Une réflexion de Georges Gastaud, secrétaire national du PRCF, d’Antoine Manessis, responsable PRCF aux relations internationales, et Annette Mateu-Casado, membre du secrétariat politique, défenseur de la culture catalane
Informazione
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/09/28/unione-europea-catalogna-096030
https://www.radioradicale.it/scheda/520455/lunione-europea-e-la-situazione-in-catalogna-collegamento-con-david-carretta
Dalla Commissione Europea è stato più volte \"velenosamente\" ribadito che si tratta di una questione interna allo Stato spagnolo.
Si noti per inciso che l’amministrazione statunitense non ha condannato il referendum affermando che “lavorerà con l’entità o il governo che ne usciranno”
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/09/28/unione-europea-catalogna-096030
ed anche le dichiarazioni di Trump sono state contraddittorie ( https://youtu.be/0xDEaxybI-M?t=4m14s ).
\n
\n
... Rajoy, con l’aiuto di Ciudadanos sta cercando di dinamitare la convivenza dei cittadini attraverso la creazione di uno stato di emergenza con conseguenze imprevedibili, proprio quando Unidos Podemos propone una via di buon senso per una soluzione concordata alla crisi istituzionale che ha portato lo scontro tra il Governo centrale e quello catalano. Di fronte a questa nuova dimostrazione di autoritarismo, con arresti e interventi che si verificano in Catalogna, il PCE ribadisce che la soluzione per ripristinare la normalità democratica e evitare la rottura della convivenza pacifica è un accordo tra le amministrazioni per consentire al popolo catalano di votare pacificamente e in completa sicurezza, per decidere sulle differenti forme di organizzarsi come nazione e allo stesso tempo decidere come garantire i diritti sociali e lavorativi che i governi di Rajoy e Puigdemont / Màs hanno rubato dal 2010. Di conseguenza, il PCE sostiene le mobilizazioni che, in difesa delle libertà democratiche e in difesa del diritto di autodeterminazione, sono convocate in questo senso...
... Bisogna infatti tracciare una linea di demarcazione tra l\'intellettualismo borghese, che porta avanti valori romantici, passatisti e reazionari che si esauriscono nella esaltazione delle \"differenze\", dall\'internazionalismo ed antiimperialismo marxista, che riconosce i diritti di tutti perche\' vuole l\'unione tra eguali anziche\' il dominio del piu\' forte...
2) Perché i referendum in Lombardia/Veneto e in Catalogna sono assai diversi (Marco Santopadre)
3) Declaración del Secretariado Político del Comité Central del PCPE ...
4) A propos du référendum en Catalogne ibérique (Georges Gastaud)
5) Comunicato solidarietà con il popolo catalano (Rete dei Comunisti)
6) Un commento di Eros Barone
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8771
Secondo documenti interni, la fondazione ha versato:
27.049 dollari al Consell de Diplomàcia Pública de Catalunya (Consiglio di Diplomazia Pubblica di Catalogna), organismo creato dalla Generalità di Catalogna insieme a diversi partner privati;
24.973 dollari al Centre d’Informació i Documentació Internacionals a Barcelona (CIDOB – Centro d’Informazione e Documentazione Internazionale di Barcellona, un think tank indipendentista.
Il CIDOB svolge il ruolo di “pre-ministero” degli Esteri per la Generalità di Catalogna. In ogni occasione sostiene lo stesso punto di vista di Hillary Clinton.
La Fundación Open Society Initiative for Europe de George Sorosfinanció con 27.049 dólares actividades del Consell per la Diplomàcia Pública de Catalunya, el Diplocat, la agencia ‘paradiplomática’ catalana. Según los documentos que se han filtrado de las actividades del financiero, Soros aportó estos dólares para cofinanciar una jornada sobre la xenofobia y el euroescepticismo que se celebró en Barcelona en enero de 2014 ante las elecciones al Parlamento Europeo.
Fuentes de la dirección del Diplocat han admitido a La Vanguardia la financiación de este proyecto por parte de la fundación del famoso financiero. De hecho, no es la única aportación a agencias o think tanks catalanes a los que Soros ha ayudado económicamente. El CIDOB, think tank de prestigio internacional bajo el paraguas de diversas administraciones catalanas, también recibió 24.973 dólares para financiar una jornada sobre la integración.
El seminario internacional del Diplocat, titulado “Eleccions Europees 2014: l’augment de la xenofòbia i els moviments euroescèptics a Europa”, fue coordinado por Elisabet Moragas y se realizó a puerta cerrada y al que sólo se podía asistir por invitación.
Según las explicaciones del Diplocat, que preside Albert Royo, se realizó en forma de diálogo abierto entre los expertos académicos y representantes políticos, todos con experiencia sobre el tema del debate, junto con periodistas o representantes de medios de comunicación influyentes de diferentes países de la UE.
da initiative-communiste.fr, 19 settembre 2017
Traduzione di Marx21.it
Poiché il diritto dei popoli alla propria autodeterminazione non è negoziabile agli occhi dei comunisti, il PRCF condanna il comportamento grossolanamente repressivo del potere di Madrid contro gli eventuali partecipanti al referendum catalano. Anche l\'attaccamento di Mariano Rajoy e del re Felipe alla “democrazia” è sospetto, perché appare in continuità con quella Spagna franchista, in cui il centralismo, certo non democratico, ma fascistaè stato in larga parte responsabile storicamente delle divisioni della Spagna attuale.
Tuttavia, dobbiamo anche interrogarci sull\' “indipendentismo” della grande borghesia catalana.Esso si iscrive completamente nella costruzione “euro-atlantica” che è la negazione stessa dell\'indipendenza dei popoli e, ancor più, del loro diritto inalienabile a costruire il socialismo. Come le odierne componenti dei governi regionali degli Stati esistenti (Spagna, Francia, Italia, Belgio, ex Jugoslavia, ex Cecoslovacchia...) possono essere più forti di fronte all\'Asse Bruxelles-Berlino-Washington (dunque di fronte all\'oligarchia euro-atlantica che mette i popoli in competizione tra loro), isolandosi le une dalle altre, piuttosto che unirsi alle altre nel rispetto delle diversità culturali? Come i proletari di ciascuna delle “grandi regioni” che coltivano l\'euro-separatismo possono essere più forti per lottare contro il capitale se, all\'interno di ogni “nuovo paese” separato dagli Stati esistenti e trasformato in una nuova micro-stella della bandiera europea, i lavoratori sono ulteriormente divisi secondo la lingua e la nazionalità?
Nella stessa Francia, forze reazionarie stanno lavorando, in diverse regioni limitrofe del paese, a smantellare la Repubblica una e indivisibile nata dalla Rivoluzione, a stringere la lingua francese tra l\'inglese transatlantico e la lingua regionale impugnata come arma di divisione. Sullo sfondo di questo separatismo regionalista che si presume opposto a “Parigi” e allo “Stato”, il potere “parigino” stesso si scatena contro il “giacobinismo” (una fase spiccatamente progressista della nostra storia in cui, sotto l\'autorità di Robespierre, l\'unità territoriale del paese si era coniugata con una diffusa autonomia comunale) e difende quello che esso definisce il “patto girondino”: Macron intende in questo modo minare l\'unità, sbarazzarsi delle conquiste nazionali del popolo (contratti collettivi di ramo, statuti, diplomi nazionali, sicurezza, servizi pubblici di Stato, pensioni), favorire le grandi regioni, le “regioni trasfrontaliere” e le Euro-metropoli distruttrici dei comuni e dei dipartimenti.
Per quanto riguarda la Francia, e pur difendendo molto chiaramente le lingue e le culture regionali in quanto patrimonio indivisibile della nazione, il PRCF chiama i lavoratori, da Lille a Perpignan e da Brest a Sarténe, a sconfiggere il Macron-MEDEF, l\'UE sovranazionale, il Patto transatlantico in gestazione, la NATO, tutti quelli che vogliono allo stesso tempo cancellare le conquiste sociali del CNR, l\'autonomia dei comuni della Francia, la sovranità del nostro paese e il diritto dei suoi lavoratori a costruire tutti insieme il socialismo, nella prospettiva del comunismo.
Nel rifiutare in ogni modo la violenza del potere di Madrid contro la popolazione che vive nella Generalità catalana, il PRCF appoggia le rivendicazioni dei comunisti e dei progressisti della Spagna che propongono l\'istituzione di una Spagna repubblicana e socialista, confederale, indipendente dall\'UE e dalla NATO, pienamente rispettosa delle sue nazionalità e in marcia verso il socialismo.
Nella mattinata di mercoledì la Guardia Civil spagnola ha fatto irruzione nei palazzi governativi catalani arrestando 14 membri della Generalitat de Catalunya, sequestrando il materiale referendario e facendo calare – in sostanza – la scure dell’impossibilità della celebrazione del referendum indipendentista convocato per il 1° ottobre. Mariano Rajoy, Primo Ministro Spagnolo, infatti, ha dichiarato alla stampa: «Il referendum non può essere celebrato, non è mai stato legale o legittimo, ora è solo una chimera impossibile. Lo Stato ha agito e continuerà a farlo, ogni illegalità avrà la sua risposta. La disobbedienza alla legge è l’opposto della democrazia. Siete ancora in tempo per evitare danni maggiori». Le organizzazioni politiche spagnole non sono mai riuscite ad amalgamare un consenso realmente cospicuo in Catalogna, tanto che alle scorse Elezioni Generali il Partito di Governo (il Partito Popolare) nella circoscrizione catalana è andato ben sotto la media nazionale (33%) attestandosi attorno al 13%.
L’azione repressiva da parte del governo centrale, con l’appoggio dell’UE, ha scatenato le proteste di massa in difesa del diritto democratico al referendum con anche uno sciopero degli scaricatori di porto che hanno impedito l’approdo di 16.000 agenti della Polizia Nazionale e Guardia Civile inviati dalle autorità statali centrali.
La situazione, in ogni caso, è decisamente complessa e l’analisi più completa del fenomeno e del “processo” è necessaria per una comprensione a 360°. È l’obiettivo del documento realizzato dal PCPE (Partito Comunista dei Popoli di Spagna) sull’attuale relazione tra la Catalogna e la Spagna e il “processo” (di autodeterminazione nda): chi lo porta avanti, verso dove va e se ha qualcosa di positivo per la classe operaia e il popolo lavoratore. Il PCPE sostiene il diritto di autodeterminazione della nazione Catalana e condanna la repressione dello Stato spagnolo contro il popolo catalano ma considera che la classe lavoratrice non otterrà alcuna soluzione alla sua penosa condizione dal referendum del 1° Ottobre sia se voterà SI che NO e che tale processo, nelle condizioni attuali, è destinato al fallimento senza riuscire ad indebolire né lo Stato né il regime del ’78. «Le seguenti riflessioni – si legge nel lungo scritto realizzato dall’organizzazione Comunisti Catalani affiliata al PCPE e reso pubblico il 6 settembre scorso – si inquadrano nella nostra campagna “Nostro cammino: l’indipendenza della classe operaia”, con cui vogliamo dare il nostro contributo affinché la classe operaia avanzi verso la sua propria indipendenza politica per conquistare un mondo fatto su sua misura».
Alcuni cenni storici e di base
Prima di addentrarsi nell’analisi del “processo”, il documento si sofferma su alcuni concetti e cenni storici per una migliore comprensione: «L’idea di una nazione spagnola coesa e immutabile creata da re cattolici è una grande menzogna. La Spagna feudale pre-capitalista, uguale a molti stati vicini, era un conglomerato di popoli con culture e lingue proprie. La nazione è una comunità umana stabile con una base ideologica, territoriale, economica e psicologica/culturale in comune, nasce dallo sviluppo capitalista, concretamente in Spagna nel XIX secolo. E’ la comparsa di una necessità materiale, ossia, un mercato nazionale per la borghesia, ciò che impulsa una confluenza linguistica e psicologica/culturale di un popolo. Con una volontà politica conseguente alla borghesia ascendente, si promosse un’unità di criteri mercantili, dazi che proteggessero questo mercato e puntellassero la dominazione borghese. Tutto questo impulsò la fusione di diversi popoli e culture nel consolidamento degli Stati-nazione.»
«Le nazioni non sono qualcosa di eterno o immutabile, ma sono un prodotto storico determinato, con una nascita, evoluzione e scomparsa in funzione dello sviluppo delle società e, fondamentalmente, dello sviluppo economico a partire dall’attività e la lotta delle classi, che muove il resto. […] Agli inizi del XIX secolo le remore del feudalismo erano ancora forti in gran parte del territorio e nella capitale, nei centri di potere. La borghesia centralista, molto legata a relazioni redditiere e poco produttive non apportava le stesse dinamiche rispetto ad una borghesia catalana più avanzata nel processo di industrializzazione. Le relazioni di produzione capitaliste più sviluppate entrarono dalla periferia e si svilupparono fondamentalmente in Catalogna e nel Paese Basco. Quando la borghesia spagnola cerca di creare un quadro nazionale unico in tutto lo Stato trova che ci sono mercati nazionali creati, con borghesie proprie, con interessi propri e con uno sviluppo nazionale molto avanzato. La creazione di uno Stato-nazione con un’unica lingua, cultura e quadro economico cozza frontalmente con l’esistenza di altri quadri nazionali consolidati.»
Questione nazionale catalana e la contraddizione con lo Stato-nazione spagnolo
In merito alla questione della ‘nazione’ catalana, Comunisti Catalani-PCPE scrive come: «Il processo di creazione della nazione catalana proviene da una borghesia che rispondeva solo ai suoi interessi di creare un mercato economico determinato. […] Al consolidarsi del capitalismo in Spagna, gli interessi della borghesia centrale cozzano per decenni con quelli delle borghesie periferiche. Dalla fine del XIX secolo, con l’apparizione del catalanismo politico, e durante tutto il XX secolo lo scontro nazionale è una caratteristica propria del tentativo di costruzione dello Stato-nazione spagnolo. Sotto lo scontro nazionale, c’è un sigillo di classe dello scontro di interessi tra le differenti borghesie. Questo conflitto si svolge in un quadro di unità e lotta, trascinando dietro di sé gli strati popolari che sinceramente e legittimamente cercavano di difendere il loro patrimonio culturale e la loro identità. In questa relazione di unità e lotta, le borghesie, da un lato, hanno lottato tra sé per difendere i rispettivi interessi: questioni commerciali e produttive (il corridoio del mediterraneo/centrale è l’ultimo esempio), di riparto del bilancio statale, del riparto dell’azionariato di grandi compagnie, ecc., ma dall’altro lato, entrambe le borghesie condividevano un interesse comune basato nelle loro condizioni di classe dominante e sfruttatrice della classe operaia. Entrambe le borghesie sono state molto unite quando si è trattato di schiacciare la maggioranza operaia e popolare. In nessun momento della sua storia, la borghesia catalana ha aspirato all’indipendenza. Durante tutto il XX secolo abbiamo molteplici esempi di collaborazione tra borghesie o tra i loro rappresentanti politici», facendo riferimento all’appoggio al franchismo, alla guerra civile, ai patti costituzionali e all’appoggio a leggi e governi della transizione.
Il “processo” è lontano dall’essere guidato dalla classe operaia
Il processo indipendentista catalano non è guidato dalla classe operaia catalana, ma da settori borghesi: «La radice del conflitto è il lucro o interesse economico, un interesse di classe che, più o meno legittimo, dobbiamo saper separare e analizzare. In caso contrario ci faranno passare interessi estranei come nostri e finiremo per partecipare in lotte nelle quali non abbiamo alcuna speranza di miglioramento dei nostri problemi reali come classe operaia.
Il processo indipendentista cresce su problematiche politiche: annullamento dello Statuto votato dai catalani, attacchi alla lingua e la cultura, bassi investimenti in certi settori, ecc. Ma il “processo” come lo intendiamo oggi, come processo indipendentista (non per il patto fiscale o altre iniziative) scoppia nel 2011-2012, nei momenti più duri della crisi economica, e con alcuni fattori che vanno molto al di là di queste problematiche reali.
L’elemento chiave per comprendere il processo indipendentista sono le conseguenze del naturale sviluppo del sistema capitalista. Le leggi economiche di questo sistema, basate nell’accumulazione di capitale, nella produzione conducono inesorabilmente alle seguenti conseguenze: concentrazione del capitale sempre più in meno mani, impoverimento relativo, e a volte assoluto, del resto della popolazione in cui non si concentra il capitale e crescita dei monopoli che dominano rami della produzione e anche paesi interi».
In questo sviluppo si forma quello che Comunisti Catalani-PCPE definisce blocco oligarchico-borghese a livello statale spagnolo con l’unità dei settori monopolistici: «La storica borghesia catalana ha concentrato il suo capitale durante tutto il XX secolo, creando importanti monopoli che hanno dominato sempre più il mercato, in principio nel resto dello Stato e dopo a livello internazionale. Parallelamente, la borghesia spagnola ha seguito un processo simile, compartendo zone di mercato con la borghesia catalana. Le leggi dell’economia operarono e alla fine del XX secolo e inizi del XXI, al calore dell’impulso economico e delle grandi privatizzazioni dei monopoli pubblici, si compì un processo di fusione di capitali nella forma di compartizione azionaria delle grandi compagnie. Questo processo si realizzò dall’integrazione dei monopoli spagnoli nel sistema capitalista-imperialista internazionale e dall’omologazione delle forme di dominazione con i paesi dell’Unione Europea. L’interrelazione di capitali oggi è profonda, e la maggioranza delle grandi oligarchie nate in uno e l’altro lato dell’Ebro condividono azioni delle principali Banche e compagnie dell’IBEX35. Questo ha creato una tal comunione di interessi tra le differenti borghesie dello Stato spagnolo che rende imprescindibile parlare di un blocco oligarchico-borghese spagnolo. […] Il blocco oligarchico-borghese non è né catalano, né basco, né madrileno, è un blocco di carattere spagnolo mentre la sua base di accumulazione e dominazione non è nazionale, ma nel quadro statale. Questo si riflette direttamente nell’ambito politico visto che la nazione catalana ha smesso di esser un progetto utile per la classe dominante in Catalogna. I suoi rappresentanti storici (CiU) sono stati spodestati. Questo è un elemento che differenzia la situazione nel XXI secolo, elemento che in nessun caso si invertirà. L’oligarchia in Catalogna non tornerà mai più a difendere, mantenere o promuovere la nazione catalana.
Il ruolo della piccola e media borghesia catalana
Lo sviluppo imperialistico spagnolo – nel quadro dell’UE- con il suo processo di concentrazione e accentramento, ha avuto il riflesso della reazione della piccola borghesia che di fronte alla caduta delle sue posizioni e condizioni dei suoi piccoli affari rispetto ai grandi monopoli ha assunto sempre maggior protagonismo cavalcando il malcontento diffuso e generando una proposta politica che si riflette nell’attuale “processo”: «L’elemento chiave che spiega l’impulso del processo indipendentista è stato il processo di proletarizzazione accelerato vissuto da ampi strati della piccola e media borghesia catalana nei momenti più duri della crisi economica. Inoltre, la scomparsa di un mercato nazionale catalano, profondamente inter-relazionato con quello della Spagna ha radicalizzato questi strati che vedono “il loro mondo” – o contesto di sussistenza – scomparire.
Pertanto, la proposta politica di questa classe è stata segnata da due elementi:
- Dal fatto che la grande borghesia si è fusa con quella del resto dello Stato e si è convertita in borghesia spagnola, perdendo il quadro nazionale e non rappresentando più gli interessi del territorio sul quale si sostenta il mercato della piccola e media borghesia.
- E soprattutto, la minaccia massiva di proletarizzazione l’ha portata a sollevare una proposta di scontro radicalizzato contro le conseguenze del capitalismo monopolista attuale, ma non contro il capitalismo come sistema, giacché desiderano un capitalismo che non tenda alla concentrazione di capitali, senza grandi corporazioni e basato nel regime di piccole proprietà come le loro.
Tutto questo ha portato la piccola borghesia a sviluppare una proposta politica con un certo grado di conflitto contro la classe oligarchica ma senza generare un movimento di rottura o indipendente da essa.»
L’impraticabilità del “processo”
Comunisti Catalani-PCPE, in sostanza, delinea l’impraticabilità del “processo” d’autodeterminazione catalano se non viene spodestata l’oligarchia-reggente a livello statale tramite un processo rivoluzionario.
«[…] Poco a poco si va visualizzando l’unico orizzonte realista per l’indipendentismo e tutti i difensori del diritto all’autodeterminazione, orizzonte che da tempo noi comunisti annunciamo: che non sarà possibile alcun processo di autodeterminazione e, pertanto, nemmeno di indipendenza, senza distruggere il potere statale dell’oligarchia. Non si può spodestare l’oligarchia dal potere in maniera pacifica, posto che è sempre disposta a utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per mantenere il suo regime di interessi». E gli eventi di questi giorni confermano pienamente questa tesi. E ancora: «Per rovesciare il potere dell’oligarchia si richiede, così come la storia dimostra, un processo rivoluzionario. E’ l’indipendentismo disposto a portare avanti un processo rivoluzionario? La risposta a questa domanda è profondamente no. L’indipendentismo oggi non ha né forza né capacità di resistenza per affrontare un conflitto reale con lo Stato. E questo non avviene per una condizione codarda intrinseca dei catalani, ma nelle condizioni di classe del “processo”. La piccola borghesia non è una classe rivoluzionaria e pertanto i movimenti politici che sviluppa non hanno nessuna caratteristica (ideologica, politica e organizzativa) rivoluzionaria. In definitiva, il processo indipendentista è destinato al fallimento a causa della classe sociale che lo fomenta, dirige e gli dà forma».
Il ruolo della classe operaia e il suo cammino
Le une e le altre proposte sono irricevibili dai comunisti per cui «solo in un processo rivoluzionario nel quadro spagnolo, ossia statale, in cui la classe oligarchica sia definitivamente sostituita al potere dalla classe sfruttata, la classe operaia, ci saranno le condizioni materiali per dare un reale diritto all’autodeterminazione della Catalogna».
Dunque, il PCPE conclude il documento lanciando un appello alla classe operaia e i settori popolari.
- A rafforzare la lotta operaia. Rafforzare il sindacalismo di classe e combattivo e le file del Partito Comunista. Lottare contro la penetrazione delle idee di altre classi sociali dentro la nostra classe come sono la socialdemocrazia e ogni tipo di nazionalismo.
\n
Risoluzione della Conferenza Nazionale del PCPC sulla questione nazionale (27/09/2014)
Auch zu lesen: Los von Madrid (Berliner Experten plädieren für Abspaltung Kataloniens – GFP 30.10.2014)
Nakon terorističkog napada na La Rambli u Barceloni i atentata u Cambrilsu, portal Rambla Libre piše kako su oba čina pokazala neuspjeh integracije i nekonzistentnost identiteta koji se temelji na različitosti, što je samo po sebi proturječno.
Kako bi se izašlo iz ove teške situacije, koja ometa planove Carlesa Puigdemonta, lidera katalonskog pokreta za odcjepljenje, iz sjene je trebao izaći pokrovitelj kolektivnog samoubojstva Katalonije, George Soros, piše katalonski portal.
Prvo, svi mediji izravno ili neizravno povezani sa Sorosevim Otvorenim društvom su napisali niz članaka o tome ”kako je upravljanjem u kriznim situacijama i tijekom napada Katalonija pokazala da može biti neovisna”.
Prvi je bio The Wall Street Journal, a sada The Guardian, koji podržavaju Kataloniju i njezinu sposobnost da funkcionira kao samostalna država, posebno nakon onoga što je pokazala tijekom terorističkih napada.
To tvrdi Luka Stobart, profesor političke ekonomije, koji je napisao kolumnu naziva ”Odgovor Katalonije na terorizam pokazuje da je spremna za nezavisnost”.
Osim toga, mediji bliski Sorosu čak i na nacionalnoj razini u Španjolskoj, kao El Confidencial, umanjuju štetne ekonomske posljedice od hipotetskog razbijanja španjolskog jedinstva.
Novinar Juan Carlos Barba piše: ”Španjolska će gotovo sigurno pasti u kratku recesiju, ali će njen utjecaj biti ograničen. Katalonija će zbog sadašnjih političkih problema također pretrpjeti recesiju koja će, međutim, biti kratkog vijeka i nakon toga je čeka snažan ekonomski rast. Osim toga, ako se prijateljski raziđe sa Španjolskom, Kataloniju uopće ne bi trebala pogoditi recesija.”
Istovremeno, list La Vanguardia otkriva da su George Soros i njegovo Otvoreno društvo za Europu službeno s 27 100 dolara financirali ”Diplomatsko vijeće Katalonije” (Diplocat), te s 24 973 dolara udrugu CIDOB (Catalunya i la cooperació da Desenvolupament). To su svote koje su službeno priznate.
Osim toga, regionalni direktor Otvorenog društva za Europu, Jordi Vaquer Fanés, koji ”radi na promicanju vrijednosti institucija otvorenog društva u zemljama Europske unije i Zapadnog Balkana”, bio je direktor CIDOB-a između 2008. i 2012. godine.
Sva ova tijela središnje vlasti nazivaju ”paradržavnim strukturama Katalonije”. Međutim, nije problem što su ona osnovana ili što Katalonija želi neovisnost, nego što se netko unaprijed pobrinuo da se puna neovisnost ove španjolske autonomne pokrajine nikada ne ostvari.
”Onaj koji izgleda kao dobročinitelj i učenik Karla Poppera, G. Soros, zapravo je jedan od najvećih zagovornika globalizacije, koji više i ne kriju da im je cilj uništiti nacije, granice i nametnuti svjetsku vladu. Čak su i Katalonci naivno upali u njegovu mrežu”, zaključuje Rambla Libre.
Perché i referendum in Lombardia/Veneto e in Catalogna sono assai diversi
Nelle prossime settimane si terranno due appuntamenti elettorali su materie apparentemente simili ma in realtà di segno molto diverso. Il primo ottobre dovrebbe svolgersi in Catalogna (il condizionale è d’obbligo) un referendum per l’indipendenza dallo Stato Spagnolo, mentre il 22 ottobre in Lombardia e Veneto si voterà per chiedere maggiore autonomia dal governo centrale italiano.
Come detto, ad uno sguardo superficiale le due consultazioni potrebbero sembrare equivalenti, ma le differenze sono notevoli.
I referendum in Lombardia e Veneto sono promossi e sostenuti dalla maggioranza dei partiti, dalla Lega fino al Pd, e mirano a ottenere una maggiore autonomia, soprattutto in campo fiscale, per le due regioni del nord Italia. Si tratta quindi di un proseguimento e di un approfondimento delle politiche, portate avanti prima dai governi di centrosinistra e poi da quelli di centrodestra nel corso del decennio scorso, che introdussero il cosiddetto ‘federalismo’. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: le imposte e i balzelli locali per i cittadini sono notevolmente aumentati, man mano che lo Stato cedeva competenze agli enti locali che a loro volta privati dei finanziamenti statali si vedevano obbligati ad aumentare la tassazione e a tagliare o esternalizzare importanti servizi. Col risultato che oggi i cittadini, i lavoratori, i pensionati pagano assai più cari servizi di qualità peggiore. Sul fronte dell’autogoverno, della possibilità cioè delle comunità locali di incidere maggiormente sulle decisioni di natura politica e territoriale, nulla è cambiato, anzi.
Di fatto i referendum indetti in Lombardia e in Veneto il 22 ottobre su iniziativa dei governatori Maroni e Zaia si inseriscono nel solco di quel ridisegno regressivo dell’assetto costituzionale e istituzionale tendente a facilitare una maggiore integrazione del nord del paese all’interno della struttura produttiva, economica e politica dell’Unione Europea. Nelle due regioni, come ha ricordato Sergio Cararo qualche giorno fa su Contropiano, si concentra quel 22% d’imprese che realizzano l’80% del valore aggiunto e delle esportazioni di tutto lo Stato. Sono questi i territori che a Bruxelles, Parigi e Berlino interessa integrare e cooptare nel nucleo duro dell’Unione Europea, mentre il resto del paese si fa sempre meno interessante perché poco appetibile.
Comunque si tratta di referendum di tipo consultivo per i quali non è previsto alcun quorum, e l’impatto del loro risultato potrebbe essere assai scarso. Di fatto una sorta di megaspot a favore dei due governatori e delle loro rispettive maggioranze, anche se poi le consultazioni sono sostenute dal Pd e dai suoi cespugli. Certo, in caso di vittoria del Sì e di forte partecipazione alle consultazioni, i promotori e i loro sponsor – il padronato medio-piccolo, le lobby finanziarie locali agganciate agli ambienti europei che contano – potrebbero rivendicare più voce in capitolo nei confronti del governo e rosicchiare qualche privilegio in più. Ad esempio, ottenendo di poter stringere accordi ‘autonomi’ con gli ambienti economici tedeschi, finanziamenti ad hoc per migliorare le infrastrutture, agevolazioni fiscali o incentivi alle imprese o agli enti locali.
I riscontri positivi per le popolazioni delle due regioni sarebbero insignificanti. Anzi, com’è successo dopo l’introduzione del cosiddetto ‘federalismo fiscale’, i processi di concentrazione del potere e della ricchezza nelle mani di ambienti sempre più ridotti e di tipo oligarchico potrebbe subire una ulteriore accelerazione.
Mentre i due referendum in Lombardia e Veneto sono puramente funzionali agli interessi del padronato locale e del meccanismo di gerarchizzazione del territorio europeo gestito in maniera spesso spericolata da una borghesia continentale sempre più sovranazionale, il quesito catalano del Primo ottobre ha risvolti assai più interessanti e di rottura.
La rivendicazione indipendentista catalana ha una storia pluricentenaria, in opposizione ad una costruzione nazionale spagnola di tipo autoritario e sciovinista che è ricorso alla dittatura per ben due volte nel ventesimo secolo (quelle di Miguel Primo de Rivera dal 1923 al 1930 e poi quella di Francisco Franco dal 1936 fino alla fine degli anni ‘70). Fu non solo per reprimere i movimenti dei lavoratori e i moti rivoluzionari che le classi dirigenti spagnole scelsero il terrore, ma anche contro le rivendicazioni indipendentiste dei baschi, dei catalani e delle altre nazionalità inglobate a forza in uno stato autoritario e feudale.
Dopo la morte di Franco all’interno del regime si affermò l’ala più modernista e liberale in economia (ma non per questo meno fascista) che era interessata a integrare la Spagna nell’allora Comunità Economica Europea e nella Nato. Così il regime non venne travolto ma semplicemente si autoriformò, cambiando pelle pur di continuare a garantire, con forme nuove, il dominio dell’oligarchia economica e politica.
Se il Movimento di Liberazione Basco, da posizioni socialiste rivoluzionarie, rifiutò e contestò a lungo l’autoriforma del regime accettata supinamente dalle opposizioni di sinistra spagnole, il movimento nazionalista catalano si integrò senza particolari scossoni all’interno del cosiddetto ‘Stato delle autonomie’. La borghesia catalana, ampiamente integrata sia a livello statale che internazionale, ha gestito il potere politico ed economico a livello locale in maniera pressoché ininterrotta dall’inizio degli anni ’80 fino ai nostri giorni. I partiti regionalisti e autonomisti catalani – in primis Convergència Democràtica de Catalunya – hanno a lungo relegato le rivendicazioni indipendentiste al livello simbolico, mirando ad aumentare il proprio potere e il proprio radicamento a livello locale in cambio del sostegno ai governi statali formati alternativamente dai due partiti nazionalisti spagnoli, il Partito Popolare e il Partito Socialista Operaio (sic!) Spagnolo.
Ma questo equilibrio si è rotto all’inizio del decennio. La gestione autoritaria e liberista della crisi economica da parte dei governi spagnoli – sotto dettatura Ue – e di quelli regionali ha provocato la politicizzazione di decine, forse centinaia di migliaia di catalani da sempre lontani dalla contesa tra il campo autonomista e quello nazionalista (spagnolo). In reazione ai licenziamenti di massa, degli sfratti con l’uso della forza pubblica e dei tagli ai salari e al welfare le piazze si sono riempite: scioperi, manifestazioni, picchetti e assemblee hanno scosso la Catalogna.
Nel frattempo un blando tentativo di riforma dello Statuto di Autonomia varato dopo l’autoriforma del regime franchista, promosso dagli autonomisti e da alcune forze federaliste di centro-sinistra, ha visto una reazione sproporzionata e violenta da parte dello Stato e delle sue istituzioni. Un testo già ampiamente mutilato dagli stessi promotori catalani è stato ulteriormente sfregiato dalle istituzioni statali, manifestando così l’impossibilità di una riforma graduale e negoziale dell’autonomia di Barcellona.
La confluenza dei due processi – lotta contro l’austerity e lotta per una maggiore autonomia – unita ad una crescente mobilitazione sociale e politica contro lo stato e i suoi apparati repressivi, oltre che contro la corruzione e l’autoritarismo repressivo del governo regionale ha causato una frattura di tipo storico all’interno dello scenario catalano, con l’indebolimento dell’egemonia di Convergència – nel frattempo trasformatasi in Partit Demòcrata Europeu Català – e il rafforzamento di un variegato fronte indipendentista sorretto dalla mobilitazione permanente dell’associazionismo nazionalista trasversale e dall’affermazione elettorale di varie forze di sinistra, tra le quali le Candidature di Unità Popolare (Cup), anticapitaliste oltre che indipendentiste.
La mobilitazione a sinistra e indipendentista ha di fatto condizionato i regionalisti catalani obbligandoli ad abbracciare rivendicazioni di tipo nazionalista, che hanno portato alla formazione di un governo il cui obiettivo dichiarato è quello di traghettare la Catalogna verso l’autodeterminazione attraverso un processo di ‘disconnessione’ politica ed istituzionale con Madrid e i suoi apparati. Il momento di rottura formale dovrebbe essere rappresentato dal referendum che il parlamento catalano si appresta a convocare per il prossimo 1 ottobre. Che il referendum si tenga veramente ed in forme ufficiali – per intenderci sulla falsariga di quelli realizzati in Scozia ed in Quebec – è tutto da vedere: i partiti nazionalisti spagnoli e gli apparati dello Stato non hanno alcuna intenzione di permettere la celebrazione del voto popolare, non riconoscono ai catalani l’esercizio del diritto all’autodeterminazione e stanno intraprendendo un boicottaggio che potrebbe arrivare all’intervento delle forze di sicurezza contro i promotori del referendum, alla sospensione dello statuto di autonomia di Barcellona e all’esclusione degli indipendentisti dalle istituzioni e dagli uffici pubblici, per non parlare dei ricatti sul fronte economico.
Ma le contraddizioni esistono anche nel fronte catalano: il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, ha già perso pezzi consistenti del suo schieramento politico e il sostegno di alcuni importanti dirigenti del suo stesso partito politico. Di fronte all’acuirsi dello scontro e all’avvicinarsi del momento della verità molti di coloro che, da posizioni catalaniste, hanno a lungo agitato la parola d’ordine dell’indipendenza scelgono di fare un passo indietro. In fondo gli spezzoni dominanti della borghesia catalana non hanno mai abbracciato pienamente la parola d’ordine della separazione da Madrid e la sua scelta sarà improntata ad un pragmatico bilancio costi/benefici. Se lo scontro con Madrid si facesse troppo duro settori consistenti e maggioritari di PDeCat potrebbero tirare i remi in barca, sospendendo la procedura di ‘disconnessione’ in cambio magari di un aumento dell’autonomia fiscale e amministrativa che poi è il succo delle rivendicazioni autonomiste della borghesia catalana. Una scelta che però non sarebbe né facile né indolore per il partito liberal-conservatore catalano, che a quel punto dovrebbe subire l’offensiva delle forze autenticamente indipendentiste e in particolare dei partiti di sinistra catalani, Erc e Cup.
Come detto, a Barcellona in queste settimane si gioca una partita molto interessante, dagli esiti non scontati e che avrebbe forti ripercussioni non solo sugli equilibri dello Stato Spagnolo ma su tutta l’Unione Europea. In Catalogna, nel fronte indipendentista, si scontrano due diverse tendenze politiche: una europeista, liberista, conservatrice sul piano sociale e affatto interessata a mettere in dubbio le attuali collocazioni internazionali, ed un’altra che insieme all’indipendenza chiede l’uscita dalla Nato e dall’Unione Europea, la rottura con le politiche liberiste e una forte rottura con gli attuali equilibri politici ed economici.
La Monarchia autoritaria spagnola perderebbe un pezzo consistente, e nascerebbe una Repubblica Catalana all’interno della quale i movimenti sociali e politici progressisti o esplicitamente antagonisti avrebbero un peso consistente in grado di contendere alle forze moderate la guida del processo di costruzione del nuovo stato, di mutare i rapporti di forza, di introdurre nel dibattito politico e nel processo decisionale degli elementi di rottura con la brutta china imposta dal processo di costruzione del polo imperialista europeo.
L’esito di questa dialettica è ovviamente tutt’altro che scontato, ma che la rottura di Barcellona con Madrid apra spazi consistenti alle rivendicazioni di classe è innegabile.
Per questo equiparare i referendum di Lombardia e Veneto con quello catalano è un grave errore da parte di forze che si richiamano al progresso e al cambiamento.
* Rete dei Comunisti
31 agosto 2017
Declaración del Secretariado Político del Comité Central del PCPE sobre la situación en Catalunya de cara al referéndum del 1 de octubre
1. El ejercicio del derecho a la libre autodeterminación de los pueblos es un requisito imprescindible para superar el fracaso histórico de la burguesía española en su objetivo de construir España como nación que reconozca la realidad de su carácter plurinacional, y que desarrolle el marco de convivencia necesario para sentar las bases materiales de una nación española que sea reconocida como patria por quienes vivimos en este Estado. La nación española que ha impuesto la burguesía, especialmente después del fin de su fase colonial en 1898, es incapaz de adquirir esta condición y se desarrolla como cárcel de pueblos oprimidos en la dictadura del capital. Este derecho a la libre autodeterminación no es tal si no incluye el derecho a la independencia.
2. Mariano Rajoy representa, hoy, la continuidad del proyecto político de la vieja España, fracasada en su intento de unificar a los distintos pueblos y naciones. Intento de unificación que, siempre ignorando sus derechos, se ha realizado desde la imposición y la violencia. Esa es la misma incapacidad política que hoy pone en evidencia el Gobierno del PP, que no tiene ninguna vía política de superación del actual conflicto con el Govern de Generalitat, y que recurre a la utilización instrumental de los aparatos del Estado y a la intervención represiva de los cuerpos de policía.
3. El proceso que se desarrolla en Catalunya, a iniciativa de un amplio sector de su burguesía, tiene el objetivo de una mejor recolocación de esa clase social en la cadena imperialista. La burguesía catalana entra así, una vez más, en contradicción con la oligarquía española. Contradicción que tiene su base material en la existencia de un marco específico de acumulación capitalista en Catalunya, que el capitalismo español (pese a haberlo intentado) no ha conseguido nunca integrar en el marco general de la acumulación capitalista en España de forma unificada. No es, por tanto, un proceso de liberación nacional de base popular, si bien se apoya y utiliza los sentimientos nacionales históricamente arraigados en el pueblo, para obtener una amplia legitimación de masas a su particular estrategia. Estamos frente a un intento de proceso de recomposición capitalista, sobre la base de la continuidad de la propiedad privada y de la explotación de la clase obrera y los sectores populares por una clase social parasitaria.
4. El SP del CC del PCPE entiende que, en una situación así, la posición del Partido de la clase obrera es la de clarificar los intereses en juego ante el pueblo trabajador y, también, la de aprovechar las contradicciones que se dan en el marco del bloque de fuerzas dominantes para incidir sobre ellas favoreciendo los intereses de la clase obrera y los sectores populares. Por ello, aun respondiendo esta situación que se da en Catalunya a un conflicto dentro del bloque de poder dominante, es necesario que la clase obrera intervenga en el mismo para debilitar a la clase dominante y favorecer el desarrollo de los intereses proletarios.
5. Ante la convocatoria del referéndum del 1 de octubre, el PCPE, coincidiendo con las posiciones expresadas por el PC del Poble de Catalunya, hace un llamamiento a la clase obrera y a los sectores populares a participar en ese proceso, manifestando su voto nulo, como expresión contra un proyecto de la burguesía catalana que se inserta en la alianza imperialista de la UE y en la OTAN, y que quiere dar continuidad a la actual explotación de la clase obrera catalana bajo nuevas formas.
6. El SP del CC del PCPE llama a combatir todas las formas de utilización violenta de los aparatos del Estado para reprimir los derechos de la clase obrera catalana por parte del Gobierno de Mariano Rajoy, a hacer una firme defensa del legítimo derecho de autodeterminación de los pueblos, y a fortalecer el bloque obrero y popular en torno a sus propios intereses de clase, que es un requisito imprescindible para impulsar el proceso que lleve al reconocimiento de Catalunya como nación.
7. El SP del CC del PCPE, como expresión de los acuerdos del X Congreso del Partido, reitera su propuesta de superación de la actual situación en base a su propuesta de República Socialista de carácter Confederal, como salida política de futuro a esta situación. Un proceso hegemonizado por la clase obrera, que liquidará no solo a la decrépita monarquía española sino, también, a las estructuras de dominación capitalista que someten a los pueblos y naciones del Estado a la opresión nacional, y a su clase obrera a unas miserables condiciones de vida bajo la dictadura del capital.
Secretariado Político del Comité Central del PCPE a 10 de Septiembre de 2017
A propos du référendum en Catalogne ibérique
Le droit des peuples à disposer d’eux-mêmes n’étant pas négociable aux yeux des communistes, le PRCF condamne l’attitude grossièrement répressive du pouvoir de Madrid à l’encontre des éventuels participants au référendum catalan. D’autant que l’attachement de Mariano Rajoy et du roi Felipe à la « démocratie » est aussi suspect qu’est évidente leur commune filiation avec l’Espagne franquiste dont le centralisme, non pas démocratique, mais fasciste, est largement responsable historiquement des divisions de l’Espagne actuelle.
Il n’en faut pas moins s’interroger sur l’ « indépendantisme » de la grande bourgeoisie catalane. Il s’inscrit totalement dans la « construction » euro-atlantique qui est la négation même de l’indépendance des peuples et plus encore, de leur droit inaliénable à construire le socialisme. Comment des actuelles composantes régionales des Etats existants (Espagne, France, Italie, Belgique, ex-Yougoslavie, ex-Tchécoslovaquie…) seraient-elles plus fortes face à l’Axe Bruxelles-Berlin-Washington (donc face à l’oligarchie euro-atlantique qui met les peuples en coupe réglée) en s’isolant les unes des autres, plutôt qu’en s’unissant aux autres composantes dans le respect des diversités culturelles ? Comment les prolétaires de chacune de ces « grandes régions » cultivant l’euro-séparatisme seraient-ils plus forts pour lutter contre le capital si, à l’intérieur de chaque « nouveau pays » séparé des Etats existants et transformé en nouvelle micro-étoile du drapeau européen, les travailleurs sont divisés encore davantage selon la langue et selon la nationalité ?
D’autant qu’en France même, des forces réactionnaires travaillent, dans plusieurs régions limitrophes du pays, à démanteler la République une et indivisible issue de la Révolution, à prendre la langue française – élément unificateur majeur du pays – en étau entre le tout-anglais transatlantique et la langue régionale érigée en arme de division. A l’arrière-plan de ce séparatisme régionaliste soi-disant opposé à « Paris » et à l’ « Etat », le pouvoir « parisien » lui-même se déchaîne contre le « jacobinisme » (phase éminemment progressiste de notre histoire où, sous l’autorité de Robespierre, l’unité territoriale du pays s’est conjuguée avec la généralisation de l’autonomie communale) défend ce qu’il appelle un « pacte girondin » : Macron entend ainsi saper l’unité de la République, exploser les acquis nationaux du peuple (conventions collectives de branche, statuts, diplômes nationaux, Sécu, services publics d’Etat, retraites…), favoriser les grandes régions, les « régions transfrontalières » et les euro-métropoles destructrices des communes et des départements.
En ce qui concerne la France, et tout en défendant très clairement les langues et les cultures régionales en tant que patrimoine indivisible de la nation, le PRCF appelle les travailleurs, de Lille à Perpignan et de Brest à Sartène, à faire échec à Macron-MEDEF, à l’UE supranationale, au Pacte transatlantique en gestation, à l’OTAN, à tous ceux qui veulent à la fois araser les conquêtes sociales du CNR, l’autonomie des communes de France, la souveraineté de notre pays et le droit de ses travailleurs à construire tous ensemble, le socialisme dans la perspective du communisme.
Sans cautionner en quoi que ce soit la moindre violence du pouvoir de Madrid à l’encontre de la population vivant dans la Généralité catalane, le PRCF appuie la revendication des communistes et des progressistes d’Espagne qui proposent la mise en place d’une Espagne républicaine et socialiste, confédérale, indépendante de l’UE et de l’OTAN, pleinement respectueuse de ses nationalités et en marche vers le socialisme*.
Comunicato solidarietà con il popolo catalano
Con l\'avvicinarsi del 1 ottobre, giorno scelto per la consultazione referendaria sull\'indipendenza della Catalogna, si vanno concretizzando violentemente le minacce del governo Rajoy nei confronti del composito movimento indipendentista.
In nome del \"diritto\" - evidentemente quello di neutralizzare la democrazia nel caso si manifesti in maniera contraria agli interessi del \"mondo di sopra\" - sono scattate le manette per diversi membri e funzionari della Generalitat. E\' solo l\'ultimo episodio dopo il sequestro di materiale pro-referendum, l\'invio di un\'ordine di comparizione in tribunale per 712 sindaci accusati di favorire una consultazione illegale, l\'ordine di bloccare in ogni formato, cartaceo o digitale, la propaganda referendaria, il commissariamento dei conti del governo regionale catalano e l’invio a Barcellona di 10mila tra agenti di polizia e militari.
La “democrazia spagnola” di mostra per quello che è sempre stata: diretta erede dello stato franchista, dal quale non si è mai smarcata realmente, mantenendo il suo impianto nazionalista e autoritario e i suoi apparati repressivi e ideologici. Il passaggio dalla dittatura alla monarchia parlamentare fu gestito dal regime fascista per garantire il dominio dell\'oligarchia sotto altre forme dettate dalla necessità di integrare il paese nella Nato e nella Comunità Economica Europea.
Quella stessa Unione Europea che oggi volta le spalle alle richieste di libertà e di democrazia del popolo catalano, concedendo mano libera alla repressione di Madrid. Quel diritto all’autodeterminazione che l’Ue ha strumentalmente sponsorizzato quando si trattava di togliere di mezzo paesi non conformi da sfasciare e assorbire - il caso dell’ex Jugoslavia è eclatante - non sembra valere per Bruxelles all’interno dei propri confini. Al polo imperialista europeo non interessano né la democrazia né la libertà, soprattutto quando non sono in linea con i propri interessi strategici e se mettono a rischio la stabilità interna come nel caso della Catalogna. Una contraddizione non indifferente per quegli spezzoni liberali del movimento indipendentista catalano che si appellano proprio a Bruxelles ritenendo Ue una alternativa democratica all’autoritarismo spagnolo.
Nel momento in cui gli viene impedito di esprimersi democraticamente sul proprio futuro non possiamo che schierarci a fianco del popolo catalano. All\'interno del fronte indipendentista esistono componenti molto diverse per orientamento politico e ideologico; non potrebbe essere altrimenti visto che siamo di fronte a un vasto movimento popolare e non dell’espressione delle rivendicazioni di un solo partito o di una sola classe sociale. Ma è impossibile negare l\'importanza che la lotta per l\'emancipazione e la liberazione sociale, condotta da consistenti e radicati settori politici e sociali di sinistra e di classe, sta avendo nella concretizzazione del Referendum del 1 ottobre e in generale nel processo indipendentista.
Nell\'attuale contesto continentale, la rivendicazione d\'indipendenza del popolo catalano si pone in oggettiva rottura non solo con le classi dirigenti e l\'oligarchia spagnola ma anche con la stessa Unione Europea. Un processo di rottura politica e sociale in Catalogna rafforza oggi le ipotesi di opposizione e rottura dei popoli europei nei confronti dei propri governi e della gabbia dell\'Unione Europea, il che non può lasciarci indifferenti.
Nei prossimi giorni parteciperemo a diversi momenti di dibattito e di mobilitazione in solidarietà con la lotta del popolo catalano e il 1 ottobre saremo a Barcellona a fianco dei compagni e delle organizzazioni di classe che animano il movimento per l’emancipazione sociale e nazionale della Catalogna.
Rete dei Comunisti, 21/09/2017
(Message over 64 KB, truncated)
\n