Informazione
http://www.gramscioggi.org/index_file/Gramsci%20oggi-004-2017.pdf
A un secolo dall’assalto al palazzo d’Inverno cosa resta dell’Ottobre?
Cosa resta della rivoluzione russa, dopo il crollo dell’URSS e la dissoluzione del campo socialista? Dopo il collasso dei sistemi politici novecenteschi e la fine del compromesso tra capitale e lavoro che ha caratterizzato la seconda metà del XX secolo, in seguito alla vittoria sovietica nella seconda guerra mondiale e all’ombra della competizione bipolare?
A un primo sguardo sommario una risposta potrebbe essere “non molto”. Eppure molte delle conquiste che sono scaturite dal ’17, secondo un processo tortuoso e mai rettilineo, continuano a interessare il nostro mondo.
Una su tutte: il risveglio dei molti Sud del pianeta dalla colonizzazione di cui sono stati vittime nel ciclo storico imperialistico precedente la rivoluzione del ’17.
Come ha scritto lo storico britannico Geoffrey Barraclough, “Quando la storia della prima metà del ventesimo secolo […] verrà scritta in una più ampia prospettiva, è difficile che un solo tema si riveli più importante della rivolta contro l’Occidente”1.
La condanna delle spedizioni militari nei paesi africani e asiatici e la condanna dei crimini e delle repressioni compiute dalle truppe coloniali oltremare erano già oggetto di attenzione da parte dei partiti socialisti della II Internazionale. L’agitazione di queste forze era per lo più incline a sottolineare il valore dell’antimilitarismo, tradotto nello slogan: “più burro, meno cannoni”. Ma i socialdemocratici non erano mai arrivati a comprendere fino in fondo la causa dei popoli oppressi e il legame che correva tra la loro liberazione e l’emancipazione delle classi lavoratrici nelle metropoli imperialiste. Non senza scopi polemici un pamphlet del Partito comunista francese, risalente all’incirca al 1927 ed indirizzato ai militanti e ai quadri di partito per spiegare loro l’importanza della questione nazionale e coloniale, così stigmatizzava la posizione della II Internazionale in merito:
“[la questione nazionale] era allora limitata quasi esclusivamente alla questione dell’oppressione delle nazioni ‘civili’. Irlandesi, ungheresi, polacchi, finlandesi, serbi: questi erano i principali popoli più o meno asserviti le cui sorti interessavano la II Internazionale. Quanto ai milioni di asiatici, ed africani, schiacciati sotto il giogo più brutale, quasi nessuno se ne preoccupava. Sembrava impossibile mettere sullo stesso piano i bianchi e i neri. I ‘civili’ e i ‘selvaggi’. L’azione della II Internazionale in favore delle colonie si limitava a rare e vaghe risoluzioni dove la questione dell’emancipazione delle colonie era cautamente evitata”2.
Lenin, con la sua analisi dell’imperialismo, lega indissolubilmente il problema della liberazione dei popoli oppressi (includendovi i popoli colonizzati) con la lotta del proletariato nelle metropoli. Questione nazionale e questione coloniale vengono così fuse. Da allora la questione nazionale e la categoria di imperialismo entrarono a far parte della più ampia visione dell’internazionalismo propria del movimento comunista.
Quando i bolscevichi conquistano il potere nel 1917 chiamano alla sollevazione il proletariato europeo. Con i primi passi dello Stato sovietico si rivolgono apertamente ai popoli coloniali. Le colonie vengono allora raffigurate come le “retrovie” dell’imperialismo, dove questo può attingere risorse per restare in piedi. La rivolta delle retrovie assume pertanto un rilievo prioritario per lo Stato sovietico e per il movimento comunista internazionale.
Al III Congresso del Komintern Lenin rilevò come “Centinaia di milioni di uomini (praticamente la stragrande maggioranza della popolazione mondiale) appaiono ora sulla scena come fattori rivoluzionari autonomi ed attivi, ed è chiaro che nelle prossime decisive battaglie della rivoluzione mondiale il movimento della maggioranza della popolazione del globo, che in origine era orientato verso la liberazione nazionale, si rivolgerà contro il capitalismo e contro l’imperialismo e assumerà probabilmente un ruolo rivoluzionario molto più importante di quanto non ci aspettiamo”3.
Alcuni anni dopo, al XII Congresso del partito bolscevico, Stalin ribadì con estrema chiarezza il significato che le lotte dei popoli coloniali rivestivano nel quadro della lotta tra la rivoluzione e l’imperialismo: “Una delle due: o noi mettiamo in movimento le retrovie profonde dell’imperialismo, i paesi coloniali e semicoloniali dell’Oriente, infondiamo loro lo spirito rivoluzionario e acceleriamo così la caduta dell’imperialismo, oppure non ci riusciamo, e allora rafforziamo l’imperialismo e indeboliamo la forza del nostro movimento. La questione si pone in questi termini”4.
Nel 1920 venne convocato a Baku il Congresso dei popoli dell’Oriente. L’evento era indicativo dell’orientamento che aveva preso tanto il movimento comunista internazionale, quanto la Russia sovietica e rappresentò una “pietra miliare”5 per lo sviluppo dei movimenti di liberazione asiatici. Per la prima volta circa 2mila delegati provenienti da ogni parte dell’Asia si incontrarono per confrontarsi tra loro su come liberarsi dalla dominazione occidentale.
Nel suo II Congresso il Komintern aveva stabilito un’analisi della situazione coloniale e aveva avanzato la tesi dell’alleanza dei comunisti con le forze che nei paesi coloniali e semicoloniali si battevano conseguentemente contro l’imperialismo e per la conquista della piena indipendenza. A queste correnti andava fornito tutto l’appoggio possibile, sia da parte dei locali partiti comunisti, che sulla base della loro piena autonomia erano chiamati a stabilire con le correnti del nazionalismo rivoluzionario un’organica alleanza strategica, sia da parte dell’Unione Sovietica.
Nelle tesi del IV Congresso del Komintern sulla questione orientale si sostiene chiaramente l’appoggio alle correnti del nazionalismo-rivoluzionario in lotta contro l’imperialismo6.
Il primo esempio e il banco di prova di questa strategia fu la rivoluzione nazionalista cinese del 1925-1927. La decisione unilaterale assunta dalla Russia di rinunciare ai privilegi strappati alla Cina dal regime zarista, avevano convinto il vecchio agitatore nazionalista Sun Yat-sen a guardare verso le cupole del Cremlino impostando in modo nuovo la questione della liberazione della Cina. Sun comprese che la comparsa sulle scene dell’Unione Sovietica creava una situazione nuova a livello internazionale. “La nascita della Russia rivoluzionaria aveva rotto oggettivamente il fronte internazionale imperialistico ed aveva creato un polo di riferimento per ogni lotta antimperialistica”7. Dopo aver riformato il Kuomintang (partito nazionalista rivoluzionario del popolo) su basi nuove stabilì un’alleanza con i comunisti (accettati all’interno del KMT) e con l’Unione Sovietica e accettò il ruolo e le rivendicazioni degli operai e dei contadini. Il suo programma si spostò notevolmente a sinistra rispetto al passato. Stabilito il suo governo a Canton, iniziarono ad arrivare gli aiuti sovietici in armi, istruttori militari e consiglieri politici. Questi sforzi miravano a consentire a Sun di disporre di una forza militare rivoluzionaria per unificare la Cina e schiacciare i “signori della guerra” feudali, alleati dell’imperialismo. Fu il primo passo della rivoluzione cinese che, dopo un tortuoso percorso, sarebbe sfociata nell’avvento al potere dei comunisti di Mao nel 1949.
L’Asia orientale è oggi un’area in prepotente ascesa, trainata soprattutto dalla spettacolare crescita della Repubblica popolare cinese. Che impatto ebbe la rivoluzione russa sull’Asia?
Una testimonianza significativa in proposito è quella del nazionalista vietnamita Nguyen Ai Quoc, il futuro Ho Chi Minh. Ho ha ricordato questo cruciale passaggio della sua vita in un articolo pubblicato nel luglio 1960 dal titolo significativo : Il cammino che mi ha condotto al leninismo. Il leader vietnamita ha rievocato le assidue riunioni nelle sezioni socialiste alla fine della prima guerra mondiale:
“A quell’epoca, nelle sezioni del partito…, si discuteva ardentemente per decidere se bisognava restare nella Seconda Internazionale, o creare un’internazionale due e mezzo, o aderire alla Terza Internazionale di Lenin. Assistevo regolarmente a tutte queste riunioni…All’inizio non ne comprendevo interamente il contenuto. Perché discutere con tanto accanimento? […] Si poteva fare la rivoluzione, perché accanirsi a discutere? … La questione che mi bruciava sapere era quale fosse l’Internazionale che sosteneva le lotte dei popoli oppressi. Nel corso di una riunione sollevai questa questione. Alcuni compagni risposero: è la Terza Internazionale e non la Seconda. E un compagno mi diede le Tesi di Lenin sui problemi delle nazionalità e dei popoli coloniali… Le tesi suscitarono in me una profonda emozione, un grande entusiasmo, una grande fiducia e mi aiutarono a vedere chiaramente il problema…Da allora ebbi fiducia in Lenin e nella Terza Internazionale. […] Dopo la lettura delle tesi di Lenin mi lanciai nella discussione…Il mio unico argomento consisteva nel domandare: ‘compagni, se voi non condannate il colonialismo, se non sostenete i popoli oppressi, quale è dunque la rivoluzione che pretendete fare?’”8.
Ma il racconto più singolare ed anche più significativo è quello dello stesso Sun Yat-sen, che tra l’altro non divenne mai comunista. Dopo la rivoluzione ed in seguito alla costituzione dello Stato sovietico Sun ebbe a dire: “Noi non guardiamo più verso Occidente. I nostri occhi sono rivolti alla Russia”9. Nel manifesto del 1919 disse:
“Se il popolo della Cina vuole essere libero come il popolo russo, e vuole gli sia risparmiato il destino che gli alleati hanno preparato per lui a Versailles…deve essere ben chiaro che nella lotta per la libertà nazionale i suoi soli alleati e fratelli saranno gli operai ed i contadini russi che combattono nell’Armata Rossa”10.
Queste opinioni sono piuttosto esemplari di un diffuso atteggiamento. Stando al diplomatico e storico indiano Panikkar,
“La sola esistenza di una Russia rivoluzionaria diede senza dubbio a tutti i movimenti nazionalisti asiatici une grande forza morale”11.
“La Dichiarazione dei diritti dei popoli della Russia, firmata da Lenin e da Stalin, proclamava la sovranità e l’eguaglianza di tutti i popoli della Russia, e il diritto delle minoranze nazionali al proprio libero sviluppo. Fu, questa, una dichiarazione veramente esplosiva, e destò una nuova speranza in tutte le nazioni asiatiche che stavano lottando per la propria libertà”12.
L’appoggio sovietico cambiò anche l’atteggiamento dei movimenti nazionalisti sotto molti punti di vista. Anche quei movimenti che non furono egemonizzati dai comunisti o che non evolsero mai verso il marxismo- leninismo iniziarono a inserire la loro lotta in un quadro diverso. Iniziarono a dare maggiore importanza al coinvolgimento del popolo nel processo rivoluzionario e furono quindi spinti a prenderne, almeno parzialmente, in considerazione le istanze. Secondariamente l’esempio di sviluppo e crescita economica dell’URSS durante i piani quinquennali, che cambiò completamente il profilo di una nazione arretrata, costituì un punto di riferimento per quei paesi che si trovavano ai margini del mercato capitalistico mondiale. Iniziarono a comprendere che la sola indipendenza politica li avrebbe relegati ad accontentarsi di una indipendenza puramente formale e che per ottenere un’effettiva sovranità dovevano puntare anche sull’indipendenza economica.
I lasciti furono dunque numerosi, ben oltre il breve periodo.
L’URSS continuò a svolgere il ruolo di sponda dei movimenti di liberazione anche in seguito, nonostante tutti gli eventuali errori che i dirigenti sovietici commisero in questo o quel frangente. Questo fatto viene ampiamente riconosciuto, ad esempio, dai protagonisti della rinascita araba tra gli anni ’50 e ’60. La scomparsa dell’Urss ha lasciato un vuoto in questo campo. Ma l’ascesa della Cina, il ritorno della Russia e la spinta per la costituzione di un equilibrio multipolare lasciano presagire che il mondo globalizzato è in forte competizione dal punto di vista dei mercati e ancor di più dal punto di vista politico. L’emergere dei paesi del Sud del mondo si fa sempre più marcato. La loro emancipazione non punta solo all’indipendenza politica formale, come nella stagione d’oro della decolonizzazione. Ora il prossimo traguardo viene intravisto nell’emancipazione economica, nella rottura dei meccanismi di dipendenza delle periferie del sistema-mondo dal centro del capitalismo sviluppato. La contradditoria emancipazione del Sud del mondo suggerisce che la spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre non sia affatto esaurita.
Note
1 G. Barraclough, Guida alla storia contemporanea, Torino Laterza 1989, pp.157-158
2 Le communisme et la question nationale et coloniale par Lénine, Staline et Boukharine; Paris Bureau d’Editions [1927?], p.9
3 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol.1.2 (1919-1923); Ed. Riuniti 1974, p.762
4 A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 2.2 (1924-1928), p.591
5 Così la definisce Jan Romein nel suo libro Il secolo dell’Asia; Einaudi, 1975
6 Tesi del IV Congresso sulla questione orientale (novembre 1922), cit. in: A. Agosti, a cura di- , La Terza Internazionale. Storia documentaria, vol. 1.2, pp.791-792
7 P.Santangelo, Dominazione imperialista in Cina; in: Storia dell’Asia; Einaudi 1980, pp.33-34
8 J. Lacouture, Ho Chi Minh; Parigi Seuil 1967, pp.25-27
9 Panikkar, Storia della dominazione europea in Asia: dal cinquecento ai nostri giorni; Torino Einaudi, 1958, p.262
10 Ibidem, p.364
11 Ibidem, p.262
12 Ibidem, p.261
di Cristina Carpinelli
Introduzione
Il programma a favore dell\'emancipazione della donna e della famiglia prese avvio in un paese che era molto arretrato rispetto ad altri paesi europei. Prevalevano ancora il diritto contadino (sotto forma di consuetudine), le concessioni agli usi tribali delle popolazioni siberiane e asiatiche o alle usanze islamiche di quelle musulmane. In questo paese vi era un sistema economico che presentava limitate possibilità di crescita e che per realizzare il \"grande balzo in avanti\" dovette adottare un piano accelerato di crescita industriale e di modernizzazione dell\'agricoltura con il ricorso a misure eccezionali.
La Russia sovietica fu, inoltre, costretta ad affrontare enormi sforzi e sacrifici inimmaginabili per la propria difesa, e se pure uscì trionfante dalla dura prova della Seconda Guerra Mondiale, perse, tuttavia, metà dei suoi centri industriali e 15 milioni di giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni.
In una certa misura, l\'arretratezza in cui versava la Russia, all\'indomani della rivoluzione, favorì il processo di emancipazione femminile. Un qualsiasi governo avrebbe avuto buone possibilità di riuscita, in un contesto dove era necessario per le donne conquistare le libertà più elementari. Allo stesso tempo, la scarsità di mano d\'opera consentì già da subito l\'impiego massiccio delle donne nel mercato del lavoro, che era una condizione indispensabile per la realizzazione della parità tra i sessi.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, a Pietrogrado, tra il 1914 e il 1917, le operaie arrivarono a costituire un terzo della popolazione attiva (nota1), negli anni Trenta con la collettivizzazione agraria di massa e l\'industrializzazione su vasta scala, le donne occupate raggiunsero il 38% di tutti gli occupati (nota 2). La punta massima fu toccata nel 1945, quando era al lavoro il 56% delle donne, mentre nel dopoguerra la percentuale cadde bruscamente al 46% (nota 3).
Terminata l\'emergenza, l\'esperienza produttiva agricola e industriale della donna subì fasi alterne a seconda che l\'accento fosse posto sul lavoro femminile in quanto semplice risorsa addizionale o come mezzo indispensabile per l\'emancipazione femminile. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, con l\'Editto staliniano di famiglia del 1944, la donna fu spinta entro le mura domestiche.
Il piano di emancipazione femminile e di sostituzione della forma di famiglia patriarcale con una struttura familiare che non fosse in contraddizione con la più ampia rivoluzione in atto nei rapporti economici e sociali si rivelò come uno dei compiti più difficili e ambiziosi del governo rivoluzionario bolscevico. Nella Russia che era stata sempre patriarcale dove, prima della nascita del nuovo stato, l\'80% del paese era contadino, con la relativa cultura, la rivoluzione nei costumi e dentro gli aggregati domestici familiari si abbatté come una tempesta sulla vita delle persone.
Non sempre questo percorso di emancipazione fu di facile attuazione. Anzi, esso fu pervaso da una moltitudine di contraddizioni. Ma al di là di esse, credo che la Russia sovietica non abbia completamente fallito nel promuovere la liberazione della donna e della famiglia, poiché gli ideali utopistici della Kollontaj non trovarono attuazione.
Le note Commissioni femminili del partito (ženotdely) svolsero un ruolo straordinario nel tentativo di coinvolgere il più possibile le donne nella vita pubblica. Barbara Clements Evans, a piena ragione, sottolinea al proposito che i successi sovietici non sono per niente paragonabili a quelli di altri stati contemporanei europei che, ai tempi in cui furono fondate le Commissioni femminili nella Russia sovietica, stavano appena estendendo il diritto di voto alle donne (nota 4).
Attiviste dei ženotdely viaggiarono, ad esempio, per l\'Asia centrale. E anche in quelle terre così lontane, fu possibile cogliere già subito dopo la rivoluzione i primi rarefatti segnali di una difficile emancipazione femminile. È importante sottolineare che la condizione della donna centro-asiatica scontava il peso del condizionamento di tradizioni preislamiche: poligamia, velo, segregazione, costituivano, in larga misura, il lascito di precedenti civiltà dominate dal politeismo e dal tribalismo.
Pur incontrando una resistenza ostile nel loro tentativo di emancipare le donne musulmane, le attiviste del ženotdel s\'impegnarono a fondo perché anche a queste donne fosse riconosciuto il diritto al lavoro e all\'istruzione in precedenza proibiti. In più, i primi due codici russi sul matrimonio e la famiglia costituiscono ancora oggi, per diversi aspetti, la punta più avanzata della legislazione sulla donna e sulla famiglia in molti paesi del mondo (nota 5).
È meritevole di nota che anche il reverendo Hewlett Johnson, nominato decano di Canterbury nel 1929, nel suo libro, The Soviet Power (nota 6), riservi parole entusiaste sulla nuova vita della donna dopo il rovesciamento del crudele regime dello \"knut\" (frusta) della Russia degli zar. H. Johnson porta molti esempi a testimonianza del riscatto della donna: da essere demoniaco, cui erano riservati in chiesa i posti inferiori, da essere, cui non era concesso avvicinarsi all\'altare e il cui anello matrimoniale era di ferro (e non d\'oro come per l\'uomo), a persona, cui furono accordati dal paese dei Soviet, \"diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale\" (nota 7) sanciti, oltre che dai due codici russi sul matrimonio e la famiglia (1918 e 1926) anche dall\'art. 122 della Costituzione staliniana del 1938: \"Alle donne sono accordati nell\'U.R.S.S. Diritti uguali a quelli degli uomini, in tutti i campi della vita economica, statale, culturale, politica e sociale…La possibilità di esercitare questi diritti viene assicurata alle donne garantendo loro lo stesso diritto degli uomini al lavoro, al riposo, all\'assicurazione sociale e all\'istruzione, provvedendo alla tutela, da parte dello Stato, degli interessi della madre e del bambino, accordando alle donne un congedo di maternità con mantenimento del salario e grazie a una vasta rete di case di maternità, di nidi e giardini di infanzia\" (nota 8).
Concordo con il decano di Canterbury quando sostiene che la Russia sovietica svolse un lavoro encomiabile nel promuovere la liberazione della donna e della famiglia dall\'oppressione del patriarcato feudale zarista. Tuttavia, se le norme del codice matrimoniale e familiare del 1926 rimasero immutate per dieci anni, poi nel 1936 e 1944 furono approvate due leggi che modificarono alla radice i punti chiave della nuova rivoluzionaria normativa familiare.
Furono gli avvenimenti, le incoerenze drammatiche della società che stava crescendo e trasformandosi a fornire la spinta decisiva alla revisione della legislazione familiare in direzione del rafforzamento dell\'ordine, della stabilità sociale e dell\'istituto familiare. L\'aborto fu abolito: di fronte al numero impressionante delle interruzioni di gravidanza e al calo costante del tasso di natalità, il governo di Stalin tornò a proibirlo.
L\'ossessione nei confronti della crescita delle nascite, in una situazione storica d\'emergenza, fu tale da legittimare e tutelare in seguito - nello stesso momento in cui venivano esaltati il matrimonio registrato e la famiglia legale - la maternità in stato di nubilato. Negli anni Quaranta, il matrimonio non fu più l\'unico modello socialmente riconosciuto per la maternità. Se da una parte l\'Editto di famiglia del 1944 sancì che solo i matrimoni registrati potevano beneficiare della protezione legislativa, dall\'altra l\'impressionante squilibrio demografico della popolazione (31 milioni di uomini a fronte di 52 milioni di donne) - venutosi a creare, a seguito degli sconvolgimenti provocati dalla Seconda Guerra Mondiale -, aveva provocato una spinta \"oggettiva\" ai rapporti fuori del matrimonio.
L\'esercito delle madri nubili andava in qualche modo tutelato, tenuto conto delle immense perdite umane subite. Fu così che queste (insieme alle madri sposate) poterono beneficiare di sussidi elevati, secondo il numero di figli da mantenere, ma furono, d\'altro canto, private del diritto di ricerca della paternità, comportando numerosi conflitti e problemi per i bambini nati da queste unioni. Il rafforzamento della famiglia legale da un lato, e la protezione della maternità in stato di nubilato dall\'altro, furono la causa di molte contraddizioni tra legge e coscienza, tra morale pubblica e privata. Si dovette attendere la legislazione del 1968 per mettere fine, ad esempio, alla palese discriminazione tra figli legittimi e non.
Oltre al divieto di aborto, negli anni Trenta fu apportata qualche restrizione alla procedura di divorzio, pur restando ancora libero. Le restrizioni al divorzio dipesero dal fatto che a metà degli anni Trenta, le separazioni avevano superato i matrimoni registrati, ponendo gravissimi problemi alla società: mantenimento dei figli, disordine sociale, insufficienza di abitazioni. La prostituzione iniziò ad essere perseguita, poiché \"non poteva esistere un fenomeno sociale peculiare ad una società dominata dal capitalismo decadente\".Tuttavia, dalle molte testimonianze dell\'epoca si sa con certezza che essa continuò ad essere praticata anche se clandestinamente. Infine, già dalla fine degli Trenta, il Soviet aveva abbandonato la concezione che la funzione primaria della donna fosse la produzione sociale e che la maternità dovesse essere accessoria a quella funzione, valorizzando sempre di più il ruolo della donna come \"angelo del focolare\".
I codici rivoluzionari del 1918 e 1926
I nuovi decreti rivoluzionari di famiglia furono adottati nel 1917, in un momento, cioè, in cui gli aggregati domestici familiari riproducevano al loro interno comportamenti patriarcali e semifeudali. Con questi decreti, gli istituti del matrimonio e del divorzio furono \"laicizzati\", perdendo tutte le loro caratteristiche religiose e confessionali. Essi furono, poi, rielaborati l\'anno successivo dalla loro promulgazione, e i loro contenuti recepiti in un testo apposito comunemente chiamato codice di famiglia del 1918.
Il codice del 1918 trae la sua \"ratio\" dall\'aspirazione rivoluzionaria di spazzare via le passate tradizioni e, oltre ad essere dichiarativo di un nuovo ordine, esso svela soprattutto il suo forte spirito di reazione all\'ordine secolare preesistente considerato nocivo per la costruzione di una società socialista. In tal senso, corretta è l\'osservazione fatta dallo storico E. Carr nel suo libro Il socialismo in un solo paese (1924-1926), secondo cui l\'atteggiamento radicale e iconoclasta dei rivoluzionari nei riguardi della donna e della famiglia può essere compreso solo come una reazione alle condizioni anteriori alla rivoluzione, in quanto la famiglia tradizionale del contadino o dell\'operaio, caratterizzata dalla sottomissione e dai maltrattamenti delle donne e dallo sfruttamento infantile, era una conseguenza della miseria russa ed un simbolo dell\'arretratezza russa (nota 9). Per tale ragione, si può considerare questo codice come un \"documento intensamente rivoluzionario\", come uno \"statuto di principi rivoluzionari\".
Ecco i punti salienti: annullamento del matrimonio religioso e istituzione del matrimonio civile come il solo valido; introduzione del divorzio consensuale. Nei casi in cui il divorzio fosse stato richiesto da uno solo dei due coniugi, interveniva il tribunale, che aveva il compito di decidere sull\'assegnazione dei figli e sul loro mantenimento, e sulle condizioni per il pagamento degli alimenti al coniuge privo di autonomi mezzi di sussistenza. Con il codice del \'18 fu previsto l\'accertamento giudiziale della paternità, ma solo alle madri nubili. I bambini nati da un matrimonio non registrato godevano degli stessi diritti dei bambini nati da un\'unione legale.
L\'uguaglianza dei diritti dei figli naturali e di quelli legittimi garantiva indirettamente pari cittadinanza alla famiglia naturale con quella legale, la cui distinzione nel codice era motivata con la necessità di non dare alcuna possibile scappatoia giuridica alle unioni religiose e alla poligamia molto diffusa nelle regioni dell\'Asia centrale a prevalente religione musulmana. Furono, inoltre, aboliti gli istituti della potestà maritale (il marito non poté più imporre alla moglie cognome, domicilio e nazionalità) e della proprietà comune dei coniugi, poiché il matrimonio fu
inteso come \"un\'unione volontaria\" basata sull\'affectio maritalis.
Infine, il codice proibiva l\'adozione di minori da parte delle famiglie. Quest\'ultima era una misura drastica che mirava a stroncare il costume, assai diffuso nelle campagne, di mascherare sotto la forma dell\'adozione lo sfruttamento feroce della manodopera infantile. Centro e promotore della tutela del minore abbandonato diventava ora lo stato. Sorsero istituti d\'infanzia e sezioni minorili di previdenza sociale. Il potere sovietico, in quanto potere dei lavoratori, fin dai primi mesi della sua esistenza, aveva da subito introdotto nella legislazione riguardante la donna e la famiglia un rovesciamento decisivo. Le leggi, che, utilizzando proprio la condizione sociale più debole della donna, ponevano quest\'ultima in condizioni d\'inferiorità e in certi casi d\'umiliazione (le norme sul divorzio e sui figli fuori del matrimonio, o quelle sugli alimenti), furono spazzate via in un batter d\'occhio.
Questi primi anni di governo costituirono ciò che Lapidus definisce come Soviet style \"affirmative action program\" a favore delle donne: numerosi interventi abolirono la discriminazione sessuale sul posto di lavoro e nella società, tutelarono il lavoro delle donne incinte e introdussero nelle fabbriche i congedi obbligatori di maternità. Maggiori opportunità professionali e d\'istruzione aprirono ad esse spazi e carriere nuove riservate prima solo al sesso forte. Nella vita politica, molti furono i reclutamenti al femminile a posizioni dirigenziali, ben simboleggiati dalle note Commissioni femminili (ženotdely) del partito comunista (bolscevico), fondate nel 1919.
Non mancarono, tuttavia, anche nella Russia sovietica, alla fine della Prima Guerra Mondiale, nonostante la rivoluzione, tentativi in parte bloccati di liquidazione del lavoro femminile operaio. La politica adottata dal governo, durante il comunismo di guerra, fu quella del \"numero chiuso della forza lavoro\" da impiegare, con lo scopo di assicurare un salario ad ogni nucleo familiare. La documentazione di quel periodo sul servizio obbligatorio del lavoro testimonia la progressiva liquidazione del lavoro femminile in fabbrica e il tentativo di ricostituire il nucleo familiare sulla base di un solo salario erogato all\'operaio maschio adulto, calcolando le \"bocche\" a carico.
Numerosi furono i casi in cui i comitati di fabbrica, di fronte alla diminuzione del volume del lavoro, cercarono di licenziare in primo luogo le donne. Nel febbraio 1918, Nadežda Krupskaja intervenne sulla Pravda, con un lungo articolo, per pronunciarsi con decisione contro il licenziamento dalla produzione delle donne. La battaglia per l\'emancipazione della donna fu intesa da alcuni dirigenti del partito anche come un momentodi profondo rinnovamento del costume e della morale sessuale, che culminò nella nota teoria del \"bicchiere d\'acqua\" (cioè del sesso facile e senza complicazioni - come appunto bere un bicchiere d\'acqua) o nella politica del \"libero amore\" (free love).
Subito dopo la rivoluzione del 1917, nel bel mezzo del fermento politico, sociale e culturale, i giornali e le riviste d\'avanguardia del tempo assunsero toni spregiudicati e possibilisti riguardo alla nuova morale sessuale propagandata. Ancora nel 1926, già in piena NEP e alle soglie dell\'introduzione del secondo codice rivoluzionario russo di famiglia, il regista Abram Room produsse uno dei film più anticonformisti dell\'epoca sull\'emancipazione femminile e la liberazione sessuale. In effetti, Tre in uno scantinato è un film che mette in discussione i rapporti tradizionali fra i sessi. Esso fece scalpore poiché affrontava arditamente la questione dell\'amore a tre e, più in generale, della liberazione dei costumi.
Come afferma Annie Goldmann, l\'inizio degli anni Venti, nella Russia sovietica, offrì un laboratorio traboccante d\'idee, d\'iniziative e di audacie che a quel tempo neppure Parigi e Berlino raggiunsero (nota 10). Si viveva ancora nel clima entusiasmante della rivoluzione, nella certezza di creare una società nuova, libera dai pregiudizi e dagli stereotipi del vecchio regime zarista. Tuttavia, le idee sul libero amore si svilupparono fino a raggiungere posizioni considerate \"astruse\" non solo dai compagni più conservatori, ma anche dai rivoluzionari della prima generazione (nota 11). Lo stesso Lenin sentì il bisogno d\'intervenire sulla questione. La nostra gioventù, osservò, \"si è scatenata con questa teoria del bicchiere d\'acqua\" (nota 12). Jonov, in un articolo sulla Pravda, apparso nel dicembre del 1926, scrisse: \"Non abbiamo nessun complesso nei confronti della fisiologia. Non la consideriamo affatto vergognosa. Tuttavia, ricordiamo che il comunismo, oltre a molte altre cose, significa l\'instaurazione di rapporti realmente umani tra le persone, e quindi anche tra maschio e femmina\".
Le teorie del libero amore e del sesso facile si erano, tra l\'altro, diffuse in un momento in cui la famiglia riportava pesanti ferite, a causa di anni ininterrotti di conflitti e guerre. Spazzare via principi, radicati a fondo nelle credenze e nei costumi popolari, non fu certo un compito facile,soprattutto in campagna. Ciò fu sin dall\'inizio chiaro a Lenin, secondo cui l\'unico modo per combattere ed eliminare il pregiudizio stava nell\'estirpare miseria e ignoranza, attraverso la propaganda e l\'istruzione: (…)
La Repubblica dei soviet ha prima di tutto il compito di abolire ogni restrizione dei diritti della donna. Il procedimento giudiziario per il divorzio, questa vergogna borghese, fonte di avvilimento e di umiliazione, è stato completamente abolito dal potere sovietico. Da un anno esiste ormai una legislazione assolutamente libera sul divorzio. Abbiamo promulgato un decreto che abolisce la differenza tra figli legittimi e illegittimi e tutta una serie di restrizioni politiche. In nessun altro paese sono state realizzate in modo più completo l\'uguaglianza e la libertà delle donne lavoratrici. Noi sappiamo che tutto il peso delle leggi tradizionali ricade sulla donna appartenente alla classe operaia.
Per la prima volta nella storia la nostra legge ha cancellato tutto ciò che trasformava le donne in esseri senza diritti. Ma qui non si tratta della legge. La legge sulla piena libertà del matrimonio sta prendendo piede nelle nostre città e nei nostri centri industriali, ma nelle campagne resta molto spesso lettera morta. Nelle campagne continua a predominare il matrimonio religioso. Questo si deve all\'influenza dei preti, ed è un male che si combatte più difficilmente della vecchia legislazione. I pregiudizi religiosi vanno combattuti con estrema prudenza; coloro che, nel corso di questa lotta, offendono il sentimento religioso ci procurano grave danno.
Bisogna lottare per mezzo della propaganda e dell\'istruzione. Agendo brutalmente rischiamo di irritare le masse; una simile lotta acuisce la divisione delle masse per motivi religiosi; la nostra forza sta invece nell\'unità. La sorgente più profonda dei pregiudizi religiosi è nella miseria e nell\'ignoranza: contro questi mali dobbiamo batterci. La situazione della donna è tuttora quella di una schiava; la donna è schiacciata dal lavoro domestico e può trovare la sua liberazione soltanto nel socialismo…\" (nota 13).
Con l\'avvio della NEP, s\'imposero i problemi non indifferenti derivanti dalla contraddizione tra le avanzatissime norme del diritto familiare e le situazioni di fatto: quella dei figli abbandonati, della disgregazione sociale e familiare, cui era strettamente connesso l\'incremento della delinquenza giovanile. La guerra civile del 1918-1921 e la carestia del 1920-21, che seguirono dopo tre disastrosi anni di guerra, accelerarono indubbiamente lo scioglimento delle vecchie forme di vita dopo la rivoluzione. Ma tale scioglimento, in alcuni casi, assunse aspetti pericolosi.
Migliaia di famiglie, le popolazioni d\'interi villaggi dovettero emigrare nel tentativo di trovare cibo in altre regioni. In non pochi casi, le madri abbandonarono i figli, e gli uomini le mogli, lungo il cammino. Molte donne si prostituirono per nutrire se stesse e i figli. Dopo parecchie discussioni sul progetto del secondo codice di famiglia, quest\'ultimo fu approvato nel 1926 dal Soviet supremo. Contrariamente all\'opinione diffusa tra gli studiosi borghesi occidentali, secondo cui tale codice si propose di superare le contraddizioni insite in quello del 1918, esasperando le posizioni del primo legislatore in materia di libertà individuali e sessuali, esso, in realtà, rappresentò un ritiro ideologico da quello del \'18 su molti punti importanti quali il matrimonio, il divorzio, la paternità, l\'adozione e la proprietà coniugale.
Se la NEP rappresentò la risposta al caos economico e al disorientamento causati da anni di guerra estera e civile, il codice di famiglia del \'26 fu, invece, la risposta al caos sociale e familiare generato da quella situazione. Esso, in definitiva, costituì uno sforzo per tenere insieme una società profondamente disgregata. Fatto rilevante di questo codice fu il riconoscimento della validità del matrimonio non registrato, in presenza di determinate condizioni accertate dal tribunale (convivenza sotto lo stesso tetto per almeno un numero di anni, comune educazione dei figli, ecc.). Parificando le unioni \"di fatto\" a quelle registrate, il legislatore tentò di risolvere alcune situazioni concrete.
Il quadro storico di riferimento della Russia di allora era drammatico: proprio in quegli anni essa conobbe il fenomeno dilagante del rifiuto dei bambini che si tradusse con la pratica degli aborti, degli abbandoni e degli infanticidi. La moltiplicazione dei divorzi in città e, seppure in numero inferiore, in campagna, significò la crescita del numero delle unioni di fatto. Fu, quindi, necessario regolare queste unioni. La procedura di divorzio subì un\'ulteriore semplificazione, poiché nel caso in cui fosse stata consenziente una sola parte era ora sufficiente un suo atto dichiarativo presso l\'ufficio dello stato civile (dispensando tale coniuge dalla necessità di recarsi presso il tribunale). Il tribunale veniva chiamato in causa, se vi fosse stato disaccordo sugli alimenti. Nel disciplinare l\'istituto della paternità, la legge eliminò il concetto di \"responsabilità materiale collettiva\" (introdotta dal codice del \'18) dei padri putativi nei confronti del nascituro.
L\'eliminazione della responsabilità collettiva di più uomini ebbe l\'intento di provvedere ad una migliore protezione del bambino, poiché l\'esperienza sotto il codice precedente aveva dimostrato che laddove più padri putativi erano congiuntamente responsabili del suo mantenimento materiale, nessuno di loro, in realtà, si sentiva in obbligo. Al contrario, il nuovo dispositivo dette la facoltà al tribunale, in situazioni di dubbio sull\'accertamento della paternità, di responsabilizzare materialmente il padre \"presunto\" con il reddito più alto. La ricerca della paternità fu estesa anche alle madri sposate. Il diritto all\'aborto era sempre possibile, e per far fronte al fenomeno dilagante dei besprizorniki (i fanciulli abbandonati) fu ripristinato l\'istituto dell\'adozione.
Il governo, nel 1923, prendendo atto della dimensione spaventosa che stava assumendo il fenomeno dei bambini in stato di abbandono, decise di reintrodurre l\'istituto dell\'adozione, ponendolo sotto il controllo diretto dello stato e dei suoi dipartimenti di educazione. Altro provvedimento del codice fu la reintroduzione della proprietà coniugale comune riconosciuta anche per i matrimoni \"di fatto\". Se il codice del \'18 aveva come suo fondamento l\'eliminazione di ogni elemento coercitivo nei confronti della famiglia, il codice del \'26 tentò di risolvere problemi immediati e, in particolare, di tutelare meglio gli interessi delle donne e dei bambini sotto la NEP. Con questo spirito, fu reso legale il matrimonio non registrato e reintrodotta la proprietà coniugale comune. In quel periodo, molte donne erano prive di qualsiasi specializzazione lavorativa, non potevano facilmente inserirsi nella produzione sociale e in più, nelle relazioni economiche, non godevano degli stessi diritti degli uomini. La rottura di relazioni spesso pesava su di loro.
Con il ripristino della proprietà coniugale comune si vollero tutelare quelle donne che, in caso di divorzio, non avrebbero ottenuto alcun beneficio economico. Ovviamente, entrambi i codici del \'18 e del \'26 non riuscirono a cambiare da un momento all\'altro la mentalità arcaica di un paese in cui la servitù era stata abolita solo nel 1861. Le masse contadine, che costituivano la maggioranza, non erano pronte ad accettare da un giorno all\'altro dei cambiamenti tanto radicali. Numerosi furono ancora i matrimoni religiosi, e nei villaggi ci si schierò contro la legalizzazione delle unioni di fatto. Nel contesto degli anni Venti, la gente contadina ripiegava ancora sulla famiglia e il villaggio godendo di una pace relativa, e temeva qualsiasi aggressione da parte dello stato o qualsiasi spaccatura che potesse verificarsi entro il nucleo domestico.
La legge del 1936 e l\'Editto del 1944
Le norme del codice del \'26 rimasero immutate dieci anni. Poi, nel 1936 e nel 1944, intervennero due leggi a modificare alla radice i punti chiave della normativa matrimoniale e familiare. Gli anni Trenta conobbero un\'immensa emigrazione contadina verso le città. Dal 1926 al 1939, la popolazione urbana aumentò di 30 milioni, 25 dei quali erano contadini che lasciarono il villaggio per andare a lavorare nelle fabbriche (nota 14). La meccanizzazione dell\'agricoltura, durante la collettivizzazione, oltre a raddoppiare la produzione, lasciò liberi milioni di lavoratori per l\'industria.
La crescita veloce e abnorme dei centri industriali portò inizialmente a una nuova crescita (dopo quella, già notevole, degli anni Venti) del numero dei divorzi, degli aborti e a una forte diminuzione della natalità. Nel campo dei rapporti tra i sessi, all\'emancipazione femminile, con l\'accesso di milioni di donne al lavoro e allo studio, non corrispose quell\'emancipazione dei rapporti \"uomo-donna\", della famiglia e dei sentimenti sessuali e amorosi prospettata nel corso dei primi anni Venti. Anzi, il consolidamento in senso tradizionale della famiglia fu sempre più visto come una garanzia contro i fenomeni preoccupanti di disgregazione morale e sociale.
Allo scopo di agevolare le madri che lavoravano, nello svolgimento della loro doppia funzione (lavoro domestico e di cura e lavoro produttivo sociale), lo stato intervenne con una serie d\'iniziative nel settore dei servizi sociali ed educativi. Ancora alla fine degli Trenta, nonostante la tendenza ormai indiscussa a valorizzare il ruolo della donna soprattutto come moglie e madre, il tasso di presenza della forza lavoro femminile sul mercato del lavoro era alta. L\'industrializzazione, avviata con il primo piano quinquennale, aveva offerto alle donne lo strumento più importante per la loro emancipazione. Afferma la giornalista americana Anna Louise Strong: (…)
Nell\'Inghilterra capitalista la fabbrica apparve come uno strumento di profitto e di sfruttamento. Nell\'Unione sovietica, essa non fu solo uno strumento di ricchezza collettiva, ma un mezzo consapevolmente usato per spezzare vecchie catene\" (nota 15).
I provvedimenti successivi relativi al matrimonio e la famiglia furono pubblicati sotto forma di editto l\'8 luglio 1944. Innanzitutto, fu confermato ed esteso, nell\'Unione sovietica distrutta dalla guerra, il piano per la costruzione intensiva d\'istituti per l\'infanzia. Le immense perdite umane subite dall\'Unione Sovietica, durante la guerra, spiegarono l\'accresciuto aiuto materiale dello stato alle madri sposate e nubili. L\'evoluzione giuridica in materia matrimoniale e familiare, abbozzata nel 1936, proseguì nel 1944: soltanto i matrimoni registrati beneficiarono della protezione della legge (le norme del 1926 sul valore giuridico del matrimonio di fatto furono annullate); le madri di famiglie numerose ricevevano vari titoli onorifici e medaglie, ma la donna che abortiva rischiava di essere perseguita penalmente. I divorzi furono tutti soggetti a procedura giudiziaria.
Le leggi emanate nel \'36 e nel \'44 ebbero come conseguenza l\'aumento degli aborti clandestini e il dimezzamento dei divorzi. Le ragioni dei provvedimenti legislativi assunti nel \'44, in materia matrimoniale e familiare, devono essere ricercate negli sconvolgimenti che seguirono alla guerra del 1941-1945: vista la gravità della discrepanza numerica tra i sessi che si era venuta creare dopo la Grande Guerra Patriottica, e il bisogno di un incremento notevole dei tassi di fertilità, Stalin scelse la strada della ricostruzione del nucleo familiare, non solo riconoscendo le famiglie legali ma, legittimando - com\'è stato detto - la \"maternità in stato di nubilato\". Nel 1943, la coeducazione (classi miste) fu abolita.
Stalin motivò l\'abolizione della coeducazione per evitare \"qualsiasi copertura delle specifiche caratteristiche di genere della popolazione a forte rilevanza sociale\": \"Nella fase che è passata, lo stato sovietico ha pienamente e speditamente eliminato dalle menti della gente ogni idea dell\'ineguaglianza sociale dei sessi e ogni espressione di quest\'idea dalla vita quotidiana. Ora noi affrontiamo un nuovo e non meno importante compito. Esso è, soprattutto, quello di rafforzare la nostra primaria unità sociale, la famiglia socialista, sulla base del pieno sviluppo delle caratteristiche maschili e femminili nel padre e nella madre, come capi della famiglia con eguali diritti. L\'istruzione nelle nostre scuole fu nel passato coeducazionale allo scopo di superare, il più velocemente possibile, l\'ineguaglianza sociale dei sessi, radicata nei secoli. Ma ciò che noi dobbiamo ora costruire è un sistema attraverso cui la scuola sviluppi ragazzi che saranno buoni padri ma soprattutto combattenti per la patria socialista e ragazze che saranno madri intelligenti idonee ad allevare le nuove generazioni\" (nota 16).
I contraccolpi negativi delle leggi sulla donna e la famiglia del \'36 e \'44 si fecero sentire presto, man mano che la società sovietica ritrovava un suo equilibrio e si avviava verso la normalità, dopo la convulsa e drammatica fase della ricostruzione post-bellica. Bisognerà aspettare, tuttavia, la legislazione di famiglia del 1968 per vedere di nuovo modificato a fondo l\'impianto dato a questo settore dalla legge del \'44, largamente ispirata al familismo e alla concezione della donna come \"angelo del focolare\".
Note
1) C. Carpinelli, Donne e famiglia nella Russia sovietica. Caduta di un mito bolscevico, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 8.
2) I.A. Kurganov, \"Ženščiny v narodnom chozjajstve\" in Ženščiny i Kommunizm, New-York, 1968, pp. 57-107.
3) C. Carpinelli, Donne e povertà nella Russia di E\'lcin. L\'era della transizione liberale, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 131. 16 Novembre 2017 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli
4) B. Clements Evans, Daughters of Revolution: a History of Women in the Ussr, Davidson, Inc., Arlington Heights, ILL, 1994.
5) Si fa qui riferimento ai primi due codici russi del 1918 e del 1926.
6) H. Johnson, The Soviet Power, International Publisher, New York, 1940
7) Ivi, p. 228.
8) Ivi, p. 221. Antonio Gramsci oggi 17 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli
9) E.H. Carr, Il socialismo in un solo paese, tomo I, Einaudi, 1970, pp. 29-30.
10) A. Goldmann, Gli anni ruggenti (1919-1929), Giunti, Firenze, p. 90.
11) R. Schlesinger, The Family in the Ussr: Documents and Readings, London, 1949, p. 15.
12) M. Geller, A. Nekrič, Storia dell\'Urss, cit., p. 191.
13) V.I. Lenin, Polnoe sobranie sočinenij, 4 ediz., vol. XXVIII, Moskva, p. 160. Antonio Gramsci oggi19 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli
14) N. Werth, Storia dell\'Unione Sovietica, il Mulino, 1993, p. 310.
15) A.L. Strong, L\'era di Stalin, Edizioni Rapporti Sociali, 1997, p. 78. 20\' Novembre 2017 1917/2017: Donne e famiglia nella Russia Bolscevica - Cristina Carpinelli
16) Citato in M. Tsuzmer, Soviet War News, n. 6, nov. 1943, p. 8.
\n
Onu-Ican: 243 parlamentari italiani hanno firmato per la ratifica del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari
Per liberare l’Italia dalle atomiche non basta una firma
Trattato Onu-Ican. 243 parlamentari italiani hanno firmato per la ratifica del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari
su Il Manifesto del 19.11.2017
L’Ican, coalizione internazionale di Ong insignita del Nobel per la Pace 2017, comunica che 243 parlamentari italiani hanno firmato l’«Impegno Ican» a promuovere la firma e la ratifica da parte del governo italiano del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.
È il Trattato adottato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017. Che all’Articolo 1 stabilisce che «ciascuno Stato parte si impegna a non permettere mai, in nessuna circostanza, qualsiasi stazionamento, installazione o spiegamento di qualsiasi arma nucleare nel proprio territorio; a non ricevere il trasferimento di armi nucleari né il controllo su tali armi direttamente o indirettamente». All’Articolo 4 il Trattato stabilisce: «Ciascuno Stato parte che abbia sul proprio territorio armi nucleari, possedute o controllate da un altro Stato, deve assicurare la rapida rimozione di tali armi».
Impegnandosi a promuovere l’adesione dell’Italia al Trattato Onu, i 243 parlamentari si sono quindi impegnati a promuovere: 1) la rapida rimozione dal territorio italiano delle bombe nucleari Usa B-61 e la non-installazione delle nuove B61-12 e di qualsiasi altra arma nucleare; 2) l’uscita dell’Italia dal gruppo di paesi che, nella Nato, «forniscono all’Alleanza aerei equipaggiati per trasportare bombe nucleari, su cui gli Stati uniti mantengono l’assoluto controllo, e personale addestrato a tale scopo» (The role of NATO’s nuclear forces); 3) l’uscita dell’Italia dal Gruppo di pianificazione nucleare della Nato, in base all’Articolo 18 del Trattato Onu che permette agli Stati parte di mantenere gli obblighi relativi a precedenti accordi internazionali solo nei casi in cui essi siano compatibili col Trattato.
I parlamentari che hanno firmato tale impegno appartengono ai seguenti gruppi: 95 al Partito democratico (Pd), 89 al Movimento 5 Stelle, 25 ad Articolo 1-Mdp, 24 a Sinistra italiana-Sel, 8 al Gruppo misto, 2 a Scelta civica. Nel dibattito alla Camera, il 19 settembre scorso, solo i gruppi Sinistra italiana-Sel e Articolo 1-Mdp hanno chiesto la rimozione delle armi nucleari dall’Italia, come prescrive il Trattato di non-proliferazione, e l’adesione al Trattato Onu. Il Movimento 5 Stelle ha chiesto al governo solo di «relazionare al Parlamento sulla presenza in Italia di armi nucleari e dichiarare l’indisponibilità dell’Italia ad utilizzarle». La Lega Nord ha chiesto di «non rinunciare alla garanzia offerta dalla disponibilità Usa a proteggere anche nuclearmente l’Europa e il nostro paese». Il Pd – con la mozione di maggioranza approvata nella stessa seduta anche con i voti di Gruppo misto, Scelta civica, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Alternativa popolare, Democrazia solidale – ha impegnato il governo a «continuare a perseguire l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari» (mentre mantiene in Italia armi nucleari violando il Trattato di non-proliferazione) e a «valutare, compatibilmente con gli obblighi assunti in sede di Alleanza atlantica, la possibilità di aderire al Trattato Onu». Il governo ha espresso «parere favorevole» ma il giorno dopo, con gli altri 28 del Consiglio nord-atlantico, ha respinto in toto e attaccato il Trattato Onu.
I parlamentari di Pd, Gruppo misto e Scelta civica, e quelli del M5S, che hanno firmato l’Impegno Ican differenziandosi dalle posizioni dei loro gruppi, devono a questo punto dimostrare di volerlo mantenere, promuovendo con gli altri una chiara iniziativa parlamentare perché l’Italia firmi e ratifichi il Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari. Lo deve fare in particolare Luigi Di Maio, firmatario dell’Impegno Ican, per la sua posizione rilevante di candidato premier.
Aspettiamo di vedere nel suo programma di governo l’impegno ad aderire al Trattato Onu, liberando l’Italia dalle bombe nucleari Usa e da qualsiasi altra arma nucleare.
Cosa si nasconde dietro il progetto “euro-nukes”
Vincent Brousseau ha lavorato per 15 anni presso la BCE, in particolare nel Sancta Santorum della politica monetaria, ed è uno dei maggiori esperti francesi sull’euro. Ma essendo anche un grande conoscitore della scena politica tedesca e di questioni geostrategiche e militari, ha preparato un dossier del massimo interesse su quello che sta succedendo in Germania intorno alla possibilità di eludere il divieto alle armi nucleari impostole dopo la seconda guerra mondiale, e mettere silenziosamente le mani sulla forza d’urto francese tramite la creazione di una “bomba nucleare europea” («Euro-nukes»). Colpo di mano militare molto inquietante in un periodo in cui le previsioni geopolitiche sono di grande incertezza e turbolenza, ma naturalmente sottovalutato dagli utili idioti della “costruzione europea” e passato per lo più sotto silenzio dalla grande stampa.
Tradotto da Carmenthesister per http://vocidallestero.it/
Dossier strategico di Vincent Brousseau, 15 luglio 2017
Cos’è il trattato di Mosca?
Alcuni mesi fa, un comunicato dell’agenzia Reuters (di metà novembre 2016) ricordava incidentalmente che nessun accordo di pace è stato firmato tra il Giappone e la Russia dopo la seconda guerra mondiale. Questi due Stati sono quindi, dal punto di vista giuridico, ancora in guerra dal 1945.
Il pomo della discordia ancora presente tra Tokyo e Mosca che impedisce di firmare il trattato di pace rimane la questione delle isole Curili del Sud, ex giapponesi, che Stalin conquistò nel 1945 e l’URSS e poi la Russia hanno sempre rifiutato di restituire.
La notizia di fine anno scorso, dal tono ottimista, assicurava tuttavia che erano stati fatti dei progressi verso questo trattato di pace. Va da sé che, da un punto di vista pratico, tra questi due paesi la pace regna da diversi decenni, ma è il caso di notare che la firma di tali trattati può essere ancora una questione lunga.
Alleata del Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale, la Germania ha vissuto la stessa situazione dal 1945 al 1990. È un trattato del 1990 che ha formalmente chiuso le ostilità, 45 anni dopo la capitolazione del Reich. Questo Trattato, il cui titolo ufficiale è “Trattato sullo stato finale della Germania“, è comunemente noto come il Trattato di Mosca. E’ chiamato anche “Trattato 2+4” o “Trattato 4+2” perché fu firmato e ratificato tra:
– i rappresentanti delle due Germanie dell’epoca (Germania occidentale denominata “Repubblica federale tedesca” o “RFT” e Germania orientale “Repubblica democratica tedesca “o” DDR”),
– i rappresentanti delle quattro potenze alleate della seconda guerra mondiale: Francia, Stati Uniti, Regno Unito e URSS.
La firma di questo trattato il 12 settembre 1990 a Mosca aprì la strada alla riunificazione tedesca.
Molto breve, questo trattato, che consiste in un preambolo e dieci articoli, stabilisce con precisione lo status internazionale della Germania unita nel cuore dell’Europa, con il tacito consenso di tutti i suoi vicini. Il trattato regola molti temi sugli affari esteri dei due stati tedeschi, come la demarcazione delle frontiere esterne, l’adesione alle alleanze e le forze militari. Con questo trattato, la Germania dovrebbe nuovamente assumere piena sovranità e diventare uno stato come qualsiasi altro.
Firma del “Trattato di Mosca” il 12 settembre 1990, che ripristina la “sovranità totale” della Germania.
Questo Trattato di Mosca, che consacra la riunificazione e ristabilisce in linea di principio la sovranità della Germania, contiene tuttavia alcune restrizioni molto importanti.
Pertanto, la Germania non è autorizzata a modificare i propri confini, neanche sulla base di un accordo con il paese di frontiera interessato.
Questo, a priori, può sembrare assurdo, ma non lo è, perché l’impegno è preso dalla Germania non nei confronti del paese di frontiera (che in linea di principio potrebbe liberarla da tale impegno), ma verso ciascuno dei quattro alleati, considerati individualmente. Così la Russia potrebbe opporsi a un’ipotetica modifica del confine, ad esempio, ceco-tedesco, anche se i due paesi interessati fossero d’accordo. Va da sé che ciò costituisce una restrizione di ciò che si intende comunemente con la parola “sovranità”.
Dal lato britannico, responsabile della redazione e della ratifica del Trattato di Mosca era Margaret Thatcher. La Thatcher, ancor più di Mitterrand, la sua controparte all’epoca, nutriva una vera diffidenza verso un ritorno della Germania nel consesso delle grandi potenze. Un articolo del Financial Times di inizio 2017 ha ricordato questo utile dettaglio, quasi dimenticato. La Thatcher, dice l’articolo, pensava anche di instaurare un’ “alleanza” con l’URSS all’esplicito scopo di contenere l’ascesa di una Germania riunificata, e motivava questa scelta facendo riferimento al periodo del 1941-1945 , quando Londra e Mosca erano alleati contro Berlino. Questo rende bene l’atmosfera.
Un’altra importante e ben nota restrizione si trova nell’articolo 3 del Trattato di Mosca, che pone un divieto permanente alla Germania di avere accesso alle armi nucleari.
Sulla base di questo articolo, la Germania non può né ricercare, né acquisire, né testare, né detenere o utilizzare qualsiasi arma atomica. E questo impegno, di nuovo, è assunto nei confronti di ciascuno dei quattro alleati, considerati individualmente.
Ciò significa che, se per qualche motivo la Germania decidesse di ignorare il trattato e di avviare un procedimento di accesso alle armi atomiche, la Russia – o anche qualsiasi altra delle tre potenze – sarebbe autorizzata di diritto a impedirlo con un’azione militare. Anche qui, si capisce che la sovranità della Germania non è stata restaurata in modo pieno.
Quali sono le posizioni dell’opinione pubblica russa e tedesca su questo argomento?
– La Russia ha, per ovvie ragioni storiche, un forte sentimento di paura verso la Germania. Né il sentimento popolare, né alcun governo russo, come un tempo il governo sovietico, sarebbero disposti a tollerare la minima violazione di questo divieto nucleare.
– La Germania ha, per gli stessi evidenti motivi storici, un forte senso di vergogna per il suo passato bellicoso. L’opinione pubblica tedesca è completamente a favore della rigorosa osservanza del divieto nucleare militare tedesco, ed è sempre stato così. Nessun governo tedesco o ex governo tedesco occidentale si è mai opposto pubblicamente a questa limitazione. C’era un certo sospetto che la Germania orientale tentasse di aggirare il divieto, ma probabilmente sono solo voci infondate.
E tuttavia, è preciso dovere di un governo prevedere ogni scenario. E i tedeschi sono persone metodiche e serie che usano prevedere tutto, anche l’improbabile. Quindi mi risulta difficile immaginare che i leader politici tedeschi non abbiano mai pensato a come rendere il loro paese una potenza atomica.
Cosa si intende per forza atomica?
Lo status di potenza nucleare non si ottiene semplicemente dal possesso di tre testate nucleari immagazzinate sotto un hangar. Comprende un notevole numero di altre cose.
Bisogna non solo avere le armi, ma avere la loro catena produttiva, sapere come mantenerla e proteggerla, averne testato l’efficacia, aver testato naturalmente le stesse armi, sapere ed essere in grado di tenerle al sicuro, avere una catena di comando rigorosa (in particolare per evitare di non essere in grado di utilizzarle, a seguito del tradimento o della morte di un solo uomo).
Devi avere persone addestrate per costruire siti, mantenerli, realizzare dei modelli dell’arma e dei suoi vettori in termini fisici e matematici, costruire i vettori, costruire l’arma in quanto tale, costruire e testare i dispositivi di trasmissione degli ordini in modo sicuro.
Si consideri, per esempio, tutta la logistica necessaria alla Francia per mantenere in permanenza la sua flotta di sottomarini nucleari lanciamissili balistici (SSBN) o lo sforzo scientifico richiesto per riuscire a simulare virtualmente gli effetti dell’esplosione – cosa fondamentale da quando i test nucleari sono vietati.
Ognuna delle cinque potenze nucleari ufficiali ha dovuto quindi sostenere un investimento enorme in tempo, persone e capitali, per decenni. È perciò totalmente irrealistico immaginare che un nuovo soggetto possa diventare una potenza nucleare dall’oggi al domani.
Se Charles de Gaulle non avesse voluto l’ingresso del suo paese nel ristretto club delle potenze nucleari, sarebbe molto difficile per la Francia raggiungere questo obiettivo oggi.
È per questo che in Francia sono poche le proposte che il paese rinunci a questo status; provengono da persone che sono più legate ad un ordine mondiale transnazionale che alla sovranità nazionale della Francia. Citerò per esempio la proposta fatta nel 2009 da MM. Juppé, Rocard, Norlain e Richard, oggi quasi dimenticata …
Pertanto, un possibile accesso del nostro vicino tedesco allo status di potenza nucleare sembra a priori un rischio lontano. Anche se, per ipotesi, la Germania pretendesse di eludere l’articolo 3 del Trattato di Mosca, il lavoro da intraprendere sarebbe talmente grande che i quattro alleati avrebbero molto tempo a disposizione per accorgersi della manovra e farla fallire.
Ma abbandoniamoci a un piccolo esercizio di paranoia. Dopo tutto, se io fossi tedesco, senza dubbio avrei già pensato ai modi per aggirare l’ostacolo.
È così impossibile?
Come ho evidenziato prima, diventare una potenza nucleare comporta l’acquisizione di diverse cose che non hanno nulla a che fare l’una con l’altra.
Alcune sono immateriali (creare una rigorosa catena di comando, o addestrare ingegneri e scienziati); per loro stessa natura, queste cose possono essere fatte in maniera relativamente discreta.
Al contrario, il test nucleare iniziale è tutt’altro che discreto; e nel caso della Germania è proibito due volte: una volta a causa dell’articolo 3 del Trattato di Mosca, e l’altra a causa del divieto globale per i test nucleari.
Ma tra questi due estremi?
Tra questi due estremi c’è ad esempio l’acquisizione delle tecnologie necessarie per i missili intercontinentali, o la creazione di una catena di produzione – la realizzazione fisica e la convalida, vale a dire altri tipi di test – e le catene di produzione di altri dispositivi di lancio. Ad esempio, sottomarini.
Tutte queste azioni non possono essere fatte con assoluta discrezione, ovviamente, ma sono meno appariscenti del test di Mururoa del 24 agosto 1968.
Ora, da alcune notizie di attualità, nel corso degli ultimi semestri, risultano dei sintomi che tendono a confermare che potrebbe esserci un silenzioso interesse da parte della Germania a compiere questi passi verso l’accesso al nucleare. Parlerò solo di due di questi sintomi, pur essendo consapevole che possono spiegarsi in modo diverso – e che sono, infatti, spiegati in modo diverso. Ma in questo campo non si è mai troppo diffidenti …
Questi due esempi sono:
– l’ingresso della Germania in Airbus;
– e la vendita, o meglio il regalo, fatto dalla Germania a Israele di sommergibili del tipo denominato Dolphin.
Il silenzioso interesse della Germania per la bomba
In primo luogo, l’Airbus. Il gruppo Airbus è stato creato nel 2000 da parte degli Stati francese e spagnolo e due gruppi privati, uno francese e uno tedesco, sulla base della struttura omonima esistente dagli anni ’70. La scelta del nome, EADS, che non è né francese né spagnolo, né tedesco, testimonia la pretesa “volontà dell’Europa” riguardo al progetto. La quota dello Stato francese nella partecipazione al gruppo è passata dal 48% nel 1999 all’ … 11% nel 2015, mentre la quota dello Stato federale tedesco è dell’11% dal 2014.
Inoltre, il gruppo è anche costruttore di missili strategici della Force océanique stratégique (FOST) francese e, di conseguenza, titolare di alcune tecnologie molto avanzate, che riguardano il nucleare ma anche il settore spaziale. (L’aspetto spaziale è particolarmente legato al fatto che le testate di questi missili sono “rientranti”, cioè svolgono parte del viaggio nello spazio e devono rimanere funzionali dopo il rientro nell’atmosfera.)
Stiamo parlando di tecnologie molto avanzate, paragonabili solo alle loro controparti russe e americane. Totalmente fuori dalla portata dei “piccoli candidati” al nucleare come la Libia o la Corea del Nord, sono costate alla Francia un lavoro di diversi decenni.
La struttura di Airbus offrirebbe allo Stato tedesco un modo per recuperare queste tecniche, se decidesse in questo senso? La risposta è che è una questione di tempo.
Se la Germania ha davanti a sé un orizzonte di qualche anno, è impensabile che non ci riesca. Naturalmente, si suppone che la Germania non dovrebbe voler fare una cosa del genere, ma trovo questa garanzia piuttosto debole.
Diamo un’occhiata alla storia dei Dolphin.
Sono sottomarini di costruzione tedesca. Certamente c’è un mondo tra queste macchine e un SNLE francese. Ma resta il fatto che sono in grado di lanciare armi nucleari con un vettore di missili da crociera. Queste navi sono vendute allo Stato di Israele a tariffe molto vantaggiose, e i primi sono stati decisamente regalati.
Questa strana generosità ha suscitato delle domande.
Leggiamo sul sito irenees.net dell’associazione Modus Operandi, la seguente osservazione:
“Le vere ragioni non sono mai state espresse in maniera esplicita, ma come per voler ‘farsi perdonare’, la Germania si è semplicemente offerta di finanziare integralmente i primi due sottomarini (640 milioni di dollari) e di condividere le spese per il terzo.”
Farsi perdonare? Questa è una spiegazione comoda. Ma c’è una spiegazione meno innocua.
Come ho ricordato, l’accesso allo status di potenza nucleare comporta un notevole numero di passi, tra cui la costruzione, il funzionamento e la verifica delle linee di produzione tramite dei test. “Test”, l’ostacolo è questo. La Germania è stata in grado di creare la linea di produzione dei Dolphin, ma certamente non è in grado di verificare che il prodotto finito possa effettuare un lancio nucleare a causa dell’articolo 3 del Trattato di Mosca.
Tuttavia, può aggirare l’ostacolo facendo fare il test … alla marina israeliana.
Si comprende quindi che il vero pagamento di ciò che sarebbe, altrimenti, un puro e semplice regalo, potrebbe consistere in questo: la convalida del prodotto, che è essenziale e che era la più grande difficoltà. Nessuna forza nucleare è tale senza test e convalide, sia per i vettori e i dispositivi di lancio, che per le cariche nucleari stesse.
Del resto, questa operazione non è sfuggita alla vigilanza degli esperti, compresi i media russi, dal momento che Sputnik le ha dedicato una sezione speciale nel mese di aprile 2015, per rivelare ai suoi lettori che “Berlino fornirà a Israele un sottomarino a capacità nucleare “.
Ci sono motivi per credere che la direzione politica tedesca non abbia necessariamente rinunciato ad acquisire lo status nucleare, un giorno, nonostante le particolari difficoltà della Germania a perseguire un tale obiettivo.
Ma siccome questo obiettivo non è facile da raggiungere, vediamo se esiste un modo più intelligente. È qui che entra in gioco l’Europa.
La proposta “Kiesewetter”
Roderich Kiesewetter è un deputato tedesco (CDU), membro della commissione parlamentare per gli affari esteri del Bundestag, ed ex ufficiale di stato maggiore del Bundeswehr.
È anche membro, insieme a Andrew Duff, un altro individuo che ho già introdotto ai membri e ai sostenitori dell’UPR, del “European Coucil on Foreign Relations” (ECFR).
I due uomini hanno in comune una insolita specialità: sondano il terreno.
Questa attività consiste nel mettere delle idee sul tavolo, presentandole come proprie, senza coinvolgere personalità o istituzioni ufficiali, sia tedesche che europee (come Juncker o la Commissione Europea). L’obiettivo è vedere se queste idee non provocano particolari reazioni da parte degli altri politici, della stampa e dell’opinione pubblica, o se provocano al contrario una levata di scudi.
Ora, nel novembre 2016, Roderich Kiesewetter ha lanciato un’idea, presentandola come sua, in linea con il suo doppio incarico militare + Affari Esteri.
Questa idea è quella di utilizzare la costruzione europea per aggirare gli ostacoli che ho descritto sopra. Ed è un’idea brillante. Invece di preoccuparsi di avanzare subdolamente verso lo status nucleare, acquisirlo di diritto; in quanto il divieto riguarda la Germania, è possibile acquisirlo non come Germania ma come membro dell’Unione Europea.
L’idea è nata già da un po’ di tempo, e si conforma a una tendenza attuale dello spirito tedesco, che è quella di presentarsi come un bravo membro del mondo occidentale e democratico, piuttosto che un cattivo tedesco capace delle idee più abominevoli. (Per inciso, mi spiego così l’improbabile propensione dei nostri amici tedeschi per la lingua inglese: questione di immagine, soprattutto nei confronti degli altri occidentali.)
Questo pretesto avrebbe potuto essere la Crimea. Avrebbe potuto essere l’«ascesa del populismo». Non avrebbe potuto essere la Brexit, che ha l’effetto di portare fuori dalla UE un paese nucleare, lasciandolo nella NATO. Alla fine, sarà l’elezione di Trump.
La giustificazione è perfetta in relazione alle circostanze:
– l’atteggiamento trasgressivo e la vaghezza di Trump sugli impegni di Washington nella NATO;
– il rischio di perdere l’”ombrello nucleare” americano, agitato nei media euro-atlantici;
– la “minaccia” di una Russia sospettata delle peggiori intenzioni da parte di questi medesimi media.
Sicuramente, l’opportunità di sondare il terreno è perfetta. Se ne prende atto.
Reuters ha quindi presentato l’idea di “Kiesewetter” in una notizia del 16 novembre 2016. Se chi mi legge tiene a mente quanto appena detto, ogni riga del messaggio (in inglese) dovrebbe apparire chiara e trasparente.
Naturalmente, la proposta è accompagnata dalla riaffermazione che “la Germania stessa” non deve diventare una potenza nucleare. Tuttavia questa frase fa parte della retorica obbligatoria. Diamo un’occhiata più da vicino al contenuto concreto della proposta.
\n
Seconda e terza parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8208
Quarta e quinta parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8225
Prefazione di Alex Zanotelli. Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8419
INTERVISTA | di Giuseppe Di Leo, 7/6/2016
http://www.pandoratv.it/?p=4037
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=4037
Stoltenberg in visita a Kiev: “L’Ucraina può contare sulla Nato” (La Notizia di Manlio Dinucci - PandoraTV 23/9/2015)
“Storica” visita del segretario generale della Nato in Ucraina. Stoltenberg ha partecipato (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firmato un accordo per l’apertura di un’ambasciata della NATO a Kiev e tenuto due conferenze stampa col presidente Petro Poroshenko...
http://www.pandoratv.it/?p=4109
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?t=125&v=Edl1IfHiqHg
Il vero impatto del «Pentagono italiano»
L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci
Gli abitanti del quartiere di Centocelle, a Roma, protestano a ragione per l’impatto del costruendo Pentagono italiano sul parco archeologico e la sua area verde (il manifesto, 29 ottobre).
C’è però un altro impatto, ben più grave, che passa sotto silenzio: quello sulla Costituzione italiana.
Come abbiamo già documentato sul manifesto (7 marzo), il progetto di riunire i vertici di tutte le forze armate in un’unica struttura, copia in miniatura del Pentagono statunitense, è parte organica della «revisione del modello operativo delle Forze armate», istituzionalizzata dal «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» a firma della ministra Pinotti.
Esso sovverte le basi costituzionali della Repubblica italiana, riconfigurandola quale potenza che interviene militarmente nelle aree prospicienti il Mediterraneo – Nordafrica, Medioriente, Balcani – a sostegno dei propri «interessi vitali» economici e strategici, e ovunque nel mondo – dal Baltico all’Afghanistan – siano in gioco gli interessi dell’Occidente rappresentati dalla Nato sotto comando Usa.
Funzionale a tutto questo è la Legge quadro del 2016, che istituzionalizza le missioni militari all’estero (attualmente 30 in 20 paesi), finanziandole con un fondo del Ministero dell’economia e delle finanze. Cresce così la spesa militare reale che, con queste e altre voci aggiuntive al bilancio della Difesa, è salita a una media di circa 70 milioni di euro al giorno, che dovranno arrivare a circa 100 milioni al giorno come richiesto dalla Nato.
La riconfigurazione delle Forze armate in funzione offensiva richiede sempre più costosi armamenti di nuova generazione. Ultimo acquisto il missile statunitense Agm-88E Aargm, versione ammodernata (costo 18,2 milioni di dollari per 25 missili) rispetto a precedenti modelli acquistati dall’Italia: è un missile a medio raggio lanciato dai cacciabombardieri per distruggere i radar all’inizio dell’offensiva, accecando così le difese del paese sotto attacco.
L’industria produttrice, la Orbital Atk, precisa che «il nuovo missile è compatibile anche con l‘F-35», il caccia della statunitense Lockheed Martin alla cui produzione l’Italia partecipa con l’impianto Faco di Cameri gestito da Leonardo (già Finmeccanica), impegnandosi ad acquistarne 90. Il primo F-35 è arrivato nella base di Amendola il 12 dicembre 2016, facendo dell’Italia il primo paese a ricevere, dopo gli Usa, il nuovo caccia di quinta generazione che sarà armato anche della nuova bomba nucleare B61-12.
L’Italia, però, non solo acquista ma produce armamenti. L’industria militare viene definita nel Libro Bianco «pilastro del Sistema Paese» poiché «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale in settori ad alta remunerazione».
I risultati non mancano: Leonardo è salita al nono posto mondiale nella classifica delle 100 maggiori industrie belliche del mondo, con vendite annue di armamenti per circa 9 miliardi di dollari nel 2016. Agli inizi di ottobre
Leonardo ha annunciato l’apertura di un altro impianto in Australia, dove produce armamenti e sistemi di comunicazione per la marina militare australiana. In compenso, per spostare sempre più la produzione sul settore militare, che fornisce oggi a Leonardo l’84% del fatturato, sono state vendute alla giapponese Hitachi due aziende Finmeccanica, Ansaldo Sts e Ansaldo Breda, leader mondiali nella produzione ferroviaria.
Su questo «pilastro del Sistema Paese» si edifica, con fondi stornati dal budget della Legge di stabilità, il Pentagono italiano, nuova sede del Ministero della Guerra.
L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci
In base a tale consapevolezza, i 122 stati che l’hanno votato si impegnano a non produrre né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente. Questo è il fondamentale punto di forza del Trattato che mira a creare «uno strumento giuridicamente vincolante per la proibizione delle armi nucleari, che porti verso la loro totale eliminazione».
Ferma restando la grande validità del Trattato – che entrerà in vigore quando, a partire dal 20 settembre, sarà stato firmato e ratificato da 50 stati – si deve prendere atto dei suoi limiti. Il Trattato, giuridicamente vincolante solo per gli stati che vi aderiscono, non proibisce loro di far parte di alleanze militari con stati in possesso di armi nucleari. Inoltre, ciascuno degli stati aderenti «ha il diritto di ritirarsi dal Trattato se decide che straordinari eventi relativi alla materia del Trattato abbiano messo in pericolo i supremi interessi del proprio paese». Formula vaga che permette in qualsiasi momento a ciascuno stato aderente di stracciare l’accordo, dotandosi di armi nucleari.
Il limite maggiore consiste nel fatto che non aderisce al Trattato nessuno degli stati in possesso di armi nucleari: gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato, Francia e Gran Bretagna, che possiedono complessivamente circa 8000 testate nucleari; la Russia che ne possiede altrettante; Cina, Israele, India, Pakistan e Nord Corea, con arsenali minori ma non per questo trascurabili.
Non aderiscono al Trattato neppure gli altri membri della Nato, in particolare Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia che ospitano bombe nucleari statunitensi. L’Olanda, dopo aver partecipato ai negoziati, ha espresso parere contrario al momento del voto. Non aderiscono al Trattato complessivamente 73 stati membri delle Nazioni Unite, tra cui emergono i principali partner Usa/Nato: Ucraina, Giappone e Australia.
Il Trattato non è dunque in grado, allo stato attuale, di rallentare la corsa agli armamenti nucleari, che diviene sempre più pericolosa soprattutto sotto l’aspetto qualitativo. In testa sono gli Stati uniti che hanno avviato, con rivoluzionarie tecnologie, la modernizzazione delle loro forze nucleari: come documenta Hans Kristensen della Federazione degli scienziati americani, essa «triplica la potenza distruttiva degli esistenti missili balistici Usa», come se si stesse pianificando di avere «la capacità di combattere e vincere una guerra nucleare disarmando i nemici con un first strike di sorpresa». Capacità che comprende anche lo «scudo anti-missili» per neutralizzare la rappresaglia nemica, tipo quello schierato dagli Usa in Europa contro la Russia e in Corea del Sud contro la Cina.
La Russia e la Cina sono anch’esse impegnete nella modernizzazione dei propri arsenali nucleari. Nel 2018 la Russia schiererà un nuovo missile balistico intercontinentale, il Sarmat, con raggio fino a 18000 km, capace di trasportare 10-15 testate nucleari che, rientrando nell’atmosfera a velocità ipersonica (oltre 10 volte quella del suono), manovrano per sfuggire ai missili intercettori forando lo «scudo».
Tra i paesi che non aderiscono al Trattato, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. La ragione è chiara: aderendo al Trattato, l’Italia dovrebbe disfarsi delle bombe nucleari Usa schierate sul suo territorio. Il governo Gentiloni, definendo il Trattato «un elemento fortemente divisivo», dice però di essere impegnato per la «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione (Tnp), pilastro del disarmo».
Trattato in realtà violato dall’Italia, che l’ha ratificato nel 1975, poiché impegna gli Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». L’Italia ha invece messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per l’installazione di almeno 50 bombe nucleari B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre, al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. Dal 2020 sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova arma Usa da first strike nucleare. In tal modo l’Italia, formalmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.
Perché il Trattato adottato dalle Nazioni Unite (ma ignorato dall’Italia) non resti sulla carta, si deve pretendere che l’Italia osservi il Tnp, definito dal governo «pilastro del disarmo», ossia pretendere la completa denuclearizzazione del nostro territorio nazionale.
(il manifesto, 9 luglio 2017)
Strategia NATO della tensione
L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci
Che cosa avverrebbe se l’aereo del segretario Usa alla Difesa Jim Mattis, in volo dalla California all’Alaska lungo un corridoio aereo sul Pacifico, venisse intercettato da un caccia russo dell’aeronautica cubana? La notizia occuperebbe le prime pagine, suscitando un’ondata di preoccupate reazioni politiche.
Non si è invece mossa foglia quando il 21 giugno l’aereo del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu, in volo da Mosca all’enclave russa di Kaliningrad lungo l’apposito corridoio sul Mar Baltico, è stato intercettato da un caccia F-16 statunitense dell’aeronautica polacca che, dopo essersi minacciosamente avvicinato, si è dovuto allontanare per l’intervento di un caccia Sukhoi SU-27 russo. Una provocazione programmata, che rientra nella strategia Nato mirante ad accrescere in Europa, ogni giorno di più, la tensione con la Russia.
Dall’1 al 16 giugno si è svolta nel Mar Baltico, a ridosso del territorio russo ma con la motivazione ufficiale di difendere la regione dalla «minaccia russa», l’esercitazione Nato Baltops con la partecipazione di oltre 50 navi e 50 aerei da guerra di Stati uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia e altri paesi tra cui Svezia e Finlandia, non membri ma partner della Alleanza.
Contemporaneamente, dal 12 al 23 giugno, si è svolta in Lituania l’esercitazione Iron Wolf che ha visti impegnati, per la prima volta insieme, due gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata»: quello in Lituania sotto comando tedesco, comprendente truppe belghe, olandesi e norvegesi e, dal 2018, anche francesi, croate e ceche; quello in Polonia sotto comando Usa, comprendente truppe britanniche e rumene.
Carrarmati Abrams della 3a Brigata corazzata Usa, trasferita in Polonia lo scorso gennaio, sono entrati in Lituania attraverso il Suwalki Gap, un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri tra Kaliningrad e Bielorussia, unendosi ai carrarmati Leopard del battaglione tedesco 122 di fanteria meccanizzata. Il Suwalki Gap, avverte la Nato riesumando l’armamentario propagandistico della vecchia guerra fredda, «sarebbe un varco perfetto attraverso cui i carrarmati russi potrebbero invadere l’Europa».
In piena attività anche gli altri due gruppi di battaglia Nato: quello in Lettonia sotto comando canadese, comprendente truppe italiane, spagnole, polacche, slovene e albanesi; quello in Estonia sotto comando britannico, comprendente truppe francesi e dal 2018 anche danesi.
«Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa», assicura il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e allo stesso tempo Comandante supremo alleato in Europa.
Ad essere mobilitati non sono solo i gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata». Dal 12 al 29 giugno si svolge al Centro Nato di addestramento delle forze congiunte, in Polonia, l’esercitazione Coalition Warrior il cui scopo è sperimentare le più avanzate tecnologie per dare alla Nato la massima prontezza e interoperabilità, in particolare nel confronto con la Russia. Vi partecipano oltre 1000 scienziati e ingegneri di 26 paesi, tra cui quelli del Centro Nato per la ricerca marittima e la sperimentazione con sede a La Spezia.
Mosca, ovviamente, non sta con le mani in mano. Dopo che il presidente Trump sarà stato in visita in Polonia il 6 luglio, la Russia terrà nel Mar Baltico una grande esercitazione navale congiunta con la Cina. Chissà se a Washington conoscono l’antico proverbio «Chi semina vento, raccoglie tempesta».
(ilmanifesto, 27 giugno 2017)
\n
НЕЗАШТИЋЕНА ПРОШЛОСТ
Пише: Мира Марковић
12.novembar 2017
Сада, после толико векова, сваки би народ требало да афирмише оне тековине из своје прошлости које имају трајну цивилизацијску вредност у развоју друштва, науке и уметности, оне тековине које имају перманентну еманципаторску улогу.
Али, често се прошлост, а нарочито оно што се у њој третира као традиција, злоупотребљава. Ставља се у функцију текућих, пре свега политичких потреба.
Често се традиционално, према коме се треба односити са поштовањем, активира у сасвим текуће, прагматичне сврхе. То традиционално би требало тобоже да буде ослонац за дневне политичке потезе. А ти потези се представљају као национални континуитет, историјски темељ политике која се тренутно води у народном интересу.
Злоупотреба прошлости и традиције ниски је ударац и прошлости и традицији, а текућој стварности је подвала коју многи савременици не виде одмах, а неки је не виде никад.
У последње време на тај начин је предмет злоупотребе постала религија, односно црква као њена институција.
Религија је, бар две последње деценије, постала територија на којој се сукобљавју народи и уоште људи, и у тим сукобима сваки народ активира своју религију као свето место свог живота које је као такво довољан разлог у најбољем случају за дистанцу од припадника других религија, а у горем случају за налажење аргумената за агресивност према њима.
Да би се таква температура међу народима и људима одржала, креатори те температуре служе се театралном глорификацијом и религије и њених тумача и цркве.
Та театралност искључује свако искрено и озбиљно религиозно осећање и у крајњој линији вређа и религију и вернике.
Многи верници ту разметљиву, свеприсутну „религиозност“ не доживљавају као театралност, напротив, верују да се ради о привржености највећој вредности којој су сами посвећени. На упозорење да се ради о прилично бескрупулозној манипулацији реагују, не само са сумњом, већ непријатељски, доживљавају та упозорења као атеистичку злурадост.
Има, разуме се, образованих верника који су свесни те манипулације и који одбијају да буду декор те театралности. Али, изгледа да су они у мањини. Да није тако, да је већина свесна злоупотребе религије, до те злоупотребе не би ни дошло.
Ако би на опасност од те манипулације неко требало да реагује онда су то представници цркве. Многи међу њима то знају као образовани људи, али њихова реаговања, и кад их има, не допиру лако и увек до јавности. Пре свега јер се не уклапају у политичке интересе манипулатора.
Али их има међу црквеним људима који игноришу чињеницу да се и религија и црква користе често у политичке сврхе, иако су те чињенице свесни. Чине то са логичном намером да атмосферу наклоњену религији и цркви искористе за јачање утицаја религије и побољшање материјалних и статусних прилика саме цркве.
Наравно, постоје и друга подручја прошлости и традиције која се на сличан начин злоупотребљавају.
Глорификација неког догађаја или неке појаве често се смешта у контекст глорификације прошлости и традицију у целини.
Међутим, нема народа на свету чија прошлост у целини заслужује да буде глорификована. Свачија има слабе стране које не треба заборавити да се не би поновиле.
Национализам је, по својој природи, склон фетишизацији националне прошлости а нетрпељив према оправданом труду за нужном вредносном селекцијом.
А затим, не може све из прошлости да буде традиција, не само зато што све не заслужује да се третира као добро, већ и зато што би такав статус многих појава био у данашње време бесмислен.
На пример и у најразвијеним земљама жене нису имале право гласа до такорећи недавно, да ли би фетишизација прошлости без селекције, ту „традицију“ неговала. Ту је селективан вредности однос према прошлости историјски нужан и оправдан.
Али је логичан и у подручјима која нису од таквог цивилизацијског значаја. Козаци су ратовали сабљама, Срби су носили опанке, Енглези сукњице, Турци димије ... то је прошлост која је остала за новим добом. Та је прошлост била дуго традиција али је време укинуло.
Вредносна селекција према прошлости подразумева неговање оних тековина које су допринеле и националном и општељудском развоју и прогресу.
А традиционално треба да се негују они симболи којима се национални идентитет испољава у његовом континуираном и оптималном цивилизацијском развоју.
ОПРАВДАНЕ ПОСЛЕДИЦЕ
Пише: Мира Марковић
23.октобар 2017
И стручно и лаичко мишљење је да је пораст малигних обољења последица бомбардовања.
И заиста, готово да нису неопходне стручне анализе и оцене када се ради о узрочно-последичној вези између малигних обољења и бомбардовања у Србији. Према „признањима“ самог НАТО-а на Србију је бачено најмање дванест тона осиромашеног уранијума, а могуће је, према њиховој процени, и петнаест.
Поред осиромашеног уранијума катастрофалне последице за живот у Србији су изазвала и бомбардовања хемијских постројења. Последице њиховог бомбардовања су једнаке последицама које би биле изазване коришћењем бојних отрова. Због експлозија и пожара који су се десили приликом бомбардовања хемијских фабрика и нафтних резервоара огромне количине отровних материја загадиле су ваздух, воду и тло на ширем подручју од оног на коме су се налазила бомбардована постројења, али је то загађење било и на дужи рок. Опасност од њега присутна је до данас и вероватно још дуго неће проћи.
Непосредно после окончања бомбардовања почео је рад на научним и стручним анализама о последицама бомбардовања на здравље, пре свега становника најугорженијих подручја, али и на здравље нације у целини. Те прве анализе су, одмах указале на драматичну везу између бомбардовања и здравља људи.
Резултати тих анализа подразумевали би и одговорност за судбину нације која је бомбардовању била три месеца изложена.
Али годину и по дана после бомбародања, власт која је то постала пучем у организацији америчке администрације и неких других западних влада и институција искључила је из свог домена рада сваку активност везану за одговорност оних који су бомбардовали Србију. То је, разуме се, било и очекивано. Нова власт је била експозитура оних који су бомбардовали Србију.
Питање одговорности је, дакле, било склоњено са дневног реда на који су га по логици и по сваком моралу на дневни ред ставили претходна власт и народ. Тако су се индиректно на споредном колосеку нашла и истраживања везана за последице бомбаровања за људски живот.
Могуће да су у последње време та истраживања „оживела“. Између осталог и зато што је пораст малигних, али и неких других сличних обољења, у драматичном порасту.
Али и данас, као и раније, важи исти каузалитет. За еколошку и здравствену катастрофу у Србији одговорност припада онима који су доносили одлуке о бомбардовању и који су га изводили. Та одговорност није само начелна него је и персонална. Осамнаест земаља чланица НАТО, и само врх НАТО, имају своје шефове који су 1999. године донели одлуке о бомбардовању Србије, додуше без сагласности Уједињених нација и Савета безбедности. Знајући ваљда да им њихова сагласност није ни потребна. Администрација САД је старија од УН.
Тешко је, дакле, избећи обелодањење везе између бомбардовања и здравствених прилика у Србији а занемарити одговорност за те прилике и то не неку начелну већ конкретну.
И усред те атмосфере недавно у Србију у госте доласи Бернар Леви, француски филозоф. Између осталог, познат и по својој дугогодишњој антисрпској пропаганди и уопште по анимузитету према Србима коју је испољавао деведесетих година.
Приликом недавног гостовања у Србији на забринутост коју је чуо од српских домаћина да у земљи има много малигних обољења у последњих петнаест година, француски филозоф је одговорио да је становништво Србије старо па је логично да као такво умире од рака, а уз то је нагласио да српски народ није склон демократији.
Што се старости тиче, Срби нису најстарији народ на свету. Има их још старих и још старијих, али нису познати по високом степену смртности од рака. У удаљеним пространствима Сибира, Кавказа, уопште Азије, Северне Америке и тако даље има много старог света а једва да има малигних обољења. А код нас сваког дана једно дете оболи од рака. Старост као евентуални узрок тешко да би могла да прође.
Али ни одсуство демократије, такође. Бернар Леви и њега помиње као један од узрока, ваљда у ширем смислу. У ширем или ужем, тешко је довести у везу одсуство демократије и малигна обољења. Односно, недостатак демократије као узрок малигних обољења. Јер има их и у најдемократскијим земљама које се, по Бернару Левију, налазе на Западу наше хемисфере. А опет нису ове болести најзаступљеније у азијским и афричким диктатурама.
Кад би та комбинација – одсуство демократије и старост, били узрок малигних обољења човечанство би бар знало шта треба да предузме да се реши једног од највећих зала које га је снашло. Продужити младост и увести демократију. А Бернар Леви би добио Нобелову награду и за биологију и за медицину и ако се за те науке није школовао. И био би скинут терет са плећа многих стручњака, биолога и лекара широм света, који раде на откривању лека за рак.
Али на жалост француског филозофа, у Канади умиру од рака иако је земља демократска, а на Кавказу живе здрави иако су стари.
Младост и демократија, и кад су уједињене, нажалост, нису лек за најстрашнију болест овог века.
Биће, дакле, по Бернару Левију, да су само у Србији старост и одсуство демократије узрочници малигних болести.
Па према томе, кад умру сви стари, а то је по Бернару Левију већина, и кад се уведе демократија којој Срби нису склони, неће више бити болести, не само малигних, него ваљда ни кијавице. Становника ће бити нешто мање и биће под надзором, да се опет не отисну у антидемокрастке воде, али бар ће бити здрави.
БИЛО У ЛАС ВЕГАСУ
Чак и ако се то догодило у САД, много је. САД, иначе, важе за земљу са највише криминала, или се бар налазе у врху те лествице.
Порекло тог криминала је предмет перманентне бриге у самим САД, лаичког огорчења широм света, и наравно, научне пажње.
Порекло је сложено, али није недовољно јасно, каквим се понекад жели да представи. Та тобожња недовољна јасност је последица извесне научне лењости, а некад има и крхку одбранашку улогу. Тобоже је то зло снашло САД, таква им је судбина.
Није, наравно, у питању судбина већ стварност која је резултат више међусобно повезаних фактора.
Велике социјалне разлике, у ствари енормне класне разлике, по правилу су први узрок криминала и свих других облика насиља и социјалне патологије. Сиромаштво, незапосленост, неписменост, колективна и индивидуална безперспективност су родна места криминалаца, наркомана, проститутки, многих психопата ...
Криминалу у САД много доприноси и веома присутна потрошачка атмосфера. Оно што се нема, недостаје више ако се људима стално даје на знање да постоји у провокативном квантитету и квалитету. Енормна понуда и одсуство услова за сваку потрошњу, или за веома ограничену и крајње скромну, изазива агресивно незадовољство.
Притом, треба имати у виду да је у САД економски раст веома интензиван, брз, готово спектакуларан, и да такав појачава социјалне разлике. Незапослени и сиромашни реагују на њих драматично, агресивно, траже решење изван институција и закона. Али, не само они. И неки припадници средњих слојева незадовољни својим шансама за материјалним и статусним променама, прибегавају повременом или трајном компензацијом у криминалу. И део омладине, такође. По природи свог бића млади људи су нестрпљиви, а подстакнути егизстенцијалним провокацијама свуда око себе, животом до кога је пут дуг и неизвестан, покушавају да га се домогну што пре, занемарујући ризик коме су изложени не само тренутно већ и трајно.
Том нараслом социјалном незадовољству и гневу много доприноси и потрошачка пропаганда. Вјерују америчког начина живота је – имати. Немати људе избацује из игре, из живота такорећи. Материјални, економски, финансијски успех је готово једини успех. Из њега се репродукују све друге шансе у животу. Породична биографија, стваралаштво, рад, духовна посвећеност су параметри у далеком другом плану. А тај примарни успех и његов амбијентални декор су не само дневно форсирани већ и национално глорификовани. Није, дакле, нереално да до тог успеха пут може да буде и ванзаконска и ванинституционална пречица.
Америчкој ванзаконској и ванинституционалној, криминалној стварности годинама је много доприносило и присуство расне дискриминације. Она је од почетка била повезана са социјалним и класним разликама. Расно дискриминисани су били и социјално, односно класно деградирани. Припадници те дискриминације и деградације су били једна од најзлостављенијих популација у осамнаестом, деветнаестом и двадесетом веку. И логично је да су се из тог злостављања родили насиље и криминал. Они су били израз нужде, али и освете. Некад и једног и другог. Америчка држава се према тој нужди и освети односила као према криминалу. А просвећени свет, у Европи као његовом центру, је ту замену тезе игнорисао, правио се да је не види.
Као један од узрока криминала у САД свакако треба имати у виду и специфичност америчког менталитета. Први досељеници из Европе у Америку са својим преступничким и авантуристичким биографијама, које су активирали при сусрету са слабијим матичним становништвом, били су пратемељ следећих покољења која су агресивност у остварењу својих националних интереса и личних потреба сматрали легитимним својством своје супериорне цивилизацијске нарави. Та нарав је радикално и скоро антагонистички била различита и остала различита од европске раскошне просвећености и азијске стрпљиве мудрости.
И најзад, треба имати у виду и одсуство континуитета хуманистичких идеја које вековима постоје у Европи и Азији и настојања да се оне остваре.
Иза садашње Европе налазе се грчка филозофија која је на највишем мисаоном нивоу покренула питање односа између добра и зла, као и многи до сада непревазиђени антички идеали морала и лепоте; римско право на коме се темеље цивилизацијски парамтети од 753. године пре Христа до данас; хришћанство чији почеци представљају рану антиципацију једнакости и равноправности; десет векова византијске суптилне ликовне духовности; златни утопистички сан Томаса Мора и за далеку будућност написан „Град Сунца“ Томаза Кампанеле; визионарски образац оптималног живота који су образложили Сен Симон и Фурије пре него што је наука о друштву то преузела на себе; раскошно схватање слободе за време три века ренесансе; Велика француска револуција на чијој су застави први пут слобода и равноправност најавиле повезаност без којих нема ни једне ни друге; Први човеков излет у небо 1871. године за време Париске комуне; научно креирана будућност Марксовог учења; Лењинове Филозофске свеске и Октобарска револуција која је отворила прве странице будућности ...
Захваљујући том континуитету Европа је врт наше цивилизације, њена мисаона дуговечност је израз њене универзалности и њене супериорности у односу на егизстенцијални салто витале у чијој се неутемељености крије опасност од негације.
Зато Американци, лишени тог континуитета, живе у прагматичној садашњости и у њој једино налазе репер респектабилности. Оно што им је дошло из еврпоског мисаоног и искуственог живота предмет је едукативног, али не и вредносног значаја.
Њихове личности се нису формирале на претходном мисаоном искуству јер га нису имали. Оно што имају у том смислу је са историјске тачке гледишта кратког даха, дијалектика је једне немирне духовно и мисаоно неауторизоване динамике, елементарни егзистенцијални мотив без искуства из јучерашњег дана и без перцепције за сутрашње.
ПОВОДОМ ТРИДЕСТ ГОДИНА ОД ОСМЕ СЕДНИЦЕ
Њене теме су биле две.
Прва је била друштвена реформа.
Та реформа је требало да буде почетак трансформације постојећег друштва у виши цивилизацијски тип. Односно, циљ те реформе је био формирање једног богатог и праведног друштва.
Примарни принцип социјалистичког друштва је био праведно друштво. Али су сва социјалистичка друштва до тада била сиромашна, или прилично сиромашна.
Довођење у питање, бар делимично, те стварности као прилично дугорочне нужности започело је у социјалистичкој Југославији. Она је одбила да сиромаштво буде део социјалистичке личне карте која ће важити деценијама. Отклањање те заблуде је била необразложена платформа послератне Југославије. У првој половини осамдесетих година дошло је до стагнације југословенског живота, а нарочито до тражења одговора на питање какав он треба да буде.
Али је већ у другој половини осамдесетих година прошлог века Србија отворила то питање спремајући на њега и одговор. Праведно (социјалистичко) друштво не само да није нужно да буде сиромашно већ може да буде истовремено и богато. Односно, да праведно друштво које је и богато тек онда постаје социјалистичко. А тиме и нерањиво не само на сумњичавост у погледу своје историјске оправданости већ нерањиво и на аргументе чак и најљућих противника који су своје неслгање са социјализмом заснивали на његовом сиромаштву.
Идеја реформе у Србији средином осамдесетих година подразумевала је осим присуства тржишта и активирање приватне својине, њеним комбиновањем са државном и друштвеном својином. То је требало да буде начин на који је било могуће остварити економски и социјални развој чији би резултат био виши квалитет живота, материјалног и осталог, за све грађане, на макро и на микро нивоу.
Уводни реферат у оквиру прве тачке дневног реда био је уствари најава почетка те теме. И та тема би доминирала седницом, била најава почетка реформе која је била више од реформе, да у међувремену није дошло до сепаратистичких и терористичких догађаја на Косову од стране албанске мањине.
Они су се у великој мери ослањали на аутономију Косова које је покрајину све више чинила републиком и подстицала сепаратизам албанске популације.
Тај албански сепаратизам је имао прилично индиректну подршку у врховима Хрватске и Словеније које су тада и саме испољавале сепаратистичке тенденције, додуше не тако агресивно као Албанци на Косову, средином осамдесетих година словеначки и хрватски сепаратизам се испољавао још увек обазриво.
Проблеми на Косову и потреба да се они реше захтевала је предузимање хитних политичких и државних мера. Оне су у великој мери значиле и довођење Косова под надлежност Републике Србије, као што су у њену надлежност спадали и сви остали њени делови. И као што су у надлежност свих других република у Југославији спадали сви делови тих република.
Део српског руководства у претходних неколико година, а и те 1987. године, доводио је у питање независност албанског сепаратизма - сматрали су да је у приличној мери био изазван српским национализмом. Доводили су у питање и хитност мера да се тај сепаратизам заустави – сматрали су да се ради о дугом и спором процесу. А што се тиче аутономије Косова која је претила да Косово учини републиком, ту аутономију је тај део српског руководства подржавао. Устав из 1974. године, који је иституционализовао ту аутономију имао је подршку ондашњег српског руководства
Све то је била друга тема Осме седнице.
Због атмосфере у Србији, али и због атмосфере на седници, та друга тема дневног реда је постала доминантна. Спонтано али оправдано је постала главна и остала је главна пуних тридесет година.
До дана данашњег ће свако ко помене Осму седницу везивати је за Косово, односно за одлуке донесене у вези са приликама на Косову.
Таква оцена је такорећи добила право грађанства.
Тако ће о њој говорити и њени учесници, већ сутрадан после седнице.
Данас је тешко зауставити, тешко је чак и кориговати тај тренд.
Појавиле су се готово научне студије које имају за циљ да објасне „дубљи“ смисао Осме седнице. Као да то што је видљиво такорећи голим оком, није најважније. Најважније је тобоже нешто друго, притом то друго не објашњавају. Биће да је то нека тајна, али света српска ствар. Та фетишизација српског, та патетична кукњава, то призивање цркве, православља, прошлости, косовских јунака, битке на Кајмакчалану, ... нема никакве веза са Осмом седницом – са заустављањем албанског сепаратизма и тероризма, а поготово не са идејом реформе.
Губитници на Осмој седници су били заступници вишегодишње политике о опасности од српског национализма за све остале народе и мањине у Југославији, о потреби да се са таквим национализмом обрачуна српско руководство, о том национализму као узроку албанског сепаратизма, а о албанском сепаратизму и тероризму као појавама са којима треба обазриво и стрпљиво планирати потезе на дуги рок.
Иако мањина са ове седнице били су од онда до данас активни, присутнији у јавности од оних који су на тој седници били победничка већина. И даље су остали уверени да је српски национализам готово шовинизам и као такав зло против кога се мора борити. У међувремену су стекли много следбеника у Србији, а у републикама некадашње Југославије су имали подршку и раније и имају је и данас у свим срединама.
Они који су били већина на седници нису се много трудили да објасне да српски национализам није најопаснији у Југославији, нити је изазвао албански, а тамо где га има у Србији, као што га има и у другим републикама и уосталом у свим земљама на свету, треба да буде предмет осуде. Од стране свог народа, разуме се, пре свега.
Због недовољног присуства у јавности већине са Осме седнице, одлуке у вези са Косовом су често симплифициране и вулгаризоване, сведене на банално национално и индиректно и ненамерно су послужиле као аргумент „борцима против српског национализма“ у јавном животу Србије да је то био почетак националистичке политике у Србији која је угрозила стабилност Југославије.
Тај ниски ударац мерама да се заустави ескалација албанског сепаратизма и тероризма на Косову и да се сачува територијано јединство Србије на начин на који су биле јединствене све друге републике некадашње Југославије, неколико година касније суд у Хагу на суђењу Слободану Милошевићу употребиће као кључни доказ да је Србија одговорна за распад Југославије и да је тај распад инспирисан Осмом седницом.
А тековине Осме седнице, кад је реч о Косову, су биле енергичне државне мере да се зауставе албански тероризам и сепаратизам и њихово заустављање већ у току те и следеће године и промене Устава Србије после годину и по дана којима је Србија правно и политички изједначена са другим републикама у Југославији ограничењем аутономије обе покрајине која је претила да их трансформише у републике.
Да непуне три године после Осме седнице није дошло до југославенске драме, Србија која је на Осмој седници добила под своју надлежност Косово на принципима политике националне равноправности и свог територијалног интегритета, је имала све услове да савлада сепаратизам и тероризам албанске мањине.
И да изведе целовиту друштвену реформу. Могуће је да би идеја те реформе временом постала инспиративна у југословенским размерама, али не само у југословенским размерама. И могуће је да је, укидањем Југославије и демонизацијом Србије, због тога заустављена.
А распад Југославије није индиректна одговорност Осме седнице коју јој хашки трибунал приписује, али јесте одговорност креатора тог суда.
Креатори тог суда судили су за злочин борцима против злочина који су сами извршили.
Прогнана и неизгубљена
ТРАНЗИЦИОНИ ПАЧВОРК
Пише: Мира Марковић
14.октобар 2017
У сваком друштвнеом систему, од робовласничког до грађанског и социјалистичког друштва, налазили су се и остаци претходног друштвеног система и наговештаји следећег друштвеног система.
У феудализму су се, нарочито на почетку налазили остаци ропства, а касније наговештаји следећег, грађанског друштва у лицу богатих трговаца и занатлија и првих индустријалаца.
У грађанском друштву су остаци претходног друштва били некадашње осиромашено племство и свештенство, а најаву следећег система су представљали високо ситуирани стручњаци и службеници (технократе и бирократе).
То је историјска законитост. Та законитост је мало модификована у земљама такозване транзиције. Многе некадашње социјалистичке земље имају за историју мало необичан састав – остаци претходног социјализма, враћање првобитне акумулације капитала, успостављање државног капитализма заједно са неолибералном економијом.
Пошто транзициони друштвени живот за сада нема пред собом друштвени систем ка коме је постојеће друштво упућено, ни његову природу у целини, ни његове поједине манифестације, тешко је, односно немогуће је, претпостаљати шта би од економских и социјалних обележја у друштвеној збиљи ових земаља била најава будућег друштвеног система.
У феудализму су богати трговци и занатлије и први индустријалци најавили класу капиталиста и капитализам уопште. У капитализму су технократски и бирократски слој најавили управљачки корпус најпре државног капитализма а затим корпоративног. И тако даље.
Ни у сасвим развијеним капиталистичким друштвима није економска и социјална структура тих друштава једноставан израз историјског континуитета, али су развојни процеси и одговарајући тренд присутни и у историјском смислу ипак препознатљиви.
У сваком случају далеко су од економског и социјалног хаоса који влада у такозваном транзиционом свету. Његова шароликост, хаотичност, непредвидљивост, подсећају на стари али и даље актуелан ручни рад – пачворк, који је због своје привлачности преузела и индустријска производња.
Има га у изради одеће и кућних тканина, као неуобичајено комбиновање боја, структуре, облика и величине материјала. Тај несклад је имао и има шарм за многе укусе. Та комбинација свега настала је из нужде. Неодстатак потребног новог материјала био је разлог да се употребе остаци старих, чија се комбинација убрзо показала маштовитом и лепом, па ће се касније та принудна комбинација показати као изборна. Пачворк или крпљење постоји и данас, али више не као крпљење већ као креирање.
На сличан је начин комбинација присуства разних друштвених система у транзиционим друштвима на почетку била израз нужде. Нагло укидање социјалистичког система није могло да уклони преко ноћи све његове трагове у економском и социјалном животу новог несоцијалистичког друштва. Као што ни тек успостављени капитализам – тржишна привреда и вишепартијски систем, нису могли одмах да се испоље у развијеном облику па се појављују у свим својим фазама делимично испољени, међусобно неповезани и често противречни.
За разлику од текстилног пачворка овај друштвени, иако је као текстилни почео из нужде, тешко да ће временом постати избор. Недостају му социјална стабилност, економска ефикасност и нарочито историјска усмереност. Да би био избор мора да буде привлачан, а да би био привлачан мора да има, између осталог и циљ, који за сада нема.
СОЦИЈАЛИЗАЦИЈА ПРИРОДЕ
Савладавајући природу, стављајући је у функцију својих, најпре биолошких, а затим и социјалних потреба, човек је нарушио њену аутентичност, довео у питање хармонију која је постојала између биљног и животињског света, па и ону која је постојала у оквиру сваког од та два света независно од оног другог.
Истребио је неке животињске врсте, један број неких животиња је припитомио, употребљавајући их за своје домаће потребе – да лакше дође до њих као хране, да му служе као физичка помоћ, али и за разоноду.
Тако је велики број дивљих животиња трансформисан у домаће – тигар у умиљату мачку са машном око врата, вукови и којоти у лојалне намирисане кучиће који лече кијавицу код ветеринара, дивљи мустанг у амалина, у бољем случају у живи реквизит за испољавање спортских активности, али и за испољавање снобовских и шарлатанских потреба – коњске трке су у приличној мери летњи атријум за малограђанску таштину богатих паразита и хараздерско надметање доконих шарлатана.
Нарочито срамни облик припитомљавања су циркуси у којима се најлепши примерци животињског царства муче и понижавају да би тим мучењем и понижавањем били забављени гледаоци, немилосрдно резистентни на патњу других.
Да није тако не би човек водио своје мале потомке да гледају у кавезу затворене лавове и тигрове, чије су лепота и снага само болна сенка лепоте и снаге која их је красила у прашумама и саванама.
Деца ће од најранијег детињства научити да животињским царством господари човек и да сваког од његових припадника може да учини својим робом из чисте потребе за кратким и мрачним задовољством.
Нису могли да припитоме ајкуле и китове, за сада су у стаклене посуде са водом затворили шарене мале рибе које се полулуде међусобно сударају, а њихова немоћ и очајање део су ентеријера којим се хомо сапиенс поноси пред другима или сам ужива у њему. У том ентеријеру, акваријум са живим малим и немоћним бићима има исти статус као фотеља, завесе, шоље за кафу или слика на зиду.
Аутентични биљни свет аутентичан је још само тамо где људска рука, нога, а нарочито мозак нису допрли – Бразилске пашуме, ток Амазона, далеке дубине великих мора и океана.
Од човеког интервенисања у квантитет и квалитет њихове егзистенције штити их одсуство човекових способности да до њих дође. Или човекова недовољна заинтересованост да до њих дође. Кад буде располагао одговарајућим начином и мотивом прилагодиће и флору својим рационалним и ирационалним потребама. Укрстиће лалу и орах, купус и баобаб из инфантилне и неодговорне радозналости. (Као што то тајно покушава у животињском свету.)
Ни биљке, ни животиње не могу да се супротставе, а човек свој окрутан однос према њима објашњава и оправдава својим егзистенцијалним потребама.
Тим потребама је објаснио и оправдао загађење воде, ваздуха и тла које је захватило у огромним размерама читаву планету крајем деветнаестог и почетком двадесетог века процесом урбанизације и индустријализације. Она вода, онај ваздух и оно тло више то нису тамо где су их дотакле индустријализација и урбанизација. Вода, ваздух и само тло су чисти још само у руралним подручјима, али та удаљеност ће трајати онолико колико се геолошка целина планете не буде могла да одложи на дужи рок.
Нарочито су нове и драматичне интервенције везане за климу. Научно технолошка знања стављена у функцију политичких интереса мењају већ дуже време климатске прилике на подручјима на којима се налазе државе чију територију или политику нека моћна политичко-технолошка елита жели да стави под своју контролу. Способност за такве интервенције у сфери климе могу да имају само најразвијеније земље. Али и земље чије се владе не устежу да своје класне, елитистичке интересе ставе изнад елементарних егзистенцијалних интереса милиона људи широм планете. Занемарујући при том чињеницу да међу тим милионима постоји равноправна моћ, способна да узврати ударац, да одговори на исти начин. А онда, жртва постају сви, човечанство.
Најзад је човек такве интервенције у природи извео и на самом себи. Са циљем да самог себе учини функционалнијим, да себе стави у функцију своје добробити.
Скоро ће век како је почео да своје биолошки дотрајале или оштећене делове тела замењује вештачким. Вештачки зуби, кукови, руке, ноге .... захваљујући великим медицинским напорима трансплантација је омогућила човеку да замени новим дотрајалу јетру, бубреге, срце ...
Захваљујући естетској хирургији човек може да добије ново лице и нове делове тела уместо оних који му се не свиђају, а захваљујући пластичној хирургији и потпуно нови идентитет. Од великих физичких повреда човек у данашње време може лако да се опорави захваљујући радикалним интервенцијама у његово биолошко биће. Како ствари стоје, тих интервенција ће бити још више из здравствених и естетских разлога.
Временом ће биолошки састав уступити све већи простор вештачком, природни живот ће се повлачити пред друштвеним мерама да се испољи на вишем нивоу. Човека ће на крају највероватније заменити његов човеколики машински производ. Роботом, као постчовеком биће окончан човеков биолошки живот.
Надаље ће функционисати „живот“ који је он произвео са намером да свој аутентични живот учини бољим и лепшим. У својој гаргантуовској потреби да савлада природу, да је потчини себи, потчиниће себи и себе самог. Човек не може да мења природу а да при том не мења и себе, не може да је савлада а да не савлада и себе. Ту целину човек, нажалост, није до сада мењао планирано већ стихијски. Додуше, планирано није ни могао, дуго није располагао ни знањем ни условима за конципирање промена у природи. Али у двадесетом веку су се стекли знање и услови да човек свој однос према природи заснива на планирању промена које ће бити у интересу човека али на штету природе, а поготову не на његову сопствену штету.
На самом почетку двадесет првог века без таквог концепта и његове примене човек ће временом, вођен стихијском инерцијом уместо научном истином, почети да укида и најзад и укинути самог себе.
СВАКА ПТИЦА СВОМЕ ЈАТУ
Пише: Мира Марковић
8.aвгуст 2017
Неолиберализам је доминантна друштвена реалност али и оријентација најразвијенијег света. Та оријентација није довољно научно заснована, а великим делом није уопште научно заснована.
Опредељење за неолибералну будућност као најбоље глобално решење за савремени свет је прагматично „идеолошко“, израз је виталног и континуираног класног егоизма који је, захваљујући технолошко-информационом степену развоја, добио шансу да се наметне као оптимално.
Тако је за сада, у недостатку другог, хуманијег решења и наравно научно заснованог. До даљег, дакле, неолиберализам влада светом.
А да би та владавина била ефикасна њени носиоци треба да буду одговарајући заступници политике коју та владавина треба да спроводи.
У развијеним грађанским друштвима у Европи и на америчком континенту то се подразумева, неолибералну политку спроводи власт у којој се налазе за њу неолиберално опредељени појединци.
Проблем је у некадашњим социјалистичким земљама. Оне су се такорећи преко ноћи определиле за неолиберални друштвени систем. Али су им недостајали одговарајући „кадрови“. Опредељење је могло да се догоди преко ноћи, али преко ноћи нису могли да се нађу одговарајући политички заступници тог опредељења. Људи који су тако били оријентисани у дужем периоду, који имају одговарајћа знања и искуства у његовој примени, ван земље, пре свега, а делимично и у земљи кроз опозиционо политичко деловање у професионалном и јавном животу.
У недостатку, дакле, таквих „кадрова“ нове неолибералне власти у многим земљама некадашњег социјализма принуђене су да владе и институције од највећег значаја буду састављене од некадашњих социјалистичких и комунистичких активиста. Па тако некадашњи члан ЦК КП из 1987. године постаје 1991. године министар за привреду у неолибералној влади. Како да та привреда напредује са кадром који се годинама бавио односом између државе и друштва у интересу јачања социјалистичке својине да би после три-четири године добио да руководи ресором у Влади који треба да изврши својинску реприватизацију и гради темеље крхке капиталистичке државе.
Заиста, како да напредују та неолиберална држава и њена привреда. Па, никако. Или у најбољем случају, тешко. Зато у помоћ тим државама већ одмах, раних деведесетих година, у помоћ стижу „кадрови“ из неолибералних светилишта у Европи и САД. Или као аутентични евроатлантски стучњаци за савремену тржишну привреду и одговарајћи парламентарни, демократски систем. Или годинама тамо школовани, демократској оријентацији склони млади људи из социјалистичких земаља који су у међувремену постали респектабилни стручњаци за организацију неолибералног друштвеног система и демократског друштва.
Јавност, која себе сматра патриотском, ту и тамо протестује. Али, неоправдано. И она је допринела успостављању нове друштвене стварности евидентирајући гневно и континуирано слабе стране претходног социјалистичког система. Мање-више индиректно је допринела новом типу друштва.
А њега не могу реализовати протагонисти претходног социјалистичког, већ заступници тек успостављеног неолибералног друштва.
Ако их нема у домаћем расаднику, онда се морају тражити и налазити у ближем или даљем окружењу. Тако је и у нашем друштву.
Неолиберални курс захтева одговарајућа персонална решења, познаваоце, тумаче и учеснике тог курса. У новим властима и на одговорним функцијама у Србији нема разлога да се налазе социјалистички кадрови из осамдесетих и деведесетих година, не из моралних разлога, мада они нису за потцењивање, већ из сасвим прагматичних. Они немају стварну копчу са неолибералним светом без обзира на моралну и политичку мутацију помоћу које мисле да могу да се од патриотских левичара из 1993. године трансформишу у заступнике евроатлантске тржишне политике.
Ти морални политички мутанти камен су о врату успешном реформском курсу, бржој системској трансформацији и аутентичном креирању једног сасвим другачијег света у односу на онај у коме су они били политички активни и у коме су формирали своје политичко и друштвено биће.
У кризним, бурним временима честа је појава моралне и политичке еластичности. Из страха, из интереса, али и из малограђанског комодитета, левичари постају десничари кад зађу њихова левичарска времена, а освану десничарска. Али и обрнуто.
После социјалистичких револуција много их је који су своју монархистичку, али и обичну грађанску прошлост пустили низ воду нудећи своју лојалност партијској администрацији оближњег општинског комитета Комунистичке партије, Савеза комуниста или са неким другим одговарајућим именом.
Морална еластичност је неетички континуитет који је био присутан у свим временима и у свим срединама. Његова виталност зависи од степена еманципације друштва као целине, од цивилизацијског савладавања егзистенцијалног страха и од детронизације интереса као доминантног мотива.
Иза одрицања од власти и владара који то више нису и изражавања лојалности новим властима и новом владару се налази страх или интерес. А најчешће и једно и друго. Та морална еластичност има неко не баш витешко али делимично и рационално покриће. Нарочито кад је човек по природи кукавица или кад је мотивисан егзистенцијалним и професионалним потребама.
Али ставити на апсолутно располагање своје радне, професионалне, политичке и просто људске услуге власти која је док то није постала сматрана противничком, и приписати јој врлине које су до јуче биле мане, израз је моралне мутације која ипак и срећом није масовно распрострањена.
За њу су способни ређи примерци препознатљиви по одсуству сваког осећања части, а могући захваљујући присуству масовно распрострањене способности да се то одсуство не осуди, чак ни да се игнорише. Или бар да му се руга. Али, ето, чак ни ту способност нема мноштво захваљујући коме мутанти постоје.
Зато је избор Ане Брнабић, с обзиром на њену биографију, и рационалан и моралан. У друштву чије је опредељење идентично са њеним она може да допринесе његовом развоју.
Као што су после 1945. године у социјалистичкој Југославији у врховима власти били партизански хероји социјалистичке и комунистичке оријентације, а не монархистички теоретичари и министри, који, чак и да су хтели, а срећом њима на част нису, не би наишли на отворена врата.
Свака птица своме јату, чак и кад се јато нађе у олуји, чак и кад га снађе невреме.
Птице то знају иако су инфериорна бића у односу на човека. Он би, и ако супериоран, могао понекад да погледа изнад себе, према небу. Земља је стабилна локација. Али није увек довољно инспиративна.
[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8791 ]]