici ostvarivanja samoupravljanja u organizacijama udruženog rada (iz Doktorske disertacije „Ostvarivanje samoupravljanja u privrednim organizacijama Splitske regije” – empirijska istraživanja u vremenu od 1984. do 1989. godine)

3) P. Vukčević: O nekim aspektima, idejama i problemima samoupravljanja ("Naša Jugoslavija", 2013. godine)


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POVODOM DANA SAMOUPRAVLJAČA – O SAMOUPRAVLJANJU, OD TEORIJE POKRETA DO PRAKSE



SRP: SAMOUPRAVLJANJE – RADNIČKA PERSPEKTIVA

 

Radničko samoupravljanje, engleski „worker self-management“ ili francuski „autogestion“, oblik je radničkog odlučivanja u poduzećima po svim važnim pitanjima rada i upravljanja. Javlja se u povijesti na više strana svijeta: u španjolskom građanskom ratu, u Jugoslaviji, u Argentini, Francuskoj, SAD i drugdje – nastao najčešće kao pokret radnika u spašavanju  tvornica nakon stečaja ili likvidacije. Prvu teoretsku podlogu radničkog samoupravljanja kao mogućnost izradio je francuski filozof-anarhist Pierre Joseph Proudhon u prvoj polovini 19. stoljeća, a prihvatile su je revolucionarne sindikalne organizacije.

Socijalistička inačica radničkog samoupravljanja, kojeg poznajemo na jugoslavenskom geografskom prostoru kao društveni i privredni  model, je socijalističko radničko samoupravljanje u Jugoslaviji, uspostavljeno intencijom KPJ, a odlučeno u Narodnoj Skupštini FNRJ dana 27. 6. 1950. kao „Osnovni zakon o upravljanju u državnim privrednim poduzećima i višim privrednim udruženjima od strane radnih kolektiva“, popularno nazvan „Zakon o radničkom samoupravljanju“, čemu je prethodilo formiranje prvog Radničkog savjeta 29. 12. 1949. u tvornici cementa „Prvoborac“ u Solinu, kao početak procesa predaje poduzeća na upravljanje radnicima i odvajanje države od privrede, u skladu s idejnim  smjernicama Tita te teoretskim i praktičkim razradama Edvarda Kardelja i drugih – kasnije i uz veliki doprinos teoriji i praksi znanstvenika Branka Horvata.

Tih dana Tito je izjavio: „Formiranje prvog Radničkog savjeta u tvornici ‘Prvoborac’ u Splinu označio je početak nove etape u razvoju našeg društva i borbe za ostvarenje neposredne vlasti radničke klase.“

Ideja o samostalnom putu u slobodni socijalizam stvaranjem Radničkih savjeta, poticano parolom „Tvornice radnicima – zemlja seljacima“, stvarani su uvjeti za oslobađanje od iznimnog sovjetskog utjecaja i otklona od etatističko-administrativnog modela socijalizma. Naročito je sazrela u vrijeme IB-a, vođena od strane nekih utjecajnih komunističkih lidera koji su smatrali da je samoupravna ideja provedena još u ratnom vremenu osnivanjem Narodnooslobodilačkih odbora (NOO). Radničkim savjetima je provedeno uvođenje radnika u neposredno upravljanje industrijom, čime su se stvorile pretpostavke za provedbu Marxove ideje o odumiranju države dolaskom proletarijata na vlast. Samoupravljanjem i decentralizacijom, Radnički savjeti su imali široke ovlasti u upravljanju donoseći najvažnije odluke u radu poduzeća, zaključke o poslovanju, postavljanju i smjenjivanju Upravnih odbora i druge. Međutim, Radničkim savjetima se često negirala uloga u rukovođenju privredom pa su samoupravljanje i decentralizacija imale funkciju razgraditi i omekšati okoštali administrativni sustav socijalizma. Uvođenje samoupravljanja nije naišlo na jednodušnu podršku lokalnih partijskih organa koji su Radničkim savjetima davali samo savjetodavnu ulogu u poduzećima, problematizirali ulogu sindikata te strahovali od gubitka dijela vlastite moći pa namjera odvajanja države od privrede, uvođenjem samoupravljanja, nikada nije provedena u potpunosti.

Nakon privrede, provedene su reforme i u lokalnoj samoupravi u duhu samoupravljanja pa su, zakonom iz 1952. godine, Narodni odbori dobili ovlasti koje su u neposrednom interesu lokalne zajednice, na tragu Marxovog teoretskog stava o komunama – dakle komunalni, socijalni i kulturni razvitak komunalne zajednice.

Veliku prekretnicu i značaj u razvoju samoupravljanja imao je VI. kongres KPJ, održan od 2. 9. do 7. 9. 1952., po pitanju uloge partije u uvjetima samoupravljanja, koji je okarakteriziran kao prijelomni događaj u razvitku socijalističkih društvenih odnosa, te je odbačena uloga Partije kao neposrednog operativnog rukovoditelja i naredbodavca u državnom i društvenom životu, već da postane avangarda radničke klase i da svojim utjecajem izbori svoje stavove.

Vladajuća struktura KPJ bila je opsjednuta razbijanjem birokracije pa je u izmjenama Ustavnog zakona, donesenog 13. januara 1953., uvela „tri D“ – debirokratizacija, demokratizacija, decentralizacija – te dvodomnu Narodnu skupštinu sa Saveznim izvršnim vijećem (SIV) i Vijećem proizvođača, kojeg su činili predstavnici Radničkih savjeta, a čime je institucionalizirana Marxova diktatura proletarijata.

Uvođenje samoupravljanja i privrednih promjena mijenjalo je i samu Komunističku partiju koja postaje masovnija i prelazi u Savez komunista Jugoslavije (SKJ), a Narodni  front u Socijalistički savez radnog naroda Jugoslavije (SSRNJ).

Historičari samoupavnog socijalizma dijele ga na tri, zapravo četiri, razdoblja:

0. Nulto razdoblje od 1945. – 1950. – predsamoupravno razdoblje (samoupravljanje prije samoupravljanja) naziva se administrativni socijalizam

1. Prvo razdoblje od 1951. – 1965. – nazivamo administrativno-samoupravni socijalizam; donošenjem „Osnovnog zakona o upravljanju privrednim poduzećima“ 1950. te podignut na ustavnu razinu 1953., što je bio pokušaj vodstva Jugoslavije nakon sukoba sa Staljinom da ima svoju originalnu viziju društva

2. Drugo razdoblje od 1965. – 1971. – slijedi nakon privredne reforme 1965., kojeg nazivamo tržišno-samoupravni socijalizam, a Ustavom iz 1963. raširio se na saveznoj i republičkim razinama; ostvaruje koncept samoupravljanja izvan privrede i na sve društvene djelatnosti

3. Treće razdoblje od 1971. – 1990.-ih – vrhunac samoupravnog koncepta društva bile su promjene Ustava SFRJ iz 1974. i Zakonom o udruženom radu 1976.; od tada samoupravljanje postaje model upravljanja cijelim društvom – sve dotadašnje radne organizacije preoblikovane su u „Organizacije udruženog rada“ (OUR) koje se udružuju u „Složene organizacije udruženog rada“ (SOUR), a ostale postaju samoupravne kao Udružene samoupravne interesne zajednice (USIZ).

Kako je takav model društva kompleksan, brzo se širio, ali i počeo urušavati prema 90-ima te s toga nema točnu definiciju, možda „pravci razvoja u demokratizaciju i pluralizam“ po knjizi E. Kardelja (Komunist iz 1978.) „Pravci razvoja političkog sistema socijalističkog samoupravljanja“.

U ovom periodu, jugoslavenski ekonomski sistem imao je jedinstvenu specifičnost:samoupravni sporazum (kao pravno obvezujući ugovor između samoupravnih organizacija u društvenom sektoru) i društveni dogovor (kojim su regulirani međusobni odnosi između OUR-a, SIZ-ova, saveznih i republičkih sekretarijata, sindikata i privrednih komora).

Ta tri razdoblja personificiraju tri ličnosti koje su im dale teoretsku podlogu, iako se ne mogu svesti samo na njih: Boris Kidrič, kao tvorac administrativno-samoupravnog modela, Vladimir Bakarić, kao nositelj tržišnog socijalizma, i Edvard Kardelj, koji je pokušao tržišni zamijeniti normativnim, a turbulentne osamdesete obilježile su beskonačne rasprave između „dohodaša“ i „profitaša“.

Ostatke samoupravljanja, nakon raspada Jugoslavije, vidimo još neko vrijeme u Sloveniji, a nekima su trebala desetljeća da uklone sve tragove tog sistema.

Zašto se danas, nakon toliko godina, bavimo iskustvima jugoslavenskog socijalističkog samoupravljanja?

Prije svega, jer je to jedinstveni primjer u svijetu, prvi put u povijesti da se radnika i radničku klasu Ustavom i zakonom podiglo na pijedestal vlasti i vlasnika, čime im je bilo garantirano pravo na vlasništvo, upravljanje nad sredstvima za proizvodnju i rezultatima rada! Time je u potpunosti bespredmetna bilo kakva usporedba položaja radnika-samoupravljača i najamne radničke klase u ostatku svijeta.

Nadalje, jer je ostvarena potpuna emancipacija čovjeka-radnika i radničke klase od tutorstva, terora i okova države, kapitala i vlasnika. Ujedno, to je i borba protiv revizije svega postojećeg koja mora biti ne samo antifašistička, nego i antikolonijalna i antiimperijalistička, jer je sve to već sadržano upravo u borbi za samoupravni socijalizam.

Polazeći od programskih načela SRP-a, koji svoja utemeljenja nalazi u izvornom marksizmu te dugoročno, programski zagovara upravo socijalizam samoupravnog tipa, smatramo da samoupravljanje nije otpisano, a još manje da je sahranjeno, već upravo obratno: što je veći pritisak kapitala za revizijom radnička prava, to će biti i sve snažniji otpor radničke klase. Želimo također naglasiti da je SRP obavezan uporno ukazivati na činjenicu da se radnici u današnjoj kapitalističkoj Hrvatskoj, usprkos potpunoj društvenoj degradaciji, nerado pozivaju na prošlost koja je bila daleko humanija i u kojoj su bili značajna društvena grupacija, ali su im sjećanja blokirana agresivnim ispiranjem mozga, kako od strane ideologije nacionalizma i neoliberalizma, tako i uz jaku dozu antikomunizma koja dolazi iz vjerskih krugova, koji kao da su došli na svoje: „Raj se ipak nalazi s onu stranu života i svaki dobar antikomunista dobit će od Crkve ulaznicu za Raj nakon smrti.“

Konkretnije rečeno, radnička klasa je deklasirana zbog klero-nacionalizma, nezaposlenosti, ekonomskog, socijalnog i političkog kaosa i oštre restrikcije radničkih prava. Izgubila je tradiciju borbe i vlastiti politički i klasni identitet, klasnu svijest i radničku solidarnost . Uskrsla im je prošlost, ustali su mrtvi bogovi, uplovili su u divlji, primitivni i retrogradni kapitalizam, nesvjesni da su kao najbrojnija društvena grupacija, jedinstvom  i radničkom solidarnošću, koja im daje neslućenu snagu i moć, sposobni mijenjati  ove nehumane, nepodnošljive i diskriminirajuće društvene odnose.

Zato i tražimo sve ono što bi nam moglo poslužiti u suočavanju i prevladavanju problema kapitalizma 21. stoljeća, a ti su rezultati daleko u korist samoupravljanja, što priznaju i oni koji rješenja ne vide u nekakvom socijalizmu 21. stoljeća. Dakle, ovime ne dovodimo u pitanje aktualnost socijalističkog samoupravljanja koje je postojalo jučer, a postojat će i ubuduće, jer je sve aktualnija društvena alternativa „socijalizam ili barbarstvo“, zapravo alternativa „socijalizam ili fašizam“ ili čak „civilizacija ili barbarizam“, pa je poznata krilatica danas jednako aktualna kao u vremenu kad ju je izrekla slavna revolucionarka Rosa Luxemburg.

Upravo krize koje stalno generira kapitalizam, nesposoban da razriješi osnovne proturječnosti društva, iniciraju proces obratno proporcionalan radničkih pravi i stanja društva: što je kriza kapitalizma izrazitija – to su i radnička prava manja!

Dakle, sve se lomi preko leđa radnika – smanjivanjem radničkih prava, pogoršavanjem općih uvjeta rada, produljenjem radnog vremena, neplaćanje prekovremenih sati, zapošljavanje na određeno vrijeme, nesigurnost rada, plaća i drugog – što je u Hrvatskoj naročito izraženo. Ako se uzme u obzir da su prava samoupravljača u svoje vrijeme daleko nadilazila prosjek prava njihovih evropskih kolega, ovih dana, po zadnjem izvještaju EU, stanje prava radnika u Hrvatskoj je krajnje poražavajuće, jer je na samom začelju, pa je gotovo nevjerojatno da u nas nitko apsolutno ne reagira: ni radnici, ni sindikati, ni poslodavci, ni država – opijeni već spomenutim opijatima.

Zato je poruka radnicima: samoupravljanje je jedina radnička perspektiva, okupljajte se oko tog barjaka, jer kapitalisti ne mogu bez radnika, radnici mogu bez kapitalista – dokazali samoupravljanjem!

 

Split, 26. 06. 2018.

SRP Gradska organizacija Split


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OBLICI OSTVARIVANJA SAMOUPRAVLJANJA U ORGANIZACIJAMA UDRUŽENOG RADA


iz Doktorske disertacije „Ostvarivanje samoupravljanja u privrednim organizacijama Splitske regije” (empirijska istraživanja u vremenu od 1984. do 1989. godine)

 
Samoupravljanje radnika osobnim izjašnjavanjem
 

Samoupravljanje je specifičan oblik socijalističke demokracije (koja je po svom biću masovna i neposredna), a kao bitnu komponentu sadrži individualno i neposredno učešće ljudi u donošenju odluka o društvenim poslovima. Nužno se izražava i kao samoupravljanje osobnim izjašnjavanjem kao oblikom odlučivanja i vršenja samoupravnih prava, obaveza i odgovornosti, u kojem radnik individualno izražava svoju volju i poduzima druge radnje samoupravljanja. Neposrednost upravljanja, prema tome, nije samo političko-pravna, već također i pravno načelo. Ono ima ustavnu prirodu, budući da ga Ustav SFRJ (i ustavi socijalističkih republika i autonomnih pokrajina) definiraju i izričito i posredno.

Radnje samoupravljanja osobnim izjašnjavanjem se mogu poduzimati u različitim oblicima i na različite načine, ali se uvijek vrše povezano s radnjama drugih radnika i ravnopravno s njima. Oblici osobnog izjašnjavanja u organizaciji udruženog rada predstavljaju najvažniji segment neposrednog demokratskog procesa socijalističkog samoupravljanja zato što organizacija udruženog rada mora biti organizirana tako „da radni ljudi u svakom djelu procesa rada i u svakom djelu organizacije odlučuje o pitanjima svoga rada“, (ustav SFRJ, član 89). Radnik u organizaciji udruženog rada odlučuje o svim svojim društveno –ekonomskim pitanjima, svom statusnom položaju, poslovanju i upravljanju organizacijom udruženog rada i u tome je ravnopravan s drugim radnicima, bez obzira na posao koji obavlja i funkciju koju vrši u međusobnoj podjeli rada. U organizacijama udruženog rada, radnici su obavezni odlučivanje organizirati tako da svaki radnik može ravnopravno učestvovati u povezivanju i usklađivanju različitih interesa, kontrolirati provođenje odluka i zaštitu svojih prava.

 
Samoupravno odlučivanje radnika u OUR-a zborom radnika
 

Sa socio-ekonomskog i političkog stanovišta, zbor radnika je skup (za)interesiranih radnika organiziranih u cilju usklađivanja interesa kroz diskusiju, temeljem ustava, ZUR-u i drugim zakonima, reguliran statutom i samoupravnim opštim aktom.

Zbor radnika je oblik organizacije kroz koji radnici neposredno odlučuju, iniciraju, raspravljaju, a u cilju donošenja odluka u OUR-a. Svojom pozicijom zbor radnika sadržajno određuje dio modela totalnog samoupravnog odlučivanja.

Zbor radnika odlučuje, inicira, raspravlja, predlaže, daje mišljenje o procesima i ciljevima posebnog i zajedničkog interesa radnika OUR-a. Polazeći od zakonskih regulativa, radnici na zborovima „razmatraju opća pitanja rada i razvoja organizacije, raspravljaju o izvještajima organa upravljanja i obavljaju druge poslove upravljanja…“,(Zakon o referendumu i drugim oblicima odlučivanja osobnim izjašnjavanjem SR Hrvatske, „Narodne novine“ SRH 21, 1977.). Drugu grupu poslova predstavlja odlučivanje o pojedinim pitanjima u skladu s pravnim aktima, a treću kontrola „nad radom delegacija i delegata izabranih delegatska tijela društveno-političkih zajednica“, (isti navedeni dokument).

Obavezna nadležnost zbora radnika određuje se zakonom i samoupravnim općim aktom, shodno pravu na samoupravljanje, gdje se polazi od toga da zbor radnika definitivno odlučuje o pitanjima iz nadležnosti radničkog savjeta, zatim kada se zbog malog broja radnika radnički savjet u OUR-a ne osniva. Djelokrug rada zbora se tada povećava. Ako radnički savjet postoji, zbor konačno odlučuje o pitanjima koja su mu zakonom i samoupravnim općim aktom određena kao isključiva nadležnost.

Ukoliko je to moguće, odnosno ako to dozvoljavaju dislokacija kapaciteta, poslovi i tehnologija, zbor se organizira (predsjednik, predsjedništvo) jedinstveno za cjelinu OUR-a, u suprotnom se održava po dijelovima radnog procesa – radnim cjelinama unutar organizacije rada, smjenama, odvojenim većim grupama radnika.

Radnici na zboru određene jedinice ili djela organizacije mogu „donositi odluke o raspodjeli sredstava za lične dohotke i o korištenju sredstava zajedničke potrošnje koje ostvare zajedničkim radom“, (ZUR-a član 471, od 1976. godine).

Odlučivanje na zboru bez kvoruma, odnosno odlučivanje bez većine svih radnika, (stav 2. član 464. ZUR-a i član 439), a ne prisutnih može se poništiti.

Da bi radnici na zboru radnika ostvarili koncept samoupravnog organiziranja moraju biti ispunjene osnovne pretpostavke:

- da radnici imaju stvarnu mogućnost učestvovanja u procesu odlučivanja;

- da su motivirani za učestvovanje u tom procesu;

- da su osposobljeni za ravnopravno učestvovanje u procesu odlučivanja.

Zbor radnika se često može pretvoriti u formalnost posredstvom kojim poslovodni organi, stručne službe i radnički savjet nameću svoje stavove. Također ponekad može postati i mjesto za pritisak jedne grupe radnika protiv većine, što onemogućava donošenje bilo kakve racionalne odluke.

Funkcije zbora radnika se bolje ostvaruju u OUR-a u kojima se pored stručnih službi, organa upravljanja i poslovodnih organa u pripremu rada zbora aktivno uključuju i organizacije i organi saveza sindikata, posebno kroz organiziranje prethodne rasprave o pitanjima o kojima se odluke donose na zboru radnika i na taj način utječu na aktivno uključivanje radnika u kreiranju samoupravnih odluka.

 
Samoupravno odlučivanje radnika u OUR-a referendumom
 

Jedno od bitnih pitanja ostvarivanje samoupravljanja u sferi rada i izgradnje demokratskih društveno-ekonomskih odnosa uopće jeste pitanje oblika odlučivanja u OUR-a i drugim oblicima samoupravnog organiziranja udruženog rada i sredstava. Prijedlog, zahtjev, ocjena, kritika, ispoljeno mišljenje ili stav i drugi manifestacijski oblici i izražavanje mišljenja, uključivši i protestne akte kojima samoupravljači ispoljavaju svoj odnos naprama određenim pitanjima svojega života i rada, dobivaju djelatnu snagu tek oblikovanjem u samoupravnu odluku, kojom se reguliraju ciljevi procesa i ti isti procesi rada i ti isti ciljevi i procesi raspodjele rezultata rada, kao i sama raspodjela.

Samoupravna odluka je, ustvari, sredstvo (mehanizam), instrument buduće samoupravne akcije pa je zbog toga nužan, ali ne i dovoljan uvjet da se željena akcija stvarno i izvede.

(Dr. Zoran Vidaković: „Samostalno odlučivanje o raspodjeli dohotka je koncentriran izraz i osnovni rezultat prethodnog razvoja materijalnih i društvenih snaga socijalizma“; „Uređenje odnosa u poduzećima samoupravnim normama“, Institut društvenih nauka, Beograd, 1961., str. 23;

Dr. Stipe Šuvar: „ukoliko ga, međutim sagledavamo u sferi racionalnog ponašanja, onda se samoupravljanje javlja kao kolektivno autonomno odlučivanje“; „Samoupravljanje i druge alternative“, Centar za aktualni politički studij, Zagreb, 1970., str. 65)

Radnici udruženi u OUR-a kao nosioci funkcije upravljanja vrše je tako što u pravilu samoupravljanje ostvaruju neposredno, to jest ostvaruju svoja samoupravna prava neposrednim izjašnjavanjem vlastite volje u formiranju kolektivne odluke i referendumom.

Referendum u OUR-a je oblik izjašnjavanja radnika o jednom pitanju od zajedničkog interesa putem pismenog tajnog glasanja „za“ ili „protiv“ i predstavlja u praksi najčešće primjenjivan oblik izjašnjavanja radnika koji se koristi kad se odlučuje o najznačajnijim pitanjima vezanim za društveni i materijalni položaj radnika u OUR-a. Dakle, zbog svog dubokog demokratskog karaktera s jedne strane i zbog praktično-proceduralnih razloga s druge strane, referendum je u OUR-a postao oblik odlučivanja o odnosima koji proizlaze iz samoupravnih prava.

Zakonom o udruženom radu je utvrđeno o kojim pitanjima se odluke donose referendumom, ali je ostavljena i mogućnost da radnici utvrde i druga pitanja o kojima će odlučivati –najčešće se radi o samoupravnom aktu o radnim odnosima, organizaciji i sistematizaciji poslova i radnih zadataka. Dakle, referendumom se odlučuje o strategijskim pravcima razvoja i pitanjima egzistencije OUR-a i obezbjeđenju samoupravnih prava radnika.

Način na koji radnici u OUR-a samoupravno odlučuju referendumom uređuju se statutom ili posebnim samoupravnim općim aktom OUR-a, u skladu sa zakonom.

Kad je riječ o nadležnostima referenduma, onda se njihova strukturalnost klasificira u tri osnovne grupe:

-   vršenje prava samoorganiziranja radnika;

-   odlučivanje o uređivanju međusobnih odnosa u organizaciji udruženog rada samoupravnim općim aktom;

-   donošenje odluka o uređivanju određenih ekonomskih odnosa u organizaciji udruženog rada.

Pitanja o kojima se mora odlučivati referendumom određuje se zakonom, samoupravnim sporazumom i statutom i to na dva načina:

-   neposrednim navođenjem pitanja o kojima je nužno organizirati referendum;

-   preciziranjem situacije o kojima je, bez obzira na predmet odlučivanja, nadležni organ obavezan raspisati referendum.

Da bi se osigurala puna neposredna samoupravna demokracija, prema zakonu o referendumu nitko ne smije sprječavati pristupanje glasanju, niti od radnika glasača tražiti da se izjasni o tome kako je glasao, ili, ako nije glasao, zašto je tako postupio. Radnik–glasač ne može biti pozvan na odgovornost zbog toga što nije izašao na referendum.

Ukoliko smatra da je bilo nepravilnosti „materijalne povrede zakona“ u provođenju referenduma od strane biračkih odbora, radnik ima pravo i samoupravnu odgovornost podnijeti prigovor komisiji, ali ako se prigovor tiče rada komisije, prigovor se podnosi organu koji je raspisao referendum. Ukoliko se dokaže opravdanost sadržaja prigovora iz kojega proizlazi da su uočene nepravilnosti utjecale na rezultate referenduma na određenom glasačkom mjestu, organ koji je raspisao referendum dužan je poništiti rezultate glasanja na tom glasačkom mjestu i odrediti vrijeme novog glasanja. Ako se radi o nepravilnostima koje su mogle utjecati na ukupan rezultat referenduma, organ koji je raspisao referendum dužan ga je poništiti u cjelini. Organ koji je raspisao referendum određuje vrijeme održavanja novog.

 
Referendumska samoupravna praksa-poteškoće
 

- u praksi su uočena velika zakašnjenja u donošenju odluka i dug, neracionalan period trajanja javnih rasprava o samoupravnim aktima o kojima se radnici izjašnjavaju na referendumu; zakašnjenja u donošenju odluka znatno usporavaju proces samoupravnog odlučivanja, a istovremeno se često ne postižu željeni efekti ni u poboljšanju ponuđenog rješenja, ni u poboljšanju informiranja;

- u samoupravnim aktima nije podrobnije razrađen postupak provođenja prethodne rasprave;

- nije jasno definirana politička uloga sindikalne organizacije u prethodnom raspravljanju;

- zbog neorganizirane rasprave, javlja se nezainteresiranost i nedisciplina i uzdržanost od glasanja

Najčešće nisu prihvaćani na referendumima:

-   samoupravni opći akti o raspodjeli sredstava za osobne dohotke i zajedničku potrošnju;

- samoupravni sporazumi o stjecanju dohotka i raspodjeli sredstava za osobne dohotke i zajedničku potrošnju;

- pravilnik o organizaciji sistematizacije poslova i radnih zadataka.

- ne prihvaćanje samoupravnih sporazuma o udruživanju u radnu, odnosno složenu organizaciju udruženog rada.

Uzroci neefikasnosti rada referenduma :

- svođenje referenduma na puku formalnost u izjašnjavanju radnih ljudi o pitanjima, odlukama i aktima koji su već doneseni, nametnuti od strane poslovodnih organa i stručnih službi pa i samog radničkog savjeta ili faktora izvan organizacije udruženog rada;

- pojava preglasavanja, nadglasavanja kao i davanja većeg značaja interesima radnika pojedinih organizacionih dijelova;

- neuvažavanje primjedaba, prijedloga i sugestija radnika;

- nedostatak pozitivne društveno-političke klime, odnosno neaktivnosti društveno–političkih organizacija..

 
Samoupravno odlučivanje radnika putem delegata u organizaciji udruženog rada
 

U udruženom radu i društvenom životu uopće postoje konkretne situacije i brojna pitanja o kojima osobno izjašnjavanje nije moguće provesti, to jest nije moguće odlučivanje osobnim izjašnjavanjem, pa su potrebni i drugi demokratski organi, oblici i instrumenti utjecaja i odlučivanja radnika i u okviru i na nivou organizacija udruženog rada, a također i na nivou društveno-političke zajednice. Ostvarivanje takvog oblika odlučivanja se vrši delegatskim sistemom, jer je to najpogodniji oblik spajanja pojedinačnog sa zajedničkim i općedruštvenim interesima. Delegatski sistem je sistem neposrednog odlučivanja radnika, ali u takvim oblicima koji omogućavaju stalno međusobno demokratsko usklađivanje interesa s drugim radnicima i organizacijama i demokratsko donošenje odluka u odgovarajućim delegatskim tijelima. Delegatskim sistemom, odnosno odlučivanjem putem delegata u organima upravljanja u organizacijama udruženog rada, izražavaju se i usklađuju neposredni pojedinačni i zajednički interesi radnika i njihove stvarne radne i životne potrebe, ali i interesi društvene zajednice kao cjeline, to jest društveni interesi.

Odlučivanje putem delegacija i delegata, kao novi vid samoupravnog odlučivanja radnika u sferi rada, javlja se donošenjem Ustava SFRJ 1974. godine. Ustav utvrđuje da, u cilju izgradnje društva kao slobodne zajednice proizvođača, radnička klasa i svi radni ljudi razvijaju socijalističku samoupravnu demokraciju kao poseban oblik diktature proletarijata i to osigurava i odlučivanje radnih ljudi u ostvarivanju vlasti i upravljanju drugim društvenim poslovima u osnovnim samoupravnim organizacijama i zajednicama delegacija i delegata u organima upravljanja samoupravnih organizacija i zajednica, kao i putem delegacija i delegata u skupštinama društveno-političkih zajednica i drugim organima samoupravljanja.

Određujući položaj radnih ljudi u društveno-političkom sistemu, ustav utvrđuje da „radni ljudi ostvaruju vlast i upravljanje drugim društvenim poslovima odlučivanjem na zborovima, referendumima i drugim oblicima ličnog izjašnjavanja u osnovnim organizacijama udruženog rada i mjesnim zajednicama, samoupravnim interesnim zajednicama i drugim samoupravnim organizacijama i zajednicama, putem delegata u organima upravljanja tih organizacija i zajednica, putem delegacije i delegata u skupštinama društveno–političkih zajednica.“, (Ustav SFRJ, član 89, „Prosvjeta“, Beograd,1974., str. 29). Karakterizirajući način ostvarivanja samoupravljanja u organizacijama udruženog rada utvrđuje se „samoupravljanje u osnovnoj i drugim organizacijama udruženog rada radnik ravnopravno i u odnosima uzajamne odgovornosti s drugim radnicima u organizaciji ostvaruje odlučivanjem… putem delegata u radničkim savjetima koje zajedno s drugim radnicima u organizaciji bira i opoziva.“, (Ustav SFRJ, član 98, „Prosvjeta“, Beograd, str. 30).

Samo konkretnim ostvarivanjem svoga prava, to jest ostvarivanjem samoupravljanja od organizacije udruženog rada i mjesne zajednice do društvene zajednice u cjelini, radnici i svi radni ljudi razvijaju socijalističku samoupravnu demokraciju. Nužan i sastavni dio te demokracije također je i odlučivanje radnih ljudi u ostvarivanju vlasti i upravljanju drugim društvenim poslovima u organizacijama udruženog rada i drugim samoupravnim organizacijama i zajednicama osobnim izjašnjavanjem i putem delegacija i delegata. Osnova tog jedinstvenog sistema samoupravljanja i vlasti čini samoupravna demokracija.

Bit delegatskog sistema je u tome da radnici putem svojih delegata u radničkim savjetima, slobodno i ravnopravno odlučuju o svim pitanjima upravljanja radom i društvenom reprodukcijom unutar organizacije udruženog rada, ali isto tako putem delegacija i delegata u skupštinama društveno-političkih zajednica odlučuju o pitanjima koja se odnose na zajedničke interese i potrebe udruženog rada i radnih ljudi. Nužnost delegatskog sistema temelji se na činjenici da u nizu konkretnih situacija nije moguće odlučivanje osobnim izjašnjavanjem, tako da su prijeko potrebni i drugi demokratski organi. Najznačajniji oblik takvog delegatskog odlučivanja jeste radnički savjet, kao i slični samoupravni organi na svim razinama samoupravnog odlučivanja.

 

doc. dr. političkih znanosti Pavle Vukčević



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O nekim aspektima, idejama i problemima samoupravljanja

Piše: doc. dr. sc. Pavle Vukčević - Udruženje "Naša Jugoslavija" 
e-mail: pavlevukcevic @ gmail.com

Kad se govori o historijskom mjestu i svjetsko-povijesnom smislu samoupravljanja i u teoriji i u praksi, potrebno je naglasiti na osnovu naučnih saznanja i društvenih dostignuća da izvan socijalizma samoupravljanje nema historijski smisao i perspektivu. Samoupravljanje u sebi samome realizira svoj temelj i ideju u kojoj ne znači uspostavljanje jednog određenog sistema odnosa, već znači postizanje takvih kvaliteta ljudskog života i njegove društvene organizacije u kome je samoupravljanje samosvjesni, bitan i samo za sebe određujući momenat.
Nema sumnje da se bitne protivrječnosti suvremenog svijeta, latentne i manifestne, ukrštaju prije svega na razini izbora za ovaj ili onaj tip temeljnog društvenog odnosa, za vladajuću ulogu ove ili one klase o pojedinim tipovima društvenog odnosa. Na toj razini, dakle, razini temeljnog društvenog odnosa, socijalističko samoupravljanje kao teorijska vizija i kao konkretna historijska praksa ima svoju specifičnu historijsku težinu i jasnu dinstikciju prema tipu buržoaskog odnosa građanskih društava, kao i tipu etatističko-birokratskog puta socijalizma. Dosadašnja iskustva razvoja socijalističkih društava potvrdila su spoznaju da osnovno pitanje historijskog procesa socijalizma nije isključivo pitanje političke vlasti, već i pitanje karaktera proizvodnje, proizvodnih odnosa, raspodjele, razmjene i potrošnje, znači karaktera ukupnih društvenih odnosa.
Ključno pitanje historijskog procesa socijalizma je: da li konkretni političko-ekonomski sustav, socijalizam, ostvaruje dugoročne interese radničke klase, njenu vodeću ulogu na osnovama oslobađanja rada i društva slobodne asocijacije prizvođača ili se taj političko-ekonomski sistem javlja u funkciji otuđenja od radničke klase u etatističko-birokratskoj funkciji države kao vladavine nad radničkom klasom? Povijesna praksa socijalizma neumitno daje pravo tvrdnji da je, s jedne strane, prisutan deklarativni projekt o socijalizmu kao oslobađajućem društvu (oslobođenje čovjeka), a s druge strane stvarnost, manifestirana u formi monopolizirane vlasti s neodgovornom vladavinom pojedinaca i grupa, manipuliranom teorijom, pokretom i praksom reduciranja čovjeka (a ne njegovog oslobađanja), na manipulativnu jedinku, kontroliranim javnim mnijenjem, nametnutim izborima, „propagandnim terorom", strahom, jačanjem partijsko-državnih monopola i etatizacijom cjelokupne sfere individualnog i društvenog života. Sve navedeno nužno nameće potrebu kritičke eksplikacije ideje i stvarnosti socijalizma XXI. stoljeća.

Pristup različitim teorijama o mogućnosti i sudbini socijalizma 

Ono, što je zajedničko svim suvremenim teorijama, jeste težnja da pokažu, priznajući istovremenu pojavu, pa i nužnost preobražaja i promjena kapitalizma (što se u izvesnom smislu ne može osporiti kada je riječ o promjeni tehnologije, pronalaženja mogućnosti izlaza iz krize, brzina transformacija), da je radnička klasa prevladana ili nesposobna stvarati nove društvene odnose i da je društvo našlo nove, bezbolnije i suvremene oblike društveno-ekonomskog uređenja i civilizacije, koje čine socijalizam izlišnim, prevladanim, ili makar odgođenim.

Zajedničke karakteristike navedenih teorija: 

nehistorijske - jer pripisuju društvu samo jedan "završni oblik", "kraj povijesti" (ukoliko misle na društvo klasnog antagonizma, naučno se može prihvatiti da je kapitalizam “završni oblik“ klasno-eksploatatorskog antagonizma); 
nenaučne - jer socijalizam shvaćaju kao statičnu i jedinstvenu formu; 
• ideološke - jer prikrivaju sve veće socijalno-ekonomske razlike između posredničko – menadžerske klase i stvaralaca materijalnih i duhovnih dobara, zbog otuđenosti sredstava i proizvoda rada od proizvođača i društvene organizacije od čovjeka;
nesuvremene - jer potcjenjuju sve veću opasnost od sebičnosti i usamljenosti čovjeka i dezintegracije društva koje tehnička sredina izaziva svojim nehumanim stranama.
S toga je razumljivo što suvremeni društveni procesi u globalnom smislu stvaraju socijalističku historiju svijeta. Socijalizam nije samo jedan od osnovnih historijskih alternativa društveno- ekonomskoj i idejno-moralnoj stagnaciji koju neminovno proizvodi kapitalizam, već i alternativa koju u osnovi objektivno rađa proces socijalističkog samoupravljanja, podruštvljavanje i oslobađanje rada koji stvara uvjete, novoj, višoj ljudskoj civilizaciji.

Ideja i problemi

Ideja samoupravljanja nastala je u moderno doba, zajedno s idejom socijalizma i ostaje historijski neodvojiva od problematike socijalizma. Ideja o sudjelovanju radnika ili društvenih grupa u upravljanju ili najšire u samoupravljanju, historijski gledano, stara je koliko i radnički pokret. Zato se može tvrditi da je ideja o samoupravljanju bila pratilac (u ovom ili onom obliku) socijalističke misli od njenog nastanka. Samoupravljanje, kao izraz sam po sebi, znači da se oni na koje se odnosi ili oni koji ga primjenjuju, nalaze u položaju da sami sobom upravljaju umjesto da su potčinjeni zapovjestima nekoga drugoga ili pravilima (zakonima) koje taj drugi donosi, a da ih ne pita ili bez njihovog učešća, odnosno suglasnosti. Kaže se za čovjeka da je autonoman (samoupravan), ako je prije svega u moralnom smislu nekorumpiran, sposoban i odlučan da slijedi svoj razum i etiku i da samostalno iznosi svoja mišljenja, zauzima stavove i određuje svoje ponašanje onoliko koliko zavisi od njegove volje, a ne od vanjske prisile. Pretpostavka je, naravno, da je čovjek zreo i razuman, pa da će takva biti i mišljenja, koja će iznositi, odnosno ponašanja koja će ispoljavati. Za ličnost za koju kažemo da je autonomna, pretpostavljamo i da je, ne samo pravno i poslovno sposobna nego i politički, ljudski, pa i ekonomski samostalna, tj. da ne ovisi od nekoga drugoga, da se može smatrati samostalnim čovjekom – da je slobodan.
Samoupravljanje u jednom najopćijem smislu predstavlja sinonim za neposrednu demokraciju, za demokratsko i neposredno učešće u usmjeravanju, odlučivanju o poslovima užih i širih teritorijalnih, radnih, profesionalnih interesnih zajednica - odnosi se na zajednicu življenja ili rada, kao i na druge zajednice, dobrovoljna udruženja i organizacije. Položaj radnika, proizvođača, tehničara i inžinjera svih vrsta u modernoj industriji objektivno je takav da rad na traci ili u birokratskoj mašineriji osakaćuje čovjekovu ličnost. Nije se modernizacijom izmjenio onaj položaj za koji se nekada govorilo da je čovjek obični šrafić - „dodatak mašini“. Zato će se permanentno postavljati problem, da se promjeni takav položaj radnika. Pa će ideja samoupravljanja biti uvijek nanovo pokretana.
Mnoštvo problema s kojima će se samoupravljanje suočavati oduzima privlačnost ovakvim projektima. To su prije svega, nedostatak sistema motivacije koja pokazuje slabosti kao i kod svakog kolektivističkog poduhvata. Druga grupa problema odnosi se na miješanje šire političke zajednice, države, koja to miješanje, odnosno dominaciju lakše postiže pri bezličnom kolektivizmu nego pod uslovima kad se točno znaju subjekti prava svojine i kada su oni nosioci izvjesnih prava i obaveza. Pitanje proširene reprodukcije akumulacije jedno je od slabih strana ovog sistema. Svako odvajanje u te svrhe pogađa neposredne i dnevne interese radnika, a ulaganje u „budućnost“ može pri takvom sistemu, koji je u osnovi politički, biti prilično neizvjesno. Ako se samoupravljanje pruži organizacijama koje imaju prirodnim ili političkim, odnosno pravnim sredstvima uspostavljeni monopol, tada se samoupravna organizacija može javiti kao subjekt koji iskorištava ili, čak ucjenjuje čitavo društvo.
Ako samoupravljanje ostane samo na nivou poduzeća, tada njegovo političko okruženje prije ili kasnije uspostavlja svoju dominaciju. Ako se pokuša ostvariti utjecaj korporacija na političko predstavništvo, tada se umanjuje uloga građanina kao nezaobilaznog elementa demokracije. Uspostavljanje neke vrste ekonomskog, profesionalnog ili socijalnog predstavništva, nije ideja koju treba bez ispitivanja odbaciti u svjetlosti nedostataka sistema političkog predstavljanja. Ali i prenaglašavanje te uloge odvodi nas u korporativizam ili autoritarizam.
Menadžerstvo kao važan element moderne privrede i industrije podcjenjivano je u samoupravnoj teoriji i ustanovama. Nije shvaćeno da uspjesi velikih korporacija zahtjevaju hitna reagiranja veoma upućenih ili talentiranih i školovani menadžera koji moraju preuzimati rizik i biti motivirani ili profitom ili statusnim razlozima. Koliko menadžeri ograničavaju samoupravljače, s jedne strane, toliko, s druge strane, u praksi i jedne i druge mogu ograničavati sindikati. Neki teoretičari samoupravljanja smatraju da sindikat mora stalno igrati ulogu „oporbe u industriji“, u odnosu na menadžment.
Jedan od najačih činilaca motivacije samoupravljača bio bi da se oni učine akcionarima, dioničarima poduzeća u kojima rade. I to, međutim, ima i slabih strana, jer zašto radnik nebi ulagao u neko drugo poduzeće koje, po njegovoj ocjeni, ima više perspektive nego ono u kojem on radi i shvaća da se njime ne upravlja domaćinski. Sistem dioničarske svojine ne trpi takva organizacija koja bi bila nužna da se radnici učine dioničarima poduzeća u kojima rade. Kako bilo, baš u tome je jedna od najjačih motivacije (samoupravljača–akcionara) u eventualnim samoupravnim poduzećima. Time bi se promjenio isto tako neekonomski i nefunkcionalni sustav po kome svaki zaposleni ima potpuno isti glas kao i svaki drugi, mada se zna da čitava poduzeća žive od doprinosa nekolicine svojih članova, dok su ostali samo oni koji se lako mogu zamjeniti drugim, a da to posebno ne ošteti uspjeh poduzeća. Duh uravnilovke može u određenim uvjetima imati čak neko etičko opravdanje, ali on razara motivaciju, efikasnost privredne organizacije i privrede u cjelini.
Možda ni jedna sumnja ili prigovor protiv samoupravljanja nisu bila tako često isticana koliko oni da ako samoupravljači dobiju vlast da odlučuju o raspodjeli, a to znači i o svojim primanjima, oni se neće moći „suzdržati da pojedu i akumulaciju i osnovni kapital“. Ovaj se problem može riješiti određenim pravilima i uravnoteženjem prava i obaveza, mada ona ustvari pojačavaju birokratiju i tehnokratiju, kojih se ni jedno veliko i moderno poduzeće ne može ne samo osloboditi, nego ni lišiti njihovih usluga. Bilo je pokušaja da se samoupravljanje koncipira i eventualno ostvari kao integralni sistem tj. da se sva samoupravna poduzeća integriraju u jedan sistem koji bi se vjerovatno završavao jednim političkim ili ekonomskim parlamentom ili vijećem, nacionalnim radničkim savjetom. Ako bi se ostvarila, ovakva ideja bi neizbježno dovela do uvođenja jednog autoritarnog i potencijalno totalitarnog sistema. Isto tako, svaki samoupravni oblik mora biti poštovan, uvažavan i vrednovan kao jedna mogućnost, alternativa, a ne obaveza koja se ostvaruje kao uniformnost. Drugim riječima, samo u okvirima mješovite privrede i pluralističkog društva mogućno je da neko samoupravno poduzeće djeluje kao oaza ekonomske demokracije. U suprotnom se pretvara u beočug autoritarizma, u instument kojim se u političkim ciljevima čovjek kontrolira na mjestu na kome stiče sredstva za život.

Zaključak 

Sve u svemu, s mnoštvom problema samoupravljanje ostaje jedna velika i podsticajna ideja koja će pokretati ljude i koji će je u nekim oblicima permanentno pokušavati i ostvariti, baš kao što pokušavaju da i u društvu i državi izbore svoj status građanina koji učestvuje u procesu demokratskog odlučivanja. Čovjekova društvena i poduzetnička priroda vući će ga uvjek ka takvim, tj. samoupravnim poduhvatima, a njegova egoistična priroda će otežavati ili onemogućavati da se ti poduhvati ikada ostvare onako idealno kako su zamišljeni. U doglednoj budućnosti realni su izgledi da se pomoću različitih oblika participacije i djelovanjem sindikata prakticira ograničeno, a u izvesnim zadružnim i dioničarskim poduzećima i ustanovama sa tradicionalnom samoupravom i potpunije samoupravljanje.

Split, 05.03.2013. godine