Informazione

www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società -
02-07-04


http://perso.wanadoo.fr/collectiv-communiste-polex/


I partiti comunisti nell’est, oggi


Bruno Drweski


Negli ex paesi del “campo socialista”, l’introduzione del pluralismo
politico dopo il 1989/91 è sfociata nella costituzione di nuovi partiti
che hanno teso, dopo qualche esitazione, a riposizionarsi nella
tradizionale divisione destra/sinistra. Tale nozione deve essere
tuttavia precisata in funzione della situazione specifica di ogni
società. Ovunque gli eredi delle formazioni politiche al potere prima
del 1989/91 sono riusciti a ricostituire partiti spesso influenti, ma
sulla base di legittimazioni molto differenti. In certi casi, il
riferimento al comunismo è stato totalmente rigettato. In altri, si è
selezionato in modo molto diversificato solamente alcuni elementi
provenienti dal comunismo. In altri, l’eredità del comunismo ufficiale
è stata rivendicata in quanto tale. Ma la classificazione tra partiti
allineati al social-liberalismo, “ex comunisti riformati” o comunisti
“ortodossi” resta molto sommaria.

I termini “comunismo” o “socialdemocrazia” veicolano infatti contenuti
molto differenti a seconda del contesto. Quando viene rivendicata,
l’eredità del “socialismo reale” non è di fatto mai ripresa in maniera
integrale e, quando succede il contrario, alcuni elementi di tale
eredità risorgono in modo più o meno percettibile. Tuttavia
nell’insieme, i “ritorni” al potere o anche solo la possibilità di
avere accesso ai circoli del potere, come nel caso del Partito
Comunista della Federazione Russa (KPRF), o di giocare un ruolo
regionale, come nel caso del Partito del Socialismo Democratico (PDS)
nei Landers est-tedeschi, spinge ogni partito ad accettare in modo più
o meno esplicito le “leggi di mercato”.

In ogni caso l’allineamento della Russia di Putin agli USA dopo
l’11settembre 2001, ha spinto l’ala predominante del KPRF a denunciare
la politica del Cremlino e a subire, quale ritorsione, l’espulsione dei
rappresentanti di questo partito dalle commissioni parlamentari. I
dirigenti espressi dalle formazioni al potere nei paesi dell’Est prima
del 1989/91 cercano generalmente di collocarsi, per essere credibili,
più o meno a sinistra. Ma questa non è la regola assoluta, dal momento
che partiti di destra sono stati spesso formati da uomini che hanno
occupato funzioni importanti nei partiti “comunisti” prima del 1989/91,
come ad esempio Eltsin in Russia o Tudjman in Croazia.

Parallelamente, sono apparse formazioni che fanno riferimento a
correnti marxiste che erano al bando prima del 1989/91 (trotskismo,
bukharinismo, socialdemocrazia marxista di prima del 1939), ma
raramente esse hanno conquistato un posto di rilievo. Ciò riguarda
anche i partiti che rivendicano l’eredità di Stalin, i quali, salvo che
in Albania, erano stati proibiti formalmente dopo il 1956. Sono stati
anche creati partiti socialdemocratici “moderni” senza legami con i
regimi di prima del 1989/91, spesso senza successo.

Studiare i PC dell’Est dopo il 1989/91 rimanda a categorie molto
diverse. Ci limiteremo ai partiti che accettano la loro filiazione ai
regimi politici ufficialmente sconfitti nel 1989/91. Analizzeremo anche
le formazioni che ripudiano il comunismo, ma che restano segnate in
modi differenti dalla sua eredità. Menzioneremo anche i partiti
esplicitamente staliniani poiché, pur non essendo essi gli eredi
diretti dei partiti di prima del 1989/91, fanno riferimento comunque ad
un’eredità che ha esercitato un’influenza fondamentale sul
funzionamento del “socialismo reale” in certe epoche.

La ricomposizione politica che ha avuto luogo negli Stati del
“socialismo reale” a partire dagli anni ’80 non è terminata, poiché la
struttura di queste società non ha ancora raggiunto una stabilizzazione
relativa simile a quella dei paesi occidentali. Già prima del 1989/91,
i partiti-Stato nascondevano realtà sociali molto differenti e
l’emersione di una borghesia in questi paesi è iniziata ben prima dello
smantellamento ufficiale del “socialismo”. I partiti politici al potere
erano divisi in sensibilità sociali e politiche, in gruppi di
interesse, elemento questo che rende pertinente la tesi secondo cui la
lotta di classe esisteva nell’Est, ma in modo “sotterraneo e
camuffato”, nel quadro di strutture apparentemente monolitiche.

Le idee di destra erano d’altronde diffuse nei partiti comunisti
ufficiali ben prima della “svolta” degli anni 1989/91, in particolare
tra i “notabili” e i figli dei quadri, in particolare coloro che
esercitavano attività nei settori economici e coloro che intrattenevano
contatti con le “elites” occidentali, politiche e affaristiche. Questo
pluralismo di fatto, che esisteva prima del 1989, spiega perché solo
una piccola frangia dei membri dei partiti al potere prima del 1989/91
si sia riconosciuta in seguito nelle formazioni scaturite dai
“partiti-Stato”, avendo la maggioranza di loro optato per un
liberalismo “senza complessi”.

I gruppi che si richiamano al comunismo sono andati ovunque in
minoranza, salvo che in Moldavia dove il PC ha ottenuto il 50% dei voti
alle ultime elezioni, ma ugualmente ovunque sono riapparsi partiti che
si richiamano al comunismo, incluso là dove gli eredi dei poteri di
prima del 1989/91 hanno rotto con questa ideologia per aderire
all’Internazionale Socialista (IS). Nell’Europa centrale, baltica e
balcanica, le correnti che si richiamano al comunismo hanno incontrato
particolari difficoltà nella fase della rinascita, salvo che in Cechia.
Dall’Albania all’Estonia, passando per le Jugoslavie e la Polonia, gli
ex “partiti-Stato” hanno rinunciato alla denominazione comunista e al
marxismo quale fondamento teorico.

Ma esistono delle differenze rimarchevoli negli atteggiamenti tenuti
nei confronti del capitalismo tra la SLD polacca, ad esempio, e il PS
serbo o il PS bulgaro (BSP). La sola eccezione di rilievo è costituita
dalla Cechia, dove un PC importante ha riconquistato e mantenuto un
posto fondamentale nello scacchiere politico, contando tra l’altro sul
fatto che i comunisti erano già ben radicati nel paese prima del 1938.
Altrove, essi non si sono imposti, se non in occasione della Seconda
Guerra Mondiale e nel periodo seguente. Nelle repubbliche che facevano
parte dell’URSS prima del 1939, al contrario, l’affermazione di partiti
socialdemocratici resta difficile, mentre partiti comunisti consistenti
si sono ricostituiti pressoché ovunque.

La divisione socialdemocrazia/comunismo sembra da attribuire a
differenze politiche dovute al radicarsi della mentalità sovietica,
anzi della tradizione russa come tende ad affermare il presidente del
KPRF che pensa che il comunismo corrisponda alla mentalità tradizionale
dell’ “uomo russo” del paese più profondo. Tale fenomeno pone degli
ostacoli all’emergere di un’autentica corrente rivoluzionaria, ma il
riferimento al marxismo, seppur solo formale, resta emblematico e
permette di stabilire la differenza tra coloro che si allineano grosso
modo al “modello occidentale” e coloro che continuano, anche se spesso
nell’ambiguità, a manifestare reticenze a tal proposito.

Riflettere su ciò è importante per scoprire, al di là delle
dichiarazioni ufficiali, quali formazioni possano essere eventualmente
fautrici di progresso sociale e di riavvicinamento dei popoli e quali
siano quelle che in realtà servono, qualsiasi denominazione adottino,
gli interessi delle oligarchie, la cui aspirazione, nei fatti, è solo
quella di allargare il proprio potere politico, sociale o economico. E’
anche nell’interesse dei comunisti occidentali la comprensione di
questo fenomeno, poiché i loro partiti, pur mantenendo fino alla fine
rapporti privilegiati con quei regimi, in virtù dell’opinione che essi
avevano dei rapporti di forza internazionali e della necessità di
trovare dei contrappesi di fronte alla potenza degli Stati Uniti e dei
loro numerosi alleati, sembrano aver subito anch’essi in molti casi,
“per procura” e di riflesso, gli effetti della demoralizzazione
caratteristici della nomenklatura.

LA PREDOMINANTE ATTRAZIONE DELLA SOCIALDEMOCRAZIA NELL’EUROPA
CENTRALE, BALTICA E BALCANICA

Tranne che in Cechia, gli ex PC hanno tutti ripudiato il riferimento
al marxismo-leninismo. In effetti ogni partito ha manifestato una
propensione diversa verso lo strappo e i discorsi variano sovente in
funzione dell’interlocutore a cui i dirigenti si rivolgono. D’altronde,
non ci troviamo solo di fronte alla scelta socialdemocratica, dal
momento che alcuni partiti sono tentati anche dalla retorica
patriottica, come nel caso del PS serbo o, in misura minore, del Fronte
di salvezza nazionale romeno, divenuto in seguito un partito
socialdemocratico (PSD) “come gli altri”.

1). I partiti social-liberali: nei partiti che sono approdati all’IS e
che, in apparenza, hanno totalmente ripudiato il “socialismo reale”
persistono certe specificità in rapporto al modello socialdemocratico
occidentale. Le loro tradizioni e il fatto che abbiano adottato
rapidamente e senza riflettere modalità di funzionamento e di
legittimazione importate dall’Occidente e appiccicate ad abitudini
organizzative differenti, conferiscono a questi partiti tratti
specifici.

La riconquista da parte di questi partiti di un elettorato
consistente, a partire dalle elezioni lituane del 1992 – fenomeno che è
proseguito altrove – fa leva su una certa nostalgia nella popolazione
per lo “Stato protettore” scomparso. Gli ex comunisti sono dunque
indotti in permanenza ad oscillare tra un discorso social-liberale
destinato agli Occidentali, comportamenti elitisti ereditati dal
“socialismo post-feudale” di prima del 1989 e “ammiccamenti
neo-comunisti” indirizzati alla loro base elettorale. Le inchieste di
opinione che riguardano le privatizzazioni, i capitali stranieri, il
periodo precedente il 1989, ecc. dimostrano che una parte spesso
maggioritaria di queste società resta attaccata all’ideale di un
modello sociale egualitario.

Gli ex dirigenti di prima del 1989/91 hanno contratto abitudini
differenti da quelle conosciute ad Ovest e le utilizzano per la
“costruzione del capitalismo”. La comprensione dei processi sociali, la
capacità di costruire organizzazioni disciplinate e cinghie di
trasmissione, lo spirito di corpo proprio dell’abitudine alla militanza
in seno ad un’organizzazione semi-segreta, i metodi di
cooptazione,ecc., tutto ciò è servito enormemente agli “ex comunisti”
per rimanere nelle stanze del potere dopo il 1989.

L’esempio polacco costituisce a tal riguardo un caso da manuale, per
analizzare i partiti che, del passato, hanno mantenuto le tecniche di
radicamento del leninismo, la capacità di analisi dei processi sociali
del marxismo e l’attrazione verso la modernità, ma ponendo tutto ciò al
servizio del capitalismo. Quando il Partito Operaio Unificato Polacco
(PZPR) ha ceduto il potere, si è trasformato prima di tutto in
Socialdemocrazia della Repubblica di Polonia (SdRP). Il nome scelto
allora è già segno di abilità. Poiché questa denominazione costituiva
un segnale per i partigiani di una socialdemocratizzazione “moderna”,
ma anche perché, agli occhi di coloro che intendevano restare fedeli al
comunismo, ricordava il partito di Rosa Luxemburg e di Felix
Dzierzynski, la “Socialdemocrazia del Regno di Polonia”. La SdRP ha, in
verità, mantenuto solo circa 60.000 dei 2 milioni di membri del PZPR,
contribuendo in tal modo ad allontanare la sua vecchia base dai centri
decisionali. I dirigenti hanno spesso ceduto i posti dell’apparato a
vantaggio di loro sostituti più giovani. Questo partito ha poi creato
l’Alleanza della Sinistra Democratica (SLD), una struttura all’inizio
flessibile che raggruppava sindacati, associazioni (di donne, di
giovani, di ex combattenti,ecc.) e alcuni piccoli partiti come l’Unione
dei comunisti polacchi “Proletariato” (ZKPP). Tali “cinghie di
trasmissione” si sono rivelate efficaci al servizio della SdRP e della
sua linea “moderna” di ampio schieramento. La SLD ha in seguito aperto
al Partito Socialista Polacco (PPS), un gruppo radicale e marxista
espresso dalla dissidenza, che le ha permesso di presentarsi come ormai
“al di fuori” delle divisioni di prima del 1989. Stabilizzatosi
l’elettorato e adottata, con il consenso della “sinistra” e della
“destra” polacche, una costituzione “che proibisce i metodi fascisti e
comunisti”, la ZKPP è stata spinta ai margini della SLD, la quale è
stata trasformata in un partito unificato, forzando il PPS a scegliere
tra la sua dissoluzione e una rottura che l’avrebbe condannato
all’emarginazione, in virtù della logica del “voto utile”. La creazione
di una SLD unificata, al posto di un’alleanza plurale, permette oggi ai
quadri espressi dalla nomenklatura di scegliere essi stessi a quali
dirigenti sindacali o delle associazioni satelliti offrire posti
nell’amministrazione. Il processo sta concludendosi oggi con il ritorno
a posti di direzione della SLD di vecchi quadri del PZPR che si erano
ritirati in “seconda linea” nel 1989. Se la metamorfosi ideologica
degli “ex comunisti” che si richiamano al “blairismo” è completa, la
“cultura di apparato” sembrerebbe mantenere il marchio di origine.

Molti dei polacchi di sinistra, compresi quelli che si considerano
sempre comunisti, trovano tuttavia difficile dissociarsi dalla SLD, per
realismo o per fedeltà. Anche l’Unione del Lavoro (UP), partito a
caratterizzazione socialdemocratica, creato dal dissidente Karol
Modzelewski, che aveva tentato di superare le divisioni del 1989, ha
finalmente deciso di associarsi alla SLD e di rinunciare alla propria
autonomia. Simili evoluzioni sono riscontrabili anche in Lituania, in
Slovacchia, in Slovenia, ecc. Altrove, la deideologizzazione è stata
meno totale.

2). I partiti socialdemocratici pluralisti: il BSP (Partito Socialista
Bulgaro) costituisce uno dei migliori esempi di tale tipo di partito. A
differenza della SLD, l’ex PC bulgaro ha cambiato nome, ma ha cercato
di conservare il grosso dei suoi membri e ha preso meno le distanze dal
periodo precedente il 1989. Ha accettato l’esistenza di frazioni
organizzate, di cui due si richiamano al marxismo. Questo partito si è
avvicinato lentamente all’IS, pur mantenendo contatti con i partiti
comunisti, in particolare con il PC greco. Il BPS si è per molto tempo
dichiarato contrario alla politica della NATO nei Balcani.  L’assenza
di russofobia nella società bulgara facilita la persistenza di correnti
che cercano di salvaguardare legami stretti con la Russia, in
particolare nella diplomazia e negli affari. Il radicamento notevole
dei comunisti in Bulgaria prima del 1939 può anche spiegare questa
situazione. Esistono nel paese due piccoli PC. Il Nuovo Partito
Comunista Bulgaro (NPCB), che si proclama staliniano e che ha rotto con
il BSP al tempo del cambio del nome, e il Partito Comunista Bulgaro “G.
Dimitrov” che rifiuta i metodi staliniani. Il nuovo PCB ha organizzato
la Nuova Internazionale Comunista che raggruppa partiti che esaltano
innanzitutto l’eredità di Stalin. Alla vigilia delle elezioni del 2001,
sono stati avviati negoziati per la formazione di un partito unificato
che raggruppasse i due PC e la frazione marxista del BSP. Secondo i
sondaggi, questa formazione avrebbe potuto ottenere più del 10% dei
suffragi, ma i negoziati non hanno avuto successo e alcuni comunisti si
sono presentati candidati contro il BSP, mentre quest’ultimo faceva
eleggere un comunista nella sua lista, il primo deputato esplicitamente
comunista dopo il 1989.

I partiti “ex comunisti” balcanici dei paesi di tradizione ortodossa
(Bulgaria, Serbia, Romania) manifestano una più visibile reticenza
riguardo al capitalismo rispetto ai loro omologhi di Albania, Bosnia,
Croazia, Slovenia o Ungheria. In questi ultimi paesi, in particolare il
Partito Socialista Ungherese, ala maggioritaria del vecchio
“partito-Stato”, include una frazione marxista, “Alternativa di
Sinistra”. Esiste anche un PC ungherese, il Partito Operaio, la cui
influenza resta limitata. In Germania, anche il PDS rifiuta il
social-liberalismo. Si è impegnato, soprattutto dopo il suo arrivo al
potere con la SPD nel Land di Berlino, in una strategia di associazione
con il Partito Socialdemocratico (SPD) su una piattaforma
prevalentemente “regionalista est-tedesca” con concezioni “alternative”
assai moderate. Un’altra corrente nel suo seno riafferma il marxismo.
L’esistenza di frazioni è autorizzata nel PDS, il che permette ai
comunisti di manifestarsi in quanto tali. E’ anche il solo erede di
“partiti-Stato”, in cui sia presente la corrente trotskista.

3). I partiti comunisti “mantenuti”: nell’Europa Centrale, baltica e
balcanica, partiti che si definiscono comunisti si sono formati
dappertutto, ma sono raramente riusciti ad ottenere un’influenza reale,
salvo che in Bulgaria, Ungheria, Lettonia (sotto il nome di Partito
Socialista Lettone, dal momento che il comunismo è proibito nel paese)
o Slovacchia, dove costituiscono una forza potenzialmente in grado di
contare. Il KSCM (Partito Comunista di Boemia-Moravia) rappresenta un
caso specifico. Costituito poco prima dello smantellamento della
federazione cecoslovacca, ha ottenuto l’11% dei voti nelle elezioni del
1998 e raccoglie oggi dal 15% al 20% delle intenzioni di voto (20,3%
dei suffragi nelle ultime  elezioni europee del 13 giugno 2004, nota
del traduttore). Ha un approccio relativamente critico nei confronti
del periodo 1948/1989, che ha spinto uno dei dirigenti di prima del
1989, Miroslav Stepan, a creare il “Partito dei comunisti
cecoslovacchi”, che conta decine di migliaia di membri, ma che non è
mai riuscito a radicarsi elettoralmente. Sul versante opposto, le due
frazioni del KSCM che hanno tentato di rompere con il comunismo hanno
fallito. Il caso della Cechia è specifico, perché è il solo paese in
cui si sia formato un partito socialdemocratico (CSSD) potente non
scaturito da correnti comuniste. Il KSCM è attraversato da dibattiti
virulenti in merito al suo progetto sociale, all’adesione all’UE e ad
un’eventuale alleanza con la CSSD. I suoi membri più anziani esprimono
spesso un orientamento più moderato, mentre quelli più giovani
propongono soluzioni a volte particolarmente radicali. Il KSCM è molto
attivo sul terreno internazionale e mantiene contatti con tutti i PC.

Traduzione di Mauro Gemma

A proposito di Srebrenica

1. Srebrenica: Una propaganda disperata (P. Teobaldelli)
2. Qualcosa a proposito di Srebrenica (M. Andolina)


=== 1 ===

SREBRENICA: UNA PROPAGANDA DISPERATA

16/06/2004 Paolo Teobaldelli (Jugoslavia)


Finalmente i cattivi serbi di Bosnia hanno riconosciuto
i loro crimini, la notizia e' ufficiale e ha fatto subito
il giro del mondo.

Venerdì 11 Giugno infatti il governo della Repubblica
Srpska ha accettato il rapporto stilato da una commissione
indipendente non legata al governo, nella quale vengono
elencati i crimini di guerra del generale Ratko Mladic
dell'esercito serbo di Bosnia nell'area di Srebrenica
nel luglio del 95'.

Il rapporto parla di circa 7.000 civili ammassati e giustiziati
sommariamente, dei quali sarebbero stati rinvenuti circa
1.200 corpi.

Le agenzie che hanno battuto la notizia pero' non sono
molto prodighe di particolari e ugualmente i giornali non
hanno fornito ulteriori dettagli.

Insomma se il governo della Repubblica Srpska ha confermato
il rapporto che altro si deve dire, era ora no?

Ma a ben vedere c'e' molto altro da dire, sia per capire meglio
la notizia stessa sia per comprendere quali siano stati i fatti
realmente accaduti in Srebrenica in quegli anni.

Iniziamo dalla notizia.

La commissione e' stata istituita dal governo della
Repubblica Srpska dopo che le precedenti commissioni avevano
stilato rapporti sempre negati dai serbi di Bosnia, e dopo
che il Rappresentante generale della Nato in Bosnia,
Ashdown aveva tuonato parole pesanti contro la Repubblica Srpska,
minacciando di istituire sanzioni e ritorsioni se entro pochi
mesi essi non avessero presentato atteggiamenti meno ostili
e "piu' cooperativi".

Un primo rilievo che qualsiasi giornalista serio dovrebbe fare
sarebbe, credo, quello di sottolineare come l'accettazione del
rapporto segua a mesi di intensa pressione della Nato sulla
Repubblica Srpska. Pressione che non e' stata operata soltanto
con parole tuonanti e minacce ma anche con atti eclatanti.

Innanzitutto i numerosi raid militari a Pale nella sede della radio
di proprieta' della figlia di Radovan Karadzic, o nei
locali amministrativi della citta'; un raid speciale svolto
anche dai carabinieri italiani nei pressi della citta' di Visegrad.

Ma sicuramente il piu' grave e' stato l'intervento nel
monastero di Pale, dove risiede il pope, amico e
confidente dell'ex. premier serbo di Bosnia Radovan Karadzic,
e suo figlio. Il raid compiuto da un commando americano
probabilmente di unita' speciali, e' avvenuto nella primavera
scorsa, di notte. Dopo aver minato il portone del monastero con
una carica esplosiva, i militari hanno fatto irruzione nel monastero.

Risultato, il giorno dopo il pope e suo figlio versavano
entrambi in gravissime condizioni. Il rapporto medico
parlava di contusioni estese in tutto il corpo provocate da
corpi metallici contundenti. La notizia che ha tenuto le
prime pagine dei giornali per giorni in Serbia, non ha avuto
(come al solito) lo stesso successo nei media occidentali.

Il racconto confuso del figlio del pope sembra confermare
l'ipotesi: i due sono stati torturati e malmenati tutta la notte
dai militari americani che cercavano in tal modo di
ottenere informazioni precise su dove si nasconda Karadzic.

E' evidente dunque che l'accettazione del governo della
Repubblica Srpska e' venuta in un momento critico
e credo sia del tutto lecito chiedersi se tale accettazione
sia una conferma dei fatti realmente avvenuti a Srebenica
o piuttosto il semplice accondiscendere alle richieste
della NATO per evitare eventuali ulteriori ripercussioni
sia sul piano economico, dato che la situazione economica
nella piccola Repubblica Srpska e' veramente disastrosa
dopo che la guerra, l'embargo e i bombardamenti NATO
ne hanno rovinato in misura determinante l'economia, sia
sul piano politico militare con la NATO che insiste in veri
e propri atti terroristici al fine di intimidire la piccola
Repubblica rea di aver resistito oltre che ai bombardamenti
anche alle pressioni successive.

Si potrebbe fare un paragone con la Libia e l'affaire
Lockerbie. Pur di porre fine all'isolamento internazionale
la Libia ha dovuto ammettere le responsabilita' pagando
persino i danni ai familiari ma poi Gheddafi ha dichiarato
alla stampa che la Libia non c'entra nulla nell'affaire
Lockerbie e che ha pagato solo per accondiscere.
Subito dopo la Libia ha iniziato a chiedere che vengano
pagati i danni causati dal criminale bombardamento
NATO del 1987 su Tripoli che e' costato la vita a molti
civili tra cui una figlia di Gheddafi.

A ben guardare quindi c'e' dell'altro. Accettando una "verita'"
e riconoscendo una propria colpa la Repubblica Srpska
ha cosi' sperato di poter finalmente vedere riconosciute
anche le proprie vittime delle operazione sporche dei soldati
e mercenari musulmani, la maggior parte delle quali sono
di gran lunga precedenti ai fatti di Srebrenica.

Lunedi' 14 Giugno infatti il governo serbo di Bosnia
ha diramato un comunicato nel quale si lamenta per
l'atteggiamento del governo musulmano di Bosnia che
non ha dal canto suo neanche istituito una commissione
di inchiesta sui fatti successi in Bosnia e mai ha
riconosciuto uno solo di tali fatti.

La differenza fondamentale e' pero' che il governo di BIH
non ha mai subito pressioni della NATO in tal senso, ne'
dal tribunale dell'Aia.

Ma veniamo ora ai fatti noti di Srebrenica.

Per comprendere quello che e' successo nel luglio del 1995
credo sia indispensabile guardare anche ai due anni precedenti
poiche' sicuramente il fatto che Srebrenica fosse stata dichiarata
"safe zone" dall'ONU non e' stato puramente casuale.

E' storia certa e documentata, anche se purtroppo nessuno
dei nostri professionali giornalisti (anche di testate di sinistra)
sembra essersene mai accorto, che in Bosnia hanno operato
gruppi armati e addestrati di mercenari provenienti dall'Italia e
dalla Germania, riforniti di armamenti occidentali stile NATO.

Tali gruppi hanno operato per la Croazia soprattutto in Slavonia
(Vukovar), Krajina, e nella Bosnia centrale (ad esempio Mostar).

Per i musulmani invece hanno combattuto gruppi di mercenari
provenienti dai paesi Arabi fondamentalisti e dalla Turchia,
legati alla rete di Bin Laden, che all'epoca svolgeva un importante
funzione nelle guerre sporche usate dal Pentagono (covert actions
e' il termine tecnico) in funzione antisocialista nelle ex
repubbliche sovietiche a forte presenza musulmana (vedi Cecenia).

Uno dei gruppi di mercenari sicuramente piu' aggressivi e
cruenti era quello comandato da Nasir Oric il quale ha svolto
operazioni militari "sporche" nella Bosnia centrale dal 93' al 95'
spingendosi sino a Srebrenica (vicina al confine con la Serbia).

E' qui che nell'inverno del 1993 l'esercito musulmano subisce
pesanti sconfitte militari ad opera del Generale Ratko Mladic
che li costringono a ripiegare su posizioni difensive, arroccandosi
nelle impervie montagne di cui il territorio dell'area di Srebrenica
e' provvisto in abbondanza.

A questo punto entra in gioco l'ONU che dichiara l'enclave di
Srebrenica una "safe zone", il che significa che nessuna presenza
militare che non siano i caschi blu sara' permessa a Srebrenica.

Il contingente dei caschi blu che entra in Srebrenica per
garantirne la sicurezza e' olandese.

Il contingente serbo bosniaco comandato dal Generale Ratko
Mladic si ritira nel pieno rispetto degli accordi, e ugualmente
le autorita' musulmane di Bosnia operano il ritiro di circa 5.000
soldati che vengono riassegnati ad altre unita' in altre zone.

Qui il primo giallo. Il ritiro dei circa 5000 soldati musulmani
avviene infatti in totale segretezza, e neanche le famiglie
dei militari vengono avvertite. Le autorita' bosniache giustificarono
successivamente tale segretezza con ragioni militari, dato che
la guerra era comunque ancora in corso in altre zone.

Fatto sta che nei mesi seguenti il fattaccio in oggetto
(nel luglio 1995) i familiari di tali soldati li piansero come
morti a Srebrenica chiedendone i corpi; sapevano infatti che essi
si trovavano a Srebrenica dove invece non erano.

Restano pero' in postazioni difensive sulle montagne dell'enclave,
come confermato anche recentemente da alcuni osservatori OSCE
che si trovavano a Srebrenica, circa 2.000 "irregolari" capeggiati
da Nasir Oric. Tali posizioni difensive sono dotate persino di
artiglieria medio leggera, mortai e lanciagranate.

Sfruttando la demilitarizzazione dell'enclave il gruppo di Oric
prosegue nella sua "guerra sporca" distruggendo circa 40 villaggi
e uccidendo circa 700 "serbi" (etichetta usata dalla propaganda
atlantica ma che in realta' significa essenzialmente "non musulmani"
e comprendente persino persone musulmane che pero' non si
riconoscono nel fondamentalismo di Izetbegovich).

Parallelamente alla guerra sporca di Oric la popolazione
dell'enclave deve subire anche i caschi blu olandesi il cui
comportamento invece di essere quello di un contingente di
pace e' piuttosto quello di un esercito invasore, con violenze
generalizzate, arresti e persino stupri.

L'accordo dell'ONU e' palesemente violato. E' in seguito ad una
imboscata operata dai mujahedin di Oric alle spese di circa 300
civili in fuga verso le postazioni ONU, impauriti dalle operazioni
di Oric, che il Generale Mladic e le autorita' serbe di Bosnia
decidono di intervenire.

L'enclave viene dunque assediata.

Qui il giallo si infittisce. Le notizie diffuse in occidente
sono fornite in gran parte da agenzie di PR atlantiche che hanno
pero' una credibilita' ormai tendente a zero date le numerose
conferme di notizie false completamente costruite, come ad esempio
quelle successive riguardanti il Kosovo (Racak).

Purtoppo i nostri professionali giornalisti continuano a ripetere
quelle notizie senza preoccuparsi della loro veridicita'.

Ma veniamo ad esse.

Mladic entrerebbe nell'enclave assediandola, operando un rastrella-
-mento generalizzato di civili ammazzandone poi sommariamente circa
7.000 e addirittura aprendo il fuoco sui caschi blu.

Le notizie provenienti invece da fonti non atlantiche sono molto
differenti.

L'assedio dell'enclave sarebbe seguito all'imboscata di Oric il
quale avrebbe anche lanciato granate sui caschi blu. L'assedio sarebbe
durato circa tre giorni, durante i quali Mladic avrebbe chiesto la
deposizione delle armi del gruppo di Oric. Questi avrebbe invece
cercato di rompere l'assedio attaccando di notte un punto delle
postazioni serbe dove non si trovava artiglieria ma cannoncini di
contraerea. L'attacco sarebbe durato tutta la notte ma senza successo,
terminando con la morte di circa 1300/1700 dei mercenari di Oric.

Alcune fonti non ufficiali riportano la notizia che i corpi dovettero
essere seppelliti dai soldati di Mladic perche' nessuno dei superstiti
di Oric se ne occupo', preoccupati piuttosto a mimetizzarsi tra la
popolazione civile per poi darsi alla macchia al momento opportuno.

Le stesse fonti dicono che fu fatta la prova pirica sui corpi, al
fine di testimoniare che essi avevano sparato e non erano quindi da
considerarsi civili inermi, e che tali prove furono consegnate a
personale ONU. Di esse si sarebbe pero' poi persa ogni traccia.

A questo punto pero' bisognerebbe porsi due domande fondamentali
dalle quali si puo' anche provare ad abbozzare un ipotesi.

Perche' nessuno nel rapporto, accettato anche dal governo della
Repubblica Srpska, parla di Oric e della violazione ad opera dei
suoi mercenari della demilitarizzazione di Srebrenica?

Perche' all'epoca dei fatti il governo musulmano di Bosnia non
dichiaro' che i 5.000 soldati presenti a Srebrenica prima del
presupposto eccidio erano stati spostati e ridislocati altrove?


Se si sommano i 5.000 soldati ridislocati e i circa 2.000 mercenari
di Oric (che essendo addetti alla guerra sporca vestivano abiti
civili come il nostro Quattrocchi in Iraq) si arriva alla cifra
di 7.000 cioe' per una strana coincidenza proprio la stessa cifra
da sempre indicata dalla Nato e da fonti atlantiche come quella
del crimine contro l'umanita' di cui Mladic e i serbi di Bosnia
si sarebbero resi responsabili.

Visto che sembra che i corpi di almeno 1200 persone siano stati
rinvenuti ma non lo sono gli altri 5.800, non sara' che la
segretezza del ridislocamento doveva servire ad additare una strage
ai serbi di bosnia? E anche qui la strana coincidenza con le fonti
non-atlantiche secondo cui appunto 1300/1700 mercenari sarebbero
morti nella battaglia, e la cifra e' molto vicina agli unici corpi
che sarebbero stati ritrovati.

E se si considera che la cifra indicata dalla NATO e' di 7.000
non sara' che l'organizzazione atlantica era anche al corrente
dei circa 2.000 mercenari di Oric nella safe zone di Srebrenica?

E' certa comunque la responsabilita' NATO nell'organizzazione di
tali gruppi, addestrati in gran parte in Turchia e fatti passare
appunto in Bosnia dalla Turchia con gli speciali visti per la
Mecca che i paesi musulmani offrono.

Quando nel 1998 si scopri' che 20.000 visti di entrata in Turchia
di passaggio per la Mecca non erano in realta' mai usciti per la
Mecca scoppio' uno scandalo che fece tremare il governo turco.

Dove erano andati a finire?

Parte in Bosnia, parte presumibilmente in Cecenia

Tuttavia senza sposare pregiudizialmente l'una o l'altra tesi,
dati gli elementi noti e accessibili a chiunque operi una prima
ricerca seria sull'evento, credo sarebbe auspicabile pero' iniziare
subito a sospendere il giudizio e smettere di replicare le
falsita' costruite in quegli anni da agenzie di PR sospette; e
iniziare piuttosto a ricercare fonti piu' credibili e notizie piu'
veritiere sui fatti avvenuti in Bosnia in quegli anni.

Sicuramente infatti, allo stato attuale delle cose, in occidente
si e' molto molto lontani dalla verita'.


=== 2 ===

In risposta a: Documentazione su Srebrenica

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3493


Da: "Marino Andolina"
Data: Lun 10 Mag 2004 15:48:21 Europe/Rome
A: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
Oggetto: Re: [JUGOINFO] Documentazione su Srebrenica

Qualcosa a proposito di Srebrenica

Io sono uno che durante la guerra in Bosnia ha frequentato da
volontario sopratutto la zona sotto il controllo serbo. L'unica
missione a Bihac controllata dal Quinto Corpo d'Armata (musulmano) per
poco non mi è costato la vita per un tentativo di rapimento mentre
entravo (primo, dopo mesi di assedio) nella zona con un carico di
viveri.
Per uno che ha sempre amato gli iugoslavi (serbi o musulmani che
fossero) Srebenica è rimasta come una ferita che stenta a rimarginare.
I serbi con cui ho diviso tante avventuare si sarebbero macchiati di
orrendi delitti a Srebrenica; le testimonianze sono molte e di diversa
fonte; quindi sembrano vere. Dopo anni di analisi dei dati disponibili,
dopo aver visto come in Kosovo i cosidetti massacri sono stati per la
maggior parte inventati (di quello di Suva Reka sono invece testimone a
carico), rivedendo i miei stessi ricordi comincio a dubitare.
Oggi ricordo che:
1) uno degli ufficiali che hanno guidato l'attacco a Srebrenica, un
integralista religioso cristiano incapace di mentire se si fa il segno
della croce, mi disse al funerale di suo padre che durante l'attacco
aveva più volte gridato al megafono chiedendo la resa dei musulmani.
Era convinto che quella fosse una battaglia fittizia, perchè Srebrenica
doveva passare ai serbi dopo accordi riservati. I difensori di
Srebrenica lo insultarono ed uno si sparò alla testa gridando "Allah
Akhbar". Dopo molti tentativi, con la morte nel cuore ordinò l'attacco
che si risolse in un massacro.
2) un mese dopo la tragedia passavo in macchina assieme ad un serbo
lungo la strada che va verso Pale. Ad un certo punto il mio amico
ammutolì e sembrò sentirsi male. Quando fu capace di parlare mi disse
che avevamo appena superato il punto in cui si era trovato un mese
prima, al centro di un scontro tra truppe serbe e soldati in fuga da
Srebrenica. Da una parte della strada i serbi che chiedevano la resa,
dall'altra i musulmani che rispondevano con insulti. Poco dopo si era
scatenato l'inferno e lui si era salvato per un pelo.
Quindi per quello che vale la mia testimonianza, centinaia o forse
migliaia di soldati di Srebrenica morirono eroicamente rifiutando di
arrendersi. Se ci sono fosse comuni, queste sono piene di corpi di
soldati morti combattendo, non di prigionieri assassinati.

Marino Andolina

From: "Andrea Catone"
Altre informazioni su: http://www.lernesto.it

---

L'Ernesto in festa

Un laboratorio per l'alternativa

Chiaserna di Cantiano (Pesaro-Urbino)

20-25 luglio 2004



Martedì 20 luglio

Apertura

Carlo Zaia Responsabile Festa
saluto di Martino Panico Sindaco di Cantiano

Ore 18.00 Conflitti di classe e movimento sindacale

Bruno Casati Responsabile Nazionale Politiche Industriali PRC
Michele Giacchè Rsu-Fiom Cantiere navale Ancona
Leonardo Miniscalchi Rsu-Fiom Fiat Melfi
Gianni Rinaldini Segretario Generale Fiom-Cgil
Vincenzo Siniscalchi Presidente Sult Alitalia Roma

Ore 21.00

Sulle rivoluzioni comuniste del '900
Presentazione del libro:

Problemi della transizione al socialismo in URSS
(a cura di Andrea Catone ed Emanuela Susca, La città del sole, Napoli,
2004)

Andrea Catone Storico del movimento operaio
Domenico Losurdo Docente di filosofia Università di Urbino
Giuseppe Prestipino Docente di filosofia Università di Roma
Coordina Bianca Bracci Torsi Direzione Nazionale PRC

Ore 22.30 Concerto rock

"Nottetempo" Cinema e Rivoluzione "La Nuova Babilonia"



Mercoledì 21 luglio

Ore 18.00
Dalle elezioni all'alternativa:
programma e ruolo delle sinistre
Paolo Cento Deputato dei Verdi
Gianluigi Pegolo Responsabile Nazionale Enti Locali PRC
Aldo Tortorella Presidente ARS
Maurizio Zipponi Segretario Generale FIOM Milano
Coordina Rina Gagliardi Condirettrice di "Liberazione"

Ore 21.00
Giovani comunisti, disobbedienti, movimento dei movimenti
Francesco Caruso Movimento dei Disobbedienti Campania
Michele De Palma Coordinatore Nazionale Giovani Comunisti
Letizia Lindi Coordinamento Nazionale Giovani Comunisti
Coordina Francesco Maringiò Coord. Nazionale Giovani Comunisti

Ore 22.30
Concerto del gruppo musicale THE GANG

"Nottetempo"Cinema e Rivoluzione "Ottobre"



Giovedì 22 luglio

Ore 18.00
I comunisti, la sinistra e l'Europa
Piero Di Siena Capogruppo Senato DS
Fausto Sorini Direzione Nazionale PRC
Luciano Vasapollo Direttore del Cestes e di "Proteo"
Jacopo Venier Responsabile Nazionale Dipartimento Esteri PdCI
Coordina GianMarco Pisa Esecutivo Giovani comunisti Campania

Ore 21.00
Contro la guerra: esperienze di lotta
Presentazione del libro di Alberto Burgio

Guerra. Scenari della nuova "grande trasformazione"

Alberto Burgio Responsabile Nazionale Dipartimento Giustizia PRC
Mariella Cao Comitato sardo "Gettiamo le basi"
Giovanni Montefusco Forum contro la guerra
Coordina:Fosco Giannini Direttore de "l'ernesto"

Ore 22.30
Concerto: FRANCO TRINCALE cantastorie italiano

"Nottetempo" Cinema e Rivoluzione "Tre canti per Lenin"


Venerdì 23 luglio

Ore 18.00
"Guerra infinita" e movimento per la pace
Samir Amin Economista, direttore Forum Terzo Mondo
Gianfranco Benzi Responsabile Nazionale Cgil rapporti con i Movimenti
Giovanni Franzoni Teologo, comunità cristiane di base
Bruno Steri Dipartimento Nazionale Esteri PRC
Coordina: Beatrice Giavazzi Redazione de "l'ernesto"

Ore 21.00
Il potere, la violenza, la resistenza
Presentazione del volume degli atti del convegno di Milano
promosso da "l'ernesto" presso la Casa della Cultura
Stefano Chiarini Inviato de "il manifesto"
Lidia Cirillo Direttrice della rivista "Quaderni Viola"
Raniero La Valle Direttore della Scuola "Vasti"
Coordina Mauro Cimaschi Direttore coop Filorosso, editrice de "l'ernesto"

Ore 22.30 Concerto rock: THE GROOVERS

"Nottetempo" Cinema e Rivoluzione "La battaglia di Algeri"



Sabato 24 luglio

Ore 18.00 Cuba: un fronte di solidarietà
Roberto Foresti Presidente Associazione Nazionale Italia-Cuba
Gennaro Migliore Responsabile Nazionale Dipartimento Esteri PRC
Luciano Pettinari Coordinatore Aprile, Direzione Nazionale DS
Hugo Ramos Milanes Consigliere Ambasciata di Cuba in Italia
Alessandra Riccio Condirettrice con Gianni Minà di LatinoAmerica
Marco Rizzo Deputato Europeo PdCI
Coordina Gianni Favaro Redazione de "l'ernesto"

Ore 22.00
Proiezione del film "In viaggio con Che Guevara"
di Gianni Minà

Ore 22.30
Musica latinoamericana



Domenica 25 luglio

Chiusura
saluto di Orfeo Goracci sindaco di Gubbio

Ore 18.00
Farla finita con Berlusconi: e dopo?
Rosy Bindi Deputata Margherita
Daniele Farina Centro sociale "Leoncavallo" di Milano
Pietro Folena Deputato DS
Claudio Grassi Segreteria Nazionale PRC
Niki Vendola Deputato Europeo PRC
Coordina Valentino Parlato Giornalista de "il manifesto"

Ore 21.00
Serata danzante: GRUPPO FOLIE

"Nottetempo" Cinema e Rivoluzione "Viva Zapata"



Prenotazioni- informazioni:
cell. 335 6449117 - tel/fax 0721 783020 -
e-mail: festaernesto @... - www.lernesto.it



---



Problemi della transizione al socialismo in URSS

Atti del convegno svoltosi a Napoli, 21-23 novembre 2003

a cura di Andrea Catone ed Emanuela Susca
con la collaborazione di Susanna Angeleri


INDICE del libro (410 pp.)

Sergio Manes, Introduzione al Convegno [1]





I. Questioni generali: Rivoluzione e transizione al socialismo



Alessandro Mazzone, Rivoluzioni nel `900 e transizione verso il
socialismo. Qualche punto di riferimento.[2]



Domenico Losurdo, Stalin, le delusioni del messianismo rivoluzionario
e il mito della "rivoluzione tradita" [3]



Alexander Höbel, Il crollo dell'Unione Sovietica. Fattori di crisi e
interpretazioni [4]





II I problemi di un'economia socialista



Gianni Fresu, Lenin, la questione contadina, il problema delle
alleanze [5]



Adriana Chiaia, La collettivizzazione dell'agricoltura in URSS: una
vittoria decisiva dell'economia socialista [6]



Gianfranco Pala, Categorie economiche marxiste della società di
transizione dal capitalismo al socialismo. Che fine ha fatto Monsieur
Ramboz? [7]



Fausto Sorini,Dalla NEP al "mercato socialista": tra passato e
presente, note su alcuni problemi della transizione al socialismo [8]



Andrea Catone, "Problemi economici del socialismo": le questioni poste
alla società sovietica [9]





III. Stato e diritto nella società di transizione



Aldo Bernardini, Considerazioni sulle costituzioni sovietiche [10]



Lorenzo Pace, La dittatura del proletariato in URSS negli anni '20 e
'30 [11]



Cristina Carpinelli, Donne e famiglia nella Russia sovietica dagli
anni Venti agli anni Quaranta [12]





IV Alcuni nodi problematici della storia dell'URSS e del movimento
comunista internazionale

Ruggero Giacomini, Stalin e Trockij di fronte alla politica dei fronti
popolari e alla guerra [13]



Alessandro Leoni, Il patto Ribentropp-Molotov [14]



Marcello Graziosi, La politica dell'URSS tra il 1975 e il 1985 [15]



Kurt Gossweiler, Il revisionismo, affossatore del socialismo [16]





V Cultura e rivoluzione



Ferdinando Dubla, Anton S. Makarenko e la didattica del collettivo:
una nuova metodologia per l'organizzazione del processo educativo [17]



Guido Oldrini, La svolta del cinema sovietico in età staliniana [18]



H. H. Holz, "Il marxismo e la linguistica": il "testamento teorico" di
Stalin [19]



Andrea Martocchia, Problemi della ricerca scientifica in URSS [20]





Appendice. Dopo l'URSS...



Mauro Gemma, Lo schieramento politico russo alla vigilia delle
elezioni legislative [21]









Dal retrocopertina



La transizione dal capitalismo al socialismo è una delle questioni
centrali della storia recente, che ha attraversato gran parte del
`900. La sua mancata o parziale soluzione ha, per il momento,
determinato la sconfitta delle esperienze che convenzionalmente
vengono definite di "socialismo reale", con il conseguente
sconvolgimento negli assetti economici e politici sull'intero pianeta
negli ultimi anni del XX secolo.

Essa è, tuttavia, questione aperta, di immensa portata e complessità,
decisiva per la storia dell'intera umanità. Una storia oggi rimossa, o
prevalentemente scritta da chi vede in essa una sequela imperdonabile
di errori ed orrori.

C'è invece bisogno di studi scientifici e critici per liberare la
storia dell'URSS e delle rivoluzioni socialiste dalla gabbia di
menzogne, denigrazioni, demonizzazioni, categorie interpretative
parziali, riduttive, devianti ("burocrazia", "statalismo",
"totalitarismo") che è stata costruita nel corso del `900 e si è
consolidata in questi ultimi anni di revisionismo storico e
stravolgimento dei fatti.

Oggi si avverte forte il bisogno di riappropriarsi, senza
giustificazionismi apologetici e senza demonizzazioni, di quella
storia di uomini in carne ed ossa che hanno tentato in condizioni
difficilissime "l'assalto al cielo", il più grandioso progetto di
emancipazione che l'umanità abbia conosciuto.

Nessuno che si ponga oggi nella prospettiva di trasformare
radicalmente i rapporti sociali nel mondo può ritenere di eluderla o
aggirarla, ritenendola storia altra, o addirittura opposta rispetto al
suo progetto. Senza teoria e conoscenza delle esperienze di
transizione al socialismo, nessun altro mondo è possibile...





Al Convegno si sono poste le basi per la costituzione del Centro studi
sui problemi della transizione dal capitalismo al socialismo






il prezzo di copertina del libro è di 24 euro. Con l'editore Sergio
Manes e il distributore della DIEST Enrico Vigna stabiliremo insieme
le forme e modi più efficaci per una distribuzione "militante" a un
prezzo sensibilmente ridotto..
Circoli, associazioni, singoli interessati all'argomento
possono organizzare la distribuzione del libro e/o una sua presentazione.


---


Perché nasce il

Centro studi sui problemi della transizione dal capitalismo al socialismo

Scopo del Centro studi sui problemi della transizione al socialismo è
di intraprendere un percorso di ricerca di lungo periodo e di grande
impegno sui problemi della transizione dal capitalismo al socialismo
che resta una delle questioni centrali della storia recente, che ha
attraversato gran parte del '900.

Per conseguire tale scopo il Centro studi sui problemi della
transizione al socialismo opererà concretamente per:

a. recuperare, raccogliere, organizzare e rendere disponibili tutti i
materiali (documenti, pubblicazioni, testimonianze) di qualsivoglia
natura (a stampa, manoscritti, immagini, sonori, multimediali)
inerenti le esperienze - realizzate o in corso di realizzazione - di
transizione dal capitalismo al socialismo;

b. stimolare la ricerca su tutte le tematiche (teoriche, politiche,
economiche, sociali, culturali) connesse con quelle esperienze;

c. utilizzare – direttamente o indirettamente – i materiali raccolti e
gli elaborati prodotti per divulgare i risultati del lavoro svolto e
proseguire nella ricerca, per stimolare il dibattito, per operare
concretamente sul terreno della formazione.



In particolare, il Centro:

1. richiederà il patrocinio e il sostegno di organizzazioni e di enti
pubblici e privati;

2. potrà realizzare accordi di collaborazione, occasionali e
permanenti, stipulare convenzioni e protocolli d'intesa e/o di lavoro
con enti e organizzazioni di qualsivoglia natura, salvaguardando, in
ogni caso, la propria autonomia scientifica e operativa, formale e
sostanziale;

3. stabilirà relazioni e opererà di concerto con enti, organizzazioni
e iniziative similari, anche territorialmente lontane dall'area di
interesse e di intervento diretto, e opererà per favorire dovunque la
nascita e l'attività si strutture simili o complementari;

4. si doterà di attrezzature e impianti idonei e necessari a
consentire la consultazione e la fruizione – anche a distanza – dei
materiali disponibili o presenti presso il Centro e in altre strutture
collegate. A tale scopo provvederà a stipulare gli accordi e le
convenzioni necessarie, nonché ad informatizzare via via i propri fondi;

5. si attiverà – con pubblicazioni specifiche o con altri mezzi e
iniziative – per far conoscere, rendere maggiormente fruibili e
diffondere i materiali custoditi direttamente o raggiungibili in rete
telematica, o disponibili presso strutture collegate;

6. organizzerà – presso la propria sede, in luoghi decentrati o in
rete telematica – seminari, corsi di lezioni, laboratori, conferenze,
convegni e ogni altra attività di informazione, di discussione e
formazione, anche utilizzando materiali audiovisivi e informatici;

7. promuoverà – in proprio o di concerto con altri enti – ricerche e
studi, individuali o collettivi, anche istituendo premi, borse di
studio e altri incentivi o sostegni morali e materiali in favore di
giovani studiosi e di lavoratori;

8. potrà gestire strutture permanenti o temporanee sul territorio,
aprire sedi secondarie, distaccate o affiliate o consentire a
organizzazioni associazionistiche esistenti – o di cui potrà
incoraggiare la formazione – di aderire al Centro e di collaborare con
esso.

[Riceviamo, con richiesta di inoltro, e volentieri giriamo:]


LA STRAORDINARIA
Ljiljana Petrovic Buttler
nelle Notti di San Lorenzo a Milano
Cascina Monluè
mercoledì 14 luglio 2004


Ljiljana Petrovic Buttler è una delle più popolari cantanti gitane in
attività, al punto che nessuno ha messo in discussione il titolo di
Madre dell'Anima Gypsy rivendicato dal recente album "Mother Of Gypsy
Soul". Una carica cui si sommano le definizioni accumulate in tanti
anni di attività nella ex Jugoslavia, dove la critica parlava
apertamente di "Ella Fitzgerald Zingara" oppure di "Billy Holiday
della musica Gypsy".
Il timbro vocale della Buttler è cavernoso, inquietante, evocativo,
lontano dai cliché della musica balcanica festosa e di
intrattenimento. È un approccio di alto profilo, che si rapporta alla
base popolare come Virginia Rodrigues affonda le proprie radici nelle
feste di strada di Bahia. Ciò non impedisce ai suoi spettacoli di
coltivare l'aspetto ludico della musica del popolo senza terra.
Proprio il disco "Mother Of Gypsy Soul" ha fatto scoprire al pubblico
internazionale le potenzialità della voce di Ljiljana e della vocalità
gitana in materia di profondità e ricerca. L'album è stato realizzato
con l'ausilio della Boban Markovic Orckestra, ed è distribuito in
Italia dall'etichetta di area jazz Egea.
È invece il gruppo bosniaco Mostar Sevdah Reunion ad accompagnare la
Buttler in tournée, con esibizioni frequenti e fortunate, che nel 2003
hanno visto lo spettacolo ospite del Barbican Center di Londra,
dell'International Gypsy Festival di Tilburg in Olanda e
dell'International Jazz Festival di Dusseldorf. In seguito alla
pubblicazione dell'album e ai tanti concerti tenuti in Francia, Le
Monde ha definito la voce di Ljiljana Buttler "potente, energica,
fantastica".

(per i nostri: i nemojte mi reci da se ne secate one "Dusko, Dusko!" :)

---------------------------------------------------------------------------=
---------------------
Cascina Monluè risale ai primi anni del XII secolo e successivamente
venne affiancata dalla chiesa di San Lorenzo, datata 1267. La
parrocchiale, in realtà, esiste già nel 1244 ma l'aspetto attuale
deriva dalla ricostruzione operata dai monaci dell'ordine degli
Umiliati, appunto nel 1267. La cascina si sviluppò negli stabili che
originariamente costituirono il complesso monastico connesso alla
chiesa di San Lorenzo. Si trova vicino all'uscita C.A.M.M. della
Tangenziale Est.
---------------------------------------------------------------------------=
---------------------


Lj. P. B. è anche a:
Torino (non so dove)
venerdì 16 luglio ore 21,30
Protagonisti del concerto torinese sono la voce solista di Ljiljana
Petrovic Buttler, l'accompagnamento vocale di Ilijaz Delic,
fisarmonica e clarinetto di Mustafa Šantic, il violino di Nedjo
Kovacevic, la chitarra solista di Mišo Petrovic e quella ritmica di
Sandi Durakovic, il contrabbasso di Kosta Latinovic e le percussioni
di Senad Trnovac.
Ingresso libero!

Il 13 luglio, invece, ad Asti.

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *
* * * * * * * * *

Restando nei Balkani, ma "spostandoci" in Bulgaria - ecco le
segnalazioni di Paolo di Ratka Piratka:

<<Due parole per segnalarti che il 10 luglio la mia cantante Sissi
Atanassova canterà ad AREZZOWAVE. Poi sarà a Milano assieme ad
un'altra zingara di Bulgaria (mezzosoprano di gran talento), Daniela
Diakova e un suonatore di Gaida, che si esibiranno
il 22/7 ai Bagni Botta, in Via Botta e
il 23/7 al ristorante "Le regioni d'Italia" in Via Manara
(per prenotare il ristorante con lo spettacolo del 23: tel.3358024499),
per chiudere con un concerto fatto da improvvisazioni sonore e vocali
con un altro tenore Bulgaro, Toni, e musicisti italiani, il 25/7 a
Genova nell'ambito della mostra multimediale "Normali Meraviglie".>>

I posti:
<<Bagni Botta si trova in Via Botta ed è una piscina comunale dove
d'estate la sera ci si incontra e si conversa in orario aperitivi.
La sera dopo è un ottimo ristorante di un caro amico in Via Manara (a
fianco del Tribunale).>>

Per quanto riguarda i prezzi:
<<Ai Bagni Botta ti danno un tagliando quando entri e la consumazione
viene registrata sullo stesso, che va consegnato all'uscita dopo aver
pagato, con un tagliando apposito. Mi sembra che solo durante i
concerti vi sia l'obbligo di consumare (min. 1 birra media 7 euro).
Il ristorante del mio amico Sergio fa un prezzo fisso di 30 Euro,
compreso lo spettacolo musicale, e la cucina del figlio Giovanni è
sempre ottima e le porzioni abbondanti. E' davvero conveniente!!!>>


Sissi Atanassova
Cantante Bulgara di origine zingara, Sissi Atanassova è a soli 24 anni
una vera star della "cialga", e la sua voce è la colonna sonora delle
notti di Sofia. Nata in un sobborgo di Silven-Ziataritza, nel centro
della Bulgaria, Sissi comincia a cantare giovanissima a feste,
matrimoni e battesimi, riscuotendo una crescente popolarità.
Trasferitasi a Veliko Tarnovo, l'antica capitale bulgara, diventa in
breve tempo la principale attrazione della vita notturna.
All'età di 22 anni viene invitata a Milano per incidere la canzone
"Bum Bum Boje" e le improvvisazioni in lingua Rom sul tema della
colonna sonora del film di Giovanni Soldini "Brucio nel vento"
composta da Giovanni Venosta. Mentre Bum Bum Boje diventa un successo,
incide per la Sensible Records il suo primo disco italiano.
Sissi Atanassova interpreta dei motivi classici del popolo zingaro del
sud dei Balcani, suonati e cantati durante le feste: dagli inni della
comunità zingara alle struggenti canzoni d'amore. Nel suo repertorio
non mancano le canzoni tradizionali di città, che accompagnavano negli
anni trenta le serate dentro e fuori le osterie tipiche di Atene e
Istambul, e che conservano una traccia di nostalgia per la coesione e
il cosmopolitismo che hanno caratterizzato la convivenza delle
popolazioni balcaniche in alcuni periodi dell'impero ottomano. Ad
accompagnarla in questo panorama della canzone balcanica remota e
recente, un'orchestra di cialga composta da musicisti zingari. Gli
strumenti di riferimento sono il clarinetto, la fisarmonica, la
gadulka (strumento a corda tradizionale, simile al bouzuki greco) e la
darabuka (strumento a percussione presente in tutta l'area balcanica e
mediorientale). Nella cialga questi elementi della tradizione sono
integrati con strumenti elettrici e con la batteria, che assicura
l'accompagnamento base, mentre alle percussioni è affidato il compito
dell'abbellimento ritmico.

- D la Repubblica delle Donne 28/6/03 -
"Sulle barriere che fermano o hanno fermato la musica non si dirà mai
abbastanza....ma raramente si guarda all'est. Eccellente occasione,
dunque, questo disco di Sissy Atanassova... Oggi le musiche
balcaniche, le impronte folk delle grandi pianure dell'est, le
influenze turche si possono mischiare liberamente. E la cialga, che è
il risultato di tutto questo pop e folk 'sdoganato', impazza in tutta
l'area balcanica. Risultato: un disco gradevolissimo, straziante e
spiazzante in certi casi, saltellante e allegro in alcuni passaggi.
Tra fisarmoniche, sax, percussioni, chitarre e gli immancabili violini
di scuola tzigana, il disco pop che non ti aspetti, delizioso e naif.
Sissy ha una voce cristallina che ne fa la reginetta di Bulgaria e
dintorni. Brava."

- Gulliver giugno 03 -
" E' l'Alicia Keys della musica chalga: bella , brava e dotata di una
voce che le consente di percorrere i mille sentieri di questo genere
musicale. Versatile."

- Cipria luglio/agosto 03 -
"Ventiquattro anni, bulgara di origine rom, è l'Alicia Keys della
musica chalga, un genere musicale che impazza nei Balcani. Un invito
alla trasgressione del sesto comandamento: genialità zingara, pulsioni
balcaniche, afrori mediorientali."

Il disco
SISSI ATANASSOVA - "BUM BUM BOJE" - Sensible Records, maggio 2003

Presentazione di Paolo Giulini:

Buona parte dei brani scelti per questo primo disco della giovane
cantante bulgara di origini zingare, Sissi Atanassova, sono
rappresentativi di un genere musicale - la 'Cialga' - oggi molto in
voga nell'area dei Balcani e che ha conosciuto un vero e proprio boom
di diffusione, al punto da caratterizzare il sorgere di appositi
locali da ballo, in tutte le città principali di questa regione d'Europa.
Tale genere si può definire anche con i termini di Folkpop o Etnopop.
Le musiche popolari dei Paesi balcanici sono state contaminate da
sempre dalle tonalità orientalistiche provenienti dall'influenza
dell'Impero Ottomano e ancor più dall'espressione musicale delle
popolazioni zingare.
Negli ultimi anni il folkpop dei diversi Paesi balcanici è diventato
sempre più etnico, ovvero molto integrato con le espressioni musicali
tipiche delle minoranze gitane. Ad esempio a partire dai primi anni
'80, gli stilemi orientali diventarono parte integrante del folkpop
serbo, ovvero di quella musica popolare basata sulle tradizioni locali.
Questo stile definito "Pop-Narodna" si diffuse rapidamente anche in
Macedonia e arrivò in Bulgaria attraverso le registrazioni pirata, in
quanto in quegli anni il governo comunista bulgaro, a causa di una
rigida politica culturale monoetnica, che enfatizzava l'autentica
musica popolare bulgara, arrivò a proibire le esibizioni pubbliche di
musica gitana e turca e il particolare tipo di danza del ventre che le
accompagnava, il 'Kyuciek'. Fino alla caduta del regime comunista
vennero repressi gli ascolti e le esecuzioni delle musiche degli
zingari e delle tonalità ispirate alle tradizioni ottomane. Le
caratteristiche bande musicali che hanno sempre accompagnato i
matrimoni bulgari e balcanici - i cosiddetti musicisti Svatbarski - ,
il cui repertorio tradizionale è costituito da diversi balli di
origine orientale, pur suonando in feste private, rischiavano di venir
perseguite e arrestate se avessero eseguito musica 'Cialga' gitana.
Tale rigido sistema di sanzioni contro la musica si allineava ad
un'operazione specifica di pulizia etnica iniziata nel 1984 ad opera
del governo comunista di Todor Zhivkov, per cui ogni pratica o simboli
appartenenti ai residui di cultura ottomana o turca furono banditi, ed
i cittadini di minoranza turca costretti a 'bulgarizzare' i propri
cognomi. Queste misure portarono a scioperi e dimostrazioni represse
violentemente, e alla fine del 1989, all'esodo forzato di massa di
circa 250.000 bulgari di etnia turca verso la Turchia.
Tra questi fuggitivi c'era anche il cantante e fisarmonicista zingaro
Cigulì (Binnaz, traccia 3) chiamato così dai turchi per il modello
dell'auto con la quale emigrò dalla Bulgaria-la 'Zigulì', ovvero la
Fiat 124 fabbricata a Togliattigrad - e diventato in pochi anni una
vera star della musica 'Cialga' in Turchia, ispirando altri cantanti e
autori come Ebru Gundes e Sinan Ozseker (Cinghenem, traccia 13), Ebru
Yasar e Ufuk Sentire (Burak Yakimi, traccia 7).
Il genere 'Cialga' si diffonde rapidamente nelle capitali balcaniche e
si caratterizza come contaminazione di tonalità zingare con i ritmi
sincopati delle musiche popolari balcaniche e degli elementi
orientalistici. Questi ultimi, in parte sono residui della tradizione
ottomana e in parte derivano da una recente influenza, soprattutto nel
folkpop turco, delle tonalità 'arabesche', che riscuotono attualmente
molto successo di pubblico e reazioni di fanatismo in Turchia, dove i
concerti di cantanti come Müslüm Gürses("la voce forte") e Ibrahim
Tatlises("la voce dolce"), vengono accolti da fans deliranti e in
tripudio.
Le orchestre di 'Cialga'sono quasi sempre formate da musicisti
zingari. Gli strumenti acustici di riferimento sono il clarinetto, la
fisarmonica e la Gadulka (o Saz o Bouzouki, strumento a corda
tradizionale) con l'uso di percussioni a mano (Darabuka). Queste
formazioni tradizionali oggi si integrano ad un organico orchestrale
formato per lo più da strumenti elettronici, il cui accompagnamento
base è prodotto da una batteria di tipo occidentale, mentre la
percussione a mano diventa una sorta di abbellimento ritmico. Questo
passaggio al suono 'sinthy-pop' (Telefoni, traccia 4; Gelam Dade
Tudureste, traccia11) si è ispirato al modello del 'pop-narodna'
jugoslavo (Vesa Kurkela).
L'abbondante uso di strumenti elettronici nel folkpop balcanico, non è
solo il portato della modernizzazione ma ha anche motivi economici,
dovuti sia al costo proibitivo per i musicisti di questi Paesi degli
strumenti tradizionali, che alla possibilità di abbattere i costi con
pochi suonatori e l'ausilio di un sintetizzatore, per riprodurre i
suoni di un'intera orchestra.
Questo nuovo folkpop, si diceva, presenta molti elementi orientali.
Ciò non solo nelle formule melodiche, ma anche nel suono delle voci e
degli strumenti. Per esempio i clarinettisti di 'Cialga' prediligono
timbri nasali ed intonazioni roche simili al suono del Zurla(oboe
ottomano). Lo stile dei Makam (improvvisazioni nella musica classica
ottomana, di influenza persiana)percorre modalità musicali con suoni
aggiunti e semitoni, 'fuori posto' per le tonalità occidentali.
L'ascolto dell'etnopop o folkpop balcanico non è precisamente
riferibile, per l'insieme di contaminazioni descritte, ad una
specifica entità culturale. Si tratta di uno stile musicale nuovo ed
eccitante, che comprende molta musica consolidata e suonata dai tempi
più remoti in quei territori. Le accentuazioni orientali hanno anche
un effetto terapeutico, diventano veicolo di protesta che
controbilancia le attese deluse di uno sviluppo economico e politico
ispirato all'Europa, ma che stenta a decollare.
Anche l'ascoltatore occidentale si fa coinvolgere dalle tonalità
esotiche della 'Cialga' e dai suoi ritmi vivaci e sinuosi, come
immersi in un'alterità straniera, che però suona familiare e
rassicurante. La vera forza coinvolgente di queste musicalità è la
produzione di atmosfere a noi sconosciute, che avvolgono i festanti in
una sensazione di sensuale compartecipazione e condivisione, che
culmina nel 'Kyuciek'.
Il 'Kyuciek' è una sorta di danza del ventre che nei locali di
'Cialga' viene eseguita da ballerine, in costumi succinti e dai colori
brillanti, che ispirano con i loro movimenti i clienti a seguirle
nelle danze o si fanno ammirare ballando sui tavoli, dribblando
bottiglie di whisky e insalate di frutta.
Tale danza ha una configurazione ritmica in metrica doppia, con un
sistema binario di voci dette dum(suono percussivo basso) e tek(acuto).

Questo fenomeno musicale e di intrattenimento è purtuttavia molto
contrastato e criticato nei Paesi balcanici da buona parte delle
locali avanguardie artistiche e culturali. Esso provoca una "sindrome
delle sopracciglia alzate"(Claire Lévi), vale a dire l'alterigia
sanzionante della cosiddetta élite culturale, che definisce questa
tendenza del folkpop balcanico, come musica grezza e rozza, i cui
testi, spesso scarni e talvolta volgari, sono ridicolizzati. La
'Cialga' usurperebbe le tradizioni musicali nazionali e introdurrebbe
modi di divertimento e svago poco aggraziati e consoni solo a quegli
strati sociali di nuovi ricchi, beneficiari di fortune ottenute in
modi assai dubbi e sospetti, e privi di una educazione e di una
cultura di riferimento. Spesso questi accenti critici si accompagnano
all'intolleranza sempre più diffusa nei Balcani nei confronti
dell'etnia zingara.
I musicisti zingari sono i veri esecutori di queste tendenze musicali,
capaci di interpretare a modo loro le locali musiche tradizionali e
farle proprie attraverso le contaminazioni che caratterizzano il
successo dell'attuale folkpop balcanico.

Anche i motivi tradizionali degli zingari che abitano quest'area
d'Europa, sono frutto di originali e interessanti incroci melodici.
In questo disco Sissi Atanassova canta, ispirata dalle sue origini
gitane, dei motivi classici del popolo zingaro del sud dei Balcani,
suonati e cantati durante le feste di matrimonio e anche per le
separazioni. Dagli inni della comunità zingara, Gelem, gelem (traccia
8) e Haidi Rumelay (traccia 6), alle struggenti canzoni d'amore, Chaje
Shukarije (traccia 2) e Zelenaja Aka (traccia5).

In questo panorama della canzone balcanica, remota e recente, non si è
voluto rinunciare allo stile delle 'canzoni tradizionali di città',
che accompagnavano negli anni '30 le serate, dentro e fuori le osterie
tipiche di Atene e Istanbul, con una traccia di vaga nostalgia per
quella coesione e quel cosmopolitismo linguistico e culturale che
caratterizzavano le convivenze delle popolazioni balcaniche, in alcuni
periodi dell'Impero Ottomano (Aman Katerina Mu, traccia 10, cantata
sia in lingua greca che in lingua turca).
Le liriche tradizionali popolari dei Balcani sono cariche di poeticità
e di armonia e raggiungono una forza romantica unica. Tali
caratteristiche sono tipiche in particolare delle canzoni macedoni.
Nondimeno si scoprono affini melodie nella lontana isola di Creta,
come la canzone tradizionale cantata da Sissi e tutta dedicata alla
mamma (Mana, traccia 15).

-------
Sul sito della Sensible Records
(http://www.ishtar.it/framerecords.htm) potete ascoltare alcuni
campioni dei brani e acquistare online il CD.