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gli interessi del popolo e del suo sviluppo a tutto tondo – spirituale, intellettuale, sociale e fisico - rappresenta il più alto fine e compito dello stato;tutto il potere risiede nel popolo ed è esercitato da esso attraverso organi eletti di diretta rappresentanza;tutti i cittadini lavoratori hanno diritto a sanità, istruzione, pensione e sicurezza sociale a spese dello stato;in caso di perdita del lavoro o temporanea o permanente disabilità sono pagate pensioni degne e si garantisce un’adeguata sicurezza sociale;è consentita ogni iniziativa privata o collettiva a condizione che essa porti beneficio al popolo e al suo sviluppo;il capitalismo finanziario usurario, che si basa sul credito, è proibito. I soldi devono essere guadagnati non attraverso qualsiasi tipo di strangolamento debitorio, bensì attraverso la realizzazione di progetti di successo;lo stato, agendo in nome del popolo e controllato dai rappresentanti del popolo, è il maggior possessore di capitale e controlla i settori strategici dell’economia;la proprietà privata è permessa, ma la società tiene sotto controllo le grandi fortune ed il modo in cui vengono investite nella politica e nell’economia. A nessuno è consentito sfruttare le persone in maniera parassitaria, stabilire un impero oligarchico o dominare il popolo creando monopoli artificiali;Quali sono i nostri metodi di lotta?Per raggiungere l’obiettivo di cui sopra (la creazione sul territorio dell’Ucraina di una repubblica popolare ad orientamento sociale) siamo pronti ad utilizzare metodi di lotta violenti e non-violenti. Riteniamo che i cittadini abbiano diritto alla sollevazione e che solo il popolo in armi sia in grado di difendere la propria libertà. La violenza, comunque, è un mezzo per ottenere fini politici e vi ricorriamo solo quando siamo obbligati.Cosa sta succedendo sul territorio dell’Ucraina?Sul territorio dell’Ucraina è in corso una rivolta di liberazione popolare contro un regime liberal fascista che cerca, attraverso la propaganda ed il terrore, di imporre nel nostre paese un capitalismo criminale oligarchico e rentista.Cos’è l’Ucraina?L’Ucraina è il territorio posto tra l’UE e la Russia, con forti tradizioni cristiane (specialmente ortodosse), con una popolazione composta di varie nazionalità (Ucraini, Russi, Bielorussi, Greci, Tatari, Ruteni, Galiziani ed altri), e con tradizioni, forgiate nei secoli, di autogoverno popolare e lotta politica per la libertà.Che sta succedendo nel sud-est dell’Ucraina (Novorossia)?Nel sud-est (Novorossia) è in corso una sollevazione politica popolare contro il regime liberal-fascista istallatosi a Kiev con i soldi ed il supporto dei padroni occidentali. I membri di tutti i gruppi etnici della regione stanno prendendo parte a questa rivolta – Ucraini, Russi, Greci, Armeni, Ebrei, Ungheresi, Rumeni e così via.Nella regione è in corso una guerra fra Russi e Ucraini?Non è in corso una guerra fra Russi e Ucraini, come affermato dalla propaganda di Kiev. E’ in corso una sollevazione del popolo oppresso contro il suo comune nemico –il capitalismo criminale oligarchico.Russi e Ucraini, come le persone di altre nazionalità, stanno combattendo sui due fronti.Dalla parte del regime di Kiev mercenari e combattenti punitivi ingannati dalla propaganda stanno facendo guerra in favore del grande capitale oligarchico e della burocrazia criminale, mentre dalla parte del sud-est (Novorossia) i membri delle milizie difendono gli interessi del popolo ed il loro futuro libero, giusto e democratico.Russi ed Ucraini hanno diversi interessi negli eventi in corso in Ucraina?Russi ed Ucraini sono uniti da comuni interessi politici e sociali –la liberazione dell’Ucraina dal potere del capitale oligarchico, della burocrazia corrotta, delle forze criminali di coercizione e semplicemente dal crimine.Perché la sollevazione del sud-est (Novorossia) sta avendo luogo sotto slogan russi?Perché Russi e russofoni in Ucraina hanno subito una duplice oppressione –socio-economica (come la popolazione di lingua ucraina) ed anche politico-culturale.L’oppressione socio-economica – sotto forma di corruzione, tirannia, impossibilità di avere una normare occupazione o condurre una vita normale, paghe misere e dipendenza dagli uomini che posseggono il paese- costituiscono la normalità per ogni lavoratore dell’ Ucraina.La negazione di uno status ufficiale alla lingua russa in regioni in cui più del 90% della popolazione parla e pensa in russo (circa la metà del territorio dell’Ucraina), insieme con il divieto di insegnare il Russo nelle scuole; il divieto di pubblicità e film in russo; il divieto di utilizzare il russo nei tribunali e nell’amministrazione e altre assurde pretese e proibizioni segregazioniste assommano umiliazioni addizionali nei confronti della popolazione russofona dell’Ucraina.A causa di ciò sono stati i Russi ed i russofoni i primi a sollevarsi.Ora è il turno di tutto il popolo oppresso dell’Ucraina!Perché la Russia sta aiutando il sud-est dell’Ucraina (Novorossia)?Una significativa parte dell’elite russa teme la protesta sociale e politica. Costoro gradirebbe stringere un accordo un accordo con le autorità di Kiev e porre fine alla guerra nel sud-est (Novorossia). Ma la furia della rivolta popolare contro il capitalismo liberal-fascista e oligarchico-burocratico non permette loro di farlo. Il popolo russo sostiene la giusta lotta del sud-est dell’Ucraina (Novorossia) e ciò costringe l’intera elite russa, spesso in maniera contraria ai suoi interessi strategici, a sostenere o fingere di sostenere la rivolta del sud-est dell’Ucraina.Perché gli USA e l’UE aiutano il regime di Kiev?Lo scopo principale degli USA è intraprendere una lotta contro la Russia come rivale geopolitico. Gli USA hanno bisogno o di creare uno stato anti-russo sul territorio ucraino, con le basi NATO sul confine russo, oppure di destabilizzare la regione e far precipitare il paese nel caos.L’UE ha bisogno di ulteriori mercati per i suoi prodotti e miniere di materie prime a basso costo.Cosa supporta la lotta del sud-est dell’Ucraina (Novorossia)?La resistenza, il cui punto forte è il sud-est dell’Ucraina (Novorossia), è supportata e rafforzata dal saldo desiderio del popolo ucraino di liberarsi dalla dominazione liberal-fascista e dalle elites dominanti. Aiutano anche la graduale coscienza dei popoli di Ucraina dei loro comuni interessi socio-politici e dei comuni scopi della loro lotta.La lotta del sud-est (Novorossia) equivale a separatismo?No, il territorio della lotta è l’intero territorio dell’Ucraina. Gli insorti nel sud-est (Novorossia) stendono le loro mani ai loro fratelli e sorelle di tutte le regioni dell’Ucraina al grido:”Solleviamoci contro il nemico comune”.Dobbiamo stabilire un nuovo, libero, socialmente responsabile potere popolare sull’intero territorio dell’Ucraina e della Novorossia.Cosa verrà in seguito alla vittoria della rivoluzione di liberazione popolare e al collasso del regime liberal-fascista?Verrà formato un nuovo stato in cui il potere apparterrà al popolo non a parole ma nella realtà.Tenendo un referendum (la più alta forma di potere popolare), la popolazione di ciascuna provincia autodeterminerà il futuro della propria regione –se essa rimarrà all’interno di uno stato unitario federale o riceverà la piena indipendenza.Come verrà costruito il potere politico dopo la vittoria della rivoluzione di liberazione popolare?Il Potere politico verrà costruito in linea con il principio della rappresentanza popolare diretta (potere popolare) – dal basso all’ alto.Gli organismi di potere popolare verranno formati, a cominciare dal livello del Consiglio locale, fino al Consiglio Supremo, secondo il principio della rappresentanza di delegati dei territori, di delegati dei collettivi di lavoro e delle corporazioni e consigli delle professioni e di delegati delle organizzazioni politiche, religiose e di comunità.Il più alto organismo di rappresentanza popolare, il Consiglio Supremo, sarà formato dai delegati dei consigli regionali.Il Consiglio Supremo sceglierà il Governo, che sarà responsabile di fronte al popolo come rappresentante dei membri del Consiglio.Richiediamo che i giudici e gli organismi locali di imposizione della legge vengano scelti tramite elezioni.Quali diritti avranno le regioni dopo la vittoria della rivoluzione di liberazione popolare?Ciascuna regione avrà il diritto di redigere una propria costituzione o altri documenti fondativi, garantendo i diritti sociali, politici, economici, culturali e religiosi di base ai cittadini che vivono nel loro territorio.In aggiunta alla lingue nazionali, ciascuna regione avrà diritto a scegliere lingue regionali da usare nelle sedi culturali, politiche, giuridiche o amministrative.Ciascuna regione avrà il diritto di tracciare il proprio budget sulla base delle tasse imposte sulle attività delle persone fisiche e giuridiche attive sul proprio territorio.
Quali obblighi avranno le regioni dopo la vittoria della rivoluzione di liberazione popolare?Ciascuna regione avrà l’obbligo di mettere da parte parte delle proprie entrate tributarie in un fondo generale anti-crisi da usare in caso di disastri naturali e altre catastrofi.Ciascuna regione sarà obbligata a contribuire con parte delle proprie entrate tributarie ad ottemperare al generale fabbisogno dello stato –per la difesa, per mantenere l’apparato dello stato centrale, per la costruzione delle cose di generale importanza nazionale, per la ricerca scientifica, per mantenere la sanità e l’istruzione e per lo sviluppo infrastrutturale.Ciascuna regione sarà obbligata ad osservare i principi generali dello stato riguardo le relazioni fra capitale e lavoro e le libertà civili e politiche.Ciascuna regione sarà obbligata a mantenere legge e ordine e a difendere i diritti e le libertà dei cittadini all’interno dell’architettura dei principi stabiliti dallo stato.Questi sono i principi base e gli scopi di base della nostra lotta.Crediamo che ogni onesto cittadino e patriota li approverà e sosterrà.Contiamo sulla solidarietà internazionale e il sostegno di tutte le persone che ritengono cari, non solo a parole ma anche nei fatti, gli ideali di eguaglianza e giustizia sociale.Insieme viceremo!Approvato dalla Conferenza della Resistenza di Jalta, 7 luglio 2014.
Через две недели украинские коммунисты окажутся вне закона
Текст: Петр Лихоманов - 24.07.2014
Simonenko, leader del Partito Comunista d'Ucraina, malmenato e spintonato fuori dall'aula dai fascisti di Svoboda, mentre lo speaker del parlamento Turchinov si limita ad invocare la calma dei "gruppi parlamentari" e a riprendere la deputata comunista che protesta contro di lui. Ricordiamo che Petro Simonenko ha 62 anni, e il partito che dirige è stato votato alle ultime elezioni parlamentari da 2 milioni e settecentomila persone.
Questo è l'ennesimo atto di violenza compiuto dai fascisti di Svoboda contro un parlamentare dell'opposizione.
Si tratta degli stessi personaggi che costrinsero alle dimissioni il direttore del primo canale nazionale e che ieri hanno spintonato fuori il deputato di Donetsk Levchenko.
E sono gli stessi figuri vezzeggiati per mesi dai parlamentari europei, tra cui il PD Gianni Pittella.
23/07/2014
da skpkpss.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma
Il 10 luglio, nei pressi di Mosca si è svolto il Plenum del Consiglio dell'Unione dei Partiti Comunisti-PCUS, l'organizzazione che riunisce i partiti comunisti delle repubbliche dell'ex Unione Sovietica. Al termine del dibattito, aperto dalle relazioni dei leader del Partito Comunista di Ucraina, del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova e del Partito Comunista della Federazione Russa, è stata approvata la risoluzione (che contiene un appello alla solidarietà e alla mobilitazione delle forze democratiche e progressiste dei paesi appartenenti alla NATO) di cui proponiamo la nostra traduzione.
“L'aggravamento della situazione politica e i compiti dell'UPC-PCUS nella fase attuale della lotta per l'unità dei popoli fratelli”
Il Consiglio dell'Unione dei Partiti Comunisti-PCUS rileva che l'attuale fase dello sviluppo sociale è caratterizzata dall'aumento della crisi economica e sociale globale, da un'ulteriore crescita della minaccia di una nuova guerra mondiale. Esattamente cento anni dopo la prima guerra imperialista le parole di Vladimir Ilich Lenin secindo cui “politicamente l'imperialismo in generale rappresenta la tendenza alla violenza e alla reazione” ancora una volta ricevono una evidente conferma.
Il cosiddetto “nuovo ordine mondiale”, stabilito dagli USA e dai suoi complici dell'aggressivo blocco della NATO all'inizio degli anni 90 del secolo scorso, oggi si presenta come la dittatura terroristica aperta dei circoli reazionari del capitale oligarchico: il neofascismo. A causa dell'avidità e l'avventurismo dei magnati americani ed europei occidentali l'umanità sta pagando un prezzo terribile: centinaia di migliaia di morti e mutilati, il sangue e innumerevoli sofferenze della gente in Jugoslavia e Afghanistan, Iraq e Libia, Siria e Ucraina.
Il fascismo liberale copre tutti i suoi efferati crimini contro la pace con la demagogia a buon mercato sulla democrazia e i diritti individuali, la tolleranza e la priorità dei “valori umani”. Un particolare, animalesco odio la reazione neofascista manifesta nei confronti dei divisi popoli sovietici, che hanno dimostrato nel XX secolo di rappresentare l'esempio della costruzione di una nuova società, basati sui principi della giustizia sociale, della solidarietà e dell'umanesimo.
Lo scopo dei nuovi “padroni del mondo” è spezzare la volontà e distruggere quegli stati, che sono ancora in grado di resistere alle loro imposizioni. Per la separazione definitiva e l'asservimento delle repubbliche della distrutta Unione Sovietica, per l'isolamento e il definitivo smembramento territoriale della Federazione Russa, i servizi speciali degli USA nel febbraio 2014 hanno provocato un colpo di Stato armato in Ucraina. Con l'aiuto dei loro scagnozzi nazisti hanno diviso il paese, lo hanno sprofondato in un'atmosfera di terrore ed esaltazione sciovinista, hanno organizzato la tragedia della “Khatin di Odessa”, hanno scatenato una guerra fratricida su vasta scala nelle regioni sud-orientali della repubblica.
Il, Consiglio dell'UPC -PCUS invita il Presidente della Federazione Russa a presentare richieste rigorose al Presidente dell'Ucraina Poroshenko riguardanti la cessazione immediata della cosiddetta “operazione antiterrorismo” contro la popolazione civile del Donbass e di Lugansk.
L'oggetto principale della persecuzione e della violenza è il Partito Comunista. L'incendio della sede del Comitato Centrale e dei Comitati delle sue diramazioni regionali, la barbara demolizione dei monumenti a Lenin, la rabbiosa psicosi russofobica, il linciaggio da parte di una folla impazzita del leader dei comunisti di Lvov Rostislav Vasilko, la presentazione alla Rada di un progetto di legge per la proibizione del KPU e dei simboli sovietici, i tentativi di diffamare e dividere il partito dall'interno – tutto ciò è testimonianza del fatto che il neofascismo assume le sue forme estreme, più cannibalesche. Assistiamo al ritorno diretto alla pratica dei carnefici nazisti.
Noi, rappresentanti di 17 partiti comunisti fratelli dell'ex Unione Sovietica, ci rivolgiamo ai dirigenti dei partiti di sinistra dei paesi che fanno parte della NATO, e chiediamo loro di fermare le rappresaglie legislative contro coloro che si battono contro il fascismo risorgente. Ci rivolgiamo alla Federazione Mondiale Democratica delle Donne, alla Federazione Sindacale Mondiale, alla Federazione Mondiale della Gioventù Democratica, a tutte le forze antifasciste, di liberazione nazionale, di sinistra, socialiste, democratiche e progressiste con un appello a fermare la nuova offensiva della piaga bruna, foriera della catastrofe militare mondiale. In un fronte unito noi dobbiamo combattere l'ulteriore rafforzamento della NATO, impedire la più sfacciata interferenza dell'Occidente negli affari interni dell'Ucraina e degli altri paesi, mettere fine alla riabilitazione strisciante dei criminali nazisti e dei loro complici, sventare i tentativi anticostituzionali di proibire l'attività del Partito Comunista di Ucraina. Noi stiamo dando inizio alla campagna internazionale di solidarietà “No alla guerra e al fascismo in Ucraina!”.
Tutte le malefatte del neofascismo contro il popolo dell'Ucraina e gli altri popoli del mondo sono solo la prova dell'impotenza della reazione imperialista davanti alle leggi della storia. Gli USA hanno già soffocato l'umanità con la loro aggressione globale. Calpestando tutti i principi e le norme del diritto internazionale, scatenando costantemente il caos in tutti gli angoli del pianeta, si stanno avviando in un vicolo cieco militare-politico ed economico, da cui non saranno in condizione di uscire. Ecco perché riteniamo il modello imperialista di gestione del mondo impresentabile e condannato alla inevitabile rovina.
Il significato dell'iniziativa dei partiti fratelli dell'UPC-PCUS risiede nel fare tutto il possibile per accelerare la realizzazione di questo compito storico. Raggiungere l'obiettivo è possibile solo attraverso la combinazione delle concezioni scientifiche marxiste-leniniste con la pratica rivoluzionaria delle masse nei propri paesi. Il Consiglio dell'UPC-PCUS ribadisce la propria fedeltà alla parola d'ordine “La Nuova Unione è l'unico modo per salvare i popoli fratelli!”, La fuoruscita dei nostri stati dal pantano mortale, la garanzia della loro sovranità e della reale indipendenza nel contesto internazionale per noi si trova solo nel rafforzamento dell'integrazione. Già oggi nel quadro dell'Unione Doganale e nello Spazio Economico Comune di Russia, Bielorussia e Kazakistan sono presenti i requisiti per l'utilizzo di nuovi e inediti meccanismi politici ed economici.
Ma noi comunisti dobbiamo andare ancora oltre. Noi ci pronunciamo per un ampio movimento unificante di tutti, senza eccezione, i popoli dell'ex URSS. L'Unione dei Partiti Comunisti si opporrà nel modo più risoluto a tutte le azioni volte a minare la solidarietà internazionale, ad attizzare la discordia tra le nostre file, a promuovere il settarismo e il nazionalismo più esasperato. Non abbandoneremo i nostri compagni che sono incatenati nelle prigioni e perseguitati per le loro convinzioni politiche.
La nostra forza è l'unità! Il fascismo non passerà!
Perché vogliono vietare il Partito Comunista d'Ucraina?
Nei giorni scorsi, le autorità golpiste hanno portato in tribunale i risultati dell'inchiesta ordinata ufficialmente al Ministero della Giustizia dall'allora presidente ad interim Turchinov. Ufficialmente è dunque iniziato il processo per la messa al bando del Partito.
Già quest'anno vi erano state varie proposte di legge per vietare le attività del PCU e per scioglierne il gruppo parlamentare. L'intervento diretto di Turchinov è stato necessario alla giunta dopo che Simonenko (leader del PCU) ha ritirato la propria candidatura alle presidenziali, in diretta TV, denunciando i crimini della giunta nel Donbass come nel resto del paese (all'uscita dalla rete televisiva, scampò miracolosamente ad un attentato).
Simonenko ha denunciato la strage di Mariupol e le altre atrocità commesse dai nazifascisti ucraini alla riunione dei capigruppo e ad una seduta del Parlamento - eventi trasmessi in diretta. Proprio durante quest'ultimo intervento, Turchinov ha interrotto il leader comunista annunciando la sua iniziativa di voler chiedere personalmente l'avvio dell'inchiesta.
Inviamo la nostra solidarietà ai compagni ucraini, ci auguriamo che il PCU non sia messo al bando e che, ad essere messa al bando, sia invece la criminale giunta che governa l'Ucraina.
Nel sito Marx21.it potete trovare molto materiale del PCU e sulle attività di questo partito.
Traduzione dal russo di Mauro Gemma
In conseguenza del cambio di potere nel paese, così come delle operazioni militari nel Donbass, gli ucraini sono sempre più preoccupati per la quantità di gravi problemi economico-sociali che devono affrontare. Così nel paese è cresciuto il divario tra i salari, le pensioni, gli stipendi e i prezzi dei prodotti alimentari e le tariffe per i servizi. Gli ucraini si sentono sempre più insicuri e incerti sul proprio futuro. Allo stesso tempo, il Parlamento non sembra avere alcuna fretta di di esaminare e adottare il pacchetto di misure anti-crisi, composto di 150 proposte di legge di carattere sociale, proposto dal Partito Comunista di Ucraina (KPU). Inoltre, alla vigilia delle elezioni per la Rada Suprema, annunciate dal presidente Petro Poroshenko per il prossimo autunno, le autorità stanno cercando di vietare l'attività delle forze politiche, che difendono gli interessi dei cittadini. Su come uscire dalla crisi sociale e sul perché il potere combatte il KPU, GolosUa (link: http://ru.golos.ua/politika/14_07_10_psimonenko_pyitayas_zapretit_kpu_vlast_cherez_podkontrolnuyu_sudebnuyu_vetv) ha intervistato il leader del Partito Comunista di Ucraina, Petro Simonenko.
- Piotr Nikolaevich, perché mentre sul territorio dell'Ucraina si svolgono azioni militari, il potere intraprende iniziative per proibire il Partito Comunista?
- E' evidente che, di giorno in giorno, la situazione in Ucraina si inasprisce e assume una dimensione catastrofica. Continua una guerra terribile, che provoca un massiccio spargimento di sangue, distrugge villaggi e città, annienta le imprese industriali. Già oggi registriamo più di 500.000 rifugiati, la maggioranza dei quali è costituita da giovani che lavorano. In Ucraina la produzione è in drastico calo, così come le entrate di bilancio.
Grazie ai nuovi protocolli firmati con il FMI, crescono gli obblighi del paese nei confronti dell'Europa. Questo porta a un enorme aumento dei prezzi e delle tariffe.
Cercano di vietare il KPU, perché noi diciamo la verità al popolo. Il partito ha dichiarato con chiarezza che il Majdan non ha raggiunto i suoi scopi, ma che è stato manipolato da coloro che, al posto di una squadra di oligarchi ne hanno portato al potere un'altra. E il fatto che ai vertici siano arrivati dei miliardari è un'altra prova di come stanno le cose. Il Majdan non ha risolto i problemi della corruzione, dell'arbitrio e dell'illegalità, che continuano a prosperare e a rafforzarsi nella nostra esistenza. A dirigere ora ci sono padrini e miliardari.
Così, sul Majdan dicevano: “via la Banda!”. Gli oligarchi della banda di Yanukovich si sarebbero dovuti rimuovere per essere sostituiti da rappresentanti del popolo. Ma al potere si trovano di nuovo gli oligarchi, che hanno preso con loro come complici gli appartenenti alla stessa banda che si voleva espellere sul Majdan.
Così, 70 uomini del gruppo parlamentare del Partito delle Regioni ora sono al servizio degli interessi del nuovo potere. Ciò dà ragione di credere che l'attuale regime, formato da oligarchi, che si porta appresso come complici nazionalisti filo-fascisti, si sia insediato alla fine come regime nazional -fascista. Stanno conducendo una lotta contro il dissenso, cercando di vietare al Partito Comunista di esprimere il proprio punto di vista. E' imposto il terrore fisico e morale allo scopo di intimidire i comunisti. La libertà di parola è solo declamata, mentre a molti giornali è imposta la più rigida censura ed i giornalisti subiscono pressioni. A passi accelerati l'Ucraina si sta avviando verso la dittatura.
E nel momento in cui l'Ucraina è investita da una grave tragedia, il KPU ha assunto una ferma posizione di principio in merito a tutte quante le minacce alla sicurezza del paese.
- Quali misure propone il Partito Comunista per uscire dalla situazione di crisi che si è manifestata in Ucraina?
- Primo: il Partito Comunista difende l'integrità territoriale del paese, comprendendo che la guerra, in cui l'ucraino uccide un altro ucraino, rappresenta una tragedia per l'intero popolo del nostro paese. Per questo insistiamo sulla cessazione delle attività militari.
Secondo: allo scopo di preservare l'integrità territoriale ed escludere fenomeni centrifughi, insistiamo sulla ripresa dei negoziati.
In terzo luogo, insistiamo sul fatto che siano prese misure per la difesa degli interessi degli ucraini. Stiamo parlando del pacchetto di 150 progetti di legge, presentati dal KPU in parlamento. In particolare, si tratta del ritorno alla proprietà statale dei settori di base dell'industria e delle imprese più grandi. Chiediamo anche di cancellare l'imposta sul valore aggiunto e di sostituirla con un'imposta sulle vendite. Inoltre, il Partito Comunista insiste sulla necessità di assumere decisioni riguardanti il sistema bancario, attraverso la concessione di crediti al 3-5% a chi realmente produce in Ucraina.
Il Partito intende tutelare lo spazio economico per i produttori ucraini, perché oggi il 70-80% del mercato ucraino è rappresentato da prodotti di fabbricazione straniera. Ciò significa che il produttore ucraino non è in grado di vendere da nessuna parte la propria produzione, che non riesce a fare ingresso in altri mercati che tengano conto degli standard e delle esigenze occidentali in fatto di produzione. Il Partito Comunista esige la tutela dei diritti sociali dei cittadini e un adeguamento di salari, pensioni e stipendi al livello dei prezzi.
Siamo indignati per l'ultima legge che consente la privatizzazione da parte dell'Europa e dell'America delle vie ucraine di trasporto del gas e che, di fatto, esclude il loro utilizzo per gli interessi nazionali. Così, abbiamo suggerito le misure necessarie al superamento della crisi e la risoluzione di molti problemi sociali.
- Le azioni del governo tese a vietare determinate forze politiche in Ucraina non sono forse legate alle imminenti elezioni parlamentari?
- In tali circostanze il governo sta cercando attraverso la rete giudiziaria sotto il suo controllo di privare i cittadini dell'Ucraina dei loro difensori politici in parlamento, per fare in modo che nessuno difenda più gli interessi dei semplici lavoratori e che nel potere sia rappresentato unicamente il grande capitale, che sostiene l'attuale regime.
- Petr Nikolaevich, già nel 1991 ci fu il tentativo di proibire l'attività del KPU. Per quale motivo?
- Allora cercarono di incolpare il Partito Comunista di Ucraina di una sua partecipazione al GKCP, il Comitato Statale per lo Stato di Emergenza (che assunse il potere nell'agosto 1991 con un colpo di mano che ebbe l'effetto di spianare la strada al trionfo del movimento controrivoluzionario guidato da Boris Eltsin, con la conseguente immediata messa fuori legge del Partito Comunista, ndt). In tal modo, una ristretta cerchia di persone – i 20 del Presidium della Rada Suprema – in flagrante violazione della legge, senza l'approvazione della sessione plenaria, prese la decisione di proibire l'attività del Partito Comunista. Dopo 10 anni la Corte Costituzionale dell'Ucraina ha stabilito che si è trattato di una decisione arbitraria. Perché il KPU non aveva nessun rapporto con il GKCP.
Ma la gente arrivata al potere oggi vuole usare il clima di psicosi collettiva, creato da mezzi di informazioni posti sotto controllo, e scaricare tutta la responsabilità dello sviluppo degli avvenimenti in Ucraina sulle spalle del Partito Comunista. Però, il popolo dell'Ucraina prima o poi dovrà ricevere risposte a tutte le sue domande: chi ha dato l'ordine di iniziare la guerra, di massacrare persone a Odessa... Condizionati dal terrore molti cittadini dell'Ucraina non comprendono cosa sta succedendo.
- Quali misure sta prendendo il KPU in difesa dei propri diritti? Vi siete rivolti alle organizzazioni europee per i diritti umani?
- Su questo sta già lavorando un gruppo di avvocati. In generale, siamo pienamente in grado di affrontare il processo in corso. Ma comprendiamo benissimo con quale sede di giudizio abbiamo a che fare e come potrebbe sentenziare. Gli interessi del partito saranno difesi anche da rappresentanti degli stati europei. Naturalmente, ci appelleremo alla Corte Europea per i diritti dell'uomo, poiché in caso di proibizione del KPU verrebbe gravemente violato il diritto dell'uomo all'attività politica.
- Il partito può contare sul sostegno delle sinistre europee, che hanno condannato l'iniziativa delle autorità ucraine in merito alla proibizione del KPU?
- Speriamo in un sostegno delle sinistre europee nel Parlamento del Consiglio d'Europa. Il KPU conta sull'appoggio della parte progressista dell'Europa, che è anche preoccupata dell'arrivo al potere di organizzazioni filo-fasciste. I deputati del Parlamento Europeo esprimono queste posizioni anche nei parlamenti nazionali.
Ricordate l'intervento di uno dei deputati del Bundestag che ha indirizzato obiezioni e critiche alla signora Merkel. Il deputato ha dichiarato che la Germania non deve ripetere gli errori compiuti negli anni 40, quando venne scatenata la Seconda Guerra Mondiale e dilagò il fascismo, portando tanto dolore. E il 27 febbraio il Consiglio d'Europa è intervenuto ufficialmente contro il tentativo di vietare il KPU e di proibire la sua attività. Questa posizione è stata fissata in una risoluzione del Consiglio d 'Europa.
- In che modo il KPU collabora con le sinistre europee?
- Vi è un continuo scambio di opinioni, un dialogo, indirizzato a risolvere i problemi. L'ambito di cooperazione è ampio, ad iniziare dalla partecipazione ad iniziative tematiche. Così, abbiamo preso parte ad una di queste iniziative a Bruxelles il 6-7 giugno, in cui è intervenuto il deputato del KPU Serghey Gordenko. Inoltre, Olga Vladimirovna Levchenko il 28-29 giugno ha partecipato ad iniziative a Dortmund e a Bruxelles.
Gli avvocati europei difenderanno il Partito Comunista di Ucraina dalle minacce di scioglimento
NAPOLITANO LI ASPETTA TUTTI A LAMPEDUSA A BRACCIA APERTE
Tredicesimo giorno di conflitto nella Striscia di Gaza, sale il numero delle vittime e quello degli sfollati mentre l’offensiva via terra dei militari israeliani si intensifica. Secondo l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi, il numero degli sfollati a Gaza in queste ore è salito a oltre 62 mila. Gli sfollati, spiega l’agenzia, sono stati accolti in circa 50 scuole, ma servono cibo e beni di prima necessità. Cresce intanto il numero delle vittime che ad oggi supera quota 350, quasi tutti palestinesi e per l’80 per cento civili, mentre i feriti sono circa 2.400. Circa 1.600, invece, i razzi lanciati da Gaza su Israele dall’inizio delle ostilità, secondo quanto affermato da fonti israeliane. Oggi, intanto, il presidente palestinese, Abu Mazen sarà in Qatar, a Doha, per cercare di trovare i termini di una tregua con il capo di Hamas in esilio, Khaled Meshaal.
Rispettare l’obbligo legale e morale di proteggere i civili. Dopo l’appello di Amnesty International alla comunità internazionale affinché nella Striscia di Gaza si faccia di tutto per proteggere i civili, è l’Unicef a richiamare l’attenzione su un conflitto che ad oggi è costato la vita a 59 bambini, mentre altri 500 sono stati feriti a Gaza e 4 in Israele. Secondo l’Unicef, però, sono sotto attacco anche i servizi di base per i bambini. “Le fatiscenti infrastrutture idriche e igienico-sanitarie di Gaza hanno subito danni – spiega l’organizzazione in una nota -, aumentando il rischio di malattie di origine idrica. Circa la metà del pompaggio dei liquami e dei sistemi di trattamento delle acque di scarico non sono più funzionanti, e circa 900.000 persone sono senza acqua corrente”. Oltre 1.780 le famiglie che hanno visto le loro case distrutte o gravemente danneggiate a Gaza e decine di migliaia sono sfollate, molte delle quali si sono rifugiate nelle scuole. Oltre 80 scuole sono state danneggiate dai bombardamenti. “L’Unicef ed i suoi partner stanno procurando farmaci pediatrici essenziali per gli ospedali e le strutture sanitarie – spiega l’organizzazione -. Spot radiofonici avvertono i bambini e le loro famiglie dei pericoli degli ordigni inesplosi”.
Gaza è parte dello scatenamento del disordine mondiale. Aggiungiamo il 'Califfato' del Levante. Aggiungiamo la crisi ucraina. Vediamo l'insieme
L’altra sera ho assistito a ‘1984’ di George Orwell messo in scena sul palcoscenico di Londra. Pur reclamando a gran voce un’interpretazione contemporanea, l’avvertimento di Orwell circa il futuro è stato presentato come un’opera d’epoca: remota, non minacciosa, quasi rassicurante. E’ stato come se Edward Snowden non avesse rivelato nulla, il Grande Fratello non è oggi uno spione digitale e lo stesso Orwell non ha mai detto: “Per essere corrotti dal totalitarismo non occorre vivere in un paese totalitario”.
Acclamata dai critici, l’abile produzione è stata una misura del nostro tempo, culturale e politico. Quando si sono accese le luci, la gente stava già uscendo. Il pubblico sembrava indifferente, o forse altre distrazioni lo reclamavano. “Che incasinamento!” ha detto una giovane, accendendo il suo telefonino.
Con la depoliticizzazione delle società avanzate, i cambiamenti siano sia sottili sia spettacolari. Nei discorsi quotidiani, il linguaggio politico è capovolto, come profetizzava Orwell in ‘1984’. “Democrazia” è oggi un artificio retorico. Pace è “guerra perpetua”. “Globale” è imperiale. Il concetto un tempo positivo di “riforma” oggi significa regressione, persino distruzione. “Austerità” è l’imposizione di capitalismo estremo ai poveri e regalo del socialismo ai ricchi; un sistema creativo nell’ambito del quale la maggioranza rimborsa i debiti dei pochi.
Nelle arti l’ostilità alla sincerità politica è un articolo di fede borghese. “Il periodo rosso di Picasso”, dice un titolo dell’Observer, “ è perché la politica non produce buona arte.” Considerate questo in un giornale che ha promosso il bagno di sangue in Iraq come una crociata liberale. L’opposizione di Picasso al fascismo per tutta la vita è una nota in calce proprio come il radicalismo di Orwell è svanito dal premio che si è appropriato del suo nome.
Alcuni anni fa Terry Eagleton, allora professore di letteratura inglese alla Manchester University, ha reputato che “per la prima volta in due secoli non c’è alcun eminente poeta, commediografo o romanziere inglese pronto a mettere in discussione le fondamenta dello stile di vita occidentale”. Nessuno Shelley parla per i poveri, nessun Blake per i sogni utopistici, nessun Byron danna la corruzione della classe al potere, nessun Thomas Carlyle e John Ruskin rivela il disastro morale del capitalismo. William Morris, Oscar Wilde, HG Wells, George Bernard Shaw non hanno equivalenti oggi. Harold Pinter è stato l’ultimo a far sentire la propria voce. Tra le insistenti voci del femminismo consumistico nessuna echeggia Virginia Woolf che descrisse “le arti del dominare altre persone … del governare, dell’uccidere, dell’acquistare terra e capitale”.
Al National Theatre una nuova commedia, Gran Bretagna, mette alla berlina lo scandalo delle intercettazioni telefoniche che ha visto giornalisti processati e condannati, tra cui l’ex direttore di News of the World di Rupert Murdoch. Descritta come “una farsa con le zanne [che] mette sul banco degli imputati l’intera cultura incestuosa [dei media] e la sottopone a un impietoso ridicolo”, i bersagli della commedia sono i personaggi “beatamente buffi” della stampa scandalistica britannica. Va bene ed è giusto, e così familiare. Ma che dire dei media non scandalistici che si considerano rispettabili e credibili e tuttavia assolvono un ruolo parallelo come braccio del potere dello stato e dell’industria, come nel caso della promozione di una guerra illegale?
L’inchiesta Leveson sulle intercettazioni telefoniche ha gettato uno sguardo su questo innominabile. Tony Blair stava testimoniando, lamentandosi con Sua Signoria per le molestie dei tabloid a sua moglie, quando è stato interrotto da una voce dalla galleria del pubblico. David Lawley-Wakelin, un regista, ha chiesto l’arresto e l’incriminazione di Blair per crimini di guerra. C’è stata una lunga pausa: il trauma della verità. Lord Leveson è balzato in piedi e ha ordinato l’allontanamento di chi diceva la verità, scusandosi con il criminale di guerra. Lawley-Wakelin è stato incriminato. Blair se n’è andato libero.
I persistenti complici di Blair sono più rispettabili dei pirati telefonici. Quando la conduttrice artistica della BBC Kirsty Wark lo ha intervistato nel decimo anniversario dell’invasione dell’Iraq, gli ha regalato un momento che avrebbe potuto solo sognare; gli ha permesso di angosciarsi per la sua “difficile” decisione sull’Iraq, anziché chiamarlo a rispondere del suo crimine epocale. Ciò ha rievocato la processione di giornalisti della BBC che nel 2003 hanno dichiarato che Blair poteva sentirsi “scagionato” e la successiva serie “di successo” della BBC, Gli anni di Blair, per la quale è stato scelto come sceneggiatore, conduttore e intervistatore David Aaronovitch. Da valletto di Murdoch che aveva fatto campagna per gli attacchi militari contro l’Iraq, la Libia e la Siria, Aaronovitch è stato abilmente servile.
Dopo l’invasione dell’Iraq – esemplare di un’azione di aggressione non provocata che il giudice di Norimberga Robert Jackson definì “il crimine internazionale supremo, diverso dagli altri crimini di guerra per il fatto in concentrare in sé il male totale di tutti” – Blair e il suo portavoce e principale complice, Alastair Campbell, hanno avuto generoso spazio sul Guardian per riabilitare le proprie reputazioni. Descritto come una “stella” del Partito Laburista, Campbell ha cercato la simpatia dei lettori per la sua depressione e ha messo in mostra i suoi interessi, anche se non l’attuale incarico di consigliere, con Blair, della tirannia militare egiziana.
Mentre l’Iraq è smembrato in conseguenza dell’invasione di Blair/Bush, un titolo del Guardian dichiara: “Rovesciare Saddam è stato giusto, ma ci siamo ritirati troppo presto”. L’affermazione ha trovato riscontro in un articolo di spicco del 13 giugno di un ex funzionario di Blair, John McTernan, che ha anche servito il dittatore installato dalla CIA in Iraq, Iyad Allawi. Nel sollecitare una nuova invasione di un paese che il suo ex padrone ha contribuito a distruggere, egli non ha fatto alcuna menzione degli almeno 700.000 morti, della fuga di quattro milioni di profughi e del caos settario in una nazione un tempo orgogliosa della sua tolleranza comunitaria.
“Blair incarna la corruzione e la guerra”, ha scritto l’opinionista radicale del Guardian Seumas Milne in un appassionato pezzo del 3 luglio. Nel mestiere questo è noto come “bilanciamento”. Il giorno dopo il giornale ha pubblicato un’inserzione pubblicitaria a piena pagina di un bombardiere invisibile statunitense. Su un’immagine minacciosa del bombardiere c’erano le parole: “F-35. GRANDIOSO per la Gran Bretagna”. Quest’altra incarnazione della “corruzione e guerra” costerà ai contribuenti britannici 1,3 miliardi di sterline, con i predecessori del modello F che hanno macellato gente in tutto il mondo sviluppato.
In un villaggio dell’Afghanistan, abitato dai più poveri dei poveri, ho filmato Orifa, inginocchiato presso le tombe di suo marito, Gul Ahmed, un tessitore di tappeti, di sette altri membri della sua famiglia, tra cui sei bambini, e di due bambini uccisi nella casa vicina. Una bomba “di precisione” da 500 libbre è caduta direttamente sulla sua casetta di fango, pietra e paglia, lasciando un cratere largo 15 metri. La Lockheed Martin, produttrice dell’aereo, è stata orgogliosa del proprio posto nella pubblicità del Guardian.
L’ex Segretario di Stato USA e aspirante alla presidenza Hillary Clinton ha recentemente partecipato all’”Ora delle donne” della BBC, la quintessenza della rispettabilità mediatica. La conduttrice, Jenni Murray, ha presentato la Clinton come un simbolo della realizzazione femminile. Non ha ricordato ai suoi ascoltatori l’oscenità della Clinton che l’Afghanistan è stato invaso per “liberare” donne come Orifa. Non ha chiesto nulla alla Clinton a proposito della campagna terroristica della sua amministrazione con l’uso di droni per uccidere donne, uomini e bambini. Non c’è stata alcuna menzione della minaccia sprecata della Clinton, durante la sua campagna per la prima presidenza femminile, di “eliminare” l’Iran e nulla a proposito del suo appoggio alla sorveglianza illegale di masse e al perseguimento dei denunciatori dall’interno.
La Murray ha effettivamente posto una domanda imbarazzante. La Clinton aveva perdonato Monica Lewinsky per aver avuto una storia con suo marito? “Il perdono è una scelta”, ha detto la Clinton, “per me è stata assolutamente la scelta giusta”. Ciò ha ricordato gli anni ’90 e gli anni dedicati allo “scandalo” Lewinsky. Il presidente Bill Clinton stava allora invadendo Haiti e bombardando i Balcani, l’Africa e l’Iraq. Stava anche distruggendo le vite di bambini iracheni; l’Unicef ha riferito la morte di mezzo milione di bambini iracheni sotto i cinque anni in conseguenza dell’embargo guidato dagli USA e dalla Gran Bretagna.
I bambini erano mediaticamente non-persone, proprio come le vittime di Hillary Clinton nelle invasioni da lei appoggiate e promosse – Afghanistan, Iraq, Yemen, Somali – sono mediaticamente non-persone. La Murray non ha fatto alcun accenno a loro. Una sua fotografia con la sua distinta ospite, raggianti, compare sul sito della BBC.
In politica come nel giornalismo e nelle arti sembra che il dissenso un tempo tollerato nell’opinione corrente sia regredito a dissidenza: una metaforica clandestinità. Quando ho iniziato la mia carriera nella britannica Fleet Street negli anni ’60, era accettabile criticare la potenza occidentale come forza rapace. Leggete i celebrati articoli di James Cameron sull’esplosione della bomba all’idrogeno nell’atollo di Bikini, sulla barbara guerra di Corea e sui bombardamenti statunitensi del Vietnam del Nord. La grandiosa illusione odierna è di un’era dell’informazione quando, in realtà, viviamo in un’età mediatica in cui l’incessante propaganda dell’industria è insidiosa, contagiosa, efficace e liberale.
Nel suo saggio del 1859 ‘Sulla libertà’, al quale i liberali moderni rendono omaggio, John Stuart Mill scrisse: “Il dispotismo è una forma legittima di governo nel trattare con barbari, a condizione che il fine sia il loro miglioramento e i mezzi giustificati dall’effettivo conseguimento di tale fine”. I “barbari” I “barbari” erano vasti segmenti dell’umanità cui era prescritta l’”implicita obbedienza”. “E’ un mito bello e conveniente che i liberali siano pacificatori e i conservatori siano guerrafondai”, ha scritto nel 2001 lo storico Hywel Williams, “ma l’imperialismo della via liberale può essere più pericoloso a causa della sua natura illimitata, la sua convinzione di rappresentare una forma di vita superiore”. Egli aveva in mente un discorso di Blair in cui l’allora primo ministro prometteva di “riordinare il mondo attorno a noi” sulla base dei suoi “valori morali”.
Richard Falk, la rispettata autorità in tema di legge internazionale e Speciale Relatore dell’ONU sulla Palestina, ha descritto una volta “uno schermo farisaico morale-legale a senso unico [di] immagini positive di valori e innocenza occidentali presentato e minacciato a convalida di una campagna di smodata violenza politica”. E’ “accettato così diffusamente da essere virtualmente incontestabile”.
Carriera e appoggio ricompensano i guardiani. A Radio 4 della BBC Razia Iqbal ha intervistato Toni Morrison, la Premio Nobel afroamericana. La Morrisono si è chiesta perché la gente era “così arrabbiata” con Barack Obama che era “fantastico” e desiderava costruire un’ “economia e un’assistenza sanitaria forti”. La Morrison era orgogliosa di aver parlato al telefono con il suo eroe, che aveva letto uno dei suoi libri e l’aveva invitata al suo insediamento.
Né lei né la sua intervistatrice hanno citato le sette guerre di Obama, inclusa la sua campagna terroristica con i droni, in cui intere famiglie, i loro soccorritori e le loro persone in lutto sono state assassinate. Quello che è sembrato contare è stato che un uomo di colore “dal linguaggio elegante” è salito alle vette di comando del potere. In ‘Dannati della terra’ Frantz Fanon scrisse che la “missione storica” dei colonizzati consisteva nel fare da “linea di trasmissione” per quelli che dominavano e opprimevano. Nell’era moderna è visto oggi come essenziale l’impiego della differenza etnica nei sistemi di potere e propaganda occidentali. Obama incarna questo, anche se il gabinetto di George W. Bush – la sua cricca guerrafondaia – è stato il più multirazziale della storia presidenziale.
Mentre cadeva in mano agli jihadisti dell’ISIS la città irachena di Mosul, Obama diceva: “Il popolo statunitense ha fatto enormi investimenti e sacrifici al fine di dare agli iracheni l’occasione di disegnarsi un destino migliore”. Quando “fantastica” è tale bugia? Quanto “elegantemente formulato” è stato il discorso di Obama il 28 maggio all’accademia militare di West Point? Tenendo il suo discorso sullo “stato del mondo” alla cerimonia di laurea di quelli che “assumeranno la guida statunitense” in tutto il mondo, Obama ha affermato: “Gli Stati Uniti useranno la forza militare, unilateralmente se necessario, quando i nostri interessi centrali lo richiederanno. L’opinione internazionale conta, ma gli Stati Uniti non chiederanno mai il permesso …”
Nel ripudiare la legge internazionale e i diritti di nazioni indipendenti, il presidente statunitense pretende una divinità basata sulla potenza della sua “nazione indispensabile”. E’ un familiare messaggio di impunità imperiale, anche se sempre stimolante da ascoltare. Evocando l’ascesa del fascismo negli anni ’30 Obama ha detto: “Credo nell’eccezionalismo statunitense con ogni fibra del mio essere”. Lo storico Norman Pollack ha scritto: “Al posto del passo dell’oca mettere l’apparentemente più innocua militarizzazione della cultura totale. E al posto del leader ampolloso abbiamo il riformatore mancato, spensieratamente all’opera per pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo tutto il tempo”.
In febbraio gli USA hanno montato uno dei loro colpi di stato “colorati” contro il governo eletto in Ucraina, sfruttando proteste genuine contro la corruzione di Kiev. Il Vicesegretario di Stato di Obama, Victoria Nuland, ha scelto personalmente il leader di un “governo provvisorio”. Gli ha attribuito il nomignolo di “Yats”. Il Vicepresidente Joe Biden si è recato a Kiev, così come il direttore della CIA John Brennan. Le truppe d’assalto del loro colpo di stato sono state fascisti ucraini.
Per la prima volta dal 1945 un partito neonazista, apertamente antisemita, controlla aree chiave del potere statale in una capitale europea. Nessun leader europeo occidentale ha condannato questa rinascita del fascismo nella zona di confine attraverso la quale i nazisti invasori di Hitler tolsero la vita a milioni di russi. Erano appoggiati dall’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA), responsabile del massacro di ebrei e di russi che chiamavano “insetti parassiti”. L’UPA è l’ispiratore storico dell’odierno Partito Svoboda e del suo compagno di viaggio Settore Destro. Il leader di Svoboda, Oleh Tyahnybok ha sollecitato una pura della “mafia moscovito-ebraica” e di “altra feccia”, tra cui omosessuali, femministe e sinistra politica.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica gli Stati Uniti hanno circondato la Russia di basi militari, aerei e missili nucleari come parte del Progetto di Allargamento della NATO. Rinnegando una promessa fatto al presidente sovietico Mikhail Gorbaciov nel 1990 che la NATO non si sarebbe allargata di “un centimetro a est”, la NATO ha, in effetti, occupato l’Europa orientale. Nell’ex Caucaso sovietico l’espansione della NATO è il massimo crescendo militare dopo la seconda guerra mondiale.
Un Piano d’Azione d’Adesione alla NATO è il dono di Washington al regime golpista di Kiev. In agosto l’”Operazione Tridente Rapido” porterà truppe statunitense e britanniche sul confine russo dell’Ucraina e l’operazione “Brezza Marina” invierà navi da guerra statunitensi in vista dei porti russi. Si immagini la reazione se questi atti di provocazione, o intimidazione, fossero attuati ai confini degli Stati Uniti.
Nel reclamare la Crimea – che Nikita Krusciov distaccò illegalmente dalla Russia nel 1954 – i russi hanno difeso sé stessi, come hanno fatto per quasi un secolo. Più del 90 per cento della popolazione della Crimea ha votato per il ritorno del territorio alla Russia. La Crimea è sede della Flotta del Mar Nero e la sua perdita sarebbe una questione di vita o di morte per la marina russa e una vittoria per la NATO. Confondendo le parti in guerra a Washington e Kiev, Vladimir Putin ha ritirato le truppe dal confine ucraino e ha sollecitato i russi etnici dell’Ucraina orientale a rinunciare al separatismo.
In stile orwelliano ciò è stato ribaltato in occidente come una “minaccia russa”. Hillary Clinton ha paragonato Putin a Hitler. Senza ironia, commentatori tedeschi di destra hanno detto la stessa cosa. Nei media i neonazisti ucraini sono ridefiniti “nazionalisti” o “ultranazionalisti”. Ciò che temono è che Putin stia abilmente ricercando una soluzione diplomatica e possa riuscirci. Il 27 giugno, reagendo all’ultimo accomodamento di Putin – la sua richiesta al parlamento russo di revocare la legge che gli dava il potere di intervenire nell’interesse dei russi etnici dell’Ucraina – il Segretario di Stato John Kerry ha diffuso un altro dei suoi ultimatum. La Russia deve “agire nel giro delle prossime ore, letteralmente” per por fine alla rivolta nell’Ucraina orientale. Nonostante che Kerry sia diffusamente riconosciuto come un pagliaccio, lo scopo serio di questi “avvertimenti” sta nel conferire alla Russia uno status di paria e nel cancellare le notizie della guerra del regime di Kiev contro il suo stesso popolo.
Un terzo della popolazione dell’Ucraina è russofono e bilingue. Ha ricercato a lungo una federazione democratica che riflettesse la diversità etnica dell’Ucraina e fosse sia autonoma sia indipendente da Mosca. Per la maggior parte non si tratta di “separatisti” o “ribelli”, bensì di cittadini che vogliono vivere sicuri nel proprio paese. Il separatismo è una reazione agli attacchi della giunta di Kiev contro di loro, che ha forzato fino a 110.000 persone (stima dell’ONU) a fuggire in Russia attraversando il confine. Normalmente si tratta di donne e bambini traumatizzati.
Come i bambini dell’Iraq sottoposti a embargo e le donne e le ragazze dell’Afghanistan “liberate”, terrorizzate dai signori della guerra della CIA, questi cittadini etnici dell’Ucraina sono mediaticamente non-persone in occidente; le loro sofferenze e le atrocità commesse contro di loro sono minimizzate o cancellate. Nessuna sensazione della portata dell’assalto del regime è trasmessa di media occidentali convenzionali. Non è che manchino i precedenti. Leggendo nuovamente il magistrale ‘The First Casualty: the war correspondent as hero, propagandist and mythmaker’ [La prima vittima: il corrispondente di guerra come eroe, propagandista e costruttore di miti] di Phillip Knightley, ho rinnovato la mia ammirazione per Morgan Philips Price del Manchester Guardian, il solo giornalista occidentale rimasto in Russia durante la rivoluzione del 1917 a raccontare la verità sulla disastrosa invasione degli alleati occidentali. Imparziale e coraggioso, Philips Price turbò da solo quello che Knightley definisce un “oscuro silenzio” antirusso in occidente.
Il 2 maggio a Odessa 41 russi etnici sono stati bruciati vivi negli uffici della direzione del sindacato con la polizia che è rimasta a guardare. Esiste un’orrenda documentazione video. Il leader del Settore Destro, Dmytro Yarosh, ha salutato il massacro come “un altro giorno luminoso della nostra storia nazionale”. Dai media statunitensi e britannici è stato riferito come una “oscura tragedia”, conseguenza di “scontri” tra “nazionalisti” (neonazisti) e “separatisti” (persone che raccoglievano firme per un referendum su un’Ucraina federale). IlNew York Times ha insabbiato la cosa, avendo scartato come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi vassalli di Washington. Il Wall Street Journal ha condannato le vittime: “Mortale incendio in Ucraina probabilmente innescato dai ribelli, dice il governo”. Obama si è congratulato con la giunta per la sua “moderazione”.
Il 28 giugno il Guardian ha dedicato la maggior parte di una pagina a dichiarazione del “presidente” del regime di Kiev, l’oligarca Petro Poroshenko. Di nuovo ha operato la regola di Orwell dell’inversione. Non c’è stato alcun colpo di stato; nessuna guerra contro la minoranza dell’Ucraina; i russi hanno avuto la colpa di tutto. “Vogliamo modernizzare il mio paese”, ha detto Poroshenko. “Vogliamo introdurre libertà, democrazia e valori europei. A qualcuno questo non piace. A qualcuno noi per questo non piacciamo.”
In questo suo articolo il giornalista del Guardian, Luke Harding, non ha contestato queste affermazioni o citato l’atrocità di Odessa, gli attacchi aerei e di artiglieria del regime su aree residenziali, l’uccisione e il sequestro di giornalisti, le bombe incendiarie contro un giornale d’opposizione e la sua minaccia di “liberare l’Ucraina dalla sporcizia e dai parassiti”. I nemici sono “ribelli”, “militanti”, “insorti”, “terroristi” e fantocci del Cremlino. Sono evocati dalla storia i fantasmi di Vietnam, Cile, Timor Est, Africa meridionale, Iraq: si notino le stesse etichette. La Palestina è la calamita di tutto questo monotono inganno. L’11 luglio, dopo il più recente massacro israeliano a Gaza, con equipaggiamento statunitense – 80 morti tra cui sei bambini di una singola famiglia – un generale israeliano scrive sul Guardian sotto il titolo “Una necessaria dimostrazione di forza”.
Negli anni ’70 ho incontrato Leni Riefenstahl e le ho chiesto dei suoi film che glorificavano i nazisti. Utilizzando tecniche di ripresa e d’illuminazione rivoluzionarie ella produsse una forma documentaria che affascinò i tedeschi; fu il suo ‘Trionfo della volontà’ che si afferma abbia diffuso il maleficio di Hitler. Le chiesi della propaganda in società che si considerano superiori. Lei rispose che i “messaggi” nei suoi film dipendevano non da “ordini dall’alto” ma da un “vuoto condiscendente” nella popolazione tedesca. “Compresa la borghesia liberale istruita?” chiesi. “Tutti”, rispose. “E naturalmente l’intellighenzia”
Scritto per teleSUR English che partirà il 24 luglio
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2014 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
Tommaso Di Francesco su il manifesto del 19 Luglio 2014
Guerre umanitarie. La barbarie temuta è arrivata. Di fronte alla permanenza dei conflitti, di quale equidistanza si può parlare?
Alla fine, dodici anni dopo, ecco il risultato della sconfitta del più grande movimento contro la guerra, nella fattispecie in Iraq, che scese in piazza con cento milioni di persone e che venne definito «la nuova potenza mondiale». Hanno vinto i neocon della destra americana e quei governo di centrosinistra che in Occidente hanno sposato la causa del «militarismo umanitario» che ha profumato di buono le stragi della nostra epoca: la guerra è diventata permanente e dilaga.
E torna ovunque e all’improvviso. All’improvviso? La sua sanguinosa attualità è tragicamente presente ogni giorno nonostante il silenzio dei governi complici e spesso dei media, come Repubblica e Corriere della Sera, che sono arrivati a cancellare le stragi di Gaza dalla prima pagina. Spesso anche a sinistra la guerra è l’ultimo dei problemi, da aggiungere all’ultimo momento in un documento, o in una presa di posizione, nell’incapacità di interpretare le correlazioni che legano, in un filo d’orrore, i diversi conflitti della terra ai cambiamenti politici per cui si lotta. Ma il precipitare degli eventi rende evidente la generale miopia che attraversa la cultura occidentale. Che promette e annuncia crescita economica ma nasconde la violenza che altrove si esercita per ottenerla a qualsiasi costo, tacitando il pericolo e ottenendo consenso e potere. Così la permanenza della guerra resta e riemerge, riaprendo ferite malamente suturate e abilmente occultate.
Lo Stato d’Israele, che non conosce altro che la legge dei carri armati, muove i tank per rioccupare la Striscia di Gaza e lo fa perché ha «diritto a difendersi», fa sapere lo stesso Obama che nel discorso del Cairo del 2009 dichiarava di sentire «il dolore del popolo palestinese, senza terra e senza patria». Sono passati cinque anni dall’inizio della sua Amministrazione e la crisi mediorientale vede non solo sempre un popolo senza terra né patria, ma la crisi è peggiorata perché la colonizzazione è stata estesa, i Muri di divisione sono raddoppiati e, scrive l’editorialista di Haaretz Gideon Levy, «Israele non vuole la pace, chi estende le colonie rafforza l’occupazione e chi rafforza l’occupazione non vuole la pace». I razzi di Hamas sono il fumo, certo distruttivo e micidiale, che nasconde questa verità: lo Stato di Palestina, ridotto ad una alveare di insediamenti, non ha più alcuna continuità territoriale e non potrà esistere più.
Sono 270 le vittime dei bombardamenti aerei israeliani, in gran parte civili comprese decine di bambini. Pensate solo a quanto odio è stato seminato dai bombardieri in questi giorni. E di che equidistanza stiamo parlando? C’è uno Stato, quello d’Israele che occupa le terre di un altro popolo che, anche secondo la Carta dell’Onu ha il diritto a ribellarsi. Qualcuno dica a che cosa hanno portato finora i finti negoziati di pace, con un governo israeliano sordo ad ogni richiesta di ritiro secondo due storiche Risoluzioni dell’Onu o di blocco delle colonie e rabbioso — Netanyahu è letteralmente fuori di sé — per la nuova unità nazionale palestinese Fatah-Hamas. Ma, certo, Israele ha diritto alla sua sicurezza. E i palestinesi, che non si danno per vinti, a che cosa hanno diritto?
E proprio mentre dilaga la nuova guerra mediorientale, l’abbattimento criminale di un aereo di linea malese sui cieli tra Ucraina e Russia, con quasi 300 vittime – già con rimpallo di responsabilità — obbliga a volgere lo sguardo in Europa. Già nei giorni scorsi erano decine i morti nell’est dell’Ucraina, negli scontri tra milizie separatiste e nazionaliste filorusse nate nel Donbass in contrapposizione al nazionalismo ucraino antirusso del movimento di Majdan ormai al potere a Kiev, sostenuto dal’Ue e soprattutto dalla Nato che porta avanti l’indiscussa e indiscutibile strategia dell’allargamento della sua strategia militare a est, proprio alla frontiera russa. Una volontà che è all’origine, non a conclusione, delle tensioni e del conflitto in corso.
E appena si volge lo sguardo dall’est europeo all’altra sponda del Mediterraneo, l’instabilità della Libia – santuario militare di ogni sollevazione jihadista nell’area — diventa macroscopica. Siamo a soli tre anni dall’abbattimento del regime di Gheddafi grazie all’intervento degli aerei della Nato diventati l’aviazione degli insorti jihadisti in guerra contro il raìs. Guidava allora la nuova coalizione bellica occidental-umanitaria, con l’Italia protagonista, il «disinteressato» Sarkozy. Che riuscì a convincere un iniziale recalcitrante Obama che poi, con Hillary Clinton, ha pagato il prezzo di questa avventura con i fatti di Bengasi dell’11 settembre 2012.
Giovedì le milizie islamiste di Misurata, le più armate e radicali, hanno occupato Tripoli, dove un illegittimo e improbabile governo chiede l’intervento internazionale. Intanto si combatte in Siria e le milizie qaediste dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante avanzano in territorio iracheno, mentre in Afghanistan le ultime elezioni presidenziali sono accusate di brogli e le truppe Usa e Isaf/Nato resteranno ancora per altri due anni.
Non c’è pace. È un disastro. Permane solo la barbarie che temevamo sarebbe arrivata se non si fosse costruita una alternativa di valori e di sistema. In questi giorni noi ci rivoltiamo al dissennato tentativo del presidente Renzi di manipolare la nostra Costituzione con la cancellazione della eleggibilità diretta e democratica del Senato. Riflettiamo allora per un attimo sul fatto che per ognuna delle guerre che abbiamo elencato l’Italia è stata o è protagonista e ha un ruolo militare.
Non solo in Iraq ma anche in Medio oriente dove partecipa ad un Trattato militare con Israele, nonostante sia un paese in guerra permanente; in Libia ha bombardato dopo avere applaudito al regime dell’ex raìs, in Siria è ancora nella famigerata coalizione degli «Amici della Siria» che ha alimentato il conflitto; mentre in Ucraina l’Italia sostiene, senza che se ne discuta, l’Alleanza atlantica che pericolosamente allestisce da anni la sua nuova, provocatoria, cortina militare alla frontiera russa come se fosse la nuova Guerra fredda. Riflettiamo allora su quanto sia stato devastato l’articolo 11 della nostra Costituzione che bandisce la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali. E ribelliamoci. Cancellano il Senato perché, dicono, «produce ceto politico». Mentre cresce solo la guerra, cancellano l’articolo 11 per produrre ceto militare e nuovi conflitti.
Commémorations de Srebrenica : Naser Orić, l’ancien chef militaire de l’enclave, marche « pour la paix »
L’ancien commandant des forces de l’Armée de la république de Bosnie-Herzegovine, accompagné par l’ambassadeur de Turquie et l’actuel maire de Srebrenica, Čamil Duraković, a exhorté les participants à respecter l’esprit de la marche et de la commémoration. « Chaque centimètre de cette route est couvert de sang », a-t-il souligné.
Dans une interview au portal Klix, Naser Orić a affirmé que la ville « devrait être enlevée à la République serbe de Bosnie-Herégovine Srpska et donnée à la Fédération ». Il a également exprimé son regret de n’avoir pas été en mesure de défendre la ville. « Tout aurait été différent si j’étais resté jusqu’à la fin », a-t-il déclaré, faisant allusion à son retrait en tant que commandant de l’enclave, le 28 mai 1995. « Srebrenica aurait pu être sauvée », a-t-il conclu.
22-esimo anniversario della strage dei serbi nel circondario di Srebrenica. Soltanto nella giornata ortodossa di S. Pietro, il 12 luglio 1992, l' armata della Bed E (di Izetbegović) con a capo Naser Orić ha ammazzato 69 civili, mentre a Bratunac, Srebrenica e dintorni fino al 1995, sono stati uccisi più di 3000 serbi.
Obeležena godišnjica stradanja Srba u Bratuncu
Prethodno su članovi porodica poginulih, saborci i boračka i opštinske delegacije Srebrenice i Bratunca položile cveće na Vojničkom groblju u Bratuncu, gđe je sahranjen najveći broj stradalih i na srpskim stratištima u Biljači i Sasama.
Osim 69 poginulih na Petrovdan 1992. godine, nestalo je i zarobljeno još 22 Srba, a veliki broj ih je ranjen.
Nakon mučenja i zlostavljanja u srebrenickim logorima svi su ubijeni, a posmrtne ostatke njih 10 slucajno je pronašao tim za traženje nestalih iz Tuzle 10. juna 2011. godine na Zalazju, prilikom traženja muslimanskih žrtava. Nakon više od godinu dana ovi posmrtni ostaci su identifikovani i sahranjeni lani na Petrovdan, a za još 12 Srba nestalih tog dana i dalje se traga, navodi RTRS.
Četković je zapitao kome su smetali mirni ljudi toliko da ih svirepo pobiju, koji su na veliki pravoslavni praznik Petrovdan bili u svom selu.
"Smetali su samo što su Srbi i nikada ih nećemo zaboraviti i odustati od traženja pravde i odgovornosti onih koji su počinili zločin nad ovim ljudima", rekao je Četkovic.
Članovi porodica i predstavnici boračkih organizacija i organizacija porodica zarobljenih i poginulih boraca i nestalih civila iz Srebrenice ponovo su danas izrazili nezadovoljstvo radom Haškog tribunala, te Tužilaštva i Suda BiH.
Oni su ukazali na to da još nije niko procesuiran za brojne masakre i zločine koje su muslimanske snage iz Srebrenice počinile nad Srbima u poslednjem ratu, ubivši oko 1.500 srpskih civila i vojnika, od kojih su više od polovine masakrirali.
Predsednik Opštinske organizacije porodica zarobljenih i poginulih boraca i nestalih civila iz Srebrenice Mladen Grujičić istakao je da niko za 22 godine nije odgovarao za ovaj, kao i ostale zločine počinjene nad Srbima u srednjem Podrinju.
"Deset zarobljenih još nije nađeno, a naše majke, braća i sestre još čekaju pravdu", rekao je Grujičić.
On je poručio međunarodnom pravosuđu da je u Srebrenici srpsko stanovništvo procentualno više stradalo od bošnjackog, a institucijama Republike Srpske da ne dozvole da ovaj zločin ostane bez kazne, te da učine sve da se pocinioci zlocina otkriju i procesuiraju ili da se ukinu Tužilaštvo i Sud BiH koji procesuiraju i osuđuju samo Srbe, a opstruišu procese protiv onih koji su počinili zločine nad srpskim stanovništvom.
Jake muslimanske snage iz Srebrenice pod komandom Nasera Orića 12. jula 1992. godine upale su u više srpskih sela u srebreničkoj i bratunačkoj opštini ubijajući, pljačkajući i paleći sve pred sobom, navodi RTRS.
http://voiceofrussia.com/2014_07_11/Srebrenica-19-year-blueprint-for-US-intervention-Stefan-Karganovic-9752/
Srebrenica: 19-year-blueprint for US intervention - president of Srebrenica Historical Project
Read more: http://voiceofrussia.com/2014_07_11/Srebrenica-19-year-blueprint-for-US-intervention-Stefan-Karganovic-9752/
Un aereo è precipitato «per missili nemici» nella zona di confine con la Russia. L’autoproclamata repubblica di Lugansk: «Catturati 4 membri dell’equipaggio»
http://italian.ruvr.ru/news/2014_07_13/Ucraina-morto-sotto-tortura-giornalista-rapito-dai-paramilitari-di-Kiev-9775/
http://rt.com/news/172404-russian-donetsk-shelled-victims/
VIDEO 1: http://rt.com/news/172404-russian-donetsk-shelled-victims/
VIDEO 2: http://www.youtube.com/watch?v=aLTlbmGD_8E
L'esercito ucraino ha lanciato razzi per tutta la notte contro una zona della città ucraina controllata dai ribelli: secondo i filo-russi ci sono almeno 30 morti
http://www.ilpost.it/2014/07/12/bombardamento-donetsk/
By Christoph Dreier - 12 July 2014
Man killed, two injured, by Ukrainian shelling on Russian territory
An artillery shell from Ukraine has hit a private house in the Rostov region of Russia, killing a citizen, leaving two more injured in the small Russian town of Donetsk, which has the same name as the Ukrainian city.
The town is situated right on the Ukrainian border.
Several high-explosive shells exploded there on Sunday. Reportedly, the shells were fired from a mortar.
Deputy Foreign Minister Grigory Karasin promised a “rigorous and concrete answer” to the shelling of Russian territory that resulted in the senseless loss of life.
“We’re currently evaluating the situation, and the facts we’ve learnt risk a dangerous escalation of the tensions on the [Russian-Ukrainian] border, which puts our citizens in high danger,” Karasin said, stressing that harsh reaction would follow only after detailed analysis of the situation.
The National Security Council of Ukraine has already declared that Kiev’s troops involved in the operation in the east of the country have nothing to do with the shelling incident.
“Ukrainian troops are definitely not shelling the territory of the Russian Federation. We did not shoot,”said Andrey Lysenko, official representative of the information center of the NSCU.
Authorities in the Rostov region have confirmed the death of a 46-year-old man and injuries to two women. The man died in a shell explosion, while one of the women suffered a shell fragment wound in the leg; another woman, reportedly 80-years-old, was shell-shocked in her house across the street from the explosion site.
Russia’s Donetsk has a population of approximately 49,000 citizens and has the Donetsk-Izvarino border entry point in the city on the Russian-Ukrainian border.
There have been a number of incidents lately involving Ukrainian troops deliberately shelling Russian border posts.
On Saturday a vehicle, carrying a squad of Russian border guards, came under fire from the Ukrainian side at the frontier between Russia and Ukraine.
On June 28, mortar shells from Ukraine hit Russian territory, damaging a building at the Gukovo border checkpoint and creating potholes in the ground in two villages.
The week before, on June 20, the Russian Novoshakhtinsk checkpoint in the Rostov region was shelled by mortars, Russia’s Border Service said.
Until today’s fatality, there had been no casualties, except for one Russian border guard suffering a head wound from a shell fragment.
The Ukrainian army has sometimes shelled border checkpoints, while refugees from Ukraine were trying to get through passport control to find shelter on Russian territory.
The number of incidents involving Ukrainian artillery shelling on Russian territory has increased of late. On July 3, the Novoshakhtinsk border checkpoint was shelled again. The next day, engineers and investigators, who came to disarm unexploded ordnances on the Russian side, came under mortar fire from Ukraine at the Donetsk border checkpoint. On July 5, about ten mortar shells exploded near the same border checkpoint.
http://italian.ruvr.ru/news/2014_07_17/Clamorosa-indiscrezione-al-posto-del-Boeing-malese-doveva-essere-abbattuto-laereo-di-Putin-5043/
Publicado: 17 jul 2014 | 18:11 GMT Última actualización: 17 jul 2014 | 21:06 GMT
http://actualidad.rt.com/actualidad/view/134289-objetivo-misil-ucrania-avion-presidente-rusia-putin
L'aereo presidenziale russo avrebbe incrociato la rotta del volo MH17: "Stessi colori e stessa dimensione, facile confonderli a quella distanza", racconta una fonte anonima all'agenzia
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Tragedia-Boeing-Interfax-aereo-malaysia-simile-a-quello-di-Putin-bdfbca44-ef75-4a31-939b-dc146a72c9e7.html
http://rt.com/news/173976-mh17-crash-questions-ukraine/
Donetsk People’s Republic leaders reinforce defenses
On the night of July 4-5, the militia of the Donetsk People’s Republic (DNR) withdrew from the embattled cities of Slavyansk and Kramatorsk. The volunteer self-defense forces made an orderly retreat to the south, where they took up positions in and around the regional capital city of Donetsk.
The decision to withdraw came after weeks of unrelenting military assault by forces loyal to the regime of neoliberal politicians, oligarchs and fascists, based in the Ukrainian capital of Kiev and backed by the United States,
“To put it bluntly, we are dealing here with unconcealed genocide,” said DNR Defense Minister Igor Strelkov, during a videotaped statement from Slavyansk on July 4. “To break the resistance of the militia, the enemy is using all available types of weaponry against the civilian population.”
The nearby city of Nikolayevka has been completely surrounded and bombarded with heavy weaponry. On June 3 the Nikolayevka Thermal Power Plant was destroyed. Banned weapons, including poison gas and white phosphorus, were reported used in the village of Semyonovka.
Brutal airstrikes, mortar fire and chemical attacks targeting homes, schools and hospitals continued even during a “ceasefire” declared by Ukraine’s pro-West President Peter Poroshenko in late June, which coincided with the signing of an economic agreement with the European Union. The “ceasefire” ended July 4.
The Kiev regime’s military attacks have also continued in the capital of the neighboring Lugansk People’s Republic (LC). The regional cancer treatment center was bombed on July 4. Airstrikes and shelling of residential areas of the capital were reported July 6.
Last May 11, people in the DNR and LC voted overwhelmingly for independence from Kiev in a democratic referendum.
“Over the course of the ‘ceasefire,’ the Ukrainian army performed full mobilization and concentration of forces,” said Strelkov, explaining that the continued defense of Slavyansk was unsustainable.
Officially, more than 250 people have been killed in Kiev’s so-called “Anti-Terrorist Operation” — mostly civilians, including many children. No one knows the real number of casualties since many areas are completely inaccessible.
Nearly 19,000 people — mostly parents with young children — have fled toward neighboring Russia from the Donbass region, which encompasses Donetsk and Lugansk. The International Committee of the Red Cross reported July 3 that the actual number of refugees in Russia is probably much higher.
Some 112 Donbass cities, towns and villages, with a total population of over 3.8 million, have come under attack, according to analysis published by the website Voices of Sevastopol.
Only 30,000 of Slavyansk’s population of 130,000 people remained when the people’s militia withdrew, Strelkov reported. Water, electricity and food supplies have been cut off for weeks.
Liberation or ‘filtration’?
While the people’s government in Donetsk termed the withdrawal from Slavyansk a strategic retreat, Ukraine’s billionaire president claimed it was a “symbolic victory in the fight with terrorists for the territorial integrity of Ukraine.”
Similarly, Interim Prime Minister Arseny Yatsenyuk — a U.S. favorite who recently termed Donbass residents “subhuman” — crowed about the “liberation of Slavyansk and Kramatorsk from terrorists.” Pro-junta media showed photos of Ukrainian soldiers hugging children and giving flowers to grandmothers.
On the ground, the “victory” was less impressive.
According to independent U.S. journalist Patrick Lancaster, Ukrainian forces entered Kramatorsk’s main square with “two tanks, two APCs [armoured personnel carriers] and 15-20 foot soldiers, some of them snipers and some carrying rocket-propelled grenades.” After raising the Ukrainian flag on the roof of the former resistance headquarters, “they jumped back on their tanks and left.” (RT.com, July 5)
Within a few hours of Kramatorsk’s “liberation,” heavy shelling of the city by Ukrainian forces resumed.
Ukraine’s Ministry of Internal Affairs, headed by the ultra-rightist Arseny Avakov, meanwhile announced that “an internal investigation of each member of the local police force will be launched” in Slavyansk on suspicion that they cooperated with DNR authorities.
Local police were detained while cops loyal to Kiev were brought in from western Ukraine.
Oleg Tsarev, speaker of parliament for the Union of Lugansk and Donetsk People’s Republic, told Russia’s Channel 24, “Overnight, they arrested all policemen and took them out of the city.” He added, “They are arresting all young men from 25 to 35, not even trying to find out whether these men took up arms or not. Searches are underway. They are trying to find those who helped take care of the wounded.”
Kiev’s Ministry of Internal Affairs echoed former acting Minister of Defense Michael Koval’s plan for “filtration camps” for southeastern Ukraine, announcing it would “filter” refugees seeking to leave the region. (Glagol.in.ua, July 4)
Donetsk’s answer: ‘To Kiev’
On July 6, Koval — now appointed deputy secretary of the National Security Council — told Inter TV that “the main strategic plan of the Ukrainian army” was that “In the two regional centers of Lugansk and Donetsk a total block will be applied and appropriate measures carried out that will force the separatists to lay down their arms.”
More than 4,000 Donetsk residents took to the streets the same day to deliver their answer to Koval, the junta and their U.S.-EU backers. They demanded an end to Ukraine’s war crimes and declared their determination to defend the DNR.
At a mass protest in Lenin Square, People’s Governor Pavel Gubarev announced, “We will begin a real partisan war” around Donetsk.
The demonstrators were accompanied by members of the self-defense militias. Some rode in captured tanks and APCs emblazoned with the slogan “To Kiev” — meaning they do not intend to leave other Ukrainians at the mercy of the junta.
Meanwhile, in the heavily bombarded capital of Lugansk, protesters held up home-made target signs — similar to those that became the symbol of people protesting the 1999 NATO bombing of Yugoslavia.
In an interview with LifeNews on July 7, Denis Pushilin, chair of the DNR Supreme Soviet, called the redeployment of the militia “a turning point in the confrontation with Kiev.” He continued, “If the militia had remained in Slavyansk and Kramatorsk, the cities would have been completely destroyed. Now there is more wiggle room.”
In an interview with LifeNews after his arrival in Donetsk, militia commander Strelkov said: “I plan to create, by my order as the minister of defense, a Central Military Council, which will include all the key field commanders, and where we will coordinate all questions related to the defense of the Donetsk People’s Republic. … In other words, we will be preparing Donetsk for active defense, to ensure that it is not taken over by the enemy.”
EU-ultimatum against Russia – another Rambouillet?
Current Concerns, No. 14&15
by Willy Wimmer, former Parliamentary Secretary at the German Federal Ministry of Defence and Vice President of the OSCE Parliamentary Assembly
The EU leaders have learned nothing from their visit to Ypreson the occasion of the outbreak of the First World War in 1914. The Russian ultimatum means Rambouillet II, and when do you think the attack will take place?
Russia, the European Union claims, would have to engage in substantive negotiations on the “peace plan” of the Ukrainian President within 72 hours. And if not, we will fire back from 5:45 a.m. on? It seems as if the European Commission and the European Council in Brussels, represented by the aforementioned gentlemen, has gone completely crazy and want to plunge the continent into absolute misery. You do not have to visit Ypres
Approfondimenti sull'Ucraina
(Russia Today 9/6/2014) - A photography exhibition dedicated to the 48 victims of the May 2 Odessa clashes opened in Belgrade's "Progress Gallery" on Monday. Zivadin Jovanovic, the former FM of Yugoslavia and President of the Belgrade Forum for a World of Equals, organizer of the event, said the exhibition wanted to show "the truth about the developments in Ukraine". Jovanovic said that the West and NATO have an expansionist and imperialist strategy towards the East, and are using Ukraine to reach the borders of Russia as it holds a "huge strategically important space". One of the survivors of May 2nd clashes in Odessa, Oleg Muzika, said that there seems to be an "intention to tear Ukraine from Russia" because of "geopolitical reasons".
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=9INVsdzIN_g
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=MSrVr7AQPP0
“L’assalto nazista in Ucraina cominciò prima di Odessa: le prove”
5/7/2014 - Pandora TV ha selezionato e vi propone la trasmissione di una TV russa: “Momento della Verità” in versione originale con sottotitoli italiani, di notevole interesse per le testimonianze contenute…
http://www.pandoratv.it/?p=1383
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=OSqaI7MtJNU
http://italian.ruvr.ru/2014_07_08/Traffico-di-organi-umani-ombra-di-Jugoslavia-sull-Ucraina-1803/
2014/07/11 - BERLIN/CHISINAU (Own report) - Western diplomats are not ruling out the possibility that the Republic of Moldova will be divided up between Russia and Romania now that the EU Association Agreement has been ratified. Along the lines of various scenarios, this breakup even seems "probable," according to the latest issue of the leading German foreign policy magazine, "Internationale Politik." The EU Association Agreement will, in fact, exacerbate the already existing social discord in Moldova. There is open resistance to the country joining the German-European sphere of hegemony. Whereas, on the one hand, Bucharest has granted Romanian citizenship to around 400,000 Moldovan citizens and considers the absorption of Moldova into Romania to be a realistic option, Western observers are accusing Russia of having created Moldovan NGOs to gain political influence in that country. This is a precise description of that the West considers a completely normal political method, when it is used by the West, but criticizes even a suspicion of its rivals doing the same…
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58767
Assoziierung und Spaltung (Westliche Diplomaten schließen Spaltung Moldawiens nicht aus)
11.07.2014 - BERLIN/CHISINAU (Eigener Bericht) - Nach der Ratifizierung des Assoziierungsabkommens mit der EU schließen westliche Diplomaten eine "Aufspaltung" Moldawiens "zwischen Russland und Rumänien" nicht mehr aus. Bestimmten Szenarien zufolge sei eine solche Aufspaltung sogar "wahrscheinlich", heißt es in der aktuellen Ausgabe der führenden Außenpolitik-Zeitschrift der Bundesrepublik ("Internationale Politik"). Tatsächlich heizt die EU-Assoziierung bestehende gesellschaftliche Differenzen in Moldawien an; Widerstände gegen die Einbeziehung des Landes in die deutsch-europäische Hegemonialsphäre treten offen zutage. Während einerseits Bukarest rund 400.000 Bürgern Moldawiens die rumänische Staatsbürgerschaft verliehen hat und ein Anschluss des Landes an Rumänien immer wieder als realistische Option bezeichnet worden ist, monieren westliche Beobachter, Russland gründe in Moldawien NGOs, um politisch Einfluss zu nehmen. Sie beschreiben damit präzise eine politische Praxis, die der Westen seit den Umbrüchen von 1989/91 völlig selbstverständlich für sich beansprucht, sie aber kritisiert, wenn Konkurrenten auch nur den Anschein erwecken, es ihm gleichzutun…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58911
--- Chossudovsky:
Michel Chossudovsky e Julie Lévesque | globalresearch.ca, 09/07/2014
By Prof Michel Chossudovsky and Julie Lévesque - Global Research, July 09, 2014
Russian President Vladimir Putin's remarks in a speech to the diplomatic corps in Moscow on July 1st expose the growing tensions between imperialist countries, in particular between France and the United States. Putin said: “We are aware of the pressure that our American partners are exercising on France in order that it abandon the delivery of the Mistrals [navy vessels]…and we even know that they have suggested that if France does not deliver the Mistrals, they would discretely eliminate the sanctions against the bank BNP Paribas or at least minimise them.” He then qualified the American attitude as being “blackmail”. The Mistrals in question are military vessels that France built for Russia…
http://italian.ruvr.ru/2014_07_18/Che-cosa-non-sanno-della-guerra-ucraina-in-Italia-9925/
http://static.ruvr.ru/download/2014/07/18/07/chiesa1.mp3
http://static.ruvr.ru/download/2014/07/18/07/torrealta.mp3
http://static.ruvr.ru/download/2014/07/18/07/chiesa_2.mp3
Pandora TV ha selezionato e vi propone questo video che ripercorre l’inizio della crisi Ucraina a partire dalle informazioni nascoste dai media mainstream. [ lingua inglese con sottotitoli italiani, durata 10 minuti, fonte: http://scgnews.com/the-ukraine-crisis-what-youre-not-being-told
Fonte: pagina FB "Con l'Ucraina antifascista", 4/7/2014
https://www.facebook.com/ucrainaantifascista/
L'Ucraina diventerà una discarica nucleare?
Il documento firmato sancisce il recupero di un contratto datato 2005, che di fatto è stato per anni boicottato, a causa della non assegnazione dei terreni destinati allo stoccaggio - situazione prontamente sbloccata dal gabinetto golpista di "Krolik" (coniglio) Yatsenjuk.
Questi passaggi sono stati gestiti in maniera oscura dal nuovo governo, la cui corruzione nei confronti dell'occidente che ha sponsorizzato il golpe è cosa nota, e tutto lascia presagire che queste zone possano essere usate come cimitero per le scorie nucleari nell'area contaminata di Chernobyl.
Un bel guadagno, considerando anche l'alta specializzazione dei tecnici ucraini che per anni hanno fatto fronte prima all'emergenza e poi alla gestione dell'area e dei vecchi impianti.
Prosegue la riabilitazione delle icone naziste sul sito Osservatorio Balcani e Caucaso (per procura della UE)
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Stepan-Bandera-l-eroe-criminale-che-divide-l-Ucraina-154127
di Danilo Elia, 18 giugno 2014
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Pravy-Sektor-birra-e-rivoluzione-153407
Verifica chi sono i finanziatori di "Osservatorio Balcani e Caucaso":
http://www.balcanicaucaso.org/Chi-siamo/Sostenitori-75452
TESTO E IMMAGINI: http://lilin.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/07/05/simboli-nazisti-ufficializzati-in-ucraina-a-livello-statale/
Maidan, «l’ultimo golpe degli Usa in fallimento». Intervista a Nicolai Lilin, 29 giugno 2014
VIDEO 3: https://www.youtube.com/watch?v=BfmjjR1Y04A
Giornalista: Buon giorno, oggi, nello studio del nostro Primo canale televisivo Repubblicano, diamo il benvenuto, per un discorso ai cittadini della DPR [Repubblica Popolare di Donetsk], al Ministro della Difesa e Presidente del Consiglio di Sicurezza, Igor Ivanovich Strelkov ...
Igor Strelkov: Buon giorno.
Giornalista: E al capo della Milizia Popolare della DPR, Pavel Gubarev.
Pavel Gubarev: Buona sera.
Giornalista: Igor Ivanovich, parli pure.
Igor Strelkov: Vorrei dare il benvenuto a tutti gli spettatori che stanno guardando e mi ascoltano e dire che, in questo momento molto difficile per il popolo della Repubblica di Donetsk, sono contento di essere qui con voi per poter difendere insieme a voi la vostra e la nostra Patria comune, la Russia, che, sono convinto, si estende dai confini dello stato chiamato Ucraina fino all'Estremo Oriente. Ed è proprio per la Russia che noi siamo, qui, a lottare, e nello stesso tempo, a lottare per i diritti del Donetsk e delle Repubbliche di Lugansk. Stiamo lottando per il vostro diritto all'autodeterminazione della lingua, per la vostra cultura, per il vostro modo di vita, e per il diritto di essere liberi dalle costrizioni imposte a voi, da persone per le quali la vostra terra e la vostra società sono solo obiettivi di macchinazioni politiche e speculazioni finanziarie. Persone che sono soggette ad un controllo esterno e non si preoccupano di nasconderlo. Questo è ciò che abbiamo combattuto e continueremo a combattere. E spero che continueremo a godere del vostro sostegno. Non mi sono preparato apposta per tenere un discorso; Ho trascorso l'intera giornata coinvolto nella pianificazione strategica. Perciò, non leggerò un testo o farò un discorso preparato in anticipo. Lo staff del canale televisivo ha preparato una serie di domande da farmi. Nel rispondere a queste domande mi aspetto di essere in grado di soddisfare le vostre preoccupazioni rispetto a quanto sta accadendo, come le ostilità stanno procedendo, e come abbiamo intenzione di continuare a difendere la Repubblica. Quindi, penso che ora dovremmo dare al nostro giornalista la possibilità di procedere.
É arrivato il momento di lasciare Slavyansk.
Giornalista: Igor Ivanovich, ecco una domanda fondamentale che sentiamo spesso: perché Slavyansk si è arresa e perché le forze sono state spostate a Donetsk ed alle città vicine?
Igor Strelkov: Fin dall'inizio delle ostilità, Slavyansk è servita come scudo per Donetsk. Nel prendere le nostre posizioni a Slavyansk, abbiamo istituito uno scudo per proteggere l'intero territorio della DPR [Repubblica Popolare di Donetsk] e della LPR [Repubblica Popolare di Lugansk]. Abbiamo sostenuto l'impatto principale dell'offensiva nemica e deviato le sue forze, dando così alla leadership politica e sociale delle Repubbliche l'opportunità di organizzarsi e, seguendo il nostro esempio, di prendere le redini del potere [locale] dalla Giunta, in una certa misura impedendole di instaurarsi.
Ecco perchè, quando siamo stati sicuri che sia a Donetsk che a Lugansk ci fossero governi conformi alla volontà del popolo in termini di attuazione della sovranità statale, in grado di effettuare il referendum e di costituire le proprie forze armate, abbiamo capito che il nostro compito era stato sostanzialmente realizzato.
E' naturale che Slavyansk sia diventata, e rimanga, per me personalmente e per tutti noi, una città molto importante, una città alla quale siamo profondamente legati. Senza dubbio se avessimo avuto la possibilità di tenerla militarmente avremmo continuato a difenderla. Tuttavia, data la situazione militare presente, continuare a difendere Slavyansk avrebbe comportato perdite intollerabili da parte della Milizia, e la difesa della città non avrebbe piu’ avuto nessuno scopo strategico o tattico.
Il nemico ha ammassato enormi quantita’ di armamenti e gruppi corazzati vicino alla citta’. Non avremmo potuto continuare a resistere a lungo senza sufficienti armi pesanti, artiglieria e, soprattutto, munizioni. Passo dopo passo, per frenare il nemico, vincendo giorno dopo giorno, abbiamo continuato a ritirarci ai confini della citta’. Ed alla fine abbiamo capito che il cerchio intorno alla città si era chiuso e che il piano tattico del nemico non era di attaccare noi, ma semplicemente di radere al suolo la città, distruggerla con l'artiglieria per poi eliminare la nostra fanteria con i carri armati.
Abbiamo capito che non avevamo armi sufficienti per difenderci da questa tattica. Non ne avevamo proprio. Abbiamo anche capito che il nemico ci avrebbe semplicemente sterminato nei giorni seguenti, e che noi non avremmo potuto infliggere perdite corrispondenti.
In questa situazione, una decisione è stata presa. L'ho presa io personalmente. Non condivido questa responsabilità con nessun altro. Ho solo informato il Consiglio militare locale della decisione di ritirarsi, salvare il presidio e salvare la città da una distruzione senza scopo. Non avrebbe infatti avuto senso perché saremmo stati polverizzati da una tale distanza alla quale non avremmo avuto la possibilità di rispondere. La decisione presa è stata anche per reimpiegare i distaccamenti con più esperienza di battaglia, in nuove posizioni dove avrebbero potuto continuare a difendere la Repubblica.
Inoltre, come abbiamo scoperto dopo aver rotto l'accerchiamento, lo stesso giorno il nemico aveva conquistato Artyomovsk, estromettendo la piccola unità di milizia che la presidiava. Questo ha creato un vero e proprio pericolo non solo per Slavyansk, ma anche per tutta la regione Kramatorsk-Druzhkovka-Konstantinovka che sarebbe stata circondata ed assediata. In realtà è proprio per questo motivo, perché il nemico stava per tagliare le nostre linee di comunicazione, che si è deciso di ritirarsi anche da tutte le altre città, dal momento che difenderle mentre eravamo accerchiati non avrebbe avuto praticamente alcun senso. Avrebbe solo comportato più vittime e distruzioni inutili.
Eroi della ritirata da Slavyansk
Giornalista: Grazie. Io credo che gli uomini che sono rimasti a coprirvi la ritirata siano degli eroi. Puo’ dirci qualcosa di più su di loro?
Igor Strelkov: Per coprire la nostra ritirata non sono rimasti che qualche dozzina di uomini. In realtà hanno eseguito il loro compito egregiamente bene. Per quanto ne so al momento, la maggior parte di loro ha rotto l'accerchiamento. Inoltre sono appena stato informato che anche i 13 combattenti del gruppo che proteggeva la nostra ritirata da Nikolayevka, si sono sganciati con successo e trasferiti a Seversk sostenendo perdite minime.
La preparazione di Donetsk per resistere ad un assedio
Giornalista: bene, ecco un'altra domanda. È pronta la città di Donetsk in questo momento per resistere ad un assedio prolungato, e per una futura offensiva?
Igor Strelkov: Beh certamente non posso dire che sia pronta per la difesa, se non altro perché la città nel suo complesso è ancora attiva come se fosse in tempo di pace. In pratica non sono state prese misure di difesa. Lo stato dei preparativi di difesa al momento è quello che era due mesi fa a Slavyansk. In altre parole, le fortificazioni esistenti sono sufficienti a fermare gli APC [corazzati da trasporto truppe] e gruppi quali la Guardia Nazionale o distaccamenti del Ministero degli Interni.
Per quanto riguarda le colonne corazzate del nemico, che sta impiegando massicciamente carri armati e artiglieria, in questo momento la città si può difendere solo con grande difficoltà e con perdite significative tra la Milizia. Tuttavia stiamo prendendo misure urgenti giorno dopo giorno in modo da garantire che la città sia pronta per la battaglia. Questo considerando le fortificazioni da erigere.
Per quanto riguarda invece lo stato d'animo della popolazione, è evidente che i residenti di Donetsk continuano a condurre una vita del tutto pacifica. Fanno ancora fatica a capire, o si rifiutano di credere, ciò che può accadere quando il nemico, le unità punitive Ucraine, scateneranno un massiccio sbarramento di artiglieria e porteranno pesanti attacchi aerei contro le aree residenziali. Beh, anche noi abbiamo fatto fatica a crederci per lungo tempo.
Tuttavia, nel corso di un mese di assedio attivo, o, più precisamente, di tre mesi di preparazione ma di un solo mese di assedio, ci siamo convinti che il nemico ha scelto di non agire direttamente contro le nostre unità armate, le unità di auto-difesa della Milizia, ma di usare una tattica terroristica di distruzione - la distruzione delle infrastrutture e delle attività industriali. Per quanto strano possa sembrare, e io non lo trovo affatto strano a differenza di altri, gli obiettivi principali sottoposti ad attacchi a Slavyansk e Kramatorsk non erano le posizioni della Milizia, anche se erano perfettamente conosciute, e nemmeno i quartieri della città, ma le fabbriche e le attività industriali.
A Nikolayevka, in particolare, il nemico ha continuato a bombardare la centrale termica per tre giorni consecutivi, anche se non era presente un singolo miliziano. Per di più il bombardamento è continuato per un giorno intero dopo che la Milizia aveva lasciato la città. In altre parole, non c'era un motivo militare per il bombardamento. Allo stesso modo, altri bombardamenti sono stati effettuati su un certo numero di fabbriche di Slavyansk dove nessun miliziano aveva mai messo piede. Non c'erano posti di blocco e nemmeno avamposti. Tuttavia, sono state regolarmente e meticolosamente fatte saltare con l'artiglieria.
In altre parole, lo scopo di cui stiamo parlando qui non era quello di cancellare la Milizia dalla città. Non era quella l'intenzione. Il loro obiettivo era quello di causare la massima distruzione possibile nelle infrastrutture mentre si eliminava la Milizia, lasciando così le persone senza lavoro, senza casa, senza i mezzi per vivere. In effetti l'obiettivo era di costringere il popolo ad un esodo di massa, lasciandoli senza i mezzi per sopravvivere anche dopo la cessazione delle ostilità.
Io sono fermamente convinto che l'attuale dirigenza Ucraina ed il comando dell'esercito Ucraino non si faranno problemi a fare lo stesso a Donetsk. Nessuno deve farsi illusioni - anche se noi dovessimo ritirarci da qui, loro non permetterebbero ai residenti di Donetsk di continuare a viverci. La cosiddetta Europa unita non vuole alcuna concorrenza da parte dell'industria di Donetsk. Non vogliono alcuna concorrenza da parte dei nostri scienziati. Tutto ciò che vogliono è che qui rimanga un territorio dove si possano reperire diverse centinaia di migliaia o forse anche un paio di milioni di unità di forza lavoro a buon mercato, in modo da poterle utilizzare in Europa. Questo è tutto quello che vogliono.
Pavel Gubarev: E il gas di scisto, naturalmente.
Igor Strelkov: non posso dire nulla rispetto al gas di scisto, perché non sono uno specialista al riguardo. Tuttavia, è certo che cerchino di distruggere il nucleo industriale del Donbass, per prima cosa perchè rappresenta una forte concorrenza per l'industria europea e poi perchè lavora quasi interamente, o almeno in misura importante, per il complesso militar-industriale russo.
Adeguatezza delle Forze della Milizia
Giornalista: A giudicare dalle loro dichiarazioni, non hanno alcun desiderio di vedere la popolazione russa sul nostro territorio. Tuttavia, dobbiamo capire che questa è la nostra terra – la Repubblica Popolare di Donetsk, la Repubblica Popolare di Lugansk. Non lasceremo la nostra terra. Ed ora vorrei concentrarmi in particolare sulla Milizia. Abbiamo abbastanza miliziani? Contando anche quelli che Pavel Gubarev ha reclutato per voi?
Igor Strelkov: No, certo che no. Sicuramente no. Anche per una grande città di un milione di persone, senza contare il resto della Repubblica, ci sono troppo pochi miliziani. Il territorio della città è enorme. Il territorio della Repubblica che è controllato dal governo [DPR] è anche sufficientemente grande; è molto grande.
Stabilire un controllo sicuro e di difenderlo con le forze che attualmente possediamo non è, di per sé, impossibile; tuttavia, di fronte all'enorme superiorità del nemico, direi addirittura un loro dominio assoluto in termini di mezzi corazzati e artiglieria, per non parlare della loro posizione dominante in aviazione, è estremamente difficile difendere questo territorio con le sole nostre forze esistenti.
Vorrei anche aggiungere alle mie precedenti osservazioni che è impossibile fare una guerra a metà. E' un errore aspettarsi che qualcuno da qualche parte in qualche modo sarà in grado di difendere questa Repubblica con poche forze con un budget ridotto. Abbiamo bisogno di una seria mobilitazione delle risorse. Purtroppo, le risorse necessarie, in primo luogo in termini di armamenti e munizioni, non sono pronte; al momento non esistono.
Se tali risorse fossero state disponibili, avremmo senza esitazioni attuato una mobilitazione generale. Non importa se i tre quarti degli uomini in età militare avrebbero cercato di evitarla; il restante quarto sarebbe stato sufficiente. Purtroppo, non abbiamo tale capacità di mobilitazione. Tuttavia siamo in grado di armare, equipaggiare e addestrare, anche se in modo superficiale, diverse migliaia di volontari in un brevissimo periodo di tempo.
Credo che circa 8-10.000 uomini sarebbero sufficienti a fermare definitivamente e irrevocabilmente l'esercito ucraino, che finora è stato vittorioso in primo luogo perché noi abbiamo lacune importanti nella nostra difesa e poi a causa della sua mobilità e della sua retroguardia. La nostra retroguardia operativa è in pessimo stato. Le nostre linee di approvvigionamento non sono troppo deboli. Ma noi continueremo a lottare e continueremo a fermarli.
Eppure, senza una partecipazione più attiva della popolazione del Donbass alla difesa, sarà molto difficile resistere. Abbiamo bisogno di persone. Vi ripeto che abbiamo bisogno di 8-10.000 uomini nei ranghi della Milizia per garantire la nostra difesa. Che siano volontari o coscritti non fa nessuna differenza.
Cercasi sia Militari Professionisti che Volontari
Giornalista: C'è mancanza di volontari con titoli specifici o competenze professionali?
Igor Strelkov: Prima di tutto, abbiamo bisogno di tutti. Abbiamo bisogno di professionisti con qualunque tipo di qualifiche militari, così come di persone senza alcuna conoscenza specifica. In guerra la gente può essere istruita nel corso di alcuni giorni, specialmente durante le ostilità. E, al contrario, i professionisti super-qualificati che non hanno mai partecipato a guerre, quando sono schierati al fronte e sono di fronte a pallottole vere, spesso si rivelano essere semplicemente inadatti. E' così che funziona nell'esercito.
La minaccia a Donetsk e la Costruzione di un Esercito a Contratto
Giornalista: Abbiamo una domanda un po’ difficile per voi dai nostri telespettatori. Che cosa dovrebbero fare i civili; cosa possono aspettarsi? Quanto è grave il pericolo? Lei ha già delineato alcuni problemi, ma ci può precisare il pericolo che ci troviamo di fronte?
Igor Strelkov: Non voglio spaventare nessuno, ma credo che senza un aiuto vero dalla Russia, se la Russia non ci fornisce un aiuto militare diretto, la Giunta fuori controllo impiegherà sicuramente l'intero arsenale di forze e mezzi a sua disposizione, soprattutto perché le decisioni non sono prese da loro, ma principalmente da oltre oceano. Ed è da oltre oceano che hanno deciso di distruggere il Donbass fino in fondo. O costringeranno la Russia ad una guerra globale qui, sul territorio dell'Ucraina, o si prenderanno tutto ciò che vogliono senza guerra. Ed è per questo che continueranno ad avanzare, a bombardare, a distruggere.
E lo ripeto ancora: ogni uomo deve fare una scelta da solo. Se è un uomo, deve essere disposto a difendere la sua Patria. Beh, certo, non tutti sono in grado di farlo, dipende dalla volontà e dalle caratteristiche morali. Lontano da tutti. Parlando francamente, tuttavia, il numero di volontari scelti nel corso di tre mesi da parte della popolazione multimilionaria del Donbass, la terra dei minatori, dove le persone sono abituate a lavori pesanti e pericolosi, è stato troppo piccolo. Vorrei solo osservare che molti avrebbero probabilmente aderito alla Milizia se ci fossero state garanzie finanziarie per le loro famiglie.
Giornalista: Sì, è vero.
Igor Strelkov: D'ora in poi ci saranno queste garanzie finanziarie. A partire da questo mese, prevediamo di pagare i membri della Milizia somme abbastanza significative per gli standard locali. In particolare, 5-8000 grivna. Inizieremo a fare questi pagamenti nel mese di luglio. Quindi, può essere che questo aiuterà gli indecisi per trovare finalmente la forza di unirsi a noi. In altre parole, stiamo costruendo un esercito a contratto.
I negoziati con l'Ossezia del Sud
Giornalista: D'accordo, capito. Sono in corso trattative ... beh, lei ha parlato di Russia ... ma cosa ci dice dell'Ossezia del Sud, che ha riconosciuto la nostra indipendenza?
Igor Strelkov: In questo caso non sono pronto a rispondere a questa domanda.
La situazione a Snezhnoye e a Saur-Mogila
Giornalista: Ok, bene. Può commentare la situazione militare nella città di Snezhnoye e a Saur-Mogila? Come resistono i nostri miliziani?
Igor Strelkov: Resistono bene. Un distaccamento è di stanza lì. Vorrei ricordare per prima cosa che il battaglione Vostok è di stanza lì, guidato da un comandante sufficientemente competente. Ha organizzato con attenzione i suoi combattenti, consentendo loro di continuare a mantenere questa posizione chiave con perdite minime.
Credo che continueremo a tenere Snezhnoye e le aree nelle vicinanze. Sono stati inviati lì rinforzi consistenti. Non permetteremo al nemico di sfondare in direzione del fiume Don, tagliando il corridoio che ora ci si collega alla regione di Lugansk.
Coordinamento con Lugansk
Giornalista: Ok, quindi abbiamo un coordinamento con Lugansk in questo momento?
Igor Strelkov: Non c'è nulla di cui vantarsi in questo momento. Il nostro coordinamento è debole, ma sta progressivamente migliorando.
Comando Unificato e Reclutamento delle Forze Armate
Giornalista: Vorrei aggiungere che dal mio punto di vista e da quello dei telespettatori vi è la necessità di un centro di coordinamento unificato o dell'ufficio di un comandante dell'esercito dove i volontari possano rivolgersi per iscriversi al Milizia e da lì essere diretti ai vari battaglioni a seconda della loro preferenza. E' solo che abbiamo numeri di telefono diversi che forniamo durante le trasmissioni. Sarebbe utile se ci fosse un ufficio di coordinamento unificato.
Igor Strelkov: Questo, purtroppo, è la legge della psicologia umana; la storia ha dimostrato che è vero in molte occasioni. Il processo di trasformazione di unità partigiane in un esercito regolare o anche solo in formazioni armate regolari è molto difficile. E' molto complicato; ci vuole molto tempo. Le idee si scontrano e le ambizioni della gente sono d'intralcio. Ci sono molti fattori oggettivi e soggettivi coinvolti. Purtroppo, non esiste la bacchetta magica per unire tutti insieme rapidamente. Tuttavia, questo compito è per noi una priorità, perché, naturalmente, l'esistenza di diversi gruppi con comando separato è inammissibile. E 'inaccettabile, sia dal punto di vista della gestione di operazioni militari che da quello di mantenere ordine nella retroguardia dell'esercito.
Oggi abbiamo finalmente convocato una riunione congiunta a cui hanno preso parte i comandanti delle unità della Milizia e quelli che sono venuti da altre regioni, come il battaglione Vostok ed il Battaglione Oplot. Abbiamo raggiunto un importante accordo per quanto riguarda la delimitazione delle nostre competenze, per quanto riguarda la creazione di uffici di comandanti regionali e l'ufficio congiunto della città comandante e per quanto riguarda l'introduzione della legge marziale nelle zone vicine alle posizioni del nemico. Al momento non prevediamo di istituire la legge marziale o un coprifuoco in tutta la città. Aspetteremo fino a quando il nemico non attaccherà; abbiamo deciso di non complicare la vita dei nostri cittadini prima del tempo.
I negoziati con la Federazione Russa
Giornalista: Il nostro governo, Pushilin, Borodai, se ho capito bene, sono adesso a Mosca. Andrei Purgin è qui. Sono in atto negoziati con Mosca?
Igor Strelkov: Non posso commentare perché al momento sono coinvolto in questioni puramente militari.
Giornalista: Ok, va bene. Grazie. Chiederemo ora a Katya Mikhailova di invitare i rappresentanti della Repubblica che abbiano le competenze necessarie per rispondere a queste domande.
Incidenti con i Miliziani a Donetsk
Igor Strelkov: vorrei aggiungere una cosa, poche parole. Purtroppo, e non voglio nasconderlo, l'arrivo a Donetsk di un numero consistente di miliziani, molti dei quali è rimasto nelle trincee per settimane, ha portato a diversi incidenti. Fortunatamente, nessuno si è fatto male.
Chiedo per cortesia ai residenti di Donetsk di essere comprensivi con le persone appena arrivate che hanno patito grave stress e pericoli mortali per settimane e mesi.
Ad esempio, il battaglione Semyonovka ha avuto 20 uomini uccisi o feriti in un giorno. Erano principalmente feriti, ovviamente. La milizia è stata sottoposta a massicci bombardamenti con armi chimiche, cariche incendiarie, munizioni a grappolo, nonché tiri di artiglieria di calibro pesante.
Non tutti i combattenti hanno dimostrato di essere pronti ad arrivare in una città assolutamente pacifica, dopo le fatiche delle trincee e l'esperienza a Slavyansk e Kramatorsk, distrutte e bombardate in continuazione.
Non tutti hanno reagito adeguatamente a questo brusco cambiamento di condizioni. E ci sono stati casi in cui i combattenti hanno avuto comportamenti scorretti verso i residenti della città. O qualcuno può aver immaginato che tutto è ora loro consentito, dal momento che sono eroi. Beh, è vero; sono eroi che tengono le loro posizioni anche sotto un bombardamento.
Alcuni si sono sentiti oltraggiati. Ma ripeto che non ci sono state vittime e nessuno ha subito gravi danni da queste azioni. Ancora una volta mi scuso per questi incidenti e desidero rassicurarvi che il comando della Milizia tratta questioni come queste molto duramente. Incidenti come questi dimostrano mancanza di disciplina.
Inoltre, l'alcol è proibito nella Milizia. Questo regola c'era già a Slavyansk, e continueremo ad applicarla anche qui. Combatteremo ogni indisciplina nel modo più duro possibile.
Devo aggiungere inoltre che, in tempo di guerra, puniremo più severamente le infrazioni di natura criminale. Solo infrazioni gravi, naturalmente. Tutto il resto non rientra nelle nostre responsabilità.
Le persone che commettono atti criminali gravi nelle nostre retrovie operative saranno sottoposte ai tribunali militari da campo. Inoltre, se ho capito bene, ci sono molte persone instabili qui che cercano di approfittare della crisi temporanea. L'esercito, naturalmente, prenderà tutte le misure necessarie per mantenere l'ordine. Non piacerà a qualcuno, ma non c'è altro modo.
Giornalista: Penso che abbiamo chiarito le questioni chiave. Non vogliamo trattenere Igor Ivanovich più a lungo. Ha un sacco di lavoro da fare. Grazie mille.
https://www.youtube.com/watch?v=a0kqTrTjc1c
https://www.youtube.com/watch?v=zU30wrLrX-Y
https://www.youtube.com/watch?v=BfmjjR1Y04A
Canale Primo Repubblicano (DPR, Repubblica Popolare Donetsk)
Da vineyardsaker
La Associazione dei liberi pensatori tedeschi sulla crisi in Ucraina
Associazione dei liberi pensatori tedeschi | milosevic.co - resistir.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
08/06/2014
Dal colpo di stato in Ucraina del 22 febbraio 2014 e, in particolare, a seguito degli sviluppi nella penisola di Crimea sul Mar Nero, è iniziata a circolare sui media negli Usa e nei paesi della Nato e dell'Ue, una campagna politica che accusa istericamente la Russia e in particolare il presidente russo, Vladimir Putin, di una sconsiderata politica di potenza e di "rubare la terra" in violazione del diritto internazionale. L'incorporazione della Crimea nella Federazione russa è stata bollata dai principali governi della Nato come una "annessione in violazione del diritto internazionale".
Con questa campagna, il vero carattere della crisi in Ucraina è camuffato da una manovra anti-russa e gli ulteriori atti ostili nei confronti della Federazione russa devono essere preparati psicologicamente.
Si tratta sorprendentemente di quei paesi che hanno fino ad ora continuamente violato il diritto internazionale, come nel caso dell'attacco alla Repubblica Federale di Jugoslavia nel 1999, dell'invasione dell'Afghanistan nel 2001 e di quella dell'Iraq nel 2003, con il riconoscimento della sovranità del Kosovo nel 2008, e che usano evidentemente un doppio standard quando si tratta di giudicare le azioni russe.
Quelle stesse persone che vorrebbero farci credere che gli interessi di sicurezza della Germania sono stati difesi nel lontano Afghanistan, negano alla Russia il diritto di occuparsi dei suoi insindacabili interessi di sicurezza nelle sue immediate vicinanze. E questo anche in considerazione della notevole differenza tra la difesa degli interessi tedeschi in Afghanistan, dove una volta il generale Klein ordinò il massacro di più di 100 civili [riferimento al bombardamento Usa, su richiesta tedesca, di Kunduz, nell'Afghanistan settentrionale, nel 2009, ndt], e la Crimea che si unisce alla Federazione russa senza un solo atto violento da parte della Russia e in completo accordo con una larga maggioranza della popolazione della Crimea.
Quelle stesse persone che hanno riconosciuto il Kosovo sulla base di una dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte del governo provinciale contro la volontà del legittimo governo centrale in Serbia, negano alla Federazione russa il diritto di tradurre in realtà il desiderio di unione della popolazione di Crimea, un desiderio espresso attraverso un referendum con un risultato che parla da sé, in un momento in cui non esiste un governo centrale legittimo in Ucraina.
La sovranità dell'Ucraina violata attraverso un putsch ispirato dalla Nato
Gli argomenti che dovrebbero dimostrare che la Russia ha violato il diritto internazionale si basano astrattamente sulla premessa che la Russia, di punto in bianco, ha diviso una parte di uno stato sovrano. Quanto realmente accaduto in Ucraina, però, è che il governo di Kiev, formato legalmente e riconosciuto a livello internazionale, è stato abbattuto da un colpo di stato violento. Le forze fedeli alla Nato hanno sostenuto questo atto di violenza attraverso vari canali. Il cosiddetto "capo del governo ad interim", Arseniy Yatseniuk, è un noto collaboratore della Nato.
Ciò ha costituito una aggressione mistificata della Nato contro l'Ucraina. Fin dall'inizio, era chiaro che il governo golpista non aveva alcun controllo su gran parte del paese. Tuttavia, ne è stato subito riconosciuto come legittimo rappresentante dagli Stati Uniti, dai paesi membri della Nato e dell'Ue. L'integrità e la sovranità territoriale dell'Ucraina è stata violata dai governi della Nato.
Per questo sono stati in realtà gli Usa, i paesi Nato e dell'Ue ad avere in questo modo portato una parte dell'Ucraina sotto la loro influenza in violazione del diritto internazionale e della costituzione ucraina. Nessuno ha eletto il cosiddetto "governo ad interim" di Kiev. E' stato messo lì al posto del vecchio governo nazionale attraverso mezzi illegali e violenti. L'Ue ha immediatamente concluso la prima parte di un accordo di associazione con i leader del colpo di stato - un trattato in linea con il diritto internazionale, che include anche la "integrazione" dell'Ucraina nelle strutture militari dell'Ue. E questo anche se parti del paese sono ancora controllate dai precedenti organi legittimi dello stato. In realtà, questo significa che i paesi occidentali menzionati hanno sostanzialmente separato l'ovest dell'Ucraina dal resto del paese. Sono questi che in realtà hanno "creato i fatti", un'accusa che incessantemente rivolgono contro la Russia.
In queste circostanze, non si può parlare di annessione, nel caso dell'integrazione della Crimea nella Federazione russa. Essa riflette l'atto volontario di unire la Russia con la parte restante sovrana dell'Ucraina. Dopo il putsch, la Crimea era l'unica parte del paese in cui c'era ancora diritto e ordine senza restrizioni. Poiché dopo gli eventi di Kiev, sia la popolazione della Crimea che gli interessi strategici della Russia nel Mar Nero erano in pericolo, è stato necessario agire in fretta. La consultazione con i "partner" occidentali era fuori questione in quanto questi avevano già, senza considerazione per la Russia e il popolo ucraino, sostenuto il colpo di stato rifiutando ogni dialogo e riconosciuto il governo golpista, spingendo quindi la Crimea e la Russia ad agire.
Se la Crimea non avevesse aderito alla Federazione russa, allora, come ha detto il presidente Putin il 18 marzo 2014, "la flotta della Nato sarebbe apparsa a Sebastopoli, la città della gloria russa; cosa che non sarebbe stato un vago pericolo, ma un pericolo molto concreto per tutto il sud della Russia".
L'affermazione che la Crimea abbia aderito alla Russia dopo una "invasione" russa si è rivelata essere una menzogna. E' un fatto noto che la Flotta russa del Mar Nero era di stanza a Sebastopoli, in conformità al trattato in vigore tra Russia e Ucraina e che alla Russia era permesso di mantenere 25.000 soldati di stanza in Crimea. Non ci sono prove che confermino che questo numero sia stato superato dopo il putsch a Kiev e inoltre la Russia nega queste affermazioni.
Il fatto più importante è, tuttavia, che i soldati russi non solo erano in Crimea legalmente, ma anche con il consenso delle autorità regionali e il desiderio palese della popolazione, e hanno mantenuto un atteggiamento del tutto pacifico. Durante la presunta "invasione russa" non c'è stato alcun atto di violenza, né un tentativo di provocazione del nemico, segno di quanto siano stretti i legami con la Russia tra la popolazione di Crimea.
Anche le forze di autodifesa della Repubblica Autonoma di Crimea sono state utilizzate come ulteriore segno di una "invasione russa". Subito dopo il colpo di stato a Kiev, avevano preso posizione di fronte agli edifici pubblici e alle strutture militari con il chiaro intento di difendere il diritto costituzionale contro i sostenitori del putsch. Poiché indossavano uniformi "senza distintivo di identificazione", per l'Occidente era chiaro che dovevano essere soldati russi. Per contro, i "manifestanti di Maidan" a Kiev, che in maggioranza indossavano anche loro uniformi senza distintivo di identificazione, non sono stati identificati come soldati della Nato.
La Russia ha sottolineato di non aver avuto alcun comando sulle forze di autodifesa della Crimea. La differenza principale, tuttavia, è che loro agivano in pieno accordo con la grande maggioranza della popolazione per tutelare il diritto costituzionale e non, come fatto dai teppisti a Kiev, per infrangerlo. Si tratta di un eccellente esempio della doppiezza dei nostri media-canaglia che celebrano il golpe sanguinoso a Kiev come una svolta per la democrazia e allo stesso tempo presentando la tutela puramente passiva degli organi statali in Crimea come un intervento russo.
Il diritto internazionale: Crimea e Kosovo-Metohija
Dalla Jugoslavia alla Siria, gli Usa/Nato/Ue hanno condotto guerre continue e sempre nel flagrante disprezzo e violazione del diritto internazionale. Ed ora improvvisamente si ergono a protettori del diritto internazionale e invocano ripetutamente "l'integrità territoriale dell'Ucraina".
L'Associazione dei liberi pensatori tedeschi ha sempre indicato nella difesa del diritto internazionale il compito più importante del movimento contro la guerra e continua a farlo anche per quanto riguarda l'apparente cambiamento di ruolo dei guerrafondai della Nato. Mentre l'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder ha francamente ammesso nel frattempo che con l'aggressione della Nato alla Jugoslavia nel 1999, si è violato il diritto internazionale (anche se deve ancora acconsentire volontariamente ad azioni legali contro se stesso), la maggior parte dei commentatori insiste ancora nel dire che la Nato "ha fatto la cosa giusta" in Kosovo - un argomento su cui la Russia ai loro occhi non può contare vista la situazione completamente diversa in Crimea.
Infatti, i due casi sono completamente diversi, ma esattamente per le ragioni opposte rispetto a quello che sostengono i guerrafondai. E' essenzialmente vero che il diritto internazionale non vieta la secessione o una dichiarazione di indipendenza. A questo proposito, Vladimir Putin, nel suo discorso del 18 marzo 2014, cita il memorandum Usa del 17 aprile 2009 alla Corte internazionale di giustizia sul Kosovo: "Le dichiarazioni di indipendenza possono, come spesso è il caso, violare il diritto interno. Ma questo non significa che attraverso questo si violi il diritto internazionale".
Considerando che il diritto internazionale valuta la secessione come un affare interno allo stato, non consente ad alcun gruppo di separarsi dallo stato originale senza il suo accordo. Tuttavia, a seguito dell'aggressione straniera contro l'Ucraina, non era rimasta alcuna autorità ucraina legittima e funzionante in grado di contestare l'unione de
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Resoconto dell'iniziativa - Edizione 2014
anche quest’anno speriamo farvi cosa gradita con un breve resoconto dell’iniziativa di ospitalità estiva dei bambini di “nA More con AMore”. Gli studenti della scuola “Sveti Sava” di Jasenovik sono tornati alle loro famiglie, presso i villaggi delle aree di Novo Brdo nel territorio del Kosovo.
Dopo una settimana piena di soggiorno in Italia, il 2 luglio scorso all’aeroporto di Roma Fiumicino, abbiamo accompagnato Jovana, Katarina, Aleksandra, Marija, Ivana, Nevena, Nikola, Miloš e Valentina. Quest’anno la mascotte nel gruppo è stata Nevena, di soli 8 anni, sorella di Nikola. Nel salutarla, abbiamo sentito cara l’immagine di questa piccola, timida ma caparbia bambina, che si è impegnata come non mai, per vincere la sua forte paura iniziale del grande e fascinoso mare; paura a cui non ha fortunatamente ceduto, godendosi alla fine il suo gioco, il suo beneficio e liberando finalmente il suo sorriso…
La settimana è stata di buon tempo, il cielo ci ha avvicinato qualche nuvolone, ma velocemente se lo è portato via. La comunità di Santa Severa ed i suoi esercenti ci hanno sostenuto, per ridurre al minimo le spese, e noi siamo contenti di poterlo ribadire.
I bambini hanno svolto soprattutto attività in spiaggia, interminabili bagni in mezzo alle generose onde del mare di Santa Severa, con alle spalle il suggestivo castello dell’area Pyrgi, ed i suoi bellissimi tramonti. Nel fine settimana il gruppo si è spostato a visitare Roma, un po’ imbavagliata dai lavori di restauro, persino Fontana di Trevi ci ha lasciati a bocca… asciutta! Però il passaggio alla mostra sulla liberazione di Roma dal Fascismo (’43-’44), all’interno del Vittoriano, è stato molto apprezzato dai ragazzini, nonostante la loro giovane età. Il nostro esperto Andrea Martocchia e la loro insegnante Valentina Ristić hanno saputo stimolare la loro curiosità. Ma la prima accoglienza in città è stata …. Serba! Essendo il 28 giugno, abbiamo festeggiato Vidovdan presso la Chiesa Russa Ortodossa di Santa Caterina a Roma, accolti per il pranzo tradizionale ed ospitati dall’associazione “Sveti Sava”. Vidovdan è un giorno speciale per la tradizione serba, religiosa e laica, in memoria della storica battaglia di Kosovo Polje del XIV secolo, in cui si intrecciano storia, mitologia ed arte, della cultura Serba e Turca. In realtà il 28 giugno ricorrono molti altri importanti avvenimenti politici jugoslavi e dell’Europa, legati alle guerre mondiali ed ai bombardamenti NATO del ‘99. E’ piaciuto molto anche il Castello di Bracciano ed il suo lago panoramico, che è stato raggiunto attraverso una bella passeggiata serale nel bosco. E poi molto apprezzata è stata la scogliera di Santa Marinella, dove Nevena ha fatto finalmente la sua prima “immersione” integrale nell’acqua di mare. I giorni sono trascorsi veloci, ma l’intensità e la serenità di molti momenti sono state assaporate con una appagante lentezza, fino al saluto della partenza, con l’immancabile caro “vidimo se uskoro!”.
Anche questa edizione dell’iniziativa è stata realizzata in collaborazione con le associazioni Non bombe ma solo caramelle Onlus, CNJ – Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia Onlus e la Scuola Primaria "Sveti Sava" del villaggio Jasenovik (Novo Brdo). Le pratiche organizzative e di autorizzazione sono state svolte in collaborazione con: il Comitato Minori Stranieri – Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; l’Ufficio Visti dell’Ambasciata Italiana di Pristina, la compagnia aerea Air-Serbia; l’Istituto di Assicurazione Consorzio Caes - Assimoco Italia.
Le spese sostenute, per un totale di 2.103 euro, hanno riguardato: visto di ingresso, biglietti aereo, trasferimento pullman A/R Jasenovik- Belgrado, assicurazione per infortunio e responsabilità civile, trasferimento A/R Santa Severa/Roma per gita (treno e bus), servizio stabilimento spiaggia in Santa Severa, visita guidata al Castello di Bracciano, parcheggio all’aeroporto di Fiumicino (causa ritardo di 3 ore del volo da Belgrado).
per le sottoscrizioni:
Associazione Zastava Brescia onlus, Tiziana Cerasoli, Simonetta Granato, Roberta Fortuna, Andrea Martocchia, Giovanni Modica, Stefano Peciarolo, Luana Proietti, Angelo Reali, I Beatles a Roma e tutti i sottoscrittori dell’evento del 24 maggio a Bracciano, Francesca Sellari, Simonetta Seromanni, Zivkica Nedanovska Stankovski, Marcella Simonelli, Angela Taverniti, Alberto Tarozzi, Gilberto Vlaic, Josie Platania;
per l’alloggio, per alcuni trasferimenti, per il vitto, per la guida turistica, per l’ospitalità a Bracciano, per l’Ospitalità presso la Chiesa Ortodossa di Santa Caterina a Roma, per gli interpreti:
Dragan Popović, Vesna Stojaković, Annamaria Cappelli, Augusto Mengarelli, Stefano Mattozzi, Sonja Rakić, Svetlana Rakić, Tanja Vuković, Samantha Mengarelli, Carlo Lo Giudice, Fabrizio Scandone (ed il gruppo del mercoledì!), Andrea Martocchia, Luana Proietti, Roberto Felicetti, Sandro Ciorciolini, l'alimentari panificio Fracassa Galli & C. snc, la pizzeria L'Angolo delle Crepes di G. Amici e S. Lobascio, il ristorante l’Angoletto, la gelateria artigianale di Roma “La Dolce Vita”, lo stabilimento Lido, l’associazione della comunità serba-ortodossa “Sveti Sava” di Roma.
I fondi raccolti e non spesi verranno utilizzati, come preannunciato, in parte per gli interventi già stabiliti per scuole nella Repubblica Serba di Bosnia colpite dall’alluvione, ed in parte per future iniziative di solidarietà di cui vi terremo informati.
Ringraziamo sempre Valentina Ristić, insegnante e accompagnatrice del gruppo ma quest’anno, un ringraziamento particolare è dovuto ad Andrea Dardi, che ci ha supportati nei difficili rapporti procedurali con l’Ambasciata Italiana di Pristina ed alle Sig.re Djurdja Darazi e Zorica Mihajlović dipendenti storiche della ex Jat Airways (ora Air Serbia) la cui disponibilità, professionalità ed umanità nel risolvere alcuni imprevisti, sono state veramente degne di lode, rare a trovarsi, nelle compagnie aeree di oggi.
E poi cos’altro dire? È sempre molto difficile descrivere le emozioni e le reazioni degli altri. I bambini poi sono disarmanti, tentare di raccontarli è forse presuntuoso e soprattutto molto delicato. Una cosa però la si può dire, senza indugio e senza fargli alcun torto: ma quanto hanno mangiato! come una squadra di pallanuoto. E naturalmente ne siamo rimasti tutti estremamente soddisfatti e contenti, ed un premio speciale va di sicuro alle crostate con farina di farro ed albicocche fresche di Vesna, ai paccheri ripieni con burrata, limone e pomodorini di Annamaria ed alla torta ripiena di creme di Sonja e Ceca.
Perciò per chi vuole, racconti e foto potrete trovarle su questa pagina, per questa esperienza che si arricchisce sempre di più, di partecipazione e di storie importanti, che vogliamo dedicare a due donne, mamme ed amiche, che non ci sono più e che hanno ispirato “nA More con AMore”, Fiore ed Anna Maria, creature del mare. Vi salutiamo tutti e speriamo di ritrovarci nuovamente per questa iniziativa.
(da: nA More con AMore, prima edizione)
A cura di Samantha Mengarelli
Foto scattate da: Andrea Martocchia, Stefano Mattozzi, Samantha Mengarelli, Dragan Popović, Dušan Ristić e Valentina Ristić
http://contropiano.org/politica/item/25248-le-favole-de-l-unita-contro-i-palestinesi
Fare propaganda invece di giornalismo. Specie in tempi di guerra diventa così normale che nessuno se ne accorge più. A meno che non abbia l'attenzione e la tenacia di una attivista solidale e impegnata come nel caso che segnaliamo.
La ragione strutturale è semplice da capire: se vivi “dentro” un sistema che consideri la tua normalità, difficilmente puoi renderti conto di quanto deformante sia il filtro posto agli eventi che avvengono “fuori”. E la guerra – in Palestina come in Ucraina, in Siria come in Libia o in Iraq, per noi “fortunati” europei è per il momento “fuori” (sembra passato un secolo da quando c'eravamo quasi “dentro”, tra Bosnia, Serbia e Kosovo).
Deve essere per questo che molti giornali e supposti giornalisti tendono a riciclare sempre lo stesso “pezzo”, fiduciosi nel fatto che illettore non ci può fare caso, sommerso com'è da informazione tutta uguale, seriale, embedded senza più nemmeno la necessità che un Minculpop ti venga a censurare l'articolo prima della pubblicazione. Ormai la censura fa parte del software che muove la testa di chi scrive sulla stampa mainstream. E la realtà non conto, l'unico problema è “come raccontarla”. Ma dopo un po' la fantasia si esaurisce. E ci si ripete.
L'infortunio occorso a Umberto De Giovannangeli, inviato de l'Unità, è però davvero singolare. A forza di recarsi in Israele per raccontare l'ennesimo massacro a Gaza, sempre tornando a Sderot (anche la location scelta deve avere la sua importanza, per la ripetitività), ci racconta sempre la stessa storia. Un po' come la nonnina quando ci raccontava le favole per farci addormentare.
La favola che ci racconta De Giovannageli è commovente. È la favola della bambina israeliana Tahal Pfeffer, 4 anni, che quando torna a casa dall'asilo si accuccia sotto il tavolo. Si è abituata a fare così per colpa di quei cattivissimi palestinesi che da Gaza lanciano i terribili razzi Qassam. A forza di vivere così, ha sviluppato una sindrome psicologica che ha un nome preciso - SPT (Sindrome Post-Traumatica) - comune ad oltre la metà degli abitanti della cittadina ai confini di Gaza.
Vi siete commossi anche voi, ammettetelo. Una bambina è il simbolo stesso dell'innocenza, impossibile restare impassibili.
Il problema più grave di questa bambina, però, è che non cresce. Un autentico Peter Pan, che ha sempre quattro anni, anche a distanza di sette anni. Leggiamo:
Quando Tahal Pfeffer, 4 anni, torna a casa dall'asilo, si accuccia sotto il tavolo della cucina e lì rimane. Quando Tahal ha cominciato a comportarsi così, circa sei mesi fa, sua madre Ofra ha pensato che si trattasse di un gioco. Tuttavia dopo averla incoraggiata a parlarne, Ofra si è resa conto che questo era il modo escogitato dalla figlia per controllare lo stress causato dall’allarme sicurezza all’ombra del quale la bambina ha vissuto gran parte della sua giovane vita: i razzi Qassam che cadono su Sderot, il rumore dell'artiglieria israeliana che fa fuoco su Gaza e i boom supersonici provocati dagli aerei dell’aviazione militare dello Stato ebraico. Tahal trasale al minimo rumore, così come fa Yaakov, suo fratello maggiore, sette anni: dallo squillo di un campanello ad uno sbattere delle porte. Quando parte la sirena dell’allarme «Treva Adom», il segnale che un Qassam è in avvicinamento, i bambini si bloccano immediatamente. Se accade di notte, corrono immediatamente nel letto della madre. Sono smarriti, impauriti, emotivamente destabilizzati. La vita a Sderot è una roulette russa: passano nemmeno trenta secondi dall’avvistamento del razzo al suo impatto. Trenta secondi per cercare un rifugio, per evitare di essere intrappolato nelle macerie di un palazzo centrato dai missili palestinesi. La scansione della quotidianità a Sderot è segnata dalla paura. E dal dolore. Anche questo è inferno.
L'Unità, 11 luglio 2014, Umberto De Giovannangeli
La cronaca di questi giorni convulsi. De Giovannangeli ce la consegna con trasporto e commozione (un po' a senso unico, è vero, ma che volete farci, lui è di casa a Sderot, mica a Gaza), attraverso lo spavento di Tahal, appena quattro anni. Esattamente quanti ne aveva nel 2007, in quest'altro (si fa per dire) articolo dello stesso De Giovannangeli per lo stesso giornale:
Quando Tahal Pfeffer, 4 anni, torna a casa dall'asilo, si accuccia sotto il tavolo della cucina e lì rimane. Quando Tahal ha cominciato a comportarsi così, circa sei mesi fa, sua madre Ofra ha pensato che si trattasse di un gioco. Tuttavia dopo averla incoraggiata a parlarne, Ofra si è resa conto che questo era il modo escogitato dalla figlia per controllare lo stress causato dall'allarme sicurezza all'ombra del quale la piccola Tahal ha vissuto gran parte della sua giovane vita: i razzi Qassam che cadono su Sderot, il rumore dell'artiglieria israeliana che fa fuoco su Gaza e i boom supersonici provocati dagli aerei dell'aviazione militare dello Stato ebraico. La famiglia Pfeffer non costituisce un caso isolato. Un recente sondaggio, condotto a Sderot su un campione di 150 famiglie con bambini piccoli, ha evidenziato che il 54% dei genitori e/o dei bambini soffre di SPT (Sindrome Post-Traumatica) Tahal trasale al minimo rumore, così come fa Yaakov, suo fratello maggiore, sette anni: dallo squillo di un campanello ad uno sbattere delle porte.
L'Unità, pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 12) nella sezione "Esteri", 2 June 2007
Il tempo si è fermato, nulla cambia, chiamate Renzi! Vien quasi da pensare che i tanti piccoli Ahmed o Mohammed, le piccole Amina o con qualsiasi altro nome, al di là del confine, in quel paradiso a cielo aperto che è Gaza, siano più fortunati. Loro muoiono prima di sbocciare alla vita, non hanno tempo per contrarre alcuna sindrome psicologica.
Povero Gramsci, che fogna hanno fatto del tuo giornale!
qui l'articolo del 2007:
e qui quello di oggi:
http://www.militant-blog.org/?p=10921
Guardatela bene questa prima pagina del Corriere della Sera di ieri, giovedì 10 luglio [ http://www.militant-blog.org/wp-content/uploads/2014/07/IMG_1865.jpg ]. Non è nè ingenua nè approssimativa, tantomeno ricerca una finta equidistanza. E’ una pagina apertamente schierata, ma nella maniera intelligente, pervicace, strisciante, che lascia spazio a interpretazioni mettendo a segno tutti gli obiettivi politici che si propone. Che confluiscono tutti, in buona sostanza, nell’orientamento dell’opinione pubblica volto a giustificare, in questo caso, la politica di guerra israeliana in Palestina.
Dopo giorni di guerra e più di cento palestinesi morti sia a Gaza che in Cisgiordania (gli unici morti di questa aggressione) il titolo è costruito attorno ad un controsenso fuorviante: è Israele che chiede ad Hamas di fermarsi. Automaticamente, il lettore medio, poco informato, che molte volte non va al di là del titolo e che costituisce la stragrande maggioranza dei lettori di quotidiani, sarà portato a credere come sia Hamas, cioè la Palestina, che sta attaccando Israele, e non il contrario come effettivamente sta avvenendo. Nell’occhiello sopra il titolo, poi, l’apoteosi: “Ancora razzi sulla città. Peres: basta lanci o siamo pronti all’invasione”, rafforzando il concetto inesistente che siano i palestinesi a bombardare Israele e non il contrario, e come Israele stia tentando in tutti i modi di evitare un’aggressione che, se ci sarà, sarà determinata esclusivamente dall’atteggiamento palestinese. Nel sottotitolo continua l’opera di ri-costruzione ideologica dell’evento: “A Gaza 50 morti. Gli integralisti: puntiamo alla centrale nucleare”. L’unica concessione a ciò che sta accadendo realmente in Palestina sarebbe quel riferimento ai morti di Gaza. Messa così, però, è a dir poco fuorviante. Al di là dei morti, che in questi tre giorni hanno superato quota cento, nessuno specifica che i morti sono solo palestinesi, e il lettore medio di cui sopra, quello che non ha un’idea chiara di dove sia Gaza e soprattutto da chi sia amministrata, sarà portato a credere che i morti siano di ambedue le parti, avvalorando l’ipotesi della guerra fra due Stati o due popoli e non quella dell’aggressione unilaterale, come effettivamente sta avvenendo. Per completare l’opera di revisione della realtà, il piccolo trafiletto messo a spiegazione del titolo. Ecco un passaggio significativo: “Gli attacchi sulla Striscia hanno provocato almeno 50 morti, mentre su Israele sono stati lanciati 220 razzi, anche a lunga gittata”. Anche qui l’equiparazione delle responsabilità in campo è assolutamente sviante. I “220 razzi palestinesi” non hanno provocato neanche un ferito israeliano. E questo non per la temibile difesa anti-missile dello Stato ebraico, ma per l’assoluta inutilità dei cosiddetti razzi palestinesi, che finiscono tutti nelle campagne alle periferie delle città più prossime alla striscia di Gaza. Tutto questo viene paragonato ai cinquanta morti palestinesi, in un gioco a somma zero dove l’aggredito viene scambiato per l’aggressore.
Non è da meno Repubblica [ http://www.militant-blog.org/wp-content/uploads/2014/07/repubblica.jpg ], a conferma della sostanziale unità d’intenti e di visione politica fra i due giornali, artificialmente contrapposti da chi ha interesse a conservare quote di lettori inebediti dal voyeurismo anti-berlusconiano. Anche per il giornale di De Benedetti il problema sono “i razzi di Hamas”, che starebbero nientemento sfiorando delle centrali nucleari. Nessuno che ponga l’accento sui morti palestinesi, gli unici morti di questa aggressione. Anche qui è Israele, per bocca di Peres, che “chiede ai palestinesi di fermarsi”. Altrimenti, con la morte nel cuore e avendo avuto cura di ricercare tutte le possibili mediazioni, sembrano dirci i dirigenti sionisti, “saremo costretti ad invadervi”. Non volevamo, ma ci avete provocato ripetutamente, non possiamo farne a meno. L’idea generale che producono questi titoli e questa visione della storia nel “lettoremedio” è facilmente intuibile, e infatti fortemente ricercata. Poco importa che a pagina 16 poi verrà stilata una rassegna dei fatti “più equilibrata”, dove al resoconto giornalistico verrà affiancato il commento di qualche arabo per pareggiare la versione sionista: il gioco è fatto, e per la formazione dell’opinione pubblica un titolo di giornale in prima pagina è più importante di cento commentatori arabi nelle pagine interne. Questo gli editorialisti e i loro mandanti lo sanno bene, e continuano a giocare su questo fatto. Entrando ieri nella redazione del “giornale” gratuito “Metro”, la prima risposta del direttore è stata appunto questa: “ma io il giorno dopo, nella risposta ad una lettera a pagina 8, dicevo che c’erano anche i morti palestinesi da piangere, non solo quelli israeliani”. Non crediamo ci sia bisogno di aggiungere altro.
Chiudiamo questa breve rassegna del giornalismo filo-sionista con questa pagina, sempre del Corriere della Sera ma del giorno prima, mercoledì 9 luglio [ http://www.militant-blog.org/wp-content/uploads/2014/07/IMG_1866.jpg ]. Nell’introduzione del pezzo di Davide Frattini, ecco apparire un’altro dei metodi di svilimento della controparte palestinese volta alla costruzione di una empatia (e di una sim-patia) verso la causa israeliana. “E’ guerra tra Israele e Hamas”. Questo modo di riportare la notizia, fintamente equidistante, in realtà cela già la scelta di campo, e mira ad influenzare non tanto il lettore cosciente, ma quello appunto medio. Da una parte c’è uno Stato, magari criticabile ma formato da istituzioni credibili e riconoscibili, Israele. Dall’altra non c’è la Palestina o i palestinesi, ma Hamas. E Hamas non viene descritta come il legittimo, ancorchè criticabile, governo di una parte del territorio palestinese, ma “la fazione palestinese al potere a Gaza”. Il proseguo del pezzo è un capolavoro d’arringa politica mascherato da giornalismo: “Il sistema missilistico difensivo dello Stato ebraico ha evitato che Gerusalemme e Tel Aviv fossero raggiunte dai razzi lanciati dalla Striscia, colpita a sua volta: 19 i morti”. Dunque, i razzi palestinesi non hanno prodotto alcun morto, nè feriti, nè alcun danno a edifici, mentre l’attacco israeliano ha fatto 19 morti. A nessuno viene in mente di descrivere quei razzi palestinesi come la risposta ad un attacco, quello israeliano, che continua a mietere vittime. L’attacco è sempre e solo quello palestinese, la risposta sempre e solo quella israeliana. Avremmo mai potuto leggere questa stessa notizia messa in questo modo: “E’ guerra tra la Palestina e Likud, la fazione israeliana al potere a Tel Aviv. Colpita la Palestina con 19 morti, mentre a Tel Aviv il sistema missilistico difensivo della fazione israeliana ha evitato che Gerusalemme e Tel Aviv fossero raggiunte dai razzi lanciati dalla Palestina” ? No, sarebbe impossibile, perchè prevederebbe un giornalismo anti-sionista (e non anti-israeliano, come vorrebbero farci credere i commentatori sionisti). E questa visione del mondo, che nei fatti della Palestina è così semplice smontare, viene ripetuta per ogni altro evento di politica internazionale. Il racconto mediatico di determinati fatti avviene sempre da un punto di vista politico. Quello dei due giornali menzionati è il punto di vista sionista, imperialista, neoliberista, tanto nel racconto del conflitto arabo-israeliano quanto nella narrazione di tutti gli altri fatti di politica internazionale. E’ sempre bene tenerlo a mente.
C’è Netanyahu dietro il rapimento dei 3 studenti
11 luglio 2014
Il Mossad sapeva del sequestro una settimana prima. Il governo sapeva che i tre erano morti due settimane prima dell’annuncio. Un ex Mossad: «C’è la mano dei miei ex colleghi»
di Franco Fracassi
E se il rapimento dei tre ragazzi israeliani fosse stato una messa in scena? «Gli ultimi sulla terra a volere una pacificazione tra Israele e Palestina sono i vertici dell’Idf (le forze armate israeliane), quelli del Mossad e dello Shin Bet (i servizi segreti israeliani) e il governo Netanyahu. State pur certi che faranno di tutto per impedire che la pace si intraveda anche solo in lontananza. Di tutto. Senza limiti, né vergogna». Victor Ostrovsky dal Mossad se n’è andato disgustato. È stato per anni un agente del servizio segreto. «Poi ho capito che non stavo proteggendo Israele e gli israeliani. Bensì i veri nemici del mio Paese. Benjamin Netanyahu è in cima alla lista dei cattivi». Ostrovsky ha detto a Popoff: «Dico una cosa che forse vi scioccherà. Dietro il rapimento dei tre ragazzi c’è la mano dei miei ex colleghi».
Il primo luglio il governo israeliano ha rimosso l’ordine che prevedeva la riservatezza su tutte le informazioni sul rapimento. In Israele in tanti non hanno creduto alla versione ufficiale. E così molti giornali hanno iniziato a indagare. Ecco che cosa è emerso.
Scrive il quotidiano israeliano “Ha’aretz”: «Il 5 giugno ha avuto luogo una riunione straordinaria nell’ufficio del ministro dell’Interno. Il capo del Mossad Tamir Pardo ha detto ai presenti: “Non dovete assolutamente approvare la legge che dà al governo la possibilità di scambiare terroristi condannati per omicidio. Questa legge avrà come conseguenza la riduzione del campo d’azione del governo in caso di rapimenti”. Pardo si è poi rivolto al ministro dell’Economia Naftali Bennet: “Immagini uno scenario che preveda il rapimento di tre adolescenti israeliani. Che cosa farebbe lei se tre quattordicenni venissero rapite da un insediamento tra una settimana? Che cosa ci farete con quella legge?».
L’8 giugno la legge è stata approvata. Il 12 Gilad Shaar (sedici anni) della colonia di Talmon, Naftali Frenkel (sedici) del villaggio di Nof Ayalon sulla “linea verde” ed Elad Yifrach (diciannove) di Elad, nei pressi di Petah Tikva scompaiono nel nulla. È passata esattamente una settimana dal discorso di Pardo.
“Der Spiegel”: «Non c’è alcuna prova concreta che si tratti di Hamas». “Taz”: «Gli eventi sembrano essere fatti apposta per favorire il primo ministro israeliano». “Zürcher Tagesanzeiger”: «I rapimenti giovano a Netanyahu. Mentre non portano nessun vantaggio ad Hamas». “Israeli Today”: «Funzionari delle Nazioni Unite in Israele affermano che il rapimento potrebbe tranquillamente essere stato opera dello stesso Israele. La storia che sia stata Hamas non regge». Il canale tv tedesco “Deutschlandfunk” ha chiesto all’ambasciatore israeliano a Berlino: «Non esistono prove che coinvolgano Hamas nel rapimento. Non le pare un azzardo dire che sia stata Hamas?». L’attivista pacifista israeliano Gilad Atzmon ha dichiarato a “The Guardian”: «Non esistono prove sul fatto che i tre ragazzi siano stati rapiti. Più tempo passa e più appare chiaro che dietro c’è la mano dei nostri servizi segreti. Il motto del Mossad è: “Fai la guerra inducendo all’errore il nemico”. Questo sequestro è la migliore occasione che possa capitare a Netanyahu per bastonare brutalmente i dirigenti e i civili palestinesi».
Ma c’è dell’altro. “Ha’aretz” ha rivelato: «Il 15 giugno il governo israeliano aveva già informato la stampa di essere a conoscenza che gli studenti erano stati uccisi, ma aveva imposto la segretezza su questa informazione». Quindi, il governo doveva già sapere dove si trovavano i corpi, nonostante le ricerche siano continuate fino al 30 giugno, giorno del loro ritrovamento ufficiale. A che cosa sono serviti i quindici giorni di silenzio sulla morte dei tre studenti? Durante il sequestro la Knesset ha approvato una legge che blocca il ritorno di Gerusalemme Est ai palestinesi.
I giornali israeliani hanno pubblicato le registrazioni di una telefonata che uno dei tre studenti aveva fatto al numero verde della polizia, subito dopo aver accettato un passaggio in autostop. «Mi hanno rapito», ha urlato il ragazzo al telefono. Poi si odono spari e gemiti. Infine, il silenzio. Quarantanove secondi in tutto. La polizia ha ignorato questa chiamata.
La legge impone alla polizia di aprire un’indagine e di contattare la famiglia del rapito. Invece, le ricerche sono partite solo dopo che il padre del ragazzo ha chiamato a sua volta la polizia (sei ore dopo) per denunciarne la scomparsa, e dopo uno scambio di cinquantaquattro telefonate tra polizia, esercito, Mossad e Shin Bet.
«Due sono le possibilità. O bisogna accusare la polizia di aver violato la legge ignorando la telefonata. Oppure la chiamata è falsa. In questo caso va ricercato il colpevole e processarlo. La legge impone punizioni severe per chiunque sopra i dodici anni faccia false chiamate ai servizi di sicurezza. Oppure…», ha scritto “The Jewish Daily.
https://www.cnj.it/documentazione/ustascia1941.htm
Due anni fa era stato il patriarca ortodosso Ireneo ad auspicare una visita di papa Benedetto XVI in occasione delle celebrazioni del 2013 in occasione del 17° centenario dell’Editto di Milano. Nonostante il suo esplicito desiderio, la possibilità di una visita del papa in Serbia veniva giudicata abbastanza remota: il consenso dei vescovi non era unanime e non esisteva ancora il necessario supporto dei fedeli per formalizzare un invito. Da non sottovalutare poi il contesto politico-religioso dello stato di Serbia e i risvolti di violenza che una visita di un romano pontefice avrebbe potuto innescare e la persistenza di uno stato di rapporti alquanto tesi fra i serbi (ortodossi) e i croati (cattolici), le cui cause affondano le loro radici nel passato, benché esistessero già chiari segnali di distensione e riavvicinamento anche a livello politico.
Ora le cose sembrano decisamente cambiate in meglio e un invito a papa Francesco è stato inviato ufficialmente tramite mons. Dominique Manberti, segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati nei giorni scorsi in visita in Serbia, una terra che sta ricostruendo a fatica quanto distrutto dal drammatico alluvione del maggio scorso - uno dei più violenti degli ultimi decenni - con 33 vittime e oltre 15 mila sfollati.
Secondo quanto pubblicato dal quotidiano locale Politika sarebbero due le lettere affidate al prelato vaticano. La prima è quella del presidente serbo, Tomislav Nikolić, che ha partecipato di persona all’incontro bilaterale, dove i temi sul tappeto hanno spaziato dal riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo alla restituzione alle comunità religiose delle proprietà nazionalizzate. In quella stessa sede Nikolic, secondo quanto dichiarato al termine alla stampa, si sarebbe esplicitamente detto "felice di accogliere il capo della Chiesa cattolica romana, non appena fosse raggiunto un accordo sulla questione con la Chiesa ortodossa serba".
Alla missiva presidenziale si è aggiunta quella del patriarca ortodosso Irinej. Nonostante il contenuto resti sconosciuto, un’anticipazione è venuta dallo stesso patriarca che, nel corso di un’intervista a Politika, ha toccato il tema della canonizzazione del beato Alojzije Stepinac, sulla cui opportunità la chiesa serba non nasconde forti riserve, ma che è fortemente sostenuta dall’attuale cardinale di Zagabria e suo successore, Josip Bozanić. “Di certo non vediamo con favore il fatto che Stepinac possa diventare santo”, ha dichiarato il patriarca (che è pure in ottimi rapporti con Bozanić) che ha aggiunto “diventa santo una personalità che rifulga di chiara virtù e che sia considerato tale dagli stessi fedeli”.
Alojzije Viktor Stepinac è stato proclamato beato, come vescovo e martire, da Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1998. Di origini croate (era nato a Brezaric nel 1898), vescovo di Zagabria nel 1937, aveva attraversato il periodo del nazifascismo e la Guerra. Dal 1945 al 1951 venne incarcerato dal sotto il regime comunista di Tito e in seguito visse agli arresti domiciliari fino alla morte avvenuta per stenti nel 1960 (si parla anche di avvelenamento). Nel 1953 era stato creato cardinale da Pio XII, ma non poté recarsi a Roma, né partecipò al conclave del 1958 che elesse Giovanni XIII.
La sua figura, però, è ancora controversa e le accuse di collaborazionismo con i regimi totalitari nazifascisti – nella fattispecie con lo Stato fascista indipendente di Croazia di Ante Pavelić e i campi di sterminio per serbi, ebrei e rom – gli valse la condanna di quello comunista, peraltro anche per motivi di religiosi e di repressione in atto contro le chiese cristiane.
Autor Marinko Culic
14.7.2014. u 09:03
Bilo je samo pitanje vremena kada će se to dogoditi. Nakon što je poslije Tuđmanove smrti Katolička crkva postala jedan od glavnih, trenutno možda i glavni barjaktar nacionalističke i antikomunističke rekonkviste u Hrvatskoj, to se ovih dana prelilo i preko državnih granica. Povod je najavljena kanonizacija (proglašenje svetim) kardinala Alojzija Stepinca, na što su prosvjednim pismima reagirali državni vrh Srbije (Tomislav Nikolić) i vrh Srpske pravoslavne crkve. Ako se prvo pismo možda i može otpisati ili čak neotpečaćeno vratiti, jer dolazi s neprilične adrese četničkog vojvode, ovo drugo nikako se ne može. U njemu se elaborira vrlo argumentirano mišljenje srpskog patrijarha Irineja (Gavrilovića) iz jednog nedavnog intervjua, u kojem je on kazao da je proglašenje Stepinca svetim promašeno ako ga svetim ne vide i drugi kršćani. A pravoslavni vjernici ga takvim ne vide.
Na Kaptolu još nema reagiranja na ovaj prosvjed iz Beogradske patrijaršije, iako je u njemu otvoreno mnogo više od kompromitirane ili, najblaže rečeno, sporne Stepinčeve biografije iz vremena Drugog svjetskog rata i nakon njega. To je smiju li se kršćanske i druge konfesije s ovih prostora ponašati tako da svaka drži kao do svete vodice samo do svoje memorije, a da memorije drugih tretira kao nešto bezvrijedno, poput napršnjaka barske vode. Uostalom, čovjek se mora zapitati kako će se te konfesije izboriti za mjesto u svjetovnom okruženju ako ni jedna drugu minimalno ne respektiraju, nego se međusobno izguravaju preko ruba elementarnog poštovanja.
Ipak, Kaptol je makar i neizravno dao odgovor na spomenuto reagiranje iz SPC-a, i to toliko jasan da teško može biti jasniji. Kada su nedavno nakon javnog grljenja i ljubljenja sisačkog biskupa Vlade Košića s osuđenim ratnim zločincem Darijom Kordićem uvrijeđeno reagirale druge vjerske zajednice, posebno islamska (valjda ne treba objašnjavati što u bošnjačkoj memoriji znače Kordić i Ahmići), zbor zagrebačkih katoličkih biskupa hladno je stao u Košićevu obranu. Nisu to tako rekli, ali se između redaka sasvim lako dalo iščitati da se kolege ogrnute mantijama drugih vjeroispovijesti nemaju što pačati u stvari presvete Katoličke crkve. Nije ih od tog stava skrenula za milimetar čak ni činjenica da je biskup Košić, uz ostalo, predsjednik Vijeća HBK-a za ekumenizam i dijalog. Dakle čovjek koji u ime Hrvatske biskupske konferencije vodi poslove međusobnih odnosa s predstavnicima baš tih drugih vjeroispovijesti. A on te poslove, vidimo, vodi otprilike onako kao što se vodi magarad na pojilo ili goveda na gmajnu.
Eto, u takvom kontekstu tupe bezosjećajnosti za druge nacije i njihove žrtve pojavila se ova vijest da Vatikan namjerava u dogledno vrijeme kanonizirati Stepinca. Ona je za Srbe i pravoslavne loša vijest, a morala bi biti i za Hrvate i katolike, iz više razloga. Poći ću od jednog blažeg ili, ako hoćete, manje skandaloznog. Čuvši za tu vijest, zagrebački nadbiskup Josip Bozanić s djetinjim je ushićenjem izjavio da je dosad Hrvatskom vladao “importirani umjetni duh”, a sada, eto, konačno dobivamo “kompas hrvatskog naroda”.
Da se prekrstiš i lijevom i desnom. Činjenica da se od jednog ultrakonzervativnog kardinala, koji je prepun kontroverzi i bez konteksta NDH djelovao prije sedamdesetak godina, pravi lučonošu današnje Hrvatske, sama je po sebi čudačka i gubitnička. Čovjek ne može vjerovati da sadašnja “Crkva u Hrvata” nije u stanju pratiti duh vremena kroz neki manje arhaični i prašnjavi uzor, recimo kroz lik nekog od papa koji su se pojavili u toku i nakon prijelomnog Drugog vatikanskog koncila (1962. – 1965.). Ali ne. Svi ti pape, Montini, Roncalli,Bergoglio, čak i kruti tradicionalisti Wojtyla i Ratzinger, za ove naše su previše modernistički, oni hoće baš Stepinca. A hoće ga iako je on, ili baš zato, objektivno crvena krpa u očima Srba i pravoslavnih vjernika. To se može pokazati na puno primjera iz Drugog svjetskog rata, pri čemu nije dobro uzeti one najgore, recimo kardinalove predrasude prema pravoslavnima kao navodno genetskim pokvarenjacima i lašcima. Jer toga je bilo na svim stranama, a pothranjuje i neke jednostrane stavove o njemu, koji također ne stoje. Zato ću uzeti jedan koji možda najtočnije govori o njemu. On je aktivno podupirao plan pokatoličenja pravoslavnih Srba, ali je u svojoj arhivi ostavio zabilješku da se te nedobrovoljne vjerske konverzije imaju poništiti nakon rata. Dakle Stepinac nije bio nedvoznačno crna figura na šahovnici NDH, prije je bio kontroverzna ličnost, otprilike kao papa Pio XII., čija se kanonizacija također najavljuje.
Ali tu postoji i jedna važna razlika. Dok zagovornici kanonizacije ovog pape tvrde da se on suprotstavljao nacifašizmu u gornjim granicama svojih moći, hrvatski zagovornici Stepinca uopće na tome ne inzistiraju. Oni ga portretiraju isključivo u bojama borca protiv “svih totalitarizama” a to, prevedeno na jezik stvarnih pojmova, znači kao bojovnog nacionalista i antikomunista. Dakle predstavljaju ga u tamnijim tonovima nego što je realno bio, što ne čudi. Treba maknuti s očiju, ili barem bitno umanjiti, činjenicu da je on, po svemu sudeći, bio – kako sam ovdje jednom već napisao – odgovorniji i odvažniji od ovih danas na Kaptolu. Jest, Stepinac je stao uz Pavelićevu NDH, kadeći joj i kao božjem djelu, ali je imao petlje nazvati Jasenovac “ljagom” (istina, tek nakon što je tamo ubijena grupa slovenskih svećenika), što nije bilo bez rizika i po glavu na ramenima. Danas takav rizik ne postoji ni u najblažim natruhama, ali je odnos vrha Katoličke crkve prema hrvatskim zločinima pao na sramotnu i bogohulnu razinu javnog cmokanja Košića s Kordićem. Jedini izuzetak je tvrdi konzervativac kardinal Franjo Kuharić, koji je ranih devedesetih imao dovoljno kičme da se suprotstavi ubojstvima srpskih civila i paljevini njihovih kuća u Krajini.
Eto, nije Stepinčeva kanonizacija promašena samo zato što se on nije dovoljno suprotstavio ustaškim zločinima, nego još više zato što se zločinima još manje suprotstavljaju njegovi nasljednici u vrhu Katoličke crkve. Zbog toga su sasvim opravdani ljutiti prigovori iz vrha Srpske pravoslavne crkve, bez obzira na to što i njoj ide na dušu veličanje suspektnih crkvenjaka iz Drugog svjetskog rata (Nikolaja Velimirovića, na primjer). I zato nema opravdanja što sadašnji papa Franjo pušta Stepinčevu kanonizaciju kraju, bez obzira na blistavu reputaciju koju ima. Ta reputacija opasno visi baš na Stepinčevoj kanonizaciji, o kojoj je on posredno progovorio odbacujući kritike na račun Pija XII., uz čudno objašnjenje da ni antifašistički saveznici nisu svetinje jer nisu bombardirali pristupe nacističkim logorima. Da, nisu svetinje, ali nešto bez sumnje jesu. Pobijedili su u ratu s nacifašizmom, a Crkva se u taj rat nije ni uključila.
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