Informazione


Il cortocircuito della Catalogna

La secessione catalana implica opportunità e rischi. Per valutare entrambi bisogna evitare gli schematismi, mettere da parte tanto la fascinazione romantica per le \"nazioni senza Stato\" quanto i richiami a elaborazioni teoriche derivanti da scenari ben diversi. 

Scrivo queste note mentre dalla Catalogna giungono le immagini degli scontri con decine di feriti dinanzi ai seggi referendari. Non è la condizione ottimale per un esercizio di razionalità, ma bisogna provarci nonostante tutto. L\'impressione che si è avuta infatti nelle ultime settimane è stata quella di una precipitazione degli eventi in loco, cui hanno corrisposto negli ambienti della sinistra antimperialista mere affermazioni di principio e declaratorie, di orientamento opposto, con poca analisi concreta della situazione concreta e nessuna voglia di soppesare le evidentissime contraddizioni che gli eventi catalani stanno palesando.

Ad esempio, quando Andrea Quaranta scrive (1) che \"la nuova Repubblica rappresenterebbe anche una straordinaria opportunità per riaprire il dibattito sulla natura dell’Unione Europea e per la costruzione di uno spazio politico continentale finalmente irriducibile alle esigenze del capitale finanziario e imperialista\", che cosa esprime oltre a un desiderio? C\'è una corrispondenza fattuale tra tale desiderio e la realtà dei fatti? Secondo Marco Santopadre (2)

\"il composito e variegato schieramento indipendentista catalano è maggioritariamente europeista, ma la forza delle correnti della sinistra radicale che contestano l’austerity e l’autoritarismo di Bruxelles e che in certi casi parteggiano apertamente per l’uscita dall’Eurozona sono consistenti, e il conflitto di questi giorni potrebbe rafforzarle. Tutti i sondaggi danno il partito finora maggioritario, il PDeCat di Luis Puigdemont e Artur Mas, che rappresenta gli interessi della piccola e di parte della media borghesia (l’alta borghesia catalana è contraria all’indipendenza), in forte discesa\".

Un accenno al tema della compatibilità o meno della costruzione statuale catalana con il quadro ordoliberista europeo era stato fatto anche da Sergio Scorza, che riferiva (3) sul Ministro degli Esteri (!) del governo autonomo catalano, Raül Romeva, invocante più UE e quindi meno sovranità (\"la UE si relaziona direttamente con le regioni per finanziare progetti di sviluppo dei territori, dall’altro, lo stato centrale spagnolo ne ostacola in tutti i modi l’attuazione\"). A partire da questo Scorza sviluppava un ragionamento a nostro avviso incongruente, poiché devolution e sussidiarietà sono pilastri del neoliberismo, e gongolare sulle contraddizioni delle (ex)sinistre (europeiste) non risolve certo le nostre, di contraddizioni. Le ragioni per simpatizzare con i catalani, da un punto di vista antiliberista, sarebbero eventualmente opposte a quelle espresse da Romeva.

Alcuni aspetti strutturali della questione erano stati meglio evidenziati da Vicenç Navarro (4) lo scorso luglio, quando nell\'ambito di una approfondita disamina della natura della classe dirigente catalana spiegava:

\"Per comprendere la Catalogna bisogna conoscere il partito CDC, fondato da Jordi Pujol e che è stato il pilastro del pujolismo, una ideologia nazionalista conservatrice che ha sempre considerato la Generalitat de Catalunya come una sua proprietà individuale, familiare e collettiva, con una influenza estesa attraverso politiche di tipo clientelare, con pratiche fortemente corrotte... È ciò che Pablo Iglesias ha definito correttamente come nazionalpatrimonialismo. Il suo vasto predominio nel governo è dovuto al suo chiaro aggancio nella struttura del potere economico, finanziario e mediatico del paese. Il suo dominio sui mezzi di informazione pubblici della Generalitat  è assoluto. E influenza anche quelli privati, in base a laute sovvenzioni (a titolo di esempio, nel 2015 la Generalitat de Catalunya ha concesso 810.719 euro a La Vanguardia; 463.987 a El Periódico de Catalunya; El Punt Avui ne ha ricevuti 457.496, Ara 313.495)... Su TV3, i programmi di economia sono di orientamento ultraliberale, e vengono condotti da uno dei guru della CDC e di settori della ERC, l\'economista Sala i Martín, economista catalano di nazionalità statunitense, che nella UE appoggia il Partito Libertario, un partito di ultradestra che esercita oggi una grande influenza sul Partido Republicano in quel paese [una specie di Partito radicale nostrano, insomma, NdA]. È molto probabile che Ministro della Economia e delle Finanze di una Catalogna indipendente, governata da una coalizione guidata dal PDeCAT, sarà un tale personaggio, o qualcuno vicino al suo orientamento politico.\" 

La riflessione su condizione reale e atteggiamento dei mass-media nella e sulla Catalogna è una riflessione cruciale, in un\'epoca in cui il sistema informativo svolge una funzione strategica analoga a quella che in altre epoche era delle sfere militari. Vanno comprese le ragioni dell\'ampia copertura concessa dai media mainstream alla crisi di questi giorni, con una ostentazione di imparzialità – o forse anche qualcosa di più, visto che si parla, correttamente ma inusualmente, di \"repressione dello Stato spagnolo\" contro \"l\'esercizio della democrazia\" – che per alcune altre cause indipendentiste non si è mai vista. E andrebbe studiata la presenza di radio, portali internet e pubblicazioni catalane all\'interno della vasta rete delle sovvenzioni della Commissione Europea alle iniziative regionali nei paesi membri. 
Così come, per rimanere su terreni affini, andrebbero comprese le ragioni del finanziamento della Open Society Initiative for Europe di Soros al Centre d’Informació i Documentació Internacionals a Barcelona (5), o il motivo per cui già nel 2007 la Fiera del Libro di Francoforte ha deciso di rompere la consuetudine di invitare uno Stato internazionalmente riconosciuto come \"ospite d\'onore\", invitando invece come tale la Generalitat de Catalunya.

In effetti, la posizione delle cancellerie occidentali sulla eventuale secessione catalana non è cristallina. \"Sarà divertente capire come si schiererà realmente l\'Unione Europea\", dice giustamente Marco Rizzo. Le parole di Juncker sono un capolavoro di ambiguità: “Abbiamo sempre detto che rispetteremo la sentenza della corte costituzionale spagnola e del parlamento spagnolo. Ma è ovvio che se un giorno l’indipendenza della Catalogna vedrà la luce, rispetteremo questa scelta. Ma in quel caso la Catalogna non potrà diventare membro dell’UE il giorno successivo al voto”. (6) Le interpretazioni di tali parole divergono nettamente a seconda dei desiderata di chi commenta. Qualche analista sottolinea il fatto che, dovendo la UE rispettare le Costituzioni degli Stati membri, una Catalogna indipendente perderebbe immediatamente lo status di membro della Unione; però qualcun altro annuncia che di fronte a un uso della forza \"sproporzionato\", la Commissione Europea rivedrà velocemente il suo atteggiamento rispettoso nei confronti di Madrid (7). 

In realtà, tutti gli esiti appaiono possibili. Per la Unione Europea, la secessione della Catalogna potrebbe implicare la perdita di un \"pezzo\" (la Catalogna stessa) oppure potrebbe essere un passo in avanti nel progetto regionalista, di devolution ordoliberista che è stato perfettamente esposto nel libro \"Per l’Europa!\" di Guy Verhofstadt e Daniel Cohn-Bendit e così sintetizzato da Alessio Pisanò (8):

Gli Stati nazionali non servono più a niente, perciò è ora di voltare pagina e inaugurare la federazione europea, ovvero gli Stati Uniti d’Europa. (…). L’Europa federale è il cammino per proteggere la nostra sovranità e preservare il nostro modello sociale in un mondo dominato da imperi come Usa, Cina, India, Russia e Brasile (…) Ma cos’è in pratica la federazione europea? Il discorso è lungo, ma si può riassumere così: lo Stato nazionale (Roma, Berlino, Parigi e così via) viene scavalcato sia verso il basso, valorizzando ad esempio il ruolo degli enti locali e delle regioni, che verso l’alto, con la delega di tutta una serie di competenze a Bruxelles, come la politica estera, la difesa e, appunto, la politica economica. Una delle critiche che vengono mosse più spesso all’Euro, infatti, è di non avere uno Stato unitario dietro. Ecco che la federazione europea colmerebbe esattamente questa lacuna.

Dal nostro punto di vista, una volta che la secessione catalana si sarà realizzata, il minimo che dovrebbe succedere – anzi: il minimo che si dovrebbe esigere – è che si apra una battaglia frontale da parte della CUP e degli altri settori antiliberisti contro l\'attuale potere catalano, che la vera sinistra prenda il potere nel nuovo Stato e che l\'allontanamento della Catalogna dalla UE diventi in tal modo irreversibile. Solo così la risultante del processo indipendentista sarà un incremento di sovranità popolare e territoriale e, forse, l\'avvio della crisi esiziale della stessa UE.

In caso contrario si andrà viceversa verso una perdita netta di sovranità. Dal punto di vista di quei settori reazionari che scommettono sulla disgregazione degli Stati nazionali nel nostro continente per realizzare l\'\"Europa delle regioni\" a egemonia tedesca, la secessione della Catalogna dovrebbe aprire infatti ben altri scenari. Il lavorìo che questi ambienti portano avanti, da tanto tempo oramai, è stato da noi seguito ed investigato a fondo nell\'ultimo quarto di secolo (9) e riteniamo persino superfluo accennarvi qui, così come non abbiamo voluto richiamare la mera teoria sulla questione nazionale in generale.

La Spagna monarchica non è la Jugoslavia socialista, perciò i parallelismi che si possono tracciare ci forniscono degli spunti di riflessione ma hanno valore relativo. 
La lezione jugoslava ci ha insegnato da un lato la compatibilità del regionalismo e dell\'identitarismo con il progetto europeista, liberista e pan-germanico; dall\'altro ci ha dimostrato che la spregiudicatezza delle classi dirigenti che portano avanti questo progetto non ha limiti e da loro c\'è da aspettarsi di tutto. 
Quella lezione non ha però niente da dire a proposito della storia della Spagna e della funzione dei movimenti catalano e basco, che si sono sempre mossi su di un solco di progresso e sono stati in prima linea nelle lotte antifranchiste e repubblicane. Il fatto che Jordi Pujol già nel dicembre del 1990 abbia invitato Kucan a Barcellona per spingerlo alla secessione (10), o la solidarietà di Matteo Salvini o di altri ambienti reazionari verso la lotta dei catalani, non ci alienano la simpatia per la storia e le lotte attuali degli anticapitalisti catalani... purché queste ultime vadano fino in fondo. 

Ciò che conta sono gli esiti rispetto al processo strutturale di edificazione del regime ordoliberista europeo. Quali saranno tali esiti non sappiamo dirlo. 
Si è determinata una vertigine, la sensazione di un crinale stretto tra due piani inclinati e relative accelerazioni possibili, ciascuna senza ritorno. Tale sensazione sicuramente non è solo nostra, di militanti internazionalisti e intellettuali che tengono alla libertà ed alla fratellanza tra i popoli, ma siamo convinti che esista anche nella controparte, nella borghesia europea più influente. Anche la classe dirigente europeista vive oggi, crediamo, una simile vertigine: il giocattolino può finalmente ritorcersi contro chi l\'ha creato, proprio come nella favola dell\'apprendista stregone. 

Dopo un quarto di secolo di atteggiamenti ed azioni eversive – nel senso del sovversivismo delle classi dirigenti – si è determinato un evidente cortocircuito e qualcuno, per forza, ci resterà fulminato.


Andrea Martocchia
(segretario, Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS)


NOTE:

(1) Su Contropiano del 30 settembre 2017

(4) Su Investig\'Action del 12 luglio 2017

(5) Fonte: La Vanguardia, 16 agosto 2016 

(6) Sconcertante il balletto delle smentite e delle interpretazioni:

(7) Si ascolti David Carretta su Radio Radicale del 21 settembre 2017
https://www.radioradicale.it/scheda/520455/lunione-europea-e-la-situazione-in-catalogna-collegamento-con-david-carretta
Dalla Commissione Europea è stato più volte \"velenosamente\" ribadito che si tratta di una questione interna allo Stato spagnolo. 
Si noti per inciso che l’amministrazione statunitense non ha condannato il referendum affermando che “lavorerà con l’entità o il governo che ne usciranno” 
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/09/28/unione-europea-catalogna-096030
ed anche le dichiarazioni di Trump sono state contraddittorie ( https://youtu.be/0xDEaxybI-M?t=4m14s ).

(8) Fonte: Se l’Europa diventa federale (di Alessio Pisanò | 9 ottobre 2012)

(9) Come Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, e soggetti collegati, dagli anni Novanta praticamente non abbiamo fatto altro che parlare di questi temi. Una sintesi della questione della esistenza di una \"internazionale reazionaria\" euro-regionalista si trova alla nostra pagina internet 
Si vedano anche le numerose preziose analisi sul tema su German Foreign Policy:

(10) Fonte: Lucio Caracciolo in LIMES del 3/09/1994:



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Unter Separatisten

28.09.2017

BERLIN/MADRID/BARCELONA
 
(Eigener Bericht) - Der katalanische Separatismus ist über Jahre hin von deutschen Stellen begünstigt und gefördert worden. Dies zeigen Aktivitäten im Europaparlament, ein Großereignis der deutschen Kulturpolitik und Äußerungen deutscher Regierungsberater. Im Jahr 2007 hat die Frankfurter Buchmesse katalanischen Separatisten, die damals Aufwind hatten, eine internationale Bühne verschafft, indem sie erstmals nicht einen Staat, sondern eine Teilregion eines Staates zum \"Ehrengast\" ernannte: Spaniens Autonome Region Katalonien. Katalanischen Separatisten bietet darüber hinaus schon seit vielen Jahren die Fraktion \"The Greens/European Free Alliance im Europaparlament eine Bühne, in der Bündnis 90/Die Grünen beträchtlichen Einfluss haben. Der European Free Alliance gehören neben katalanischen Separatisten aus Spanien und Frankreich auch deutschsprachige Separatisten aus Norditalien (Südtirol) und Vertreter der ungarischsprachigen Minderheit Rumäniens an, deren Anhänger einen NS-Kollaborateur gerühmt und für den Anschluss an Ungarn plädiert haben. Madrid solle einem neuen katalanischen Staat \"entgegenkommen\", hieß es 2014 bei der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP). Aktuell sind in Berlin jedoch skeptische Stimmen zu hören; die Krise in Spanien droht sich zu einem weiteren Konfliktherd in der krisengeschüttelten EU zu entwickeln und gefährdet damit die kontinentale Basis der deutschen Weltpolitik.
Unitat Catalana, Unser Land, Bayernpartei...
Politisch-ideologische Rückendeckung erhält der katalanische Separatismus seit 1999 von einer Fraktion im Europaparlament, in der Bündnis 90/Die Grünen starken Einfluss ausüben. Der Fraktion The Greens/European Free Alliance gehören Abgeordnete grüner Parteien, aber auch Abgeordnete von Mitgliedsparteien der European Free Alliance (EFA) an; bei letzteren handelt es sich um Parteien von Sprachminderheiten aus EU-Staaten. Eine der beiden Fraktionsvorsitzenden von The Greens/EFA ist die deutsche Grüne Ska Keller. In der EFA sind etwa katalanische Vereinigungen aktiv, darunter nicht nur eine Organisation aus der spanischen Autonomen Region Katalonien, sondern auch die Unitat Catalana aus Perpignan (Frankreich) sowie Parteien aus dem spanischen Valencia und von den Balearen. Die EFA ist damit pankatalanisch orientiert. Der gemeinsame Nenner all ihrer sonstigen Mitglieder ist allein der Bezug auf Sprach- bzw. Ethno-Minderheiten; zu ihren Mitgliedern gehören dabei neben sich als links einstufenden Parteien auch konservative und rechte Organisationen. EFA-Mitglieder sind zum Beispiel die Bayernpartei, die schlesische Autonomiebewegung Ruch Autonomii Slaska, diverse Deutschtums-Organisationen - etwa Unser Land aus dem Alsace (Frankreich) - und die konservative belgische Nieuw-Vlaamse Alliantie (N-VA), die langfristig den Austritt des niederländischsprachigen Landesteils (Flandern) aus dem belgischen Staat anstrebt.
Anschlusspläne
Die Bereitschaft von Bündnis 90/Die Grünen, dem Ethno-Verband EFA mit der Aufnahme in die gemeinsame Fraktion eine wichtige politische Bühne zu verschaffen, wird auch dadurch nicht beeinträchtigt, dass der EFA Organisationen wie Erdélyi Magyar Neppart oder die Süd-Tiroler Freiheit angehören. Erdélyi Magyar Neppart (Ungarische Volkspartei Transsilvaniens) ist eine Partei der ungarischsprachigen Minderheit Rumäniens, die offiziell für die Autonomie des Minderheitengebiets plädiert. Anhänger der Partei treten sogar für einen Anschluss an Ungarn ein und haben den ungarischen NS-Kollaborateur József Nyirő gerühmt, der für die faschistischen \"Pfeilkreuzler\" tätig war, 1941 Joseph Goebbels huldigte und 1942 in einer Rede forderte: \"Aus dem Weg mit den Brunnenvergiftern, mit denjenigen, die die ungarische Seele destruieren, unsern Geist infizieren, die die ungarische Kraftentfaltung verhindern\" (german-foreign-policy.com berichtete [1]). Die Süd-Tiroler Freiheit wiederum fordert die Abspaltung von Teilen Norditaliens (Bolzano-Alto Adige) und entweder die Gründung eines eigenen Staates Südtirol oder aber - vorzugsweise - den Anschluss an Österreich. Die Süd-Tiroler Freiheit steht in dirkter Tradition zu den sogenannten Südtiroler Freiheitskämpfern, die seit den 1950er Jahren in Italien immer wieder Sprengstoffanschläge verübten, um den Anschluss von Bolzano-Alto Adige an Österreich zu erzwingen.[2]
Europa der Völker
Indem die EFA zahlreiche offen separatistische Parteien organisiert - neben der Süd-Tiroler Freiheit etwa die Esquerra Republicana de Catalunya und die Scottish National Party -, legt sie die Lunte an eine ganze Reihe von EU-Staaten, darunter nicht nur Spanien, sondern etwa auch Großbritannien, Italien und Frankreich. Wie Europa aussähe, sollten die separatistischen Kräfte, die die EFA fördert, Erfolg haben, zeigt eine Karte, die die EFA lange Jahre online verbreitete und die heute noch auf der Internetpräsenz der EFA-Jugendorganisation zu sehen ist. german-foreign-policy.com dokumentiert einen Auszug (siehe rechts).[3]
Ehrengast
Einen kräftigen Aufschwung hat dem katalanischen Separatismus vor ziemlich genau zehn Jahren die Frankfurter Buchmesse verschafft: Im Oktober 2007 konnte damals zum ersten Mal nicht ein Land, sondern mit Katalonien ein Teil eines Staates auf dem international renommierten Großevent als \"Ehrengast\" auftreten. Dies hat nicht nur weithin für Aufmerksamkeit, sondern in Katalonien selbst für heftigen Unmut gesorgt - unter spanischsprachigen Einwohnern der Region; diese wiesen empört darauf hin, dass diejenigen Schriftsteller aus der Region, die nicht in katalanischer, sondern in spanischer Sprache publizierten, in Frankfurt keine Berücksichtigung fänden. Damit werde die Vielfalt Kataloniens auf eine katalanische Ethnokultur reduziert, hieß es. Damals rechtfertigte der Vorsitzende der EFA-Mitgliedspartei Esquerra Republicana de Catalunya, Josep-Lluís Carod-Rovira, diese Praxis mit der Aussage, wenn \"die deutsche Kultur zu einer Buchmesse eingeladen\" wäre, würde man \"auch keine deutschen Autoren zulassen, die auf Türkisch schreiben\" (german-foreign-policy.com berichtete [4]). Gleichzeitig wurden auf der Frankfurter Veranstaltung Landkarten verbreitet, auf denen nicht nur das spanische Valencia und die Balearen, sondern auch Andorra und Teile Südfrankreichs als \"katalanisch\" markiert waren. Dies entspricht vollständig der pankatalanischen Orientierung der EFA.
\"Katalonien entgegenkommen\"
Zeitweise haben auch Berliner Regierungsberater die territoriale Integrität Spaniens offen in Frage gestellt. Die EU könne \"an einen Punkt geraten, an dem zu überlegen wäre, ob eine ausgehandelte Separation nicht einem Zustand permanenter Instabilität vorzuziehen sei\", hieß es 2013 in einem Papier der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP).[5] 2014 plädierte die Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik (DGAP) in einer Kurzanalyse dafür, Madrid solle \"auf eine Übereinkunft hinarbeiten\", um \"dem neuen Staat\" - gemeint war Katalonien - \"entgegenzukommen\".[6] Das Plädoyer für die Abspaltung Kataloniens entspricht alten Vorstellungen deutscher Strategen, denen zufolge es für Deutschland nur vorteilhaft sein könne, separatistische Kräfte in anderen Staaten zu fördern - denn damit würden auch Konkurrenten der Bundesrepublik, etwa Frankreich, erheblich geschwächt.
Sorge um die Machtbasis
Zuletzt sind allerdings eher besorgte Stimmen zu hören gewesen. Der katalanische Separatismus, der immer wieder Rückendeckung in Deutschland fand, stürzt den spanischen Staat aktuell in eine tiefe politische Krise. Diese kommt zur ökonomischen Krise hinzu, die ungebrochen weiterschwelt und auf lange Sicht - ähnlich wie die Krisen in Griechenland und Italien - eine Gefahr für den Euro und die EU ist. Damit droht sich der katalanische Sezessionskonflikt zu einem weiteren Brandherd in der krisengeschüttelten EU zu entwickeln, der den Staatenbund empfindlich schwächen könnte - zu Lasten der deutschen Weltpolitik, die in ihrer aktuellen Konzeption auf eine kontinentale Basis, die EU, angewiesen ist.

[1] S. dazu Ein positives Ungarn-Bild.
[2] S. dazu Der Zentralstaat als Minusgeschäft und Krisenprofiteure.
[3] S. dazu Europa der Völker und Völker ohne Grenzen.
[4] S. dazu Sprachenkampf.
[5] Kai-Olaf Lang: Katalonien auf dem Weg in die Unabhängigkeit? Der Schlüssel liegt in Madrid. SWP-Aktuell 50, August 2013.
[6] Cale Salih: Catalonia\'s Separatist Swell. DGAPkompakt No 12, October 2014. S. dazu Ein inoffizielles Plebiszit.



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(italiano / english / castellano)

La vertigine catalana

segnalazioni in ordine approssimativamente cronologico

1) George Soros finanzia l’indipendentismo catalano / George Soros financió a la agencia de la paradiplomacia catalana
2) A proposito del referendum in Catalogna (George Gastaud, PRCF)
3) Catalogna, a rischio il referendum. PCPE: «Il nostro cammino è l’indipendenza della classe operaia»
4) L’Unione Europea contro la Catalogna: bene censura e repressione (M. Santopadre)
5) Indipendenza della Catalogna e lotte di classe: intervista a Quim Arrufat (Cup)


ALTRI LINK:

Sostegno del PCE alle mobilitazioni in difesa delle libertà democratiche e del diritto all’autodeterminazione (Partido Comunista de España, 20/09/2017)
... Rajoy, con l’aiuto di Ciudadanos sta cercando di dinamitare la convivenza dei cittadini attraverso la creazione di uno stato di emergenza con conseguenze imprevedibili, proprio quando Unidos Podemos propone una via di buon senso per una soluzione concordata alla crisi istituzionale che ha portato lo scontro tra il Governo centrale e quello catalano. Di fronte a questa nuova dimostrazione di autoritarismo, con arresti e interventi che si verificano in Catalogna, il PCE ribadisce che la soluzione per ripristinare la normalità democratica e evitare la rottura della convivenza pacifica è un accordo tra le amministrazioni per consentire al popolo catalano di votare pacificamente e in completa sicurezza, per decidere sulle differenti forme di organizzarsi come nazione e allo stesso tempo decidere come garantire i diritti sociali e lavorativi che i governi di Rajoy e Puigdemont / Màs hanno rubato dal 2010. Di conseguenza, il PCE sostiene le mobilizazioni che, in difesa delle libertà democratiche e in difesa del diritto di autodeterminazione, sono convocate in questo senso...
Catalogna, Rizzo (PC): \"Motore della rivolta è la classe borghese catalana. E l\'Unione Europea sarà il metro\" (26 settembre 2017 ore 13:10, Andrea Barcariol)
... Sarà divertente capire come si schiererà realmente l\'Unione Europea. Sarà il metro con cui comprenderemo meglio la situazione rispetto allo scacchiere internazionale. Queste spinte indipendentiste sono forti e non credo che la questione finirà qui, il tema è molto complesso.

Catalogna: Trump si schiera contro l’indipendenza (PTV News 27.09.17 - Allarme a Basilea)


FLASHBACKS:

CHE COSA CERCA LA GERMANIA IN JUGOSLAVIA (di Lucio CARACCIOLO, da LIMES DEL 3/09/1994)
... Non c’è troppo entusiasmo a Zagabria e Lubiana, la sera del 25 giugno 1991, quando si festeggia la dichiarazione di indipendenza. Sloveni e croati restano quasi isolati internazionalmente. Ad incoraggiarli, un fronte alquanto eterogeneo: da Alpe Adria alla Dc italiana, da Le Pen ai terroristi baschi e agli autonomisti catalani – il cui presidente Jordi Pujol già nel dicembre del 1990 aveva invitato Kucan a Barcellona per spingerlo alla secessione (124)...

EUROPA: UNIONE E DISGREGAZIONE (DOSSIER, 1997)
... Bisogna infatti tracciare una linea di demarcazione tra l\'intellettualismo borghese, che porta avanti valori romantici, passatisti e reazionari che si esauriscono nella esaltazione delle \"differenze\", dall\'internazionalismo ed antiimperialismo marxista, che riconosce i diritti di tutti perche\' vuole l\'unione tra eguali anziche\' il dominio del piu\' forte...

CRISIS PROFITEERS (GFP 2012/11/27)
... Germany has recently been supporting Catalonia\'s secessionist efforts, which are oriented on the notion that Catalonia - the richest region of the country - would not have entered the crisis, if it would not have to share its wealth, via the central government\'s redistribution with Spain\'s poorer areas... While Catalan separatism is grabbing attention throughout Europe, South Tyrolean secessionist efforts are also making bigger waves. Once more, the German austerity dictate to counter the Euro crisis is the direct cause. Rome is obliged to execute drastic budget cuts, as demanded by Berlin, which effect the financial margin of maneuver for the Bolzano Alto Adige (\"South Tyrol\") province. The cancellation of resources earmarked for South Tyrol has provoked protests...

¿Qué pasa en Catalunya?: lo que no se dice en los medios, ni en Catalunya ni en España (VICENÇ NAVARRO, 12 Jul 2017)
... Para entender Catalunya, hay que conocer a dicho partido, CDC, fundado por Jordi Pujol y que ha sido el eje del pujolismo, una ideología nacionalista conservadora que siempre ha considerado la Generalitat de Catalunya como su propiedad individual, familiar y colectiva, extendiendo su influencia a través de unas políticas de tipo clientelar, con prácticas intensamente corruptas... Es lo que Pablo Iglesias ha definido acertadamente como nacionalpatrimonialismo. Su largo dominio en el gobierno se debe a su claro encaje en la estructura de poder económico, financiero y mediático del país. Su dominio sobre los medios públicos de información de la Generalitat es casi absoluto. E influencia también en gran manera a los privados a base de subvenciones amplias (a modo de ejemplo, en 2015 la Generalitat de Catalunya otorgó 810.719 euros a La Vanguardia; 463.987 a El Periódico de Catalunya; El Punt Avui recibió 457.496; y el diario Ara, 313.495 euros)... En TV3, sus programas económicos son de orientación ultraliberal, los cuales son conducidos por uno de los gurús económicos de CDC y sectores de ERC, el economista Sala i Martín, economista catalán, de nacionalidad estadounidense, que apoya en EEUU al Partido Libertario, un partido de ultraderecha que tiene gran influencia hoy en el Partido Republicano de aquel país. Es más que probable que el Ministro de Economía y Finanzas de la Catalunya independiente gobernada por una coalición liderada por el PDeCAT fuese tal personaje, o alguien próximo a él en su orientación política...

INTERPRETAZIONI DIVERGENTI DELLA QUESTIONE CATALANA (Rassegna JUGOINFO del 26.9.2017)
0) Links
1) Napad u Barceloni i Soroseva ”pomoć” neovisnosti Katalonije
2) Perché i referendum in Lombardia/Veneto e in Catalogna sono assai diversi (Marco Santopadre)
3) Declaración del Secretariado Político del Comité Central del PCPE ...
4) A propos du référendum en Catalogne ibérique (Georges Gastaud)
5) Comunicato  solidarietà con il popolo catalano (Rete dei Comunisti)
6) Un commento di Eros Barone
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8771


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George Soros finanzia l’indipendentismo catalano

Rete Voltaire | 28 Settembre 2017
Traduzione: Rachele Marmetti (Il Cronista)

L’anno scorso La Vanguardia [quotidiano edito a Barcellona, ndt] ha rivelato che nel 2014 la fondazione Open Society Initiative for Europe di George Soros ha finanziato organizzazioni che militano per l’indipendenza della Catalogna.

Secondo documenti interni, la fondazione ha versato: 
  27.049 dollari al Consell de Diplomàcia Pública de Catalunya (Consiglio di Diplomazia Pubblica di Catalogna), organismo creato dalla Generalità di Catalogna insieme a diversi partner privati; 
  24.973 dollari al Centre d’Informació i Documentació Internacionals a Barcelona (CIDOB – Centro d’Informazione e Documentazione Internazionale di Barcellona, un think tank indipendentista.

Il CIDOB svolge il ruolo di “pre-ministero” degli Esteri per la Generalità di Catalogna. In ogni occasione sostiene lo stesso punto di vista di Hillary Clinton.

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George Soros financió a la agencia de la paradiplomacia catalana

La fundación del financiero colaboró con 27.000 dólares para diversas actividades del Diplocat y también con 24.949 para el CIDOB

QUICO SALLÉSBarcelona, 
16/08/2016 

La Fundación Open Society Initiative for Europe de George Sorosfinanció con 27.049 dólares actividades del Consell per la Diplomàcia Pública de Catalunya, el Diplocat, la agencia ‘paradiplomática’ catalana. Según los documentos que se han filtrado de las actividades del financiero, Soros aportó estos dólares para cofinanciar una jornada sobre la xenofobia y el euroescepticismo que se celebró en Barcelona en enero de 2014 ante las elecciones al Parlamento Europeo.

Fuentes de la dirección del Diplocat han admitido a La Vanguardia la financiación de este proyecto por parte de la fundación del famoso financiero. De hecho, no es la única aportación a agencias o think tanks catalanes a los que Soros ha ayudado económicamente. El CIDOB, think tank de prestigio internacional bajo el paraguas de diversas administraciones catalanas, también recibió 24.973 dólares para financiar una jornada sobre la integración.

El seminario internacional del Diplocat, titulado “Eleccions Europees 2014: l’augment de la xenofòbia i els moviments euroescèptics a Europa”, fue coordinado por Elisabet Moragas y se realizó a puerta cerrada y al que sólo se podía asistir por invitación.

Según las explicaciones del Diplocat, que preside Albert Royo, se realizó en forma de diálogo abierto entre los expertos académicos y representantes políticos, todos con experiencia sobre el tema del debate, junto con periodistas o representantes de medios de comunicación influyentes de diferentes países de la UE.

[FOTO: La explicación de la financiación de Soros al Diplocat (Quico Sallés)


=== 2 ===


di George Gastaud, segretario nazionale del Polo della Rinascita Comunista in Francia (PRCF),  Antoine Manessis, responsabile PRCF delle relazioni internazionali, e Annette Mateu-Casado, membro della segreteria politica del PRCF, difensora della cultura catalana.

da initiative-communiste.fr, 19 settembre 2017

Traduzione di Marx21.it

Poiché il diritto dei popoli alla propria autodeterminazione non è negoziabile agli occhi dei comunisti, il PRCF condanna il comportamento grossolanamente repressivo del potere di Madrid contro gli eventuali partecipanti al referendum catalano. Anche l\'attaccamento di Mariano Rajoy e del re Felipe alla “democrazia” è sospetto, perché appare in continuità con quella Spagna franchista, in cui il centralismo, certo non democratico, ma fascistaè stato in larga parte responsabile storicamente delle divisioni della Spagna attuale.

Tuttavia, dobbiamo anche interrogarci sull\' “indipendentismo” della grande borghesia catalana.Esso si iscrive completamente nella costruzione “euro-atlantica” che è la negazione stessa dell\'indipendenza dei popoli e, ancor più, del loro diritto inalienabile a costruire il socialismo. Come le odierne componenti dei governi regionali degli Stati esistenti (Spagna, Francia, Italia, Belgio, ex Jugoslavia, ex Cecoslovacchia...) possono essere più forti di fronte all\'Asse Bruxelles-Berlino-Washington (dunque di fronte all\'oligarchia euro-atlantica che mette i popoli in competizione tra loro), isolandosi le une dalle altre, piuttosto che unirsi alle altre nel rispetto delle diversità culturali? Come i proletari di ciascuna delle “grandi regioni” che coltivano l\'euro-separatismo possono essere più forti per lottare contro il capitale se, all\'interno di ogni “nuovo paese” separato dagli Stati esistenti e trasformato in una nuova micro-stella della bandiera europea, i lavoratori sono ulteriormente divisi secondo la lingua e la nazionalità?

Nella stessa Francia, forze reazionarie stanno lavorando, in diverse regioni limitrofe del paese, a smantellare la Repubblica una e indivisibile nata dalla Rivoluzione, a stringere la lingua francese tra l\'inglese transatlantico e la lingua regionale impugnata come arma di divisione. Sullo sfondo di questo separatismo regionalista che si presume opposto a “Parigi” e allo “Stato”, il potere “parigino” stesso si scatena contro il “giacobinismo” (una fase spiccatamente progressista della nostra storia in cui, sotto l\'autorità di Robespierre, l\'unità territoriale del paese si era coniugata con una diffusa autonomia comunale) e difende quello che esso definisce il “patto girondino”: Macron intende in questo modo minare l\'unità, sbarazzarsi delle conquiste nazionali del popolo (contratti collettivi di ramo, statuti, diplomi nazionali, sicurezza, servizi pubblici di Stato, pensioni), favorire le grandi regioni, le “regioni trasfrontaliere” e le Euro-metropoli distruttrici dei comuni e dei dipartimenti.

Per quanto riguarda la Francia, e pur difendendo molto chiaramente le lingue e le culture regionali in quanto patrimonio indivisibile della nazione, il PRCF chiama i lavoratori, da Lille a Perpignan e da Brest a Sarténe, a sconfiggere il Macron-MEDEF, l\'UE sovranazionale, il Patto transatlantico in gestazione, la NATO, tutti quelli che vogliono allo stesso tempo cancellare le conquiste sociali del CNR, l\'autonomia dei comuni della Francia, la sovranità del nostro paese e il diritto dei suoi lavoratori a costruire tutti insieme il socialismo, nella prospettiva del comunismo.

Nel rifiutare in ogni modo la violenza del potere di Madrid contro la popolazione che vive nella Generalità catalana, il PRCF appoggia le rivendicazioni dei comunisti e dei progressisti della Spagna che propongono l\'istituzione di una Spagna repubblicana e socialista, confederale, indipendente dall\'UE e dalla NATO, pienamente rispettosa delle sue nazionalità e in marcia verso il socialismo.


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Catalogna, a rischio il referendum. PCPE: «Il nostro cammino è l’indipendenza della classe operaia»

22 settembre 2017

Nella mattinata di mercoledì la Guardia Civil spagnola ha fatto irruzione nei palazzi governativi catalani arrestando 14 membri della Generalitat de Catalunya, sequestrando il materiale referendario e facendo calare – in sostanza – la scure dell’impossibilità della celebrazione del referendum indipendentista convocato per il 1° ottobre. Mariano Rajoy, Primo Ministro Spagnolo, infatti, ha dichiarato alla stampa: «Il referendum non può essere celebrato, non è mai stato legale o legittimo, ora è solo una chimera impossibile. Lo Stato ha agito e continuerà a farlo, ogni illegalità avrà la sua risposta. La disobbedienza alla legge è l’opposto della democrazia. Siete ancora in tempo per evitare danni maggiori». Le organizzazioni politiche spagnole non sono mai riuscite ad amalgamare un consenso realmente cospicuo in Catalogna, tanto che alle scorse Elezioni Generali il Partito di Governo (il Partito Popolare) nella circoscrizione catalana è andato ben sotto la media nazionale (33%) attestandosi attorno al 13%.

L’azione repressiva da parte del governo centrale, con l’appoggio dell’UE, ha scatenato le proteste di massa in difesa del diritto democratico al referendum con anche uno sciopero degli scaricatori di porto che hanno impedito l’approdo di 16.000 agenti della Polizia Nazionale e Guardia Civile inviati dalle autorità statali centrali.

La situazione, in ogni caso, è decisamente complessa e l’analisi più completa del fenomeno e del “processo” è necessaria per una comprensione a 360°. È l’obiettivo del documento realizzato dal PCPE (Partito Comunista dei Popoli di Spagna) sull’attuale relazione tra la Catalogna e la Spagna e il “processo” (di autodeterminazione nda): chi lo porta avanti, verso dove va e se ha qualcosa di positivo per la classe operaia e il popolo lavoratore. Il PCPE sostiene il diritto di autodeterminazione della nazione Catalana e condanna la repressione dello Stato spagnolo contro il popolo catalano ma considera che la classe lavoratrice non otterrà alcuna soluzione alla sua penosa condizione dal referendum del 1° Ottobre sia se voterà SI che NO e che tale processo, nelle condizioni attuali, è destinato al fallimento senza riuscire ad indebolire né lo Stato né il regime del ’78. «Le seguenti riflessioni – si legge nel lungo scritto realizzato dall’organizzazione Comunisti Catalani affiliata al PCPE e reso pubblico il 6 settembre scorso – si inquadrano nella nostra campagna “Nostro cammino: l’indipendenza della classe operaia”, con cui vogliamo dare il nostro contributo affinché la classe operaia avanzi verso la sua propria indipendenza politica per conquistare un mondo fatto su sua misura».


Alcuni cenni storici e di base

Prima di addentrarsi nell’analisi del “processo”, il documento si sofferma su alcuni concetti e cenni storici per una migliore comprensione: «L’idea di una nazione spagnola coesa e immutabile creata da re cattolici è una grande menzogna. La Spagna feudale pre-capitalista, uguale a molti stati vicini, era un conglomerato di popoli con culture e lingue proprie. La nazione è una comunità umana stabile con una base ideologica, territoriale, economica e psicologica/culturale in comune, nasce dallo sviluppo capitalista, concretamente in Spagna nel XIX secolo. E’ la comparsa di una necessità materiale, ossia, un mercato nazionale per la borghesia, ciò che impulsa una confluenza linguistica e psicologica/culturale di un popolo. Con una volontà politica conseguente alla borghesia ascendente, si promosse un’unità di criteri mercantili, dazi che proteggessero questo mercato e puntellassero la dominazione borghese. Tutto questo impulsò la fusione di diversi popoli e culture nel consolidamento degli Stati-nazione

«Le nazioni non sono qualcosa di eterno o immutabile, ma sono un prodotto storico determinato, con una nascita, evoluzione e scomparsa in funzione dello sviluppo delle società e, fondamentalmente, dello sviluppo economico a partire dall’attività e la lotta delle classi, che muove il resto. […] Agli inizi del XIX secolo le remore del feudalismo erano ancora forti in gran parte del territorio e nella capitale, nei centri di potere. La borghesia centralista, molto legata a relazioni redditiere e poco produttive non apportava le stesse dinamiche rispetto ad una borghesia catalana più avanzata nel processo di industrializzazione. Le relazioni di produzione capitaliste più sviluppate entrarono dalla periferia e si svilupparono fondamentalmente in Catalogna e nel Paese Basco. Quando la borghesia spagnola cerca di creare un quadro nazionale unico in tutto lo Stato trova che ci sono mercati nazionali creati, con borghesie proprie, con interessi propri e con uno sviluppo nazionale molto avanzato. La creazione di uno Stato-nazione con un’unica lingua, cultura e quadro economico cozza frontalmente con l’esistenza di altri quadri nazionali consolidati.»

Questione nazionale catalana e la contraddizione con lo Stato-nazione spagnolo

In merito alla questione della ‘nazione’ catalana, Comunisti Catalani-PCPE scrive come: «Il processo di creazione della nazione catalana proviene da una borghesia che rispondeva solo ai suoi interessi di creare un mercato economico determinato. […] Al consolidarsi del capitalismo in Spagna, gli interessi della borghesia centrale cozzano per decenni con quelli delle borghesie periferiche. Dalla fine del XIX secolo, con l’apparizione del catalanismo politico, e durante tutto il XX secolo lo scontro nazionale è una caratteristica propria del tentativo di costruzione dello Stato-nazione spagnolo. Sotto lo scontro nazionale, c’è un sigillo di classe dello scontro di interessi tra le differenti borghesie. Questo conflitto si svolge in un quadro di unità e lotta, trascinando dietro di sé gli strati popolari che sinceramente e legittimamente cercavano di difendere il loro patrimonio culturale e la loro identità. In questa relazione di unità e lotta, le borghesie, da un lato, hanno lottato tra sé per difendere i rispettivi interessi: questioni commerciali e produttive (il corridoio del mediterraneo/centrale è l’ultimo esempio), di riparto del bilancio statale, del riparto dell’azionariato di grandi compagnie, ecc., ma dall’altro lato, entrambe le borghesie condividevano un interesse comune basato nelle loro condizioni di classe dominante e sfruttatrice della classe operaia. Entrambe le borghesie sono state molto unite quando si è trattato di schiacciare la maggioranza operaia e popolare. In nessun momento della sua storia, la borghesia catalana ha aspirato all’indipendenza. Durante tutto il XX secolo abbiamo molteplici esempi di collaborazione tra borghesie o tra i loro rappresentanti politici», facendo riferimento all’appoggio al franchismo, alla guerra civile, ai patti costituzionali e all’appoggio a leggi e governi della transizione.

Il “processo” è lontano dall’essere guidato dalla classe operaia

Il processo indipendentista catalano non è guidato dalla classe operaia catalana, ma da settori borghesi: «La radice del conflitto è il lucro o interesse economico, un interesse di classe che, più o meno legittimo, dobbiamo saper separare e analizzare. In caso contrario ci faranno passare interessi estranei come nostri e finiremo per partecipare in lotte nelle quali non abbiamo alcuna speranza di miglioramento dei nostri problemi reali come classe operaia.

Il processo indipendentista cresce su problematiche politiche: annullamento dello Statuto votato dai catalani, attacchi alla lingua e la cultura, bassi investimenti in certi settori, ecc. Ma il “processo” come lo intendiamo oggi, come processo indipendentista (non per il patto fiscale o altre iniziative) scoppia nel 2011-2012, nei momenti più duri della crisi economica, e con alcuni fattori che vanno molto al di là di queste problematiche reali.

L’elemento chiave per comprendere il processo indipendentista sono le conseguenze del naturale sviluppo del sistema capitalista. Le leggi economiche di questo sistema, basate nell’accumulazione di capitale, nella produzione conducono inesorabilmente alle seguenti conseguenze: concentrazione del capitale sempre più in meno mani, impoverimento relativo, e a volte assoluto, del resto della popolazione in cui non si concentra il capitale e crescita dei monopoli che dominano rami della produzione e anche paesi interi».

In questo sviluppo si forma quello che Comunisti Catalani-PCPE definisce blocco oligarchico-borghese a livello statale spagnolo con l’unità dei settori monopolistici: «La storica borghesia catalana ha concentrato il suo capitale durante tutto il XX secolo, creando importanti monopoli che hanno dominato sempre più il mercato, in principio nel resto dello Stato e dopo a livello internazionale. Parallelamente, la borghesia spagnola ha seguito un processo simile, compartendo zone di mercato con la borghesia catalana. Le leggi dell’economia operarono e alla fine del XX secolo e inizi del XXI, al calore dell’impulso economico e delle grandi privatizzazioni dei monopoli pubblici, si compì un processo di fusione di capitali nella forma di compartizione azionaria delle grandi compagnie. Questo processo si realizzò dall’integrazione dei monopoli spagnoli nel sistema capitalista-imperialista internazionale e dall’omologazione delle forme di dominazione con i paesi dell’Unione Europea. L’interrelazione di capitali oggi è profonda, e la maggioranza delle grandi oligarchie nate in uno e l’altro lato dell’Ebro condividono azioni delle principali Banche e compagnie dell’IBEX35. Questo ha creato una tal comunione di interessi tra le differenti borghesie dello Stato spagnolo che rende imprescindibile parlare di un blocco oligarchico-borghese spagnolo. […] Il blocco oligarchico-borghese non è né catalano, né basco, né madrileno, è un blocco di carattere spagnolo mentre la sua base di accumulazione e dominazione non è nazionale, ma nel quadro statale. Questo si riflette direttamente nell’ambito politico visto che la nazione catalana ha smesso di esser un progetto utile per la classe dominante in Catalogna. I suoi rappresentanti storici (CiU) sono stati spodestati. Questo è un elemento che differenzia la situazione nel XXI secolo, elemento che in nessun caso si invertirà. L’oligarchia in Catalogna non tornerà mai più a difendere, mantenere o promuovere la nazione catalana.

Il ruolo della piccola e media borghesia catalana

Lo sviluppo imperialistico spagnolo – nel quadro dell’UE- con il suo processo di concentrazione e accentramento, ha avuto il riflesso della reazione della piccola borghesia che di fronte alla caduta delle sue posizioni e condizioni dei suoi piccoli affari rispetto ai grandi monopoli ha assunto sempre maggior protagonismo cavalcando il malcontento diffuso e generando una proposta politica che si riflette nell’attuale “processo”: «L’elemento chiave che spiega l’impulso del processo indipendentista è stato il processo di proletarizzazione accelerato vissuto da ampi strati della piccola e media borghesia catalana nei momenti più duri della crisi economica. Inoltre, la scomparsa di un mercato nazionale catalano, profondamente inter-relazionato con quello della Spagna ha radicalizzato questi strati che vedono “il loro mondo” – o contesto di sussistenza – scomparire.

Pertanto, la proposta politica di questa classe è stata segnata da due elementi:

  1. Dal fatto che la grande borghesia si è fusa con quella del resto dello Stato e si è convertita in borghesia spagnola, perdendo il quadro nazionale e non rappresentando più gli interessi del territorio sul quale si sostenta il mercato della piccola e media borghesia.
  2. E soprattutto, la minaccia massiva di proletarizzazione l’ha portata a sollevare una proposta di scontro radicalizzato contro le conseguenze del capitalismo monopolista attuale, ma non contro il capitalismo come sistema, giacché desiderano un capitalismo che non tenda alla concentrazione di capitali, senza grandi corporazioni e basato nel regime di piccole proprietà come le loro.

Tutto questo ha portato la piccola borghesia a sviluppare una proposta politica con un certo grado di conflitto contro la classe oligarchica ma senza generare un movimento di rottura o indipendente da essa.»

L’impraticabilità del “processo”

Comunisti Catalani-PCPE, in sostanza, delinea l’impraticabilità del “processo” d’autodeterminazione catalano se non viene spodestata l’oligarchia-reggente a livello statale tramite un processo rivoluzionario.

«[…] Poco a poco si va visualizzando l’unico orizzonte realista per l’indipendentismo e tutti i difensori del diritto all’autodeterminazione, orizzonte che da tempo noi comunisti annunciamo: che non sarà possibile alcun processo di autodeterminazione e, pertanto, nemmeno di indipendenza, senza distruggere il potere statale dell’oligarchia. Non si può spodestare l’oligarchia dal potere in maniera pacifica, posto che è sempre disposta a utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per mantenere il suo regime di interessi». E gli eventi di questi giorni confermano pienamente questa tesi. E ancora: «Per rovesciare il potere dell’oligarchia si richiede, così come la storia dimostra, un processo rivoluzionario. E’ l’indipendentismo disposto a portare avanti un processo rivoluzionario? La risposta a questa domanda è profondamente no. L’indipendentismo oggi non ha né forza né capacità di resistenza per affrontare un conflitto reale con lo Stato. E questo non avviene per una condizione codarda intrinseca dei catalani, ma nelle condizioni di classe del “processo”. La piccola borghesia non è una classe rivoluzionaria e pertanto i movimenti politici che sviluppa non hanno nessuna caratteristica (ideologica, politica e organizzativa) rivoluzionaria. In definitiva, il processo indipendentista è destinato al fallimento a causa della classe sociale che lo fomenta, dirige e gli dà forma».

Il ruolo della classe operaia e il suo cammino

Di fronte a questo scenario, il compito dei comunisti è quello di delineare una posizione e percorso indipendente per la classe operaia sulla base dei suoi interessi e non alla coda dei vari settori della borghesia. «La classe operaia deve apprendere dalle sue esperienze, e pertanto deve organizzarsi per creare un movimento con orientamento nettamente operaio dove si difendono i suoi interessi al di sopra di quelli dei padroni […] Né lo spagnolismo difensore dello status quo né l’indipendentismo con proposte utopiche irrealizzabili, servono gli interessi della classe operaia, hanno entrambi un sigillo di classe estraneo ad essa».

Le une e le altre proposte sono irricevibili dai comunisti per cui «solo in un processo rivoluzionario nel quadro spagnolo, ossia statale, in cui la classe oligarchica sia definitivamente sostituita al potere dalla classe sfruttata, la classe operaia, ci saranno le condizioni materiali per dare un reale diritto all’autodeterminazione della Catalogna».

Dunque, il PCPE conclude il documento lanciando un appello alla classe operaia e i settori popolari.

  • A rafforzare la lotta operaia. Rafforzare il sindacalismo di classe e combattivo e le file del Partito Comunista. Lottare contro la penetrazione delle idee di altre classi sociali dentro la nostra classe come sono la socialdemocrazia e ogni tipo di nazionalismo.

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(français / english / castillano / srpskohrvatski / italiano.
Segnalazioni in ordine approssimativamente cronologico)


Interpretazioni divergenti della questione catalana

0) Links
1) Napad u Barceloni i Soroseva ”pomoć” neovisnosti Katalonije
2) Perché i referendum in Lombardia/Veneto e in Catalogna sono assai diversi (Marco Santopadre)
3) Declaración del Secretariado Político del Comité Central del PCPE ...
4) A propos du référendum en Catalogne ibérique (Georges Gastaud)
5) Comunicato  solidarietà con il popolo catalano (Rete dei Comunisti)
6) Un commento di Eros Barone



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Links:

The Federal State - A Loss-Making Business (II – G.F.P. 17.10.2012)
... Cooperation with Catalonia as the \"Partner Nation\" in 2007, at the prestigious Frankfurt Book Fair, provided the separatists with an appreciable boost. German federal state Baden Wuerttemberg\'s special cooperation with Catalonia provides economic support for its secessionist efforts - and points to Europe\'s breakup into an economically successful core and poverty-stricken, hopeless marginalized zones, just as has crystallized under Euro zone pressure...

Farewell to Catalonia (JUGOINFO del 29 ago 2015)
An Unofficial Plebiscite (GFP 7.8.2015)
Risoluzione della Conferenza Nazionale del PCPC sulla questione nazionale (27/09/2014)
Auch zu lesen: Los von Madrid (Berliner Experten plädieren für Abspaltung Kataloniens – GFP 30.10.2014)

Peoples without Borders (G.F.P. 23.9.2015)
Just days before regional elections in Spain\'s Catalonia - elections declared a plebiscite on secession - a political partner of the German Green Party is calling for the rapid secession of that region from Spain. Ethnically defined \"peoples\" throughout Europe should have the \"right to self-determination,\" recognizing \"no borders,\" according to a declaration signed by the Spanish member organization of the \"European Free Alliance\" (EFA). The EFA unites separatist parties of various political orientations from numerous EU member countries... The EFA\'s map of Europe also depicts Germany merged with Austria and territories of neighboring countries to form a Greater Germany...

Il catalanismo e la Catalogna nella Spagna contemporanea. Un dialogo con Borja de Riquer (a cura di Andrea Geniola. In: Nazioni e Regioni. Studi e ricerche sulla comunità immaginata. 8/2016: 89-107)
... Attenendoci ai fatti, l’alta borghesia catalana è assolutamente contraria al processo di autodeterminazione e all’ipotesi indipendentista. Questa ha cercato di pianificare una cosiddetta terza via, soprattutto nella forma della richiesta di autonomia fiscale, ma senza essere ascoltata né dalle istituzioni dello Stato né dai partiti né dal grosso delle classi intellettuali spagnole. Ci troviamo dinnanzi a un fenomeno assolutamente nuovo, risultato dell’esaurimento del catalanismo di sinistra e di destra che avevano avuto un ruolo in questi decenni... non si tratta di un movimento anti-spagnolo bensì contro il regime attuale e quella che si considera essere una rottura del patto costituzionale delle autonomie con quote di autogoverno progressivamente maggiori. Si tratta inoltre di un movimento politicamente contro il PP e il PSOE, soprattutto questo per la sua involuzione nei confronti della realtà catalana. E per concludere si presenta come un movimento popolare civico e democratico. Non c’è un elemento essenzialista, sebbene ci possano essere settori o casi concreti in questo senso, che rivendica il fatto che in quanto nazione la Catalogna ha diritto all’autodeterminazione, bensì la richiesta di votare in quanto soggetti dotati di diritti civili e democratici universali...

¿Qué pasa en Catalunya?: lo que no se dice en los medios, ni en Catalunya ni en España (VICENÇ NAVARRO, 12 Jul 2017)
... En realidad, Catalunya ha estado gobernada 30 de 37 años por las derechas, es decir, 9 de 11 legislaturas, mostrando la gran hegemonía de las derechas... Para entender Catalunya, hay que conocer a dicho partido, CDC, fundado por Jordi Pujol y que ha sido el eje del pujolismo, una ideología nacionalista conservadora que siempre ha considerado la Generalitat de Catalunya como su propiedad individual, familiar y colectiva, extendiendo su influencia a través de unas políticas de tipo clientelar, con prácticas intensamente corruptas... Es lo que Pablo Iglesias ha definido acertadamente como nacionalpatrimonialismo. Su largo dominio en el gobierno se debe a su claro encaje en la estructura de poder económico, financiero y mediático del país. Su dominio sobre los medios públicos de información de la Generalitat es casi absoluto. E influencia también en gran manera a los privados a base de subvenciones amplias (a modo de ejemplo, en 2015 la Generalitat de Catalunya otorgó 810.719 euros a La Vanguardia; 463.987 a El Periódico de Catalunya; El Punt Avui recibió 457.496; y el diario Ara, 313.495 euros)... En TV3, sus programas económicos son de orientación ultraliberal, los cuales son conducidos por uno de los gurús económicos de CDC y sectores de ERC, el economista Sala i Martín, economista catalán, de nacionalidad estadounidense, que apoya en EEUU al Partido Libertario, un partido de ultraderecha que tiene gran influencia hoy en el Partido Republicano de aquel país. Es más que probable que el Ministro de Economía y Finanzas de la Catalunya independiente gobernada por una coalición liderada por el PDeCAT fuese tal personaje, o alguien próximo a él en su orientación política...

Comunistes pel Sì: un appello per la Repubblica Catalana interroga le sinistre europee (Andrea Quaranta / Comunistes pel SÍ)
... Per Comunistes pel SÍ la Repubblica Catalana rappresenta un’opportunità sia per rompere i legami col vecchio regime che per avviare politiche di segno opposto al dogma liberista. In questo senso il manifesto chiama in causa implicitamente le sinistre europee e i comunisti in particolare, affermando che il miglior contributo internazionalista è il sostegno al referendum del 1 ottobre, all’autodeterminazione di Catalunya e alla nascita di una Repubblica al servizio delle classi popolari.
Il manifesto rappresenta inoltre un invito ad approfondire l’analisi dello scenario internazionale e svilupparne una visione non eclettica, così da definire da sinistra un altro modello di Europa. La riflessione su Catalunya implica cioè una riflessione sull’Unione europea, sulla natura antipopolare delle politiche della Troika e sul carattere imperialista del polo europeo...
Il testo originale del manifesto si trova alla pagina: https://comunistespelsi.com/manifest/

Catalogna e autodeterminazione (di Dante Barontini, 21 settembre 2017)
... Il groviglio catalano è sorto all’interno di almeno tre faglie decisionali diverse: l’ambito territoriale della Catalogna, quello della Spagna storica e lo spazio dell’Unione Europea. Abbiamo una “comunità indigena” unita da lingua e tradizioni culturali che persegue l’indipendenza da tempo immemorabile; uno Stato-nazione classico che non riconosce al suo interno altre nazionalità; un quasi-Stato sovranazionale che assume competenze chiave (le politiche di bilancio, in primo luogo) senza alcuna verifica “democratica” effettiva (il voto popolare sulle decisioni rilevanti)...

Le radici economiche dell’indipendentismo catalano (di Alessandro Bartoloni  23/09/2017)
... il processo di autodeterminazione del popolo catalano, ha radici economiche che ne permettono l’effettiva realizzazione. Tuttavia non bisogna pensare che questo processo sia un fatto meramente interno alla borghesia, con quella catalana che non riuscendo a prendere il pieno controllo del paese sembra tuttavia matura per assumersi la responsabilità della spoliazione della propria classe lavoratrice senza più dover fare i conti con Madrid. Quanto sta avvenendo, infatti, è la manifestazione di un conflitto molto più profondo: quello tra l’enorme sviluppo delle forze produttive avvenuto in una trentina d’anni, a partire dalla fine della dittatura militare, e la cornice entro cui ancora oggi si sviluppano i rapporti politici ed istituzionali, ingessati in quel compromesso tra forze democratiche e fascisti che ha guidato il passaggio alla monarchia costituzionale e garantito la pace sociale e l’ordine capitalistico.


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Napad u Barceloni i Soroseva ”pomoć” neovisnosti Katalonije

29/08/2017    SAŠA. F. 

Nakon terorističkog napada na La Rambli u Barceloni i atentata u Cambrilsu, portal Rambla Libre piše kako su oba čina pokazala neuspjeh integracije i nekonzistentnost identiteta koji se temelji na različitosti, što je samo po sebi proturječno.

Kako bi se izašlo iz ove teške situacije, koja ometa planove Carlesa Puigdemonta, lidera katalonskog pokreta za odcjepljenje, iz sjene je trebao izaći pokrovitelj kolektivnog samoubojstva Katalonije, George Soros, piše katalonski portal.

Prvo, svi mediji izravno ili neizravno povezani sa Sorosevim Otvorenim društvom su napisali niz članaka o tome ”kako je upravljanjem u kriznim situacijama i tijekom napada Katalonija pokazala da može biti neovisna”.

Prvi je bio The Wall Street Journal, a sada The Guardian, koji podržavaju Kataloniju i njezinu sposobnost da funkcionira kao samostalna država, posebno nakon onoga što je pokazala tijekom terorističkih napada.

To tvrdi Luka Stobart, profesor političke ekonomije, koji je napisao kolumnu naziva ”Odgovor Katalonije na terorizam pokazuje da je spremna za nezavisnost”.

Osim toga, mediji bliski Sorosu čak i na nacionalnoj razini u Španjolskoj, kao El Confidencial, umanjuju štetne ekonomske posljedice od hipotetskog razbijanja španjolskog jedinstva.

Novinar Juan Carlos Barba piše: ”Španjolska će gotovo sigurno pasti u kratku recesiju, ali će njen utjecaj biti ograničen. Katalonija će zbog sadašnjih političkih problema također pretrpjeti recesiju koja će, međutim, biti kratkog vijeka i nakon toga je čeka snažan ekonomski rast. Osim toga, ako se prijateljski raziđe sa Španjolskom, Kataloniju uopće ne bi trebala pogoditi recesija.”

Istovremeno, list La Vanguardia otkriva da su George Soros i njegovo  Otvoreno društvo za Europu službeno s 27 100 dolara financirali ”Diplomatsko vijeće Katalonije” (Diplocat), te s 24 973 dolara udrugu CIDOB (Catalunya i la cooperació da Desenvolupament). To su svote koje su službeno priznate.

Osim toga, regionalni direktor Otvorenog društva za Europu, Jordi Vaquer Fanés, koji ”radi na promicanju vrijednosti institucija otvorenog društva u zemljama Europske unije i Zapadnog Balkana”, bio je direktor CIDOB-a između 2008. i 2012. godine.

Sva ova tijela središnje vlasti nazivaju ”paradržavnim strukturama Katalonije”. Međutim, nije problem što su ona osnovana ili što Katalonija želi neovisnost, nego što se netko unaprijed pobrinuo da se puna neovisnost ove španjolske autonomne pokrajine nikada ne ostvari.

”Onaj koji izgleda kao dobročinitelj i učenik Karla Poppera, G. Soros, zapravo je jedan od najvećih zagovornika globalizacije, koji više i ne kriju da im je cilj uništiti nacije, granice i nametnuti svjetsku vladu. Čak su i Katalonci naivno upali u njegovu mrežu”, zaključuje Rambla Libre.



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Perché i referendum in Lombardia/Veneto e in Catalogna sono assai diversi


di Marco Santopadre*

Nelle prossime settimane si terranno due appuntamenti elettorali su materie apparentemente simili ma in realtà di segno molto diverso. Il primo ottobre dovrebbe svolgersi in Catalogna (il condizionale è d’obbligo) un referendum per l’indipendenza dallo Stato Spagnolo, mentre il 22 ottobre in Lombardia e Veneto si voterà per chiedere maggiore autonomia dal governo centrale italiano.
Come detto, ad uno sguardo superficiale le due consultazioni potrebbero sembrare equivalenti, ma le differenze sono notevoli.

I referendum in Lombardia e Veneto sono promossi e sostenuti dalla maggioranza dei partiti, dalla Lega fino al Pd, e mirano a ottenere una maggiore autonomia, soprattutto in campo fiscale, per le due regioni del nord Italia. Si tratta quindi di un proseguimento e di un approfondimento delle politiche, portate avanti prima dai governi di centrosinistra e poi da quelli di centrodestra nel corso del decennio scorso, che introdussero il cosiddetto ‘federalismo’. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: le imposte e i balzelli locali per i cittadini sono notevolmente aumentati, man mano che lo Stato cedeva competenze agli enti locali che a loro volta privati dei finanziamenti statali si vedevano obbligati ad aumentare la tassazione e a tagliare o esternalizzare importanti servizi. Col risultato che oggi i cittadini, i lavoratori, i pensionati pagano assai più cari servizi di qualità peggiore. Sul fronte dell’autogoverno, della possibilità cioè delle comunità locali di incidere maggiormente sulle decisioni di natura politica e territoriale, nulla è cambiato, anzi.

Di fatto i referendum indetti in Lombardia e in Veneto il 22 ottobre su iniziativa dei governatori Maroni e Zaia si inseriscono nel solco di quel ridisegno regressivo dell’assetto costituzionale e istituzionale tendente a facilitare una maggiore integrazione del nord del paese all’interno della struttura produttiva, economica e politica dell’Unione Europea. Nelle due regioni, come ha ricordato Sergio Cararo qualche giorno fa su Contropiano, si concentra quel 22% d’imprese che realizzano l’80% del valore aggiunto e delle esportazioni di tutto lo Stato. Sono questi i territori che a Bruxelles, Parigi e Berlino interessa integrare e cooptare nel nucleo duro dell’Unione Europea, mentre il resto del paese si fa sempre meno interessante perché poco appetibile.

Comunque si tratta di referendum di tipo consultivo per i quali non è previsto alcun quorum, e l’impatto del loro risultato potrebbe essere assai scarso. Di fatto una sorta di megaspot a favore dei due governatori e delle loro rispettive maggioranze, anche se poi le consultazioni sono sostenute dal Pd e dai suoi cespugli. Certo, in caso di vittoria del Sì e di forte partecipazione alle consultazioni, i promotori e i loro sponsor – il padronato medio-piccolo, le lobby finanziarie locali agganciate agli ambienti europei che contano – potrebbero rivendicare più voce in capitolo nei confronti del governo e rosicchiare qualche privilegio in più. Ad esempio, ottenendo di poter stringere accordi ‘autonomi’ con gli ambienti economici tedeschi, finanziamenti ad hoc per migliorare le infrastrutture, agevolazioni fiscali o incentivi alle imprese o agli enti locali.

I riscontri positivi per le popolazioni delle due regioni sarebbero insignificanti. Anzi, com’è successo dopo l’introduzione del cosiddetto ‘federalismo fiscale’, i processi di concentrazione del potere e della ricchezza nelle mani di ambienti sempre più ridotti e di tipo oligarchico potrebbe subire una ulteriore accelerazione.

Mentre i due referendum in Lombardia e Veneto sono puramente funzionali agli interessi del padronato locale e del meccanismo di gerarchizzazione del territorio europeo gestito in maniera spesso spericolata da una borghesia continentale sempre più sovranazionale, il quesito catalano del Primo ottobre ha risvolti assai più interessanti e di rottura.

La rivendicazione indipendentista catalana ha una storia pluricentenaria, in opposizione ad una costruzione nazionale spagnola di tipo autoritario e sciovinista che è ricorso alla dittatura per ben due volte nel ventesimo secolo (quelle di Miguel Primo de Rivera dal 1923 al 1930 e poi quella di Francisco Franco dal 1936 fino alla fine degli anni ‘70). Fu non solo per reprimere i movimenti dei lavoratori e i moti rivoluzionari che le classi dirigenti spagnole scelsero il terrore, ma anche contro le rivendicazioni indipendentiste dei baschi, dei catalani e delle altre nazionalità inglobate a forza in uno stato autoritario e feudale.

Dopo la morte di Franco all’interno del regime si affermò l’ala più modernista e liberale in economia (ma non per questo meno fascista) che era interessata a integrare la Spagna nell’allora Comunità Economica Europea e nella Nato. Così il regime non venne travolto ma semplicemente si autoriformò, cambiando pelle pur di continuare a garantire, con forme nuove, il dominio dell’oligarchia economica e politica.
Se il Movimento di Liberazione Basco, da posizioni socialiste rivoluzionarie, rifiutò e contestò a lungo l’autoriforma del regime accettata supinamente dalle opposizioni di sinistra spagnole, il movimento nazionalista catalano si integrò senza particolari scossoni all’interno del cosiddetto ‘Stato delle autonomie’. La borghesia catalana, ampiamente integrata sia a livello statale che internazionale, ha gestito il potere politico ed economico a livello locale in maniera pressoché ininterrotta dall’inizio degli anni ’80 fino ai nostri giorni. I partiti regionalisti e autonomisti catalani – in primis Convergència Democràtica de Catalunya – hanno a lungo relegato le rivendicazioni indipendentiste al livello simbolico, mirando ad aumentare il proprio potere e il proprio radicamento a livello locale in cambio del sostegno ai governi statali formati alternativamente dai due partiti nazionalisti spagnoli, il Partito Popolare e il Partito Socialista Operaio (sic!) Spagnolo.

Ma questo equilibrio si è rotto all’inizio del decennio. La gestione autoritaria e liberista della crisi economica da parte dei governi spagnoli – sotto dettatura Ue – e di quelli regionali ha provocato la politicizzazione di decine, forse centinaia di migliaia di catalani da sempre lontani dalla contesa tra il campo autonomista e quello nazionalista (spagnolo). In reazione ai licenziamenti di massa, degli sfratti con l’uso della forza pubblica e dei tagli ai salari e al welfare le piazze si sono riempite: scioperi, manifestazioni, picchetti e assemblee hanno scosso la Catalogna.

Nel frattempo un blando tentativo di riforma dello Statuto di Autonomia varato dopo l’autoriforma del regime franchista, promosso dagli autonomisti e da alcune forze federaliste di centro-sinistra, ha visto una reazione sproporzionata e violenta da parte dello Stato e delle sue istituzioni. Un testo già ampiamente mutilato dagli stessi promotori catalani è stato ulteriormente sfregiato dalle istituzioni statali, manifestando così l’impossibilità di una riforma graduale e negoziale dell’autonomia di Barcellona.

La confluenza dei due processi – lotta contro l’austerity e lotta per una maggiore autonomia – unita ad una crescente mobilitazione sociale e politica contro lo stato e i suoi apparati repressivi, oltre che contro la corruzione e l’autoritarismo repressivo del governo regionale ha causato una frattura di tipo storico all’interno dello scenario catalano, con l’indebolimento dell’egemonia di Convergència – nel frattempo trasformatasi in Partit Demòcrata Europeu Català – e il rafforzamento di un variegato fronte indipendentista sorretto dalla mobilitazione permanente dell’associazionismo nazionalista trasversale e dall’affermazione elettorale di varie forze di sinistra, tra le quali le Candidature di Unità Popolare (Cup), anticapitaliste oltre che indipendentiste.

La mobilitazione a sinistra e indipendentista ha di fatto condizionato i regionalisti catalani obbligandoli ad abbracciare rivendicazioni di tipo nazionalista, che hanno portato alla formazione di un governo il cui obiettivo dichiarato è quello di traghettare la Catalogna verso l’autodeterminazione attraverso un processo di ‘disconnessione’ politica ed istituzionale con Madrid e i suoi apparati. Il momento di rottura formale dovrebbe essere rappresentato dal referendum che il parlamento catalano si appresta a convocare per il prossimo 1 ottobre. Che il referendum si tenga veramente ed in forme ufficiali – per intenderci sulla falsariga di quelli realizzati in Scozia ed in Quebec – è tutto da vedere: i partiti nazionalisti spagnoli e gli apparati dello Stato non hanno alcuna intenzione di permettere la celebrazione del voto popolare, non riconoscono ai catalani l’esercizio del diritto all’autodeterminazione e stanno intraprendendo un boicottaggio che potrebbe arrivare all’intervento delle forze di sicurezza contro i promotori del referendum, alla sospensione dello statuto di autonomia di Barcellona e all’esclusione degli indipendentisti dalle istituzioni e dagli uffici pubblici, per non parlare dei ricatti sul fronte economico.

Ma le contraddizioni esistono anche nel fronte catalano: il presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, ha già perso pezzi consistenti del suo schieramento politico e il sostegno di alcuni importanti dirigenti del suo stesso partito politico. Di fronte all’acuirsi dello scontro e all’avvicinarsi del momento della verità molti di coloro che, da posizioni catalaniste, hanno a lungo agitato la parola d’ordine dell’indipendenza scelgono di fare un passo indietro. In fondo gli spezzoni dominanti della borghesia catalana non hanno mai abbracciato pienamente la parola d’ordine della separazione da Madrid e la sua scelta sarà improntata ad un pragmatico bilancio costi/benefici. Se lo scontro con Madrid si facesse troppo duro settori consistenti e maggioritari di PDeCat potrebbero tirare i remi in barca, sospendendo la procedura di ‘disconnessione’ in cambio magari di un aumento dell’autonomia fiscale e amministrativa che poi è il succo delle rivendicazioni autonomiste della borghesia catalana. Una scelta che però non sarebbe né facile né indolore per il partito liberal-conservatore catalano, che a quel punto dovrebbe subire l’offensiva delle forze autenticamente indipendentiste e in particolare dei partiti di sinistra catalani, Erc e Cup.

Come detto, a Barcellona in queste settimane si gioca una partita molto interessante, dagli esiti non scontati e che avrebbe forti ripercussioni non solo sugli equilibri dello Stato Spagnolo ma su tutta l’Unione Europea. In Catalogna, nel fronte indipendentista, si scontrano due diverse tendenze politiche: una europeista, liberista, conservatrice sul piano sociale e affatto interessata a mettere in dubbio le attuali collocazioni internazionali, ed un’altra che insieme all’indipendenza chiede l’uscita dalla Nato e dall’Unione Europea, la rottura con le politiche liberiste e una forte rottura con gli attuali equilibri politici ed economici.

La Monarchia autoritaria spagnola perderebbe un pezzo consistente, e nascerebbe una Repubblica Catalana all’interno della quale i movimenti sociali e politici progressisti o esplicitamente antagonisti avrebbero un peso consistente in grado di contendere alle forze moderate la guida del processo di costruzione del nuovo stato, di mutare i rapporti di forza, di introdurre nel dibattito politico e nel processo decisionale degli elementi di rottura con la brutta china imposta dal processo di costruzione del polo imperialista europeo.

L’esito di questa dialettica è ovviamente tutt’altro che scontato, ma che la rottura di Barcellona con Madrid apra spazi consistenti alle rivendicazioni di classe è innegabile.
Per questo equiparare i referendum di Lombardia e Veneto con quello catalano è un grave errore da parte di forze che si richiamano al progresso e al cambiamento.

* Rete dei Comunisti

31 agosto 2017



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Declaración del Secretariado Político del Comité Central del PCPE sobre la situación en Catalunya de cara al referéndum del 1 de octubre


1.     El ejercicio del derecho a la libre autodeterminación de los pueblos es un requisito imprescindible para superar el fracaso histórico de la burguesía española en su objetivo de construir España como nación que reconozca la realidad de su carácter plurinacional, y que desarrolle el marco de convivencia necesario para sentar las bases materiales de una nación española que sea reconocida como patria por quienes vivimos en este Estado. La nación española que ha impuesto la burguesía, especialmente después del fin de su fase colonial en 1898, es incapaz de adquirir esta condición y se desarrolla como cárcel de pueblos oprimidos en la dictadura del capital. Este derecho a la libre autodeterminación no es tal si no incluye el derecho a la independencia.

2.     Mariano Rajoy representa, hoy, la continuidad del proyecto político de la vieja España, fracasada en su intento de unificar a los distintos pueblos y naciones. Intento de unificación que, siempre ignorando sus derechos, se ha realizado desde la imposición y la violencia. Esa es la misma incapacidad política que hoy pone en evidencia el Gobierno del PP, que no tiene ninguna vía política de superación del actual conflicto con el Govern de Generalitat, y que recurre a la utilización instrumental de los aparatos del Estado y a la intervención represiva de los cuerpos de policía. 

3.     El proceso que se desarrolla en Catalunya, a iniciativa de un amplio sector de su burguesía, tiene el objetivo de una mejor recolocación de esa clase social en la cadena imperialista. La burguesía catalana entra así, una vez más, en contradicción con la oligarquía española. Contradicción que tiene su base material en la existencia de un marco específico de acumulación capitalista en Catalunya, que el capitalismo español (pese a haberlo intentado) no ha conseguido nunca integrar en el marco general de la acumulación capitalista en España de forma unificada. No es, por tanto, un proceso de liberación nacional de base popular, si bien se apoya y utiliza los sentimientos nacionales históricamente arraigados en el pueblo, para obtener una amplia legitimación de masas a su particular estrategia. Estamos frente a un intento de proceso de recomposición capitalista, sobre la base de la continuidad de la propiedad privada y de la explotación de la clase obrera y los sectores populares por una clase social parasitaria.

4.     El SP del CC del PCPE entiende que, en una situación así, la posición del Partido de la clase obrera es la de clarificar los intereses en juego ante el pueblo trabajador y, también, la de aprovechar las contradicciones que se dan en el marco del bloque de fuerzas dominantes para incidir sobre ellas favoreciendo los intereses de la clase obrera y los sectores populares. Por ello, aun respondiendo esta situación que se da en Catalunya a un conflicto dentro del bloque de poder dominante, es necesario que la clase obrera intervenga en el mismo para debilitar a la clase dominante y favorecer el desarrollo de los intereses proletarios.

5.     Ante la convocatoria del referéndum del 1 de octubre, el PCPE, coincidiendo con las posiciones expresadas por el PC del Poble de Catalunya, hace un llamamiento a la clase obrera y a los sectores populares a participar en ese proceso, manifestando su voto nulo, como expresión contra un proyecto de la burguesía catalana que se inserta en la alianza imperialista de la UE y en la OTAN, y que quiere dar continuidad a la actual explotación de la clase obrera catalana bajo nuevas formas.

6.     El SP del CC del PCPE llama a combatir todas las formas de utilización violenta de los aparatos del Estado para reprimir los derechos de la clase obrera catalana por parte del Gobierno de Mariano Rajoy, a hacer una firme defensa del legítimo derecho de autodeterminación de los pueblos, y a fortalecer el bloque obrero y popular en torno a sus propios intereses de clase, que es un requisito imprescindible para impulsar el proceso que lleve al reconocimiento de Catalunya como nación. 

7.     El SP del CC del PCPE, como expresión de los acuerdos del X Congreso del Partido, reitera su propuesta de superación de la actual situación en base a su propuesta de República Socialista de carácter Confederal, como salida política de futuro a esta situación. Un proceso hegemonizado por la clase obrera, que liquidará no solo a la decrépita monarquía española sino, también, a las estructuras de dominación capitalista que someten a los pueblos y naciones del Estado a la opresión nacional, y a su clase obrera a unas miserables condiciones de vida bajo la dictadura del capital.


Secretariado Político del Comité Central del PCPE a 10 de Septiembre de 2017



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Septembre 19, 2017

A propos du référendum en Catalogne ibérique

Une réflexion de Georges Gastaud, secrétaire national du PRCF, d’Antoine Manessis, responsable PRCF aux relations internationales, et Annette Mateu-Casado, membre du secrétariat politique, défenseur de la culture catalane


Le droit des peuples à disposer d’eux-mêmes n’étant pas négociable aux yeux des communistes, le PRCF condamne l’attitude grossièrement répressive du pouvoir de Madrid à l’encontre des éventuels participants au référendum catalan. D’autant que l’attachement de Mariano Rajoy et du roi Felipe à la « démocratie » est aussi suspect qu’est évidente leur commune filiation avec l’Espagne franquiste dont le centralisme, non pas démocratique, mais fasciste, est largement responsable historiquement des divisions de l’Espagne actuelle.

Il n’en faut pas moins s’interroger sur l’ « indépendantisme » de la grande bourgeoisie catalane. Il s’inscrit totalement dans la « construction » euro-atlantique qui est la négation même de l’indépendance des peuples et plus encore, de leur droit inaliénable à construire le socialisme. Comment des actuelles composantes régionales des Etats existants (Espagne, France, Italie, Belgique, ex-Yougoslavie, ex-Tchécoslovaquie…) seraient-elles plus fortes face à l’Axe Bruxelles-Berlin-Washington (donc face à l’oligarchie euro-atlantique qui met les peuples en coupe réglée) en s’isolant les unes des autres, plutôt qu’en s’unissant aux autres composantes dans le respect des diversités culturelles ? Comment les prolétaires de chacune de ces « grandes régions » cultivant l’euro-séparatisme seraient-ils plus forts pour lutter contre le capital si, à l’intérieur de chaque « nouveau pays » séparé des Etats existants et transformé en nouvelle micro-étoile du drapeau européen, les travailleurs sont divisés encore davantage selon la langue et selon la nationalité ?

D’autant qu’en France même, des forces réactionnaires travaillent, dans plusieurs régions limitrophes du pays, à démanteler la République une et indivisible issue de la Révolution, à prendre la langue française – élément unificateur majeur du pays – en étau entre le tout-anglais transatlantique et la langue régionale érigée en arme de division. A l’arrière-plan de ce séparatisme régionaliste soi-disant opposé à « Paris » et à l’ « Etat », le pouvoir « parisien » lui-même se déchaîne contre le « jacobinisme » (phase éminemment progressiste de notre histoire où, sous l’autorité de Robespierre, l’unité territoriale du pays s’est conjuguée avec la généralisation de l’autonomie communale) défend ce qu’il appelle un « pacte girondin » : Macron entend ainsi saper l’unité de la République, exploser les acquis nationaux du peuple (conventions collectives de branche, statuts, diplômes nationaux, Sécu, services publics d’Etat, retraites…), favoriser les grandes régions, les « régions transfrontalières » et les euro-métropoles destructrices des communes et des départements.

En ce qui concerne la France, et tout en défendant très clairement les langues et les cultures régionales en tant que patrimoine indivisible de la nation, le PRCF appelle les travailleurs, de Lille à Perpignan et de Brest à Sartène, à faire échec à Macron-MEDEF, à l’UE supranationale, au Pacte transatlantique en gestation, à l’OTAN, à tous ceux qui veulent à la fois araser les conquêtes sociales du CNR, l’autonomie des communes de France, la souveraineté de notre pays et le droit de ses travailleurs à construire tous ensemble, le socialisme dans la perspective du communisme.

Sans cautionner en quoi que ce soit la moindre violence du pouvoir de Madrid à l’encontre de la population vivant dans la Généralité catalane, le PRCF appuie la revendication des communistes et des progressistes d’Espagne qui proposent la mise en place d’une Espagne républicaine et socialiste, confédérale, indépendante de l’UE et de l’OTAN, pleinement respectueuse de ses nationalités et en marche vers le socialisme*. 


*nous signalons que nos camarades du Parti communiste des peuples d’Espagne appellent au vote blanc à ce référendum.



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Comunicato  solidarietà con il popolo catalano

Con l\'avvicinarsi del 1 ottobre, giorno scelto per la consultazione referendaria sull\'indipendenza della Catalogna, si vanno concretizzando violentemente le minacce del governo Rajoy nei confronti del composito movimento indipendentista.

In nome del \"diritto\" - evidentemente quello di neutralizzare la democrazia nel caso si manifesti in maniera contraria agli interessi del \"mondo di sopra\" -  sono scattate le manette per diversi membri e funzionari della Generalitat. E\' solo l\'ultimo episodio dopo il sequestro di materiale pro-referendum, l\'invio di un\'ordine di comparizione in tribunale per 712 sindaci accusati di favorire una consultazione illegale, l\'ordine di bloccare in ogni formato, cartaceo o digitale, la propaganda referendaria, il commissariamento dei conti del governo regionale catalano e l’invio a Barcellona di 10mila tra agenti di polizia e militari.

La “democrazia spagnola” di mostra per quello che è sempre stata: diretta erede dello stato franchista, dal quale non si è mai smarcata realmente, mantenendo il suo impianto nazionalista e autoritario e i suoi apparati repressivi e ideologici. Il passaggio dalla dittatura alla monarchia parlamentare fu gestito dal regime fascista per garantire il dominio dell\'oligarchia sotto altre forme dettate dalla necessità di integrare il paese nella Nato e nella Comunità Economica Europea.

Quella stessa Unione Europea che oggi volta le spalle alle richieste di libertà e di democrazia del popolo catalano, concedendo mano libera alla repressione di Madrid. Quel diritto all’autodeterminazione che l’Ue ha strumentalmente sponsorizzato quando si trattava di togliere di mezzo paesi non conformi da sfasciare e assorbire - il caso dell’ex Jugoslavia è eclatante - non sembra valere per Bruxelles all’interno dei propri confini. Al polo imperialista europeo non interessano né la democrazia né la libertà, soprattutto quando non sono in linea con i propri interessi strategici e se mettono a rischio la stabilità interna come nel caso della Catalogna. Una contraddizione non indifferente per quegli spezzoni liberali del movimento indipendentista catalano che si appellano proprio a Bruxelles ritenendo Ue una alternativa democratica all’autoritarismo spagnolo.

Nel momento in cui gli viene impedito di esprimersi democraticamente sul proprio futuro non possiamo che schierarci a fianco del popolo catalano. All\'interno del fronte indipendentista esistono componenti molto diverse per orientamento politico e ideologico; non potrebbe essere altrimenti visto che siamo di fronte a un vasto movimento popolare e non dell’espressione delle rivendicazioni di un solo partito o di una sola classe sociale. Ma è impossibile negare l\'importanza che la lotta per l\'emancipazione e la liberazione sociale, condotta da consistenti e radicati settori politici e sociali di sinistra e di classe, sta avendo nella concretizzazione del Referendum del 1 ottobre e in generale nel processo indipendentista.

Nell\'attuale contesto continentale, la rivendicazione d\'indipendenza del popolo catalano si pone in oggettiva rottura non solo con le classi dirigenti e l\'oligarchia spagnola ma anche con la stessa Unione Europea. Un processo di rottura politica e sociale in Catalogna rafforza oggi le ipotesi di opposizione e rottura dei popoli europei nei confronti dei propri governi e della gabbia dell\'Unione Europea, il che non può lasciarci indifferenti.

Nei prossimi giorni parteciperemo a diversi momenti di dibattito e di mobilitazione in solidarietà con la lotta del popolo catalano e il 1 ottobre saremo a Barcellona a fianco dei compagni e delle organizzazioni di classe che animano il movimento per l’emancipazione sociale e nazionale della Catalogna.


Rete dei Comunisti, 21/09/2017


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