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Domenico Losurdo e la Sinistra assente

1) Carlo Freccero: La resistenza di Losurdo al Pensiero Unico
2) Intervista a Domenico Losurdo (2012)
3) La ricca opera di Losurdo continuerà a illuminare la lotta per il socialismo (PCdoB / Fondazione Mauricio Grabois)
4) Liberalizam, ideologija “rase gospodara” (Lucien Sève / Lemondediplomatique.hr, 28. lipnja 2018. Recensione al libro di Losurdo "Controstoria del liberalismo")


Si veda anche: 
In memoria di Domenico Losurdo


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Carlo Freccero: La resistenza di Losurdo al Pensiero Unico

di Carlo Freccero per l'AntiDiplomatico

02/07/2018

Nel 2014 fui contattato dal Prof. Domenico Losurdo. Aveva letto alcuni miei interventi sulla Sinistra e li riteneva compatibili col suo pensiero. Mi chiedeva di presentare il suo ultimo libro in uscita: La Sinistra assente. Mi capita spesso di presentare, su richiesta, testi in uscita ed il mio contributo dovrebbe riguardare soprattutto la comunicazione. Ma proprio a livello di comunicazione La Sinistra assente ha modificato per sempre il mio modo di pensare. Nella mia ingenuità, non potevo pensare ad una manipolazione delle notizie che andasse al di là delle più diffuse tecniche di persuasione e di presentazione per arrivare alla contraffazione vera e propria.  Parafrasando Kant su Hume posso dire che Losurdo mi fece uscire dal sonno dogmatico per cui le notizie ritenute universalmente vere, sono vere sostanzialmente perché, al di là di un’interpretazione più o meno ideologica, conservano comunque un legame con la realtà. Con La Sinistra assente ho imparato che non esiste una separazione netta tra realtà e fiction. Il Prof mi aveva scelto come interprete de La società dello spettacolo, ma dimostrò anche a me, prove alla mano, che oggi l’informazione è solo spettacolo. Gli sono riconoscente. Da allora per me, niente è mai stato più come prima e sono finito ad ingrossare le fila, mio malgrado, di quei cospirazionisti ingenui che prima criticavo e che però - analizzati i fatti - dicono la verità. Questi che vi propongo sono i miei appunti di allora per la presentazione del libro.
 
 
 La forza del libro La sinistra assente di Losurdo è di essere un libro di filosofia che però si appoggia ed argomenta a partire da precisi dati storici. Il fatto, il documento, rappresentano un potente antidoto per due caratteristiche di quello che Losurdo tenta di definire in altri termini, ma che per me risponde perfettamente alla definizione di Ignacio Ramonet di “pensiero unico”.
  1. Il pensiero unico è il pensiero della postmodernità. E il postmoderno ha cancellato la storia a favore di “un eterno presente”. Non a caso Lukács, di cui Losurdo è studioso e cultore, in ben altre epoche (1967 Storia e coscienza di classe), invocava come meccanismo per il recupero della coscienza di classe, l’analisi del presente come storia. La storia del perché siamo arrivati sin qui, in un presente in cui siamo immersi e che ci appare naturale e quindi non criticabile, è l’unico vero antidoto per ricondurre il naturale ad una dimensione storica. Noi abbiamo costruito il presente, noi possiamo cambiarlo. 
  2.  Il secondo campo in cui il richiamo ad una dimensione storica funziona come potente antidoto, è il piano della comunicazione, che, ancora una volta si costruisce su un eterno presente. L’agenda dei media è una lavagna autocancellante in cui la notizia successiva spinge nell’oblio la notizia precedente: la vita di una notizia è così effimera da non richiedere neanche una smentita ufficiale (vedi Contro la comunicazione di Perniola). E veniamo all’argomento del libro: l’assenza della sinistra. Losurdo parte da una duplice constatazione:
a) stiamo vivendo una gravissima crisi economica;

b) sparsi per il mondo si moltiplicano i focolai di guerra e queste guerre disseminate sul territorio sembrano convergere in un disegno di guerra globale che ha per nemico designato la Cina, la Russia e gli altri paesi emergenti che si sono affrancati dalla servitù coloniale e della dominazione ideologica di quello che rappresenta oggi l’impero per eccellenza: gli Stati Uniti. 

In un contesto come questo sarebbe indispensabile una sinistra, intesa come opposizione, pensiero critico alternativo. Invece noi continuiamo a curare la crisi economica ricorrendo agli strumenti economici che l’hanno prodotta. E apriamo nuovi fronti di guerra facendo ricorso a quel meccanismo di indignazione  che ha prodotto tutte le guerre precedenti e prima ancora, le guerre coloniali. Prima di leggere il libro credevo che la definizione “La sinistra assente“ si riferisse all'attuale sparizione dei partiti di sinistra, in molti stati europei, a partire dall’Italia. No, c’è di peggio. E’ qualcosa su cui non avevo riflettuto abbastanza, perché emerge con chiarezza proprio dall’aver messo insieme dati e posizioni lontani e dispersi.

Quando la Sinistra interviene, ad esempio nel contesto delle varie guerre postcoloniali seguite al nuovo ordine, instaurato con la caduta del muro di Berlino, lo fa non in chiave critica o alternativa, ma per rafforzare al contrario, con il suo intervento, la logica del pensiero unico. E non si tratta di una sinistra moderata o collusa. Si tratta dei migliori rappresentanti della sinistra. Habermas ha sostenuto insieme ad Hardt, coautore con Negri di Impero, la guerra in Jugoslavia, Rossanda e Camusso l’intervento in Libia. Sloterdijk  e, in suo appoggio Žižek sono intervenuti contro lo stato sociale che si basa su imposte fiscali progressive , un “sistema dominante di coercizione fiscale“ che porta ad una “redistribuzione coatta” di quello che invece dovrebbe essere un dono, un’esigenza del dare, in breve, una forma di carità e non di dovere.

E si potrebbe continuare a lungo. Tutto ciò ci pone di fronte ad un’evidenza: la sinistra non dispone ormai di argomentazioni alternative al pensiero dominante. Il liberismo imperante rappresenta l’unico discorso possibile. E spesso l’essere di sinistra si risolve in un duplice discorso. Da un lato l’Occidente con i suoi valori di democrazia e diritti umani, dall’altro l’avversario, il nemico, che sempre viene descritto come un dittatore incapace di rispettare i diritti umani, assetato di sangue e capace di ogni nefandezza, come estrarre neonati dall’incubatrice per farli morire sul pavimento dell’ospedale ( nota Fake news su Saddam Hussein). I nemici dell’Occidente, e quindi dell’America, non solo vengono presentati all’opinione pubblica, con tratti satanici, ma dopo essere stati deposti, saranno eventualmente giudicati da un tribunale internazionale, per i loro crimini di guerra.

L’America non tollera il “terrorismo islamico“ e si ritiene in diritto di intervenire in ogni angolo del pianeta dove il mancato rispetto dei diritti umani si coniughi con benefici strategici sul piano militare o sul possesso delle fonti energetiche. Ad esempio è intervenuta in Afghanistan, dove i diritti delle donne erano calpestati dai talebani. Ma non è mai intervenuta a stigmatizzare il fondamentalismo degli Emirati Arabi, in cui veramente donne ed immigrati vivono in uno stato di asservimento e schiavitù. Esiste quindi un doppio binario anche per i diritti, secondo uno schema già sperimentato in epoca coloniale. Da un lato l’Occidente portatore di valori e diritti. Dall’altro gli Altri, specialmente se ricchi da materie prime, che l’Occidente deve rieducare alla luce dei suoi valori. La demonizzazione del nemico può scattare all’improvviso, dopo il passaggio da uno stato di collaborazione ed alleanza ad un conflitto di interessi. Pensiamo alla guerra in Libia, subita dall’Italia contro i propri interessi reali, al solo scopo di compiacere un fronte occidentale costituito da Francia ed Inghilterra, interessate a sostituirsi a noi allo sfruttamento delle risorse del paese. La figura di Gheddafi, da amico/alleato, magari un po’ eccentrico, si tramuta repentinamente in un dittatore sanguinario nemico del suo popolo.

Il copione è sempre lo stesso. Si demonizza il nemico, si sostiene un’eventuale resistenza locale, si soffia sul fuoco producendo disordini, si compiono atti estremi, come sparare sulla folla, accusando il dittatore di aggressione verso il suo popolo. É il copione messo in scena recentemente sia in Siria che in Ucraina, dove il ruolo dell’eroica resistenza al dittatore, era impersonato rispettivamente dall’Isis e dalle truppe neonaziste ucraine. Com' è stato possibile che la  sinistra non sia più in grado di produrre un pensiero critico e prendere le distanze dalle logiche del pensiero unico?

È quanto Losurdo cerca di spiegarci nel capitolo 3: Società dello spettacolo, terrorismo dell’indignazione e guerra. pag 77: “Per tutto un periodo storico, essenzialmente la modernità, i conflitti tra le grandi potenze capitalistiche, come tutte le lotte interne alla borghesia e alle classi dominanti, hanno fornito alle classi e ai popoli in condizione subalterna importanti elementi di illuminismo e progresso“. Il ricorso alla ragione permetteva alle sinistra una critica costruttiva interna al discorso dominante:
 
“Per tutto un periodo storico alle trombe delle classi dominanti, si sono in qualche modo contrapposte le campane delle classi subalterne”. 

Certo le due parti, classi dominanti e subalterne non combattevano ad armi pari, ma il pensiero critico era sufficiente a porre un argine alle argomentazioni più aberranti. Tutto questo finisce nell ‘89 con il superamento del comunismo ed il passaggio al pensiero unico. Ma non si tratta solo della fine di un mondo bipolare, in cui ad una visione del mondo si contrappone un’altra visione del mondo. Si tratta anche del passaggio da un’argomentazione di tipo razionale, ad un condizionamento puramente emotivo, irrazionale, basato su tecniche di manipolazione ispirate alla psicologia sociale di Gustave Le Bon o alla teoria del disgusto di Bismarck, come Losurdo ci insegna. Queste tecniche di persuasione occulta si formano e si elaborano nell’800 e sono alla base anche delle guerre coloniali. Ma, secondo me, conoscono una nuova vitalità quando con la postmodernità  il pensiero debole sostituisce il pensiero forte, e l'opinione prevale sulla ragione. Se niente è razionale, non è alla ragione, ma al sentimento che possiamo fare ricorso per condizionare il popolo. Ed è qui che per me, sparisce la figura della sinistra. La sinistra, secondo Bourdieu, si identifica col capitale culturale. Morta la cultura, morta la ragione, non vi può essere sinistra, cioè pensiero critico. Ed ecco che la Sinistra è vittima di quello stesso condizionamento che colpisce le masse. Come possiamo rendere accettabile una cosa inaccettabile come la guerra?

La nostra generazione ha vissuto l’esperienza del Vietnam, è stata pacifista, ha bruciato le cartoline di leva. La Sinistra di oggi chiede la guerra perché condizionata dal disgusto. È stato Bismarck il primo a porsi il problema di rendere accettabile la guerra. E la soluzione del caso è stata il disgusto. Demonizzando l’avversario si genera disgusto ed il disgusto ci porta infallibilmente al terrorismo dell’indignazione e alla richiesta della guerra per combattere il male. E qui si innesta anche il discorso dello spettacolo, della fiction che deve mettere in scena l’indicibile e l’intollerabile per creare nell’opinione pubblica la pulsione verso la guerra.  

L’armamentario è sempre il solito ed è stato fatto proprio da tutto l'Occidente. Per paradosso  i primi a subire l’applicazione pratica delle teorie del Bismarck sono stati i suoi stessi compatrioti. Nel corso del primo conflitto mondiale gli intellettuali inglesi attribuivano  ai tedeschi le seguenti atrocità: “avevano violentato donne e persino bambini, impalato e crocifisso uomini, mozzato lingue e seni, cavato occhi e bruciato interi villaggi“ (pag 74). Questo repertorio di nefandezze corrisponde oggi, alla lettera, nella propaganda corrente, all’operato dell’Isis, ma persino l’Isis ritorna un eroico movimento di resistenza quando si oppone ad analoghe nefandezze di Assad, e via discorrendo. E' un copione ormai logoro che però continua a funzionare. Il dramma è che funziona non tanto per l'assenza di una critica di sinistra, quanto per un impegno attivo della sinistra stessa che, prima vittima della propaganda, si fa parte attiva della sua attuazione su scala mondiale.


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Dall'intervista che chiude il libro "L'humanité commune : Dialectique hégélienne, critique du libéralisme et reconstruction du matérialisme historique chez Domenico Losurdo" (Delga, Paris 2012).

Grazie di tutto.

[Stefano G. Azzarà, 28 giugno 2018]

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Domanda. Come incide questa debolezza teorica sullo stato della sinistra attuale? LEuropa si confronta oggi con trasformazioni imponenti che stanno mutando il volto del mondo. Sono trasformazioni che riguardano i rapporti di forza internazionali sul piano politico e su quello economico, ma anche lequilibrio tra Stato e mercato, la natura della democrazia, le grandi migrazioni. La sinistra non sembra avere oggi né idee, né prospettive politiche.


Losurdo. Con la crisi prima e col crollo poi del «socialismo reale», in Occidente e in Italia in modo particolare la sinistra ha smarrito ogni reale autonomia. Sul piano storico ha sostanzialmente desunto dai vincitori il bilancio storico del Novecento. Due sono i punti centrali di tale bilancio: per larghissima parte della sua storia, la Russia sovietica è il paese dellorrore e persino della follia criminale. Per quanto riguarda la Cina, il prodigioso sviluppo economico che si verifica a partire dalla fine degli anni 70 non ha nulla a che fare col socialismo ma si spiega soltanto con la conversione del grande paese asiatico al capitalismo. A partire da questi due capisaldi ogni tentativo di costruire una società post-capitalistica è oggetto di totale liquidazione e persino di criminalizzazione, e lunica possibile salvezza risiede nella difesa o nel ristabilimento del capitalismo. E paradossale, ma sia pure con sfumature e giudizi di valore talvolta diversi, questo bilancio viene spesso sottoscritto dalla sinistra, compresa quella «radicale».
Ancora più grave è la subalternità di cui la sinistra dà prova sul piano più propriamente teorico. Nellanalizzare la grande crisi storica che si sviluppa nel Novecento, lideologia dominante evita accuratamente di parlare di capitalismo, socialismo, colonialismo, imperialismo, militarismo. Queste categorie sono considerate troppo volgari. I terribili conflitti e le tragedie del Novecento sono invece spiegate con lavvento delle «religioni politiche» (Voegelin), delle «ideologie» e degli «stili di pensiero totalitari» (Bracher), dell«assolutismo filosofico» ovvero del «totalitarismo epistemologico» (Kelsen), della pretesa di «visione totale» e di «sapere totale» che già in Marx produce il «fanatismo della certezza» (Jaspers), della «pretesa di validità totale» avanzata dalle ideologie novecentesche (Arendt). Se questa è lorigine della malattia novecentesca, il rimedio è a portata di mano: è sufficiente uniniezione di «pensiero debole», di «relativismo» e di «nichilismo» (penso al Vattimo degli anni Ottanta). In tal modo non solo la sinistra fornisce il suo bravo contributo alla cancellazione di capitoli fondamentali di storia: i massacri e i genocidi coloniali sono stati tranquillamente teorizzati e messi in pratica in un periodo di tempo in cui il liberalismo si coniugava spesso con lempirismo e il problematicismo; prima ancora dellavvento del pensiero forte novecentesco, la prima guerra mondiale ha imposto col terrore a tutta la popolazione maschile adulta la disponibilità e la prontezza ad uccidere e ad essere uccisi. Per di più, come medico per eccellenza della malattia novecentesca viene spesso celebrato Nietzsche, che pure si attribuisce il merito di essersi opposto «ad una falsità che dura da millenni» e che aggiunge: «Io per primo ho scoperto la verità, proprio perché per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutata» (Ecce homo, Perché io sono un destino, 1). Così enfatica è lidea di verità, che coloro i quali sono riluttanti ad accoglierla sono da considerare folli: sì, si tratta di farla finita con le «malattie mentali» e con il «manicomio di interi millenni» (LAnticristo, § 38). Daltro canto, il presunto campione del «pensiero debole» e del «relativismo» non esita a lanciare parole dordine ultimative: difesa della schiavitù quale fondamento ineludibile della civiltà; «annientamento di milioni di malriusciti»; «annientamento delle razze decadenti»! La piattaforma teorico-politica suggerita a suo tempo da Vattimo ma che Vattimo stesso pare oggi mettere in discussione - mi sembra insostenibile da ogni punto di vista.
Altre correnti del pensiero dominante indicano il rimedio alle tragedie del Novecento non già nel relativismo, ma, al contrario, nel recupero della saldezza delle norme morali, sacrificate da comunisti e nazisti sullaltare del machiavellismo e della Realpolitik (Aron e Bobbio) ovvero della filosofia della storia e della presunta necessità storica (Berlin e Arendt). Nella sinistra e nella stessa sinistra radicale (si pensi a «Empire» di Hardt e Negri) è divenuta un punto di riferimento soprattutto Arendt. Rimossa o sottoscritta è la liquidazione a cui lei procede di Marx e della rivoluzione francese con la connessa celebrazione della rivoluzione americana (e il conseguente indiretto omaggio al mito genealogico che trasfigura gli Usa quale «impero per la libertà», secondo la definizione cara a Jefferson, che pure era proprietario di schiavi). In questo caso ancora più assordante è il silenzio sulla tradizione colonialista e imperialista alle spalle delle tragedie del Novecento. Arendt condanna lidea di necessità storica nella rivoluzione francese, e soprattutto in Marx e nel movimento comunista; dimentica però che il movimento comunista si è formato nel corso della lotta contro la tesi del carattere ineluttabile e provvidenziale dellassoggettamento e talvolta dellannientamento delle «razze inferiori» ad opera dellOccidente, si è formato nel corso della lotta contro il «partito del destino», secondo le definizione cara a Hobson, il critico inglese dellimperialismo, letto e apprezzato da Lenin. Arendt contrappone negativamente la rivoluzione francese, sviluppatasi allinsegna dellidea di necessità storica, alla rivoluzione americana, che trionfa allinsegna dellidea di libertà. In realtà lidea di necessità storica agisce con modalità diverse in entrambe le rivoluzioni: se in Francia viene considerata ineludibile anche lemancipazione degli schiavi, che è in effetti è sancita dalla Convenzione giacobina, negli Usa il motivo del Manifest Destiny consacra la conquista dellOvest, inarrestabile nonostante la riluttanza e la resistenza dei pellerossa, già agli occhi di Franklin destinati dalla «Provvidenza» ad essere spazzati via.
Arendt muore nel 1975, non ancora settantenne. In questa morte precoce cè un elemento paradossale di fortuna sul piano filosofico. Solo successivamente intervengono gli sviluppi storici che falsificano totalmente la piattaforma teorica della filosofa scomparsa: a partire dalla presidenza Reagan sono proprio gli Stati Uniti a impugnare la bandiera della filosofia della storia contro lUrss e i paesi che si richiamano al comunismo, destinati a finire nella «spazzatura della storia» e comunque collocati ai giorni nostri lo proclamano Obama e Hillary Clinton «dalla parte sbagliata della storia». Più longevi ma meno fortunati sul piano filosofico sono i devoti di Arendt, che continuano a ripetere la vecchia filastrocca, senza accorgersi del radicale rovesciamento di posizioni che nel frattempo si è verificato sul piano mondiale.
Subalterna sul piano del bilancio storico così come delle categorie filosofiche, la sinistra (compresa quella radicale) è chiaramente incapace di procedere a un«analisi concreta della situazione concreta». Tanto più, se teniamo presente che alla catastrofe teorico-politica ha contribuito ulteriormente una mossa sciagurata, quella che contrappone negativamente il «marxismo orientale» al «marxismo occidentale». Alle spalle di questa mossa agisce una lunga e infausta tradizione. In Italia, subito dopo la rivoluzione dottobre, Filippo Turati, che continua a fare professione di marxismo, non riesce a vedere nei Soviet nullaltro che lespressione politica di un«orda» barbarica (estranea e ostile allOccidente). A partire dagli anni 70 del secolo scorso, la divaricazione tra marxisti orientali e marxisti occidentali ha visto contrapporsi da un lato marxisti che esercitano il potere e dallaltro marxisti che sono allopposizione e che si concentrano sempre più sulla «teoria critica», sulla «decostruzione», anzi sulla denuncia del potere e dei rapporti di potere in quanto tali, e che progressivamente nella loro lontananza dal potere e dalla lotta per il potere ritengono di individuare la condizione privilegiata per la riscoperta del marxismo «autentico». E una tendenza che ai giorni nostri raggiunge il suo apice nella tesi formulata da Holloway, in base alla quale il problema reale è di «cambiare il mondo senza prendere il potere»! A partire da tali presupposti, cosa si può capire di un partito come il Partito comunista cinese che, gestendo il potere in un paese-continente, lo libera dalla dipendenza economica (oltre che politica), dal sottosviluppo e dalla miseria di massa, chiude il lungo ciclo storico caratterizzato dallassoggettamento e annientamento delle civiltà extra-europee ad opera dell'Occidente colonialista e imperialista, dichiarando al tempo stesso che tutto ciò è solo la prima tappa di un lungo processo all'insegna della costruzione di una società post-capitalistica?



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La ricca opera di Losurdo continuerà a illuminare la lotta per il socialismo

03 Luglio 2018

da vermelho.org.br

Un particolare ringraziamento a Mauro Gemma

l'omaggio del PCdoB e della Fondazione Mauricio Grabois

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

Il PCdoB e la Fondazione Mauricio Grabois hanno rilasciato una nota in occasione della morte del filosofo italiano Domenico Losurdo, nella pienezza della sua produzione intellettuale. La nota sottolinea la lunga amicizia di Losurdo con il Partito Comunista del Brasile e le collaborazioni con Grabois attraverso seminari, interviste, saggi e edizioni nazionali dei suoi libri.

Le forze rivoluzionarie, progressiste, e in particolare il movimento comunista internazionale, hanno perso giovedì uno dei più rilevanti pensatori marxisti contemporanei. L'eminente filosofo marxista Domenico Losurdo è morto in Italia all'età di 77 anni. Egli ha tradotto bene il motto del suo maestro Karl Marx: "Più importante che interpretare il mondo è trasformarlo". Losurdo associava il lavoro intellettuale inarrestabile e fecondo con la sua militanza comunista e antimperialista.

Oltre a onorare la vita e l'eredità teorica e politica di Domenico Losurdo, il PCdoB porge le sue condoglianze alla sua famiglia, in particolare alla moglie Hute e al figlio Federico, ai suoi compagni e al popolo italiano.

Losurdo ha studiato a Tubinga (Germania) e Urbino (Italia). E' diventato presidente della Hegel-Marx International Society for Dialectical Thought e membro fondatore dell'associazione Marx XXI e della Gramsci International Society (IGS). Ha insegnato Filosofia della storia all'Università di Urbino. Autore prolifico, ha scritto dozzine di opere essenziali di filosofia, storia e scienze politiche, nelle quali ha affrontato temi e dibattiti importanti volti a rafforzare il movimento rivoluzionario e trasformatore. Molti di questi lavori sono stati pubblicati in Brasile.

Uno dei suoi grandi obiettivi era quello di demolire i miti creati dal liberalismo. Tra questi c'era il fatto che l'instaurazione della democrazia politica e dei diritti umani, senza distinzione di sesso, età o razza, sarebbe stata una conseguenza dello sviluppo pacifico e non conflittuale del liberalismo borghese. Losurdo dimostra la falsità di questa tesi. La schiavitù e il liberalismo hanno vissuto molto bene per oltre un secolo. L'Inghilterra fu arricchita dalla tratta degli schiavi, e gli Stati Uniti furono un paese schiavista fino al 1865, e anche in seguito continuarono a escludere i neri dai diritti civili e politici. Nessuno di questi paesi e i loro ideologi liberali hanno inquadrato nel concetto di umanità i popoli sotto il giogo del colonialismo, considerati "razze inferiori" incapaci di autogoverno. Gran parte delle conquiste democratiche e sociali sono state ottenute dalla lotta della classe operaia.

Losurdo è stato un difensore dei processi di costruzione del socialismo del ventesimo secolo, sebbene fosse critico nei confronti degli errori commessi. Sapeva che, nonostante i numerosi problemi e le carenze presentate, l'equilibrio del primo ciclo del socialismo ha portato grandi risultati per gli operai e l'umanità. Per lui, non si potevano capire i progressi democratici e i movimenti di emancipazione che si sono verificati negli ultimi cento anni, ignorando l'esistenza dell'Unione Sovietica e del movimento comunista internazionale. Hanno incentivato decisamente la liberazione dei popoli dominati, la lotta contro il nazismo, il razzismo e il sessismo. Per questo motivo, la sinistra non dovrebbe capitolare di fronte all'offensiva ideologica liberal-borghese che cerca di demolire quelle esperienze complesse e contraddittorie, presentandole in modo riduzionistico come totalitarie.

Come ha scritto, riferendosi ai partiti marxisti che capitolavano di fronte all'offensiva ideologica neoliberale, "se l'autocritica è il presupposto della ricostruzione dell'identità comunista, l'autofobia è sinonimo di capitolazione e rinuncia ad un'identità autonoma". E continua: "la classe dominante consolida il suo dominio, privando le classi subalterne non solo della prospettiva del futuro, ma anche del proprio passato (...). La memoria storica è, quindi, uno dei motivi fondamentali su cui si sviluppa la lotta ideologica di classe ".

Losurdo ha anche seguito con attenzione - e molto ottimismo - le esperienze di costruzione del socialismo al giorno d'oggi, specialmente in Cina. Ammirava l'esempio di quella grande nazione orientale che ha spezzato i legami del colonialismo, sviluppato le sue forze produttive ed è divenuta una potenza mondiale e un riferimento per altri paesi che cercano alternative per lo sviluppo al di fuori del dogma neoliberista dettato dall'imperialismo.

Infine, si è stabilita un'amicizia reciproca tra Domenico Losurdo e il Brasile. Gran parte del suo lavoro è stato tradotto e pubblicato nel Paese da diversi editori. E' uno degli autori marxisti più letti nel paese. Gli piaceva scherzare sul fatto che fosse più conosciuto e letto tra i brasiliani che in Europa. Ogni anno veniva in Brasile e ha viaggiato in diversi stati, partecipando a presentazioni di libri e a conferenze.

C'è stata una grande amicizia tra Losurdo e il Partito Comunista del Brasile (PCdoB). Amicizia di oltre un decennio. Ha partecipato a numerosi eventi organizzati dalla Fondazione Mauricio Grabois in varie città del paese, tra cui segnaliamo la sua presenza, come relatore principale nel 2017, al seminario sul centenario della rivoluzione russa e per il 95 ° anniversario della fondazione del Partito comunista brasiliano. Grabois, in collaborazione con la casa editrice Anita Garibaldi, ha pubblicato quattro libri di Losurdo. Saggi importanti sono stati pubblicati anche in altri libri, così come dense interviste sono state concesse alla rivista Princípios e al portale Grabois.

Losurdo è stato ricevuto più volte dalla dirigenza nazionale di PCdoB, quando si è evidenziata una grande affinità nella sfera delle idee, tra cui la necessità di articolare la lotta nazionale e antimperialista con la lotta per la conquista del socialismo.

Domenico Losurdo è scomparso, ma ha lasciato in eredità un lavoro ricco e imprescindibile che continuerà a nutrire il cammino dell'emancipazione nazionale e sociale della classe operaia e dei popoli. Viva la sua memoria e la sua eredità!

San Paolo, 28 giugno 2018.

Luciana Santos
Presidente del Partito Comunista del Brasile - PCdoB

Renato Rabelo
Presidente della Fondazione Mauricio Grabois


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Liberalizam, ideologija “rase gospodara”

Lucien Sève

28. lipnja 2018.

Udžbeničke definicije liberalizam predstavljaju kao ideologiju individualne slobode i univerzalizacije ljudskih prava. Protupovijest liberalizma, važna knjiga preminuloga talijanskog povjesničara ideja Domenica Losurda, uvjerljivo otkriva selektivnost i jednostranost tih hagiografskih prikaza. U srce liberalnog projekta od početka je bila upisana antidemokratska i rasistička dimenzija

Onaj tko o liberalizmu gaji sliku kakvu nude liberali neugodno će se iznenaditi čitajući Protupovijest liberalizma, ključnu knjigu Domenica Losurda koja već na samom početku otkriva nevjerojatan paradoks. Biti liberalom u principu znači boriti se, po uzoru na velike mislioce poput Huga Grotiusa ili Johna Lockea, Adama Smitha ili Alexisa de Tocquevillea, za slobode pojedinca i protiv političkog apsolutizma, dirigirane ekonomije i filozofske netolerancije. Posrijedi je idejno i u praksi moćan pokret koji je u razdoblju od 16. do 18. stoljeća, s tri slavne revolucije u Nizozemskoj, Engleskoj i Americi, oblikovao čitavu suvremenu povijest. No upravo je s njim došlo do najvećeg razvoja ropstva. U Americi 1700. godine ima tristo tisuća robova, 1800. gotovo tri milijuna, a sredinom 19. stoljeća još dvostruko više. Holandija ukida ropstvo u svojim kolonijama tek 1863. godine. Sredinom 18. stoljeća, broj robova najveći je u Velikoj Britaniji – gotovo devetsto tisuća. Pritom je riječ o najgoroj vrsti ropstva, tzv. chattel racial slavery, gdje je rob druge rase jednostavno “imovina”. Teško je zamisliti radikalnije poricanje slobode pojedinca. Gdje je greška?

Ovo je djelo od početka do kraja posvećeno objašnjavanju te greške, potkrijepljeno dojmljivim obiljem krvavih činjenica i citata od kojih zastaje dah. Ne, ne radi se o grešci. Liberalna je doktrina rođena s dva lica i takvom je ostala: s jedne strane gorljiva poruka o slobodi pojedinca samo za građane, bijele posjednike koji čine Herrenvolk, “rasu gospodara” – germanizam koji je ta uvelike anglofona ideologija bez kompleksa usvojila; s druge cinično poricanje ljudskosti ne samo drugih rasa u kolonijama, nego jednako tako i naroda koje se smatralo “barbarima”, kao što su Irci ili američki Indijanci, te mnoštva sluga i radnika u metropolama, slobodno se može reći – velike većine ljudi. Protupovijest liberalizma, nimalo ne niječući njegove dobre strane, otkriva pune razmjere njegova mračnog naličja, koje je prisutno od početka, a liberalna ga hagiografija neprestano skriva. Na primjer (uzmimo jedan detalj od tisuću), kad saznamo da je veliki liberalni filozof John Locke bio dioničar tvrtke Royal African Company, glavne organizatorice trgovine crnim robljem, odjednom su nam jasnije mnoge stvari u našoj modernoj povijesti.

No također nam je jasno da je ovoj ikonoklastičkoj knjizi trebalo vremena da se pojavi. I da ono što o njoj škrto prozbore glavni mediji često odaje posramljenu zlovolju. Djelo je ujedno i previše eruditsko i jasno da bi ga se moglo lako odbaciti. Zbog toga se protiv njega služe izlizanim polemičkim trikovima. Dovode se u pitanje autorovi stavovi prema sasvim drugim temama, s kojima se uopće ne moramo slagati. Optužuje ga se za jednostranost, dok on ne propušta priliku da prikaže raznolikost aspekata liberalizma, složenost njegovih pravaca, često i dvosmislenost njegovih mislioca. Za kraj mu se dobacuje “Ali to je općepoznato!” iako dominantna ideologija bez prestanka radi na oživljavanju bezobrazno pristranog pozlaćenog mita o liberalizmu.

Treba reći da Losurdova knjiga obiluje navodima koji veoma štete tom mitu. Poput ovog Tocquevilleova teksta koji opravdava istrebljenje crvenokožaca: “Providnost im je, čini se, smještajući ih posred bogatstava Novog svijeta, dala samo kratkotrajno pravo uživanja. Oni su tamo, na neki način, samo čekali. Obale tako dobro pripremljene za trgovinu i industriju, tako duboke rijeke, neiscrpna dolina Mississippija, cijeli taj kontinent, djelovali su tada kao još uvijek prazna kolijevka jednog velikog naroda.” “Prazna kolijevka”: tako jedan slavni liberal lakim zamahom pera opravdava jedan od najvećih genocida u povijesti, unaprijed dajući dragocjeno opravdanje doktrinarcima “zemlje bez naroda” koju Bog nudi narodu bez zemlje. Tekstovi takvoga tona nisu rijetki u ovoj protupovijesti i često ih potpisuju imena kojima bismo se najmanje nadali.

Podučavajući nas mnogome, autor nam još više daje za razmišljanje. Na primjer, kad iznosi ove riječi jednog Georgea Washingtona ili Johna Adamsa, toliko indikativne za američku revoluciju koju su krajem 18. stoljeća vodili liberalni kolonisti, vlasnici robova, potpuno svjesni da su oni u odnosu na robove “bijeli britanski podanici, rođeni slobodni”, spremni na vapaj zbog Engleza iz metropole koji ih gnjave: “Ne želimo biti njihovi crnci!” Ovdje najednom upada u oči da liberalna misao nikad nije bila autentično univerzalistička misao. Slobode koje su se zahtijevale “za pojedinca” nipošto nisu za sva ljudska bića, nego samo za mali broj izabranih, u dvostrukom, biblijskom i građanskom, smislu riječi.

Ovakav agresivni partikularizam doista jest u samom temelju liberalnog učenja. Grotius, jedan od očeva liberalne doktrine u 17. stoljeću, bez oklijevanja opravdava instituciju ropstva (“Postoje ljudi rođeni za služenje”, piše on pozivajući se na Aristotela), govori o stanovnicima holandskih kolonija kao o “divljim životinjama” i, opisujući njihovu religiju kao “pobunu protiv Boga”, unaprijed opravdava njihovo kažnjavanje najokrutnijom “kaznom primjerenom krivcima”. Uopće se dakle ne radi o odstupanjima u praksi, sama ideja liberalizma odaje izravno segregirajući i dehumanizirajući antropološki aristokratizam.

Francuz Tocqueville, aristokrat-demokrat, i sâm o više tema misli na vrlo sličan način. Losurdo navodi ovu izjavu: “Europska je rasa od neba primila ili svojim trudom stekla toliko neporecivu nadmoć nad svim ostalim rasama koje čine veliku ljudsku obitelj, da je čovjek odavde, sa svim svojim porocima i neznanjem, onaj s dna društvene ljestvice, još uvijek prvi među divljacima.” Mnoge danas zapanjuje kastinska oholost koju pokazuju mnogi, i muški i ženski članovi vladajućeg miljea. Čitajući ovu Protupovijest shvaćamo da je ona, prije no što bi bila psihološko-društvena crta pojedinaca, temeljna osobina same liberalne doktrine i praktičnog držanja koje je u svim razdobljima nalagala. Liberalizam i demokracija nikad nisu bili sinonimi.

“Radi se”, zaključit će Losurdo, “o diskursu potpuno usredotočenom na ono što, za zajednicu slobodnih ljudi, predstavlja ograničen sveti prostor” – sveti prostor koji priznaje protestantska etičko-religiozna kultura odgojena na Starom zavjetu. Dovoljno je u analizu unijeti i čimbenik “profanog prostora” (robove iz kolonija i sluge iz metropola) da bi se uvidio neprikladan i varljiv karakter kategorija koje se uobičajeno koriste pri prikazu povijesti liberalnog Zapada: apsolutno prvenstvo slobode pojedinca, antietatizam, individualizam. Je li Engleska 18. i 19. stoljeća zemlja vjerske slobode? Što se Irske tiče, liberal Gustave de Beaumont, koji je pratio Tocquevillea za njegova putovanja u Ameriku, govori o “vjerskoj opresiji koja prelazi svaku maštu”.

Praćenje duge povijesti liberalizma također podrazumijeva makar drugorazredno zanimanje za ono što ga je pobijalo, što mu se protivilo. U ovoj knjizi vidimo kako su se oblikovale razne figure univerzalizma, od onog katoličkog i monarhijskog Jeana Bodina u 16. stoljeću, preko antikolonijalnog i abolicionističkog radikalizma kojemu su ponekad pomagali napredni liberali 19. stoljeća, pa sve do temeljne kritike Karla Marxa, koji briljira raskrinkavajući “konzervativni karakter engleske revolucije”. Buržujska politička emancipacija zapravo je bila znak društvenog bijesa ne samo prema narodima iz kolonija, nego i prema samim engleskim seljacima, prije no što će se okomiti na gradski proletarijat, nevjerojatno zlostavljan u tzv. workhouses, radnim kućama. Losurdo takvu analizu ipak ne slijedi u potpunosti, nego skicira osobni pregled liberalnih revolucija, kako latinskoameričkih tako i europskih.

No koliko god bili važni ti antiliberalni istupi, konkretnije su rezultate ostvarili sami narodni pokreti. Na prvo mjesto među njima Losurdo smješta pobunu na Saint-Domingueu (danas Haiti) i njezinog vođu Toussainta Louverturea, pravi topovski udar za to vrijeme (crnački narod s nevjerojatnom odvažnošću da se oslobodi!), koja, istodobno s Francuskom revolucijom, predstavlja odlučujuću prekretnicu za kreolsku neovisnost i ukidanje ropstva u Latinskoj Americi. Sto dvadeset i pet godina kasnije, moćan podstrek u istom smjeru dat će Oktobarska revolucija u Rusiji. “Kad se sve temeljito razmotri, pobuna na Saint-Domingueu i Oktobarska revolucija ugrozile su, svaka zasebno, prvo ropstvo, zatim teroristički režim bjelačke dominacije”; to su dva povijesna poglavlja koja je “većinski mrzila liberalna kultura epohe”.

Ne dotičući se nedavne povijesti neoliberalizma, Losurdo se za kraj pita o odgovornosti liberalizma za “katastrofe 20. stoljeća”, te je vrlo uvjerljivo procjenjuje velikom. Oslanjajući se na tezu Hannah Arendt koja “polazi od kolonija britanskog carstva da bi objasnila genezu totalitarizma 20. stoljeća”, podsjeća da su se svijet koncentracijskih logora i ostale antidemokratske institucije “počele ocrtavati davno prije kraja samoprozvane belle époque”, navodeći primjere “krvavih i uzastopnih deportacija Indijanaca, počevši od one koju je poduzela Jacksonova Amerika (koju je Tocqueville proglasio uzorom demokracije)”.

S postupanjem prema crncima u Novom svijetu dostignuti su, što se dehumanizacije tiče, “vrhunci kojima je teško parirati”. Na britanskoj Jamajci “roba bi se prisililo da se olakša u usta robu koji je nešto skrivio, da bi mu se zatim ta usta na četiri-pet sati zašila”. U SAD-u školska su djeca mogla dobiti slobodan dan da bi prisustvovala linčovanju. Jedna knjiga, izašla u Bostonu 1913. godine, u svom naslovu zaziva “krajnje rješenje” (ultimate solution) crnačkog pitanja. Jedan američki istraživač, Ashley Montagu, o rasizmu i nacizmu piše da je “to što se čudovište moglo slobodno kretati svijetom u velikoj mjeri naših ruku djelo (…), i mi smo odgovorni za stravičan oblik koji je poprimilo”.

Griješi li autor kad u zaključku poziva da se prestane s lažljivom hagiografijom liberalizma, koja nam se ponovno u visokim dozama servira posljednja tri desetljeća, od početka vladavine Margaret Thatcher?

S francuskog prevela: Mirna Šimat

* Lucien Sève je filozof. Autor je brojnih knjiga u kojima istražuje odnos filozofske antropologije, teorije ličnosti i marksizma.



1) ESTONIA

L’Estonia celebra un criminale nazista (Rete Voltaire | 27 Giugno 2018)
Una targa commemorativa dedicata al colonnello Alfons Rebane è stata inaugurata il 22 giugno in Estonia.
Rebane fu un collaboratore del Terzo Reich, con il grado di Standartenführer delle SS, e fu responsabile di diversi crimini di guerra in Unione Sovietica.
Il governo estone si è dissociato dall’iniziativa, ma si è rifiutato di condannarla.
Dopo la seconda guerra mondiale, Rebane raggiunse il Regno Unito nel quadro dell’operazione stay-behind (Gladio). In particolare, partecipò all’Operazione Giungla per infiltrare ex ufficiali nazisti in Polonia e nei Paesi Baltici, per proseguirvi la lotta al comunismo; tenne persino corsi nella scuola dell’MI6.
L’Estonia è membro dell’Unione Europea, istituzione che dovrebbe spendersi per la pace in Europa e per combattere il ritorno del razzismo nazista. (Traduzione Rachele Marmetti – Il Cronista)
Il Presidente Mattarella a Tallinn incontra la Presidente della Repubblica di Estonia, Kersti Kaljulaid, il Primo Ministro Jüri Ratas e il Presidente del Parlamento Eiki Nestor (Tallinn, 04/07/2018)
2) LETTONIA

Festeggiata la Giornata del legionario nazista in Lettonia (JUGOINFO, 20 marzo 2017)
Sono finiti in manette ieri a Riga i giovani che, in lingua russa, avevano osato gridare “Vergogna Lettonia; il fascismo non passerà”, di fronte al corteo che ogni anno, il 16 marzo, celebra i legionari lettoni delle Waffen SS. La data ricorda il primo scontro dei reparti lettoni delle SS (15° e 19° Divisioni Granatieri) contro l'Armata Rossa, nel 1944...
Nostalgie naziste in Lettonia: una protesta europea (Redazione, 21 marzo 2017)
Da Bruxelles a Budapest, da Roma a Kϋnzelsau in Germania, in tante altre città europee il 15 marzo si è manifestato contro la parata in Lettonia delle Waffen-SS, la legione nazista responsabile di stragi e atrocità inaudite verso gli ebrei e gli oppositori...

Il Presidente Mattarella incontra il Presidente della Repubblica di Lettonia Raimonds Vejonis e il Primo Ministro, Māris Kučinskis (Riga, 03/07/2018)

3) LITUANIA

Fermiamo la repressione contro i comunisti, gli antifascisti e i difensori della pace in Lituania (Marx21.it, 30/10/2016)
In Lituania esiste un regime autoritario che ha perseguitato e continua a  perseguitare duramente gli oppositori politici. Ma l'opinione pubblica dell'Unione Europea, di cui questa repubblica ex sovietica fa parte, non ne è informata...
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/27330-fermiamo-la-repressione-contro-i-comunisti-gli-antifascisti-e-i-difensori-della-pace-in-lituania

Il Presidente Mattarella in Visita di Stato nella Repubblica di Lituania (Vilnius, 05/07/2018)




[Settanta anni fa l'espulsione della Jugoslavia socialista dal Cominform e la fiera reazione della leadership del paese nato nel fuoco di una epica guerra partigiana. Una amara vicenda, che Tito descrisse come la sua "battaglia più sofferta"; sulla quale dopo il crollo di entrambi i campi – quello del Patto di Varsavia come quello jugoslavo e del non-allineamento – è finito per i comunisti il tempo delle scelte di campo manichee e delle battute da operetta. (A cura di Italo Slavo)]

https://www.jungewelt.de/artikel/335081.bruch-mit-moskau.html

Bruch mit Moskau

Vor 70 Jahren wurde die Kommunistische Partei Jugoslawiens aus dem Kommunistischen Informationsbüros ausgeschlossen – Tito beharrte auf einem eigenständigen Weg

Von Roland Zschächner
Aus: junge Welt (Berlin), Ausgabe vom 30.06.2018, Seite 15 / Geschichte


Am 30. Juni 1948 gelang den jugoslawischen Kommunisten ein Coup. Im Parteiorgan Borba erschien der zwei Tage zuvor erfolgte Beschluss des Informationsbüros der Kommunistischen und Arbeiterparteien, kurz: Kominform. Darin warfen die acht übrigen Mitglieder der Kommunistischen Partei Jugoslawiens (KPJ) eine abweichende Politik vor, weswegen diese ausgeschlossen und die jugoslawische Bevölkerung aufgefordert wurde, die Führung um Josip Broz, genannt Tito, abzusetzen. In der gleichen Ausgabe der Zeitung, insgesamt sollen laut offiziellen Angaben fünf Millionen Exemplare verteilt worden sein, wurde auch eine Erwiderung des Zentralkomitees der KPJ publiziert. Die Bevölkerung sollte sich ein eigenes Bild vom Konflikt machen, der zum Bruch geführt hatte und die Sonderrolle Jugoslawiens besiegelte.

Mit einem solch offenen Umgang hatte Moskau nicht gerechnet. Es war nicht die einzige Fehleinschätzung, die die sowjetische Führung in dem monatelangen Konflikt mit der KPJ-Führung hatte.

Die Föderative Volksrepublik Jugoslawien war bis zum Jahr 1948 ein prosowjetisches Land. Das ein Jahr zuvor gegründete Kominform hatte seinen Sitz in Belgrad. Die Staatsspitze – allen voran Tito – stand in engem Kontakt mit der Kommunistischen Partei der So­wjetunion (KPdSU), viele Vorgaben aus Moskau wurden gewissenhaft umgesetzt. Es bestanden zahlreiche zwischenstaatliche Verträge, sowjetische Berater waren in Jugoslawien etwa in der Wirtschaft, dem Militär oder im Bildungsbereich im Einsatz.

Selbst befreit

Im Zweiten Weltkrieg hatte sich in Jugoslawien unter Führung der KPJ ein erfolgreicher antifaschistischer Widerstand entwickelt, der vor allem durch die Partisanen der Volksbefreiungsarmee geprägt war. So konnte sich Jugoslawien weitgehend selbst von der nazistischen Besatzung befreien. Nach 1945 wuchs die Partisanenarmee, der Tito als Marschall vorstand, zu einem Millionenheer an. Der antifaschistische Kampf war zugleich eine soziale Revolution. Dort, wo die Partisanen Gebiete befreit hatten, gestalteten sie die Gesellschaft nach sozialistischen Vorgaben um. Große Teile der Bevölkerung stellten sich hinter die Führung und begrüßten den eingeschlagenen Weg.

Gleichzeitig unterstützte Jugoslawien Albanien und die kommunistischen Partisanen in Griechenland. Außerdem dachten Tito und der bulgarische Ministerpräsident Georgi Dimitroff offen über eine sozialistische Balkankonföderation nach, eine Idee, die bereits zuvor in den sozialistischen Parteien der Region diskutiert worden war. Bei Stalin stießen solche Überlegungen auf Ablehnung. Am 10. Februar 1948 wurden daher bulgarische und jugoslawische Parteidelegationen nach Moskau zitiert. Stalin warf Dimitroff eine Haltung vor, »die anders ist als die unsere«.

In Belgrad reagierte man auf solche Attacken mit Unverständnis. Ein Großteil der Parteiführung beharrte auf dem eingeschlagenen Weg. Im März 1948 forderte Moskau die KPJ auf, sich zu zu erklären. In einem Brief wurde Tito mit Trotzki verglichen und enge Vertraute von ihm wurden als »zweifelhafte Marxisten« oder Spione denunziert. Der Brief zirkulierte zudem unter den anderen Mitgliedern des Kominform. Das stand im Widerspruch zu Titos Position, der darauf bestand, den Konflikt auf bilateralem Wege zwischen Moskau und Belgrad zu klären, was wiederum von Stalin abgelehnt wurde. Die »sowjetisch-jugoslawischen Differenzen« sollten vielmehr »auf der nächsten Sitzung des Informationsbüros untersucht werden«.

Die KPJ sah in Stalins Handeln eine widerrechtliche Einmischung in die inneren Angelegenheiten Jugoslawiens. Sie verwies daher die sowjetischen Berater des Landes. Als Reaktion darauf wurden in den anderen sozialistischen Ländern Medienkampagnen gegen Belgrad lanciert. Innerhalb der KPJ schlossen sich die Reihen hinter Tito, die Zahl der moskautreuen Genossen war klein. Gerüchte über sowjetische Mordpläne gegen Tito machten die Runde, in der Prawda war zu lesen, das »Schicksal Trotzkis« sei lehrreich. Nunmehr galt das Kominform – wie zuvor die Kommunistische Internationale – als Werkzeug Moskaus, um die Bruderparteien zu steuern.

Der Bruch war endgültig. Die am 19. Juni 1948 in Bukarest begonnene 2. Konferenz des Kominformbüros besiegelte lediglich den Ausschluss Jugo­slawiens. In der sich zuspitzenden Blockkonfrontation des Kalten Krieges war mit Jugoslawien einer der wichtigsten Verbündeten der Sowjetunion weggebrochen. Stalin hatte das Selbstbewusstsein der Jugoslawen unterschätzt.

Pendelpolitik

Auf dem 5. Parteitag im Juli rechtfertigte die Führung der KPJ den eingeschlagenen Weg gegenüber ihren Mitgliedern. Bei der Wahl zum Zentralkomitee wurden Tito und seine Führungsriege mit überwältigender Mehrheit bestätigt.

Tausende Parteimitglieder und andere Bürger, die der neuen Linie nicht folgen wollten, wurden inhaftiert. Viele wurden wegen des Vorwurfs des »Stalinismus« auf die Gefängnisinsel Goli otok gebracht.

Die KPJ proklamierte fortan weiterhin den Marxismus-Leninismus für sich, beanspruchte aber eine eigene Entwicklung des Sozialismus. Rück­blickend wurde die enge Bindung an die Sowjetunion als lang anhaltender Verrat Moskaus uminterpretiert. Aus dem Bruch mit der Sowjetunion entwickelte sich eine eigene Form des Sozialismus, die sich vor allem auf das Marxsche Frühwerk berief. Daraus leitete sich später die in Jugoslawien etablierte Form der Arbeiterselbstverwaltung ab, der die Annahme zugrunde lag, dass durch die direkte Kontrolle der Produktion durch die Produzenten der Staat sukzessive absterben würde.

Außenpolitisch orientierte sich Jugoslawien um. Tito verstand es, eine geschickte Pendelpolitik zwischen den beiden dominierenden Blöcken des Kalten Krieges zu betreiben, zum Vorteil des Landes, das nun finanzielle und ökonomische Hilfe aus dem Westen erhielt.

Außerdem wurde Jugoslawien – auch aufgrund der eigenen Widerstandsgeschichte – zum Bezugspunkt der antikolonialen Kämpfe in Afrika und Asien. Belgrad war Gründungsmitglied der Blockfreien Bewegung, die einen dritten Weg zwischen »autoritärem Sozialismus« und »Kapitalismus« beschreiten wollte.

Erst mit dem 20. Parteitag der KPdSU öffnete sich die Sowjetunion wieder Jugoslawien. Schließlich trug auch 1956 die Auflösung der Kominform, eine von Tito erhobene Forderung, zur Normalisierung der Beziehungen bei.



<< Schon 1944 hatte Stalin nicht glauben wollen, dass wir in Jugoslawien uns dies alles bitter schwer selbst erkämpft hatten. Er war beeinflusst von einer Reihe von Misserfolgen, die die Arbeiterbewegungen der ganzen Welt zwischen den Weltkriegen erlitten. Daher hatte sich tiefes Misstrauen gegen alles, was außerhalb der Sowjetunion vorging, in ihm festgesetzt. Und dabei war er selbst gerade für diese unglückliche Entwicklung in den Arbeiterbewegungen verantwortlich, die – wenigstens zum Teil – daraus resultierten, dass die Führung in jenen Ländern seinen Anweisungen blind gefolgt waren. Das war das Ergebnis seines unbeugsamen Standpunktes, seiner falschen Einschätzung der Lage und vor allem einer Methode einer starren zentralen Führung. (…) Stalin schätzte damals und schätzt noch heute die gesamte Arbeiterbewegung außerhalb der Sowjetunion gering; er glaubt, dass wir in Jugoslawien niemals ohne seine Hilfe siegen würden; unser kriegerischer Geist machte ihm selbst damals Sorgen, als wir gegen Hitler kämpften. Außerdem vertraute er allzu sehr auf seine persönliche Autorität. >>

Aus einem Gespräch zwischen Tito, dem damaligen Chef des Generalstabs der Jugoslawischen Volksarmee, Koca Popovic, und Vladimir Dedijer im Sommer 1952 (Vladimir Dedijer: Tito. Autorisierte Biographie, Berlin 1952, S. 376 f.




(deutsch / srpskohrvatski / italiano)

In memoria di Domenico Losurdo

0) Il nostro ricordo e altri collegamenti
1) Introduzione di Domenico Losurdo alla Autodifesa di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia
2) Knjiga Domenika Losurda "Historijski revizionizam. Problemi i mitovi" / Velika kontrarevolucija (Srečko Pulig (Pubblicata la traduzione croatoserba del "Revisionismo storico" di Domenico Losurdo)


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Lo scorso 28 giugno, all’età di 77 anni, a seguito di una breve inesorabile malattia è morto Domenico Losurdo, insigne storico del pensiero filosofico, marxista, grande conoscitore di Hegel.
La notizia riguarda anche noi e ci colpisce direttamente in virtù non solo della ampia condivisione di punti di vista sulle questioni della contemporaneità – esemplificata dal grande numero di testi di Losurdo che abbiamo contribuito a far conoscere negli anni, si veda: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/search/messages?query=Losurdo – ma anche in quanto Losurdo è stato socio ed era tuttora membro del Comitato Scientifico-Artistico della nostra Onlus, avendoci sostenuto anche concretamente nelle campagne avviate a seguito della aggressione NATO contro la Jugoslavia nel 1999.
Non sarebbe possibile, né corretto, entrare qui nel merito dei contenuti del suo pensiero politico-filosofico, sia per nostra inadeguatezza sia per l'impossibilità di rendere contro in maniera sintetica dei grandi temi che Losurdo ha trattato promuovendo importanti controversie, facendosi quasi esempio vivente della applicazione del metodo dialettico: pacifismo/nonviolenza ; marxismo occidentale/orientale ; guerre umanitarie, neocolonialismo e razzismo "liberale"... Su altri temi non meno rilevanti e controversi (es. sovranismo, questione nazionale, europeismo, globalizzazione ; materialismo storico/dialettico e dialettica hegeliana/engelsiana) la sintesi è di là da venire, e il contributo di "Mimmo" Losurdo ci mancherà fortemente. Ci limitiamo nel seguito a segnalare alcuni primi testi di cordoglio pervenuti, che abbozzano un suo profilo intellettuale, e proponiamo: 
(1) la sua durissima introduzione alla Autodifesa di Milošević, in cui paragonava il "Tribunale ad hoc" dell'Aia alle corti-fantoccio del Ku Klux Klan: uno scritto che sembra premonitore della eliminazione fisica dell'imputato da parte dello stesso "Tribunale", occorsa pochi mesi dopo; 
(2) la segnalazione e una recensione della recentissima edizione in lingua croatoserba del saggio di Losurdo sul revisionismo storico, tradotto e curato dalla "nostra" indimenticabile Jasna Tkalec e da Luka Bogdanić.
(a cura di A. Martocchia per Jugocoord Onlus)

--- Siehe auch /Si vedano anche:

Ein Brocken im Vorgarten (Von Arnold Schölzel, 30.6.2018)
Für die Einheit des menschlichen Geschlechts: Ein Nachruf auf den marxistischen Historiker Domenico Losurdo
https://www.jungewelt.de/artikel/335204.ein-brocken-im-vorgarten.html

In memoria di Domenico Losurdo (Marco Paciotti e Paola Bubici, 30/06/2018)
... storico della filosofia da anni impegnato in una vasta e profonda opera di rilettura della storia e del pensiero universali in chiave hegelo-marxista, scomparso ... i due pilastri del programma teorico losurdiano: l’uscita del marxismo da ogni dimensione utopistico-mitologica per il suo ingresso in una dimensione scientifica (ovvero nel solco della Wissenschaft hegeliana, della scienza della totalità) e la riscoperta della questione nazionale come sola garanzia per un internazionalismo che sia espressione di universalismo concreto...
https://www.lacittafutura.it/cultura/in-memoria-di-domenico-losurdo

L’Accademia marxista cinese ricorda Domenico Losurdo (Deng Chundong / Accademia cinese del Marxismo CASS, 30 Giugno 2018)

La scomparsa del compagno Domenico Losurdo (Ruggero Giacomini, PCI / Mauro Gemma e la redazione di Marx21.it, 28 Giugno 2018)

Blog ideato e curato da Stefano G. Azzarà


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Dal libro "IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA. Il j’accuse di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia" 
N.B. di questo libro è in preparazione una nuova edizione con importanti integrazioni)

Domenico Losurdo

Introduzione 

Tra le idiozie e le infamie messe in circolazione dall’ideologia che ha accompagnato la guerra contro la Jugoslavia, una spicca in modo particolare: il processo all’Aia contro Milosevic si collocherebbe su una linea di continuità coi processi di Norimberga e Tokyo, che suggellano la fine del secondo conflitto mondiale. In realtà, i responsabili del Terzo Reich e dell’Impero del Sol Levante sono condannati in primo luogo per aver scatenato una guerra d’aggressione. L’atto d’accusa del processo di Norimberga contesta agli imputati di aver commesso «crimini contro la pace» e di aver violato le «convenzioni per la regolamentazione pacifica dei conflitti internazionali». Il 24 novembre 1948, nel confermare le sette condanne a morte emesse dal tribunale di Tokyo, il generale statunitense MacArthur esclama: «Che la Provvidenza Onnipotente faccia uso di questa tragica espiazione come simbolo per ammonire tutte le persone di buona volontà a rendersi conto della totale futilità della guerra - il flagello più terribile e il peccato più grande dell'umanità - con la finale rinuncia ad essa da parte di tutte le nazioni». E’ appena il caso di dire che, a voler tener conto oggi di questo monito e di questi precedenti, sul banco degli imputati dovrebbero essere inchiodati Clinton, i suoi  alleati e i suoi complici.
Ben diversa e persino contrapposta è la storia che agisce alle spalle del processo contro Milosevic. E’ la tradizione delle guerre coloniali. Coloro che osano opporre resistenza alle grandi potenze depositarie della Civiltà sono per ciò stesso «briganti» o «ribelli», da sottoporre a processo ed eventualmente da passare per le armi. Malamente camuffata da «giustizia», la vendetta colonialista si accanisce anche dopo la morte. Nel 1898, con la battaglia di Omdurman, la Gran Bretagna riesce a riassoggettare il Sudan, che in precedenza aveva sconfitto gli inglesi e conquistato l’indipendenza. Ora i bianchi superuomini avvertono il bisogno di riscattare l’umiliazione subita: non si limitano a finire i nemici orribilmente feriti dalle pallottole dum-dum. Devastano la tomba del Mahdi, l’ispiratore e protagonista della resistenza anticoloniale: dopo una sorta di processo, il suo cadavere è decapitato; mentre il resto del corpo è gettato nel Nilo, la testa viene portata in giro come trofeo. Le regole che valgono per gli Stati civili non hanno senso nel rapporto coi barbari, che per definizione sono un’orda barbarica e non già uno Stato e, dunque, non dispongono in senso stretto né di capi di Stato né di capi di governo.
Pur caratterizzati da forti limiti politici e da evidenti forzature giuridiche, i processi di Norimberga e di Tokyo hanno comunque il merito di rompere con questa infame tradizione colonialista. L’atto di accusa di Norimberga contesta ai gerarchi nazisti di aver teorizzato e praticato la «dottrina del popolo dei signori» ovvero della «razza dei signori», abilitati al dominio sui popoli considerati inferiori. E, ancora una volta, dovrebbe essere chiaro a tutti chi si colloca su una linea di continuità coi caporioni del Terzo Reich. Nel discorso che inaugura il suo primo mandato presidenziale, Clinton dichiara: l’America «deve continuare a guidare il mondo»; «la nostra missione è senza tempo». A sua volta, George W. Bush è giunto al potere nel 2000 proclamando un vero e proprio dogma: «La nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo». A mettere in scena e a portare avanti la farsa del processo a Milosevic sono due personaggi che, con linguaggio appena più levigato, non si vergognano di riesumare la «dottrina del popolo dei signori» ovvero della «razza dei signori», per definizione superiori non solo agli altri popoli, ma anche agli statuti e alle risoluzioni dell’ONU.
Se Norimberga e Tokyo erano la rottura con la tradizione coloniale, l’odierno processo all’Aia è la rottura con Norimberga e la ripresa della tradizione coloniale. Di nuovo c’è solo un piccolo aggiornamento linguistico. I colpevoli di aver opposto resistenza al «popolo dei signori» sono condannati non più in quanto «briganti» o «ribelli», bensì in quanto «criminali di guerra». A pronunciare tale requisitoria è in primo luogo un paese che, ancora nel secondo dopoguerra, non è indietreggiato dinanzi ad alcuna infamia nel tentativo (fallito) di assogettare i popoli dell’Indocina: qui, ancora ai giorni nostri, innumerevoli bambini, donne e uomini continuano a portare nel loro corpo martoriato i segni dell’indscriminata guerra chimica condotta dagli aspiranti padroni del pianeta. D’altro canto, per ironia della storia, la farsa giudiziaria contro Milosevic va avanti mentre, nonostante la censura, trapelano particolari agghiaccianti su Guantanamo e Abu Ghraib.
Tra Otto e Novecento, i «processi» e le esecuzioni inflitti ai «briganti» e ai «ribelli» delle colonie andavano di pari passo coi «processi» e con le esecuzioni cui erano sottoposti coloro che osavano sfidare la «supremazia bianca» e occidentale già nel cuore della metropoli. Sugli afroamericani, che avevano l’ardire di difendere o rivendicare la propria dignità umana, la «giustizia» del Ku Klux Klan si accaniva con un sadismo raccapricciante. Ma qui è di un altro aspetto che voglio occuparmi. I linciaggi dei neri erano annunciato con anticipo sulla stampa locale. Ad assistere e a divertirsi erano spesso migliaia di persone compresi donne e bambini: carrozze supplementari erano aggiunte ai treni per spettatori provenienti anche da località a chilometri di distanza; i bambini delle scuole potevano avere un giorno libero. Ecco, l’umiliazione, la degradazione e la lenta agonia del ribelle si configuravano come uno spettacolo pedagogico di massa: il popolo dei signori era chiamato a godere della sua supremazia, mentre i neri dovevano introiettare sino in fondo la lezione della necessità della rassegnazione.
Analoghe finalità pedagogiche erano state assegnate al processo contro Milosevic, ma già delle prime sedute tutti, assistendo direttamente o tramite la televisione, hanno potuto rendersi conto della netta superiorità politica e morale dell’imputato rispetto ai suoi accusatori e ai loro burattinai. A questo punto, ha cominciato a rivelarsi controproducente l’enorme apparato multimediale approntato per completare sul piano propagandistico la vittoria conseguita a livello militare. Ora, pur di portare a termine il rito dell’ineluttabilità della Giustizia del Ku Klux Klan internazionale diretto da Washington, si è pronti a mettere da parte o a ridimensionare drasticamente lo spettacolo pedagogico di massa. L’importante è che subisca una condanna esemplare e definitiva il «ribelle», il «brigante», il «criminale di guerra» che ha osato disobbedire agli ordini del popolo dei signori statunitense e occidentale.
 
Domenico Losurdo
16 settembre 2005

 
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Domenico Losurdo

Historijski revizionizam. Problemi i mitovi

Srpsko kulturno društvo Prosvjeta, 2017. 

prevoditelji: Jasna Tkalec i Luka Bogdanić
urednik: Rade Dragojević
232 str. ; 22 cm. ISBN: 9789533560021



Velika kontrarevolucija

Domenico Losurdo, Historijski revizionizam; Problemi i mitovi (s talijanskoga preveli Luka Bogdanić i Jasna Tkalec, Prosvjeta, Zagreb 2017.): Povijest historijskog revizionizma nemoguće je razumjeti izvan konteksta barem 200 godina buržoaskih i socijalističkih revolucija, čije je naličje doba kolonijalizma. Čuvari tekovina tako uređenog svijeta, iz kojega još nismo izašli, imaju dobre razloge da blate Francusku i Oktobarsku revoluciju

piše Srečko Pulig, 25. travnja 2018.

Knjiga talijanskog filozofa historije Domenica Losurda ‘Historijski revizionizam; Problemi i mitovi’ (Prosvjeta, Zagreb 2017.) dobrodošlo je osvježenje u našoj javnosti, koja pred zlom revizionizma, kojemu smo u barem dva vala ovdje izloženi, stoji uglavnom teorijski razoružana. A ne bismo takvima trebali biti. Jer problem revizionizama, u širem i užem smislu, kako ih razvrstava Losurdo, nije nov. Podsjetimo na domaći kontekst. ‘Revizionizam’ i ‘pravovjerje’ bili su opsesija u svim povijesnim socijalizmima, a donekle specifično i u našem. Mi smo naime, kao što je poznato, za ortodoksiju tzv. realnog socijalizma, koja je imala svoje sljedbenike i na Zapadu, barem od 1948. bili ‘revizionistima’. Zemljom koja je napustila učenje marksizma-lenjinizma i dala se u potragu za jednim autentičnim – ni istočnim ni zapadnim – humanističkim marksizmom. Danas i spram tog naslijeđa možemo biti kritičnima. A ta kritika i postoji. Jedna je ona dominantna, desničarskog revizionizma u užem smislu, koji odbacuje sve socijalističke pokrete, a posebno jugoslavenski, kao nešto strano našem ‘nacionalnom tijelu’. Tone ispisane profašističke literature, u publicisti i novinarstvu, ali i znanosti u ‘tranzicijskoj Hrvatskoj’, izvor su šund literature za ‘razvlačenje pameti’ u svakodnevnim borbama oko ono malo vlasti što je samoskrivljenim novim ‘urođenicima’ ovih krajeva, od silne priče o neovisnosti, ostala. Takvi danas, ne slučajno, na svojim nemasovnim paradama uz lokalne postfašističke nose i američku zastavu, nadajući se da će ih svjetska sila broj jedan prepoznati i priznati kao svoje. No u tom računu su se prevarili. Ne zato što je danas američka država vođa ‘slobodnog svijeta’ imunog na fašistoidne tendencije, nego zato što njoj oni trenutno ne trebaju. A ne trebaju ni Njemačkoj, koja se bori protiv svog novootkrivenog postfašizma, jer spram njega djeluju kao utvare iz predmodernih vremena.
Gledamo li s druge strane u povijest odnosa marksizma i sada široko shvaćenog revizionizma ovdje, dovoljno je usporediti dva po jednom bitnom tekstu slična, no po kontekstu bitno različita izdanja. Naime, dvije knjige, ‘Marksizam i revizionizam’ (Naprijed, Zagreb 1958.) i ‘Revizionizam’ (Globus, Zagreb 1981.), sadrže isti bitan tekst. Onaj Eduarda Bernsteina‘Pretpostavke socijalizma i zadaci socijalne demokracije’, napisan na prijelazu iz 19. u 20. stoljeće. I dok u prvom izdanju Bernsteina kao revizionista još uvijek, usprkos razlazu sa  SSSR -om, i u nas poriču LenjinPlehanovRosa Luxemburg i August Bebel, u drugom izdanju, koje je izabrao i predgovorio politolog Ivan Prpić, nalazimo uz isti još dva Bernsteinova teksta protiv ‘boljševičke varijante socijalizma’. Ali i tekstove Georgesa SorelaJeanaJauresaSaverija MerlinaIvanoa Bonomija i Petera von Struvea. Ono što je bitnije od izbora tekstova stav je priređivača, koji je sad naklonjeniji strani koja se još uvijek zove ‘revizionističkom’, no sada već u pozitivnom smislu. To je primjer kako je s prljavom vodom obračuna sa staljinizmom u Jugoslaviji 1980-ih bačeno i dijete. Naime Oktobar, bez inspiracije kojim ne bi bilo ni  NOB -a, a onda vjerojatno ni šanse da sve to s liberalnih pozicija bude negirano. Jer bi cijelo vrijeme vladao mrak pravog desničarskog revizionizma, u užem smislu.
Kada je zavladao novi ciklus povijesnog revizionizma, posebno onaj u Njemačkoj 1970-ih i 1980-ih, predvođen novom popularnošću teza Ernsta Noltea, mi smo imali barem jednog povjesničara – našeg porijekla, ali veći dio života u Njemačkoj – koji se njemu i dužoj tradiciji iz koje proističe suprotstavio. Bio je to Eduard Čalić. Sada to izgleda čudno, ali govori o vremenu koje je bilo potrebno čak i tuđmanizmu da zavlada, no on je uspio u nas 1990-ih objaviti ‘Evropsku trilogiju; Marseille i Drugi svjetski rat’ (Zagreb 1993.) i ‘Europu gledanu s Balkana; Kritiku koncepcije globalističkog revizionizma’ (Zagreb 2000.). U tim knjigama mi još sudjelujemo u svjetskoj diskusiji, dok se danas samo reaktivno trzamo na u međuvremenu od vlasti razrađenu revizionističku ideologiju o ‘dva totalitarizma’, onom fašističkom i onom komunističkom. Ili na očite falsifikate obiteljaša, čije je doktrinarno porijeklo u američkom vjerskom ekstremizmu, a posljedice su po društvo na drugi način pogubne od onih iz 1990-ih.
Prva u nas prevedena Losurdova knjiga kreće se oko nekoliko bitnih koncepata, čiji je zajednički nazivnik da je povijest historijskog revizionizma nemoguće razumjeti izvan konteksta barem 200 godina buržoaskih i socijalističkih revolucija, čije je naličje doba kolonijalizma. Ili u drugoj tradiciji rečeno – imperijalizma. Čuvari tekovina tako uređenog svijeta, iz kojega još nismo izašli, imaju dobre razloge da blate Francusku i Oktobarsku revoluciju, kao i cijelo naslijeđe emancipatornih pokreta 20., ali i njemu prethodnog 19. stoljeća, da ih falsificiraju i prerađuju po svojoj mjeri svjetskih gospodara. A to je uloga od koje, vidimo, ne namjeravaju tako lako odustati. Pozivajući se na komparativni pristup, koji možda i prečesto završava u analogijama, Losurdo analizira probleme i mitove historijskog revizionizma prvenstveno u Velikoj Britaniji,  SAD -u i Francuskoj, a tek izvedeno i u Njemačkoj, koja ih, uostalom, u mnogo čemu slijedi. Nacizam nije u prvom planu namjerno, ne zato što to svojom izuzetnošću ne bi zaslužio, već zato da se obasja i one koji ostaju u sjeni kada se sva krivnja za krvavu povijest 20. stoljeća strovali na Njemačku, a onda uzročno-posljedično i na Sovjetski Savez. On govori o međunarodnom građanskom ratu, koji se može razlučiti na onaj imperijalistički i onaj revolucionarni. Oba navodno imaju elemente ideološkog križarskog pohoda i svetog rata ‘koji u svom teleološkom bijesu protiv heretika ne priznaje razlike između boraca i civilnog stanovništva’. No Losurdo uvjerljivo na bezbroj primjera dokazuje da to puno više vrijedi za prvi slučaj. Kako bi to potkrijepio, uvodi razlikovanje između dva oblika ‘despecifikacije’, kako zove postupak u kojemu se neprijatelja u totalnom sukobu izopćava iz civiliziranog društva ili čak iz ljudskog roda. Prvi, opakiji oblik takvog fanatizma je naturalističkadespecifikacija, pomoću koje se određene etničke, društvene ili političke skupine naprosto isključuju iz ljudske vrste. To proturevolucionarni pokreti, kolonijalizam i imperijalizam, stalno čine. Protivnici Francuske revolucije govore o pobunjenicima, građanima, radnicima i seljacima, kao o Hunima, barbarima, sablastima Vandala i Gota, barbarskoj klasi robova, antropofagima. Revolucionari, od francuskih do sovjetskih i drugih, razvijaju pak despecifikaciju neprijatelja na političko-moralnoj osnovi. Iako Staljin govori o kulacima kao o najbestijalnijim eksploatatorima, krvopijama koji su se obogatili na bijedi naroda, vampirima i sl., bitno je uvidjeti razliku da to nisu vječna i rasno pripisana svojstva, što je pravilo u imperijalista.
Općenito govoreći, revizionistička historiografija potiskuje u drugi plan kolonijalno i nacionalno pitanje u svjetskim razmjerima, a baš o tome se radi u tri ogromna sukoba koji stoje u središtu posljednja dva stoljeća. Svaki od njih traje po nekoliko desetaka godina, a osim vojno-političkog, svi oni imaju i ideološki aspekt. Prvi počinje Francuskom revolucijom i završava restauracijom. Drugi obuhvaća razdoblje dva svjetska rata, koje Losurdo naziva i ‘Drugi tridesetogodišnji rat’. Treći ogroman sukob započinje Oktobarskom revolucijom, da bi preko razdoblja hladnog rata završio nestankom  SSSR -a. Slijedi zaključak kako je jedini ideološko-politički entitet koji je iz sva ta tri sukoba izašao kao pobjednik anglosaksonski svijet. Pisan ovako, bez navodnika, termin vuče na poznatu teoriju o kulturnim krugovima britanskog filozofa povijesti Arnolda Toynbeea, koju je ljevica svojedobno kritizirala.