Informazione
[Ricordiamo che a Torino si tiene anche, il giorno prima 10 febbraio 2018, l\'importante convegno sul \"Giorno del Ricordo\": https://www.cnj.it/home/it/iniziative/8732-torino-10-2-2018-giorno-del-ricordo,-un-bilancio.html ]
A Torino e Bologna due iniziative sullo scoppio della Prima Guerra Mondiale
L’attentato di Sarajevo (28 giugno 1914) ad opera del giovanissimo patriota jugoslavo Gavrilo Princip è usato dall’Austria-Ungheria come pretesto per la aggressione alla Serbia e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Prima ancora che l’Italia entri in conflitto, nell’agosto dello stesso anno, sette italiani ispirati a ideali garibaldini e internazionalisti partono volontari per combattere al fianco dei Serbi: in cinque periranno al primo scontro...
\"1914. FRATELLANZA GARIBALDINA TRA ITALIA E SERBIA-JUGOSLAVIA\"
Ripercorriamo gli eventi attraverso le opere dei registi
Nikola Lorencin: I SETTE DELLA DRINA (Serbia 2016)
Eric Gobetti: SARAJEVO REWIND 1914-2014 (con Simone Malavolti, Italia 2014)
Presentazione da parte dei registi stessi, presenti in sala.
Introduzione di Andrea Martocchia (segretario, Jugocoord Onlus).
A TORINO, domenica 11 febbraio 2018
alle ore 21 presso la Associazione Piemonte-Grecia, Via Cibrario 30 bis
A BOLOGNA, martedì 13 febbraio 2018
alle ore 20:30 presso il centro culturale Costarena, Via Azzo Gardino 48
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Bassa Comasca, 26 gennaio 2018
La Digos della Questura di Milano e la Digos di Como hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione con finalità di terrorismo.
Terrorismo
L’operazione prende il nome di “Talis pater”. Il provvedimento è nei confronti di due egiziani di 51 e 23 anni, padre e figlio, residenti in Provincia di Como. Tramite un provvedimento del Ministro dell’Interno è stata rimpatriata, per motivi di sicurezza personale, la cittadina marocchina 45enne moglie e madre dei due.
Abitavano a Fenegrò
La famiglia viveva a Fenegrò. In manette è finito il padre, Sayed Fayek Shebl Ahmed, classe 1966, ex Mujahideen in Bosnia. Il figlio, Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed, è andato in Siria dal 2014 dove si trova tuttora. Rimpatriata in Marocco la moglie e madre dei due, Imrane Halima.
Il padre mandò il figlio in Siria
Il padre, 53 anni, in Italia, a Milano, dal 1996, l’anno successivo è arrivato a Como. L’uomo era partito dalla Bosnia dove era stato un Mujahideen. Il figlio maggiore, 23 anni, si trova in Siria, su di lui attualmente c’è un mandato di cattura internazionale. E’ stato proprio il padre ad indottrinarlo al fondamentalismo, quando nel 2014 aveva visto che i figli stavano diventato troppo occidentali. Ha quindi deciso di mandarlo in Siria, sotto l’ala protettrice di un suo ex commilitone della guerra in Bosnia. A quel punto Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed è entato a far parte di un gruppo filo Al Qaeda denominato Al Zenki, dove è diventato un foreign fighter.
Finse di collaborare con le Forze dell’ordine
Nel 2015 il padre è andato in Questura, fingendo di voler collaborare con le Forze dell’ordine e denunciando il figlio in Siria e sostenendo di essere preoccupato per la situazione. Il suo reale scopo era quello di provare a togliere i sospetti su di lui. Nel frattempo il giovane in Siria, per un periodo, ha cambiato gruppo, legandosi all’Isis con il gruppo Hajat Thair Ash Sham. Dopo questa esperienza è però tornato nel gruppo d’origine. Ora si trova in Siria dove si è sposato e ha un bambino di 3 anni. Le indagini delle Forze dell’ordine sono cominciate proprio nel 2015. Dopo aver messo sotto controllo padre e madre di Saged, hanno subito capito la verità. Attraverso alcune intercettazioni telefoniche si è scoperto che il ragazzo mandava alla famiglia dei video dove era protagonista di alcune esecuzioni. Il padre poi era solito mandare 200 euro mensili al figlio.
La madre e moglie
Classe 1972, di origine marocchina, verrà rimpatriata nel pomeriggio di oggi. Le indagini hanno fatto emergere che approvava il comportamento del marito e del figlio, per questo anche lei è stata considerata un pericolo per la sicurezza dello Stato. Non potrà tornare in Italia per i prossimi 10 anni.
Gli altri figli
Non sono stati considerati implicati nella vicenda gli altri due figli della coppia, un ragazzo di 20 e una ragazza di 18 anni (nata a Como e diventata cittadina italiana di recente). I due giovani hanno sempre discusso con la famiglia per il loro fondamentalismo.
13/06/2016
L\'episodio non è stato praticamente registrato dai media europei, ancora sotto choc per i fatti di Parigi. Rappresenta tuttavia l\'ennesimo attentato riconducibile al terrorismo islamista avvenuto nel paese balcanico a partire dal 2010.
Nel giugno di quell\'anno venne fatta esplodere una bomba fuori dalla stazione di polizia di Bugojno, in Bosnia centrale. Un poliziotto, Tarik Ljubuškić, morì, e sei suoi colleghi rimasero feriti.
L\'anno dopo, a Sarajevo, Mevlid Jašarević aprì il fuoco con un kalashnikov contro l\'Ambasciata degli Stati Uniti, ferendo un poliziotto. Infine l\'anno scorso, il 27 aprile, Nerdin Ibrić ha assalito con un fucile automatico i militari della stazione di polizia di Zvornik, nella parte del paese a maggioranza serba, gridando “Allah Akbar” e uccidendo l\'agente Dragan Đurić prima di venire ucciso a sua volta.
Balcani, serbatorio di foreign fighters
La tipologia degli attentati avvenuti in Bosnia è diversa dalle stragi perpetrate dall\'autoproclamatosi “stato islamico” nelle grandi capitali europee. Ad essere colpiti sono obiettivi stranieri, oppure rappresentanti delle locali forze di sicurezza, militari o poliziotti.
I civili non sono stati finora coinvolti, il che lascia presupporre una strategia diversa dei gruppi radicali nei Balcani. Sporadicamente, singoli individui escono allo scoperto. Il ruolo principale assegnato alla regione, però, sembrerebbe essere quello di base logistica, ad esempio per il trasferimento di uomini o armi, e di serbatoio di potenziali “foreign fighters”.
Secondo il professor Vlado Azinović, docente all\'Università di Sarajevo e recentemente co-autore, con Muhamed Jusić, della ricerca “Il richiamo della guerra in Siria: il contingente bosniaco dei combattenti stranieri”, sarebbero circa 250 i bosniaci che hanno lasciato il paese per andare a combattere nel Medio Oriente, tra il 2012 e la fine del 2015.
Non si tratta di una cifra rilevante in termini assoluti, se comparata ad esempio a quella dei “foreign fighters” provenienti dalla Francia, dal Belgio, dal Regno Unito o dalla Germania. In termini relativi però, cioè riportati alla grandezza della popolazione (circa 3.800.000), non si tratta di un dato insignificante.
Bosnia, dove è facile procurarsi armi
La Bosnia Erzegovina, inoltre, ha alcune specificità, sotto il profilo del rischio terrorismo che la distinguono dalla maggior parte degli altri paesi europei. La prima è la frammentazione delle diverse forze e agenzie di sicurezza, nel contesto della complicata struttura istituzionale definita dagli accordi di Dayton.
Uroš Pena, vice capo del Direttorato per il Coordinamento delle forze di polizia del paese, ha recentemente dichiarato ai media locali che “la condivisione delle informazioni è un grosso problema. Ogni agenzia si tiene strette le migliori informazioni di cui dispone [...] Non abbiamo neppure una chiara definizione delle giurisdizioni”.
Il secondo elemento di rischio, per la Bosnia Erzegovina, è la relativa facilità con cui, a vent\'anni dalla fine della guerra, è ancora facile procurarsi armi. Quando sono stati firmati gli accordi di pace, molti hanno preferito conservare le armi, ad ogni buon conto. Queste armi possono ora finire nelle mani sbagliate nei modi più diversi, vendute sul mercato nero anche solo per aggiustare temporaneamente il bilancio familiare.
Il fatto invece che poco meno della metà della popolazione della Bosnia Erzegovina sia di fede, cultura o tradizione musulmana, l\'aspetto in genere più sottolineato dai media europei che si sono occupati del fenomeno terrorista nel paese, non rappresenta di per sé un elemento di rischio.
La comunità islamica locale (Islamska Zajdenica, IZ) ha sempre denunciato con forza il terrorismo e la violenza, invitando i propri fedeli a tenersi distanti dai gruppi radicali che cercano di sovvertire le regole su cui da secoli si fonda l\'Islam in questa regione.
Alle origini dei mujaheddini in Bosnia
Questi gruppi, secondo il giornalista Esad Hećimović, autore di “Garibi - Mujaheddini in Bosnia Erzegovina tra il 1992 e il 1999”, hanno cominciato a manifestare la propria presenza nel paese a partire dal 1992, anno di inizio della guerra in Bosnia. Alcune centinaia di combattenti (un numero verisimile è quello di 800 combattenti, secondo Hećimović), provenienti da paesi arabi o dall\'Afghanistan, si unirono alla brigata “El mujahid” dell\'Armija BiH, Esercito della Bosnia Erzegovina, o a formazioni minori, combattendo dalla parte dei bosniaco musulmani.
Dopo la guerra, la loro influenza continuò in modi diversi, attraverso il lavoro di predicatori, l\'assistenza finanziaria o la creazione di un sistema alternativo di welfare.
Oggi, venti anni dopo la fine della guerra, è difficile valutare la diffusione e influenza dei gruppi radicali. Data la conformazione del paese, si tratta di una presenza localizzata soprattutto in villaggi isolati, in zone montuose o rurali, dove questi gruppi conducono una sorta di vita sociale e religiosa parallela. Non tutti sono naturalmente legati alle reti del terrorismo internazionale, né tutti credono nell\'uso della violenza per la lotta politica o religiosa.
La comunità islamica ha però cercato recentemente di ricondurre le 64 comunità ribelli censite all\'interno della propria giurisdizione. Il difficile percorso non ha però sortito grandi risultati. Al termine dei colloqui, solo 14, delle 38 che hanno partecipato al processo, hanno accettato di (ri)entrare a far parte della comunità ufficiale.
Andrea Oskari Rossini nel corso degli anni \'90 ha lavorato in diversi progetti di assistenza ai profughi dell\'ex Jugoslavia in Italia e poi in programmi di cooperazione comunitaria e decentrata nei Balcani. Giornalista professionista e documentarista, lavora con Osservatorio Balcani e Caucaso dal 2002.
Quest\'articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra l\'Istituto Affari Internazionali e Osservatorio Balcani e Caucaso.
ATLANTIC INITIATIVE: http://www.atlanticinitiative.org
Quatorze ans après sa mort, l’ancien Président bosniaque fait un retour en force sur les écrans. Plusieurs films et séries documentaires turques reviennent sur le parcours du « père de l’indépendance » de la Bosnie-Herzégovine, présenté comme le « dernier rempart de l’islam dans les Balkans ». Une approche hagiographique qui, bien sûr, provoque de vives réactions en Republika Sprska...
https://www.courrierdesbalkans.fr/Bosnie-Herzegovine-Alija-Izetbegovic-dernier-rempart-de-l-islam
Les départs de combattants islamistes vers la Syrie ou l’Irak ont pris fin en 2016, affirment les autorités de Bosnie-Herzégovine. En revanche, les retours au pays ont augmenté....
https://www.courrierdesbalkans.fr/Bosnie-Herzegovine-condamnations-Syrie-Irak
Recensione di La porta d’ingresso dell’Islam, di Jean Toschi Marazzani Visconti, Editore Zambon 2016
http://www.linterferenza.info/esteri/la-porta-dingresso-della-jihad-made-in-usa/
Plus de 80 enfants originaires de Bosnie-Herzégovine se trouveraient actuellement sur les territoires contrôlés par les forces de l’organisation de l’État islamique. Certains d’entre eux auraient même été intégrés à des unités combattantes. C’est ce que révèle une étude de l’ONG Atlantic Initiative...
En Bosnie-Herzégovine, de plus en plus de femmes acceptent de devenir la deuxième femme d’hommes originaires de pays arabes. Des unions « basées sur l’amour et le respect », disent-elles, mais qui sont illégaux, autant aux yeux de la communauté islamique locale, qu’à ceux de la loi bosnienne...
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\"Krivica, dragi Brute, nije u našim zvijezdama,
već u nama samima, zato što smo robovi.\"
W: Shakespeare: Julije Cezar
Historija i njeni svjedoci
U dane kad se širi ksenofobija, a glasovi nacionalističke i rasističke desnice su u porastu u svim zemljama, treba se sjetiti napisa Prima Levija, autora knjiga \"Zar je to čovjek?\" (“Se questo è un uomo”\"), \"Sommersi e salvati\" - \"Potonuli i spašeni\", jer je stara istina da tko zaboravi učenje historije, osuđen je da ga ponovi. Izražavamo iskrenu nadu, da taj udes više neće zadesiti Evropu.
Primo Levi
Potonuli i spašeni - Zaključci
Iskustvo što ga nosimo mi, preživjeli nacističkih logora, postaje sve više tuđe novim generacijama na Zapadu, i ono će im postajati još više više strano i daleko, kako prolaze godine. Za mlade pedesetih i šezdesetih godina, bile su to stvari, koje su se izravno ticale njihovih otaca: o tome se raspravljalo u porodicama, a sjećanja su još čuvala svježinu onog, što su oćevi doživjeli i vidjeli. Za generacije osamdesetih, to su već stvari njihovih djedova: daleke, zamagljene, \"povijesne\". Oni su zaokupljeni svojim današnjim problemima, različitim i žurnim: nuklearnom opasnošću, nezaposlenošću, iscrpljivanjem sirovina, demografskom eksplozijom, tehnologijama, čije inovacije nailaze frenetičnom brzinom i traže da im se brzo adaptiraju. Konfiguracija svijeta je stubokom izmijenjena, Evropa nije više centar planete. Kolonijalni imperiji popustili su pritiscima naroda Azije i Afrike, žarko željnim nezavisnosti, pa su se raspali, ne bez tragedija i bez borbe između novih nacija. Njemačka /.../ je postala \"uvaženom\" zemljom, i realno drži u vlastitim rukama budućnost Evrope/.../Ideologije, koje su bile temeljem djelovanja pobjednika posljednjeg svjetskog rata, izgubile su jako mnogo od vlastite vjerodostojnosti i vlastitog sjaja. Tako se sada približava odrasloj dobi nova generacija skeptika, lišena ne ideala, već sigurnosti, štoviše nepovjerljiva prema otkrivenim velikim istinama; spremna da prihvati sitne istine, koje se mijenjaju iz mjeseca u mjesec na uskomešanom valu kulturnih moda, bilo da su te mode odnekuda pilotirane, ili da nastaju divlje. Zato nama postaje sve teže razgovarati s novim generacijama. Imamo osjećaj da je to naša dužnost, ali istovremeno ona nosi i rizik. Riskiramo da zvučimo anahrono, da nas se ne sluša. A mora nas se čuti: mi se moramo uzdići iznad naših pojedinačnih iskustava i da ona ne smiju biti samo pojedinačna; bili smo svi mi kolektivno svjedoci fundamentalnog i neočekivanog događaja, fundamentalnog baš zato, što je bio neočekivan, jer ga nitko nije predvidio. Dogodio se u Evropi, odigrao se protiv svih predviđanja, nevjerojatno. Dogodilo se da jedan cijeli civilizirani narod, koji je tek izišao iz grozničavog procvata Weimara, slijedi jednog histriona (glumca ovdje pežorativno -prev.) čija figura danas izaziva smijeh. A ipak su se Adolfu Hitleru pokoravali i pjevali mu hosana sve do konačne katastrofe. Pošto se dogodilo jednom, znači da se može dogoditi opet; to je opasnost na koju smo dužni upozoriti.
Može se dogoditi i to svugdje. Ne podrazumijevam pod tim, niti to želim reći da će se neizostavno dogoditi, kako sam već rekao; malo je vjerojatno da se realiziraju iznova, simultano, svi oni činioci, koji su izazvali nacističko ludilo, ali već se šunjaju neki upozoravajući znaci. \"Korisno\" i \"nekorisno\" nasilje je tu, pred našim očima. Ono gmiže, u nepredvidivim ili izdvojenim epizodama, ili kao bezakonje, koje provodi sama država, u onim zemljama, koje se običavaju nazivati prvim i drugim svijetom, a to znači u parlamentarnim demokracijama kao i u zemljama komunističkog kruga. U tako zvanom trećem svijetu nasilje je endemsko i dobija oblik epidemije. Ono samo iščekuje novog histriona, (a kandidati svakako ne manjkaju) da organizira i legalizira nasilje, da ga proglasi neophodnim i da njime zarazi svijet. Za malo zemalja može se jamčiti da u budućnosti neće doživjeti plimu nasilja, plimu koju rađa želja za vlašću, netrpeljivost, slabost vlada, ekonomski razlozi, religiozni ili politički fanatizam, rasna netrpeljivost. Treba dakle da izoštrimo našu osjetljivost, da sumnjamo u proroke, i riječi političkih zavodnika, svih onih što govore i pišu \"lijepe riječi\", koje nisu zasnovane na poštenim razlozima.
Bilo je opsceno rečeno da je sukob nužan, da ljudski rod ne može bez rata. Kazali su također, da su lokalni sukobi, nasilje na cesti, nasilje u fabrici kao i nasilje na stadionima jednaki, općenito uzevši, ratu i da nas to nasilje čuva kao \"malo zlo\", neka vrsta epilepsije, od velikog zla. Netko je također primijetio, da nikad u Evropi nije prošlo više od četrdeset godina bez ratova te da bi jedan toliko dugi mir predstavljao historijsku anomaliju.
To su varljivi i sumnjivi argumenti. Sotona nije neophodan, nema potrebe za ratovima i za nasiljem ni u kom slučaju. To se mišljenje, ovisno o događajima, vremenom pojačava, umjesto da bude prigušeno. Doista, mnogi znaci potiču na razmišljanje o genealogiji današnjeg nasilja, koje se grana i izrasta upravo iz onog, što je dominiralo u Hitlerovoj Njemačkoj. Zacijelo, nasilja nije manjkalo ni u dalekoj, ni u bliskoj prošlosti, niti ga je nedostajalo ni u besmislenom masakru Prvog svjetskog rata, iako su nadživjeli, makar u obrisima, tragovi međusobnog uvažavanja zaraćenih strana, tragovi humanosti u odnosu na zarobljenike i na goloruke civile te bar namjera, da se uvažavaju dogovori: vjernik bi kazao, da je još postojao \"izvjestan strah božji\". Protivnik nije bio smatran niti za demona niti za crva. Nakon nacističkog Gott mit uns sve se promijenilo. Na Goeringovea teroristička bombardiranja saveznici su odgovorili \"tepih\" bombardiranjem. Razaranje cijelog jednnog naroda i čitave jedne kulture pokazalo se mogućim, čak poželjnim samim po sebi ili kao sredstvo vladanja. Iskorištavanje robovske radne snage Hitler je naučio u Staljinovoj školi. A u Sovjetski Savez se ta praksa vratila umnožena po završetku rata. Bijeg mozgova iz Njemačke i iz Italije, zajedno sa strahom da ih nacistički naučenjaci ne prestignu, rodio je nuklearne bombe.
Preživjeli i očajni Jevreji, bježeći iz Evrope, nakon golemog brodoloma, stvorili su u srcu arapskog svijeta otok zapadne civilizacije, jednu moćnu palingenezu (preporod prastarog -prev.) jevrejstva, a ova je postala povod za obnovljenu mržnju. Nakon poraza naoizgled šutljiva nacistička dijaspora podučila je umijeću progona i vještinu torture vlastodršce bar desetak zemalja, što izlaze na Sredozemno more, ili na Atlanski ocean ili Pacifik. Mnogi suvremeni tirani drže u ladici \"Mein Kampf\" Adolfa Hitlera, a ova bi pisanija, možda, uz poneku ispravku, ili uz poneku zamjenu imena, još mogla pristajati svojim krojem.
Primjer Hitlera je pokazao do koje je mjere razoran rat, koji se vodi u industrijskoj eri, budući da i bez upotrebe nuklearnog oružja posljednjih godina, zlosretni poduhvat vijetnamskog rata, rat za Falkland, rat između Irana i Iiraka, događaji u Kambođi kao i oni u Afganistanu to nesumnjivo potvrđuju. No ipak sam rigorozno nastojao dokazati (nažalost ne u matematskom smislu) da bar koji put, bar djelimično, historijske krivnje bivaju kažnjene: moćnici Trećeg Reicha su svršili na vješalima ili kao samoubojice, Njemačka je kao zemlja doživjela biblijski \"pokolj prvorođenih\", koji je desetkovao cijelu jednu generaciju, kao i podjelu na dva dijela i to je značilo svršetak vjekovne germanske nadmenosti. Nije nipošto apsurdno pretpostaviti, da se nacizam od samog početka nije pokazao nemilosrdno surov, da ne bi došlo do saveza njegovih protivnika ili da bi se taj savez raspao prije kraja rata. Svjetski rat, koji su željeli nacisti i Japanci bio je samoubilački rat: sve bi ratove trebalo držati za takve.
No stereotipima koje sam pregledao /.../ htio bih dodati još jedan. Mladi nas pitaju, tim češće i tim intenzivnije kako vrijeme odmiče, od kakvog su materijala bili napravljeni naši \"krvopije\". Izraz se odnosi na naše bivše čuvare, na esesovce, i po mom mišljenju, to nije umjesan izraz: on aludira na nakazne pojedince, loše rođene, sadiste, pogođene nekom urođenom greškom. Naprotiv, bili su od istog materijala kao i mi, prosječna ljudska stvorenja, prosječno inteligentni, prosječno opaki, osim izuzetaka, nisu bili čudovišta, imali su naša lica, no bili su zlu naučeni. Bili su najvećim dijelom članovi nacističke partije i njeni poslenici, grubi, ali revni, poneki fanatično uvjereni u nacistički nauk, drugi indiferentni ili u strahu od kazni,
ili su željeli napraviti karijeru ili su bili pretjerano poslušni. Svi su prošli kroz zastrašujuće opaki nauk, koji im je davala i nametala škola, kakvu je htio Hitler i njegovi suradnici, a taj je nauk još bio upotpunjen esesovskim Drillom. Tu specijalnu vojnu organizaciju mnogi su odabrali zbog prestiža, koji im je ona jamčila, zbog njene svemoći ili pak iz banalnih novčanih razloga, kako bi se izbavili od porodičnih poteškoća. Neki, ali istini za volju, vrlo mali broj njih, pokajali su se i zatražili su da ih premjeste na front, ili su vrlo oprezno pomogli zatvorenicima ili su izabrali samoubojstvo. No neka bude sasvim jasno, da su odgovorni u manjoj ili u većoj mjeri bili svi, ali mora biti isto tako jasno, da iza njihove odgovornosti stoji ogromna većina Nijemaca, koji su od samog početka prihvatili, iz mentalne lijenosti, iz kratkovidnog proračuna, iz gluposti, ili iz nacionalne bahatosti, \"lijepe riječi\" Hitlera, i da su ga slijedili sve dok ga je pratila sreća, dok je bio njen favorit zbog pomanjkanja ikakvih skrupula i da su zajedno s njim bili povučeni u propast. Teško su ih pogodile smrti bliskih, bijeda i grižnja savjesti, a ne treba smetnuti s uma, da su bili rehabilitirani malo godina poslije svega, zbog jedne bezočne političke igre.
Primo Levi
Walter Barberis
Ono što Levi dijeli sa svim drugim zatvorenicima logora, je neizlječivost tog iskustva. Nije bilo u tom pogledu polemike i neslaganja s drugim piscem i analizatorom logora, porjeklom iz Strasburga, Jeanom Ameryjem: s njiim će ga povezati i isti kraj. Riječi koji je njegov drug po robovanju kazao, odnose se i na Prima Levija:\"Ko je bio mučen, biti će zauvijek mučen...Tko je podnio te patnje, neće se više nikad snaći u svijetu, Sramna grozota uništenja ličnosti ne može se ukloniti\". Neprirodnost i nepristojnost te mjere prezira i ugnjetavanja, krivnja onog koji je u bilo kojem vremenu zamislio zločine protiv čovječnosti leži u tome, što za žrtve, čak i one koje su izbjegle smrt, nema više života, već ih čeka spora smrt, često beskonačna.. Neizlječiva tjeskoba zbog onog što je preživio bila je jako prisutna kod Levija. Ispod naslova knjige \"Potonuli i preživjeli\" on je stavio ovu baladu starog mornara iz Codridgea.
Since then, at an uncertain hour,
Thet agony returns:
And till my glasly tale is told,
This heart withinm me burns.
Biografija Prima Levija:
Primo Levi rođen je u centru Torina 1919, u kući u kojoj će živjeti sve do smrti. Otac mu je bio inženjer elektrotehnike, dok se on bavio kemijom i radio kao stručnjak u tvornici sve do 1975, kad odlazi u penziju i isključivo se posvećuje literaturi. Autor je nekoliko knjiga o boravku u Auschwitzu i o svemu što se odnosilo na mučenje i na uništenja čovječje duše. Nakon 8 septembra 1943 pridružio se partizanima u Val d\'Aosti. Potkazan, uhvaćen je od fašista iz Salòa na spavanju, sa još dvojicom drugova. Kao Jevrejin, upućen je u talijanski logor Campo Formio, koji preuzimaju nacisti i šalju ga u Auschwitz u februaru 1944. Ostaje sasvim slučajno živ: odolio je smrti od gladi iscrpljenosti, jer mu je na gradilištu kemijske tvornice u kojoj je radio, neki talijanski zidar potajno ostavljao hranu, a potom, kad su nacisti ostali gotovo bez kvalificirane radne snage, radi kao kemičar u laboratoriju iste tvornice. Upravo pred oslobođenje logora od Crvene Armije, u januaru 1945, kad su esesovci nastojali evakuirati i pobiti preživjele logoraše, Levi se razbolio te ga šalju u neku vrstu logorske bolnice.
Po povratku kući piše pjesme i objavljuje dvije knjige Zar je to čovjek? i Povratak. Cijelog života radi svoj posao, razmišlja i piše o preživljenom. Njegove knjige doživljavaju znatnu popularnost tek desetak godina nakon Drugog svjetskog rata. Nalazi se u bolnici upravo kad je njegova knjiga Periodički sistem bila prevedena na engleski i francuski jezik.
Početkom 1987 sudjeluje u polemici o tako zvanom \"historijskom revizionizmu\", koji nastoji dati drugačiju dimenziju nacističkoj krivici. Vrativši se kući iz bolnice završio je život samoubojstvom, kao i književnici, što su pisali o nacizmu, Amery i Zweig.
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A New York la rassegna su Jasenovac, il campo di concentramento del regime ustascia. Dura la Croazia: «Dati falsi, i fini sono propagandistici»
27 gennaio 2018
BELGRADO I rapporti tra i due Paesi sono da sempre nervosi e difficili. E può bastare anche una mostra - dedicata però a un tema molto delicato e doloroso - per eccitare gli animi.
È quanto sta accadendo tra Belgrado e Zagabria per una rassegna sul campo di concentramento di Jasenovac, all’interno del quale durante il regime ustascia furono uccise in maniera brutale decine di migliaia di persone, in particolare serbi, rom ed ebrei, ma anche antifascisti, croati compresi. Proprio il campo è il tema di “Jasenovac – Il diritto a non dimenticare”, esposizione sponsorizzata dalla Serbia nell’ambito della Giornata della Memoria, aperta l’altra sera nel quartier generale delle Nazioni Unite a New York.
La mostra, si legge in una nota del ministero degli Esteri serbo in cui vengono riportate le parole del suo titolare, Ivica Dačić, è pensata per portare «per la prima volta» all’Onu la storia di un genocidio di cui si rese colpevole lo Stato-fantoccio filonazista retto da Ante Pavelić. Ed è una mostra che racconta un capitolo terribile della Seconda guerra mondiale.
Ma l’idea ha trovato «una resistenza molto forte, in particolare da parte di uno Stato», ha disapprovato la nota. Stato che risponde al nome di Croazia. Lo ha confermato lo stesso ministero degli Esteri di Zagabria, con un comunicato diffuso attraverso l’agenzia Hina in cui si accusa la Serbia di «manipolazioni» e di avere diffuso «dati falsi» attraverso un’iniziativa che perseguirebbe nient’altro che «fini propagandistici». La mostra, ha continuato Zagabria - sottolineando anche il suo «profondo rispetto per tutte le vittime» del regime ustascia, in particolare quelle di Jasenovac - «non contribuisce alla riconciliazione, alla costruzione di rapporti di fiducia».
Ma cosa ha fatto indispettire la Croazia, negli anni passati al centro di polemiche, anche interne, per la presunta inazione delle autorità verso derive revisionistiche nel Paese? La nota non lo specifica nel dettaglio, lasciando spazio alle speculazioni più diverse. I media serbi hanno così suggerito che la Croazia potrebbe essersi risentita per non essere stata coinvolta nell’organizzazione dell’evento. Oppure per l’esposizione di una foto del controverso cardinale Stepinac; o per possibili esagerazioni sul numero delle vittime, contenute in vecchi film che sarebbero stati proiettati a New York. A inasprire le polemiche è stato anche un passo del discorso tenuto da Dačić all\'Onu. Il ministro ha infatti invitato il premier croato, Andrej Plenković, ad andare personalmente «a Jasenovac». E a «inchinarsi» lì, in memoria delle vittime. E lo stesso Plenković dovrebbe anche «chiaramente definire», ha rincarato Dačić, «chi sono le vittime e la loro entità, se sono 50mila, 100mila o 700mila».
Secondo quanto informa lo United States Holocaust Memorial Museum, le «stime attuali» dicono che a Jasenovac sono morti tra «i 77mila e i 99mila» prigionieri. Dati del memoriale di Jasenovac indicano invece la cifra di 83.145 vittime al momento identificate, tra cui 20mila bambini e minori; 47.600 furono i serbi, 16.200 i rom, 13.100 gli ebrei, 4.200 i croati. Ma in passato sono circolate, in Croazia e in Serbia, anche cifre di molto inferiori e superiori, a seconda degli schieramenti. Sorpreso dalle polemiche è il professor Gideon Greif, direttore della mostra, frutto del lavoro di esperti di sette Paesi. E apprezzato studioso dell’Olocausto. Greif al Piccolo assicura che nell’esposizione all’Onu «non siamo entrati sul punto controverso e così delicato» del numero delle vittime, né sul caso Stepinac. «Abbiamo cercato di evitare ogni discussione, di essere moderati», spiega, anticipando che la mostra, in una versione ampliata, farà presto tappa in Israele. E lì le cifre ci saranno, quelle che «pensiamo siano giuste».
«Intendo sottolineare – aggiunge lo studioso – che non vogliamo inventare o distorcere nulla. E non abbiamo niente contro la Croazia, i croati o il governo croato: questa è storia, non politica». E «riguardo al numero delle vittime, a Stepinac, non abbiamo cattive intenzioni, non vogliamo dare la colpa a nessuno, solo raccontare cosa è successo, la storia è la storia». E la mostra, chiosa, è stata organizzata solo «in memoria degli innocenti torturati, umiliati, uccisi. Non per il governo serbo o per quello croato».
Hrvati hteli da se zabrani izložba o Jasenovcu u UN!
Prema našim informacijama, zvanični Zagreb je diplomatskim kanalima tražio da UN zabrane izložbu u svojim prostorijama, pa su se sa takvim zahtevom obratili i Guteresu. Kako saznajemo, po njima je bila sporna fotografija Alojzija Stepinca i njegova strašna misija u pokatoličavanju Srba, kao i isticanje broja nastradalih o kojem se govori u filmu koji je deo postavke.
Posle ovog manevra Zagreba, kojem očigledno smeta da svet čuje istinu o zverstvima u Jasenovcu, usledila je brza reakcija našeg šefa diplomatije Ivice Dačića. On je od generalnog sekretara UN zatražio i dobio zvanično odobrenje da izložba može da se organizuje.
\"Jasenovac - pravo na nezaborav\" je najveća i najmonumentalnija izložba o Jasenovcu koja će prvi put biti postavljena u UN sa sedam tona opreme i eksponata koji će na multimedijalni način Srbiju predstaviti kroz srpsko-jevrejski projekat povodom obeležavanja međunarodnog dana Holokausta.
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Specijalni gosti na otvaranju izložbe biće preživeli - deca logoraši Jasenovca i Jastrebarskog - iz Srbije Jelena Buhač Radojčić, Smilja Tišma, Gojko Rončević Mraović, a iz Njujorka Eva Kostabel Dojč i David Alkalaj koji su preživeli Rab, Pag i Jasenovac i koji će se ovom prilikom videti prvi put.
Takođe, prvi put će biti predstavljeni novootkriveni dokumenti o ovom logoru i žrtvama najstrašnijeg stratišta u Nezavisnoj Državi Hrvatskoj.
Kako navode iz MSP, izložba predstavlja skroman doprinos očuvanju univerzalnih vrednosti čovečanstva i globalnih napora UN u cilju sprečavanja pojave revizije i rehabilitacije neonacističkih i neofašističkih ideologija isključivosti i svih oblika diskriminacije i fanatizma.
POČASNI GOST
POČASNI gost izložbe biće Rouzi Stivenson Gudnajt, potpredsednica Vikimedije i potomak čuvenog Davida Albale, koji je izdejstvovao prvo priznanje Balforove deklaracije. Prva vlada koja je odobrila Balforovu deklaraciju (podrška jevrejskim težnjama za stvaranje \"nacionalnog doma\" u Palestini) bila je Vlada Srbije u egzilu 1917, za vreme Prvog svetskog rata, a primerak tog dokumenta biće prikazan na izložbi.
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