Informazione
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/943-zivadin-jovanovic-tv-hepi.html
Добро јутро Србијо, 27. јуна 2018. године. Шта је Живадин Јовановић говорио о преговорима у Бриселу и проблему Косова и Метохије, погледајте у наставку:
Повремено чујемо у јавности да Србији нико није понудио поделу Косова, да Србија чека шта ће јој ,,Квинта'' или неко други са Запада понудити и сличне тезе. Такође, да су раније власти учиниле безумне грешке и „печатирале коверту независности“ Косова и Метохије...
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A giudicare dalla situazione attuale in cui la Serbia ha solo fatto concessioni e la cricca di Prishtina ha praticamente ottenuto il controllo su tutta la provincia, la Serbia potrebbe finire per rinunciare definitivamente a tutti i suoi diritti e interessi senza ricevere nulla in cambio. Tranne le promesse di adesione all'UE entro il 2027 come anno "indicativo"! Raramente si sente dire che un accordo UE / USA del tipo "territorio (del Kosovo e Metohija) in cambio dell'adesione all'UE" sarebbe illegale, contrario alla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, alla Carta delle Nazioni Unite, al Documento Finale dell'OSCE ed alla Costituzione della Serbia. In linea di principio sarebbe inaccettabile perché il territorio dello Stato, l'identità nazionale e la dignità non possono essere usati come merce di scambio.
La semplice idea di barattare Kosovo e Metohija per ottenere l'adesione all'UE è un'indicazione di un netto declino della consapevolezza del concetto di identità nazionale, della dignità, degli interessi dello stato, dell'autostima nazionale e statale. Il fatto che, oltre alla cosiddetta élite politica, una parte dell'élite intellettuale serba, i "colti", e persino certe istituzioni nazionali, considerino anche il Kosovo e la Metohija un "cappio" di cui la Serbia dovrebbe prontamente sbarazzarsi, apparentemente per iniziare un ampio progresso economico e sociale, equivale addirittura a condividere il messaggio ambiguo che l'importanza del principio territoriale stia calando, che sia la Serbia che il Kosovo finirebbero comunque all'interno della “Comunità Europea", che le prospettive di una vita migliore siano più importanti di ogni altro valore, che la Serbia appartenga per natura all'integrazione euro-atlantica, che la politica di tenere il piede in due scarpe sia insostenibile, eccetera.
Qualunque cosa accada, dall'assassinio di Oliver Ivanovići (1) e dal linciaggio pubblico di Marko Đurićii (2), alle dichiarazioni dei leader di Priština sul "Kosovo orientale" o sul Kosovo fino a Niš, alle piattaforme di "reciproco riconoscimento", ai fucili della battaglia di Košare, Belgrado ripete la solita storia che il dialogo e l'ombrello dell'UE non hanno alternative, che tutto è come al solito, come se nel frattempo non fosse accaduto o cambiato nulla. È tattica? Sicurezza? Saggezza? Responsabilità? Esperienza? Preveggenza? Forza? Combinazione vincente? Un consiglio di amici o di "amici"?
La domanda da porsi è se qualsiasi accordo razionale con gli ex leader del terrorista KLA (Kosovo Liberation Army, Esercito di Liberazione del Kosovo) trasformati in politicanti sia possibile, anche a prescindere dal fatto che questi siano nelle liste dei ricercati e che godano del sostegno dei loro sponsor nella NATO e nell'UE? Sapendo che compaiono veramente nei mandati di cattura dell'Interpol e che godono del sostegno di amici "eccezionali" ...
La realtà è trattata in modo selettivo, come se fosse fatta solo da debiti, obblighi e restrizioni, come se la Serbia fosse uno stato senza radici, senza storia, diritti universali o appartenenze a varie organizzazioni internazionali, senza amici, e come se dipendesse esclusivamente dalla pietà dei singoli membri dell'UE e della NATO! La legalità ed i principi sono messi a tacere, come se entrambi fossero vantaggi dell' "altra parte" a cui non si dovrebbe ricordare altri argomenti a sostegno del proprio caso.
Nell'affrontare la questione Kosovo-Metohija non si dice nulla sul totale predominio degli approcci geopolitici e sugli interessi dei principali paesi occidentali. Non c'è il minimo sforzo di analizzare l'impatto delle nuove tendenze in Europa e nelle relazioni globali sulla posizione internazionale della Serbia e sulla sua capacità negoziale. Inoltre, c'è una netta resistenza, una strana avversione alla necessità di adattare tattiche e politiche negoziali alle realtà mutate. L'impressione è che siamo continuamente, giorno dopo giorno, nella macina di quegli stessi meccanismi neocoloniali di devastazione, lavaggio del cervello e sottomissione, disinteressati a cambiare qualsiasi cosa tranne che nel seguire lealmente gli "incoraggiamenti" dei commissari di turno che sono "nel miglior interesse per il futuro della Serbia ".
Nessuno accenna alla verità secondo cui per i principali paesi occidentali ai quali, sotto il formato negoziale di Bruxelles, la Serbia ha effettivamente ceduto nella scelta dello status di Kosovo e Metohija, l'unica soluzione accettabile è quella di stare dalla loro parte nel confronto con Russia e Cina. Questo va contro gli interessi vitali della Serbia. L'esperienza finora acquisita conferma che il quadro negoziale di Bruxelles esclude i principi di legalità, equilibrio, giustizia e sostenibilità, impedendo così alla Serbia di proteggere i suoi diritti e interessi legittimi, in particolare quelli derivanti dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
È stato detto che l'UE è il più grande investitore, il più grande donatore e il più grande partner commerciale della Serbia. Sebbene il fine di collegare la dichiarazione di cui sopra alle trattative con Pristina non sia dato in modo esplicito e deciso, rimane il messaggio sottinteso che questa benevolenza ci obblighi a sostenere anche le disoneste richieste riguardanti la sovranità, l'integrità territoriale e l'ordine costituzionale della Serbia. E le richieste sono queste : legalizzazione della creazione forzata di un nuovo stato in una parte del territorio dello stato Serbo; l'adesione del Kosovo all'ONU ed a tutte le altre organizzazioni internazionali; progettare nuovi confini internazionali; un altro esercizio per schiacciare la nazione Serba; la legalizzazione della pulizia etnica di 250.000 serbi e altri non albanesi; aprire la strada alla creazione di una "Grande Albania".
Quello che non viene detto è che gli Stati Membri dell'UE, specialmente quelli più ricchi, sono i più grandi vincitori nella democratizzazione, nella transizione e nella privatizzazione in Serbia. Ciò che non viene detto è che solo le banche degli Stati membri dell'UE hanno ricavato decine di miliardi di euro dall'economia e dai cittadini Serbi nei processi di liquidazione delle banche Serbe, nell'acquisizione del mercato finanziario Serbo e nel passaggio dal DM all'Euro. Nessuno si è ancora preso la briga di calcolare il profitto guadagnato dalle economie di quei paesi durante la privatizzazione che il Governo ha etichettato come predazione.
Il silenzio più assordante riguarda gli Stati membri della NATO / UE che hanno inflitto danni materiali diretti alla Serbia durante la criminale aggressione a guida NATO del 1999, per un totale di oltre 100 miliardi di dollari US. Se, nonostante il chiaro dovere legale di quei paesi di risarcire i danni di guerra, le più alte autorità statali continuano a ritenere sconcertante, per qualsiasi motivo, l'inclusione di questo argomento negli ordini del giorno di preadesione o in qualsiasi altro negoziato, allora il senso fondamentale dell'opportunità, della dignità nazionale e dell'auto-rispetto dovrebbe richiedere almeno una certa prudenza prima di ricoprire i rappresentanti dell'Occidente di immeritati complimenti per il loro patrocinio.
Si è parlato della necessità di una soluzione giusta che permetta ad ogni "parte" di vincere e di perdere qualcosa. Non si dice nulla sul minimo al di sotto del quale la Serbia non dovrà e non deve andare. Il risultato di questa "flessibilità" della Serbia sulle posizioni dell' "altra parte" e dei suoi mentori è rappresentato da ogni sorta di richieste avanzate quotidianamente e persino da minacce aperte e sfacciate che, in un modo o nell'altro, sono anche sostenute da rappresentanti dell'UE, USA, Germania e altri.. Non viene fatto alcun riferimento al fatto che, durante la negoziazione a Bruxelles, finora, la Serbia ha semplicemente ceduto i suoi diritti ed i suoi interessi, senza ottenere nulla di concreto in cambio. Quindi, la legittima domanda da porsi è se ci sono veramente le condizioni per un compromesso equilibrato e giusto che conduca ad una pace ed una stabilità durature.
Indipendentemente da ciò che i rappresentanti di alcuni paesi occidentali possano dire, il loro perpetuo ricatto alla Serbia e il sostegno aperto a quelli che hanno rivendicazioni territoriali o di altro tipo contro la Serbia testimoniano che, per loro, la Serbia non sarà mai troppo piccola, troppo debole o troppo umiliata per smettere di farla a pezzi, indebolirla ed umiliarla.
Dicono che la Serbia stia diventando sempre più forte e rispettata; nessuno dice che non è mai stata umiliata, ingannata e ricattata come al giorno d'oggi. Il linciaggio pubblico del funzionario serbo Marko Đurić recentemente messo in scena e le dozzine di rappresentanti eletti del popolo serbo in Kosovska Mitrovica sono indicativi del reale atteggiamento nei confronti della Serbia.
Dicono che è stato concluso un accordo con la NATO che non permetterà a nessuna forza (militare) di entrare nel Nord della Provincia, mentre la KFOR - composta prevalentemente da truppe NATO - in quella stessa parte della provincia difende le "ROSU" (Regional Operational Support Unit, Unità Regionali di Supporto Operativo, sono reparti speciali della Polizia del Kosovo N.d..T.) ogni volta che queste mostrano, ripetutamente, la loro forza, le armi e le attrezzature avute dalla NATO. L'atteggiamento dell'UE e della NATO verso l'UNSCR 1244, l'Accordo di Bruxelles sui Principi e l'Accordo con la NATO sul Nord della Provincia, possono avere qualche influenza nel predire la loro posizione nei confronti di eventuali nuovi ipotetici documenti legali da firmare, o forse questa è una domanda retorica?
Le più alte autorità statali parlano della cosiddetta neutralità di status dell'UE e di EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo, Missione dell'Unione Europea per lo Stato di Diritto in Kosovo N.d.T.) , anche se il buon senso riconosce che questa è una palese ipocrisia, dato che sia EU che EULEX in Kosovo e Metohija stanno attuando il piano generale per creare un nuovo membro della NATO e dell'ONU, disegnando nuove frontiere, consolidando la pulizia etnica dei Serbi e spingendoli verso nord.
È stato detto che il Kosovo è perduto da tempo, che i precedenti governi avevano dato tutto, che gli attuali governi semplicemente "cercano di salvare ciò che può essere salvato" e che la Costituzione non è una difesa. E poi si aggiunge che abbiamo bisogno di coraggio, che siamo pronti per "decisioni dolorose", che la Serbia ha bisogno di altri paesi, specialmente della Germania, più di quanto abbia bisogno della Serbia, eccetera eccetera.
MA! Se altri, precedenti governi hanno già perso o fatto tutto, quale è il motivo di tutta questa confusione di pressioni, menzogne, ipocrisia, ricatti e umiliazioni da un lato, e di generose offerte di donazioni, investimenti e riconoscimenti al governo in carica, dall'altro? Stiamo assistendo ad un gioco che è un misto di intimidazione ed inganno.
A chi ed a cosa serve dire che la Serbia ha bisogno della Germania e di altri paesi più che della Serbia stessa? Qualunque sia la necessità di tale confronto, quale obiettivo dovrebbe raggiungere? Vuol forse dire che, invece dell'uguaglianza, della mutualità, della reciprocità e dell'indipendenza, la Serbia intende approvare e proclamare volontariamente la propria sottomissione? Quali altri motivi potrebbero spingere gli investitori tedeschi a investire in Serbia se non quelli dei propri interessi, profitti e astronomiche sovvenzioni dal Bilancio della Serbia?
Le dichiarazioni dei rappresentanti serbi abbondano di contraddizioni, sbalzi di umore che vanno dall'entusiasmo alla frustrazione. In questo schema, il significato stesso di alcuni termini usati abitualmente nella vita politica diventa oscuro. Ad esempio, bisogna avere il coraggio di difendersi dalle richieste illegali, amorali e ricattatorie o si deve accettarle a scapito della Serbia?
Screditare la posizione ufficiale della leadership nazionale della Francia che la priorità sia la riforma dell'UE (leggi: la sopravvivenza) rispetto al suo allargamento, ed ammettere le interpretazioni fuorvianti che sia possibile condurre parallelamente sia le riforme dell'UE che il suo allargamento, equivale ad un invito a ficcare la testa nella sabbia.. Alla luce delle crescenti divisioni e degli incerti risultati delle riforme a lungo termine dell'UE, le favole sull'allargamento dell'Unione che coinvolga i Balcani Occidentali servono solo a nascondere la nuda verità che questo allargamento sta diventando sempre più distante e incerto. Si può ragionevolmente supporre che si continuerà con queste panzane, perché una decisione formale (ammissione) secondo cui ogni nuova adesione è indefinitamente accantonata o rinviata (sine die) danneggerebbe la credibilità di tutti coloro che hanno proclamato l'appartenenza all'UE come "la via senza alternative" . Certo, ciò potrebbe aggravare l'instabilità, ritorcersi contro l'UE e rendere le riforme ancora più difficili.
E' caduto il silenzio sullo spudorato sfruttamento da parte dell'Unione Europea dell'aspirazione della Serbia all'adesione che mirava a ingannare la Serbia nel disegnare nuovi confini, nella creazione illegale di un nuovo stato su una parte del suo territorio statale, in una nuova divisione della nazione serba e nell'unificazione della nazione albanese, nel perdonare alla NATO il crimine di aggressione, tutto questo per ridurre le divisioni interne all'UE. L'obiettivo geopolitico comune dell'UE e della NATO di far firmare alla Serbia un "documento completo e giuridicamente vincolante" riconoscendo in tal modo il Kosovo, se fosse raggiunto trasformerebbe una secessione unilaterale illegale in una soluzione legale e consensuale. A questo punto, il ragionamento secondo cui la secessione del Kosovo sia un pericoloso precedente sarebbe confutato o almeno fortemente indebolito a causa dell'ipotesi di approvazione della Serbia. A sua volta, ciò introdurrebbe una possibilità concreta per l'UE di rimuovere una causa di gravi divisioni interne che ne bloccano il funzionamento (poiché cinque Stati membri non riconoscono l'indipendenza del Kosovo).
Ci viene detto che l'obiettivo dei negoziati è quello di raggiungere una riconciliazione storica tra le nazioni Serbe ed Albanesi, e poi ci viene detto, correttamente, che non stiamo negoziando con gli Albanesi ma con gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Germania. Nessuno fa notare che tali negoziati e l'obiettivo dichiarato di "riconciliazione storica" siano reciprocamente in conflitto tra loro. I grandi poteri non risolvono le crisi, le gestiscono. Ciò è particolarmente vero nel contesto del crescente confronto globale a cui stiamo assistendo attualmente.
Il "documento completo giuridicamente vincolante" è pubblicamente considerato come un "documento in bianco" i cui contenuti futuri sono sconosciuti. Nulla è detto sul ragionamento che consente un'approvazione anticipata di un documento la cui formulazione non è nota a nessuno, compresi i presunti firmatari per conto della Serbia.
Per lo più non si fa nessun accenno al fatto che la UNSCR 1244 sia il documento giuridico completo di base, documento di estrema importanza, che impegna tutti i membri delle Nazioni Unite, compresi gli Stati membri dell'UE e della NATO, che ha una rilevanza duratura, che non può essere abrogato, sostituito o invalidato in altro modo che seguendo la stessa procedura con cui è stata adottato, e che, tuttavia, non ha reso effettiva neanche una singola clausola che riguardi il diritto della Serbia e del popolo Serbo. Non è chiaro, chi o cosa impedisce o scoraggia la Serbia dal richiedere l'osservanza e l'attuazione degli obblighi pendenti previsti da questo documento? Che cosa otterrà la Serbia mantenendo il silenzio su questa risoluzione? Cosa c'è di sfavorevole per la Serbia e, forse, di favorevole per Pristina?
Certo è che i precedenti governi hanno commesso errori fondamentali : in primo luogo, avendo rivolto alla Corte Internazionale di Giustizia la richiesta di un suo parere consultivo con una formulazione errata e, in secondo luogo, avendo consentito il trasferimento dei negoziati a Bruxelles nell'ambito dei "buoni servizi" dell'UE mediante la cosiddetta "risoluzione proposta congiuntamente" (della Serbia e dell'UE) all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Entrambi sono vere. Tuttavia, ciò che non è stato detto è che sia l'opinione della CIG (Corte Internazionale di Giustizia) che la risoluzione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sui servizi dell'UE non sono di natura vincolante ma piuttosto di carattere consultivo e, come tali, non impediscono alla Serbia di impegnarsi a rimediare agli errori. Anche se gli errori commessi dai governi precedenti sono davvero riprovevoli, di sicuro non possono servire come scusa per fare gli stessi errori, o anche più gravi, oggi o nel futuro.
Ciò che in particolare non è mai stato menzionato è che le opinioni consultive e le risoluzioni consultive di qualsiasi organismo o agenzia delle Nazioni Unite non interferiscono, in alcun modo, con i poteri del Consiglio di Sicurezza o prevalgono sull'applicabilità della UNSCR 1244.
È stato ripetuto più e più volte che il Kosovo è perso e il governo sta solo “salvando ciò che è possibile salvare”; stiamo ascoltando i discorsi sulla difficile posizione negoziale, sulle realtà sul terreno, errori del passato, delusioni, equivoci e miti, incapacità di comprendere valori e interessi reali. Il pubblico è costantemente bombardato da previsioni di disastro se non si cambia la coscienza delle nazioni; la nostra storia, la Costituzione, le caratteristiche intrinseche della nazione vengono svalutate. Al posto di criteri morali, spirituali, storici e di principio, ci vengono offerti esclusivamente approcci selettivi e criteri economici, commerciali ed affaristici. Come se l'accettabilità di questi dovesse dipendere da una popolazione impoverita e disorientata dalla propaganda Occidentale.
Si rimane sbalorditi dalla totale assenza di sforzi per identificare, presentare o utilizzare qualsiasi argomento o fatto che serva al rafforzamento della posizione negoziale della Serbia. È come se i maggiori problemi della nostra leadership fossero la cattiva coscienza ed il sistema di valori sbagliati della propria nazione, piuttosto che la politica anti-Serba dei centri di potere Occidentali. In particolare, non ci sono iniziative per ricercare e scoprire argomenti nuovi e meno noti che rafforzino la nostra capacità negoziale. Questa attenzione unilaterale nel dare risalto a tutto ciò che ostacola la posizione negoziale della Serbia, unita alla totale indifferenza per gli argomenti favorevoli alla Serbia, è stato un fenomeno senza precedenti nella storia contemporanea degli affari internazionali.
Certe parti dell'élite serba sono già "collegate in rete" al sistema corporativo multinazionale liberale occidentale, legando i propri privilegi ed il proprio futuro agli interessi di questo sistema neocoloniale, indipendentemente dal prezzo che deve essere pagato dallo stato e dalla nazione in termini di perdita di indipendenza, identità e, in definitiva, di territorio. Parti della società che si definiscono elite acquisiscono sostanziali privilegi materiali partecipando a progetti generosamente finanziati da fonti UE e NATO, in attività del cosiddetto settore civile (ONG), varie task forces, forum, centri, convegni, associazioni e simili. Quindi, è logico che le politiche che propongono pubblicamente, compreso il cosiddetto dialogo interno su Kosovo e Metohija, siano conformi e corrispondano alle aspettative ed agli interessi dei centri di potere che finanziano le loro operazioni. La loro interpretazione degli interessi nazionali e statali e le dichiarazioni pubbliche che implicano più o meno apertamente che la Serbia dovrebbe riconoscere il Kosovo e Metohija come uno stato indipendente, sono il risultato diretto del loro interesse a preservare i propri privilegi. Il loro ruolo assegnato è quello di persuadere il pubblico che "una vita migliore" dipende dall'approvare le "dolorose" decisioni pragmatiche delle autorità.
Ci dicono del valore del Primo Accordo di Bruxelles sui Principi per la Normalizzazione e le sue disposizioni sulla Comunità dei Comuni serbi. In questa narrazione, detto Accordo è paragonato all'Accordo Dayton-Parigi, il che è, per usare un eufemismo, un'esagerazione (non l'unica). Anche dopo che ci siamo resi conto che nel 2013 la Serbia è stata indotta a firmare ciò che, cinque anni dopo, si è rivelata una frode, continua senza sosta il tentativo di convincere il pubblico della necessità di firmare un nuovo "documento legalmente completo"!
Ci dicono che dobbiamo salvare la nostra gente in Kosovo e Metohija. E' vero, certamente. Ma lasciamo da parte, per un momento, la domanda se siamo d'accordo che il popolo serbo in Kosovo e Metohija sia ostaggio dell'arbitrarietà della leadership di Pristina (e dei loro mentori), dal momento che il solo modo per proteggerli consiste in ritirate senza fine e nel soddisfare ogni piccolo capriccio di quella leadership; tuttavia, c'è una domanda ancora senza risposta : perché sul diritto di 250.000 Serbi espulsi e altri non albanesi di tornare liberi, sicuri e dignitosi alle loro case ed alle loro proprietà nella Provincia, c'è stato un totale silenzio per così tanto tempo? Chi e perché ritiene strano insistere nel negoziare su questo vitale, prioritario interesse della Serbia e del popolo Serbo? Di tanto in tanto, viene sussurrata una "spiegazione" del fatto che il problema è stato sollevato, ma che "l'altra parte" si è rifiutata di discuterne. Ma che genere di argomento è questo? Qual è la portata e l'elenco dei problemi che dovremmo risolvere per mantenere l'etichetta di Europei flessibili, tolleranti, responsabili, saggi, coraggiosi e prevedibili?! Significa forse che la Serbia è obbligata a negoziare solo le questioni che interessano "l'altra parte"? Che tipo di futuro è quello per cui la Serbia deve permettere la pulizia etnica di un numero importante di propri cittadini dal Kosovo e Metohija? Con chi e per conto di quali "valori comuni" la Serbia deve negoziare, visto che né l'UE, né gli USA, la Germania, la Francia, l'Italia, l'EULEX, l'UNMIK, la KFOR, la NATO, l'OSCE vogliono rispettare questo obbligo nei confronti della nazione Serba? Si spera che nessuno faccia obiezioni "convincenti" come il numero da definire di persone interessate al ritorno, o la questione di risorse finanziarie limitate, eccetera.
È stato detto che gli obiettivi più importanti della Serbia nei negoziati facilitati dall'UE sono la pace, la stabilità e lo sviluppo. Non è stato detto che la pace seguita all'aggressione della NATO contro la Serbia (la RFJ) del 1999 non è stata siglata nei negoziati con l'UE, ma nei negoziati che coinvolgono la Repubblica Federale di Jugoslavia, gli Stati Uniti, la Federazione Russa, l'UE, il G-8, e cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Le condizioni e le congetture di pace sono state confermate dall'UNSCR 1244. Non è mai stato ricordato che le basi della pace costituiscono l'Accordo Milosevic-Ahtisari-Chernomyrdin del 3 giugno, l'Accordo Tecnico-Militare del 9 giugno e la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 10 giugno 1999.
Nulla è detto del fatto che, insieme, questi documenti reciprocamente integrati costituiscono una base per la pace sostenibile, la stabilità e lo sviluppo nella regione e in Europa; nulla è detto del fatto che non esistono e non possono esistere documenti multilaterali, bilaterali o di altro tipo che prevalgano giuridicamente o politicamente sulla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; nulla è detto del fatto che in nessun modo la Serbia possa rinunciare alla risoluzione 1244 dell'UNSCR, che sia volontariamente o con la forza.
Nessuno osa far notare che intralciare, ignorare o rinunciare alla risoluzione 1244 dell'UNSCR equivale a rinunciare alla pace e alla stabilità in Europa. La soluzione per il Kosovo e Metohija, che l'Occidente desidera è quella che serve esclusivamente al suo confronto con la Russia. Nessuna altra soluzione sarebbe accettabile per l'Occidente.
Questo è il motivo per cui la Serbia deve presentare una richiesta di piena attuazione della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite senza indugio, perché questa è l'unica strada in grado di fornire una soluzione legittima, valida e giusta che serva gli interessi della pace, della stabilità e dello sviluppo sostenibile.
1) Politico Serbo del Kosovo e Metohija, ucciso il 16 gennaio 2018, a Kosovska Mitrovica, nel nord del Kosovo
2) Direttore della Direzione Governativa per il Kosovo e Metohija
Traduzione dal Serbo: Branislava Mitrovic
Traduzione in italiano di Giorgio F. per Forum Belgrado Italia/ CIVG
https://www.rt.com/sport/432336-croatia-world-cup-russia-best-people-ever/
Mondiali 2018 Russia, Croazia: Vida inneggia all'Ucraina, rischia la squalifica
Un video postato su Facebook dopo la vittoria ai rigori contro la Russia, potrebbe costare caro al difensore croato Domagoj Vida. Il giocatore, autore anche del gol del 2-1 nei supplementari, ha esultato sui social urlando la frase "Slava Ukraini!", letteralmente "gloria all’Ucraina", in quello che a qualcuno è sembrato essere uno slogan anti-russo. Per questo motivo la Fifa ha aperto un’inchiesta a suo carico. Nel filmato, Vida festeggia il passaggio alle semifinali insieme a Ognjen Vukojevic, ex nazionale e ora membro dello staff della squadra allenata da Zlatko Dalic. In passato hanno giocato entrambi nella Dinamo Kyev. Dopo aver esclamato “gloria all’Ucraina”, il compagno accanto aggiunge: “Questa vittoria è per la Dynamo e per l'Ucraina...vai Croazia!". Quanto fatto da Vida non è piaciuto ad alcuni media russi e a molti utenti dei social, che hanno segnalato l'accaduto. Da qui l'apertura dell'inchiesta, confermata all’Ansa da fonti Fifa. Vida rischia due giornate di squalifica e una multa di cinquemila franchi svizzeri, parti a circa 4.300 euro. Vida tuttavia, citato dai media russi, ha tenuto a sdrammatizzare e a depoliticizzare il tutto, parlando di parole frutto di sensazioni molto personali. "Non c'è politica nel calcio. Sono parole scherzose per i miei amici della Dinamo Kiev. Voglio bene ai russi e voglio bene agli ucraini", ha detto il difensore croato.
Il precedente di Xhaka e Shaqiri
Screzi a sfondo politico si erano avuti anche in occasione della partita Serbia-Svizzera nella fase a gironi (Gruppo E), quando due giocatori svizzeri di origini kosovaro-albanesi, Xhaka e Shaqiri, esultando per i gol contro i serbi, avevano mostrato con braccia e mani il simbolo della bandiera albanese con l'aquila bicipite. Un gesto interpretato come una provocazione dai serbi, che avevano protestato. La Serbia non riconosce l'indipendenza del Kosovo, che continua a considerare una sua provincia a maggioranza albanese, e denuncia un piano nazionalista che mirerebbe a creare una 'Grande Albania, uno stato unico che raggruppi tutte le popolazioni albanesi presenti nei vari Paesi dei Balcani.
E anche taluni commentatori televisivi non hanno mancato di ‘ringraziare Dio’ per i successi del calcio nazionale e per la marcia trionfale della nazionale di Modric, Mandzukic e compagni. ‘I croati non si arrendono!’, ‘E ora a Mosca per la (semi)finale’, ‘Cadranno anche gli inglesi, saremo campioni’ titolano oggi i giornali, prospettando e sognando non solo la vittoria contro l’Inghilterra mercoledì prossimo, ma anche un trionfo finale della squadra di Dalic ai mondiali di Russia.
La presidente, che ieri sera allo stadio accanto al compassato premier russo Dmitri Medvedev ha seguito la partita indossando maglietta e pantaloni da tuta nei colori della Croazia, si è messa a ballare in tribuna al momento della vittoria, per poi raggiungere i giocatori nello spogliatoio e, abbracciandoli, ha cantato canti patriottici.
Tante anche le immagini di Luka Modric che, prima di lasciare il campo al termine dell’incontro vittorioso con i russi, ha abbracciato i suoi due figli facendo loro calciare dei tiri in porta.
Domagoj Vida sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 che vedrà la nazionale croata sfidare l’Inghilterra a Mosca mercoledì 11 luglio con fischio d’inizio alle ore 20. Il calciatore aveva sollevato un polverone dopo la partita vinta contro la Russia ai rigore per un video in cui ha esclamato “Slava Ukraine” (Gloria all’Ucraina)”
di Marco Beltrami, 9 LUGLIO 2018
Sospiro di sollievo per la Croazia. Domagoj Vida sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 che vedrà la nazionale croata sfidare l'Inghilterra a Mosca mercoledì 11 luglio con fischio d'inizio alle ore 20. Il calciatore aveva sollevato un polverone dopo la partita vinta contro la Russia ai rigore per un video in cui ha esclamato "Slava Ukraine" (Gloria all'Ucraina)". Un attacco ai padroni di casa con un possibile riferimento politico che non è sfuggito alla Fifa che ha aperto una indagine. Nessuna squalifica per Vida, ma solo quella che può essere definita come "un'ammonizione ufficiale".
(...) La Fifa ha graziato Vida, nessuna squalifica per Croazia-Inghilterra
Il massimo organo calcistico internazionale dopo aver visionato il tutto ha deciso di non punire con la squalifica Vida che dunque sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 Croazia-Inghilterra. La Fifa infatti ha optato per il classico "warning", ovvero un'ammonizione ufficiale, accettando dunque quelle che sono state le giustificazioni e spiegazioni di Vida e della Federcalcio croata.
La Croazia e la giustificazione di Vida che ha convinto la Fifa
La Croazia infatti ha dichiarato in maniera ufficiale che le parole pronunciate da Domagoj Vida al termine della partita contro la Russia si riferivano al sostegno dimostratogli dai tifosi ucraini durante i Mondiali. Vida infatti ha vestito la maglia della Dinamo Kiev dal 2013 al 2018. Nonostante tutto però anche la Federcalcio croata ha rivolto un invito a tutti i propri tesserati in una nota ufficiale: "la federcalcio croata invita i giocatori della nazionale ad astenersi da qualsiasi dichiarazione che può essere interpretabile come politica"
Serbia, il ct Krstajic: "La Var come la Corte dell'Aja". Polemiche anche con i politici kosovari
LA POLEMICA CON I POLITICI KOSOVARI - Nel frattempo prosegue la polemica politica tra Belgrado e Pristina dopo la partita di ieri sera vinta 2-1 dagli elvetici con le reti messe a segno da Xhaka e Shaqiri, cittadini svizzeri entrambi di origini kosovare e etnia albanese. I media serbi riferiscono oggi di interventi 'provocatori' da parte di esponenti politici kosovari, che prima, durante e dopo la partita di ieri sera a Kaliningrad, sono intervenuti sulle reti sociali con toni nazionalistici e antiserbi, a sostegno dell'irredentismo kosovato-albanese.
Il ministro degli esteri del Kosovo Behgjet Pacolli, alla vigilia dell'incontro in questione, ha scritto su Twitter di sperare che gli 'albanesi kosovari' sconfiggeranno la Serbia, nonostante l'avversario dei serbi sarebbe stata la Svizzera. "Riusciranno i nostri ragazzi a battere la Serbia stasera? Penso di si", ha scritto Pacolli. Da parte sua Flora Citaku, ambasciatore del Kosovo negli Stati Uniti, ha affermato in un tweet dopo la partita che i gol degli albanesi Hhaka e Shaqiri sono qualcosa di storico per il Kosovo: "Due albanesi del Kosovo hanno determinato oggi la vittoria della Svizzera sulla Serbia - ha scritto Citaku - Le loro famiglie ottennero asilo in Svizzera durante la guerra in Kosovo (di fine anni novanta, ndr). Oggi hanno segnato e hanno vinto. Lo sport a volte è qualcosa di più dello sport. Oggi avete portato sulle spalle la nostra storia". "Vi voglio bene", ha twittato Citaku.
I due calciatori di origini kosovare, accusati da Belgrado di aver esultato dopo i gol con il gesto a indicare l'aquila della 'Grande Albania' (progetto nazionalista denunciato dalla Serbia e che mira a riunire in un unico stato tutti gli albanesi residenti nei vari paesi balcanici, ndr), hanno sostenuto di aver fatto tale gesto per la grande emozione e col pensiero diretto alle loro famiglie e al loro popolo, e non contro la Serbia. Critiche al loro comportamento sono giunte comunque dalla stampa svizzera, con il quotidiano Blik che ha parlato di un modo di festeggiare "inutile e stupido".
Na rubu izveštavanja o Svetskom prvenstvu u fudbalu u Nemačkoj se svo vreme postavljalo pitanje: da li će Feliks Brih suditi finale? Te nade su ponešto podgrejane posle ispadanja Nemačke, ali su se ubrzo raspršile – Brih i njegovi asistenti posle samo jedne utakmice idu kući. Fifa je to i zvanično potvrdila.
Samo jedan nastup na Mundijalu je jedan nemački sudija poslednji put imao pre 36 godina. „Tok ovog SP je naravno teško razočaranje za mene i moj tim“, rekao je Brih. „Ali život ide dalje i doći ćemo ponovo.“
Il calcio, lo sappiamo, per molti di noi è tutta la vita. Per un manipolo di calciatori ucraini, nell’agosto del 1942, però, il pallone fu davvero questione di vita o di morte. Una di quelle storie in cui sai già di affrontare un nemico che ti ha già sconfitto, una di quelle storie in cui sai già che dovrai piegare la testa e restare al tuo posto.
Ma, quando vedi quel pallone rotolare, e lo vedi prendere la forma del riscatto e della vendetta che probabilmente non ti potrai mai prendere, non riesci a fermarti, e allora giochi come sai fare, anche se sai che probabilmente ti costerà la vita. Così andò quella che è passata alla storia come “La partita della morte“, quella che si giocò a Kiev nell’agosto del 1942 e che, ancora oggi, fatica a svelare il suo alone di mistero e leggenda.
Secondo alcuni non è mai esistita, secondo altri le cose andarono diversamente. Secondo noi, c’è sempre un fondo di verità nelle storie che arrivano fino ai giorni nostri, e a noi piace raccontarla così come l’abbiamo conosciuta. Ma andiamo con ordine, perchè, fidatevi, è una di quelle storie che tolgono il fiato.
Siamo, come detto, nell’agosto del 1942, in Ucraina. Siamo in piena seconda guerra mondiale, e le truppe naziste sono nel loro periodo di massimo successo, sembrano avanzare verso la conquista dell’intera Unione Sovietica che, invece, arranca e soffre, cercando di non piegarsi all’invasore teutonico. Che, diciamocelo, non deve essere proprio bella la vita quando ci sono le truppe dell’esercito tedesco che bussano ai confini di casa tua.
Un gruppo di calciatori ed ex calciatori ucraini, principalmente militanti o che avevano militato (non è che si giocasse poi molto da quando c’era la guerra) tra la Lokomotiv e la Dinamo di Kiev sono lavorano in un panificio, non per piacere ma in condizione di prigionieri di guerra. Di tanto in tanto, unico sollievo in quella vita quantomeno triste, il pallone: giocano, alle volte, insieme, in una squadretta che prende il nome di Start FC.
I tedeschi, che anche loro si dilettavano a giocare al calcio, li sfidano una prima volta nel mese di luglio, con una formazione abbastanza raffazzonata, composta da soldati della Luftwaffe, l’aviazione, ma con la quale credevano avrebbero vinto abbastanza facilmente. D’altronde, chi andrebbe mai a pensare che dei prigionieri di guerra avrebbero avuto l’ardire di fare un torto ai propri aguzzini?
Quando però le squadre scendono in campo, se così si può chiamare quel che rimane del terreno di gioco in una Kiev disastrata dall’occupazione nazista, le cose non appaiono così semplici. Sugli spalti si sono radunati un gran numero di ucraini, e quelli che a pallone ci sanno giocare per davvero non se la sentono di fargli un torto. In quelle condizioni, si guardano negli occhi e sanno che oggi sono lì per dare una speranza a quella gente, per fargli vedere che possono, insieme, rialzare la testa. Risultato: cinque palloni da raccogliere in fondo al sacco e sonora umiliazione per i tedeschi. 5-1 per lo Start.
I tedeschi, ancora oggi, nell’anno del Signore 2014, non prendono mai bene una sconfitta.Figuratevi cosa doveva rappresentare quell’umiliazione nel 1942, contro una squadra di prigionieri di guerra debilitata dalla fame. E, allora, ecco che nasce l’idea della vera partita della morte, quella del 9 agosto 1942.
Viene organizzato un torneo al quale partecipano squadre composte da giocatori di diverse nazionalità, rumeni, russi, slavi. Ma lo sanno tutti, ci sono anche quelli dello Start FC. E sono lì solo per un motivo, per ritrovarsi di fronte ai tedeschi, in finale. Ed è quello che, ovviamente, il destino, in quel caso in divisa da gerarca nazista, fa succedere. 9 agosto, stadio Zenith di Kiev. Sta per andare in scena la partita della morte, la rivincita di quella di qualche mese prima.
Rivincita alla quale i tedeschi tenevano particolarmente: la Luftwaffe viene rafforzata dalla presenza dei migliori ufficiali che fossero in grado di tenere il pallone da calcio tra i piedi. Una squadra in salute, forte fisicamente, con il morale rafforzato dall’occupazione in terra straniera e una guerra che stava prendendo la via di casa. Contro un gruppo di prigionieri affamati, che non stavano in piedi, con il morale sotto i tacchi per non essere più padroni in casa loro. Arbitro, ovviamente, un ufficiale delle SS, ma non c’era manco bisogno di dirlo questo.
Ma, lo sappiamo, quando scendiamo in campo, non importa quanto forte sia l’avversario, quanto male stiamo noi o quanto in forma sia lui. Quando scendiamo in campo, anche se in condizioni disperate, vorremmo fare solo una cosa: segnare un gol in più degli avversari e vincere.
Il problema, però, era che quella partita i giocatori ucraini sapevano già di non poterla vincere. Sapevano già che, i permalosi ufficiali tedeschi, questa volta non gliel’avrebbero fatta passare liscia. Se avevano organizzato quella partita, era solo per infliggergli una pesante umiliazione e fargli capire chi comandava, in quel momento. E chi avrebbe comandato d’ora in poi.
Le istruzioni erano precise. Al momento di entrare in campo, bisogna fare il saluto nazista. Ma lo sappiamo, in campo nessuno ci sta a farsi comandare, figuriamoci se a dirlo sono quelli che ti stanno per invadere e che stanno uccidendo i tuoi cari, e non metaforicamente. Quando entrano in campo, i calciatori ucraini guardano i tanti ufficiali e soldati tedeschi in tribuna e urlano “Fitzcult Hura!”, il motto sovietico che veniva adottato anche dall’esercito. Se dobbiamo giocarci la vita, tanto vale giocarcela a modo nostro, pensano. Tanto vale mettere in campo quel poco che ci è rimasto, e fare l’unica cosa che ora possiamo fare per farci sentire vivi: giocare a calcio e dimostrare di essere i più forti.
E, per quanto debilitati dalla guerra e dalla prigionia, gli ucraini più forti lo sono per davvero. In condizioni normali, darebbero una grossa lezione ai tedeschi. Non tirava una bella aria, però, in tutta onestà. Dopo pochi minuti Trusevich, portiere dello Start, viene colpito alla testa in una mischia e resta qualche minuto a terra, stordito. L’imparziale direttore di gara nulla ha visto, ovviamente.
I tedeschi si portano in vantaggio, nel tripudio dello stadio che non è di casa, ma che, nei piani di Hitler e soci, a breve lo diventerà. Se questa storia fosse una storia normale, gli ucraini, distrutti, stanchi, affamati, mollerebbero e lascerebbero vincere i tedeschi facilmente, provando così a salvare la pelle. Ma l’animo umano non è fatto per conoscere la sconfitta, figuriamoci per sopportare l’umiliazione. Kuzmenko pareggia i conti su punizione, poi Goncharenko, il più talentuoso giocatore dello Start, realizza una doppietta da fuori area. Quasi costretto, perchè tirando da fuori l’arbitro non avrebbe potuto fischiare il fuorigioco…
All’intervallo è 3-1 per gli Ucraini, l’aria nello spogliatoio, che poi è una baracca in realtà, è pesante. In molti si chiedono se davvero gli convenga vincerla questa partita. D’altronde, però, non vorranno mica ammazzarci per il pallone. La risposta invece era probabilmente “si”, perchè un ufficiale tedesco si porta dietro un interprete e prova a far capire ai ragazzi che forse è meglio se la perdono quella partita, se ci tengono alla loro pelle. In parole povere, una sconfitta avrebbe fatto perdere la faccia al Terzo Reich, e, in quel momento, era l’ultima cosa che il Terzo Reich avrebbe voluto. Dunque, per il bene di tutti, che ne dite se gentilmente ci fate vincere questa partita?
Le parole probabilmente sorgono il loro effetto, e la ripresa inizia con i tedeschi all’attacco e due reti segnate: 3-3. Ma oramai, gli ucraini erano lì. Ed erano chiaramente più forti, e, quando sei più forte, non riesci a non fare quello che più ti riesce facile, battere il portiere avversario. Anche senza volerlo, probabilmente, segnano altre due reti, portandosi sul 5-3.
Come in un sogno ovattato, forse, è adesso che realizzano quello che sta per succedere, ma è forse anche questo il momento in cui realizzano che stanno per diventare degli eroi, delle icone del calcio e della patria. A pochi minuti dalla fine, Klimenko, dopo aver saltato tutta la difesa e il portiere tedesco, si ferma sulla linea di porta, si gira e calcia di forza il pallone verso la propria metà campo. Eccoci, venite a prenderci. I più forti siamo noi, vi battiamo quando volete. La morte, poi, cosa volete che sia?
Troppa l’umiliazione per i tedeschi, frettoloso triplice fischio finale. Lo Start ha vinto, il destino dei suoi giocatori è ormai segnato. Per i tedeschi, diventeranno carne da macello, per il popolo ucraino, che in quel momento stava assistendo, seppur in minima parte, allo spettacolo, eroi. Irrimediabilmente, incredibilmente, indissolubilmente eroi.
A poco a poco i giocatori dello Start moriranno tutti, vittime delle rappresaglie naziste. Si dice che Mykola Korotikh, uno dei più forti di quella squadra, venne preso praticamente in campo e ucciso pochi giorni dopo. Alcuni soldati tedeschi si recarono nei giorni successivi al forno dove lavoravano i giocatori ucraini, ne presero alcuni e li giustiziarono sul posto. Gli altri, a poco a poco, fecero la stessa fine. Era oramai inevitabile.
Non sappiamo per certo come andarono i fatti. Quella che vi abbiamo raccontato è la storia dei sopravvissuti a quella partita (solo tre: Fedor Tjutcev, Mikhail Sviridovskij e Makar Goncharenko, che riuscirono a scappare e si unirono poi all’Armata Rossa durante la liberazione di Kiev), probabilmente negli anni la leggenda è stata circondata da un alone di mistero che ne ha ingigantito i contorni. La partita della morte ha ispirato molti libri e film, tra cui il celeberrimo Fuga per la Vittoria, con Sylvester Stallone protagonista e la partecipazione di Pelè. Ecco, qui il lieto fine non c’è.
Quello che è certo però è che il calcio non è mai solo un gioco, e che, quando diventa qualcosa di maledettamente serio, non c’è morte che tenga. Per dimostrare di essere i più forti, per dimostrare di essere liberi, siamo disposti anche a morire. E a diventare eroi.
[na srpskohrvatskom: Bjekstvo iz koncentracionog logora “Casermette” – 75. godišnjica, 22.9.2018.god.
https://www.cnj.it/home/sr-yu/37-vrijednosti/8901-colfiorito2018sh.html ]
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Per i testi precedenti si vedano:
Per altri testi di e su Mira Marković si veda alla nostra pagina https://www.cnj.it/MILOS/miramarkovic.htm
A cura di I. Slavo)
ИЗМЕЂУ ИМИТАЦИЈЕ И РЕТРАДИЦИЈАЛИЗАЦИЈЕ (27.jун 2018)
КАД ЈЕ ОПОЗИЦИЈА УСКОГРУДА (6.jун 2018)
Nell’edizione del 1 maggio 2018 “Večernje Novosti“ ha pubblicatato un'intervista con Mira Marković il cui testo pubblichiamo integralmente
D: Chi, oppure che cosa l’ha delusa di più dopo il colpo di stato del 5 ottobre 2000?
R: Da diciassette anni e mezzo che i giornalisti, tra le altre, mi fanno questa domanda. Ed io sempre rispondo: nessuno. Ecco i motivi per la risposta, nessuno. Alla fine degli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta sono stata qualche volta in compagnia di un uomo che rispettava molto la politica di quel periodo sia serba che jugoslava, e quella politica, tra l’altro, esprimeva la paura dal nazionalismo serbo che pur nascosto era vitale, minacciava di mettere a rischio tutte le altre nazionalità ed etnie in Jugoslavia. Quest' uomo che rispettava tale politica ed i suoi rappresentanti più importanti in Serbia, esprimeva la propria posizione pubblicamente, spesso anche emotivamente. Ed ammirava i protagonisti di tale politica in ogni occasione, particolarmente in occasioni in cui loro erano presenti. Questa ammirazione sovradosata qualche volta imbarazzava pure loro.
Poi c’è stata l’Ottava seduta. Allora è successo il trionfo di una politica diversa, almeno per quanto riguardava la Serbia. Il nazionalismo serbo non è dominante nel popolo serbo e, dove esiste, non rappresentava un pericolo per la Jugoslavia, maggiore degli altri nazionalismi.
Alcuni giorni dopo l’Ottava seduta, è riapparso quest’uomo, stavolta come grande avversario delle politiche precedenti ad ammiratore di quelle nuove.
In quel periodo lui mi incontra e mi spiega che Milošević ha riportato al popolo serbo la fiducia nella vita, che è il personaggio storico più grande del popolo serbo, dopo Karađorđe e come io non so, a quale grande uomo vivo accanto...
E ci in invita a cena perchè sarà un onore per lui e per la sua famiglia.
“Fammi questo favore“. “Va bene “ dico io. “Quando?“, mi chiede.
“Il secondo o il terzo giorno dopo la fine del mandato di Slobodan.“
“Non scherzare“ dico. “Sono serio,“ dice lui. “Anch’io“, dico io.
Me ne sono ricordata nei giorni dopo il colpo di stato. Lui non c’era per invitarci a cena.
Non aveva tempo. Adesso aiuta associazioni per i diritti umani, democrazia e adesione all’Ue.
Sapevo che era pronto per la prossima tappa, qualunque fosse stata.
Ecco, per questo nessuno mi ha deluso. Non essere solidi moralmente, fa parte integrante dell’ essere umano. Il loro volume e modalità di espressione, sono diversi in funzione dei periodi e ambienti. Ma sono inevitabili.
È piuttosto diffusa tendenza verso l’ateismo morale, con passar del tempo ne avverà una riduzione ma non inevitabilmente e automaticamente.
Una delle imprese di emancipazione più importanti sarà l’elevamento delle norme etiche.
Per quanto riguarda delusione negli eventi, non la potevo evitare.
Mi è successo una volta sola. Nel 1990 quando due milioni degli iscritti del Partito comunista jugoslavo sono fuggiti precipitosamente in altri partiti, in cui la maggioranza aveva posizioni diverse dal partito in cui avevano passato la vita intera o almeno la maggior parte della vita.
Se la risposta è ampia, non la modifichi. Elimini sia domanda che risposta.
D: I monumenti dedicati agli statisti e personaggli importanti, non devono dividere ma unire. Slobodan rappresentava l’unità del popolo serbo nonostante che esistano quelli che la pensano diversamente.
R: I valori generazionali, i valori delle epoche si esprimono nei monumenti che li rappresentano.
Alcuni di questi valori rimangono a lungo, altri per sempre. Cosi anche i monumenti. Ciò si riferisce innanzitutto ai monumenti dedicati agli artisti, scenziati, comandanti dell’esercito, il cui contributo nelle battaglie storiche è rimasto significativo nonostante il tempo passato. Particolarmente quando si tratta del passato lontano.
Però quando si tratta dei personaggi della vita politica, i monumenti qualche volta durano fino a quando dura la politica che essi rappresentano.
Nella seconda metà del secolo scorso abbiamo visto costruire e distruggere monumenti a distanza di qualche decennio. Spesso lo hanno fatto le stesse persone.
D: Una volta ha dichiarato che "vive tra i sogni e la pallida luce della luna". A proposito, è da molto tempo a Mosca, la Russia è diventata la sua seconda patria?
R: La mia unica patria è Jugoslavia. Li sono nata, li ho vissuto, da lì me ne sono andata. Essa non esiste più. Qualche volta mi sembra che in esilio con me sia andata pure essa.
D: L'Ue è l'unica alternativa per la Serbia, come affermano alcuni?
R: L'unione dei popoli d'Europa è un'idea meravigliosa, una possibile possibilità.
Ma per esserlo bisogna che tutti nell'Unione abbiano uguali diritti e che ci sia prosperità per tutti.
Per ora tale unione non mi pare possibile. Prima di tutto c'è gerarchie tra gli stati e di conseguenza tra i popoli.
Perciò le decisioni che riguardano tutti gli stati membri, non vengono portate in un modo comune ed eguale. Per ora, esse vengono portate dai tre stati economicamente più potenti, il potere del mercato europeo.
Adesione della Serbia all'Ue ha vantaggi e svantaggi. Essi sono il motivo delle posizioni contraddittorie dei serbi riguardo all'Unione.
Da quasi diciotto anni l’adesione all'Ue rappresenta la piattaforma politica dominante del paese ed èappoggiata da un grosso numero di cittadini. Abbandonarla sarebbe una delusione per loro, perchècredono che l'Ue porti pace, stabilità e prosperità. È vero che i membri sono protetti dalla guerra, garantisce certa stabilità, c'è anche la possibilita, non spettacolare, di possibile prosperità.
Gli avversari temono che l’adesione potrebbe limitare la sovranitàorizzontale e l’indipendenza.
Queste due posizioni antagoniste provocano tensioni non solo nella vita politica ma anche al livello nazionale.
Qualunque fosse la decisione una parte del popolo non sarà contenta.
I punti deboli dell'Ue provocano queste posizioni contraddittorie, anche dentro stati membri.
I dilemmi dei paesi membri e dei membri potenziali, dureranno fino a quando l'Unione non si trasforma in una Unione, la cui qualitàprogressiva, farà sparire i privilegi di alcuni stati membri e verranno riesaminate la legittimità delle loro scelte.
In questo secolo si vedràse la trasformazione dell'Ue avverrà gradualmente, continuativamente, lentamente oppure a causa dei conflitti accumulati, non risolti o possibili nuovi, ci saràuna pausa per poter creare una vera unione dei popoli europei con uguali diriti.
D: Nel 1997, quando ha promosso la mostra dei pittori cinesi a Požarevac, ha sottolineato che “nasce una nuova e potente Cina, capace di creare un equilibrio positivo tra il passato ed il presente”. Allora molti “democratici” erano stupiti e sorrisero con aria ironica.
R: Per quanto riguarda la mia dichiarazione che la Cina crea equilibrio positivo tra il passato ed il presente, questo èilrisultato di discorsi e incontri, che negli anni novanta ho avuto in due Accademie delle scienze, in Università, all' Istituto delle scienze sociali del Partito Comunista cinese, con molti politici, scienziati, personaggi politici, artisti...
Questo equilibrio fa parte della loro piattaforma per la riforma della società cinese, entro cento anni.
Giàallora e specialmente adesso, si è dimostrato che questo equilibrio, come pure la riforma, hanno portato ai risultati positivi nella qualitàdella vita in Cina e nello status della Cina a livello internazionale.
Tale riforma e tutto quello che succede in Cina èrisultato di studi multiscientifici e di pianificazione.
Presso l'Accademia dele scienze a Shanghai, ho parlato due volte con il presidente e i capi di relativi settori e loro mi hanno presentato quali sforzi si stavano facendo su tutti i livelli scientifici, per trasformare Shanghai in una città modello per gli impieghi più vasti, nel caso si verificasse come un progetto di successo. E cosi èsuccesso.
Pensavo allora, se per secoli si credeva che la Cina fosse protetta e custodita dal muro cinese, adesso si sa che la Cina viene protetta e custodita dalla scienza.
E per quanto riguarda lo stupore di cui parla lei, negli anni novanta a Belgrado, non solo “democratici” ma anche molti altri mi prendevano in giro, per i miei contatti scientifici, pubblicistici e politici con la Cina. Come del resto per simili contatti con la Russia.
Allora Cina e Russia erano per la maggior parte della nostra opinione pubblica, indirizzi triviali nel senso scientifico, pubblicistico e politico. Con estremo disprezzo nella stampa di opposizione, scrivevano dei miei libri pubblicati in questi paesi e delle lezioni che tenevo nelle loro università.
Oggi questi indirizzi sono di prestigio, per tutti coloro che a suo tempo li avevano presi in giro.
Quando Russia e Cina si sono trovate in cima del palcoscenico mondiale, quando il destino del mondo in gran parte dipende dalle loro decisioni, si sono girati verso Oriente gli uomini d'affari, gli artisti, gli animatori, gli sportivi ...
Ogni collaborazione con questa parte del mondo (come con altre parti del mondo) è giustificata se èreale e utile. E deve avere l'appoggio dello stato.
Però, lo stato dovrebbe proteggere le sue nuove politiche economiche e culturali in questa parte del mondo, perchènon siano compromesse da quegli avvoltoi che non hannoavuto occasioni nei loro paesi e provano ad accumulare ricchezza in altro posto.
D: Qual èil futuro del Kosovo e se la Serbia sia in grado di difendere questa parte del suo territorio?
R: Dopo colpo di stato del 5 ottobre, il governo dello stato federale, con Kostunica a capo ed in Serbia con Đindzic come presidente, ha dato la possibilità alla minoranza albanese del Kosovo di creare un suo stato nel territorio del paese serbo.
Questo era la concezione di quella parte del mondo che si èautonominata comunità internazionale. Questa parte del mondo ed alcune altre parti del mondo, nel 2008 hanno riconosciuto lo stato kosovaro. Quindi questo stato sarà difeso da quelli che l'hanno riconosciuto. Il destino di questo stato dipende dal rapporto tra i poteri.
Quanto i suoi potrettori saranno disponibili a sorvegliare e quanto gli avversari saranno disponibili a compromettere le sue competenze. Se i serbi e gli albanesi, senza gli arbitri neocolonialisti fossero stati da soli a decidere sulle proprie vite, oggi sarebbero ancora insieme.
Come sarebbero insieme anche gli ex jugoslavi. La creazione dello stato kosovaro e lo sfascio della Jugoslavia, sono il risultato della politica neocoloniale, del potere imperialista che, sfasciando gli stati e provocando conflitti, preparano il terreno per poterli sottoporre al proprio controllo.
Sugli scontri interetnici veniva costruito il potere del colonialismo.
D: Nei Balcani e in Serbia ci sono state tempeste che sono ancora presenti. Lei ha collocato questo spazio “tra l'Est e Sud”.
R: Dal punto di vista di qualcuno che non vive nei Balcani, si tratta di una penisola pittoresca. Pittoresca geograficamente e storicamente. Ma non troppo raccomandabile per un soggiorno più lungo, particolarmente per un soggiorno a tempo indeterminato.
Ci si scontra con clima, interessi e caratteri. Quelli che vivono lì assomigliano al sud, ricordano guardando ad est, ammirano l'occidente, sognano il nord.
Come gente così, può organizzare la propria vita insieme, in un paese comune, in una comunità di popoli dei Balcani (con sede, per esempio, in uno degli altipiani di montagna Balcan).
Nonostante clima, interessi e caratteri diversi, la Jugoslavia ha dimostrato che è possibile. Non èvero che Jugoslavia ha dimostrato che non è possbile.
Che è possibile lo vuole oggi dimostrare l'Ue. Se in Ue possono convivere felicemente discendenti di Amleto e del greco Zorbas perchè nei Balcani non possono convivere, forse piùfelici, discendenti di Matija Gubec, Georgi Dimitrov e Starina Novak.
La Jugoslavia è stata precursore di un Europa futura. L'Ue non ha guardato la Jugoslavia con simpatia, voleva essere lei stessa, precursore dell'unione dei popoli d'Europa e non la Jugoslavia. Ma la Jugoslavia lo era comunque. Perciò ha pagato un prezzo alto. Hanno fatto sventolare una bandiera della storia che volevano altri, più forti di lei.
Perciò questa bandiera non la darà nemmeno ai popoli dei Balcani. Nonostante il fatto che essa appartiene a loro dal punto di vista razionale e etico.
Per ora è così.Non so come saràdopo.
D: Il rapporto di Dick Marty ha messo in luce tutti i crimini dell'Uck in Kosmet, dall'estrazione e traffico di organi serbi, fino ai rapimenti, a terribili torture e crudeli esecuzioni dei serbi. Come interpreta che l'occidente tace e che fino ad oggi nessuno è stato processato per questi crimini terribili?
R: Questo “stato” Kosovo, è stato costruito in una notte e fuori dal Kosovo. Se fosse stato costruito di giorno e se fosse stato costruito dai migliori rappresentanti del popolo albanese, le sue fondamenta non sarebbero basate sulla violenza. Cioè,forse non ne avrebbero bisogno.
Se gli interessi dei kosovari albanesi fossero rappresentati dalla gente migliore, istruita ed emancipata, forse per realizzare questi interessi non avrebbero avuto bisogno di un altro stato albanese, ma tali interessi li avrebbero trovati nella convivenza con la gente con cui avevano vissuto in precedenza. Nello stato comune.
Siccome tale “stato” l'hanno fatto fuori dal Kosovo i non albanesi, hanno manipolato a tale scopo gli albanesi kosovari. I migliori non c'erano a loro disposizione.
Sono costretti a stare zitti sugli affari “statali” dei loro collaboratori.
Forse i creatori di questo stato fuori del Kosovo, sperano che l’attuale gruppo di “statisti”, quando scade la loro durata, sarà sostituito di altri migliori, rivolti all'economia e cultura, non al traffico di organi e contrabbando.
D: Dopo tutto ciò che è successo in decenni precedenti, non è basso il numero di quelli che hanno rovesciato Slobodan, e oggi ribadiscono che sono stati manipolati e ingannati, e che volentieri andrebbero a Požarevac, alla sua tomba, per chiedergli scusa.
R: Che vadano. Che chiedano perdono. Dovrebbero però chiedere scusa anche a tutta quella gente che appoggiava Slobodan Milošević e la quale, a causa di questo appoggio, era minacciata, presa in giro, definita nazionalisti, banda rossa, bolsevichi, antieuropei, anticristo, cetnici...
Non potevano essere tutto questo contemporaneamente, perchè non erano niente di questo.
Erano come Slobodan Milošević per la pace, per un paese libero e indipendente, per uguali diritti tra le persone e i popoli.
D: Quali sono le conquiste più importanti che il presidente Milošević ha lasciato in eredità, per cosa verrà ricordato?
R: Vedo ogni tanto che le sue conquiste e il suo ruolo in sedici anni di presenza nella vita politica e sociale in Serbia, viene semplificata, perfino da quelli che hanno le intenzioni migliori. Tutti parlano dell'Accordo di Dayton e Risouzione 1244 come delle sue conquiste più importanti.
L'essenza della sua politica era la lotta contro il conservatismo e il colonialismo.
Per quanto riguarda il conservatismo Slobodan Milošević èstatoportatore dell'idea di una riforma economica, politica e sociale alla fine degli anni ottanta che, se fosse stata realizzata avrebbe trasformato la societàverso un livello più alto di sviluppo. Con tale riforma potevano essere risolti molti difetti del capitalismo neoliberista e del socialismo reale. Questa trasformazione iniziata nel 1987, l'hanno fermata la fine di guerra fredda e l’espansione del neocolonialismo in Europa e nel mondo.
Per quanto riguarda il colonialismo, nel nostro paese Slobodan era creatore e portatore della resistenza alla nuova egemonia. Ha mantenuto e difeso l’indipendenza del paese, il cui presidente era ed èriuscito, a fare sì che il paese sottoposto alle sanzioni, fosse comunque in condizioni di vita migliori dei paesi vicini, che non erano sotto sanzioni, ma erano appoggiati da quelli che a noi li avevano imposti.
Slobodan Milošević, a capo di un popolo piccolo, era non solo un simbolo di resistenza al nuovo colonialismo, ma anche la personificazione della resistenza. Era tutto questo come leader del popolo serbo, come capo dello stato ed anche lo è stato al tribunale dell'Aia.
Per precisare le sue conquiste:
1. Ha liberato il popolo serbo dal senso di colpa per il comportamento della borghesia serba nella seconda guerra mondiale (simile al comportamento della borghesia croata nello stesso periodo).
2. Ha proposto una riforma sociale radicale, basata sui principi di efficienza economica e uguaglianza sociale nella metàdegli anni ottanta.
3. Ha equiparato la Serbia con le altre Repubbliche jugoslave, modificando la Costituzione della Serbia nel 1989, ha limitato l’autonomia di Kosovo e Vojvodina, perchè c'era il pericolo che si trasformassero in repubbliche.
4. Nella Costituzione della Serbia nel 1990, sono state equiparate tutte le forme di proprietà, è stato introdotto il sistema pluripartitico, èstato rinforzato il ruolo del mercato e il presidente della Serbia èstato eletto con le elezioni
5. Nella Costituzione del Partito socialista serbo nel 1990, ha sancito e ha fatto approvare l’unità degli interessi nazionali e sociali, nel partito di sinistra più grande dei Balcani
6. Ha conservato l’indipendenza della Serbia, ha impedito una guerra civile nella comunità multietnica nonostante gli sforzi dall'esterno di accendere il fuoco.
7. La qualità della vita in Serbia era a un livello piùalto dei paesi limitrofi, che non erano sotto sanzioni e che non avevano le difficoltà in cui si era trovata Serbia nell’ultimo decennio del secolo scorso.
8. Era stato accolto e sistemato più di un milione di profughi, durante le guerre in Croazia e Bosnia Erzegovina, tra i quali non vi erano solo serbi ma anche altre etnie.
9. Ha aiutato materialmente e moralmente il popolo serbo, nelle guerre fuori dalla madre patria per un decennio.
10. Ha fatto sforzi decisivi per mantenere la SFRJ e nella costituzione della SRJ (Serbia e Montenegro) del 1992, come un unico paese in cui possa vivere più di un popolo slavo .
11. Ha ottenuto l’Accordo di Dayton, con il quale si è posto fine alla guerra in Bosnia Erzegovina e si è costituita la Republika Srpska nel 1995.
12.Il contributo personale più grosso alla politica con lo slogan: “I Balcani ai popoli dei Balcani“, all’incontro dei capi di stati balcanici in Creta nel 1997. Questa politica fu fermata dalle violenze in Kosovo e dai bombardamenti della Serbia, come misure imperialiste per fermare la realizzazione di tale politica.
13. L’accordo di Kumanovo, con il quale fu evitata l’occupazione della Serbia da parte della NATO e arrivarono le forze della Kfor in Kosovo, con mandato di un anno nel 1999. Con questo accordo era stato ribadito il Kosovo come parte della Serbia.
14. Risanamento veloce e autonoma ricostruzione del paese dopo i bombardamenti 1999/2000.
15. Gli sforzi per unire la sinistra in Serbia e Serbia/Montenegro.
16. La sua dignità anome del suo popolo al Tribunale dell’Aia.
17. Cinque anni di battaglia per la verità e giustizia per la Serbia e il popolo serbo al Tribunale dell’Aia.
19. Ragionamenti e comportamento da statista.
D: Malintenzionati ribadiscono che Milošević non abbia capito cosa aveva significato il crollo del muro di Berlino e l’unificazione della Germania.
R: Perchè allora questi con così buona vista, buon udito e adeguato cervello non hanno detto in tempo debito cosa succedeva, a lui così cieco, sordo e stupido.
Avevano le occasioni per dirgli quello che vedevano e che lui non vedeva. L’opposizione aveva sotto controllo il novanta percento dei mass media negli anni novanta. E per quanto riguarda gli altri, i saggi osservatori, stavano seduti nei loro uffici o a casa propria.
Sarà invece che questi pensatori, si sono ricordati nel 2017, di accusarlo di qualche altro peccato per diventare più simpatici ai suoi avversari potenti, mentre fanno politica nei ristoranti, uffici e case private. Che peccato, perchè negli anni novanta non avevano occasione di occuparsi di politica. Per quanto ricordo, negli anni novanta le mani di questi, gli servivano per applaudire e la lingua solo per ripetere le sue frasi, forse perchè non sapevano dire la verità, o le loro capacità linguistiche erano troppo scarse. Ma arrichite con il patriottismo da ristorante. Mi chiedevo allora: Dio mio, come mai non ha notato che è crollato il muro di Berlino...Per quanto riguarda il muro, Slobodan Milošević non l’ha solo visto, ma ha anche previsto cosa sarebbe successo dopo. Ciò si può leggere nel libro “Allegato alla storia del Novecento“ ed il libro con interviste “La battaglia di un leone“ che ho raccolto, redatto e pubblicato dieci anni fa, ma che non erano pervenute al pubblico. Non erano state a conoscenza del suo popolo, per la cui libertà aveva perduto la vita.
D: Oggi veniamo a sapere di tutte le manipolazioni relative all’Aia, la notizia più recente è che procuratore il Nais chiese ad Hashim Thaci 500 mila euro di un presunto debito. Come valuta lei, dopo tutto quanto accaduto, questo cosiddetto Tribunale Internazionale?
R: Recentemente ho detto in un’intervista“ “...un mezzo di violenza imperialista contro gli avversari del neocolonialismo...“. Ora aggiungo. Al tribunale dell’Aia i serbi sono condanati, ho fatto i conti, a circa mille anni di reclusione.
D: Come valuta la situazione politica attuale e in tale contesto l’elezione di Vladimir Putin?
R: Dopo la fine della guerra fredda, il mondo occidentale che ha vinto, ritiene che abbia la capacità di sottomettere tutto il mondo. L’egemonismo imperialista occidentale, ritiene che disponga delle risorse per colonizzare il pianeta. Hanno riacceso guerre passate e provocato nuove guerre locali per inginnocchiare piccoli popoli e paesi non sviluppati, con la speranza di inginnocchiare anche quelli più grandi, Tutti.
L’ostacolo agli imperialisti sono paesi grandi come la Russia e Cina, che nel frattempo sono diventati economicamente, politicamente e militarmente potenti, ma anche capaci ad opporsi.
Questa resistenza è presente anche in alcuni paesi del Sudamerica. La loro resistenza non è unita, ma ci sono le condizioni per diventare un fattore forte nella lotta contro il colonialismo.
Adesso li sta crescendo una bella, generosa e potente pianta, che non potrà essere distrutta dagli avvoltoi. Per quanto riguarda la vittoria del presidente Putin, essa dimostra l’appoggio di massa alla sua politica dignitosa. Nonostante che il suo paese sia più il grande del mondo, con una grande forza militare, uno dei soggetti con più influsso al livello mondiale, la sua politica non è imperialista. Anzi. Questa politica è contro imperialismo e colonialismo.
D: Dagli USA avvertono che la Serbia non può più sedersi su due sedie e che deve prendere una decisione.
R: Un paese piccolo deve avere buoni rapporti con tutti, particolarmente quelli che contribuiscono alla prosperità economica, sociale e culturale. Deve anche proteggere il proprio popolo da quelli che possono compromettere gli interessi nazionali. E deve appoggiare quella parte del mondo la cui politica contribuisce all’emancipazione, all’uguaglianza e alla libertà.
ИЗМЕЂУ ИМИТАЦИЈЕ И РЕТРАДИЦИЈАЛИЗАЦИЈЕ
Пише: МИРА МАРКОВИЋ
Мање–више још се нису снашле и зато и саме за себе кажу да су у транзиционом друштву.
Још увек, дакле, немају за циљ одређени друштвено-економски концепт. Имају краткорочне економске, политичке и културне намере, везане за интегративне процесе у Европи и решавање ургентних економских и социјалних проблема који су већ пуних двадесет и осам година непрекидно велики.
Све су опредељене за тржишну економију и вишестраначки систем. И у свима се и даље налазе трагови претходног социјалистичког система и у економском и у политичком животу.
Комбинација остатака социјалистичке прошлости и нове капиталистичке садашњости не доноси баш брзе позитивне резултате у вођењу економске и социјалне политике.
Естаблишмент, без обзира да ли га чине тобожњи левичари или фактички десничари, гаји подједнаку наду да је политика коју води добар (оправдан) избор и да су резултати бољи него што их широке народне масе као позитивне доживљавају.
Овај заједнички оптимистички однос свих власти у овим земљама од 1989. године до данас произилази из чињенице да су све власти (осим једно време у Србији) водиле исту политику.
Одсуство јасне идентификације друштвеног система у целини највише, разуме се, погађа сферу економског и социјалног живота, али је у истој мери присутно и у сфери културе.
Те слабости у овој сфери нису од пресудног значаја за живот, не одражавају се на стандард, социјалну безбедност, запосленост, и тако даље, али нису ни сасвим секундарне природе, нарочито са аспекта будућности.
Национална свест која се формира на текућим културним вредностима биће један од примарних фактора који ће креирати будућност.
Будућност ће изгледати онако како садашње генерације буду процениле да треба да изгледа.
А свест садашњих генерација у земљама транзиције формира се на комбинацији имитације западних културних вредности и ретрадицијализације сопствених.
Западне културне вредности су присутне у музици, пубицистици, естради, моди, медијима, забави. Будући да нису аутентичне манифестују се као имитација.
Музика, и музичка сцена у целини, је копија западне, пре свега америчке музике и сцене. Као и естрада уопште – по садржају и по дизајну.
Мода, у свим својим манифестацијама – одећи, понашању, ентеријеру .... постоји само на принципу који дефинише западна модна култура.
Та имитативна слика је вероватно најиритантније присутна у медијима. Ако се имитативност у моди није могла да избегне, у медијима није била неизбежна. Напротив. С обзиром на културну и политичку биографију ових народа и њихових земаља, медијска аутентичност је била не само могућа већ и оправдана.
Нешто спорије и са аспекта националне нарави мање иритантно, овај имитативни процес захватио је и оно што се у слободној социолошкој лингвистици зове начин живота. Велики тржни центри, шопинг молови, америчког порекла, постају доминантне адресе свих већих урбаних локација на транзиционом терену. Њихови грађани постају житељи километарских самопослуга у које одлазе редовно породично и индивидуално, дневно и седмично, са посвећеношћу са којом су некада одлазили у цркву.
Без обзира на квалитет националне кухиње, све већи број становника, нарочито млађе популације, у урбаним срединама даје предност такозваној брзој храни која је легитимни део америчког националног идентитета.
Хотели, велики ресторани, мале кафане .... све више стичу предност у односу на традиционалне националне угоститељске стандарде.
Неформално, мада не увек само неформално већ све чешће и формално, образложење за овај процес имитације који је у сфери културе захватио земље транзиције, образлаже се као оправдана потреба за припадношћу свету, као савременост, као цивилизовање постојеће стварности.
Тај „свет“ је лоциран на англосаксонској територији и степен његовог економског, политичког и културног развоја дефинише стандарде савременог и цивилизованог, којима треба да тежи свако ко жели да то буде, односно ко жели да припада свету.
То је образац за који су се определила сва транзициона друштва.
Примену тог обрасца отежавају са њим несагласни субјекти у лицу појединаца, институција и организација, који желе да сачувају националну аутентичност као део националне и државне самосталности.
Њихови напори су неконципирани, неорганизовани и неповезани. Манифестују се као активирање старих обичаја, форсирање фолклора у најширем смислу, понекад готово паганских навика, средњевековних религијских ритуала, као наметљиво реактивирање манастирске књижевности. И тако даље.
Та ретрадицијализација није одговор имитативности. Напротив. Делује гротескно, тужно, за образоване младе људе поготово одбојно.
Ако треба да бирају између ретрадицијализације и имитације изабраће ово друго. Ако треба да бирају између опанака и обуће Бруно Маљи, неће изабрати опанке.
Заштита од прекопирања, имитирања туђих култура није у аутистичном ситуирању у простор националног.
Национални идентитет и интегритет не штити изолација (од других нација) већ еманципаторски напори да се на националним искуствима и интересима и повезивању са највишим цивилизацијским достигнућима доба креира виши квалитет националног живота.
Зато није решење у игнорисању или негирању других, света изван свог.
У процесу универализације савременог света нужно се повезују сви његови делови, економске, политичке и културне везе су неизбежне, већ у овој епохи је јасно да ће свет све више живети планетарно. Али да би тај живот био у интересу свих не би смео да се одвија по једном обрасцу, поготово не по обрасцу који би из једног његовог дела био наметнут свим другим деловима.
Ти заједнички, глобано испољени економоски, политички и културни процеси не искључују аутентичност, специфичност и аутономност делова – целина има смисла само ако не угрожава интересе делова, који су се за њу егзистенцијално, цивилизацијски определили.