LA SPAGNA NEL CUORE
Milo Petrović
vicepresidente dell\'Associazione dei combattenti di Spagna 1936-39 e amici.
Vreme, 14 settembre 2006
Tutte queste ombre terrificanti hanno i propri nomi nella memoria
nomi costruiti con fuoco e lealtà, nomi puliti, semplici, vecchi e sublimi, come le parole sole e acqua...
Sì, come sceglierne uno soltanto tra così tanti silenziosi
Sono trascorsi settant\'anni dall\'inizio della guerra civile spagnola, evento che più che simbolicamente annunciò la Seconda guerra mondiale. Infatti solo sei mesi dopo il crollo della Repubblica spagnola, il secondo grande conflitto del XX secolo diventava una spaventosa realtà.
La Seconda repubblica, costituita il 14 aprile 1931, rappresentava un notevole tentativo modernizzatore. Allo stesso tempo faceva acuire il conflitto tra le forze modernizzatrici e quelle che vedevano la grandezza della Spagna nel passato. La nuova costituzione, chiave di base per cambiare le arcaiche strutture sociali, provocò la resistenza delle forze che si sentivano minacciate, sia che si trattasse dei grandi proprietari, che delle gerarchie ecclesiastiche e militari. Dall\'altra parte, il proletariato urbano e contadino impoverito voleva molto di più e più in fretta, cosa che lo portò, assieme alle sue organizzazioni politiche e sindacali, in confronto diretto sia con gli avversari di classe che le autorità. Nel paese cresceva la tensione, e sempre più era difficile controllare le parti in conflitto.
C\'era la speranza che le elezioni del 18 febbraio 1936, vinte dal Fronte Popolare – composto da partiti repubblicani, socialisti, regionalisti e comunisti e sostenuta da partiti anarchici – avrebbe stabilizzato la situazione politica nel paese. Invece fu l\'inizio di un nuovo acuirsi dei contrasti e di nuovi scontri. Una parte del comando militare voleva intervenire immediatamente, ma Francisco Franco credeva bisognasse aspettare un\'opportunità più favorevole. Il governo reagiva lentamente e non riusciva ad imporre l\'autorità necessaria nemmeno al proprio eterogeneo corpo elettorale. Partirono le aggressioni e provocazioni capeggiate dalle forze fasciste e dall\'ultra destra, ma militanti della sinistra radicale non rimasero a guardare. Gli scontri culminarono con gli assassini del tenente lealista Del Castillo il 12 luglio, e come risposta, il giorno dopo, del dirigente della destra monarchista Calvo Sotelo.
Il 18 luglio i generali Mola, Sanjurjo e Franco si sollevarono contro il governo legittimo. Malgrado i successi iniziali nelle province settentrionali, in Galizia, in zone della Navarra e Castiglia, e la conquista di centri importanti come Saragozza e Siviglia, i golpisti non riuscirono nel loro intento fondamentale: la conquista a sorpresa di Madrid e Barcellona. Nelle città più grandi si formarono milizie popolari che, con armi prelevate dai depositi militari, attaccarono e occuparono fortificazioni militari e caserme, schiacciando i focolai dei ribelli. I queli però ebbero dalla loro parte unità legionarie e marocchine leali a Franco, trasportate dal Marocco su aerei tedeschi e italiani. L\'Italia fascista e la Germania nazista mandarono ai golpisti armamento pesante, carri armati e aviazione. In questa maniera la guerra civile spagnola acquistò un carattere internazionale.
La Comunità delle Nazioni
Purtroppo, prima la Gran Bretagna, poi la Francia, imposero, attraverso la Comunità delle Nazioni, una politica di non ingerenza nel conflitto “interno” della Spagna, conflitto nel quale le autorità legittime vennero equiparate ai golpisti, e pertanto impossibilitate ad aquisire armamenti per la propria legittima difesa. Solo l\'Unione Sovietica e il Messico sarebbero stati dalla parte della Repubblica, e le armi sovietiche avrebbero contribuito al temporaneo equilibrio militare.
Dalla parte di Franco combatterono anche le forze di Hitler e quelle, molto numerose, di Mussolini, nel quadro del cosiddetto corpo volontario. Vi parteciparono anche i “volontari” portoghesi, reclutati dal regime di Salazar, e un numero trascurabile di volontari internazionali. Dalla parte della Repubblica combatterono 35-40 mila volontari da più di cinquanta paesi di tutti i continenti, dei quali 1700 della ex-Jugoslavia (1). I volontari jugoslavi erano composti da combattenti di varie convinzioni politiche e ideologiche, dal centro borghese alla sinistra radicale – lo stesso pluralismo del contesto repubblicano spagnolo – ma una cosa avevano in comune: la volontà di difendere con prontezza, convinzione, e con le proprie vite, la repubblica spagnola dal pericolo fascista che si sporgeva sull\'Europa.
Non ci fu altro avvenimento che abbia scosso e mobilizzato il pubblico mondiale come lo fece la guerra civile spagnola. A ciò ha contribuito il sostegno alla Repubblica da parte di grandi nomi della cultura spagnola e mondiale: Garcia Lorca, Neruda, Ernandes, Macado, Alberti, Picasso, Buñuel, Sernuda, Felipe, Vallejo, Malro, Hemingway, Eluard, Aragon, e molti altri che misero il loro talento al servizio della difesa dei valori repubblicani. Ciò non fu però abbastanza per sconfiggere la rivolta della quale Franco, dopo la morte di Sanjurjo e Mola, divenne il capo indiscusso. Non fu abbastanza perché i paesi occidentali, temendo il rafforzamento delle forze di sinistra – alcune delle quali sostenevano apertamente la rivoluzione sociale – si sforzavano di evitare lo scontro con le forze dell\'Asse, le quali, già nel novembre del 1936, riconobbero il governo di Franco con sede a Burgos, e continuarono a sostenere i ribelli in uomini ed armi. Con ciò la situazione sul campo iniziò a muoversi a loro favore.
Concessione invano
Dopo il fallimento dell\'ultimo tentativo della Repubblica di sfondare sull\'Ebro e capovolgere le sorti della guerra, il governo di Juan Negrino, il 21 settembre 1938, decise, in conformità con la richiesta della Comunità delle Nazioni, di ritirare le brigate internazionali dalla guerra. Fu ciò un disperato tentativo di eliminare l\'ultimo pretesto che la Germania e l\'Italia avevano per appoggiare i ribelli. Naturalmente le potenze fasciste non rispettarono questa richiesta, mentre l\'Unione Sovietica, messa di fronte alla questione della sicurezza propria, abbandonò la repubblica al proprio destino. La Repubblica fu sconfitta militarmente; mezzo milione di persone cercarono salvezza in esilio; la repressione franchista piombò imperterrita su tutti i sopravvissuti, nemici veri o immaginari, senza che i paesi occidentali e l\'URSS evitassero il confronto armato con il nazifascismo. Inoltre, dopo la vittoria su Hitler e Mussolini, gli Alleati “dimenticarono” la Spagna e i combattenti della Repubblica e il loro contributo ai movimenti di resistenza europei, permettendo così a Franco di governare la Spagna con pugno di ferro fino alla morte, ovvero per quasi 40 anni.
Il grande maestro della lingua spagnola, Pablo Neruda, spinto appunto da questo sentimento di solidarietà, pubblicò nel 1937 “La Spagna nel cuore”. Identificandosi con la sofferenza e dolore del popolo spagnolo, Neruda, ad un incontro di solidarietà a Parigi, menzionò il suo amico Garcia Lorca, una delle prime vittime dell\'imminente terrore:
Come osare evidenziare un solo nome in questa enorme giungla riempita dalle nostre vittime. Come i poveri contadini andalusi uccisi dai loro vecchi nemici, così i minatori delle Asturie, i falegnami, muratori, braccianti cittadini e contadini, come qualsiasi delle migliaia di donne uccise e bambini smembrati, ognuna di queste ombre ardenti ha diritto ad apparire dinanzi a voi come un testimone di questa grande terra dannata, e di loro c\'è posto, credo, nei vostri cuori, se sono puri da inguistizia e male. Tutte queste ombre terrificanti hanno i propri nomi nella memoria, nomi costruiti con fuoco e lealtà, nomi puliti, semplici, vecchi e sublimi, come le parole sole e acqua... Sì, come sceglierne uno soltanto tra così tanti silenziosi? Ma il nome che pronuncerò dinanzi a voi ha dietro ai suoi contorni oscuri una tale ricchezza mortale, tanto è pesante e fradicio di significato che, quando lo si pronuncia, si pronunciano i nomi di tutti i caduti, difendendo la stessa materia delle sue poesie, perché lui fu un sonoro difensore del cuore della Spagna. Federico Garcia Lorca! Fu prediletto come la chitarra, gioioso, melancolico, profondo e chiaro come un bambino, come il popolo
Solidarietà
La solidarietà che la Spagna ed il mondo conobbero, vista dalla prospettiva odierna, sembra quasi impensabile. Ciò che attirò verso la Spgna nel 1936 la risvegliata gioventù mondiale furono conoscenza, coscienza, sentimento, illusione che in Spagna si difendeva non solo la volontà democratica del popolo spagnolo, bensì che si testava la possibilità d\'instaurare un mondo nuovo, migliore e più giusto, fondato sui princìpi della libertà, uguaglianza e fratellanza. Arrivando in Spagna, nei loro cuori bruciava una potente speranza che la vittoria sul fascismo avrebbe consolidato e sviluppato quel mondo, in Spagna come nei propri paesi d\'origine.
Se non abbiamo questo in mente, non saremo in grado di pensare e spiegare l\'impiegabile determinazione e volontà di decine di migliaia di persone, dalle più diverse e più distanti aree del pianeta, della più diversa estrazione sociale, interessi, professione e livello di educazione, di arrivare in Spagna andando intorno a numerosi ostacoli nei propri paesi d\'origine e in tutti i paesi di transito.
L\'esempio jugoslavo in questo senso è molto eloquente. I lavoratori di vari settori, in particolare i minatori, e poi studenti (addirittura alunni) contadini, funzionari di vario rango, farmacisti, ingegneri, marinai, soldati (incluso aviatori), letteralmente da tutte le parti della ex-Jugoslavia – dalla Slovenia alla Macedonia – partivano per difendere la libertà aggredita. Ma gli jugoslavi non solo partivano dalla Jugoslavia stessa. Molti furono quelli che arrivavano in Spagna da paesi terzi, in cui lavoravano, studiavano, vivevano: dall\'Italia, Austria, Belgio, Francia, Svizzera, Polonia, Cecoslovacchia, Unione Sovietica, Canada, Stati Uniti, Argentina, Brasile, Uruguay, Messico, Panama, Grecia, Bulgaria, Albania, Turchia, Algeria ed Iran. Le autorità dell\'allora Jugoslavia facevano di tutto per impedire la partenza dei volontari in Spagna.
Chi invitò, mobilizzò e organizzò questi volontari? Le forze politiche che fecero di più per spingere l\'arruolamento dei volontari e il loro trasporto in Spagna furono indubbiamente il Comintern, il quale già nell\'autunno del 1936 trasmise un invito ai volontari di partire per la Spagna; e i vari partiti comunisti, a quel tempo le forze più organizzate della sinistra mondiale. Il trasferimento ebbe luogo principalmente attraverso Parigi, dove esisteva un punto di accoglienza e trasferimento organizzato. I volontari transitavano ad ogni modo anche per altri canali, ed è indubbio che ci fu chi arrivò in Spagna in precedenza all\'appello del Comintern, e che si unì alle unità dell\'armata repubblicana e delle milizie popolari. Il governo della Repubblica decise di formare le brigate internazionali il 22 ottobre 1936.
Diversità
Sia tra gli jugoslavi, come tra i volontari di altri paesi, ci furono, accanto ai comunisti, persone di altro orientamento ideologico. Tra gli jugoslavi era caratteristica la presenza di sostenitori dell\'HSS di Stjepan Radić, nome portato da un\'unità jugoslava (2). Il punto di riferimento comune dei volontari era l\'antifascismo, non il comunismo. La metà vi rimase in Spagna. Perivano sui campi di battaglia attorno Madrid, difesa letteralmente con i propri corpi, sulla Jarama, a Guadalajara, a Brunete, Teruel, Belchite, Ebro. Con la morte divennero cittadini spagnoli e in Spagna trovarono la destinazione finale. I loro pochi compagni sopravvissuti avrebbero ricevuto questo diritto, promesso loro dalla Repubblica, solo 60 anni più tardi, con la decisione unanime del parlamento spagnolo di insignire della cittadinanza tutti i combattenti delle brigate internazionali.
A seguito della sconfitta della Repubblica e la ritirata oltre i Pirenei, gli jugoslavi superstiti, assieme ai compagni di altri paesi, passarono per i campi di concentramento e carceri francesi, parteciparono alla resistenza in Francia e altrove, mentre una parte riuscì a ritornare in Jugoslavia, le cui autorità facevano di tutto per impedirne il ritorno, rendendosi direttamente responsabili del prolugamento della prigionia nei campi. In tutto ne ritornarono 350, di cui 250 parteciparono alla Guerra di liberazione popolare. Arricchiti dell\'esperienza spagnola, diedero un grande contributo alla liberazione del proprio paese. Metà perse la vita sui campi di battaglia jugoslavi, molti ricevettero il titolo di eroi popolari, e tutti e quattro i comandanti delle quattro armate dell\'Esercito Popolare di Liberazione – durante le ultime fasi della liberazione della Jugoslavia – erano reduci di Spagna: Koča Popović, Peko Dapčević, Kosta Nađ e Petar Drapšin.
Quando si fa un bilancio del contributo dei volontari internazionali alla difesa della Spagna, bisogna considerare due aspetti: la prima è che essi non poterono essere il fattore decisivo, per il fatto che il loro numero non ammontò mai a più di circa quindicimila, anche se in alcuni momenti e in alcune battaglie, come la difesa di Madrid, giocarono un ruolo notevole; la seconda è che il loro contributo fu molto più importante sul piano morale e politico, perché con il loro esempio dimostrarono al popolo spagnolo e a tutto il mondo come e perché era necessario lottare contro il fascismo.
Delle genti di quell\'epoca scriveva anche Octavio Paz: “Mi ricordo che in Spagna, durante la guerra, scoprì un \'uomo diverso\' e un altro tipo di solitudine... Non c\'è dubbio che la vicinanza della morte e la fratellanza delle armi producono, in tutte le epoche e in tutti i popoli, un\'atmosfera nella quale l\'eccezionalità è propria, tutto ciò che supera il destino umano e interrompe il circolo della solitudine che circonda ogni essere umano. Ma su questi visi – visi ottusi e testardi, crudi e ruvidi, simili a quelli che, senza ritocchi e praticamente senza crudele realismo, ci ha lasciato la pittura spagnola – fu qualcosa come una disperata speranza, qualcosa di assai concreto e allo stesso tempo assai universale. Non ho mai più rivisto simili visi.
(APPENDICE I)
Note e commenti di Jasna Tkalec
(1) Dei circa 40 mila, la metà furono i caduti, dispersi o feriti. Gli italiani furono 4 mila. Altri 5 mila combatterono nell\'esercito repubblicano regolare, mentre 20 mila fecero parte dei servizi sanitari e ausiliari.
(2) Secondo Zorica Stipetić, nota professoressa universitaria della storia contemporanea, non ci fu un\'unità dal nome di Stjepan Radić, anche se non è da escludere del tutto. Fra i rimpatriati, affermò la dottoressa, solo tre furono di provenienza non comunista, del partito HSS appunto. Ma qui tre venivano sempre invitati dappertutto – soprattutto in Croazia – dove si voleva essere magnanimi con quel partito, specie dopo l\'assassinio di Radić. L\'HSS fu successivamente guidato da Maček, una figura politica odiosa che firmò l\'altrettanto odioso patto di non-belligerenanza con i nazisti – il patto Cvetković-Maček, che provocò le dimostrazioni popolari dell\'8 marzo a Belgrado e il bombardamento del 6 aprile 1941.
Maček affermava sempre di non volere che il suo paese indossi \"la sanguinosa camicia spagnola\", facendo arrestare chi era coinvolto nel supporto logistico alla partenza dei volontari. Radić non apparteneva alla sinistra – nonostante la politica del Partito Comunista Jugoslavo durante la Guerra popolare di liberazione di attirare a sé l\'ala sinistra dell\'HSS – mentre una brigata dell\'Esercito Popolare di Liberazione prendeva, qui sì, il nome di Stjepan Radić.
Insomma, sostenere che in Spagna combatterono i nazionalisti croati è errato e offensivo. In Spagna erano andati i comunisti, organizzati dai comunisti. Molti finirono in carcere per aver organizzato queste spedizioni clandestine. I comunisti jugoslavi e croati non avevano come ideale alcun nazionalismo, né croato, né spagnolo, né russo – ma una lotta nobile quanto giusta, per la giustizia e la libertà. Il libro jugoslavo più bello e struggente dell\'esperienza spagnola è \"Memorie\" di Gojko Nikoliš, medico nonché ambasciatore jugoslavo in India e uomo di lettere.
Un mio zio, Rocco, è stato combattente in Spagna, e mia madre faceva parte delle operazioni di trasporto. Ho ereditato le lettere e gli oggetti fatti nel campo di concentramento di Gyrs, dove lo zio fu rinchiuso dal governo di Blum e Daladier. I reduci di Spagna furono rinchiusi nei campi per mesi, trattati in modo disumano e incivile. Dovevano scontare la colpa di aver combattuto per la libertà.
Sia la Repubblica spagnola che le Brigate internazionali non erano composte soltanto da comunisti, ma appunto da internazionalisti, e con i nazionalisti croati, serbi o montenegrini non avevano niente in comune. Inoltre, il fulcro e il cuore dell\'azione nonché della lotta armata era sostenuta in primo luogo dai comunisti e dagli antifascisti. I nazionalisti croati né di allora né di oggi con la guerra di Spagna, insomma, non avevano nulla a che vedere; semmai avevano legami stretti con Franco – dove si erano rifugiati gli scannatori ustascia al termine della Seconda guerra mondiale.
(A cura di Andrea Degobbis)
(APPENDICE II)
Dall\'ENCIKLOPEDIJA JUGOSLAVIJE
(Jugoslavenska enciklopedija Leksikografskog Zavoda) del 1971, volume 8, p. 261
Da volontari jugoslavi e di altri paesi balcanici si era formata già nell\'ottobre del 1936 una “Unità balcanica\". Questa prese parte alla difesa di Madrid. I volontari provenienti da Trieste, dal Litorale sloveno e dall\'Istria entravano nella composizione della XII brigata italiana Garibaldi. \"Unità balcanica\" divenne Battaglione Đuro Đaković (dal nome del segretario del Partito Comunista Jugoslavo ucciso dai gendarmi dalla polizia jugo-monarchica qualche anno prima).
Questa unità entrò a far parte del Battaglione Capajev nella XIII brigata polacca Dombrovski.
Molti jugoslavi si trovarono a combattere nella brigata anglo-americana Lincoln, dove con volontari cecoslovacchi, bulgari e altri componevano il battaglione Dimitrov. Di quest\'ultimo fece parte anche l\'Unità Matija Gubec dello Zagorje.
La XV brigata fu comandata da uno dei dirigenti del Comitato centrale del Partito Comunista Jugoslavo, Vladimir Ćopić. Questa brigata prese parte alla grande battaglia sulla Jarma nel febbraio del 1937, a sud di Madrid. Prese parte nell\'autunno del 1937 alle operazioni presso Quinto e Belchite.
Le brigate XIII e XV presero parte all\'operazione del luglio 1937 a Brunete (a ovest di Madrid). In questa operazione cadde il commissario politico della brigata, Blagoje Paravić, uno dei membri del politburo del CC del PC jugoslavo
Nel corso delle battaglie sul fiume Ebro, all\'inizio del 1938, i superstiti dei battaglioni Dimitrov e Đuro Đaković formarono la CXXIX Brigata Internazionale, il cui comandante fu lo jugoslavo Aleksej Demetrijevski-Bauman. Questa brigata prese parte anche alle battaglie difensive nel settore Levante (sud-est dell\'Ebro).
Come la guerra volgeva verso la fine, venne costituito, da combattenti già smobilitati, il Battaglione Balcanico, sotto il comando di Kosta Nađ. Quel battaglione aveva sostenuto gli ultimi scontri armati coprendo la ritirata dell\'esercito repubblicano oltre i Pirenei.
(traduzione Jasna Tkalec)
(APPENDICE III)
L\'ADDIO di Dolores Ibarruri (La Pasionaria) a Barcellona il 28 ottobre 1938
[L\'originale a latere di: Španija u srcu, VREME 819, 14. septembar 2006.,
http://www.vreme.com/cms/view.php?id=464964 ]
“La sensazione di tristezza e dolore infinito ci stringono la gola...
Tristezza per quelli che se ne vanno, per i soldati del maggiore ideale della salvezza umana, per gli espulsi dalla propria patria, per i perseguitati dai tiranni.
Il dolore è enorme per quelli che rimangono per sempre nella nostra terra...
I Jarama, i Guadalajara, i Brunete, i Belchite, i Levante, gli Ebro cantano con versi immortali il coraggio, l\'abnegazione, l\'eroismo e la disciplina di tutti i combattenti delle brigate internazionali.
Per la prima volta nella storia dei popoli si registra l\'opera grandiosa di creare le brigate internazionali per salvare la libertà e l\'indipendenza di un paese minacciato, la nostra Spagna.
Comunisti, socialisti, anarchici, repubblicani, uomini di colore e ideologie diverse, di religioni diverse, persone che sinceramente amano la libertà e giustizia, sono venuti con disinteresse ad aiutarci.
Ci hanno dato tutto: la propria giovinezza e la propria maturità, il proprio sapere e la propria esperienza, il proprio sangue e la propria vita, le proprie speranze e i propri desideri... E non ci hanno chiesto niente. O meglio, hanno chiesto, hanno chiesto un posto nella lotta, volevano avere l\'onore di morire per la nostra causa...
E quando i rametti sbocciati della pace s\'intrecceranno nella corona di vittoria della Repubblica spagnola, ritornate a noi! Ritornate tra noi. Qui troverete la patria tutti voi che non ce l\'avete, troverete amici tutti voi privati dell\'amicizia, tutti voi troverete l\'amore e la gratitudine dell\'intero popolo spagnolo che oggi e domani entusiasticamente esulterà: Evviva gli eroi delle brigate internazionali!
(Traduzione Jasna Tkalec)