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Accordo UE-Ucraina mentre questa compie la pulizia etnica del proprio territorio

0) LINKS: audio / video / analisi / news / reportages

1) PULIZIA ETNICA ANTIRUSSA IN UCRAINA
Campi di internamento nel Donbass: la storia si ripete (Alexander Donetsky)
Projet officiel de nettoyage ethnique en Ukraine (Andrew Korybko)
Sharp rise in Ukrainian displacement, with more than 50,000 internally displaced (UNHCR)
L'Ucraina rifiuta gli aiuti umanitari della Russia (VoR)

2) PRECIPITOSO ACCORDO ASSOCIAZIONE CON LA U.E.
Kiev sigla l'accordo con l'Unione Europea. Mosca: serie conseguenze
Cosa significa l'associazione economica con l'UE? (Victor Shapinov)
Dietro gli accordi di associazione tra Ue e Ucraina, Georgia e Moldavia ( M. Dinucci, T. Di Francesco)

3) PROVOCAZIONI MILITARI PER COINVOLGERE LA RUSSIA
Ambasciata russa attaccata a Kiev / Sconfinamenti e scontri al confine russo

4) NEWS

5) U.S., EU cover up Ukraine junta’s war crimes (Greg Butterfield / WW)


=== 0: LINKS ===


AUDIO:

Intervista a Nicolai Lilin: "Questi mass-media fanno schifo" - 26/06/2014


VIDEO: 

Pandora TV - Il Punto di Giulietto Chiesa - 2 Luglio 2014 - Ucraina: verso la situazione finale
Corrispondenza da Mosca di Giulietto Chiesa. L'Ucraina va verso la soluzione finale, i bombardamenti a tappeto fanno decine di vittime e distruggono le città. In occidente tutto tace. Il silenzio colpevole dei media occidentali è più pesante di tutte le censure. Mentre continua l'operazione di pulizia etnica di Kiev basata sul massacro della popolazione civile…

PTV News Speciale – La tragedia di Kramatorsk
02/07/2014 - Ci giunge da Kramatorsk in Ucraina orientale, la testimonianza di Christian Malaparte e Patrick Lancaster, due coraggiosi giornalisti che da giorni vivono sotto le bombe delle milizie di Kiev. Raccontano in diretta il dramma che si svolge in queste ore, un massacro passato ancora una volta sotto silenzio dai media occidentali…

PTV News 27 giugno 2014 - Dialoghi dell'orrore
Dialoghi tra uomini che uccidono su commissione, per guadagnare… Questa è la guerra di Ucraina creata dagli Stati Uniti d'America. Circolano filmati di morti scaraventati a terra in fosse comuni. Molti, tremendi indizi di questa caccia all'uomo russo. Non li abbiamo pubblicati perché non potevamo credere nemmeno ai nostri occhi… Le bestie che sentite grufolare hanno dimenticato di criptare la conversazione, ma hanno l'urgenza di guadagnare, di vantarsi. Per questo li abbiamo sentiti. Per questo ve li facciamo sentire. Così capirete meglio perché Novorossija combatte.
http://www.pandoratv.it/?p=1322

Intervento di Marta Grande (M5S) in Senato, 24/6/2014, sulla situazione in Ucraina
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=PCZAd0tqps8

Il Punto di Giulietto Chiesa – 20 giugno 2014
Giulietto Chiesa fa il punto sul numero della vittime nella guerra civile in Ucraina sudorientale. Un numero di vittime, tra militari e civili, che al di là delle differenti stime resta comunque elevato. Secondo dati non ufficiali potrebbero essere quasi 4000 i caduti nel periodo tra il 2 maggio e il 17 giugno di quest’anno. 

Il punto di Giulietto Chiesa – 13 06 2014 – Il vero motivo del genocidio dei russi
Giulietto Chiesa fa il punto su un contratto che vedrebbe l’acquisto, da parte della Shell e Chevron di oltre 7000 kilometri quadrati di terreno ucraino, per estrarne il gas da scisti bituminosi. Indovinate di quale regione si tratta…? La distruzione del Donbass adesso ha un senso. L’Ucraina è una colonia.
http://www.pandoratv.it/?p=1199
La guerra in diretta da Lugansk
20/06/2014 - Una drammatica testimonianza di guerra da Lugansk, in Ucraina Orientale. Dopo uno scontro a fuoco violentissimo, gli attivisti filorussi catturano uomini delle milizie di Kiev…
http://www.pandoratv.it/?p=1245

Una realtà messa al contrario. La popolazione è completamente manipolata… (06.06.2014)
VIDEO: http://rutube.ru/video/394d3a9f5e2a155741a7272a73d0b397/


ANALISI:

Ucraina contro Ucraina
23 Giugno 2014 - di Spartaco A. Puttini per Marx21.it
Negative Wahrnehmungen (Bürgerkrieg und EU-Polizeimission in der Ukraine)
GFP - 02.07.2014
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58902

Ukraine: Democracy of the minority
June 30, 2014 - Victor Shapinov of the Marxist organization Union Borotba (Struggle) analyzes the forces at work behind President Petro Poroshenko’s announcement officially ending the Kiev junta’s ceasefire with the Donetsk and Lugansk people’s republics of the Donbass region. The article originally appeared on the website ActualComment.ru and was translated by Workers World contributing editor Greg Butterfield
http://www.workers.org/articles/2014/07/03/ukraine-democracy-minority/

And still the Ukraine – an interim report (June 29, 2014)
The following article is by Kai Ehlers, a German-based expert on the former Soviet Union. We publish it as a progressive contribution to the discussion on Ukraine and food for thought about the developments there. Translation by Workers World managing editor John Catalinotto.

Ukraine's economic crisis to intensify

Le chef des séparatistes de Slaviansk, Igor Strelkov, a fait la guerre de Bosnie comme volontaire du côté serbe
http://balkans.courriers.info/article25084.html


NEWS: 

Ukraine: Berlin foreign ministers meeting brings no solution
By Peter Schwarz / WSWS, 4 July 2014

Poroshenko launches bloody assault on eastern Ukraine
By Chris Marsden - 2 July 2014

Plainte à l’OIAC contre l’usage d’armes chimiques par l’Ukraine
RÉSEAU VOLTAIRE | 1ER JUILLET 2014

Pravyi Sektor and altre sigle neonaziste filogovernative europeiste ucraine assaltano assemblea dei sindacati a Kiev
Right Sector neo-nazis attack trade union conference in Kiev (26/6/2014)

Ukraine regime launches military blitz after floating ceasefire plan (Bill Van Auken / WSWS, 20 June 2014)

Le autorità di Kiev pensano a costruire un muro al confine con la Russia (Voce della Russia, 18 giugno 2014)

La Pologne dirige les opérations militaires en Ukraine
par Andrew Korybko - RÉSEAU VOLTAIRE | 14 JUIN 2014 
Sikorski e Dziewulski: strategia e tattica del neo-Commonwealth
di Andrew Korybko - RETE VOLTAIRE | 17 GIUGNO 2014 

Les forces « antiterroristes » de Kiev dirigées par le Polonais Jerzy Dziewulski
RÉSEAU VOLTAIRE | 11 JUIN 2014 
Le forze "anti-terrorismo" di Kiev guidate dal polacco Jerzy Dziewulski
RETE VOLTAIRE | 11 GIUGNO 2014 

Ucraina, è bagno di sangue
Lunedì, 16 Giugno 2014 - Marco Santopadre


REPORTAGES:

Gli uomini neri (Fausto Biloslavo, Il Giornale)
La guerra civile in Ucraina sempre più sanguinosa e dimenticata schiera in prima linea un reparto fedele a Kiev, che arruola volontari europei provenienti da Italia, Svezia, Finlandia, paesi Baltici e Francia…

VIDEODOCUMENTARIO: Pogrom programmato
Giulietto Chiesa commenta le immagini della strage di Odessa dimostrando che le vittime sono state assassinate brutalmente e non sono perite a causa dell’incendio al palazzo dei sindacati come è stato dichiarato dalla stampa internazionale. Pandora TV raccomanda la visione di questo servizio ad un pubblico di soli adulti.
http://www.pandoratv.it/?p=635
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=iyOnb2wsEcY
 
Le sostanze chimiche nell'assassinio di Odessa
VIDEO: http://rutube.ru/video/baffa22512d4474c35de994ce863fb00/
 
VIDEODOCUMENTARIO: "Settore Destro" di Euromaidan
in altre lingue:
Russo (original)
prima parte
https://www.youtube.com/watch?v=0Uy6R...
http://vimeo.com/96070079
seconda parte
https://www.youtube.com/watch?v=X7BO0...
http://vimeo.com/98322875
Inglese
prima parte
https://www.youtube.com/watch?v=9yFqU...
seconda parte
https://www.youtube.com/watch?v=4mjUD...
Tedesco
prima parte
https://www.youtube.com/watch?v=cRyVI...
http://vimeo.com/96982788
Francese
prima parte
http://vimeo.com/99570936


=== 1: PULIZIA ETNICA ===

LINKS: 

Ucraina. Fanno paura i campi di concentramento “democratici” nell’Est
Se ne parla da un pò e ora ne ha parlato anche Nicolai Lilin su L’Espresso. Stiamo parlando dei campi di concentramento “democratici” che il governo di Kiev vorrebbe utilizzare in Ucraina per rinchiudere i cittadini dell’Est identificati come “terroristi” (29/6/2014)

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www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 16-06-14 - n. 503

Campi di internamento nel Donbass: la storia si ripete

Alexander Donetsky | strategic-culture.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/06/2014

Gli ucraini hanno una data triste da commemorare il prossimo settembre 2014: la costruzione dei campi di concentramento di Terezin e Talerhof, realizzati per isolare il segmento filo-russo della popolazione residente nella Galizia austro-ungarica. Migliaia di rusin [1], persero la vita perché avevano simpatie per la Russia e volevano preservare la loro identità storica. Rifiutarono di chiamarsi ucraini come volevano le autorità austro-ungariche e così finirono internati.

Le condizioni erano orribili. I primi acquartieramenti di Talerhof furono costruiti nel 1915. I prigionieri non avevano riparo per la pioggia. Dormivano sotto il cielo aperto. La condizione per ottenere la libertà era l'abiura della nazionalità rutena. I guardiani erano galiziani che accettarono di chiamarsi ucraini. Furono loro a sterminare i ruteni. I loro crimini sono descritti nell'Almanacco di Talerhof pubblicato dal comitato dei detenuti nel 1920.

I nazionalisti ucraini servirono fedelmente i tedeschi durante i giorni di occupazione del paese. Odiavano tutto ciò che era russo. Erano disposti a servire come aguzzini e guardie in numerosi campi di concentramento. 700mila soldati dell'Armata Rossa furono fatti prigionieri quando le truppe sovietiche furono circondate vicino a Kiev. Molti di loro erano di etnia ucraina. C'erano due campi di concentramento vicino Brovary nei pressi di Kiev. I prigionieri venivano regolarmente fucilati vicino al villaggio di Bykovnya. Secondo gli abitanti locali, i carnefici erano hitleriani nonché poliziotti ucraini. Secondo le testimonianze, c'erano 1.200 poliziotti ucraini su 1.500 aguzzini a Babi Yar, e questo significa che soltanto 300 di loro erano tedeschi. Pochi ricordano che prima dell'eccidio di massa degli ebrei, i prigionieri di Babi Yar furono prevalentemente ucraini, fatti passare attraverso il "campo di filtraggio" di Syrets. Avevano combattuto i fascisti tedeschi insieme ai russi.

Nel febbraio del 2014 sono saliti al potere i successori e ammiratori dei nazisti, con il sostegno degli Stati Uniti e della Germania. Nel parlamento tedesco ha provocato una discussione l'intervento di Sahra Wagenknecht, economista e pubblicista, membro del Bundestag e membro del Comitato Nazionale del Partito della Die Linke. La deputata ha accusato Angela Merkel di ingannare le persone presentando gli avvenimenti in Ucraina in luce scorretta. Ha invocato pressioni su Poroshenko per farlo desistere dalla guerra contro il suo stesso popolo. Sahra Wagenknecht ha detto che quattro membri del gabinetto ucraino sono colpevoli di coltivare l'odio verso gli ebrei e i russi. Intendeva i membri del partito Svoboda guidati da Oleg Tyagnibok, chiamato Partito nazional-socialista fino al 2004. Una delle persone di cui stava parlando era Andriy Parubiy, il Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale e Difesa dell'Ucraina nominato dopo il colpo di stato ucraino del 2014. La lista di solo quattro nomi non è sufficiente. Ci sono membri del gabinetto che nascondono le loro opinioni e altri che sono orgogliosi. Ad esempio, Sergei Kvit, Ministro dell'Istruzione, Presidente dell'Accademia Kyiv-Mohyla. E' lui che ha ordinato il divieto della lingua russa nelle istituzioni.

La Rada dell'Ucraina ha nominato il colonnello Michael Koval Ministro della Difesa. Al suo confronto gli altri impallidiscono nella professione di fedeltà agli ideali nazisti. Dopo l'elezione di Poroshenko, si recò al parlamento per presentare i piani del governo. Secondo lui, tutti i giovani delle repubbliche di Donetsk e Lugansk, comprese le donne, dovevano essere internati in «campi di filtraggio», per verificare l'eventuale collegamento ai terroristi, e poi spediti in diverse regioni d'Ucraina.

Così, nei piani per il futuro del governo ucraino c'è la creazione di campi di concentramento: i bei vecchi tempi della Germania fascista sono tornati! La popolazione del recalcitrante Donbass è di circa sei milioni e mezzo di persone. Molte di queste persone stanno per perdere le case ed essere internate nei campi. Dopodiché il governo dirà loro dove vivere in caso riescano a passare attraverso il processo di filtrazione e dimostrare che non avevano nulla a che fare con il movimento di resistenza antinazista. Coloro che si sono opposti alle uccisioni di massa della popolazione da parte delle forze regolari ucraine dovranno affrontare un processo: si può facilmente intuire che cosa significa.

L'Europa contemporanea non ha mai conosciuto nulla di simile: il trasferimento di massa di persone che vivono in alcune regioni. Gli Stati Uniti e i leader politici europei sosterranno le autorità ucraine qualsiasi azione compiano, in violazione della responsabilità ai sensi dell'articolo II (c) della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (CPPCG) approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1948, come Risoluzione 260 dell'Assemblea Generale?

Ndt
1. Ruteni, gli abitanti della "piccola Russia", ovvero i russi di frontiera. Soprattutto tra i secoli XVI e XVIII indicava per estensione tutti coloro che oggi vengono identificati come ucraini. Fonte wikipedia

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Projet officiel de nettoyage ethnique en Ukraine

par Andrew Korybko

Alors que le nouveau président ukrainien, Petro Porochenko, vient de signer un accord avec les responsables de la République du Donbass, Andrew Korybko revient sur les raisons du soulèvement : il ne s’agit pas uniquement du refus de reconnaître les autorités putschistes de Kiev, mais bien d’une tentative de prévenir le projet officiel de nettoyage ethnique des populations russophones.

RÉSEAU VOLTAIRE  | 24 JUIN 2014


[PHOTO: Durant la Première Guerre mondiale, l’empereur d’Autriche-Hongrie fit interner plus de 20 000 Ruthènes et Lemkos, principalement des intellectuels, à Telerhof. Il ne s’agissait pas à proprement parler d’un camp de concentration, mais plutôt d’un terrain vague où les prisonniers dormaient à même le sol quelque soient les intempéries.]

Cent ans après l’internement dans des camps de concentration des populations russophones (les Ruthènes) alors établies à l’intérieur des frontières de l’Ukraine d’aujourd’hui, l’histoire semble sur le point de se répéter.
Le ministre de la Défense de l’Ukraine, Mikhaïl Koval, a fait publiquement état de son projet de parquer les résidents du Donbass dans des camps de « filtration » pour les réinstaller de force dans d’autres régions de l’Ukraine.
Quelques jours plus tard, le Premier ministre Arseni Iatseniouk a traité de « sous-hommes » les défenseurs du fédéralisme des régions orientales de l’Ukraine.
[PHOTO: Source : Embassy of Ukraine in the United States, 15 juin 2014.]
Les patrons états-uniens du régime de Kiev ne se sont pas seulement abstenus de condamner les propos scandaleux de Iatseniouk, ils ont pris ouvertement sa défense en déclarant, par la voix de la porte-parole du département d’État Jen Psaki, au mépris de la vérité, « qu’il n’avait pas cessé de préconiser la recherche d’une solution pacifique [1] ». L’Agence foncière de l’État ukrainien a laissé filtrer des propos encore plus inquiétants, donnant à penser qu’un nettoyage ethnique en règle allait suivre. Il a été annoncé que des terres allaient être allouées gratuitement aux troupes des Services spéciaux, du ministère de l’Intérieur et de l’Armée qui combattent les fédéralistes [2]. L’Ukraine étant au seuil d’un nettoyage ethnique de grande ampleur, il ne faut pas être grand clerc pour deviner aux dépens de qui sera organisé cet octroi de « terres gratuites », évocateur du besoin d’« espace vital » (Lebenstraum) revendiqué par d’autres en d’autres temps.
[PHOTO: Au moins un millier de prisonniers sont morts durant leur internement à Telerhof.]
C’est en 1914 que, pour la première fois, des populations stigmatisées pour leur russophilie ont été expédiées dans des camps de concentration. Les Autrichiens ont emprisonné les Ruthènes et les Lemkos (un sous-groupe ethnique étroitement apparenté aux Ruthènes, ou Russyns) au prétexte que leur obstination à revendiquer leur identité spécifique avait des relents de trahison. De la même façon, parce qu’elles refusent de renoncer à leur identité, les populations du Donbass sont aujourd’hui accusées de trahison, notamment par Mikhaïl Koval, le ministre de la Défense de l’Ukraine. Ce dernier a été promu dans ses fonctions actuelles suite au limogeage de son prédécesseur [3], remercié pour n’avoir pu empêcher la réunification de la Crimée à la Fédération de Russie. Les déclarations d’intention extrêmement radicales du ministre Koval témoignent du bien-fondé des préoccupations que la Russie avait exprimées dès le mois de mars, avant la réunification, en soulignant le risque du déclenchement d’une crise humanitaire, et en exposant les preuves de ce danger imminent dans un Livre Blanc des Violations des Droits de l’Homme en Ukraine [4]. Chacun sait maintenant, après la révélation au grand jour de l’épilogue que le ministre de la Défense ukrainien compte apporter à la crise, que si la Crimée n’avait pas pris en mains la défense de ses droits et demandé son rattachement à la Russie, ses habitants se seraient vraisemblablement déjà vus parqués dans des « camps de filtration » à l’image de ceux dont la mise en place est maintenant programmée, puis déportés loin de la terre qui les a vus naître, à condition d’avoir survécu à l’épreuve de l’incarcération.
Le sort que réserve Korval aux résidents du Donbass contrevient gravement aux dispositions de la loi internationale, et constitue un crime contre l’humanité. La déportation forcée et le déplacement des populations, leur mise en détention au seul motif de leur lieu de résidence, ainsi que les mesures discriminatoires à l ‘encontre d’un groupe ethnique et culturel sont formellement proscrites au titre de l’article 7 du Statut de Rome de la Cour pénale internationale (CPI). Pour Iatseniouk et ses acolytes de l’Administration de Kiev, les habitants des régions orientales de l’Ukraine qui contestent leur politique ne sont que des « sous-hommes ». Voilà pourquoi ils semblent estimer que les Droits de l’homme ne s’appliquent pas à eux. En conséquence, ces « sous-hommes » ne se verront pas non plus reconnaître le moindre droit sur les propriétés dont ils seront dépossédés après les relocalisations forcées qui vont leur être imposées. Ce sont donc leurs maisons, leurs terres et leurs entreprises qui vont constituer le tribut (« les terres gratuites ») que la junte de Kiev a promis d’accorder à ses janissaires déployés dans les provinces de l’Est.

[PHOTO: Selon le gouvernement russe, plusieurs centaines de milliers d’Ukrainiens se sont réfugiés en Russie depuis le début de la crise. Ils y sont hébergés par leurs familles et leurs amis. Cependant, les autorités occidentales réfutent ce chiffre au motif qu’ils ne sont pas rassemblés dans des camps de réfugiés.]
Les dirigeants occidentaux ignorent superbement ces violations flagrantes des Droits de l’homme. Ils sont pourtant toujours les premiers à dénoncer précipitamment toute violation supposée de ces droits, et à menacer d’une intervention militaire les contrevenants qu’ils ont eux mêmes désignés. On voit bien, à présent, que la rhétorique du « droit d’intervention humanitaire » et les slogans qui l’accompagnent n’ont jamais été autre chose que des simulacres au service d’ambitions géopolitiques au long cours, savamment dissimulées.
En réalité, à l’opposé du rôle pacificateur que s’attribuent les pays occidentaux, et tout particulièrement les États-Unis, en revendiquant un droit d’intervention humanitaire pour protéger les populations, ils apportent un soutien criminel au régime de Kiev qui s’apprête à mettre en œuvre le nettoyage ethnique de l’Ukraine. Depuis le coup d’État de février, les conseillers militaires sont arrivés en nombre, les dollars ont coulé à flot, et le FBI et la CIA n’ont pas lésiné sur l’aide apportée au nouveau régime ukrainien. Tous ces moyens vont immanquablement être utilisés par la junte pour liquider par la force les mouvements de protestation qui se poursuivent dans la partie orientale du pays, et pour écraser les fédéralistes ukrainiens. Ainsi, les États-Unis se rendent directement complices de tous les crimes de guerre que commettent les forces conventionnelles [5] et les mercenaires [6] à la solde du gouvernement de Kiev, sans la moindre exception. Cette responsabilité vaut également pour le plan de nettoyage ethnique et culturel que s’apprête à mettre en œuvre le ministre de la Défense ukrainien Mikhaïl Koval.
Les six millions d’habitants du Donbass sont aujourd’hui confrontés à un désastre humanitaire de même nature que celui infligé à leurs ainés, il y a soixante-dix ans. Beaucoup ont cru, à tort, que les forces criminelles coupables de telles horreurs avaient été terrassées et éliminées une fois pour toutes du continent européen, et que ces temps barbares, que la junte de Kiev ressuscite avec la complicité et le soutien de ses amis occidentaux, étaient à jamais révolus.

Traduction 
Gérard Jeannesson

Source 
Oriental Review

[1] « Daily Press Briefing », State Department, 16 juin 2014.

[2] “Ukraine’s Land Agency give land to soldiers in the east for free”, Interfax Ukraine, 16 juin 2014.

[3] « Ukraine fires defense minister who lost Crimea to Russia », par Kathy Lally, The Washington Post, 25 mars 2014.

[4] « Le Livre blanc sur les violations des Droits de l’homme en Ukraine », Réseau Voltaire, 5 mai 2014.

[5] “Russia’s investigators pledge to prosecute those guilty in civilians’ deaths in Ukraine”, Itar-Tass, 30 mai 2014.

[6] « Kiev envoie des mercenaires étrangers pour écraser l’insurrection dans le Sud-Est », par Natalia Kovalenko, La Voix de la Russie, 6 juin 2014.


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Fonte: pagina Facebook "Con l'Ucraina antifascista"
29 giugno 2014:

Sono almeno 164mila gli sfollati in seguito alla crisi in Ucraina orientale, secondo quanto ha reso noto il 27 giugno a Ginevra l'agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr).
Melissa Fleming, portavoce dell'Unhcr, si rivolge ai giornalisti: "Dall'inizio dell'anno circa 110.000 cittadini ucraini sono arrivati in Russia, e 750 hanno chiesto asilo in Polonia, Bielorussia, Repubblica Ceca e Romania”. Dei rifugiati in Russia, solo 9600 hanno chiesto asilo: "La maggior parte di queste persone sono alla ricerca di altre forme di soggiorno regolare, spesso ci viene detto a causa delle preoccupazioni circa complicazioni o rappresaglie in caso di ritorno in Ucraina". Gli arrivi degli ultimi giorni sono raggruppati principalmente a Rostov na Donu (12.900 persone, tra cui 5.000 bambini) e Bryansk (6.500 persone). A Rostov, le persone vengono alloggiate in edifici pubblici e in alcuni campi con tende. A Bryansk la maggior parte vivono presso parenti e amici. L'UNHCR ha visionato anche rapporti ancora non confermati di ulteriori recenti arrivi dall’est dell'Ucraina verso lo Crimea. "L'aumento nel numero di rifugiati della scorsa settimana coincide con un recente deterioramento della situazione nell’Ucraina orientale. Gli sfollati parlano del peggioramento della legalità e l'ordine, la paura di rapimenti, la violazione dei diritti umani e l'interruzione dei servizi statali".
Tutto l’articolo (in inglese): 

http://www.unhcr.org/53ad57099.html

Sharp rise in Ukrainian displacement, with more than 50,000 internally displaced


News Stories, 27 June 2014


GENEVA, June 27 (UNHCR)  The UN refugee agency said on Friday that forced displacement is rising in Ukraine with an estimated 54,400 people internally displaced 12,000 from Crimea and the rest from the Eastern region. Over the past week, the number of internally displaced increased by more than 16,400.
"Increases are also being seen in the numbers of Ukrainians in Russia and other countries, although so far only a relatively small number have applied for refugee status," UNHCR spokesperson Melissa Fleming told journalists in Geneva. "Since the start of the year around 110,000 Ukrainians have arrived in Russia, and 750 have requested asylum in Poland, Belarus, Czech Republic and Romania," she added.
Fleming said that of those in Russia only 9,600 have requested asylum. "Most people are seeking other forms of legal stay, often we are told because of concerns about complications or reprisals in case of return to Ukraine," she said.
Arrivals of the past few days are mainly clustered in Rostov-On-Don (12,900 people, including 5,000 children) and Bryansk (6,500 people). In Rostov, people are being accommodated in public buildings and some tented camps. In Bryansk the majority are staying with relatives and friends. UNHCR has also seen unconfirmed reports of other recent arrivals from the east of Ukraine to Crimea.
"The rise in numbers of the past week coincides with a recent deterioration of the situation in eastern Ukraine. Displaced people cite worsening law and order, fear of abductions, human rights violations and the disruption of state services," Fleming said.
UNHCR has increased its presence and deployed missions to monitor displacement from the east. "Currently we are unable to verify all information on displacement and are relying on local and central authorities, partners and civil society organizations. Insecurity in some areas of Ukraine is hampering access to many areas where displaced people are located," the UNHCR spokesperson noted.
In Ukraine, the main challenges currently faced by displaced people are access to social services, long-term shelter and employment, and difficulties transferring residence registration. Most people are provided with temporary shelter and assistance from local authorities, NGOs and with donations of private citizens.
UNHCR has begun to distribute humanitarian assistance to displaced people in the east, and has delivered assistance in support of efforts by the local authorities to the town of Sviatohorsk, where the largest concentration of internally displaced people is found. UNHCR is also launching a self-reliance programme for vulnerable internally displaced people in western and central Ukraine.

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Ma della situazione umanitaria, la giunta se ne infischia: L'Ucraina rifiuta gli aiuti umanitari della Russia

http://italian.ruvr.ru/news/2014_06_29/LUcraina-rifiuta-gli-aiuti-umanitari-della-Russia-6732/

Redazione Online - 29 giugno 2014

L'Ucraina rifiuta gli aiuti umanitari della Russia

Kiev non può accettare gli aiuti umanitari da parte della Federazione Russa per le regioni orientali. Si afferma in una nota del ministero degli Esteri dell'Ucraina inviata alla Russia.

Nella giornata di ieri il ministero degli Esteri ucraino aveva ricevuto una nota ufficiale dal dicastero della diplomazia russa con la proposta di Mosca per inviare aiuti umanitari nelle regioni di Donetsk e Lugansk e possibilmente in altre regioni dove si trovano i rifugiati. A Mosca si sperava che gli aiuti avessero potuto agevolare la situazione della popolazione e dei profughi, e contribuire alla riduzione del numero di quest'ultimi in futuro.
 
=== 2: ACCORDO ASSOCIAZIONE ===

LINKS:

A tempo di record l'Accordo di Associazione UE-Ucraina [parte politica]
Gli ucraini non ricevono niente di quanto avevano sperato (Evghenij Tsarkov)

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Fine del cessate il fuoco: nella notte 4 morti

Ucraina, Kiev sigla l'accordo con l'Unione Europea. Mosca: serie conseguenze

Il presidente Petro Poroshenko: "E' un giorno storico per il mio Paese, il più importante dall'indipendenza". Mosca: "Serie conseguenze" se l'accordo avrà affetti negativi sull'economia. Da Van Rompuy e Barroso rassicurazioni al Cremlino: "Questo accordo non è contro nessuno". Firmano anche Georgia e Moldova

Bruxelles 27 giugno 2014
La firma c'è. A margine del vertice dei 28 l'Unione Europea ha siglato gli accordi di associazione con l'Ucraina, la Georgia e la Moldova. Durante il vertice, in corso a Bruxelles, i capi di Stato e di governo dovrebbero valutare l'ipotesi di intensificare le sanzioni alla Russia in relazione alla situazione in Ucraina.

Kiev firma la parte economica del trattato
In particolare con Kiev è stato messo nero su bianco il lato economico del trattato, dopo che il lato politico era stato siglato a marzo. "E' un giorno storico per il mio Paese - ha dichiarato il presidente Petro Poroshenko - il più importante dall'indipendenza". A novembre il rinvio della firma degli accordi aveva aperto la crisi politica ucraina con la rivolta di Maidan che ha portato alla destituzione del presidente filorusso Yanukovich.

Van Rompuy e Barroso: giornata storica, rassicurazioni a Mosca
"E' un grande giorno per l'Europa - ha commentato il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, parlando davanti ai leader delle tre ex repubbliche sovietiche a Bruxelles - l'Unione sta al vostro fianco, oggi più che mai". Parole alle quali va Rompuy ha fatto seguire una rassicurazione a Mosca, che non ha mai celato la sua contrarietà a questi accordi: "Niente, nell'accordo - ha detto - è suscettibile di colpire la Russia. Parole, quelle di Van Rompuy, cui ha fatto eco il presidente della Commissione europea Jose Manuel Barroso, secondo il quale l'accordo "è positivo e non è contro nessuno".

Il monito di Mosca: ci saranno serie conseguenze
L'Accordo di Libero Scambio e di Cooperazione Politica, come è noto, trova la ferma opposizione di Mosca che per bocca del portavoce di Putin avverte che "verranno presi i provvedimenti del caso" qualora l'accordo avesse effetti negativi sull'economia russa. E ancora: il viceministro degli Esteri Grigory Karasin fa sapere che ci saranno "serie conseguenze". Karasin ha riconosciuto peraltro come la sottoscrizione dell'accordo rientri in un "diritto sovrano spettante a ogni Stato" e ha evocato la necessita' di evitare "incomprensioni e sospetti in futuro".
  
Ucraina: scaduta la tregua, 4 morti
E' ufficialmente terminata alle 10 del mattino di Kiev (le 9 in Italia) la tregua annunciata venerdì scorso dal presidente ucraino Petro Poroshenko e confermata lunedì da uno dei leader separatisti. La fine del cessate il fuoco, che non aveva spento del tutto i combattimenti, ha subito portato nuove vittime. E' quello che sostiene Dmitro Timchuk, direttore di Resistenza Ucraina: sarebbero morti quattro soldati ucraini in uno scontro in un posto di blocco vicino a Kramatorsk, nell'Ucraina orientale. I militari di Kiev - sostiene - hanno distrutto un carro armato dei miliziani mentre i separatisti hanno fatto saltare in aria quattro blindati governativi.

Ieri bilaterale Poroshenko-Renzi
Nel bilaterale di ieri sera Poroshenko ha discusso con Matteo Renzi  "i prossimi passi del piano di pace del presidente ucraino" per l'Ucraina dell'est "ed espresso la speranza di una rapida fine delle violenze e del ritorno della situazione alla stabilità, così come previsto dal piano".

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www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 01-07-14 - n. 505

Cosa significa l'associazione economica con l'UE?

Victor Shapinov | borotba.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

27/06/2014

Poroshenko ha firmato la parte economica dell'Accordo d'Associazione con l'Unione Europea. Cercherò molto brevemente di descrivere le implicazioni che esso ha per l'economia ucraina.

L'integrazione economica con l'UE è probabile che si verifichi in condizioni di crescente crisi economica mondiale, mentre i paesi ricchi e potenti della UE cercano di salvare le loro economie a scapito della "periferia interna" composta da paesi come Grecia, Portogallo e Spagna.

L'Unione Europea ha realizzato un sistema di "salari da crisi" diseguali tra i principali paesi dell'UE e la "periferia" intra-Europea - Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Europa dell'Est. E' chiaro che in questa gerarchia, l'Ucraina avrà un posto "al di sotto del piano più basso", cioè, nella "periferia esterna" dell'UE.

Premesso ciò, "l'integrazione economica europea" porterà:

La caduta della produzione o la completa distruzione della produzione non solo del settore minerario (soprattutto minerale) e probabilmente dell'industria siderurgica. La produzione ucraina di velivoli, automobili e industrie chimiche non può competere con i produttori europei, che ricevono maggiore credito e sostegno governativo. Inoltre, i produttori ucraini saranno costretti a comprare petrolio, gas ed elettricità a prezzi europei, cosa che ridurrà ulteriormente la competitività delle imprese ucraine e porterà alla loro chiusura.

L'agricoltura ucraina, che è impiega alti livelli di tecnologia e richiede un alto grado di trasformazione, non può sostenere la concorrenza con i produttori europei, la cui competitività è supportata da enormi sussidi, senza regolamentazione tariffaria e meccanismi flessibili.

L'introduzione degli standard europei di produzione (che mirano alla tutela protezionistica dei produttori UE) porterà alla chiusura delle imprese che non sono in grado di rispettare queste norme. In particolare, questo vale per il settore altamente redditizio dell'energia n

(Message over 64 KB, truncated)


Fonte: Agenzia Prensa Latina

Indipendenza di Puerto Rico, nuova richiesta nell’ONU agli Stati Uniti

23.6 - Il Comitato Speciale di Decolonizzazione dell'ONU analizza oggi una risoluzione che ratifica il diritto di Puerto Rico all'autodeterminazione e all'indipendenza, e sollecita gli Stati Uniti a facilitare la concretizzazione di queste prerogative. Presentato da Cuba, con il sostegno di Venezuela, Nicaragua, Ecuador e Bolivia, il testo evidenzia inoltre il carattere latinoamericano e caraibico dell'isola, e nella richiesta di libertà del prigioniero politico portoricano Óscar López Rivera, che il mese scorso ha compiuto 33 anni di carcere negli Stati Uniti.

Gli indipendentisti portoricani sottolineano il sostegno nell’ONU alla loro causa

24.6 – Gli indipendentisti di Puerto Rico hanno sottolineato oggi il sostegno nelle Nazioni Unite alla loro causa, dopo l'adozione ieri di una nuova risoluzione che riconosce il diritto dell'isola all'autodeterminazione e all'indipendenza. “Sentiamo che continuiamo ad avanzare, perché vediamo che si raccolgono con forza temi chiave per il popolo portoricano”, ha dichiarato a Prensa Latina la segretaria esecutiva del Comitato di Puerto Rico alle Nazioni Unite, Olga Sanabria, del Movimento Indipendentista Nazionale Hostosiano (MINH).

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Fonte: AmiCuba - Bollettino dell'Ass. Naz. di Amicizia Italia-Cuba (www.italia-cuba.it - amicuba@...) - n.75 (anno V), 30/6/2014

Risoluzione dell’ONU: Puerto Rico ha diritto all’autodeterminazione

da Cubadebate

Il Comitato di Decolonizzazione delle Nazioni Unite ha adottato oggi una nuova risoluzione che ratifica il diritto di Puerto Rico alla libera autodeterminazione e indipendenza. Si tratta del trentatreesimo documento approvato in quell’istanza per il caso di Puerto Rico, nazione sottoposta a cinque secoli di colonialismo, gli ultimi 116 anni sotto il dominio degli Stati Uniti. 
L’iniziativa presentata da Cuba, con l’appoggio di Venezuela, Nicaragua, Ecuador e Bolivia, chiede a Washington di assumere la sua responsabilità e permettere che il paese portoricano eserciti quelle prerogative, in sintonia col proclama lanciato nel 1960 dall’Assemblea Generale dell’ONU di mettere fine al colonialismo nel pianeta. Inoltre, ratifica il carattere latinoamericano e caraibico di Puerto Rico, questione che la co-presidente del Movimento Indipendentista Nazionale Hostosiano (MINH), Wilma Reverón Collazo, ha detto che neutralizza il discorso nordamericano di qualificare il tema come un tema interno. Il testo riflette anche il rispetto del rifiuto della maggioranza dei portoricani del loro attuale status di subordinazione politica, che impedisce di prendere decisioni sovrane per soddisfare le loro necessità e sfide, compresi i gravi problemi economici e sociali dell’isola. La risoluzione approvata dal Comitato raccoglie il dibattito esistente tra le diverse forze politiche e sociali portoricane per la ricerca di un procedimento che permetta loro di iniziare il processo di decolonizzazione. Un altro punto forte è la dichiarazione adottata lo scorso gennaio dalla Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac), che nel suo secondo vertice, tenutosi a La Habana, ha difeso il carattere regionale di Puerto Rico e ha insistito che il suo caso è di interesse per il blocco di 33 paesi. Nella sessione del Comitato di Decolonizzazione delle Nazioni Unite sono intervenuti Cuba, Bolivia, Nicaragua, Ecuador, Venezuela e Siria per esprimere il loro appoggio alla causa dell’autodeterminazione e dell’indipendenza portoricani. L’ambasciatore alterno cubano presso le Nazioni Unite, Oscar León, ha ringraziato per l’appoggio all’iniziativa. “Stiamo compiaciuti, inoltre, perché la risoluzione è stata adottata un’altra volta per consenso con l’appoggio di tutti i membri del Comitato”, ha affermato. Secondo il diplomatico, gli interventi realizzati durante il forum per stati e blocchi come la Celac ed il Movimento di Paese Non Allineati costituiscono prova certa dell’appoggio alla causa del popolo portoricano.




(srpskohrvatski / english / italiano)

I Balcani al centro della guerra per i gasdotti

1) Emir Kusturica: la Russia deve proteggere i russi che vivono in Ucraina
2) Црногорска русофобија се није исплатила – изостао је позив у НАТО
3) Arrivano i russi, gli Usa diffidano Lubiana. Washington chiede di annullare l’incontro con Lavrov temendo un accordo su South Stream
4) Russia’s Gazprom signs Agreement to Abandon the Dollar (U. Pascali, Global Research, June 07, 2014)


Vedi anche:

Una nave della Marina Militare Italiana, la Elettra, andrà nel Mar Nero, il 15 giugno


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Emir Kusturica : la Russia deve proteggere i russi che vivono in Ucraina

"Purtroppo , l'Ucraina è ora sulla stessa strada che una volta era la Jugoslavia "

a cura di Enrico Vigna

Il celebre regista Emir Kusturica, ritiene che la Russia deve tutelare i russi che vivono in Ucraina, e anche per salvare il paese dal disastro. Questo ha dichiarato il regista all’ITAR - TASS.
"…Purtroppo, l'Ucraina è ora sulla stessa strada che una volta era la Jugoslavia. E mi dispiace che sia così. Ora c'è in corso una catastrofe. Credo che la Russia deve proteggere i russi che vivono in Ucraina… E anche per contribuire alla causa dell'integrazione eurasiatica dell’Ucraina
", ha detto Kusturica .
Secondo il regista, che era Samara in tour con la band rock “The No Smoking Orchestra”, il suo gruppo prevede di fare presto un tour nazionale a sostegno del popolo ucraino e della popolazione di lingua russa e degli altri fratelli….E uno dei brani del suo concerto sarà dedicato alla difesa della vita dei russi in Ucraina.
“…Chiamare Putin fascista, causa il suo ruolo in Ucraina e nello stesso tempo essere gli artefici delle guerre in Iraq, Kosovo Methoija, Afghanistan, Libia, Ossezia, è una cosa oscena...” ha detto Kusturica in un articolo sul giornale “Politika” di Belgrado. Egli ha osservato che le azioni di Putin sono solo atte a salvaguardare il suo popolo dalla paura delle bande di "Bandera ", eredi dei fascisti di Ucraina, gli autori della cosiddetta “rivoluzione ucraina". Kusturica ha ricordato che gli americani non hanno liberato l'Europa dal fascismo e che oltre 20 milioni di russi sono stati uccisi nella lotta contro Hitler. "Non importa che chi accusi abbia perso 20 milioni di persone nella lotta contro Hitler. Basta chiamare l'erede di quella tradizione Hitler e poi assolvere gli attuali fascisti dalle loro colpe. La verità non è importante in sè, ma quello che stiamo facendo e se siamo d'accordo con essa; come reagiremo se presto un problema sopraggiunge, diciamo per esempio, una scimmia è diventata uomo... Il modo in cui le cose sono ora, non è impossibile che succeda… ", ha detto Kusturica.


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http://serbian.ruvr.ru/2014_06_26/Crnogorska-rusofobija-se-nije-isplatila-izostao-je-poziv-u-NATO-0936/

26.6.2014.

Црногорска русофобија се није исплатила – изостао је позив у НАТО
опширније: http://serbian.ruvr.ru/2014_06_26/Crnogorska-rusofobija-se-nije-isplatila-izostao-je-poziv-u-NATO-0936/



Најновија изјава челника НАТО алијансе, о томе да Црна Гора ипак неће добити очекивани позив за учлањење у тај војни савез, показује да чак ни отворени русофобски потези неке балканске земље не утиру пут до статуса савезника Брисела и Вашингтона.

Наиме, ако послушно увођење санкција Русији није убрзало пут Црне Горе у евроатлантским интеграцијама, како се томе надало руководство у Подгорици, онда је утолико јасније да ни евентуално српско приклањање западним санкцијама Русији, не би ни за јоту приближило Београд хладном срцу европских бирократа. Подсетимо, у жељи да пречицом из „задимљене балканске крчме“ уђе у „фенси европски кафић“, влада Црне Горе је беспоговорно следила одлуке Савета Европе о увођењу санкција свом традиционалном словенском покровитељу Русији, па је тако између осталог забранила улазак на своју територију низу високих руских функционера.
Та одлука да намерно погорша односе са Русијом је била поготово бизарна због чињенице да су руски туристи у Црној Гори - најбројнији, а руске инвестиције у црногорску привреду - највеће, јер чине чак једну четвртину свих директних страних улагања. Иначе, предеседник Црне Горе Филип Вујановић је био искрен када је још недавно без устезања признао да су увели санкције Русији због, како је рекао, „убрзавања процеса приступања Европској унији“, те „због очекивања да у септембру добију позив за НАТО савез“. Такође, и црногорски премијер Мило Ђукановић је санкције Русији образложио речима да је важно да Црна Гора „докаже НАТО-у да је способна да заузме своје место у тој организацији“.
Међутим, колико је било наивно такво њихово очекивање, потврдиле су затим најновије речи генералног секретара НАТО Андерса фог Расмусена, који је саопштио да од таквих надања барем засад нема ништа, те да Црна Гора ни ове године неће бити позвана да уђе у НАТО, чиме је показао да чак ни русофобија за балканске земље није баш увек чек који се може добро уновчити на Западу. У сваком случају, ако подгоричко руководство ни након одлучног увођења санкција историјском руском пријатељу и савезнику на невидљиви миг Запада, и свесног кварења економских и политичких односа са Руском Федерацијом – није за награду добила тај метафорички комад папира на коме је китњастим словима требало да буде исписана формална позивница за нешто што се назива евроатлантским интеграцијама, онда није потребна велика машта и моћ имагинације, да би се претпоставило да ни Србија не би добила баш никакве „бенефите“, како се то каже на европском новоговору, ако би на сличан начин подлегла притисцима и придружила се бесмисленим санкцијама упереним против Москве.
И зато, сва она мишљења која повремено провејавају у српској јавности, а која се своде на тумачење да би и званични Београд на свом кривудавом путовању фијакером до Брисела требало да усклади своје потезе са такозваном „заједничком европском политиком“, губе из вида чињеницу да се истом том логиком илузорно водило и црногорско руководство, дословно тврдећи - „да Црна Гора није увела санкције Русији, не би добила позив за НАТО“. Јер како се сада видело - санкције су увели, али позив је ипак био само нечије узалудно радовање.
опширније: http://serbian.ruvr.ru/2014_06_26/Crnogorska-rusofobija-se-nije-isplatila-izostao-je-poziv-u-NATO-0936/


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http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2014/06/24/news/arrivano-i-russi-gli-usa-diffidano-lubiana-1.9482627

Arrivano i russi, gli Usa diffidano Lubiana

“Guerra” energetica: Washington chiede di annullare l’incontro di Maribor con il ministro degli Esteri Lavrov. Teme un accordo su South Stream

di Mauro Manzin
24 giugno 2014

TRIESTE. Si scrive Ucraina, ma si legge South Stream. Risultato? Un intricato nodo diplomatico, politico ed economico dove è rimasta impigliata anche la Slovenia, Paese membro dell’Unione europea, ma storicamente e soprattutto economicamente collegata alla “Grande madre Russia”. Non sorprende quindi, che nella situazione odierna, la visita a Maribor il prossimo 8 luglio del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov diventa oggetto di un avera e propria battaglia scatenata dagli Stati Uniti i quali vedono come fumo negli occhi la realizzazione da parte di Gazprom del gasdotto South Stream che libererebbe l’Europa occidentale dal giogo di dover veder transitare, con i rischi che esso comporta, il gas attraverso il territorio ucraino.

Ma quello che ancor di più fa riflettere è il fatto che ad essere in prima linea in queste ore dovrebbe essere l’Unione europea che sta boicottando il progetto russo perché non conforme alle normative energetiche comunitarie al punto di minacciare apertamente la Bulgaria di sanzioni se farà passare la traccia del gasdotto sul suo territorio e ottenendo da Sofia il congelamento del progetto. Eppure sul fronte sloveno l’Europa non c’è. A fare la fine del mondo sono gli Stati Uniti che si oppongono apertamente all’arrivo di Lavrov perché temono che assieme al collega sloveno Karl Erjavec riescano a sbloccare l’empasse della possibile traccia slovena di South Stream. Visto poi che ieri a Vienna è arrivato lo zar Putin con sempre South Stream nel suo trolley diplomatico.

L’ambasciata Usa a Lubiana ha ammonito la Slovenia quasi intimandole di annullare l’incontro di Maribor perché sarebbe, dicono gli statunitensi, assolutamente in contraddizione con la linea unitaria dell’Ue nei confronti della crisi ucraina. Affermazioni che tramite ambasciata giungono dalla Casa Bianca ma che, a rigor di logica, avrebbero dovuto, se formulate in questa maniera, piuttosto da Bruxelles, che invece tace. Il vice ambasciatore Usa a Lubiana, David Burger ha confermato l’ostilità americana dell’arrivo di Lavrov al quotidiano Dnevnik. «Non riteniamo che questo sia il momento più opportuno per questa visita - afferma Burger - del resto la Slovenia in linea con l’Ue è per un’Ucraina indipendente e territorialmente unitaria ed è anche favorevole alle sanzioni contro Mosca». Parole però che non rispechiano quanto sostenuto dal ministro degli Esteri della Slovenia, Karl Erjavec il quale da tempo va predicando che le sanzioni alla Russia costituirebbero un pesantissimo danno all’economia della Slovenia che è per una soluzione politica della crisi ucraina.

Lubiana vuole South Stream, la Russia potrebbe anche concederglielo pur di “schiaffeggiare” Washington mentre Bruxelles boccheggia. Con Vienna l’accordo Mosca lo ha già sottoscritto e una manciata di rubli in più per transitare attraverso la Slovenia val bene il controllo dell’approvvigionamento di gas verso l’Europa.


=== 4 ===

in lingua italiana:
Il Grande progetto geopolitico: Gazprom firma l’accordo per abbandonare il dollaro
Umberto Pascali, Global Research, 7 giugno 2014
http://aurorasito.wordpress.com/2014/06/08/il-grande-progetto-geopolitico-gazprom-firma-laccordo-per-abbandonare-il-dollaro/

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http://www.globalresearch.ca/grand-geopolitical-project-russias-gazprom-signs-agreement-to-abandon-the-dollar/5386045

Grand Geopolitical Project: Russia’s Gazprom signs Agreement to Abandon the Dollar


Global Research, June 07, 2014

It’s only the tip of the iceberg. A grand geopolitical project is beginning to materialize…”

 On June 6 2014, the official Russian news agency Itar Tass announced what many were expecting since at least the beginning of the Ukrainian crisis: Russian main energy company, Gazprom Neft has finally “signed agreements with its consumers” to switch from Dollars to Euros (as transition to the ruble) “for payments under contracts”.

The announcement that the agreement has been actually signed and not just discussed was made by Gazprom’s Chief Executive Officer, Alexander Dyukov.

Despite the pressures from Wall Street and its military, propaganda and political apparatus, 9 out of 10 consumers of Gazprom’s oil and gas agreed to pay in Euros. Of course, the big watershed was the Gazprom unprecedented 30-years $400Bl natural gas supply to China signed in Shanghai last May 21 in the presence of President Putin and President Xi Jinping in the middle of the Anglo-american sponsored violent destabilization of Ukraine. In fact it is improper to talk a dollar denominated $400Bl, because this “biggest deal” will not be using dollars but the Renminbi (or Yuan) and the Russian Ruble. It links China and Russia economically and strategically for three decades, de facto (and maybe later also de jure) creating an unshakable symbiotic alliance that necessarily will involve the military aspect.

The Russia-China agreement is a clear defeat of the obsessive geopolitical attempts by Wall Street to keep the two country in a situation of competition or, ideally, war-like confrontation. It changes the structure of alliances. It strikes at the historical foundations of British colonial geopolitics (Divide and Rule). Under escalating pressures and threats to their national security, Russia and China overcame brilliantly historical, ideological, cultural differences which had previously been been by the colonial powers (and their financial heirs in Wall Street and the London’s city) for their “Divide & Conquer” strategy.

Furthermore, to the horror of London and Washington, China and Russia concluded an agreement with India (the BRICS!) breaking the other holy tenet of British colonial geopolitics: The secret to controlling Asia, and thus Eurasia has always been to instigate a perennial rivalry between India, China, and Russia. This was the formula for the 19th century “Great Game”. This was why Obama was selected to succeed George W Bush. The then vice Presidential candidate Joseph Biden announced it very openly on Aug 27 2008 at the Democratic Convention in Denver, explaining why the Obama-Biden duo had been chosen to take over the White House. The greatest mistake of the Bush administration and the Republicans, he said, was not their atrocious unchained warmongering, but their failure

“to face the biggest forces shaping this century. The emergence of Russia, China and India’s great powers”. Zbigniew Brzezinski’s protégé Barack Obama was to defeat this “threat”. Obviously they failed! But this explains the dogged, irrational, King Canute-style self-destructive arrogance that has taken over the present Administration.

The significance of these developments should be emphasized in relation to both the real economy and  the underlying financial structures. These developments in Eurasia are likely to have weaken on “the chains that have tied the European Union to Wall Street and the City of London”.  The end of the dollar payment system (Aka Petro-dollar) does not concern the currency of the United States or the United States as such. In fact overcoming this system could mean  the restoration of a rational and prosperous economy in the United States itself. What is known as “dollar system” has been just an instrument of feudal financial centers to loot the economy of the world. These centers are ready to do anything to save their right to loot. It is well known that whoever tried, until now, to create an alternative to the dollar system, met a ferocious reaction.

It is fitting to remember in this moment of great hope, the words of one of the very few great living strategists, Gen. Leonid Ivashov. On June 15 2011, reflecting on the savage destruction of Libya, the general who is an unofficial spokesman of the Russian armed forces and has been Russia’s representative in NATO, wrote

BRICS and the Mission of Reconfiguring the World.”

Whoever challenges the dollar hegemony, explained Ivashov, becomes a target. 

He gave precise examples: Iraq, Libya, Iran:

the countries which defied dollar dominance invariably came under heavy pressure and in a number of cases – under devastating attacks.” But the “the financial empires built by Rothschilds and Rockefellers are powerless against the five largest civilizations represented by the BRICS.”

Thus, Ivashov advocated a coordinated strategy by countries representing half of the world population to win their independence using their own currency.

“The shift to national currencies in the financial transactions between the BRICS countries should guarantee an unprecedented level of their independence…”

Since the collapse of the USSR, the countries which defied dollar dominance invariably came under heavy pressure and in a number of cases – under devastating attacks. Saddam Hussein –who banned dollar circulation in all spheres of Iraq’s economy including oil trade– was displaced and executed and his country was left in ruins. M. Gaddafi started switching Libya’s oil and gas business to gold-backed Arab currencies and air raids against the country followed almost immediately… Tehran had to put its plan to stay dollar-free on hold to avoid falling victim to aggression.

Still, even enjoying unlimited US support, the financial empires built by the Rothschilds and Rockefellers are powerless against the five largest civilizations represented by countries accounting for nearly half of the world’s population. BRICS is clearly immune to forceful pressure, its member countries do not appear vulnerable to color revolutions, and the strategy of provoking and exporting financial crises may easily backfire.

In contrast to the US and the EU, BRICS countries altogether own natural resources sufficient not only to keep their economies afloat in the settings of contracting availability of hydrocarbon fuels, food, potable water, and electric power but also to sustain vigorous economic growth. The shift to national currencies in the financial transactions between the BRICS countries should guarantee an unprecedented level of their independence from the US and from the West in general, but even that is only the tip of the iceberg. A grand geopolitical project is beginning to materialize

Now it’s the moment for Europe to decide the big step. The Ukrainian crisis is in reality a Battle for Europe.

The elites of Continental Europe — The Germany of Alfred Herrausen, the France of Charles De Gaulle, the Italy of Enrico Mattei and Aldo Moro, the Europe that tried to road of sovereignty and independence … have been until now terrorized and threatened exactly in the terms explained by Gen Ivashov. Now the Battle for Europe is raging. We will look in a coming article at the great European forces, the silent partners, still traumatized and scared, who are looking with trepidation and painful memories of the past defeats at the firm stand of Russia.




(srpskohrvatski / deutsch)

Nato-Bombenkrieg in Jugoslawien

1) 2014, Das Sterben geht weiter (Eva Herman, Voice of Russia, 13 Juni 2014
Si continua a morire per le conseguenze dei bombardamenti NATO

2) ЗАПАД ДУГУЈЕ ИЗВИЊЕЊЕ СРБИЈИ (Живадин Јовановић, 17 април 2014)
Z. Jovanovic, ex Ministro degli Esteri: L'Occidente deve delle scuse alla Serbia 

3) Срамота српског режима и Србије: Амерички маринци у шетњи по Нишу (Magacin, 1. јул 2014.)
Vergognoso a Nis: Marines USA a spasso per il centro commerciale nel giorno di S. Vito


=== 1 ===

http://german.ruvr.ru/2014_06_13/Nato-Bombenkrieg-in-Jugoslawien-Das-Sterben-geht-weiter-7789/

Eva Herman
13 Juni 2014

Nato-Bombenkrieg in Jugoslawien: Das Sterben geht weiter

Er war ein Albtraum, dieser Nato-Bombenkrieg zwischen dem 24. März und 10. Juni 1999, dessen Deckname "Operation Allied Force“, also "Unternehmen Bündnisstreitmacht“ lautete, obwohl dieser Krieg außerhalb eines Bündnisfalls lag. Dass für diesen militärisch hochbrisanten Einsatz kein ausdrückliches UN-Mandat existierte, störte damals nur Wenige. Anführer der Militäroperation waren die Vereinigten Staaten von Amerika, ihre Luftstreitkräfte setzten mit zeitweise über 1.000 Kampfflugzeugen einen größeren Prozentsatz ein als während des gesamten Vietnam-Krieges. Hunderttausende Menschen waren auf der Flucht, fast tausend jugoslawische Dörfer und Städte wurden zerstört.
Ich erinnere mich an die Aufregung damals in der Tagesschau-Redaktion: Sonderschichten wurden eingelegt, Journalisten und Sprecher mussten rund um die Uhr Dienst schieben, alle waren aufgeregt. Man wollte Jugoslawien „retten“. Ach, ja? In Deutschland wurden zahlreiche öffentliche Veranstaltungen abgesagt, aus „Solidarität“ mit unseren jugoslawischen Freunden. Prominente gaben vor laufender Kamera ihre Betroffenheit kund, wollten nicht mehr feiern, nicht mehr in Urlaub fahren. In den Talkshows gab es nur ein Thema: Ergriffenheit und Rührung. In den Nachrichten meldeten wir, der Einsatz sei ein „sauberer Krieg“, die Waffen arbeiteten „präzise“, die Nato bombardiere ausschließlich Militärstützpunkte, und nicht zivile Standorte.
Die Wahrheit sah anders aus, die Bomben zerstörten Wohnhäuser, Schulen, Kindergärten. Auch Krankenhäuser wurden getroffen. Tausende Menschen starben, Hunderttausende wurden verletzt. Viele sind bis heute traumatisiert. Die Brüsseler Propaganda-Zentrale der Nato sprach damals von „Kollateralschäden“. Niemand teilte der Öffentlichkeit mit, dass diese Schäden bis heute anhalten, auch damals wurde nicht offiziell darüber berichtet.
Ein deutscher Journalist, in Sarajewo geboren, führte kürzlich ein Interview mit einem der führenden Chirurgen des Instituts für Onkologie in Belgrad, Prof. Dr. Radan Džodić. Der Mediziner operiert und behandelt Krebspatienten, deren Zahl seit Jahren besorgniserregend ansteigt. Er gibt Auskunft: „In den letzten zehn Jahren hat sich in Serbien die Zahl der Erkrankungen von Schilddrüsenkrebs um 300 Prozent erhöht. Das liegt daran, dass die Nato unsere Region als Abladeplatz für Atommüll genutzt hatte. Wir wissen immer noch nicht, wie viele Bomben mit abgereichertem Uran über unserem Land abgeworfen wurden.“ Die Regierung veröffentliche keine ernsthaften Studien zu den Auswirkungen dieser Bomben, so Džodić: „Wir sind nur Ärzte, und unsere Aufgabe ist es, die Menschen zu behandeln. Ich arbeite hier seit über 40 Jahren als Chirurg in der Onkologie, und als Arzt kann ich nur sagen: Der Krebs wird immer aggressiver, er greift jetzt auch jüngere Menschen an und macht sie lebensunfähig.“ Kleine Kinder und Jugendliche werden auf seiner Station behandelt, viele sind dem Tode geweiht. Wer berichtet? Wer ist betroffen?
Wie es heißt, sollen beim Nato-Luftkrieg über Jugoslawien tatsächlich massenhaft DU-Geschosse (depleted uranium) abgefeuert worden sein, Waffen mit abgereichertem Uran, panzerbrechende Munition mit hoher Durchschlagskraft. Es handelt sich um Atommüll, dessen Endlagerung immer teurer wird. Es sei schwierig, ein Land zu finden, wo die hochgiftigen Stoffe ohne Öffentlichkeit „endgelagert“ werden können, heißt es. Wissenschaftler warnten schon 1970, als die USA damals damit begannen, diesen Atommüll bei der Herstellung von Munition zu verwenden: Dieses Uran ist nämlich nicht nur radioaktiv, sondern auch chemisch giftig. Die Halbwertzeit von Uran beträgt über vier Milliarden Jahre.
Die bosnisch-serbischen Länder sind heute vergiftet, die Gewässer verseucht. Niemand spricht darüber. Das Uran arbeitete sich durch die Erde und gelangte ins Grundwasser, wird der Toxikologe Radovan Kovacevic zitiert. „Unsere Tierärzte aus Vranje haben bereits ein hohes Wachstum von Leukämie bei Ziegen, Schafen und Kühen festgestellt.“ Er berichtet, dass an manchen Stellen die Uran-Geschosse in die dörflichen Brunnen gefallen sein. „Wir untersuchten die Bauern, die versucht hatten, die Brunnen zu säubern. Bei ihnen haben wir 3.759 Nanogramm Uran-238 pro Liter Urin gefunden. Zum Vergleich: bei den Friedenssoldaten im Kosovo und deren Krebspatienten wurden in einem Liter Urin 231 Nanogramm, und im Urin eines US-Soldaten nach dem Krieg im Irak 150 Nanogramm gefunden.“ Natürlich seien die Bauern kurze Zeit später gestorben. 
In Serbien wird heute täglich bei mindestens einem Kind Krebs diagnostiziert. „Die Nato hat uns nicht nur während der Bombenangriffe getötet. Die Nato tötet unsere Nation seit fünfzehn Jahren ununterbrochen, und die Zahl der Opfer wächst,“ so der Toxiloge Kovacevic.
Es ist heute schwer nachprüfbar, ob folgender Satz stimmt, doch so wird es behauptet. Ein amerikanischer Nato-General soll einmal gesagt haben: „Ein Jahrzehnt Kriege wie im Irak, und wir sind den gesamten Atommüll losgeworden!"
Das nächste Kapitel steht jetzt an: Die Ukraine. Die Anzeichen sind genau dieselben wie einst in Jugoslawien. Oder im Irak, in Libyen… Hier sah die Weltöffentlichkeit ebenso voller Hoffnung auf die „Retter“: die Nato. Wir sollten Jugoslawiens grausame Kriegs-Geschichte nicht vergessen, denn sie ist noch längst nicht zu Ende. Auch wenn die Fußball-WM in Brasilien derzeit unsere ganze Aufmerksamkeit in Anspruch nimmt.
Weiterlesen: http://german.ruvr.ru/2014_06_13/Nato-Bombenkrieg-in-Jugoslawien-Das-Sterben-geht-weiter-7789/

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ЗАПАД ДУГУЈЕ ИЗВИЊЕЊЕ СРБИЈИ

четвртак, 17 април 2014

Аутор: Живадин Јовановић

Бивши немачки канцелар Герхард Шредер, нешто пре недавне посете Београду, изјави да су чланице НАТО-а, дакле, и Немачка, нападом на СР Југославију 1999., прекршиле међународне законе. У време напада, односно, агресије, Шредер је био Савезни канцелар Немачке. Шредер је први председник владе једне земље чланице НАТО и ЕУ, из времена агресије НАТО, који је јавно признао да су нападачи прекршили међународне законе. Дакле, Шредер, влада чији је шеф био и његова земља су, дакле, свесно, умишљајно, учествовале у кршењу међународних закона. По дефиницији међународних закона то је била оружана агресија која је злочин против мира и човечности. По међународним, али и по националним законима, ко супротно законима другом нанесе штету, има обавезу да исту надокнади. То је законска, али и морална и цивилиѕацијска обавеза. А штета нанета СР Југославији – Србији и Црној Гори - је огромна. Само директна материјална штета процењена је одмах након агресије на 100 милијарди америчких долара. Без процене штете за близу 4.000 убијених и око 10.000 рањених људи. Без процене штете по здравље људи и природну околину од употребе пројектила са осиромашеним уранијумом, касетних и графитних бомби. О патњама читаве нације и моралној штети да не говоримо.

НАТО је, како преносе медији, на свом сајту управо објавио саопштење у којем се, поред осталог, наводи да је напад на СР Југославију пре 15 година извршен без овлашћења Савета безбедности. А зна се, према Повељи УН једино тело које може дати одобрење за било какву војну акцију против неке друге земље јесте управо Савет безбедности. Дакле, сам по себи, став да је напад извршен без одобрења Савета безбедности, намеће закључак да је НАТО свесно, умишљајно, прекршио Повељу УН која је темељ читавог међународног правног поретка успостављеног после Другог светског рата. Агресијом НАТО против СРЈ пре равно 15 година, Алијанса је озбиљно поткопала, угрозила светски правни поредак. НАТО, додуше, наводи у саопштењу, да се одлучио на напад да би осигурао безбедно окружење, спречио масовно кршење људских права и протеривање становника. Колико је то био мотив, а колико маска за стално стационирање америчких војника (Боднстил) као ослонца стратегије експанзије на Исток, поодавно, углавном, није спорно, не само за аналчитичаре и слободно мислеће људе, већ ни за јавност у Европи и у свету. Какво је то безбедно окружење у коме је током мандата КФОР-а (читај: НАТО) на Косову и Метохији уништено 150 српских средњевековних манастира и цркава, разорано десетине, ако не стотине, српских гробаља, протерано око 250.000 Срба и других неалбанаца којима се ни после 15 година од протеривања не дозвољава слободан и безбедан повратак на њихова огњишта? Шта значи слобода за и „безбедно окружење“ за жртве погрома Срба 2004. године, за киднаповане, убијене и нестале, посебно за жртве трговине људским органима? О томе и много чему другом нема речи у ни у једном саопштењу НАТО.

Неко може рећи, да је саопштење НАТО усмерено да изравна рачуне са Русијом око Украјине. Да, управо, то је то циљ. Само, нико није у обавези да прихвати полуистине, искривљавање, арбитрарно тумачење ставова Савета безбедности, двоструке стандарде, селективно баратање чињеницама. Зашто међу аргументима званичника НАТО никада нема цитата и извештаја са Косова и Метохије немачког генерала Локваја, кључног војног аналитичара КВМ, или Дитмара Хартвига, шефа Мисије Европске уније у Покрајини (ЕЦММ) до почетка агресије? Зашто нико не помиње да се резолуцијама Савета безбедности усвојеним пре почетка агресије од свих чланица светске организације, дакле и од чланица НАТО, тгражило да прекину финансирање, наоружавање и обучавање терористичких формација на (са) Косову и Метохији? О чему су говорили такви позиви (налози) – о чистим рукама и принципијелности служби чланица НАТО, о посвећености борби против тероризма и поштовању људских права?! 
Шредер је током посете Београду имао разговоре на највишим нивоима у Србији. Није познато да ли је том приликом поновио оцену о свом, немачком, или НАТО свесном кршењу међународних закона приликом агресије против Србије и Црне Горе ни да ли је уопште било речи о агресији иако су управо тих дана његови београдски саговорници полагали венце и одавали пошту жртвама агресије поводом њене 15. годишњице. Изјаву дату немачким медијима о учешћу у кршењу међународних закона, Шредер није поновио медијима у Београду, а очигледно није нашао за сходно да поводом тужне 15. годишњице, изрази јавно извиње због кршења међународних закона на штету Србије и српског народа, односно, због злочина учњених „у име Немачке“, у име НАТО, или већ било кога другог. Шредер је добро знао да долази у посету Србији управо у време када се жртвама агресије за коју и сам носи не малу одговорност. Како му није пало на памет да бар један каранфил положи на споменик палој деци у Парку Ташмајдан?

Зашто се Шредр није извинио Србији и њеним грађанима за страдања , за велике људске губитке? Зашто?

Да ли, на пример, зато што сматра да је речено кршење међународних закона, било и остало у интересу „људских права“, „добробити српског народа“, демократије, „европске перспективе Србије“, будућности, „бољег живота“? Тешко да би то био разлог. Каква би то била представа о људским правима, демократским и цивилизацијским вредностима, које се бране убијањем деце, тровањем народа, геноцидним оружјима као што су осиромашени уранијум, касетне и графитне бомбе, разарањем школа, болница, цркава, мостова, путева, пруга, радио и ТВ станица, уништавањем природне околине, савезништвом са овејаним терористима и структурама организованог међународног криминала?

Или, можда, Шредер сматра да пошто већ подавно више није завнични представник Немачке, нема права да својим изјавама обавезује Нмачку, њену садашњу владу? То и не би био сасвим нелогично. Међутим, зашто се бар у лично име, као учесник у злочину, не извину, бар за убијену децу, за 16-годишњу математичарку Сању Миленковић, погинулу приликом бомбардовања моста у Варварину, или двогодишњу Милицу Ракић, страдалу у родитељском наручју у Батајници, или трогодишњу Драгану Димић, из Старог Грацког, код Липљана, за њих 88... Уосталом, ако је имао овлашћења да говори како Немачка сматра Србију „кључним партнером на Балкану“, како ће Немачка пружити сваку подршку Србији на њеном путу ка чланству у ЕУ, било је још логичније да се извини српском народу за нешто за шта је и лично одговоран. Немачка јавност, која се у међувремену „едуковала“, која је сазнала за многобројне лажи и манипулације типа „Плана потковице“ владе чији је канцелар био управо Герхард Шредер, не би му замерила да се јавно извинио. Да не говоримо о томе да би му на таквом људском и цивилизованом гесту честитали многи врхунски немачки интелектуалци и поборници истине, као што су један други бивши немачки канцелар – Хелмут Шмит, парламентарац и државни секретар Вили Вимер, већ поменути генерал Хајнц Локвај, адмирал Елмар Шмелинг, проф. Клаус Хртман, проф. Волфганг Рицхтер, амбасадор Дитмар Хартвиг и многи други.

Заиста, тешко да је било прикладније прилике за извиње Шредера за злочине учињене Србији 1999. године него што је његов боравак у тренутку када цела Србија, читава јавност одају почаст жртвама агресије поводом 15. годишњице. У том тренутку у Београду се налазило 30 врхунских немачких интелектуалаца који су учествовали на међународној конференцији под мотом „ДА СЕ НЕ ЗАБОРАВИ“. Иако је било гостију из око 50 земаља из свих делова света, група из Немачке била је далеко најбројнија.

Све је већи број европских и светских интелектуалаца, аналитичара и историчара долази до кључне оцене – агресија НАТО против СР Југославије била је рат против Европе у коме је учествовала Европа! Иако су САД имале кључну улолгу у томе рату, и управо због тога, последице тог трагичног рата не трпе САД, већ Европа. И још дуго ће трпети. Немачка није изузета из ношења терета последица агресије. Напротив.

То је био рат за глобалне америчке циљеве. Један од тих циљева је био – даље притезање америчког захвата око Европе, притезање загрљаја. О томе сведочи и текућа криза у и око Украјине до које није дошло спонатано, нити вољом Европе. Порекло је у стратегији глобалног интервенционизма, „обојеним револуцијама“ (са песницом као заштитним знаком), сарадњи са терористима, наци-фашистима, „демократизацији“ милионским кеш исплатама, злочинима који се олако приписују противнику... Та технололгија и ижењеринг до детаља су испробани у периоду од 1995. – 2000. на Србији. Сада је то ГМО семе империјалистичке доминације.

Није ли време за катарзу европске и америчке политичке елите од неморала, лицемерја, од затварања очију пред стравичним злочинима у име „људских права“, „борбе против тероризма“, „уништавања оружја за масовно уништавање“, од шпијунирања пријатеља и сопствених грађана, тајних затвора и летова, сарадње са терористима, неонацистима, неофашистима, вођама нарко-кланова...

Прљаве методе политичке елите на Западу које су ескалирале током протекле две и по деценије у име цивилизацијских вредности као што су људска права, достојанство, морал, демократија и слобода – спредстављају канцер који озбиљно угрожава највеће цивилизацијске вредности. Ко ће и како надокнадити 150 средњевековних цркава и манастира порушених на Косову и Метохији? Или можда није требало ни да постоје. „И тако су били превише стари“, био је антологијски одговор високог официра НАТО на Косову и Метохији!

Све чега смо сведоци, од Бондстила и милитаризације Европе, преко напада на Авганистан, Ирак, Либију, Мали, до нових „антиракетних штитова“ и сукоба и преврата у Украјини, директно или индиректно, почело 90-их година прошлог века преко глава српског народа. Ред је, ипак, да се неко коначно извини Србији и српском народу. Без тога, чини ми се, тешко може бити боље Европи и свету.

Подсетимо се, ове године обележава се 100. годишњица почетка Првог и 75. годишњица почетка Другог светског рата, 70. годишњица ослобођења Београда од фашистичког окупатора и 15. годишњица агресије НАТО. Поуке историје се не смеју заборавити.


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SLIKE / FOTO dei Marines USA a spasso nel centro commerciale di Nis il giorno di Vidovdan tra la gente disgustata: 

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Срамота српског режима и Србије: Амерички маринци у шетњи по Нишу

— 1. јул 2014.

Раштеловали су нам КОМПЛЕТАН систем безбедности, довели марионетски режим, потписали „СОФА“ споразум ( читај- легализовали окупацију), нашој војсци су дали Њихове „шаре“ (чисто да се мало навикнемо на окупаторску униформу).

Сада знам како су се осећали моје баке и деке док су гледали окупатора лице у лице док слободно шетају Србијицом.Не обраћајте пажњу на нашег војног полицајца. (препознаћете га по флуо-прслуку – униформа му је идентична са овим олошима). Он је ту искључиво као водич… (где је добар бурек, дакле калеее…знаЋи брдоо…а Калча значи калча… и то…)

Хвала СНС-у, СПС-у, ДС-у, СПО-у, ЛСВ-у,ЛДП-у и осталима за чињење и ДСС-у и СРС-у за нечињење ( кад су могли и имали кад и где). Свима вам до неба хвала за веома значајну историјску улогу у спровођењу меке ( на Космету војне) окупације Србије.

Србине, кувана жабо!

Овако нешто се дешава у граду који је од сународника ових војника доживео пре само 15 година да му цивилне становнике гађају касетним бомбама, кадса су између осталих на лицу места убили и једну трудницу. Срамите се издајници, окупаторски намесници. Подсећамо вас на страдање Нишлија у тексту:

Аутор текста: Саша Пјевовић
Фотографије: Фејсбук страница Портала Нишке вести
Обрада: Магацин

[SLIKA: Амерички маринци су на Видовдан били у Нишу. Куповина у Темпу. У Ниш су дошли аутобусом Ниш Експреса?!]




http://www.advance.hr/vijesti/analiza-socijalisticka-i-anti-kapitalisticka-borba-postaje-sve-snaznija-u-donbasu-vec-i-ruske-elite-strahuju-od-sirenja-ovih-pravednih-ideala-i-na-rusiju-u-donbasu-se-sve-otvorenije-poziva-na-nacionalizaciju-pa-i-na-stvaranje-sovjeta/

Analiza: socijalistička i anti-kapitalistička borba postaje sve snažnija u Donbasu, već i ruske elite strahuju od "širenja" ovih pravednih ideala i na Rusiju - u Donbasu se sve otvorenije poziva na nacionalizaciju, pa i na stvaranje Sovjeta



N. Babić
vrijeme objave: Ponedjeljak - 30. 06. 2014 | 21:15

U Ruskoj Federaciji se rasprave o budućnosti Donbasa često vode koristeći termine kao što su "ruski svijet", "pravoslavno bratstvo", "odbijanje Europe", dok na Zapadu veći dio analiza o situaciji na istoku Ukrajine poprima nacionalistički diskurs, spominju se "pro-ruski separatisti i teroristi" i hoće li se ili neće Rusija "dalje širiti na štetu teritorija Ukrajine" i tako ojačati svoj geostrateški utjecaj u istočnoj Europi.

Rijetki obraćaju pozornost na jednu posve drugu realnost, a to je klasna dimenzija ustanka, na što je ovaj portal nekoliko puta pokušao ukazati. Potvrda tome su i programski dokumenti novih republika u Donbasu, koji jasno navode kako će se vlast u NR Donjeck i NR Lugansk, koje sada čine "Savez narodnih republika", ustrojiti po uzoru na onu iz vremena Sovjetskog Saveza, naravno, institucije i gospodarstvo dviju narodnih republika se mora uskladiti s vremenom u kojem živimo. Isključena je trodioba vlasti, a izvršnu vlast bi trebalo obavljati Vrhovno vijeće republike, odnosno "sovjet" (Верховный совет республики), dok je jedna od ključnih stavki novog narodnog ustava nacionalizacija ključnih industrija. Kompletan tekst nacrta ustava NR Donjeck, koji je jednoglasno usvojen sredinom svibnja, potpuno se ignorira, dok o njemu raspravljaju ili mu daju otvorenu podršku uglavnom ljevičarske organizacije Ukrajine i Rusije, kao što je ukrajinska revolucionarna marksističko-lenjinistička i antifašistička organizacija Borotba, ruski Ljevičarski front (Левый Фронт), Komunistička Partija Ukrajine (KPU), KP Ruske Federacije (KPRF), te brojni intelektualci i aktivisti koji svoje radove objavljuju na ukrajinskom internetskom portalu LIVA

Jedna od prvih koji je progovorio o budućem ustroju Donbasa je bio bivši narodni gradonačelnik Slavianska, Vjacheslav Ponomarev, kojega je zapovjednik obrane grada, Igor Strelkov, uhitio 10. lipnja. Ponomarev je, navodno, "sudjelovao u aktivnostima koje nisu bile u skladu s ciljevima i zadaćama gradske uprave", a nakon brojnih nagađanja o njegovoj sudbini, pa čak i da je likvidiran, prije nekoliko dana su ga novinari ruske televizije LifeNews posjetili u pritvoru u Slaviansku, gdje su ga zatekli u prilično dobrom stanju.

Puno važnija od osobne sudbine Ponomareva je njegova izjava od 12. svibnja, kada je otvoreno rekao da će sva gradska industrija će biti nacionalizirana.

"Tu nitko ne treba imati nikakvih iluzija, želim reći da će cijela industrija u gradu biti nacionalizirana. Ne možemo ostaviti industrijski potencijal grada u rukama beskrupuloznih poslovnih ljudi", rekao je tada Ponomarev.

Politički analitičar, ljevičarski aktivist i sudionik pokreta AntiMaidan, Victor Chapin, za portal LIVA piše "kako je izjava Ponomareva posljedica spontane, antikapitalističke orijentacije aktivista AntiMaidana koji su stvarali narodne republike Donjeck i Lugansk". 

Poznato je da su najveći ukrajinski oligarsi bili sponzori i glavni su profiteri EuroMaidana. Kapitalistički oligarsi poput Igora Kolomoiskog, Dmitriya Firtasha, Sergeja Tarute i, možda u manjoj mjeri, Rinata Ahmetova financirali su EuroMaidan i bili zaduženi za medijsku kampanju "revolucije" u Kijevu. Iako su i ranije utjecali na sve vlade, pa i onu Viktora Janukoviča, te Ukrajinom upravljali iz sjene, nakon oružanog prevrata su kao guverneri ključnih regija dobili izravnu kontrolu nad životima milijuna ljudi. Ispostavilo se da su ukrajinski oligarsi dobili veću moć od ultranacionalista s EuroMaidana, a potom su činili sve da se ne rodi pokret otpora novoj vlasti - AntiMaidan. 

Narodni guverner Donjecka, Pavel Gubarev, tvrdi "kako je Rinat Ahmetov platio jedan dio aktivista AntiMaidana da samo mirno sjede i smiruju prosvjede koji su buknuli na istoku".

"Ljudi Ahmetova su imali zadaću da obuzdaju ljutnju, kao što je to bilo u Dnjepropetrovsku. Međutim, tamo je oligarh Kolomoiski to uspio učiniti jer je proukrajinski sentiment u toj regiji jači nego u Donbasu", rekao je Gubarev.

Oligarsi su financirali neonaciste Dmitriya Yarosha, a Kolomoiski je nudio 10 tisuća dolara za uhvaćene "ruske sabotere", dakle, bilo je logično da se aktivisti na jugoistoku svrstaju u tabor neprijateljski nastrojen prema kapitalizmu. 

"Sudjelovao sam u pokretu AntiMaidan u Harkovu i Odesi, gdje sam vidio koliko je narodnih masa probuđeno i izvikivalo slogane protiv oligarhije", rekao je Chapin.

Jedan od vođa AntiMaidana iz Harkova, ujedno vođa pokreta Borotba, Sergej Kirichuk, također naglašava važnost socijalnog programa pokreta "Jugoistok".

"Ljudi su ovdje na jugoistoku ustali za svoja socio-ekonomska prava. Ovdje postoji vrlo ozbiljan antioligarhijski i antikapitalistički dio unutar prosvjeda. Treba reći da se jugoistok ne može mjeriti po tehničkoj i financijskoj potpori s EuroMaidanom. Victoria Nuland je rekla da su SAD dale 5 milijardi dolara za promoviranje demokracije u Ukrajini, dok pokret na jugoistoku Ukrajine nema jaku financijsku potporu. Primjetio sam da u gradovima u kojima smo bili aktivni - u Harkovu i Odesi, ne dolaze sredstva iz Rusije, a na političkoj sceni nema puno ljudi koji su nam pomogli i financirali naš pokret", rekao je Kirichuk.

Čak ni oni za koje se smatra da im stiže izdašna financijska pomoć iz Rusije nisu imali takvu potporu kao prevratnici u Kijevu.

"Među borcima i aktivistima su različiti ljudi. Imate rudare, službenike, studente, bivše policajce i vojnike, ali im je zajedničko da su svi imali pošten posao. Oni su, kada smo imali financijskih poteškoća, čak prodali svoju imovinu i potrošili svoj novac", rekao je Pavel Gubarev, jedan od lidera Donjecka.

Dakle, radnici, studenti i borci Donbasa se financiraju gotovo sami, a kada su aktivisti Borotbe u zgradi Regionalne državne uprave u Harkovu doslovno "zarobili" jednog od pripadnika Desnog Sektora, pronašli su kod njega nekoliko kreditnih kartica i čekova, na kojima je ukupno bilo deset tisuća dolara. Radilo se o mladiću, gotovo dječaku, studentu prve godine Instituta za fizičku kulturu i 10,000 $ je prilično velika svota novca za jednog ukrajinskog studenta, osim ako nije istaknuti aktivist Desnog sektora. 

Uvjetno rečeno, EuroMaidan je imao i svoj pozitivan učinak, jer su neonacisti, pristavši na financiranje od strane oligarha, odmah zaboravili na njihovu demagošku borbu "protiv kapitalizma". Jedinstvo oligarha i nacista u Ukrajini je isto ono kakvo je već viđeno u povijesti, a logičan slijed je bio povezivanje antifašista i antikapitalista koji su se udružili u borbi protiv hunte iz Kijeva. 

[PHOTO: Iako se voli naglašavati "nacionalistička" dimenzija ustanka u Donbasu, ona je u prvom redu antifašistička i antioligarhijska, odnosno antikapitalistička pobuna naroda jugoistoka Ukrajine]

"Fašizam je otvorena teroristička diktatura najreakcionarnijih, šovinističkih, imperijalističkih elemenata koje financiraju kapitalisti i on svoju moć i crpi iz financijskog kapitala. EuroMaidan je tako postao organizacija terorističke odmazde protiv radničke klase i revolucionarnog dijela seljaštva i inteligencije. Fašizam je u vanjskoj politici - šovinizam u najgrubljim obliku, koji gaji životinjsku mržnju prema drugim narodima", klasična je definicija fašizma jednog od povijesnih lidera historijskih međunarodnog komunističkog pokreta, Georgia Dimitrova, a ono što se danas događa u Ukrajini je ogledni primjer ove definicije. 

Oligarh Kolomoiski je simbol sprege financijskog kapitala i terorističkog nasilja kojeg provode njegovi neonacistički eskadroni nad narodom Donbasa. Nisu slučajno da su zagovornici EuroMaidana rušili spomenike Lenjinu i slavili njegove protivnike. Ovo su samo neki od argumenata koji dokazuju klasnu dimenziju ustanka na istoku Ukrajine, a traži li netko u Ukrajini klicu socijalizma, onda će je naći u pokretu AntiMaidan na jugoistoku. 

"Nitko ne tvrdi da će NR Donjeck i Lugansk biti socijalističke. Vrlo je vjerojatno da će jedan dio velikih i srednjih kompanija zadržati svoj sadašnji status, a moguće je da će se stopiti s ruskim korporacijama. Međutim, samo stvaranje narodnih republika, antifašističko, antiimperijalističko i antioligarhijsko iskustvo i masovna borba, nesumnjivo će ojačati ljevicu ne samo u Ukrajini, nego u cijelom post-sovjetskom prostoru. Čak je i Lenjin rekao: "Tko čeka "čistu" socijalnu revoluciju, nikada je neće doživjeti!". Socijalistička revolucija u Europi ne može biti ništa drugo nego eksplozija masovne borbe potlačenih i nezadovoljnih ljudi iz svih dijelova društva. Mnogi koji i ne dijele isti zanos će neminovno biti uključeni u sve to bez takvog sudjelovanja, jer masovna borba bez njih nema obilježja revolucije, baš kao što će se mnogi neizbježno suočiti sa svojim predrasudama, reakcionarnim fantazijama, slabostima i pogreškama", završava svoje izlaganje Victor Chapin, aktivist AntiMaidana i dopisnik portala LIVA. 

Sada je valjda jasno da je u Kijevu došlo do sprege najreakcionarnijih dijelova ukrajinskog društva, koji su prigrabili svu vlast i pokrenuli vojnu kampanju protiv onog dijela stanovništva u kojem postoji "klica socijalizma", kako kaže Chapin. 

Treba biti iskren pa reći i da je jedan dio prosvjednika u Kijevu sanjao pravedniju Ukrajinu, koja će ograničiti moć oligarha, te stvoriti "demokratsko društvo s poštenim poduzetnicima". No s Poroshenkom, Kolomoiskim, Tarutom Ahmetovim, Desnim sektorom, Svobodom, organizacijom UNA-UNSO, kasnije Nacionalnom gardom i bataljunima Kolomoiskog, postrojbama koje vode glavnu riječ u kaznenoj ekspediciji protiv naroda Donbasa, jugoistok Ukrajine se bez zadrške može nazvati antifašističkom, antikapitalističkom i antioligarhijskom slobodnom enklavom u toj zemlji. Kao takva, ona zaslužuje podršku ljevice na međunarodnoj razini i najgore što se može dogoditi je okarakterizirati ovaj ustanak kao "velikoruski", "pravoslavni" ili "antieuropski". 

Pučistička vlast u Kijevu je stvorena na domoljubnim parolama Ukrajine, kojima su u potpunosti bili zadovoljni dužnosnici iz Bruxellesa i Washingtona. Oligarhija je Ukrajinu odvela u rat, siromaštvo i fašizam, stoga toj zemlji treba "deoligarhizacija". Politička dominacija oligarha mora biti slomljena i oni moraju biti uklonjeni s vlasti. Prijedlozi koje sadrži ustav narodnih republika - nacionalizacija poduzeća i banaka u njihovom vlasništvu – su ciljevi koji mogu biti i djelomično ostvareni, ali će i to biti veliki uspjeh. U tom bi se slučaju i stanovnici središnje i zapadne Ukrajine zapitali što su dobili odabirom Poroshenka i katastrofalnim ugovorom s EU.

Sigurno je da će ukrajinska oligarhija i dalje raspirivati građanski rat, samo kako bi ustanak i dalje bio "proruski i nacionalistički". Njima je u cilju očuvanje njihove dominacije i stoga su spremni nastaviti ovaj za njih isplativi pokolj na istoku zemlje, bombardirati stambene četvrti, slati u borbu neobučene ročnike i nemilosrdno rastezati ovaj sukob, čije rane neće zacijeliti godinama. 

Dakle, borba protiv njih se mora voditi bilo gdje, a u Donjecku su prosvjednici već preuzeli urede Tarutine kompanije "Industrial Union of Donbass". Vlast u Ukrajini je trebao preuzeti narod, ali su zbog naznaka klasne borbe koja je tinjala oligarsi pokrenuli građanski rat i sve kanalizirali u posve drugom smjeru.

U Rusiji se također puno govori o nečemu sasvim novom na post-sovjetskom prostoru. Analitičar Dmitrij Kumbrikov piše "kako Nova Rusija i jugoistok Ukrajine mogu biti primjer izgradnje istinske demokracije".

"Patriotska javnosti u posljednje vrijeme često govori o mogućnosti slanja ruskih vojnika u Ukrajinu. Neki kažu da će Zapad u tom slučaju pokušati izolirati našu zemlju od ostatka svijeta. Slične poruke se čuju od strane "mirotvoraca", svojevrsne "pete kolone" u hodnicima Kremlja (ili "šeste", budući da je "peta kolona" otvoreno neprijateljski nastrojena Kremlju, kako tvrdi Alekandar Dugin op.a.). Prema pristašama vojne opcije, naša vojska može za tri dana izbiti do poljske granice i postaviti u susjednoj zemlji proruski režim. Oba scenarija su, navodno, "dobra" za Rusiju, a tu su i rasprave o tome kako bi se na taj način postigla neviđena ruska geopolitička prevlast i da je ovo povijesna prilika, ali treba govoriti o novoj realnosti, a to je Nova Rusija", kaže Dmitrij Kumbrikov.

Na početku smo rekli da se rasprave o Donbasu vode oko pojmova kao što su "ruski svijet", "pravoslavno bratstvo" i "odbijanje Europe". Govori se da će zajedno s teritorijima jugoistočne Ukrajine Rusija ojačati svoj utjecaj u regiji. Potom se naglašava odnos Washingtona prema Moskvi, da se Rusija može suprotstaviti Zapadu i "onim gadovima, sljedbenicima Stepana Bandere". 

Oduvijek je poznato da lideri sjede na sigurnoj udaljenosti od ratišta i dalekozorom prate tijek neprijateljstava. Sada se tehnologija promijenila i umjesto dalekozora se rat u Ukrajini može pratiti na mobilnim telefonima, ali je strast u ljudi za praćenjem rata na sigurnoj udaljenosti ostala. Takav pristup prati i propaganda, ali se zaboravlja činjenica da bi porast ruskog teritorija povećao raspon utjecaja te zemlje i da bi to moglo više na ruku ići oligarsima , nego običnim radnicima. Stoga se treba dobro razmisliti i o samoj ideji ujedinjenja narodnih republika Donbasa s Ruskom Federacijom.

Analizirati trenutnu situaciju u Donbasu treba ne samo s geopolitičkog stajališta, nego i obratiti pažnju što uopće ti ljudi tamo žele.

Prvo što bi svi trebali razumjeti je da u regijama Lugansk i Donjeck nitko nije htio rat, a sada mnogi govore o stvaranju nove države koja će uključivati još šest, ili čak i više, ruskih govornih područja u Ukrajini. 

Sama ideja o takozvanom "ruskom svijetu" je vrlo apstraktna i u procesu izgradnje budućeg ustroja Nove Rusije se ne mogu ignorirati ekonomske zakonitosti. Tako bi se ponovila sudbina Pridnjestrovlja u kojem lokalni oligarsi imaju u svojim rukama većinu nacionalnog gospodarstva nepriznate republike, a ljudima je ostao samo slogan jedinstva s Rusijom. Isto se može očekivati i u Novoj Rusiji, ako Ahmetov i njegovi ljudi zadrže kontrolu nad gospodarskim životom novog političkog entiteta.

Danas u Donbasu svi govore kako "vlast treba dati narodu", a već sutra, uoči izbora, moglo bi doći do uobičajene manipulacije javnog mnijenja. Sve igre u lokalnom parlamentu će se voditi pod sloganom "obrane ruskog svijeta", a izabrani zastupnici bi vrlo lako mogli izglasati pogodnosti za kompanije u vlasništvu lokalne ili ruske oligarhije.

U Rusiji svi sa žarom prate izvještaje Igora Strelkova, a gotovo da se ne obraća pozornost na programske dokumente novih narodnih republika u Donbasu. U njima se jasno navodi da će vlast biti "sovjetskog tipa", bez trodiobe vlasti i postojat će Vrhovni vijeće republike. Glavne industrije će se nacionalizirati.

Naime, stanovnici Nove Rusije se danas bore za jedinstveni socijalni model, istinski oblik demokracije i drugačije upravljanje javnim dobrima.
Dakle, projekt Nove Rusije nije samo nekakva "ruska država" u bivšoj Ukrajini i privlačan model za cijeli post-sovjetski prostor. Takva Nova Rusija bi mogla postati privlačan model i za ruski narod u Rusiji. Donbas nije daleki "otok slobode", kao što je to Rusima daleka i strana Kuba, prema kojoj Rusi gaje prijateljske i tople osjećaje. Nova Rusija može postati temelje za širenje ideje socijalne pravde u cijeloj Rusiji.

Mnogi tvrde da bi Kremlj trebao "pripojiti" NR Donjeck i NR Lugansk, dok drugi kažu da rusko vodstvo treba računati i na zapadne sankcije i izračunati je li Rusija spremna na takvo ekstremno sučeljavanje. O ovim okolnostima veliku ulogu igraju i ruski i ukrajinski oligarsi, koji imaju zajednički jezik i ne bi im bilo drago imati u njihovom dvorištu još jednu rusku državu u kojoj nema mjesta za njih.

Moguće je da takozvana "revolucija odozgo" nema šanse za uspjeh u Rusiji, ali to nije nikakva prepreka da građani Rusije ne daju potporu susjednom Donbasu. Opstanak projekta Nove Rusije ne ovisi samo o ruskoj vojnoj pomoći, nego o uvjerenju stanovnika Donbasa da mogu izgraditi život na posve novim temeljima. Rudari Donbasa su u više navrata jasno iskazali svoj stav, kao i na velikim prosvjedima u Donjecku 27. svibnja, kada su najavili neograničeni štrajk, zahtijevali kraj vojne operacije i povlačenje vojnika regije Donjeck, te pružili potporu narodnim vlastima. 

[PHOTO: 27. 05. 2014.je u Donjecku na velikom prosvjedu započeo štrajk rudara Donbasa "na neodređeno vrijeme"]

"Nova Rusija" postaje neka vrst svjetionika za ruske građane i koliko god se netko trudio, Rusija se ne može odreći naroda Donbasa

Većina Rusa izgleda suosjeća i s odobravanjem gleda na Novu Rusiju, ali treba vidjeti koliko njih taj djelić teritorija u post-sovjetskom prostoru gleda kao područje na kojem nema mjesta besramno bogatim oligarsima, koji su svoju moć stekli za vrijeme divlje privatizacije '90-ih. 

Prema nedavnoj anketi koju je proveo ruski Levada centar, većina Rusa (65%) pozorno prati što se događa u Ukrajini, a 59% ispitanika smatra da bi ruska vlada trebala aktivno podržati jugoistok Ukrajine. 64% ispitanika odobrava potporu samoproglašenim republikama Donjeck i Lugansk i ruskim dobrovoljcima koji se tamo odlaze boriti. Dakle, rezultati jasno pokazuju da većina Rusa podržava pokret otpora u Donbasu.
S druge strane, podaci iz ankete sugeriraju da se raspoloženje naroda Ruske Federacije gotovo u potpunosti podudara s onim što o događajima u Ukrajini govore ruski službeni mediji. 91% ispitanika priznaje da osnovne informacije o situaciji u susjednoj zemlji dobiva putem televizije, a 79% vjeruje da je to objektivna slika događanja. Ovdje se postavlja pitanje, kako promijeniti raspoloženje Rusa, ukoliko oni zbivanja u Ukrajini vide onako kako to prenose službeni mediji?

Ruski Slobodni Tisak piše kako je prije nekoliko tjedana ruska televizija izvještavala uglavnom o uspjesima narodnih milicija u borbi protiv ukrajinske vojske, Nacionalne garde i desničarskih paravojnih postrojbi iz Kijeva, a sada se daje naglasak na žrtve i izbjeglice iz područja pogođenih kaznenim mjerama. Ranije se u tonu govornika koji su govorili o nepriznavanju nove vlade u Ukrajini od strane Moskve osjetio jak duh, a sada se smirujućim tonom govori o "mirovnim planovima" Petra Poroshenka. Sve se više govori o "naporima u zaustavljanju nasilja". U isto vrijeme, činjenica je da je ideja Nove Rusije živa i da je borba milicija u Donbasu u početku pokrenula široki otpor Kijevu na cijelom jugoistoku.

U Rusiji se također počelo raspravljati o tome kako Nova Rusija ne znači samo stvaranje teritorijalne jedinice u kojoj će se ruski jezik dobiti službeni status, nego i formiranje države s pravednijim društvenim poretkom. 

"Zemlja i njeni resursi, kao i veći dio industrijske i financijske imovine koju su stvorili radni ljudi, bit će vlasništvo ljudi Nove Rusije, i ne može biti u privatnom vlasništvu. Novac nije roba, već samo njen tečajni ekvivalent. Kamatna stopa je metoda kojom se u ropstvu drži poduzetništvo i nepošteno sredstvo za preraspodjelu sredstava u korist vjerovnika, odnosno banaka", ovako je definirao konture društvene strukture Nove Rusije jedan od vođa pokreta otpora Pavel Gubarev, čije su poruke o tome kako bi u budućnosti trebala izgledati Nova Rusija vrlo popularne na društvenim mrežama. (Koncept federativne države Nova Rusija - Socio-politički nacrt pokreta

Vodstvo Narodne Republike Donjeck je uvelo dodatak na mirovine, stipendije i plaće državnih službenika i namještenika. Budući da se u Ukrajini od 1. srpnja očekuje povećanje cijena komunalnih usluga za 70% do 100%, Narodna Republika Donjeck se odlučila te cijene zamrznuti na razini iz 2013. godine.

Jasno je da ove ideje ne bi podržali ni ruski oligarsi, dakle, za pretpostaviti je da će ruski milijarderi uložiti sve napore da ne dođe do provedbe projekta Nove Rusije u ovom obliku. Dok se pregovara o miru u trenutnim okolnostima to znači gubitak vremena i da se daje prilika ukrajinskoj vojsci da ojača i da se pregrupira. Doduše, to isto može biti mač s dvije oštrice, budući da su baš u vrijeme primirja milicije Donbasa iskoristile priliku i preuzele kontrolu nad većim dijelom vojne opreme u regiji, uključujući protuzrakoplovne raketne sustave "Buk".

"Milicija Narodne Republike Donjeck trenutno raspoređuje svoje vojne jedinice u zauzetoj bazi A-1402, a u tijeku je uspostava raketnih postrojbi protu-zrakoplovne obrane koja će biti naoružana samohodnim protuzrakoplovnim raketnim sustavima Buk", priopćio je glasnogovornik milicije Donjecka, a preuzimanje baze, od kojih se jedna predala bez otpora, a druga nakon nekoliko sati borbe, potvrđuju i mediji koji citiraju RIA Novosti. 

Sada je od ključne važnosti ukazati na promjenu politike informiranja u ruskim medijima, što bi moglo oslabiti potporu za milicije Donbasa.

Voditelj odjela društvenih i kulturnih studija Levada centra Alexsey Levinson smatra da mediji ne mogu ozbiljno promijeniti stav Rusa o problemu jugoistočne Ukrajine, ali ga mogu prikriti ili o njemu govoriti pomirljivim tonom.

"Po mom mišljenju, sada postojeći javni sentiment nije inspiriran isključivo televizijom. Samo po sebi, sentimenti su dvojaki. Govori se puno o tome što će se promijeniti. To će utjecati ne samo na novi kurs u izvještavanju, nego bi moglo promijeniti i vanjsku politiku Moskve. Javno mnijenje u cjelini je za sada u jednoj državi, a zatim se premješta u drugu", kaže Alexsey Levinson 

Kažete da će se linija podrške milicijama Donbasa promijeniti?

Alexsey Levinson: To će se promijeniti mirovnim inicijativama, ako u tom duhu bude nastupao Kremlj i to podrži međunarodna zajednica, društvo će prvo odobriti put mira. Stav prema samoj miliciji se neće brzo promijeniti, ali će se premjestiti izvan očiju javnosti. Građani podržavaju te ideje, koje se u Rusiji gledaju uglavnom u pozitivnom svjetlu, ali ako želite Rusiju koja je mirotvorac, ljudi će podržati ovaj stav.

Mnogi kažu da ako Rusija ne podrži milicije, vlada će izgubiti kredibilitet dobiven nakon aneksije Krima.

Alexsey Levinson: Javni osjećaji se vrlo lako mogu promijeniti. Nepotrebno je naglašavati koliko borba milicija ima smisla, ali isto tako naša je zemlja oduvijek bila sinonim za mir. Mi samo želimo dobro ukrajinskom narodu, što je najbolja formula za javnu raspravu Prilično oštar preokret bi rusku državu mogao koštati potpore javnosti. Gledajte, sve donedavno je državna propaganda građena na ključnoj i odlučnoj akciji, te podršci, ali u skoroj budućnosti će ti ljudi možda pretendirati na važne funkcije.

Što je privlačno u ideji Nove Rusije, točnije, socijalnim principima te republike?

Alexsey Levinson: Sve to u ruskom društvu ima vrlo jaku simboliku, iako se ne razmišlja o cijeni tih projekata. Onog trenutka kada se o tome počne razmišljati, moglo bi doći do negativnog raspoloženja. Rusi pozdravljaju teritorijalno proširenje, uz uvjet da cijena ne bude previsoka. Dakle, vlasti mogu igrati na neutralnoj strani i bivše zahtjeve lagano zamijeniti s kompromisima. Zapravo, to se već događa. To će izazvati negodovanje kod onih koji se pridržavaju konzistentnih ideoloških pozicija, ali masovna svijest ne zahtijeva snagu ideološke dosljednosti.

Ipak, direktor Instituta za globalizaciju i društvene pokrete, Boris Kagarlitski, smatra da je društveni projekt Nove Rusije puno važniji nego što ga prikazuju državni mediji.

"Čak i ako se promijeni način informiranja na našoj državnoj televiziji, Rusi će i dalje podržavati narodni pokret u jugoistočnoj Ukrajini. Trenutno propagandni uspjeh Kremlja proizlazi iz činjenice da se poklopio s javnim raspoloženjem, čime su ojačani i jedni drugi. Međutim, ako sada Kremlj pokuša drastično promijeniti smjer, postati će žrtva vlastite propagande. Zato se, po mom mišljenju, neće moći brzo riješiti dosadašnje paradigme. Nitko ne može drastično i brzo promijeniti odnos prema Novoj Rusiji bez da primjetno naudi samom sebi. Čak i uz ekstremne želje ruskih elita da se pregovara sa Zapadom, podrška otporu na jugoistoku Ukrajine će ostati. Takav pokušaj bi tehnički bio vrlo teško izvodiv, a možda ne bi ni uspio",rekao je Boris Kagarlitski.

Koliko je za ruske građane važan socijalni aspekt projekta Nova Rusija?

Boris Kagarlitski: Mislim da im je vrlo značajan. Ideja Nove Rusije odražava trenutne potrebe društva i Rusije koja nije zadovoljna. Stoga Nova Rusija postaje neka vrst svjetionika za ruske građane. Nedavni događaji u jugoistočnoj Ukrajini mogu postali faktor buđenja i ruskog društva. 

Ali to je malo vjerojatno, kao smanjivanje utjecaja ruskih oligarha.

Boris Kagarlitski: To je točno. No, proces je počeo i biti će ga vrlo teško zaustaviti. Najzanimljivije je to da ako elite ne pomognu Novu Rusiju, taj će projekt biti više neugodan za njih nego za druge. Ali ako mu pomognu, taj će projekt podržati društvenu strukturu koja se razlikuje od onoga što bi oni kao elita željeli vidjeti. Mislim da će oligarsi pokušati uzeti sve pod svoju kontrolom i minirati cijeli projekt, ali je stvar u tome što se iz Nove Rusije već proširila ideja o alternativnoj društvenoj strukturi i među našim ljudima, diljem Rusije.

"Naravno, ruski narod je izložen manipulativnom utjecaju. No, u slučaju potpore milicijama Donbasa, manipulacijom možete utjecati samo na dio građana, koji nemaju određene stavove, ideološke vrijednosti i stav u životu", kaže profesor Aleksandar Buzgalin s Moskovskog državnog sveučilišta (МГУ).

"U vezi s događajima u Ukrajini, po mom mišljenju je došlo do velikog napretka u razumijevanju građana Ruske Federacije o svom ljudskom postojanju. Ne bojim se velikih riječi, ali su ljudi doista počeli razmišljati o velikim vrijednostima, ulozi države u njihovim životima, nacionalnoj kulture u zemlji. Počeli su razmišljati o ljudskom dostojanstvu, sposobnosti da se žrtvuje vlastito blagostanje, a možda čak životi kako bi se postigli veliki ciljevi, koji nadilaze obiteljske vrijednosti ili osobno bogaćenje. Došlo je do izražaja pitanje rata, mira i obrane domovine.

Primijetio sam da se ovogodišnja proslava 9. svibnja u Rusiji dogodila u novom ozračju. Ljudi su bili ozbiljni, usredotočeni. Učinilo mi se da su i sami pokušali razmišljati o tome što se dogodilo od 1941. do 1945. u prostoru između naših zemalja.

U tom smislu, manipulativni utjecaj može promijeniti mišljenje u jednom značajnom dijelu ruskog stanovništva, ali su mnogi od naših sugrađana već redefinirali stvarnost.

Međutim, postoji i druga strana medalje. U svjetlu pozitivnih domoljubnih vrijednosti nastao je, uvjetno rečeno, "šovinistički pokrov", koji također utječe na javno mnijenje. Mislim da je od velike važnosti ljudima reći o međunarodnoj važnosti alternativne Nove Rusije. Mislim da je pravilno Donjeck, Lugansk i sve jugoistočne regije gledati sa stajališta internacionalizma, a ne to promatrati kao "dobre Ruse i jadne Ukrajince". Rusi i Ukrajinci su vrlo različiti, ali pitanje je koliko okrutno postupa Kijev protiv stanovnika jugoistočnih i drugih ukrajinskih regija", nastavljaprofesor Aleksandar Buzgalin.

Što je Rusima važnije: državna propaganda i simpatije za žrtve ili privlačnost društvenog projekta?

Prof. Aleksandar Buzgalin: Nisam posve siguran da Nova Rusija nudi cjelovit projekt, iako bi to stvarno moralo biti tako. No, postoje ljudi koji pokušavaju formulirati projekt Nove Rusije. Činjenica je da se ruska propaganda utišala i nema više te privlačnosti Nove Rusije u smislu društveno-gospodarskog razvoja. Želja za izgradnjom društveno orijentiranog gospodarstva i istinski demokratskog društva ne spada u okvire naše državne televizije, ali ako Nova Rusija u praksi uspije pokazati da je još jedan primjer društvenog poretka, to će uvelike utjecati na rusko društvo, pogotovo ako to javno podrži ruska ljevičarska oporba. Tada utjecaj medija neće biti toliko značajan.

Koordinator Narodnog fronta za oslobođenje Ukrajine, Vladimir Rogov, skreće pozornost na činjenicu da njihova pomoć i pomoć Rusije milicijama Donbasa nije ograničena na riječi i moralnu podršku.

"Prvo, Nova Rusija je prilika za stvaranje države blagostanja i to ne riječima, nego djelima. Mi smo ogorčeni zbog ponašanja oligarha i onoga što se događalo 1990. u Rusiji. Što se tiče podrške od strane Rusije, ona je važna i stiže od običnih ljudi. To je prihvaćanje izbjeglica i slanje lijekova i hrane. Vidimo da su naši ljudi povezani rodbinskim vezama. Možda se takva pomoć jednih drugima dogodila samo u Velikom domovinskom ratu ili za vrijeme potresa u Armeniji. Većine tog zajedništva kojeg sada imamo, nažalost, nije bilo. Tragedija u Ukrajini je probudila najbolje ljudske osjećaje, a odnedavno je većina ljudi zaboravila na potragu za osobnom dobrobiti. Ruski narod je masovno došao spašavati svoju braću u Novoj Rusiji", rekao je Rogov.

Kako će na položaj milicija utjecati preorijentacija ruske medijske podrške u promicanju isključivo miroljubive inicijative u Novoj Rusiji?

Vladimir Rogov:


SQUADRISTI-EUROPEISTI ASSALTANO CONFERENZA SINDACALE

Pravyi Sektor and altre sigle neonaziste filogovernative ed europeiste ucraine hanno assaltato un'assemblea dei sindacati ucraini a Kiev. La polizia è sopraggiunta dopo, al solo scopo di registrare i danni
Right Sector neo-nazis attack trade union conference in Kiev (26/6/2014)



(english / italiano)

Il Tribunale Speciale della NATO

1) Goran Jelisic, imputato del Tribunale Speciale (di A. Martocchia. Recensione del libro "Uomini e non uomini", Zambon 2013)
2) Giustizia selettiva / Selective Justice (by David Harland - NYT, December 7, 2012)


=== 1 ===

GORAN JELISIC, IMPUTATO DEL TRIBUNALE SPECIALE

Ha ragione Ugo Giannangeli, che nella sua Postfazione al nuovo libro "Uomini e non uomini" (*) scrive: «Ho letto il libro di Goran Jelisic e sono rimasto allibito». "Allibito" è la parola giusta. Giustamente nella Postfazione Giannangeli parla del carattere eminentemente politico - e perciò giuridicamente obbrobrioso - del "processo" subito da Jelisic: «Non che di aberrazioni giudiziarie non ne abbia viste, ma poco sapevo del funzionamento del Tribunale dell'Aja».

Le cronache del "Tribunale penale internazionale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex Jugoslavia" (TPIJ) non possono che lasciare allibito chiunque vi si avvicini per caso e senza parzialità o preconcetti. Il problema, però, è che – tolto il libro di cui stiamo parlando – tali cronache a dir poco scarseggiano. Esistono, è vero, i servizi informativi prodotti dallo stesso "Tribunale" (1) che oltre a farsi autopropaganda pubblica le trascrizioni ufficiali e una parte dei video (su YouTube) dei dibattimenti: ma il non addetto ai lavori non sa che farsene di questa mole esorbitante di materiali. Esistono poi le sintesi informative prodotte dall'IWPR (Institute for War & Peace Reporting), agenzia di stampa creata ad hoc per occupare a priori scrivanie e computer degli organi di informazione rendendo "superfluo" – cioè in pratica impedendo – il lavoro di presa diretta, scavo e analisi indipendente che invece il giornalista sarebbe tenuto a fare. La IWPR è nata in effetti per "coprire" mediaticamente in maniera totalitaria tutta la crisi jugoslava sin dai primi anni Novanta: chi li finanzia? Ma che domande: gli stessi che finanziano il "Tribunale ad hoc"! Tra questi spiccano il National Endowment for Democracy, l'Open Society Institute e la Rockefeller Family Associates (2).

Non esistono giornalisti indipendenti che abbiano seguito i lavori del TPIJ in maniera non occasionale, ed anche alcune attività di contro-informazione avviate su internet, per ovvie ragioni, non hanno retto al passare inesorabile del tempo – chi può seguire costantemente una questione per un ventennio o più su base meramente volontaria? Tantomeno tali attività hanno retto dopo alcune pesanti sconfitte subite – la più pesante fra tutte: l'assassinio di Slobodan Milosevic proprio nel carcere dell'Aia, proprio mentre avviava la sua autodifesa. (3)

Con la morte di Milosevic è venuta meno ogni attività di analisi e di critica delle attività del "Tribunale". Guardiamo al nostro paese, l'Italia, che pur essendo un paese molto provinciale aveva visto svilupparsi sin dagli anni Novanta innumerevoli attività dedicate ai fatti jugoslavi: ebbene, sul "Tribunale ad hoc" è uscito un numero assolutamente esiguo di testi analitici. Pochi gli articoli, tutti copia-e-incolla dei dispacci d'agenzia venuti dall'estero, e pochissimi anche i libri. Tra questi ultimi, cronologicamente precedenti al libro di Jelisic, dobbiamo ricordare solamente: «Imputato Milosevic. Il processo ai vinti e l'etica della guerra», di Massimo Nava (Fazi 2002), e il "nostro" «In difesa della Jugoslavia. Il j’accuse di Slobodan Milošević di fronte al “Tribunale ad hoc” dell’Aia» (Zambon, 2005). (4)
Sarebbe a questo punto importante, a venti anni dalla creazione di tale istituzione para-legale, operare una ricognizione degli studi specifici effettuati a livello accademico, delle Testi di laurea o dottorato dedicate al "Tribunale" o che usano gli Atti del "Tribunale" come fonte di ricostruzione storica dei tragici fatti jugoslavi… Sarebbe importante, ma già viene la pelle d'oca a pensare a quali sarebbero i risultati di questa ricognizione.

Sulla vera natura del "Tribunale ad hoc" scrivevamo nel 2005 (5): «La "giustizia" del "Tribunale ad hoc" è dunque quella di una parte in causa contro l'altra: il contrario esatto del super partes. Il TPIJ, analogamente al famigerato Tribunale Speciale dell'Italia fascista, è uno strumento politico totalmente sotto controllo dei vincitori, cioè degli aggressori, devastatori ed invasori della Jugoslavia.» Ci confortava nel giudizio la sincera dichiarazione di Jamie Shea, portavoce della NATO durante i bombardamenti sulla Jugoslavia della primavera del 1999: «La NATO è amica del Tribunale, è la NATO che detiene per conto del Tribunale i criminali di guerra sotto accusa… Sono i paesi della NATO che hanno procurato i fondi per istituire il Tribunale, noi siamo tra i più grandi finanziatori.» 
Più in dettaglio, del "Tribunale ad hoc" analizzavamo i meccanismi giuridici: «Noti giuristi e commentatori hanno spiegato come, nel suo funzionamento, il TPIJ violi tutti i principi del diritto internazionale. In sostanza, esso non rispetta la separazione dei poteri, né la parità fra accusa e difesa, né tantomeno la presunzione di innocenza finché non si giunge ad una condanna: la regola 92 del TPIJ stabilisce che le confessioni siano ritenute credibili, a meno che l'accusato possa provare il contrario, mentre in qualsiasi altra parte del mondo l'accusato è ritenuto innocente fino a quando non sia provata la sua colpevolezza. Il TPIJ formula i propri regolamenti e li modifica su ordine del Presidente o del Procuratore, assegnando ad essi carattere retroattivo: attraverso una procedura totalmente ridicola, il Presidente può apportare variazioni di sua propria iniziativa e ratificarle via fax ad altri giudici (regola 6). Il regolamento stesso non contempla un giudice per le indagini preliminari che investighi sulle accuse. Il "Tribunale ad hoc" utilizza testimoni anonimi, che si possono dunque sottrarre a verifiche da parte della difesa; secreta le fonti testimoniali, che possono essere anche servizi segreti di paesi coinvolti nei fatti. Esso usa la segretezza anche sui procedimenti aperti (regola 53); ricusa o rifiuta a proprio arbitrio di ascoltare gli avvocati della difesa (regola 46), allo stesso modo dei tribunali dell'Inquisizione; può rifiutare agli avvocati di consultare documentazione probatoria (regola 66); può detenere sospetti per novanta giorni prima di formulare imputazioni, con l'evidente scopo di estorcere confessioni. Dulcis in fundo, i giudici si arrogano persino il diritto, d'accordo con la "pubblica accusa", di revisionare la trascrizione del dibattimento, censurandola

La gran parte di queste pratiche illegittime è puntualmente confermata nel suo libro da Goran Jelisic, il quale porta quei casi esemplari che sono le sue esperienze dirette. Esperienze drammatiche, a fronte delle quali chiunque impazzirebbe. Jelisic invece raccoglie il suo dolore, i suoi shock, e riesce a farne un libro, a rivendicare semplicemente la umanità sua e dei suoi compagni di prigione, anche quelli di diverso colore politico-etnico. Di qui il titolo, poiché «esistono solo due nazioni: gli uomini e i non uomini» (p.87). E sulla base di questo spontaneo senso di umanità in carcere si fraternizza spesso (non sempre) anche con il nemico di ieri.

Jelisic spiega ulteriori discutibili prassi adottate dal "Tribunale". Racconta casi precisi, di testimoni "imboccati" dai giudici, o del modo in cui vengono imposti gli avvocati difensori e come questi ultimi inducano l'imputato a commettere errori dei quali pagherà poi care le conseguenze. Fa alcuni esempi di materiale probatorio grossolanamente falsificato (addirittura estratti da un film di Arnold Schwarzenegger: p.223). Jelisic racconta come gli inquirenti cercarono in tutti i modi di fagli dire che a Brcko erano stati uccisi seimila musulmani: «Ero sbalordito da tale richiesta. In seguito, ogni volta che volevano spingermi a dire qualcosa, spegnevano la telecamera. Si vedeva che avevano una bella esperienza d'interrogatori nei servizi segreti o come agenti» (p.144; p.170). Jelisic spiega che di fronte a sue "ammissioni" era sempre pronto uno sconto di pena… Alcune sue presunte vittime verranno però invece ritrovate vive e vegete (p.169; p.308). 
Un altro elemento interessante che emerge dalle memorie di Jelisic è la varietà delle posizioni e degli atteggiamenti anche nel seno di ciascuna parte etnico-politica. Così, ad esempio, anche tra i serbi di Brcko: Jelisic prigioniero non sempre trova tra i suoi ex commilitoni e preposti quell'aiuto che si sarebbe aspettato. Anche per qualche suo ex superiore evidentemente poteva essere lui, Jelisic, il capro espiatorio adatto a calmare le acque su altri versanti. L'opportunismo ha trasformato in "non uomini" anche qualcuno dei "suoi". 

E' particolarmente importante l'informazione che Jelisic fornisce sulla sua vicenda "italiana". Innanzitutto, dopo la condanna egli è stato arbitrariamente assegnato ad una prigione italiana nonostante garanzie affatto diverse che gli erano state date. In Italia è passato per sei prigioni diverse, e si trova adesso a Massa, dove deve terminare di scontare una condanna a 30 anni (fino al 2028). Sebbene abbia fatto domanda per ottenere tre anni di indulto, concessi a tutti i detenuti dello Stato italiano, questi gli sono stati rifiutati con la motivazione che avrebbe commesso il crimine di genocidio, reato da cui invece è stato assolto; i suoi ricorsi non ottengono nemmeno risposta. Gli sono stati negati anche i permessi che invece, nelle carceri estere, sono stati spesso concessi ad altri condannati dell'Aia. Dal 2006, anno d'inizio del lavoro di traduzione e riscrittura delle sue memorie, la curatrice del libro non ha mai ottenuto il permesso di incontrarlo. 

Sulla morte di Milosevic, che a noi risulta essere stato ucciso tramite somministrazione a sua insaputa di dosi da cavallo di Rifampicina nei pasti mensa, Jelisic espone una sua tesi un po' diversa (p.137) ma che comunque evidenzia quantomeno arbitrii e deficit di controlli nella prigione dell'Aia ("In carcere non si può morire altro che per omicidio", ha scritto giustamente Miriam Pellegrini Ferri). Jelisic opportunamente ricorda altre persone uccise o morte nel carcere del "Tribunale" o nelle operazioni per la loro cattura. L'elenco negli anni è diventato terribilmente lungo: Djordje Djukic, Simo Drljaca, Dragan Gagovic, Janko Janjic, Slavko Dokmanovic e Milan Babic (due strani suicidi nelle celle dell'Aia), Milan Kovacevic, Dragomir Abazovic. Sarà un caso, ma in questo elenco sono tutti serbi. Certamente la disparità di trattamento tra prigionieri delle diverse parti politiche è un dato acclarato; scriviamo "politiche" e non "nazionali" poiché in realtà anche alcuni serbi legati ai servizi segreti occidentali hanno goduto di trattamenti di favore: è il caso di Milorad Ulemek "Legija", di Momčilo Perišić e della strana coppia Stanisic-Simatovic, che hanno reso in passato i loro servigi al "Tribunale ad hoc" testimoniando contro Milosevic, per poi usufruire di assoluzioni o sconti di pena. 

I proscioglimenti "eccellenti" hanno riguardato tutti i personaggi di spicco, veri responsabili politico-militari, appartenenti alle parti e ai partiti secessionisti croati, musulmani e albanesi. Ramush Haradinaj e Hasim Thaci sono oggi i veri padroni della repubblichetta del Kosovo. Nel novembre 2012 la corte dell’Aja ha scagionato persino i generali croati Ante Gotovina e Mladen Markac, pianificatori della pulizia etnica delle Krajine. Il boia Nasir Oric, comandante delle milizie musulmane che a ripetizione fecero strage di serbi nei dintorni di Srebrenica tra il 1992 e il 1994, è stato completamente assolto (sic) nel 2008 quando era già libero avendo scontato solo una pena ridicola nel carcere dell'Aia. 

La notizia più recente è la liberazione dell'ex presidente della autoproclamata "Repubblica croata di Erzeg-Bosnia" Dario Kordic. In custodia dal 1997 e condannato a 25 anni nel 2004, Kordic ha scontato la pena a Graz, cioè in un paese (l'Austria) che ha in tutti i modi sostenuto il separatismo e nazionalismo croato. Mandante della strage di Ahmici, un villaggio a forte componente musulmana presso Vitez, dove un centinaio di non-croati furono liquidati il 16 aprile del 1993, Kordic è dunque potuto rientrare a Zagabria tra i festeggiamenti di rappresentanti politici e della chiesa cattolica. (6)

Per alcune delle assoluzioni di cui sopra un anno fa scoppiò uno scandalo, presto silenziato, attorno alla figura di Theodor Meron, "presidente" del "Tribunale", cittadino statunitense, già consigliere giuridico del governo israeliano e ambasciatore israeliano in Canada e alle Nazioni Unite. Il giudice danese Harhoff accusò Meron di avere "effettuato pressioni sui suoi colleghi" per compiacere l'establishment militare americano e israeliano. (7)

Negli anni successivi all'assassinio di Milosevic sono stati chiusi i "processi" che erano già aperti, come questo di Jelisic, e sono stati catturati gli ultimi ricercati. Jelisic è prigioniero in Italia da più di dieci anni, e da alcuni anni sono oramai in corso i procedimenti "eccellenti" contro Karadzic e Mladic – procedimenti che nessuno segue, né in Italia né all'estero, benché gli elementi interessanti siano moltissimi sotto il profilo della ricostruzione storica, mentre gli elementi di critica giuridica sono perfettamente analoghi a quelli già palesati nei casi precedenti… Il libro di Jelisic con grande umanità espone i fatti che sono capitati all'autore (8), ma certamente non è un singolo condannato a potersi fare carico di mettere in questione i meccanismi complessivi di funzionamento e le logiche del "Tribunale". Jelisic quasi candidamente ci "colpisce allo stomaco" rimproverandoci la nostra disattenzione su questa problematica, e ridestandoci. Ha ragione: a questo punto sarebbe veramente necessario che qualcuno stilasse un corposo bilancio critico di tanti anni di attività di questa struttura para-legale, "utile" solamente ad assolvere a priori tutti i responsabili occidentali, per i quali è stato sempre dichiarato il non luogo a procedere, e a prosciogliere dalle accuse tutti quelli che tra i criminali locali sono amici o agenti dell’Occidente. 


Andrea Martocchia
(segretario, Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS - www.cnj.it)


(*) Goran Jelisic: UOMINI E NON UOMINI. La guerra in Bosnia Erzegovina nella testimonianza di un ufficiale jugoslavo
A cura di Jean Toschi Marazzani Visconti
Prefazione di Aldo Bernardini, docente di Diritto Internazionale, Università di Teramo
Postfazione dell’Avv. Ugo Giannangeli
Francoforte: Zambon 2013
Formato: 130x210 Pagg. 320 - prezzo 15,00 € - ISBN 978-88-87826-91-3

NOTE
(3) Da segnalare il grande lavoro svolto per anni da Andy Wilcoxson con il sito http://www.slobodan-milosevic.org . Il "processo" a Milosevic fu seguito bene dalle sezioni del Comitato internazionale di diversa sorte nei diversi paesi, tra cui l'Italia: http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/
(4) https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm . Online si accede ai due materiali più preziosi pubblicati nel testo: il nostro saggio «Processo Milošević: un “processo alle intenzioni”», unica dettagliata analisi e denuncia del funzionamento del "Tribunale" che sia apparsa finora in lingua italiana, e il testo integrale del Discorso di avvio della Autodifesa di Slobodan Milošević (31 agosto-2 settembre 2004)
(5) In «Processo Milošević: un “processo alle intenzioni”», cit. (https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm#intenzioni).
Harhoff è stato ovviamente subito silurato con un pretesto relativo al "processo" Seselj: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7756
(8) In occasione di una riedizione, raccomandiamo la stesura di un Indice dei Nomi ed un corredo critico, in modo che ad ogni circostanza o nome si possa associare una pagina delle trascrizioni degli Atti ufficiali del dibattimento.

Sul carattere illegittimo, servile e fazioso del "Tribunale ad hoc" si veda altra documentazione raccolta al nostro sito: 
https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm



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Giustizia selettiva

di David Harlan   New York Times, 7 dicembre, 2012

Pessimo essere un Serbo vittima di un qualsiasi crimine nella ex Jugoslavia. I Serbi sono stati costretti a partire dalle loro case  e hanno subito una pulizia etnica dalle guerre nei Balcani molto più di qualsiasi altra comunità. E più Serbi rimangono etnicamente spostati ancora oggi. Non si è tenuto conto di quasi nessuno e sembra che non succederà. Il tribunale per i crimini di guerra delle Nazioni Unite all’Aja ha prosciolto  dall’accusa di crimini di guerra Ramush Haradinaj, ex primo ministro del Kosovo. Il mese scorso la corte dell’Aja ha scagionato due generali croati.  Prosciolti in appello, i generali che hanno guidato la Croazia alla vittoria sui Serbi. Nell’insieme, quasi tutti gli amici dell’Occidente sono stati prosciolti; quasi tutti i Serbi sono stati giudicati colpevoli. Questi risultati non riflettono l’equilibrio dei crimini commessi sul terreno. Non nutro simpatia per i Serbi che sono stati imprigionati. Al contrario. Ho vissuto l’assedio di Sarajevo. Sono stato testimone al processo per i casi dell’ex presidente Serbo, Slobodan Milošević, per il presidente dei Serbi bosniaci in tempo di guerra, Radovan Karadzić, e, più recentemente, del comandante militare Serbo bosniaco, Ratko Mladić, accusato di aver ordinato il massacro di Srebrenica. I Serbi hanno commesso molti dei peggiori crimini di guerra, ma non erano per niente i soli, e non è giusto, o utile, che ne abbiano l’unica responsabilità.

Imprigionare solo i Serbi è semplicemente senza senso in termini di giustizia, in termini di realtà, o in termini di politica. I leader Croati furono conniventi del disgregamento della Jugoslavia e hanno contribuito abbondantemente agli orrori in Bosnia-Erzegovina. Sono stato io stesso testimone della indiscriminata furia dell’assalto Croato alla bella città di Mostar. Ho vissuto in una cittadina della Bosnia dove le teste decapitate dei Musulmani catturati erano esposte nella piazza del mercato. Ho visto io stesso decine e decine di migliaia di rifugiati civili Serbi fuggire dalla Croazia all’alba dell’offensiva Croata del 1995 che terminò la guerra. Se i generali prosciolti non erano responsabili della pulizia etnica, qualcuno lo era, qualcuno che presumibilmente sarà lasciato libero. Nemmeno lo erano solo i Serbi e i Croati, anche se devono portare sulle spalle  un grosso peso del giudizio della storia. La leadership Musulmana Bosniaca ha profondi e compromettenti legami con il movimento internazionale dei Jihadisti e hanno ospitato almeno tre persone che hanno giocato ruoli chiave negli attacchi agli Stati Uniti dell’11 settembre. Sono stato testimone di attacchi di elementi stranieri dei mujaheddin contro civili Croati nella valle di Lavska. E le autorità Albanesi Kosovare meritano una speciale  menzione, per aver impiegato la pulizia etnica, nella sua forma più estrema, per potersi sbarazzare interamente delle popolazioni Serbe e Rom. Gli antichi monasteri cristiani ortodossi sono, ora, quasi il solo ricordo di una popolazione non albanese, una volta fiorente. Questi monasteri sono stati oggetto di numerosi violenti attacchi. Diversi sono stati distrutti; altri sono sotto continua minaccia. Haradinaj è stato dichiarato innocente delle accuse contro di lui, ma rimane il fatto che centinaia di migliaia di Serbi, per la maggior parte anziani, donne e bambini, furono etnicamente cacciati dal Kosovo dagli Albanesi Kosovari. Quanto è successo al tribunale è lontano dalla giustizia, e sarà interpretato dagli osservatori nei Balcani e oltre come la continuazione della guerra con mezzi legali contro gli Stati Uniti,  la Germania e le altre potenze occidentali da una parte, e i Serbi dall’altra. Questo amplificherà i peggiori istinti politici nella gente della ex Jugoslavia: il complesso di persecuzione dei Serbi; il trionfalismo dei Croati; il senso di vittimismo dei Musulmani Bosniaci; la rivendicazione dei Kosovari Albanesi per la ricerca della purezza razziale. Ognuno di questi tratti ha delle basi di verità, e ognuna è stata esagerata e manipolata dai politici di ogni parte. La mancanza di un riconoscimento legale canalizzerà una volta ancora le lagnanze nel processo politico, depositando molte munizioni per futuri round conflittuali. E’ l’opposto di quanto il tribunale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia era stato creato per ottenere.

 

(Una versione di questo articolo è apparso anche sul The International Herald Tribune dell’8 Dicembre 2012)

 

Traduzione a cura di JeanTMV per il Forum Belgrado Italia

 

SELECTIVE JUSTICE

By DAVID HARLAND

NYT, December 7, 2012

TOO bad if you were a Serb victim of any crime in the former Yugoslavia. More Serbs were displaced abd ethnically cleansed by the wars in the Balkans than any other community. And more Serbs remain ethnically displaced to this day. Almost no one has been held to account, and it appears that no one will be. The United Nations war crimes tribunal in The Hague has acquitted Ramush Haradinaj, Kosovo`s former prime minister, of war crimes. Last month, hague-court overturns convictions of 2 croatian-generals. It acquitted on appeal, the generals who led Croatia to victory over the Serbs. Altogether, almost all of the West`s friends have been acquitted; almost all of the Serbs have been found guilty. These results do not reflect the balance of crimes committed on the ground. I have no sympathy with the Serbs who have been convicted. On the contrary. I lived through the siege of Sarajevo. I served as a witness for the prosecution in the cases against the former Serbian president, Slobodan Milosevic, the wartime leader of the Bosnian Serbs, Radovan Karadzic, and, most recently, the Bosnian Serb military commander, Ratko Mladic, who is accused of ordering the massacre at Srebrenica. The Serbs committed many of the war`s worst crimes, but were not at all alone, and it is not right, or useful, for them to carry the sole responsibility. Convicting only Serbs simply doesn`t make sense in terms of justice, in terms of reality, or in terms of politics. The Croatian leaders connived in the carve-up of Yugoslavia, and contributed mightily to the horrors on Bosnia and Herzegovina. I witnessed for myself the indiscriminate fury of the Croatian assault on the beautiful city of Mostar. I lived in a town in Bosnia where the decapitated heads of captured Muslims were displayed in the marketplace. I saw for myself tens and tens of thousands of Serb civilian refugees fleeing Croatia in the wake of the 1995 Croatian offensive that ended the war. If the acquitted generals were not responsible for this ethnic cleansing, then somebody was, somebody who will presumably go free. Nor were the Serbs and Croats alone, though they must shoulder most of the judgment of history. The Bosnian Muslim leadership had deeply compromising links to the international jihadists movement, and hosted at least three people who went on to play key roles in the 9/11 attacks on the United States. I witnessed attacks by foreign mujahedeen elements against Croat civilians in the Lasva Valley. And the Kosovar Albanian authorities deserve a special mention, having taken ethnic cleansing to its most extreme form of ridding themselves almost entirely of the Serb and Roma populations. Kosovo’s ancient Christian Orthodox monasteries are now almost the only reminder of a once-flourishing non-Albanian population. These monasteries have been the object of numerous violent attacks. Several have been destroyed; others remain under threat. Haradinaj has been cleared of the charges brought against him, but the fact remains that hundreds of thousands of Serbs, mostly the elderly, women and children, were ethnically cleansed from Kosovo by the Kosovar Albanians. What has happened at the tribunal is far from justice, and will be interpreted by observers in the Balkans and beyond as the continuation of war by legal means, with the United States, Germany and other Western powers on one side, and the Serbs on the other. This will amplify the worst political instincts of the peoples of the former Yugoslavia: the persecution complex of the Serbs; the triumphalism of the Croats; the sense of victimization of the Bosnian Muslims; the vindication of the Kosovar Albanian quest for racial purity. Each of these traits has some basis in truth, and each has been exaggerated and manipulated by politicians on all sides. The lack of legal reckoning will once again channel grievances into the political process, laying up plenty of ammunition for further rounds of conflict. It is the opposite of what the war crimes tribunal for the former Yugoslavia was created to achieve.

A version of this op-ed appeared in print on December 8, 2012, in The International Herald Tribune





(francais / deutsch / italiano / english)

 
In 100th Anniversary of WWI, a New War Was Started in Europe


1) German foreign minister Steinmeier agitates for war (Ulrich Rippert / WSWS 20 June 2014)
2) Das finnische Modell. Berliner Regierungsberater plädieren im Machtkampf des Westens gegen Russland für eine enge militärische Anbindung der Ukraine an das westliche Kriegsbündnis… (GFP 05.06.2014)
3) For Peace and Freedom. German foreign policy experts are expressing their approval of Kiev's putsch regime's recent escalation of warfare against the East of Ukraine… (GFP 2014/05/30)
4) New Debate on the Responsibility for War. In the few months leading up to the one-hundredth anniversary of the beginning of World War I, a new debate, over who was responsible for starting the war, is gaining momentum in Germany… (GFP 2014/02/04)
5) Germany started the Great War, but the Left can’t bear to say so. By Boris Johnson (Major of London), 6 Jan 2014
6) Risoluzione sulla prima guerra mondiale / Resolution on WWI by German Communist Party, Communist Party of Luxembourg and Workers’ Party of Belgium (EN, DE, FR, IT)


LINKS:

14-18 : « On croit mourir pour la Patrie, on meurt pour des industriels »
Michel Collon mène l’enquête avec trois historiens : Jacques Pauwels, Anne Morelli et Lucas Catherine. 
VIDEO: http://michelcollon.info/14-18-On-croit-mourir-pour-la.html
ou http://vimeo.com/99236165
Akteure zweiter Klasse (Einbindung von Nicht-Mitgliedstaaten in die EU-Militärpolitik)
GFP 26.06.2014 - Die EU treibt auf ihrem heute beginnenden Gipfeltreffen die Einbindung von Nicht-Mitgliedstaaten in ihre globale Außen- und Militärpolitik voran. Die Assoziierungsabkommen mit Georgien, Moldawien und der Ukraine, die auf dem EU-Gipfel unterzeichnet werden sollen, sehen die allmähliche Anpassung der Vertragspartner an die Brüsseler Außen- und Militärpolitik vor… 
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58898
Second-Class Stakeholders (EU association and integration of non-member countries in military policy)
GFP 26.06.2014 - At its summit, starting today, the EU is pushing ahead to integrate non-member countries into its global foreign and military policies…
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58762
Analyse: Dilemmes moraux et promesses non tenues. Panorama historico-philosophique du mouvement non violent. Gandhi voyait en 14 - 18 un « test de virilité »
Domenico Losurdo - 4 septembre 2013
http://www.revueradical.be/?p=135
ou http://www.michelcollon.info/Gandhi-voyait-en-14-18-un-test-de.html

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http://www.wsws.org/en/articles/2014/06/20/spd-j20.html

German foreign minister Steinmeier agitates for war

By Ulrich Rippert 
20 June 2014


The 100th anniversary of August 4, 1914—the disastrous day on which the SPD (Social Democratic Party) faction voted in the Reichstag for the Kaiser’s war credits to finance World War I—is only weeks away. The SPD is preparing for the anniversary by pressing for renewed German militarism.

At the end of May, Foreign Minister Frank-Walter Steinmeier (SPD) opened a new web site for the foreign office with the title “Review 2014—Rethinking foreign policy.” The goal of the site is to combat long-standing public opposition to war and militarism.

With the support of the German federal government and the president, Steinmeier declared at the beginning of this year that the country’s previous policy of military restraint was at an end. In the future, Germany would intervene independently, “including militarily,” in crisis regions around the world. The foreign minister justified this by saying that Germany was “too big and too important” to limit itself “to merely commenting from the sidelines of world politics.”

Although this return of an aggressive German foreign policy underwent long and intensive preparation and was supported by all parties in the Bundestag as well as practically the entire media, it has met with the opposition and hostility by the majority of the population.

That is now supposed to change.

With the words “Allow us all to think further about foreign policy,” Steinmeier presses on the new web site for a foreign policy change. However, the mistrust and rejection of militarism and war are deep-seated. The despicable crimes of the Nazis and the Wehrmacht have embedded themselves deeply into the consciousness of broad layers of the population. The demands “No more war! No more fascism!” have shaped generations.

Steinmeier’s reaction to these sentiments leaves no room for doubt that from the point of view of the foreign ministry and the chancellor’s office the return of great power politics is a settled matter. At the same time, he is attempting to create the impression that it is not the German government and business interests that are pushing for great power politics and militarism, but rather that voices outside Germany are demanding “more leadership.” To this end, he has commissioned several dozen foreign “experts” to produce articles and assessments.

The advertisement for “Review 2014” claims: “For this web site we asked 50 renowned experts: ‘What, if anything, is wrong with German foreign policy? What must be changed?’ ”

In this regard, it should not be overlooked that these “renowned experts” in one or another way are dependent on and are paid by the foreign ministry. The form and content of their assessments clearly correspond with this dependence. Politicians, scientists, journalists and many countries all demand that Germany give up its cautious stance and take on a greater “leadership role” in security and military matters.

The demand for a German leadership role in Europe and the world has never been so shamelessly and forcefully raised in an official publication of the foreign ministry since the end of Hitler’s “Führerstaat” approximately 70 years ago.

Timothy Garton Ash, professor for European Studies at the University of Oxford, demands Germany take on a “greater leadership role” in the European Union (EU). Thomas Risse, head of the Working Group on Transnational Relations, Foreign and Security Policy at the Free University of Berlin, writes in an article entitled “German as a leading power” that the Berlin government must live up to its European leadership responsibility.

Volker Perthes, director of the Foundation for Science and Politics (SWP), which played a central role in the preparation of the change in foreign policy, emphasises, “Leadership depends on trust!” Perthes adds, “Foreign observers praise the professionalism of the German Foreign Service, but repeatedly complain that Germany plays too small of a role in international affairs—or otherwise promotes its own economic interests—and shies away from responsibility as well as leadership or shared leadership.” In another article, Perthes states, “Leadership means setting priorities.”

Kishore Mahbubani, a professor of political science at the National University of Singapore, was the clearest. He entitled his article “Germany’s destiny: leading Europe in order to lead the world.”

Nazi propaganda defined the character of Germany in a similar manner: “Today German belongs to us—tomorrow the entire world!” is part of the text of an infamous Nazi song.

Professor Mahbubani does not contest this. He declares that Merkel’s “European crisis management” has made Germany’s leading role in Europe unmistakably clear. “France and Great Britain can no longer fulfill this role,” he writes.

Professor Mahbubani does not worry about the fact that Germany committed unspeakable crimes in the previous century. Instead, he deplores the fact that it lost two world wars and he now wants to correct this.

He writes: “The twentieth century was a bad one for Germany. It lost two world wars and was divided and occupied.” The second half of the century was indeed better and brought Germany peace and prosperity. However, German society is “psychologically ill” with feelings of guilt about its past. This guilt complex must be overcome so that the twenty-first century “can become a great century for Germany.”

Steinmeier uses these remarks as justification for declaring that “foreign lands” have placed “great expectations” on German foreign policy. German politics should no longer ignore the cherished hopes and expectations “of our friends”.

With respect to the opening of the conference “Review 2014—Rethinking foreign policy” on May 20 in the foreign office’s “world hall steeped in history,” Steinmeier made it clear he wants to overcome the contradiction between “the great expectations placed on German foreign policy by foreign lands” and the ongoing opposition to a stronger stance on the part of the German population.

He says, “At the time I assumed office for the second time a half a year ago, I formulated a thesis in this world hall: Germany is somewhat too big and economically too strong for us to merely comment on world politics from the sidelines.” Now, he intends to explain and impose Germany’s new role in the world.

To this end, Steinmeier has planned numerous events over the course of the whole summer. He will no longer tolerate the public resistance to the return of militarism and war. For Steinmeier, democracy does not mean accepting the view of the majority and then acting. For him, a government that is “democratically legitimated by elections” has the task of defining German interests and imposing them against all opposition. It is the voice of the ruling finance oligarchy that tolerates no contradiction.

In the federal election of last autumn, this foreign policy turn was not introduced into the discussion, although it had been prepared for a long time in think tanks and ruling circles. Instead, all possible political issues of secondary importance were endlessly discussed, from gay marriage to a highway toll.

A few days after the election, President Gauck demanded that Germany once again play a role “in Europe and in the world” that corresponded with its actual influence. This was made a central theme of the coalition negotiations, and now the coalition is driving forward to resurrect German militarism.

Steinmeier is a typical Social Democratic representative of the state, who works on behalf of economic interests and the financial oligarchy, and views the population as an enemy. Symptomatic of this attitude was his angry outburst at an election meeting in Berlin, at which he shouted down his critics who had called him a “warmonger.”

Steinmeier cried, “You have no right!” and meant it literally. In an interview published in the Frankfurter Allgemeine Zeitung shortly after the European election, he called for the maintenance of an electoral threshold for small parties designed to maintain the dictatorship of the already established political parties.

A hundred years after the great betrayal by the SPD in August 1914, the Social Democrats have become the leading party of German imperialism and spout war propaganda on behalf of German militarism. Only one thing has changed: the SPD long ago lost its influence over the working class. The hostility between the Social Democrats and the workers is mutual.

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In english: The Finnish Model
In the West's hegemonic struggle against Russia, German government advisers are calling for close military ties between Ukraine and the Western war alliance…
GFP 2014/06/05
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58757
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http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58884
Das finnische Modell
 
05.06.2014
BERLIN/KIEW
 
(Eigener Bericht) - Berliner Regierungsberater plädieren im Machtkampf des Westens gegen Russland für eine enge militärische Anbindung der Ukraine an das westliche Kriegsbündnis. Zwar sei die direkte Aufnahme des Landes in die NATO kontraproduktiv und solle nicht angestrebt werden, heißt es in einem aktuellen Papier der Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP). Das stehe jedoch einer Intensivierung der Kooperation, gemeinsamen Kriegsübungen und perspektivisch auch einer Aufrüstung des Landes an der Seite des Westens nicht entgegen. Für die Zukunft schlägt das SWP-Papier für die Ukraine ein "finnisches Modell" vor: Finnland gehöre offiziell keinem Militärbündnis an, sei aber eng an die NATO angebunden und praktisch Teil des Westens; in ähnlicher Weise könne auch Kiew formelle "Bündnisfreiheit" mit enger Partnerschaft mit der NATO verbinden. Auch im Mainstream der US-Außenpolitik wird die Auffassung geteilt, ein NATO-Beitritt der Ukraine sei zu riskant; er könne das Land endgültig in den Abgrund treiben und die östlichen Mitgliedstaaten des Kriegsbündnisses langfristig schwer belasten. Die Pläne zu einer engeren Zusammenarbeit der NATO mit der Ukraine gehen mit zunehmenden militärischen Aktivitäten in den osteuropäischen NATO-Staaten einher.
Die Beitrittsdebatte
In der aktuellen Debatte um militärische und militärpolitische Aktivitäten im Machtkampf gegen Russland meldet sich die Berliner Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) zu Wort. Im Zentrum steht dabei die Frage, wie die Zusammenarbeit der NATO mit der Ukraine künftig zu gestalten sei. Hintergrund sind Plädoyers aus Kiew, aber auch aus ultrarechten Teilen des US-amerikanischen Establishments sowie aus transatlantisch orientierten Segmenten der deutschen Öffentlichkeit, das Land so rasch wie möglich in das westliche Kriegsbündnis aufzunehmen.
"Nicht jetzt"
Vor einem solchen Schritt warnt die SWP. Zwar klinge "der Gedanke ... verführerisch, als Reaktion auf das russische Vorgehen auf der Krim und in der Ostukraine die Option einer Vollmitgliedschaft drer Ukraine in der Nato wiederzubeleben", heißt es in einer aktuellen Stellungnahme aus dem Think-Tank. Doch zum einen werde Moskau dies "als bewusstes Eskalieren wahrnehmen" und vermutlich jegliche Kooperation zur Befriedung der Ukraine einstellen. Zum anderen sei zu befürchten, dass ein NATO-Beitritt die "politische Polarisierung der ukrainischen Gesellschaft weiter forciert". Mit Blick auf die Gefahr, in unmittelbarer Nachbarschaft zur EU und zum NATO-Bündnisgebiet könne sich ein langwieriger Konflikt, womöglich ein Bürgerkrieg festsetzen und auch deutsche Kräfte in spürbarem Maße binden, rät die SWP, "die Option einer Vollmitgliedschaft der Ukraine in der Nato im Moment (!) nicht aktiv zu verfolgen".[1] Ähnliches ist aus dem Mainstream der US-Außenpolitik zu hören. So weist der Congressional Research Service aus Washington explizit darauf hin, dass laut einer Umfrage vom März 2014 nur 34 Prozent der ukrainischen Bevölkerung für einen NATO-Beitritt des Landes plädieren, während 44 Prozent dagegen sind; Befürworter gibt es vor allem im Westen der Ukraine, Gegner in ihrem Osten.[2] Eine Debatte über den Beitritt wäre demnach - jedenfalls gegenwärtig - tatsächlich geeignet, das Land weiter zu spalten und in den Abgrund zu treiben und deutsch-europäische Kräfte zu binden.
"Kein Weg erkennbar"
Entsprechend positioniert sich die Bundesregierung bislang gegen jegliche NATO-Erweiterungspläne. Nach Äußerungen von NATO-Generalsekretär Anders Fogh Rasmussen, das Kriegsbündnis könne künftig weitere Staaten aufnehmen, erklärte Außenminister Frank-Walter Steinmeier Anfang April: "Einen Weg (der Ukraine) in die Mitgliedschaft in der Nato sehe ich nicht."[3] Ähnliches hat sich kürzlich mit Blick auf Georgien wiederholt. Während Rasmussen verlauten lässt, "die Tür" für das südkaukasische Land bleibe "offen", hat Bundeskanzlerin Angela Merkel zu Beginn dieser Woche mitgeteilt, ihrer Auffassung nach sei der NATO-Beitritt des Landes "kein Tagesordnungspunkt für den nächsten Nato-Gipfel" im September. Auf dem Gipfel solle vielmehr diskutiert werden, "wie wir deutlich machen können, dass Georgien ein guter Partner ... ist" - auch ohne Beitrittsprozess.[4]
Partnerschaft Plus
Dass der - zumindest vorläufige - Verzicht auf die formelle Aufnahme der Ukraine und Georgiens allerdings keinen Verzicht auf ihre enge Anbindung an die NATO bedeutet, lässt ebenfalls die aktuelle Stellungnahme aus der SWP erkennen. Demnach müsse man sich zwar zunächst mit der unmittelbaren Gefahr befassen, "dass die Ukraine weitere Teile ihres Territoriums ... verliert, das staatliche Gewaltmonopol noch stärker erodiert oder das Land in einen Bürgerkrieg versinkt". "Ein solches Szenario" hätte fatale Folgen für die "vier Nachbarländer der Ukraine, die Mitglieder der nordatlantischen Allianz sind: Polen, Slowakei, Ungarn und Rumänien"; "mittelbar" wäre auch die NATO als Ganzes betroffen, heißt es bei der SWP. "Langfristig" aber werde es darum gehen, "der Ukraine eine stabile sicherheitspolitische Verankerung zu bieten". Weil der NATO-Beitritt jedoch riskant sei, könne man ein "Partnerschaft-Plus-Format" anstreben: Das Kriegsbündnis solle etwa "Reformen des Verteidigungssektors" der Ukraine "unterstützen sowie auf politische und finanzielle Weichenstellungen drängen, die zum Aufbau effektiver Streitkräfte notwendig sind"; auch sollten "gemeinsame Manöver, die Unterstützung bei der Ausbildung der ukrainischen Streitkräfte und der Zugang zu modernen Defensivwaffen-Systemen ... das Hilfspaket ergänzen".[5]
Nur formell neutral
Die Gesamtperspektive für die Ukraine beschreibt die SWP als "finnisches Modell". Dabei bezieht sie sich auf die traditionelle finnische Neutralität. "Zwar gehört Finnland nach wie vor keinem Militärbündnis an, ist aber politisch nicht neutral", heißt es mit Blick auf die Entwicklung des Landes seit dem Ende der Systemkonfrontation: "An seiner sicherheitspolitischen Orientierung bzw. 'Westbindung' hat es in den letzten zwei Jahrzehnten keine Zweifel gelassen". So nehme es etwa "sehr aktiv" am "Partnership for Peace"-Programm der NATO teil und bringe sich in die Außen- und Militärpolitik der EU ein; vor allem kooperiere es militärisch mit den nordischen NATO-Mitgliedern Dänemark, Norwegen und Island. Offiziell neutral, faktisch Teil des Westens - dies sei ein geeignetes Modell auch für die Ukraine: "Die Fortführung der Bündnisfreiheit, die vertiefte Kooperation mit Nato-Mitgliedern und eine klare politische Westorientierung Kiews könnten auch die drei maßgeblichen Pfeiler der zukünftigen ukrainischen Sicherheitspolitik sein."[6]
Eine Nebelwand
Der Linie, die Ausdehnung ihrer militärischen Aktivitäten in Richtung Osten nicht durch allzu provokante Schritte zu gefährden, sondern sie mit Umsicht voranzutreiben, folgen die NATO-Hauptmächte auch bei der Ausweitung ihrer militärischen Aktivitäten in den osteuropäischen Mitgliedstaaten, etwa in den baltischen Staaten und Polen. So hat US-Präsident Barack Obama bei seinem Besuch in Warschau vor martialischer Kulisse (F-16-Kampfjets) posiert und die imposante Summe von einer Milliarde US-Dollar für den Ausbau der US-Militärpräsenz in Ost- und Südosteuropa in Aussicht gestellt, um das polnische Publikum zufriedenzustellen. Doch vermerken Beobachter, Obama habe ein Element vermieden, das Warschau energisch verlange, das Moskau aber wohl ähnlich wie ein etwaiger NATO-Beitritt der Ukraine zu drastischen Reaktionen zwingen würde - die Zusage einer dauerhaften Stationierung von NATO-Truppen in Polen. Der Westen hatte Moskau zunächst - während der Umbrüche des Jahres 1990 - mündlich und 1997 auch vertraglich zugesagt, keine NATO-Truppen in relevantem Umfang dauerhaft in Osteuropa zu stationieren, um Russland keiner existenziellen militärischen Bedrohung auszusetzen. Die US-Militärs, die die Obama-Administration jetzt beispielsweise nach Polen verlegen lassen will, sind dort dementsprechend offiziell nicht fest stationiert, sondern "rotieren". Ein polnischer Hardliner, der sich dafür ausspricht, NATO-Stützpunkte dauerhaft nach Polen zu verlegen, hat daher den martialischen Auftritt des US-Präsidenten eine "Nebelwand" genannt.[7]
Flexibel, nicht permanent
Ähnlich wie Washington positioniert sich auch Berlin. "Es ist wichtig, dass wir die Rückversicherung unserer östlichen Partner so gestalten, dass wir multinational, aber rotierend und flexibel, ... nicht statisch, nicht permanent ... anwesend sein werden", wird Bundesverteidigungsministerin Ursula von der Leyen zitiert.[8] Ähnlich wie die Anbindung der Ukraine an das westliche Kriegsbündnis ohne ihren offiziellen Beitritt scheint das Vorgehen der NATO-Staaten auch in diesem Falle geeignet, ihre militärischen Aktivitäten unter Vermeidung russischer Abwehrreaktionen deutlich nach Osten auszuweiten.
[1] Markus Kaim: Partnerschaft Plus: Zur Zukunft der NATO-Ukraine-Beziehungen. SWP-Aktuell 38, Mai 2014.
[2] Congressional Research Service: NATO: Response to the Crisis in Ukraine and Security Concerns in Central and Eastern Europe. April 16, 2014.
[3] Steinmeier sieht keinen Weg der Ukraine in die Nato. www.faz.net 01.04.2014.
[4] Pressekonferenz von Bundeskanzlerin Merkel und dem Ministerpräsidenten Garibaschwili am 2. Juni 2014 in Berlin.
[5], [6] Markus Kaim: Partnerschaft Plus: Zur Zukunft der NATO-Ukraine-Beziehungen. SWP-Aktuell 38, Mai 2014.
[7] Peter Baker, Rick Lyman: Obama, in Poland, Renews Commitment to Security. www.nytimes.com 03.06.2014.
[8] Von der Leyen lehnt ständige Nato-Truppen in Osteuropa ab. www.zeit.de 03.06.2014.
 
 
=== 3 ===
Auf Deutsch: Für Frieden und Freiheit
Deutsche Außenpolitiker äußern sich zustimmend zur jüngsten Eskalation der Kriegshandlungen in der Ostukraine durch das Kiewer Umsturzregime.
GFP 30.05.2014
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For Peace and Freedom
 
2014/05/30
BERLIN/KIEV
 
(Own report) - German foreign policy experts are expressing their approval of Kiev's putsch regime's recent escalation of warfare against the East of Ukraine. It is "evident" that "Kiev … had to again become active," declared the influential diplomat and Chairman of the Munich Security Conference, Wolfgang Ischinger. Prime Minister Arseniy Yatsenyuk, whose regime bears responsibility for the current artillery and aerial attacks on eastern Ukrainian cities, was guest speaker at yesterday's Charlemagne Prize award presentation ceremonies. The German media praised him accordingly. The Ukrainian President-elect, the Oligarch Petro Poroshenko, would like to lead Kiev into a "security alliance" with the West and soon sign the economic segment of the EU's Association Agreement. Ukraine has already begun the necessary preparations: Austerity measures, which will massively increase the unemployment rate and entail a dramatic rise in prices, have been initiated. German business circles are preparing for their economic expansion into that country. If Kiev can take control over eastern Ukraine with military means, new conflicts could arise: The interests of the expanding German industry would collide with those of Ukrainian oligarchs.
By All Means
Kiev's Prime Minister Arseniy Yatsenyuk has attracted public attention with his participation in yesterday's award presentation ceremonies of the Charlemagne Prize to the President of the European Council, Herman van Rompuy. In his short speech, he declared that Kiev will fight "for peace and freedom" against the rebellions in the East of the country - "with all means at our disposal."[1] On the eve of the ceremony, he conferred in Berlin with the German chancellor on the next steps in the struggle for influence with Moscow. President-elect Petro Poroshenko announced that Kiev seeks to strengthen its formal ties with the West. After initial resistance, Kiev now is signaling that the signing of the economic segment of the EU's Association Agreement is imminent - still in June. Only the political segment is currently in force. Poroshenko has also announced that he is counting on a "new security alliance with the USA and Europe to also militarily protect the Ukraine." He intends to "fight for this and immediately open talks."[2] He has had "intensive phone conversations" with Chancellor Merkel and is now hoping "for more solidarity and support."[3]
Saving up for Free Trade and War
Immediately following the putsch in late February, the Ukrainian putsch regime began initiating economic preparations for the country's transition into the western hegemonic sphere. As usual in such cases,[4] this process means the imposition of harsh austerity policies. An agreement has already been reached with the International Monetary Fund (IMF) to apply its clearly defined austerity measures. Therefore Kiev has abandoned the previous government's plans to slightly raise pensions and the minimum wage (approx. 45 cents/hr) and will now freeze both at current levels. The parliament decided already back in March, to reduce the national budget by 17 percent. Altogether, about 24,000 civil service employees will be fired, accounting for ten percent of all civil servants. In a "letter of intent" to the IMF, dated April 22, Kiev also agreed to increase - before the summer - the price of gas for private households by 56 percent as well as the costs for district heating by 40 percent. This will be a heavy blow to a large portion of the Ukrainian population, whose average earnings - when the oligarch's wealth is deducted - are estimated at about 150 Euros monthly. In 2015, gas and heating costs will be raised another 40 percent and again in 2016 and 2017, another 20 percent each year. The war against the insurgents in the east of the country, which is consuming large sums, has not yet even been calculated into these plans. Minister of Finances, Oleksandr Shlapak, announced May 10, that Kiev's military budget will probably have to be increased by 50 percent, for the time being, and this amount is still not enough. Therefore, Ukraine must cut its budget for social issues and healthcare.[5]
Lucrative Modernization
In anticipation of the imminent signing of the economic segment of the EU's Association Agreement, the austerity policy has begun provoking tangible interest in German economic sectors. "The adoption of EU standards and the establishment of a free trade zone with the European Union, will demand ... a multiplicity of immense efforts in modernization for Ukrainian enterprises," according to "Germany Trade and Invest" (gtai). For example, the steel industry, which "is very important to Ukraine," has "much catching up to do, in the use of modern technology."[6] German companies are hoping to land lucrative contracts. This sector also has political significance. As in many other branches, Ukrainian oligarchs, such as Rinat Achmetov, exercise an enormous amount of influence over the steel industry. It is unknown, whether Achmetov - who may have to make expensive modernization investments - can expect concessions for his announcement to regain control over eastern Ukraine.[7] From within the entourage of President-elect Poroshenko, there is talk of a "German aid program for the Donbass," that is supposed to "create jobs."[8] Gtai also sees opportunities for German enterprises in the impending modernization of Ukraine's agriculture, where Ukrainian oligarchs are also influential.
Low-Wage Site
According to the gtai analysis, the imminent signing of the economic segment of the EU's Association Agreement will make large-scale transplantation of industrial sites also feasible. For example, "a foreign automobile producer could proliferate its locations in Ukraine and establish a cluster of subcontractors," writes the foreign trade agency. The country could even, "step by step, become a second Czech Republic," thanks to its exceptionally low wage level ("labor cost advantages"), particularly due to the fact that Ukraine has a "relatively well trained labor force." Gtai points out that various German automotive components suppliers - such as Leoni - are already producing inside the country. However, Ukrainian auto manufacturers must "then convert to the production of component parts or niche products such as customized autos or infrastructures."[9] It is not clear what form the confrontation will take between the giants of the West European auto industry, on the one hand, and the Ukrainian oligarchs, on the other. For example, one of the largest car manufacturers in Ukraine is privately owned by the billionaire Petro Poroshenko.[10] Poroshenko has announced his intentions to sell his companies - with the exception of his "Channel 5" broadcasting company - but it is not clear, who will take over his "Bohdan Corporation" car factories.
"Finally Retaliate"
Whereas the protégée of the CDU-affiliated Konrad Adenauer Foundation [11], Kiev's future mayor, Vitali Klitschko, has announced that he will now "seek German investments very intensively,"[12] his political ally, Petro Poroshenko, is applying the final measures for the absorption of all of Ukraine into the Western hegemonic sphere - by repressing revolts in the east of the country. This week, using its newly formed "national guard," irregular militias and the air force, Kiev's regime massively expanded attacks on the cities of Donbass. Before elections, "they had shied away from fighting, to not endanger voting," an "insider" was quoted saying, "now we can finally retaliate."[13] German foreign policy experts are expressing their comprehension. "It was evident that Kiev had to again become active, once the elections were over," declared, the Chair of the Munich Security Conference, Wolfgang Ischinger.[14] From Donezk, the first strikes in opposition to Kiev's onslaught have been announced, and violence is also escalating from the side of the insurgents. No end to the fighting is in sight.
War of European Unification
The war beginning in eastern Ukraine will not be the first war to accompany the German-European eastward expansion of their hegemonic sphere. Already in the 1990s, Germany supported the destruction of Yugoslavia, to prevent possible resistance to its predominance. In the summer of 1999, shortly after the war over Kosovo, German media had referred to a "war of European unification." However, at the time, it was reported that "leaders," were referring to this "only in confidential conversations" - otherwise one would have to answer the objection that "war is again being called the mother of all - even Europe."[15]
 
[1] Van Rompuy wirft Russland Destabilisierung vor. www.handelsblatt.com 29.05.2014.
[2] Das erste Interview mit Klitschko und Poroschenko. www.bild.de 27.05.2014.
[3] So wollen sie der Ukraine Frieden bringen. www.bild.de 29.05.2014.
[4] See Under the EU Flag.
[5] Ukraine cuts health, welfare spending to boost defence. www.janes.com 12.05.2014.
[6] In der Ukraine stehen Modernisierungen an. www.gtai.de 24.04.2014.
[7], [8] See The Restoration of the Oligarchs (IV).
[9] In der Ukraine stehen Modernisierungen an. www.gtai.de 24.04.2014.
[10] See The Restoration of the Oligarchs (IV).
[11] See Our Man in Kiev.
[12] So wollen sie der Ukraine Frieden bringen. www.bild.de 29.05.2014.
[13] Konrad Schuller: Wie aus Partisanenhaufen Stoßtrupps wurden. Frankfurter Allgemeine Zeitung 28.05.2014.
[14] Ischinger nennt Offensive gegen Separatisten notwendig. www.faz.net 28.05.2014.
[15] Gunter Hofmann: Deutschland am Ende des Krieges. Die Zeit 24/1999.
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Auf Deutsch: Die neue Kriegsschulddebatte
Wenige Monate vor dem hundertsten Jahrestag des Beginns des Ersten Weltkriegs gewinnt in Deutschland eine neue Debatte um die deutsche Kriegsschuld an Fahrt…
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New Debate on the Responsibility for War
 
2014/02/04
BERLIN
 
(Own report) - In the few months leading up to the one-hundredth anniversary of the beginning of World War I, a new debate, over who was responsible for starting the war, is gaining momentum in Germany. As relevant publications - such as the bestseller, "The Sleepwalkers" by the historian Christopher Clark - show, "a shift in paradigm has taken place" in scholarship, according to a recent press article: "The German Empire was not 'responsible' for World War I." The debate strongly contradicts the recognition that, even though Berlin did not bear it alone, it bore the primary responsibility for the bloody escalation of the 1914 July Crisis. This insight, which was derived particularly from the analyses of the historian Fritz Fischer in the 1960s, is now being massively contested. Historians are strongly criticizing remarks, such as those by Christopher Clark, who, working closely with government-affiliated academic institutions, is denying German responsibility for the war. According to Clark, "the Serbs" are supposedly a priori "the bad guys" of the pre war era, while he openly displays his preference for the Austro-Hungarian Empire. The denial of Germany's main culpability for the war is "balm on the soul of educated social sectors, grown more self-confident" at a time when Berlin's political power is again on the rise.
The Hegemony's "Defensive Goal"
An article published in early January by the German daily "Die Welt" is exemplifies the new debate on the responsibly for setting off World War I. Alluding to relevant publications by Christopher Clark ("The Sleepwalkers") and Herfried Münkler ("Der Große Krieg"), the article states that "a shift in paradigm has already occurred" in historiography, particularly with a re-evaluation of the German Empire's foreign policy. "Driven by fears of decline and encirclement," Berlin simply pursued "the defensive objective" of establishing the "precarious situation of a limited hegemony" over Europe and was "far from making a cocky and megalomaniacal grab for world power." Russia, on the other hand, pursued the war "for its own expansive objectives in Eastern Europe and at the Bosporus." France had been "quite ready to go to war itself," and Great Britain had been "even less peaceful and conciliatory" than is "often assumed." Ultimately, "only when Great Britain entered the war," the "original conflict turned into a global disaster." In any case, Berlin could have claimed a "ius ad bellum" at the time. The authors conclude: "The German Empire was not 'guilty' of starting WWI."[1]
The Otto-von-Bismarck Foundation
The book, "The Sleepwalkers," published in 2012 by the historian Christopher Clark, is central to the new debate on German guilt for starting the war. Clark, who is often ascribed an alleged neutrality with respect to Germany, because he is a native Australian, teaching at a British university, has in fact close ties to state-affiliated German academic institutions. He is a member of the Academic Advisory Board of the German Historical Institute in London, which is supported by the Max Weber Foundation - a Foundation of the German government, under supervision of the Federal Ministry of Education and Research. The German foreign ministry is also represented on its Board of Trustees. Clark is also a member of the Scientific Advisory Board of the state-financed Otto von Bismarck Foundation, who's Board of Directors and Board of Trustees is mainly comprised of former parliamentarians and Bismarck family members. Only a few years ago, its chair, Rüdiger Kass, had headed the Department of the Federal Police in the Ministry of the Interior. In 2010, Clark received the Historisches Kolleg Award from the hand of the German President. The Historische Kolleg was founded in 1980, essentially with the help of the Deutsche Bank, and today is co-financed by Bavaria.
A Teutonophile
Clark's writing, which investigates the developments leading up to World War I, flatly denying the German Empire's prominent responsibility for starting the war, is quite critically appraised by other historians. Clark, who his colleagues characterize as "a Teutonophile," describes the German Empire at the time of the 1914 July Crisis as the "least militarized European power." "I've never read such a thing before" commented, not without irony, the historian Gerd Krumeich, an expert on the history of World War I. Pointing to serious mistakes in Clark's scholarly analysis, Krumeich confirmed that the book "The Sleepwalkers" is being venerated generally only in Germany, while "abroad" it is "respected but not praised." The fact that Clark flaunts his preference for the Austro-Hungarian Empire, while treating Serbia as well as Russia with open disparagement, is particularly objectionable.[2] He sees "the Serbs" as "the bad guys of the pre-war era, and Austria-Hungary as having had every right to defend itself against them," concluded Krumeich. This has nothing more to do with objective scholarship.[3]
Plagued Employer
Clark's imperial point of view is also apparent in his appreciation of the German Empire's domestic situation. For example, in his 2010 ceremonial address at the reception of the Historisches Kolleg Award, he claimed that the notorious large landowners east of the Elbe would "appear today not so much as 'local tyrants,' but more as employers plagued from all sides, who often had been only able to prevail over a self-confident and resourceful peasantry with utter difficulty." The serf labor, peasants had to fulfill, "would no longer be considered, today, feudal coercion, but rather tenant charges, quasi a rent." Besides, the Prussian peasantry was "not doing too badly" even economically, "as has been alleged earlier." "The Wilhelmine militarism" had merely been "a socially splintered phenomenon," and not so "prevalent in the society, as a whole," as many believed. According to Clark, "the Prussian state apparatus' potential for progress" must, above all, be emphasized - "even in the aftermath of the 1819 conservative turning point."[4] An era of brutal repression of all liberal opposition began in 1819 with the Carlsbad Decrees.
The Function of German Myths
Herfried Münkler, whose work "Der Große Krieg" is also playing an important role in the current debate over responsibility for the war, can also be considered a state-affiliated political scientist. Münkler, who also relativizes Germany's primary guilt for World War I, is reported to be a "one-man think tank." He climbed the ladder from being simply a political science professor at Berlin's Humboldt University to "become one of Berlin's most prominent political advisors," according to a 2003 article. He serves, for example as "a prompter for the Bundeswehr's General Staff, the Foreign Ministry's Policy Planning Staff and also for humanitarian NGOs."[5] It has been reported that during Gerhard Schröder's second electoral period as Chancellor, Münkler was asked by Chief of Staff of the Chancellery, at the time Frank-Walter Steinmeier, to "discuss with the advisory staff" the best spin to make the measures of "Agenda 2010," "more palatable to the government's own clientele." When this proved a failure, Münkler published a book entitled "The Germans and their Myths." Münkler explained what was behind the idea: "We must find a grand narrative. We need to develop a Mosaic promise: You must go into the desert, but you will reach the Promised Land."[6] Münkler is still a member of the Advisory Board of the Federal College for Security Studies (BAKS), the German government's most important military policy think tank.
Balm for the German Soul
Observers are pointing to the fact that Münkler's, and particularly Clark's publications, are being enthusiastically acclaimed by members of the younger generation in Germany. "In a period, when the Federal Republic of Germany has again become a regional great power," denial of Germany's primary guilt for starting World War I is "balm for the soul of educated social sectors, grown more self-confident," explains the historian Stig Förster.[7] The historian Volker Ullrich considers particularly Clark's writings, to be "a change of course in the political interpretation of history." "Evidently a deep-seated need for exoneration is playing a role," according Ullrich. "If Germany's being solely responsible for setting off World War II is already unquestionable; then let it at least not be guilty of starting World War I." This drive seems "to become more overwhelming, the more Germany assumes a leading role in Europe, due to its economic preponderance." Ullrich points to a remark Herfried Münkler made in an interview: "A responsible policy can hardly be implemented in Europe, if one imagines that we are guilty of everything."[8]
 
[1] Dominik Geppert, Sönke Neitzel, Cora Stephan, Thomas Weber: Warum Deutschland nicht allein schuld ist. www.welt.de 04.01.2014.
[2] "Christopher Clark spricht die Deutschen von der Schuld am Ersten Weltkrieg frei". www.lisa.gerda-henkel-stiftung.de 14.11.2013.
[3] Gerd Krumeich: Unter Schlafwandlern. www.zeit.de 30.11.2012.
[4] Festvortrag von Christopher Clark: Preußenbilder im Wandel. Dokumentation zur Verleihung des Preises des Historischen Kollegs an Professor Dr. Christopher Clark, 5. November 2010.
[5] Der Ein-Mann-Think-Tank. www.zeit.de 30.10.2003.
[6] Herfried Münkler. www.welt.de 29.01.2011.
[7] "Balsam auf die Seele selbstbewusster gewordener Bildungsbürger". www.lisa.gerda-henkel-stiftung.de 17.12.2013.
[8] Volker Ullrich: Nun schlittern sie wieder. www.zeit.de 24.01.2014.
=== 5 ===
Also worth reading: 
Boris Johnson: Tristram Hunt should resign over First World War comments
By Georgia Graham, Political Correspondent - 06 Jan 2014
Na srpskohrvatskom:

Џонсон: Неоспорна истина, Први свјетски рат је резултат њемачке агресије!
10 јануар 2014
http://www.in4s.net/index.php/dzonson-neosporna-istina-prvi-svjetski-rat-je-rezultat-njemacke-agresije/

Градоначелник Лондона: Немци, нису Срби криви за рат већ ви!
13 јануар 2014
http://www.beoforum.rs/forum-prenosi-beogradski-forum-za-svet-ravnopravnih/534-srbi-nisu-krivi.html

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Germany started the Great War, but the Left can’t bear to say so

 

In this centennial year, it’s more important than ever that we treat the truth with respect

7:00AM GMT 06 Jan 2014
One of the reasons I am a Conservative is that, in the end, I just can’t stand the intellectual dishonesty of the Left. In my late teens I found I had come to hate the way Lefties always seemed to be trying to cover up embarrassing facts about human nature, or to refuse to express simple truths – and I disliked the pious way in which they took offence, and tried to shoosh you into silence, if you blurted such a truth.
Let me give you a current example of this type of proposition. It is a sad but undeniable fact that the First World War – in all its murderous horror – was overwhelmingly the result of German expansionism and aggression. That is a truism that has recently been restated by Max Hastings, in an excellent book, and that has been echoed by Michael Gove, the Education Secretary. I believe that analysis to be basically correct, and that it is all the more important, in this centenary year, that we remember it.
That fact is, alas, not one that the modern Labour Party believes it is polite to mention. According to the party’s education spokesman, Tristram Hunt, it is “crass” and “ugly” to say any such thing. It was “shocking”, he said in an article in yesterday’s Observer, that we continued to have this unacceptable focus on a “militaristic Germany bent on warmongering and imperial aggression”.
He went on – in a piece that deserves a Nobel prize for Tripe – to mount what appeared to be a kind of cock-eyed exculpation of the Kaiser and his generals. He pointed the finger, mystifyingly, at the Serbs. He blamed the Russians. He blamed the Turks for failing to keep the Ottoman empire together, and at one stage he suggested that we were too hard on the bellicose Junker class. He claimed that “modern scholarship” now believes that we have “underplayed the internal opposition to the Kaiser’s ideas within the German establishment” – as if that made things any better.
Perhaps there was some more “internal opposition” to the Kaiser, as Hunt thinks. Whoever they were, these internal opponents, they weren’t much blooming use, were they? It was Germany that pushed Austria to make war on Serbia. It was Germany that declared war on Russia, on August 1 1914. It was Germany that decided it was necessary to invade Luxembourg, and it was Germany that deployed the Schlieffen plan (devised in 1905, incidentally) and sent her troops smashing through neutral Belgium and into France.
Why was it necessary to follow up some rumpus in Sarajevo by invading France, for heaven’s sake? It wasn’t. The driving force behind the carnage was the desire of the German regime to express Germany’s destiny as a great European power, and to acquire the prestige and international clout that went with having an empire. That is why Tirpitz kept increasing the size of the German fleet – in spite of British efforts to end the arms race. That’s why they tried to bully the French by sending a gunboat to Agadir in 1911.
That, in a nutshell, is why millions died in the trenches of the western front and elsewhere, 15 million in all. It was an even greater tragedy for Germany, and for the world, that within two decades of the end of that conflict there should arise another German leader who decided to revive what was essentially the same military/political objective – a massive expansion of German influence in Europe and beyond; and though Hitler was admittedly even more nasty and militaristic than the Kaiser, it was no coincidence that he used a very similar plan: first take out France and the Low Countries, then go for Russia.
In both wars, huge numbers of British people, military and civilian, lost their lives in the struggle to frustrate these deranged ambitions. They were, in essence, fighting on the right side, and it should not be forbidden to state that fact. The Second World War arose inexorably out of the first, and in both wars I am afraid the burden of responsibility lies overwhelmingly on German shoulders. That is a fact that we should not be forbidden from stating today – not just for the sake of the truth, but for the sake of Germany in 2014.
Hunt is guilty of talking total twaddle, but beneath his mushy-minded blether about “multiple histories” there is what he imagines is a kindly instinct. These wars were utterly horrific for the Germans as well as for everyone else, and the Germans today are very much our friends. He doesn’t want the 1914 commemorations to pander to xenophobia, or nationalism, or Kraut-bashing; and I am totally with him on that.
We all want to think of the Germans as they are today – a wonderful, peaceful, democratic country; one of our most important global friends and partners; a country with stunning technological attainments; a place of incomparable cultural richness and civilisation. What Hunt fails to understand – in his fastidious Lefty obfuscation of the truth – is that he is insulting the immense spiritual achievement of modern Germany.
The Germans are as they are today because they have been frank with themselves, and because over the past 60 years they have been agonisingly thorough in acknowledging the horror of what they did. They don’t try to brush it aside. They don’t blame the Serbs for the 1914-18 war. They don’t blame the Russians or the Turks. They know the price they paid for the militarism of the 20th century.
They don’t try to mitigate, palliate, or spread the blame for the conflict. They tried that in the Thirties, and they know that way lies madness. The Germans know the truth about the world wars, and their role. They have learnt, and they have changed. It would be a disaster if that truth became blurred today. I can hardly believe that the author of this fatuous Observer article is proposing to oversee the teaching of history in our schools.
If Tristram Hunt seriously denies that German militarism was at the root of the First World War, then he is not fit to do his job, either in opposition or in government, and should resign. If he does not deny that fact, he should issue a clarification now.
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German CP, Declaration First World War [En, De, Fr]

Resolution by German Communist Party, Communist Party of Luxembourg and Workers’ Party of Belgium
Monday, 13 January 2014

100 years after the onset of World War I, we live through a renewed debate about who lit the fuse. When again German imperialism’s major responsibility for the four years of butchery among peoples is being questioned, this for sure is not in search for historical truth. It is about seeking theoretical and political legitimization for today’s imperialist politics.

World War I arose from the major imperialist European powers’ desire for expansion. It aimed to conquer new markets and resources, and to re-allocate the given ones. As the co-founder of the Communist Party of Germany, Karl Liebknecht, soon stated, it was “a capitalist war of aggression and conquest”. At the same time, it was an opportunity for the rulers to contaminate the working class’s conscience in their countries with the poison of opportunism, nationalism and chauvinism.

In summer 1914, there were two tight military blocks opposed in Europe: the tripartite alliance of Germany, Austro-Hungary and Italy versus theEntente of England and France which then also Russia allied with. In 1915, Italy entered the war siding with the Entente.

The Sarajevo assault was a very welcomed opportunity for the great powers, already eager for war, to put their strategic concepts into practice. A war followed, which for the first time in history held grip of all continents. 38 countries were involved, not counting the then colonies. Also for the first time ever, a war was waged in industrial manner. Seven million people fell victim to the manslaughter. Civilians became victims of famine and diseases in dimensions unknown before. 20 millions were wounded and crippled, and an incredible amount of values destroyed.

The slaughters ended by the aggressors’ military defeat. The November Revolution in Germany and the revolutions in Austria, Hungary and other countries were stalled because of the right-wing social democratic leaderships’ active role in crushing the Revolution. In Germany the monarchy was overthrown and the republic was founded, but the generals, however, and the powers of the monopolist capital remained. Their political survival gave way for World War II later on.

The social democracy split in the course of World War I. The revolutionary forces separated from the 2nd International and founded Communist Parties all over the world. The Great Socialist October Revolution in Russia paved the way for the first workers’ and peasants’ state in the history of mankind. Thus from the World War emerged a new hope for the world—the hope for Socialism. This is what the signing parties are still standing for.

“And, finally, the only war left for Prussia-Germany to wage will be a world war, a world war, moreover of an extent the violence hitherto unimagined. Eight to ten million soldiers will be at each other’s throats and in the process they will strip Europe barer than a swarm of locusts. The depredations of the 30 Years’ War compressed into three to four years and extended over the entire continent; famine, disease, the universal lapse into barbarism, both of the armies and the people, in the wake of acute misery irretrievable dislocation of our artificial system of’ trade, industry and credit, ending in universal bankruptcy, collapse of the old states and their conventional political wisdom to the point where crowns will roll into the gutters by the dozen, and no one will be around to pick them up; the absolute impossibility of foreseeing how it will all end and who will emerge as victor from the battle. Only one consequence is absolutely certain: universal exhaustion and the creation of the conditions for the ultimate victory of the working class.”

Friedrich Engels, 1887

 


 

Erklärung DKP, KP Luxemburgs, Partei der Arbeit Belgiens

100 Jahre nach dem Beginn des Ersten Weltkrieges erleben wir eine erneute Debatte darum, wer das Feuer an die Lunte gelegt hat. Bei dieser Infragestellung der Hauptverantwortung des deutschen Imperialismus an dem über vier Jahre dauernden Völkergemetzel geht es selbstverständlich nicht um historische Wahrheit. Es geht um die theoretische und politische Legitimierung heutiger imperialistischer Politik.

Der Erste Weltkrieg erwuchs aus den Expansionsinteressen der imperialistischen Großmächte Europas, er war auf Eroberung neuer Märkte und Ressourcen und die Neuaufteilung der vorhandenen gerichtet: Ein „kapitalistischer Angriffs- und Eroberungskrieg“, wie Karl Liebknecht, Mitgründer der Kommunistischen Partei Deutschlands, früh feststellte. Gleichzeitig war der Krieg eine Gelegenheit für die Herrschenden, in ihren Ländern das Bewusstsein der Arbeiterklasse mit dem Gift des Opportunismus, des Nationalismus und Chauvinismus zu verseuchen.

Im Sommer 1914 standen sich in Europa zwei feste Militärblöcke gegenüber: Der „Dre

(Message over 64 KB, truncated)


(srpskohrvatski / castellano / francais / italiano)

Hitler nije voleo Gavrila Principa

0) Linkovi: Filmovi, Pesme, Knjige, Slike…
1) Todor Kuljić: Princip bez advokata
Država Jugoslavija, koju su moćne strukture u svetu uvažavale, bila je najbolja odbrana sarajevskih atentatora
2) Spomenik Gavrilu u Istočnom Sarajevu / Kusturica vuole rifare il processo a Gavrilo Princip / La Serbie officielle boycottera les cérémonies de Sarajevo
Aleksandar Vučić a expliqué qu’il ne pouvait pas se rendre à Sarajevo car il ne pouvait pas voir une plaque parlant de « l’agresseur fasciste serbe ». Le Premier ministre de Serbie faisait référence à la plaque récemment apposée sur la Vijećnica, la Bibliothèque nationale de Sarajevo, dont la rénovation vient de s’achever.
3) Muharem Bazdulj: Princip pucao i u Hitlera / Neispričana priča o Sarajevskom atentatu
Hitler dobio na poklon jedini ratni trofej donet iz raskomadane Jugoslavije – spomen-ploču Gavrilu Principu donetu iz okupiranog Sarajeva 1941. / Quale fu il trofeo che i militari tedeschi portarono a Hitler dopo l'occupazione di Jugoslavia? La lapide a Gavrilo Princip, appena rimossa da Sarajevo (aprile 1941)
4) L'Anno che Continua a Tornare, di Slavko Goldstein (G. Pisa)


=== 0: LINKS ===

VIDEO della rimozione a Sarajevo della lapide a Gavrilo da parte della Wehmacht occupante, che ne fa omaggio al Fuehrer per il suo compleanno - aprile 1941 (dal secondo 00:40 al secondo 01:09):
Die Deutsche Wochenschau Nr. 556 April 30, 1941 Deutsche Pioniere nehmen das Eiserne Tor der Donau, versuchte Sperrung der Donau durch die Serben schlug fehl, serbische Truppen ergeben sich. Einmarsch in eine bosnische Stadt, Entfernung der Gedenktafel des Attentates von Sarajevo…

"A UN SOLO DISPARO / НА ПУЦАЊ ОДАВДЕ"
dokumentarni film o sarajevskom atentatu na spanskom (srpski titlovi)
VIDEO: http://www.semanarioserbio.com/disparo/
1: http://www.youtube.com/watch?v=j6fjYa0zyRQ 
2: http://www.youtube.com/watch?v=AN5YrKhl3Ao

SARAJEVSKI ATENTAT
Autor: Fadil Hadzic - 87 min - Izdanje: Delta video
VIDEO (CEO FILM): https://www.youtube.com/watch?v=xiGUFq6AZe4
Zasto vi mladi toliko mrzite ovu vlast?
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Xzn14OP5QVU

Safet Isovic - PJESMA GAVRILU PRINCIPU
Jugoton SY 23075 - 9.4.1976g. / Ansambl Ace Stepica
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Nova knjiga:

Србија у Великом рату 1914-1918
Мира Радојевић – Љубодраг Димић
Издавач: Београдски форум за свет равноправних ( beoforum@... ) и Српска књижевна задруга, Београд 2014. 
У припреми су издања књиге на енглеском, немачком и руском.
http://www.beoforum.rs/sve-knjige-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/560-knjiga-srbija-u-velikom-ratu.html
http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/554-srbija-u-velikom-ratu-2.html

СРБИЈА У ВЕЛИКОМ РАТУ 1914 – 1918.
У издању Београдског форума за свет равноправних и Српске књижевне задруге изашла је из штампе књига „Србија у Великом рату 1914. – 1918.“ аутора Др Мире Радојевић, доцента на Одељењу за историју Филозофског факултета Универзитета у Београду и Проф. Љубодрага Димића, дописног члана САНУ и редовног професора историје на Филозофском факултету Универзитета у Београду…
http://www.beoforum.rs/sve-knjige-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/544-srbija-u-velikom-ratu-1914-1918.html

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(Altri libri, da scaricare in formato zippato (100MB): http://www.semanarioserbio.com/descargas/sarajevo_knjige.rar )

http://www.semanarioserbio.com/?p=6674

КЊИГЕ О САРАЈЕВСКОМ АТЕНТАТУ

10/12/2013 | Filed under: CAFE ALEKSANDAR,HISTORIA | Posted by: kopaonik
Александар Вуксановић

Поводом скорог доласка нове 2014. године када ће Србија и Срби као народ бити изложени новим покушајима прекрајања историје, овај Српски Недељник је одлучио да поклони својим читаоцима неколико интересантних књига о можда најзначајнијем тренутку наше новије историје, Сарајевском атентату.

Садржај:

“ИСТРАГА У САРАЈЕВСКОМ АТЕНТАТУ” (1938) – Лео Пфефер, истражни судија у процесу.

“КАКО САМ БРАНИО ПРИНЦИПА И ДРУГОВЕ У САРАЈЕВУ” – (1937) – др. Рудолф Цистлер, адвокат одбране у процесу

“САРАЈЕВСКИ АТЕНТАТ-СТЕНОГРАМ ГЛАВНЕ РАСПРАВЕ” (1954) – приредио проф. ВОЈИСЛАВ БОГИЋЕВИЋ, научни сарадник Архива БХ.

“ПРИНЦИП О СЕБИ” (1926) – др. Мартин Папенхајм, затворски психијатар у Терезину 1916.

“САРАЈЕВСКИ ЗАВЕРЕНИЦИ-ВИДОВДАН 1914″ (1953-54) – Доброслав Јевђевић, атентатор.

Хвала оним акоји су ми добавили неки од ових текстова које искључиво у циљу бољег упознавања историјске и националне стварности делим са свима вама. Сва права поседују аутори, издавачи, наследници……сви осим нас који ово размењујемо овако слободно. Поштујмо та права.

ПРЕУЗМИ КЊИГЕ ОВДЕ: http://www.semanarioserbio.com/descargas/sarajevo_knjige.rar


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Todor Kuljić


Princip bez advokata


Država Jugoslavija, koju su moćne strukture u svetu uvažavale, bila je najbolja odbrana sarajevskih atentatora


U „građanskom ratu sećanja” ovih dana je na nov način oživljen Sarajevski atentat. Okvir je ostao tanato-politički, ali se više ne eksploatiše samožrtvovanje Principa nego smrt Ferdinanda. Ko je odgovoran za to što su mladobosanci od tiranoubica postali teroristi? Svi oni u regionu koji strepe od jugoslovenstva i svi oni iz okruženja koji žele da rasterete vlastite nacije od imperijalističke odgovornosti za klanicu Prvog svetskog rata.

Da li će oni uveriti javnost da su atentatori bili teroristi? Verovatno hoće zato što Princip danas nema valjanog advokata. Srušene su one strukture koje su Principa iznedrile i koje su ga docnije opravdano heroizovale. Država Jugoslavija je Principu s razlogom dizala spomenike i po njemu imenovala ulice. Danas nikakva kohorta blistavih istoričara ne može odbraniti Principa zato što nema južnoslovenske države kao ostvarenja mutnog ideala koji je vodio mladobosance. A što se rečena država danas više shvata kao iluzija ili kao tamnica to su veće šanse da Princip o neslavnom jubileju bude stigmatizovan kao terorista.

Doduše, neki Principa i brane. To danas čine pretežno srpski istoričari. Zašto? Utisak je da to ne čine zbog solidarnosti sa težnjama sunarodnika (uostalom Gavrilo se izjašnjavao kao Jugosloven i to jeste bio njegov istinski identitet), nego više stoga što se time opiru demonizovanju vlastite nacije. Braneći Principa, ne brane njegov čin nego Srbiju. Teško da ovako usmerena odbrana ima šanse. Vladimir Dedijer je 1966. mnogo bolje u svetu branio Principa svojom knjigom „Sarajevo 1914“. Ne zbog uverljivosti materijala niti zbog virtuoznosti sinteze. Nego zato što je njegova knjiga imala kao zaleđinu Jugoslaviju kao uglednu svetsku državu. Književnik Muharem Bazdulj je to bolje uočio od mnogih istoričara koji danas brane Principa.

Princip nema danas uverljivog advokata i otuda što je nestalo načelo „Balkan balkanskim narodima“ koje je sam ekstatično branio. Globalizacija je pojela ovo načelo jer region stremi EU. Džaba svi naučni skupovi o Principu od Gacka do Beograda. Upravo je nestankom Jugoslavije kao poželjne države Princip lišen izabranog advokata. Legitimnost Jugoslavije je bila njegova najautentičnija odbrana. Ne može njemu danas pomoći ni nesporna pravna činjenica da je tadašnja Bosna bila nelegalni deo Austrougarske, pa shodno tome Princip nije ubio nadvojvodu na svom tlu nego je ovaj stradao u tuđoj državi. Koliko god bili legalistički uverljivi, ovi argumenti ne mogu da nadomeste izgubljeni legitimistički stub Principove odbrane – jugoslovensku državu.

Ne može se Princip braniti ni isticanjem njegovog druženja sa svetski čuvenim Ivom Andrićem kao autentičnim Jugoslovenom. Još je naivniji optimizam da će kad-tad pobediti ona istorijska istina da su atentatori bili patriote, a ne teroristi. Istina ne može postati hegemona sve dok je ne osigura snažna struktura. Sarajevski atentat je odveć markantan događaj, pa je već samim tim ostao u tanato-političkom smislu veliki potencijal. Smrt u Sarajevu, koja je neizbrisivo ušla u sve udžbenike istorije, i stotinu godina kasnije je još politički upotrebljiva.

Država Jugoslavija, koju su moćne strukture u svetu uvažavale, bila je najbolja odbrana sarajevskih atentatora koju bi verovatno i oni sami izabrali. Danas, pak, Principa brane advokati postavljeni po službenoj dužnosti. To su srpski istoričari koji štiteći Principa ne brane njegovu viziju društva nego nastoje da obore stereotipe u svetu o Srbima. Protiveći se tužiocima raznih boja koji se trude da pokažu kontinuitet srpskog terorizma, ovi službeni advokati i sami instrumentalizuju Principa.

Šta onda činiti? Treba jasno podvući da atentatori nisu pucali iz nacionalnog, nego iz multietničkog žara za oslobađanjem skupine malih naroda od podjarmljivanja velikih. Jesu pucali iz zasede, ali to nije bio mučki neviteški čin, nego je nepodnošljivi pritisak trpljenja vlastite vojne inferiornosti gonio atentatore na samožrtvovanje u neravnopravnoj borbi s moćnom imperijalnom silom. Iz ovog zaključka nikako ne proističe moralistička uteha da će istina kad-tad pobediti laž. Treba realno i istorično procenjivati šanse odbrane Principa. Ubistvo nadvojvode u Sarajevu jeste bio antiimperijalistički čin i nasilje protiv nasilja, ali je ovaj odbrambeni akt svet daleko ozbiljnije procenjivao dok je opstajala država zarad čijeg ostvarenja su pucnji odjeknuli. Zato onaj ko spori Jugoslaviju treba da ćuti o Principu.


Profesor Filozofskog fakulteta u Beogradu

Todor Kuljić
objavljeno: 24.09.2013.


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U povodu 100 godina od početka Prvog svjetskog rata Gavrilu Principu podižu spomenik u Istočnom Sarajevu

Objavljeno petak, 24 Januar 2014

Na današnjoj sjednici Organizacionog odbora za pripremu obilježavanja 100 godina od početka Prvog svjetskog rata odlučeno je da spomenik Gavrilu Principu bude postavljen u Istočnom Novom Sarajevu, izjavio je Srni načelnik ove opštine Ljubiša Ćosić.
Ćosić je istakao da će u Istočnom Novom Sarajevu biti postavljen spomenik identičan onom koji će biti postavljen na Kalemegdanu u Beogradu.
"Od gradonačelnika Istočnog Sarajeva Nenada Samardžije i mene očekuje se da obezbijedimo sve uslove i mjesto gdje će spomenik biti postavljen", rekao je Ćosić, dodajući da opština Istočno Novo Sarajevo već ima definisanu lokaciju.
Prema njegovim riječima, nema nikakvih prepreka da spomenik bude postavljen.
On je dodao da će predložiti da se organizuju još neke aktivnosti u Istočnom Sarajevu, jer je Sarajevo veoma bitno za dešavanja koja su prethodila Prvom svjetskom ratu. 
Ćosić je naglasio da je Odborom predsjedavao predsjednik Republike Srpske Milorad Dodik, a u radu su učestvovali i predsjednik Vlade Republike Srpske Željka Cvijanović, član Predsjedništva BiH Nebojša Radmanović, predsjednik Narodne skupštine Srpske Igor Radojčić, predsjednik Akademije nauka i umjetnosti Republike Srpske Rajko Kuzmanović, ministri Srpske, akademici, univerzitetski profesori... 
On je naglasio da je sjednici Odbora iz Istočnog Sarajeva, osim njega, prisustvovao i gradonačelnik Nenad Samardžija.
Prema Ćosićevim riječima, Organizacioni odbor ima i svoj Izvršni sekretarijat u čijem sastavu su Samardžija i on.
"Organizacioni odbor i Izvršni sekretarijat imaju obavezu da u narednih dvadesetak dana pripreme prijedlog aktivnosti i program rada koji se odnose na obilježavanje 100 godina od početka Prvog svjetskog rata", rekao je Ćosić.

(BOSNIA PRESS / agencije)

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da www.viedellest.eu

Serbia - 12 febbraio 2014

Kusturica vuole rifare il processo a Gavrilo Princip, l’attentatore di Sarajevo

Una revisione del processo a Gavrilo Princip, lo studente serbo che il 28 giugno 1914 assassinò a Sarajevo l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono di Austria-Ungheria, scatenando il primo conflitto mondiale. Lo chiede il regista Emir Kusturica, che dirige l'Istituto di ricerche storiche intitolato a Ivo Andric. Parlando ai giornalisti a Andricgrad, la località da lui realizzata presso Visegrad nell'entità serbo-bosniaca al confine con la Serbia, Kusturica - lui stesso nato a Sarajevo, in Bosnia, ma che difende strenuamente la causa serba - ha detto che la sentenza di condanna a carico di Gavrilo Princip e degli altri membri del movimento Giovane Bosnia non può essere ritenuta valida. A suo avviso, l'assassinio fu compiuto in un territorio sotto occupazione, che legalmente non era sotto la sovranità dell'Impero Austro-ungarico. L'Istituto Andric, ha precisato il regista, presenterà la richiesta di revisione del processo al Tribunale della Bosnia-Erzegovina a Sarajevo. "È logico che una revisione avvenga nel luogo dove gli assassini furono processati, a Sarajevo", ha detto il regista, secondo il quale il tribunale che processò Gavrilo Princip e gli altri membri di Giovane Bosnia era illegale, e illegale di conseguenza fu anche il processo. Giovane Bosnia era un movimento di cui facevano parte serbi, croati e bosniaci musulmani uniti nella lotta contro l'annessione all'Austria-Ungheria e l'occupazione della Bosnia-Erzegovina. In un processo a Sarajevo dopo l'assassinio, cinque membri del movimento furono condannati a morte, mentre Gavrilo Princip e Nedeljko Cabrinovic furono condannati a 20 anni di carcere perché minorenni. Princip fu condotto nella prigione della fortezza di Terezin, nell'attuale Repubblica ceca, dove morì di tubercolosi il 28 aprile 1918 all'età di 24 anni.

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http://balkans.courriers.info/article25112.html


Le Courrier des Balkans

Centenaire de 1914 : la Serbie officielle boycottera les cérémonies de Sarajevo


De notre correspondant à Belgrade

Mise en ligne : samedi 14 juin 2014
Les dirigeants de Serbie et de Republika Srpska n’iront pas à Sarajevo pour les commémorations du centenaire du début de la Première Guerre mondiale. Des cérémonies « parallèles » auront lieu à Belgrade et à Andrićgrad.

Par J.A.D.

Le Premier ministre serbe Aleksandar Vučić et le ministre des Affaires étrangères Ivica Dačić ont reçu vendredi à Belgrade le Président de la Republika Srpska (RS) et le cinéaste Emir Kusturica pour arrêter une position commune à l’égard des commémorations prévues à Sarajevo.


Aleksandar Vučić a expliqué qu’il ne pouvait pas se rendre à Sarajevo car il ne pouvait pas voir une plaque parlant de « l’agresseur fasciste serbe ». Le Premier ministre de Serbie faisait référence à la plaque récemment apposée sur la Vijećnica, la Bibliothèque nationale de Sarajevo, dont la rénovation vient de s’achever.

Il a confirmé que la Serbie organiserait des célébrations du jour de Vidovdan à Belgrade et à Andrićgrad, la ville construite par Emir Kusturica à Višegrad, dans l’est de la Bosnie. Aleksandar Vučić, qui revenait juste d’une visite officielle en Allemagne a ajouté que « la Serbie devrait être fière de son histoire héroïque », même si le temps était venu de célébrations communes, et que « la Serbie, l’Allemagne et l’Autriche se retrouvent à la même table ».

Il y a quelques jours, le président Tomislav Nikolić avait également indiqué qu’il excluait de se rendre à Sarajevo. Il a expliqué que des cérémonies communes avaient été prévues dans la capitale bosnienne, mais que les « provocations » sur les crimes serbes rendaient cela impossible. « Ce n’est pas ainsi que nous pourrons nous réconcilier », a expliqué Tomislav Nikolić.



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(Quale fu il trofeo che i militari tedeschi portarono a Hitler dopo l'occupazione di Jugoslavia? La lapide a Gavrilo Princip, appena rimossa da Sarajevo.
VIDEO della rimozione della lapide (dal secondo 00:40 al secondo 01:09):
Die Deutsche Wochenschau Nr. 556 April 30, 1941 …Deutsche Pioniere nehmen das Eiserne Tor der Donau, versuchte Sperrung der Donau durch die Serben schlug fehl, serbische Truppen ergeben sich. Einmarsch in eine bosnische Stadt, Entfernung der Gedenktafel des Attentates von Sarajevo…
http://www.youtube.com/watch?v=QhLeaqhPXVU )

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Princip pucao i u Hitlera


Vuk MIJATOVIĆ | 06. novembar 2013. 21:25 | Komentara: 75
Muharem Bazdulj, pisac i novinar, objavio dokaz zašto nije moguća revizija Prvog svetskog rata: Ova fotografija uspostavlja vezu između Prvog i Drugog svetskog rata. Princip bio neka vrsta preteče oslobođenja svih delova sveta koji su u to vreme bili pokoreni i okupirani

[FOTO: Spomen-ploča Gavrilu Principu rođendanski dar Hitleru 20. april 1941.]

FOTOGRAFIJA Adolfa Hitlera dok zadovoljno posmatra spomen-ploču Gavrilu Principu, ratni trofej iz pregažene Jugoslavije, koji je dobio kao poklon za svoj 52. rođendan, objavljena u nedeljniku „Vreme“, snažnije od svih argumenata i rasprava vezala je ruke svima koji se zalažu za reviziju uzroka i povoda Prvog svetskog rata. Čak je i najglasniji među njima, istoričar Kristofer Klark, autor knjige „Mesečari - kako je Evropa krenula u rat 1914“, priznao da je ona najbolji vizuelni simbol veze između Prvog i Drugog svetskog rata.

Sa Muharemom Bazduljom, književnikom i novinarom, zahvaljujući kome je i objavljena fogografija Hajnriha Hofmana, koja se čuvala u Bavarskoj državnoj biblioteci, razgovarali smo o značaju same slike, o tome da li je posle njenog pojavljivanja u javnosti, moguća revizija Prvog svetskog rata i odnosa prema Austrougarskoj monarhiji.

- Ideja revizije Prvog svetskog rata moguća je između ostalog i zato što živih učesnika i svedoka više nema, zato što likovi Franje Josifa, kajzera Vilhema ili Franca Ferdinanda nemaju sugestije za današnjeg čoveka, što za mnoge u svetu Prvi svetski rat nije puno drugačiji od Tridesetogodišnjeg rata u srednjem veku - objašnjava Bazdulj.

Ali ova slika uspostavlja vezu između Prvog i Drugog svetskog rata. Ona na elementaran i vizuelan način pokazuje ono što je svakom racionalnom jasno - Hitler, simbol zla u 20. veku i Gavrilo Princip su, i u Prvom i u Drugom svetskom ratu bili na suprotnim stranama. Sa ovom fotografijom revizija Prvog svetskog rata postaje nemoguća.

* Istovremeno je reč i o jednom kompleksnijem nastojanju - da se, promeni i stav prema Austrougarskoj monarhiji, i to gotovo vek pošto je nestala.

- Savremene Austrija i Turska pokušavaju da svoje nekadašnje imperije postfestum proglase nekim multietničkim rajevima. To je na tragu slike da je čitava Evropa pre 1914. godine živela bel epok. Međutim, bogatstvo koje je tada postojalo u Evropi bazirano je na iskorišćavanju kolonija. Ne samo u Africi i Aziji, već i na Balkanu. 

Vidite kod Andrića u „Priči o kmetu Simanu“ da Austrougarska nije ni kmetstvo ukinula. Mi ne naglašavamo dovoljno da je Gavrilo Princip bio neka vrsta preteče oslobođenja svih delova sveta koji su u to vreme bili pokoreni i okupirani.

* Čak i u BiH i u Hrvatskoj, okupaciona Austrougarska se sada tretira kao država u kojoj su cvetale slobode, a Jugoslavija proglašava tamnicom naroda. Kako je došlo do takve zamene teza?

- To su politikantske interpretacije istorije i ono što je najironičnije zapravo jeste da se nastavljaju na nacističku propagandu. Hitler do 27. marta 1941. govori o Jugoslaviji, ali posle toga, vraća se na staru austrogugarsku propagandu i počinje da se govori isključivo o „srpskoj kliki“. 

Politika „zavadi pa vladaj“ koju su razne imperijalne sile sprovodile na Balkanu, prisutna je i danas. Zaboravlja se da je „Mlada Bosna“ bila jugoslovenska organizacija koja je okupljala i muslimane i Hrvate. Mnogi danas sude o „Mladoj Bosni“ kao o velikosrpskom elementu, a to je samo nastavak propagande Austrougarske monarhije.

* Ispada da je Jugoslavija bila velikosrpski projekat?

- Čini mi se da je ta ideja usađena sa ciljem da dovede do raspada Jugoslavije. Ideja da je Jugoslavija zapravo velika Srbija je na svaki način pogrešna, ali je bila potrebna da bi se projekat raspada realizovao.

* Pominjete 27. mart.

U ovdašnjim pokušajima revizije istorije, mnogi se tog datuma odriču.

- Na neki čudan način Hitler je mnogo bolje prepoznao sličnost 27. marta i Sarajevskog atentata nego mnogi drugi. On se tada nalazi na vrhuncu moći, imao je Evropu pod nogama i niko mu se nije suprotstavio na taj način. Odvajati ta dva događaja, i govoriti pozitivno o jednom, a negativno o drugom jednostavno nema smisla.

* Da li smo danas osuđeni na to da nacionalne identitete gradimo i potvrđuemo isključivo na suprotnostima i razlikama?

- O tome je Frojd pisao kao o narcizmu malih razlika. Što je razlika manja, ti moraš više da je ističeš. Dobar primer su Crnogorci. Južnoslovenski narodi koji govore istim jezikom su za distinkciju u jednom trenutku uzeli religiju, pa su oni koji su katolici postali Hrvati, pravoslavni Srbi, muslimani su bili Muslimani, danas Bošnjaci. Srbi i Crnogorci nisu mogli na taj način da se razlikuju i danas se vidi strašan napor da se ta razlika napravi. Jedini način da se ta razdvojenost očuva jeste da se naglašavaju te razlike. Ti nisi ono što jesi, nego ono što drugi nisu.

* Tekst koji si objavio u „Vremenu“ o fotografiji i sudbini spomen-ploče iz Sarajeva, završavaš konstatacijom da danas nema slobode. Da li to znači da su Princip i ostali mladobosanci zalud pucali u Austrougarsku monarhiju?

- Jedna od stvari zbog kojih je meni bliska mladobosanska ideja, jeste pitanje političkog subjektiviteta. Gavrilo Princip je u vreme atentata bio maloletan, ali njegova akcija je vodila ka tome da jugoslovenski narodi izađu iz stanja istorijske maloletnosti i uzmu sudbinu u svoje ruke, tako što će kreirati jednu državu koja neće biti marioneta velikih sila, koja neće biti kolonija, nego voditi svoju politiku i biti slobodna. 

Raspadom Jugoslavije, ratovima i svim kasnijim političkim epizodama, sve ove zemlje su manje ili više opet svedene na neku vrstu pseudokolonijalnih poseda ili satelita. Bosna i Makedonija su najbliže protektoratima, Srbija je neko vreme pokušavala da, na tragu Jugoslavije, vodi koliko-toliko samostalnu politiku. Međutim, čini mi se da se, naročito sa novom političkom garniturom, i od toga odustalo. I to nije čudno. Srbija nema tu vrstu snage i moći koja je za to potrebna. Ta baština mladobosanskog sna koja je jedno vreme bila ostvarena, sada se izgubila. Rekao si „Ne“ Hitleru 27. marta, rekao si „Ne“ Staljinu 1948. a sada razni ambasadori i činovnici imaju pravo da ti diktiraju šta ćeš da radiš.


JEZIK KAO IDENTITET* Često pišete o Andriću i Meši Selimoviću, velikim piscima čiji su nacionalni identiteti raspadom države u kojoj su stvarali i posle njihove smrti dovedeni u pitanje. Vi ste pisac iz Sarajeva koji piše u Beogradu. Vidite li paralelu sa njihovim sudbinama i da li svoj idenitet određujete na taj način? - Vidim sebe unutar onog sveta u kojem se to što pišem i govorim razume bez prevoda. Osećam se kao u zavičaju na čitavom prostoru koji danas obuhvataju Srbija, Bosna i Hercegovina i Hrvatska. Meni je taj jugoslovenski okvir intimno najbliži, iako sam svestan da on za većinu ljudi predstavlja samo istorijski relikt.

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29.10.2013 20:59


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Jedna fotografija: Neispričana priča o Sarajevskom atentatu


HITLER DOBIO NA POKLON JEDINI RATNI TROFEJ DONET IZ RASKOMADANE JUGOSLAVIJE – SPOMEN-PLOČU GAVRILU PRINCIPU DONETU IZ OKUPIRANOG SARAJEVA 1941.

Štajerska, izlaz iz železničkog tunela kod Menihkirhena, 20. april 1941. Ispred specijalnog voza u kome je smešten „Firerov glavni štab Jugoistok" („Führerhauptquartier Südost") svira orkestar – Adolf Hitler slavi pedeset i drugi rođendan. Gosti: vojni i politički vrh Trećeg rajha, italijanski ministar spoljnih poslova Galeaco Ćano, mađarski regent admiral Mikloš Horti i bugarski kralj Boris III. Tri dana su prošla od jugoslovenske kapitulacije i svi su "kao lešinari okupljeni oko trupla Jugoslavije". Na vrhuncu slavlja Hitler dobija na poklon jedini ratni trofej donet iz raskomadane Jugoslavije – spomen-ploča Gavrilu Principu doneta iz okupiranog Sarajeva; uručenja poklona snima Hitlerov službeni fotograf, Hajnrih Hofman.

Zašto se bez ove fotografije – koju "Vreme" premijerno objavljuje – ne može smatrati potpunim ni jedna polemika i analiza o početku Prvog svetskog rata, o istorijskoj težini Sarajevskog atentata, Mlade Bosne i Gavrila Principa, karakteru jugoslovenskog političkog projekta, te o Drugom svetskom ratu kao nastavku nezavršenog Prvog?

Kako se oko ove fotografija koja sama po sebi ima čudesnu i sugestivnu magiju, ispreplela ista takva priča u kojoj se dotiču sudbine Ive Andrića i Kurta Valdhajma, Eve Braun i Rodoljuba Čolakovića, španskog kralja Alfonsa XIII i Murata Kusturice, Gavrila Principa i Adolfa Hitlera?

Zbog čega je Hitleru stalo da mu njegova vojska iz ubijene Jugoslavije donese samo jednu jedinu stvar –spomen-ploču kojom su u Sarajevu odali počast Gavrilu Principu?

Šta je razlog da jedino u spomen-ploči koju su u Sarajevu podigli Jugosloveni u slavu svoje slobode i nemačkog poniženja, Hitler vidi nadgrobnu ploču njihovoj zemlji i njihovim snovima?


JEDNA TABLA VIĐENA KROZ DVA OBJEKTIVA 1941: Na filmskom zapisu (video klip u okviru dole) vidi se trenutak skidanja table u Sarajevu 1941. Na tabli koju drže nemački vojnici tokom skidanja table u Sarajevu vide se mrlje nastale verovatno zbog meteoroloških uzroka, identične onima na tabli u koju gleda Adolf Hitler na (fotografiji gore).
 

...Nacistička vojska ušla je u Sarajevo 17. aprila 1941. godine. Trenutak skidanja spomen-ploče Gavrilu Principu sa zida zabilježen je kamerom i uključen u jedan filmski žurnal (dostupan na internetskoj adresihttp://www.youtube.com/watch?v=QhLeaqhPXVU). Snimke ulaska nacističkih tenkova u Sarajevo, mase koja ih veselo pozdravlja i podizanja njemačke zastave očito su manje važne, jer najduži dio ovog žurnala prati skupinu muškaraca koji uz pomoć merdevina pažljivo skidaju ploču i predaju je vojnicima Vermahta koji uz nju teatralno poziraju. Sve ovo prati glas spikera koji na njemačkom izgovara nekoliko rečenica. U prevodu one glase ovako: "Invazija u bosanski grad. Podiže se njemačka ratna zastava. U Sarajevu; ovdje je 28. juna 1914. austrijski prestolonasljednik postao žrtvom kukavičkog atentata srpskog studenta. Ti pucnjevi su dali signal za svjetski rat. Njemci skidaju mramornu tablu i predaju je Vermahtu. Na tabli stoji: Na ovom istorijskom mjestu se Gavrilo Princip izborio za slobodu Srbije. Firer je tablu predao Berlinskom Zeughausu5."

Autor citiranog teksta očito je imao pouzdanog prevodioca sa srpskohrvatskog. Natpis na tabli zbilja počinje frazom Na ovom istorijskom mjestu koja je u filmskom žurnalu na njemački doslovno prevedena (An dieser historischen Stätte). Nigdje se, međutim, na tabli ne pominju ni srpstvo ni Srbija. Iz ove lapidarne interpretacijeanonimnog njemačkog filmskog radnika, razviće se, i u naše vrijeme, brojne publicističke i scenske vizije Principovog čina. Na dan 21. aprila, agencija Asošijeted pres javlja iz Berlina kako je iz nacističkog štaba na Balkanu stigla informacija da je spomen-ploča kojom se komemorira Sarajevski atentat juče predana Hitleru i to od strane jednog od prvih njemačkih vojnika koji su ušli u taj jugoslovenski grad. Objavljeno je i da će ploča biti javno izložena u muzeju kao "dokaz srpske zločinačke krvave krivice za Svjetski rat". Prvog jula iste godine, a povodom poklanjanja spomen-ploče Adolfu Hitleru, komentator NDH-ovskog "Sarajskog novog lista" trijumfalno piše: "Sarajvo je opralo sa sebe vidovdansku ljagu". (Oblik Sarajvo ovdje nije štamparska greška. Prvih mjeseci okupacije ustaše su ime grada formalno promijenili u Sarajvo, no uskoro je vraćen naziv Sarajevo.)

(Više u tekstu Muharema Bazdulja Srećan rođendan, gospone Hitler, Vreme broj 1191, 31. oktobra 2013)


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VIDEO:
Die Deutsche Wochenschau Nr. 556 April 30, 1941 Deutsche Pioniere nehmen das Eiserne Tor der Donau, versuchte Sperrung der Donau durch die Serben schlug fehl, serbische Truppen ergeben sich. Einmarsch in eine bosnische Stadt, Entfernung der Gedenktafel des Attentates von Sarajevo…
http://www.youtube.com/watch?v=QhLeaqhPXVU


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UN LIBRO AL GIORNO


L'Anno che Continua a Tornare, di Slavko Goldstein


Slavko Goldstein, importante storico bosniaco (di Sarajevo), ha suscitato dibattito in occasione della presentazione statunitense (10 Novembre) del suo libro 1941: The Year That Keeps Returning (1941: l'Anno che Continua a Tornare). La tesi da lui sostenuta è nota e vale la pena ripercorrerla: il regime fascista ustascia è traditore dell'unità dei popoli slavi del sud, Gavrilo Princip non fu un terrorista, il movimento della “Giovane Bosnia” non fu un movimento terrorista, il giudizio va contestualizzato e la lettura dominante di quella vicenda storica, specie di parte occidentale, è parziale e va rivista. 
Il libro è, peraltro, interessante per la sua struttura, una sorta di “diario storico” in cui lo sguardo personale del protagonista diventa l'occasione per una visione d'insieme dell'anno fatale 1941. E' questo l'anno in cui gli ustascia, i nazionalisti filo-fascisti croati, furono installati al potere dagli occupanti nazisti della Jugoslavia. Il 10 Aprile 1941, quando le truppe tedesche entrarono a Zagabria, i nazisti furono accolti come liberatori da ampia parte dei croati. Tre giorni dopo, Ante Pavelic, capo ustascia e futuro capo dello stato fantoccio indipendente di Croazia, rientrò dall'esilio in Italia e il padre di Goldstein, titolare di una libreria progressista a Karlovac - bella antica città a ca. 60 km. dalla capitale - fu arrestato insieme con altri serbi e croati, comunisti e simpatizzanti “jugoslavi”.
L'idea jugoslava, non essendo né nuova né episodica, era un'idea per molti aspetti rivoluzionaria e “sovversiva”. A causa della sua attività irredentistica ed anti-asburgica, potenza occupante, Gavrilo Princip fu espulso dalla scuola, si unì al movimento “Giovane Bosnia” e divenne un “combattente per la libertà”. A sua volta, il movimento “Giovane Bosnia” non aveva solo un'aspirazione irredentistica, ma fu anche una delle prime prove sul palcoscenico della storia dell'idea panslava, l'ideale di unire tutti gli slavi del sud in virtù delle loro connessioni e delle loro affinità, l'ideale della Jugoslavia. 
Inquadrare correttamente il fatto storico serve a dare una lettura corretta dell'intero processo, che attraversa le guerre balcaniche ed arriva al “lungo dopoguerra”, passando attraverso l'omicidio dell'arciduca della potenza occupante, Franz Ferdinand. Serve inoltre ad evitare pericolose forzature e strumentalizzazioni della storia, come quelle che sono, in larga misura, dietro alle controverse celebrazioni del centenario della prima guerra mondiale e del cosiddetto “Peace Event” di Sarajevo 2014. Possiamo giudicare un omicidio politico con sguardo negativo, ma sarebbe sbagliato dimenticare che tali pratiche di azione erano comuni nei movimenti patriotici dell'epoca, ha ammonito Goldstein.
“Il terrorismo va condannato sul piano morale e politico e, dal punto di vista storico e fattuale, va considerato come la manifestazione di una strategia politica e definito come la concretizzazione di una azione individuale a fini politici, determinata da organizzazioni clandestine attraverso l'uso della violenza contro le persone o contro le proprietà, con lo scopo di fare pressione sull'ordine costituito per conseguire determinati obiettivi di natura politica o sociale”. A differenza della storica canadese, Margaret Macmilan, che aveva sommariamente derubricato la vicenda di Gavrilo Princip e il movimento della “Giovane Bosnia” come “terrorismo punto”, quella vicenda comincia qui ad assumere finalmente una dimensione più complessa e ragionata, fuoriuscendo dal pregiudizio politico e dalla condanna morale per inscriversi più correttamente nel suo contesto e nella sua dinamica. 
Si tratta di un interrogativo molto impegnativo ed esigente, soprattutto per quanti si professano o si considerano progressisti, nonviolenti, rivoluzionari. Il ripudio della violenza da parte della nonviolenza viene fatto non in nome della remissività o della acquiescenza, ma in base ad una critica alla efficacia della violenza come mezzo politico di massa e in nome della ricerca di una “forza più potente”. La condanna morale non è semplice mozione da anime belle, ma presuppone una profonda consapevolezza sociale e politica. E la valutazione politica viene dopo, non prima, l'analisi storica.

Gianmarco Pisa

in data:15/11/2013




(english / italiano)

Borotba e il movimento contro la guerra in Ucraina

1) TAKE ACTION: Ukrainian anti-fascist activist, Borotba activist Maria Matyushenko, kidnapped
2) Anti-war protests in Ukraine expose bogus ‘ceasefire’ plan (Greg Butterfield / WW)
3) Un'analisi di classe della crisi ucraina (Viktor Shapinov / Borotba)


Leggi anche:

Le proposte dei comunisti per la risoluzione del conflitto nell'Est dell'Ucraina
Intervista a Petro Simonenko 
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/24230-le-proposte-dei-comunisti-per-la-risoluzione-del-conflitto-nellest-dellucraina.html


=== 1 ===

http://www.workers.org/articles/2014/06/24/take-action-ukrainian-anti-fascist-activist-kidnapped/

TAKE ACTION: Ukrainian anti-fascist activist kidnapped

By Greg Butterfield on June 24, 2014

[PHOTO: Borotba activist Maria Matyushenko on a recent visit to the Donetsk People’s Republic. (Photo: Borotba)]

June 24 — Maria Matyushenko, an activist with the anti-fascist organization Union Borotba (Struggle), was kidnapped and her apartment ransacked in Dnepropetrovsk, Ukraine, on the night of June 23.

Dnepropetrovsk, a city in southeast Ukraine, is directly governed by far-right Ukrainian oligarch Igor Kolomoisky, who helps to finance the Right Sector fascist movement and is widely believed to be an organizer of the neo-Nazi massacre against anti-fascists and trade unionists in Odessa on May 2.

In May, armed right-wing paramilitaries attempted to kidnap two Borotba activists in the city of Kharkov. Leaders of the organization have been forced to flee the country or go underground under threat of arrest.

The government in Kiev and its State Security Police claim not to know who took Matyushenko. But the U.S.-backed junta, while saying it wants a ceasefire in its war against the newly-independent Donetsk and Lugansk People’s Republics, at the same time is intensifying its crackdown on left-wing activists, even going after youths for posting anti-fascist materials on Facebook and other social media sites.

Workers World urges readers to contact the nearest Ukrainian embassy or consulate to demand Maria Matyushenko’s immediate release. Let them know you hold the Kiev government and President Peter Poroshenko responsible for her safety.

In the U.S., contact: Igor Sybiga, Chief of the Consulate General of Ukraine in New York, 240 E. 49th St., New York, NY 10017; phone: 212-371-6965; fax: 212-371-5547; email: gc_usn@...; website:ny.mfa.gov.ua.


=== 2 ===


Anti-war protests in Ukraine expose bogus ‘ceasefire’ plan

By Greg Butterfield on June 21, 2014


June 20 — An anti-war protest by 100 women shut down the Chernivtsi-Zhitomir highway near the town of Mahala in western Ukraine on June 19. The women — mothers of Ukrainian soldiers — demanded that the government in Kiev withdraw their sons from the fratricidal war to suppress the anti-fascist uprising in southeastern Ukraine. (Depo.ua)

A day earlier, hundreds of miles to the east, in the capital of the Donetsk People’s Republic, thousands of mineworkers and their families marched to demand an end to the junta’s “anti-terrorist operation.” Workers from 16 regional mines downed tools to join the protest.

The miners issued an ultimatum to Kiev: Withdraw your troops within 48 hours or we will take up arms and join the people’s militias defending Donetsk and Lugansk.

By the time their deadline passed on June 20, Donetsk Prime Minister Alexander Borodai had announced: “Formation of a division of miners, who have decided to defend their homes and families, has begun. Five hundred people are already enrolled in the ranks,” Borodai told ITAR-TASS news agency.

The miners’ determination was given added weight by simultaneous reports that a 4-year-old boy trapped in the besieged city of Slavyansk had just died after being hit by mortar fire. His mother was also killed, RT.com reported.

According to a report issued June 18 by the U.N. Commission on Human Rights, at least 356 people have been killed in the latest military operation, 257 of them civilians, including 14 children.

Together, the eastern miners and western soldiers’ mothers have given a resounding answer to the fraudulent “ceasefire” plan announced June 18 by Ukrainian President Peter Poroshenko, who represents the U.S.-backed alliance of oligarchs, neoliberal politicians and fascists that illegally seized power in Kiev earlier this year.

Poroshenko demands surrender

To great media fanfare, Poroshenko announced that he would declare a unilateral ceasefire “soon” in the war on the southeast. His announcement came after talks with Russian President Vladimir Putin and German Chancellor Angela Merkel.

But what was the actual content of Poroshenko’s “offer”?

“Poroshenko’s plan would offer insurgents in the eastern provinces that form the nation’s industrial heartland a chance to lay down weapons or leave the country,” the Associated Press reported. If this happens, Poroshenko claims, those who haven’t committed “grave crimes” will be pardoned.

“I can say that the period of the ceasefire will be rather short,” Poroshenko said. “We anticipate that immediately after this, the disarming of the illegal military formations will take place.”

By “illegal military formations,” Poroshenko means the popular militias of workers, youths and veterans that have defended the Donbass population from Kiev’s military campaign — but not neo-Nazi gangs like Right Sector, Maidan Self-Defense and the Social Nationalists that have carried out acts of terror against the regime’s opponents, including the massacre of 48 people at the Odessa House of Trade Unions.

In fact, Poroshenko’s ceasefire proposal is no different than the threats made by the junta all along.

The people’s governments in Donetsk and Lugansk — where the population voted overwhelmingly for independence in a democratic referendum May 11 — made it clear that the only basis for negotiations with Kiev is withdrawal of Ukrainian troops from the region.

Denis Pushilin, chair of the Supreme Soviet of the Donetsk People’s Republic, called Poroshenko’s offer “senseless.”

“They cease fire, we lay down weapons, and then they will capture us weaponless,” he said. (Dozhd TV, June 18)

It’s crucial for the U.S. working class and anti-war movement to understand that the crisis in southeastern Ukraine is not a problem of a small number of intransigent militants, much less a conspiracy of “Russian agents.”

In fact, the whole population on the Donbass has said “No!” to being ruled by a right-wing regime that seeks to impose austerity, NATO bases and the rule of neo-Nazi gangs on the whole population. Their determination is shared by millions of people in other parts of the southeast, and the unrest is increasingly spreading westward.

Even if the population of the southeast wanted to surrender their arms, could Poroshenko’s ceasefire offer be trusted?

The real muscles behind his regime are fascist gangs like Svoboda and Right Sector, working in tandem with the oligarchy that has grown wealthy off the stolen, privatized infrastructure built up over decades by the Soviet working class.

They in turn are taking cues from the U.S. and NATO as they flex their military and economic prowess against Russia.

The massacre of anti-fascists and trade unionists in Odessa; the bombing of downtown Lugansk; the attack on the Russian Embassy in Kiev; and the targeting of hospitals, schools and civilian housing in the Donbass — all demonstrate that no confidence can be put in the Poroshenko regime.

What’s really at stake?

To get a sense of what’s really at stake, it is necessary to look past Poroshenko’s declarations, made for the benefit of U.S. and European corporate media, and see what the junta’s supporters are saying among themselves.

At a cabinet meeting on June 11, for example, Ukrainian Defense Minister Mykhailo Koval said a “complete filtering” of the Donbass population was needed — a euphemism for concentration camps, according to anti-fascist activists. (Ukraine Channel 5 News)

“It will take a complete filtering of the people,” Koval said. “It requires special filtration activities. It’s said that among the people, including women, some were not associated with separatism, with those who committed crimes in Ukraine related to terrorist activities. While this may be, we have a lot of information. The base is very powerful. And the corresponding structure, which is designed for this, they will carry out. In addition, there is a problem associated with the fact that people will settle in different regions.”

In a June 13 letter to Poroshenko, oligarch Igor Kolomoysky, appointed governor of the Dnepropetrovsk region by the junta, proposed erecting a 2,000-kilometer-long electrified fence with barbed wire, minefields and ditches along the border with Russia, at a reported cost of $135 million. Kolomoysky’s assistant told Vesti.ua that business owners were already pledging to help fund the project.

Coming at a time when tens of thousands of refugees are fleeing Kiev’s military assault by crossing the border into Russia, the proposal has less to do with keeping Russia out than with keeping people opposed to the junta trapped.

“Here you have three illustrations of modern Ukrainian life,” said Victor Shapinov of the leftist Union Borotba (Struggle). “The defense minister promising filtration camps and resettlement for the population of the southeast. Prime Minister [Yatsenyuk] calling his fellow citizens ‘subhumans.’ The battalion of the Ukraine Ministry of Internal Affairs fighting under a banner adorned with SS symbols.

“Some inexorable historical logic makes the Kiev authorities copy the ‘Thousand-Year Reich.’ Such copying cannot be accidental — it is a consequence of ideological, political and methodological proximity. No, I do not want to say that in Ukraine there is a Nazi regime and Poroshenko is a modern Hitler. But the movement precisely in this direction is felt ever more clearly.” (“Concentration Camps for Donbass,” Borotba.org)

Now more than ever, it is imperative to build a global movement in solidarity with the People’s Republics and the anti-fascist resistance in Ukraine.



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The original text, in english: A class analysis of the Ukrainian crisis (June 13, 2014)



Un'analisi di classe della crisi ucraina (da Borotba)


traduzione di Silvia Conca 

13 giugno 2014 – Le origini sociali e di classe della crisi ucraina non sono state indagate a fondo. L'attenzione si è concentrata principalmente sull'aspetto politico degli eventi e si è permesso che la loro base socioeconomica passasse in secondo piano. Quali sono state le forze di classe dietro il rovesciamento del regime di Yanukovich, l'insediamento di un nuovo regime a Kiev e l'ascesa degli anti-Maidan e del movimento nel sud-est?

La crisi del capitalismo ucraino
La crisi ucraina non è un fenomeno nazionale isolato. Per una serie di motivi, l'Ucraina è stata “l'anello debole” ed è diventata la prima vittima del crollo del modello economico basato sulla regola del dollaro come valuta di riserva mondiale e sull'uso della domanda di credito al consumo come meccanismo di crescita economica [1]. L'economia ucraina è stata tra le più vulnerabili nel contesto della crisi globale, questo ha portato a una frattura nella classe dominante ed a un'aspra lotta che è visibile da diversi mesi . L'economia del capitalismo ucraino ha preso forma dal collasso del complesso economico dell'Unione Sovietica, dalla privatizzazione della proprietà collettiva e dall'integrazione nel mercato globale. Questi processi hanno portato al degrado della struttura economica della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, che era al decimo posto nella classifica mondiale dello sviluppo economico. L'Ucraina in epoca sovietica aveva un'economia complessa e sviluppata in cui avevano un ruolo di primo piano l'industria metalmeccanica e la produzione di beni ad alto valore aggiunto.
L'integrazione nel mercato globale ha portato al crollo dei settori di alta tecnologia. “Mentre l'economia dell'URSS era orientata alla soddisfazione dei bisogni di produzione e consumo personale interno e sviluppata in maniera più o meno rifinita, l'economia capitalistica ucraina è stata “formattata” in base alle richieste della divisione mondiale del lavoro. La vittima principale di questo processo è stata la produzione ad alta specializzazione – la costruzione di macchinari, l'industria leggera, la creazione di congegni meccanici, strumenti e radio-elettronica e la produzione di turbine, velivoli e automobili [2]. Dopo la distruzione della produzione complessa, il ruolo giocato dal settore delle materie prime destinate all'esportazione e da settori con un basso livello di valore aggiunto ha guadagnato un'importanza catastroficamente elevata. Gli imprenditori di questi settori hanno costituito un livello dell'oligarchia che ha controllato l'insieme dell'economia del paese attraverso quasi l'intero periodo dell'”indipendenza”. Questo livello, orientato verso la produzione di materie prime da esportare, ha sfruttato in maniera spietata il potenziale produttivo ereditato dall'URSS. Grazie alla sua posizione economica, l'oligarchia ucraina non solo non si è interessata allo sviluppo del mercato interno ma, in molti casi, ha anche avuto un atteggiamento predatorio nei confronti delle sue stesse attività produttive, preferendo esportare capitali verso i paradisi fiscali anziché usarli per sviluppare la produzione. Un totale di più di 165 miliardi di dollari è stato fatto uscire dall'Ucraina e investito offshore. [3] Il modello economico di esportazione periferica ha una natura “cannibale” ed è basato sull'esaurimento di ciò che eè stato ereditato dall'Unione Sovietica. Anche prima dell'inizio della crisi globale, la metallurgia ferrosa – la “locomotiva” dell'economia periferica ucraina che costituiva il 40-50% delle esportazioni – ha mostrato “evidenti fragilità strutturali: tecnologie obsolete, alta intensità di manodopera (produrre una tonnellata di acciaio in Ucraina richiedeva 52,8 ore lavorative, contro le 38.1 della Russia e le 16.8 della Germania), alto consumo energetico e dipendenza da fonti energetiche estere (soprattutto russe). Finché i prezzi erano alti queste debolezze non avevano un'importanza decisiva, ma il peggioramento della congiuntura le ha rese una seria minaccia. “Gli altri settori competitivi dell'economia Ucraina – la produzione agricola (in parte, colture ad uso industriale), l'industria chimica (principalmente la produzione di fertilizzanti minerali) e l'industria estrattiva (metalli ferrosi e carbone)- riguardavano principalmente i materiali grezzi ed erano diretti all'esportazione. A causa della limitatezza del mercato interno, i settori produttivi rimanenti (con l'eccezione dell'industria agroalimentare) si sono sviluppati solo ai fini di rifornire i settori volti all'esportazione. In linea di massima queste aree dell'economia erano quelle caratterizzate dai salari e dai saggi di profitto più bassi. [4] Col declino della produzione nazionale nei comparti diversi da quello delle materie prime destinate all'esportazione, è cresciuta la dipendenza dall'importazione. La fetta rappresentata dai beni di produzione ucraina nella bilancia commerciale è crollata, mentre sono aumentate le importazioni. Dalla metà degli anni 2000 le importazioni hanno superato le esportazioni [5]. La differenza è stata compensata da una crescita del debito estero, sia pubblico che societario.[6] Con la crisi globale cominciata nel 2008 la domanda rispetto alle esportazioni ucraine è tendenzialmente caduta, mentre il prezzo delle importazioni è cresciuto contemporaneamente all'aumento della dipendenza dai beni importati. Il modello di capitalismo ucraino è crollato.

La crisi e la frattura nella classe dominante
La crisi crescente ha creato una grave lotta interna alla classe dominante. In quel momento il gruppo di punta in quella classe – una dozzina di miliardari – era già pronto all'integrazione nelle élite mondiali e cercava un modo per “accreditare” i suoi capitali in Occidente. Tali miliardari avevano accumulato capitali sufficienti a essere trasformati in attività finanziarie e industriali in Occidente, mentre la crescente crisi sistemica in Ucraina aveva reso il paese non più attraente per i grandi affari. Il mezzo usato per legittimare questo passaggio è stata la cosiddetta “Eurointegrazione”, attraverso cui i miliardari ucraini, in cambio della fine del protezionismo interno e della resa ai monopoli internazionali, furono riconosciuti dall'Europa. Il fatto che il prezzo sarebbe stato la distruzione di vari settori produttivi e una nuova spirale di deindustrializzazione, con un'inevitabile crescita della disoccupazione e di altre problematiche sociali, non ha preoccupato minimamente questo gruppo di punta della classe dominante. [7] Gli oligarchi di medio e basso livello, che vedevano ancora l'Ucraina come un'arena in cui poter fare affari e che non avevano capitali sufficienti all'integrazione nelle élite mondiali svilupparono una tiepida resistenza a questo processo. Costoro non avevano ancora sfruttato appieno tutte le opportunità offerte dall'Ucraina “indipendente” ai fini di essere promossi nella “serie a” dei miliardari; di conseguenza, erano riluttanti ad accettare una resa completa del mercato interno ai “partner” europei. [8] Per un certo periodo la leadership del paese, nella persona di Victor Yanukovich, il presidente eletto nel 2010, ha oscillato tra il “partito dei miliardari” e il “partito dei milionari”, aspirando a una versione dell'”Eurointegrazione” che potesse soddisfare entrambi gli schieramenti. L'esito è stato che Yanukovich fu costretto a respingere la sottoscrizione già programmata a Vilnius a dicembre del 2013 di un accordo su una zona di libero scambio, poiché l'accordo minacciava gli interessi economici di un'importante parte della borghesia ed avrebbe avuto conseguenze sociali catastrofiche. Inoltre dietro il bisogno di un processo di “integrazione” c'era un'impellente necessità di crediti, i quali sarebbero potuti venire solo dalle organizzazioni finanziarie internazionali (il Fondo Monetario Internazionale) o dalla Federazione Russa. A differenza dell'FMI, la Russia non ha posto come condizione per fornire crediti l'attuazione di riforme antisociali: Questo ha fatto propendere Yanukovich per un rinvio della sottoscrizione di un accordo di associazione con l'Unione europea e dell'accordo sul libero scambio. La reazione del “partito dei miliardari”, che avevano scommesso sull'integrazione con l'Europa, è diventata Euromaidan.

Euromaidan: i fomentatori, il nucleo, la base sociale
Nella fase iniziale di Euromaidan, la partecipazione delle masse popolari era minima. I primi giorni erano presenti principalmente impiegati ed attivisti delle ONG filo-occidentali e membri di gruppi neonazisti (l'organizzazione Svoboda [“Libertà”] ed altre forze che in seguito avrebbero formato il Settore Destro). Euromaidan ha assunto un carattere genuinamente di massa solo dopo che i dimostranti sono stati sgomberati da piazza Maidan la notte del 30 novembre 2013. L'assalto fu mostrato dal vivo su tutti i canali televisivi controllati dagli oligarchi. In seguito i loro telegiornali mostrarono video a ripetizione con persone picchiate, con le teste insanguinate e così via. Gli spettatori furono costretti a subirte un fuoco di fila propagandistico, con un'informazione finalizzata a indurre i cittadini a partecipare alle proteste. Un esempio fu la notizia che uno studente era stato ucciso dall'esercito durante lo sgombero della piazza il 30 novembre. Si scoprì più tardi che lo studente aveva semplicemente preso una pausa di qualche giorni in compagnia dei suoi amici nazionalisti e non si era messo in contatto con la famiglia. Simili disinformazioni provocatorie sono state ripetutamente mandate in onda e sfruttate ogni volta dai media degli oligarchi. Non sono stati usati solo i canali televisivi controllati dagli oligarchi per mobilitare le masse di residenti a Kiev a partecipare alle adunate della domenica, chiamate “veglie”, a Maidan. E'stata condotta una campagna ampia e ben finanziata di agitazione; ha incluso il volantinaggio con appelli a recarsi a Maidan in ogni buca delle lettere a Kiev, una città di 4 milioni di abitanti. La forza egemone di Maidan, presente costantemente e attiva negli scontri armati con le forze dell'ordine, era costituita da militanti neonazisti (provenienti soprattutto dalle curve degli stadi di calcio) e da gente senza arte né parte venuta dalle regioni centrali e occidentali del paese. Per diversi mesi queste persone hanno vissuto a Maidan, dove gli venivano forniti cibo e denaro. Questo testimonia il finanziamento ben organizzato di Maidan da parte dell'oligarchia ucraina. Questo finanziamento è stato dato attraverso i tre partiti parlamentari di opposizione e attraverso le ONG. E' anche andato direttamente ai gruppi paramilitari neonazisti. Già a dicembre la tendenza nazionalista e ideologica del movimento di Maidan era visibile chiaramente. Come ha fatto notare la coalizione di sinistra Borotba (“Lotta”): Un successo indubbio dei nazionalisti è stato il fatto che, grazie al loro alto livello di attività, sono riusciti a imporre la loro leadership ideologica sull'Euromaidan. Ne sono prova gli slogan che sono diventati parole d'ordine per le masse di gente che si aduna in piazza e per gli attivisti. Questi slogan includono il grido “Gloria all'Ucraina – gloria agli eroi”, che assieme al saluto romano costituiva il saluto dell'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini nel 1941. Altri slogan simili sono “Gloria alla nazione – morte ai suoi nemici!” e “L'Ucraina sopra a tutto!” (traduzione del tedesco “Deutschland über alles”). Gli altri partiti d'opposizione semplicemente non sono stati capaci di avere una linea politica chiara e di avere slogan forti, così i settori liberali d'opposizione hanno accettato gli slogan nazionalisti e l'agenda politica nazionalista... Timidi tentativi da parte dell'ala liberale della protesta di sfuggire al controllo ideologico dei nazionalisti, per esempio urlando frasi più politicamente corrette al posto di “Morte ai nemici!” sono generalmente sfociati in un fallimento.. Non solo perché le organizzazioni nazionaliste hanno una particolare capacità di attrarre un seguito di massa attivo e ideologicamente appassionato, ma anche perché la maggioranza liberale nelle proteste ha fallito nel proporre un qualsiasi piano d'azione chiaro. In una simile situazione i nazionalisti, essendo gli elementi più attivi e radicali, hanno incarnato l'immagine dell'avanguardia dell'intero movimento. [9]
Un ulteriore segno della posizione dominante dell'ultradestra è stata la distruzione da parte degli attivisti di Euromaidan del monumento a V.I. Lenin di Piazza Berrarabia. Quest'atto barbarico non è stato condannato dall'ala liberale di Maidan. Frammenti del monumento sono stati mostrati sul podio di Maidan, con le urla d'approvazione della folla. [10] La direzione anti-sinistra e anti-comunista del movimento Maidan è stata evidente nel pestaggio di due attivisti di Borotba, i fratelli Levin, che avevano tenuto un picchetto sindacale vicino Maidan. Pare che i due fratelli avessero una bandiera rossa. Dal podio è venuta la richiesta di fargliela pagare.[11] A dirigere la rappresaglia, il deputato di Svoboda Miroshnichenko. A gennaio, il contenuto ideologico e politico di Maidan sarebbe stato ovvio per qualsiasi osservatore senza pregiudizi.[12] All'epoca, abbiamo definito ciò che stava succedendo come “una rivolta liberal-nazionalista con visibile e crescente partecipazione da parte di elementi dichiaratemente nazisti del Settore Destro”. [13] Il nocciolo duro di Maidan era quindi costituito da neonazisti e attivisti dei partiti politici d'opposizione. Chi, allora, costituiva la “carne” di Euromaidan? Chi erano le migliaia di persone che supportavano il movimento? Dei partecipanti alle manifestazioni, circa la metà erano attivisti provenienti da altre regioni. Tra quelli che hanno risposto a un sondaggio, il 50% era di Kiev e il 50% era venuto a Maidan da altre regioni. Di questi ultimi, il 52% proveniva dall'Ucraina occidentale, il 31% dalle province centrali e solo il 17% dal sud-est-[14]. Di quelli che stavano costantemente in piazza il 17% era imprenditore, un numero esageratamente alto. Esageratamente pochi, invece, erano i russofoni, il 16%, rispetto al loro 40-50% nella società ucraina nel suo complesso.[15] Ci si può fare un'idea chiara della fisionomia sociale di Maidan guardando al fatto che tra i “cento del Paradiso” che sono morti non c'è un singolo lavoratore. [16]
Euromaidan è quindi un movimento avviato e controllato dagli oligarchi di primo piano. La sua base politica è costituita da nazionalisti radicali ed in misura minore da liberali filo-occidentali, mentre la sua base sociale è formata da piccolo-borghesi ed elementi sottoproletari.
Al contrario, il movimento di resistenza nel sud-est è più proletario nella sua composizione, come hanno notato osservatori indipendenti. Non è un caso che la resistenza alla junta di oligarchi e nazisti che ha preso il potere grazie a Maidan sia maturata nelle regioni più sviluppate dal punto di vista industriale, dove la maggioranza della popolazione è costituita dalla classe operaia.

 

Note

[1] Per un'analisi più dettagliata, guarda il nostro documento Mirovoykrizis i ukrainskiyperiferiynyykapitalizm (“La crisi globale e il capitalismo periferico ucraino”), scritto prima degli eventi di Maidan e consultabile su http://liva.com.ua/crisis-report.html 
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[2]Viktor Shapinov. Neoliberal’nyytupikdlyaUkrainy (“Un vicolo cieco neoliberale per l'Ucraina”)http://liva.com.ua/dead-end.html
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[3] Circa il 90% degli investimenti esteri diretti dell'Ucraina è andato a Cipro. Questo paese è anche l'origine dell'80-90% degli investimenti esteri diretti che arrivano in Ucraina. Questo denaro non è, infatti, investimento estero, bensì semplicemente rappresenta i fondi che sono stati portati fuori dall'Ucraina ed in un secondo momento tornano indietro. Durante il decennio del 2000, gli investimento offshore a Cipro hanno fornito un modo comodo per l'oligarchia ucraina di evitare il pagamento delle tasse. Nel 2012 l'investimento estero diretto totale ammontava a 6 miliardi di dollari, mentre il totale dei trasferimenti di denaro da individui privati (principalmente trasferimenti di denaro da lavoratori migranti alle loro famiglie) arrivava a 7 miliardi e mezzo di dollari. I lavoratori dipendenti hanno quindi investito più soldi nell'economia del paese rispetto alla borghesia (vedi, per esempiohttp://dt.ua/ECONOMICS/suma-groshovih-perekaziv-zarobitchan-vpershe-perevischila-obsyag-inozemnih-investiciy-119740_.html 
)
[4]Viktor Shapinov. Neoliberal’nyytupikdlyaUkrainy (“Un vicolo cieco neoliberale per l'Ucraina”) http://liva.com.ua/dead-end.html 
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[5] Ibid.

[6] Dinamiche della bilancia dei pagamenti dell'Ucraina:
1999: +$1.658 miliardi 2000: +$1.481 miliardi 2001: +$1.402 miliardi 2002: +$3.173 miliardi 2003: +$2.891 miliardi 2004: +$6.909 miliardi 2005: +$2.531 miliardi 2006: –$1.617 miliardi 2007: –$5.272 miliardi 2008: –$12.763 miliardi 2009: –$1.732 miliardi 2010: –$3.018 miliardi 2011: –$10.245 miliardi 2012: –$14.761 miliardi 2013 (primi sei mesi): –$3.742 miliardi
Dinamiche del debito estero lordo dell'Ucraina (statale e privato)
1 gennaio 2004: $23.811 miliardi 1 gennaio 2005: $30.647 miliardi 1 gennaio 2006: $38.633 miliardi 1 gennaio 2007: $54.512 miliardi 1 gennaio 2008: $82.663 miliardi 1 gennaio 2009: $101.654 miliardi 1 gennaio 2010: $103.396 miliardi 1 gennaio 2011: $117.345 miliardi 1 gennaio 2012: $126.236 miliardi 1 gennaio 2013: $135.065 miliardi 4 gennaio 2013: $136.277 miliardi

[7] Per le conseguenze dell'ingtegrazione economica con l'Unione Europea, guarda il report Mirovoykrizis i ukrainskiyperiferiynyykapitalizm (“La crisi globale e il capitalismo periferico ucraino”), scritto prima degli eventi di Maidan e consultabile su http://liva.com.ua/crisis-report.html.

[8]”Per un lungo periodo gli oligarchi hanno determinato il carattere interno del sistema statale. Ma a un certo punto sono giunti alla conclusione di aver preso tutto ciò che si poteva prendere dall'Ucraina indipendente ed ormai erano tra i super-ricchi del mondo. Da questo punto in poi hanno affrontato la questione di come conservare ciò che avevano conquistato 'attraverso un duro lavoro'. Gestire ciò nei confini del loro paese sembrava loro irrealistico, poiché in ogni momento un determinato, imprevedibile leader carismatico o partito avrebbe potuto prendere il potere e dichiarare una ripubblicizzazione... Per evitare un simile sviluppo, gli oligarchi hanno stretto un tacito accordo per 'consegnare' la sovranità dell'Ucraina per 'stare al sicuro' nelle strutture europee. In cambio, esse avrebbero assicurato l'applicazione sul territorio ucraino delle leggi di difesa economica e sociale che garantiscono l'inviolabilità della proprietà sul territorio europeo. Gli oligarchi hanno provato ad avviare questo processo con la sottoscrizione di un accordo di associazione con l'Unione Europea.” DmitriyVydrin Evromaydan – bunt milliarderovprotivmillionerov (“Euromaidan – una rivolta di miliardari contro i milionari”) http://glagol.in.ua/2014/01/23/dmitriy-vyidrin-evromaydan-bunt-milliarderov-protiv-millionerov/#ixzz2yHYP6PXR
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[9] Guarda Sergey Kirichuk. Aktivnoeuchastienatsionalistov – klyuchevoyfaktorpadeniyapopulyarnostiMaydana (“La partecipazione attiva dei nazionalisti- il fattore chiave nel declino della popolarità di Maidan”) http://borotba.org/sergei-kirichuk-uchastie-nacionalistov-factor-padeniya-populyarnosti-maidana.html 
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[10] La notizia della distruzione barbarica del monumento a V.I. Lenin non ha incontrato la condanna dei leader di Maidan”, ha scritto Borotba all'epoca. “Al contrario, gli oppositori liberali stanno sostenendo i loro fratelli adottivi neonazisti. Come è evidente, il volto ideologico di Maidan non è determinato dal settore liberale dell'opposizione, ma dalle forze di estrema destra, neonazioste” (http://borotba.org/oni-mogut-unichtojit-pamyatnik-no-ne-ideyu.html). Dal podio, il deputato del partito di ultradestra Svoboda Andrey Ilenko ha mostrato frammenti del monumento (http://podrobnosti.ua/society/2013/12/08/946901.html?cid=5408279
).
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[12] Guarda, per esempio, quest'articolo su The Nation:http://www.thenation.com/article/178013/ukrainian-nationalism-heart-euromaidan# 
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[14] Sondaggio condotto dalla fondazione Iniziativa Democratica il 6 febbraio http://www.dif.org.ua/ua/polls/2014_polls/vid-maidanu-taboru-do-maidan.htm 
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[15] Ibid. 

[16]”Un'altra caratteristica importante della lista di vittime è che tra i morti, praticamente nessuno apparteneva alla classe lavoratrice o lavorava in grandi ditte industriali... Questo fatto, che la punta avanzata della violenza rivoluzionaria di Euromaidan sia formata da membri del sottoproletariato e dell'intellighenzia (la 'classe creativa'), assieme a persone di province remote che ad essi si sono uniti, riflette la differenza fondamentale tra le strutture sociali tra l'Ucraina orientale e quella occidentale, una differenza che si sovrappone alle differenze di mentalità tra le due parti del paese” (http://kavpolit.com/articles/litso_pogibshego_majdana-1526/).


Di Viktor Shapinov, tradotto dal sito ucraino Liva (La sinistra), tradotto da Renfrey Clarke per Links International Journal of Socialist Renewal





(srpskohrvatski / italiano)

S. Amin: Verso l’implosione del progetto europeo

1) Intervju sa Samirom Aminom povodom ministarske konferencije Pokreta nesvrstanih zemalja
2) Le elezioni europee del Maggio 2014: una nuova tappa verso l’implosione del progetto europeo
(articolo di Samir Amin e commento di Francesco Maringiò)


=== 1 ===

(In english: The Revival of the Movement of Non-Aligned Countries
By Samir Amin - Global Research, May 27, 2014
http://www.globalresearch.ca/the-revival-of-the-movement-of-non-aligned-countries/5383510

In italiano: La rinascita del Movimento dei Paesi non allineati e degli internazionalisti nell'era transnazionale
Intervista a Samir Amin - pambazuka.org, 19/05/2014
oppure https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7998 )


Intervju sa Samirom Aminom - Ponovno rađanje Pokreta nesvrstanih i internacionalista u transnacionalno doba

Jasna Tkalec
vrijeme objave: Utorak - 24. 06. 2014 | 17:00


Intervju sa Samirom Aminom, istaknutim egipatskim marksističkim ekonomistom, povodom ministarske konferencije Pokreta nesvrstanih zemalja (Alžir, 26-29 svibnja 2014.)

Kakva je priroda izazova s kojom se danas suočavaju zemlje Pokreta nesvrstanih, 60 godina nakon njegovog nastanka u ovom današnjem toliko izmijenjenom svijetu?
Živimo u sistemu neuravnotežene mondijalizacije, nejednake i nepravedne. Jedni imaju sva prava pristupa resursima planete, da ih koriste i da ih čak rasipaju te ta prava koriste ekskluzivno. Drugima preostaje obaveza, da prihvate taj poredak, da se adaptiraju na njegove zahtjeve, da se odreknu vlastitog razvoja, čak i elementarnih, prava na hranu, na obrazovanje i na zdravlje, pa i na sam život, a to se odnosi na velik broj naroda – naših naroda. 

Taj nepravedan poredak definiran je kao "mondijalizacija" ili "globalizacija". 

Mi bismo morali prihvatiti, da velesile koje uživaju u tom nepravednom svjetskom poretku, u prvom redu Sjedinjene Države i Europska Unija, ratni saveznici u NATO-u, imaju pravo intervenirati oružanom silom da bi nametnuli uvažavanje njihovih uzurpiranih prava pristupa i korištenja – ili pljačke – naših bogatstava. To čine sa različitim izgovorima – preventivni rat protiv terorizma biva zazivan, kad im to odgovara. Rade to i pod izgovorom oslobađanja naših naroda od 'krvoločnih diktatora'. Međutim činjenice pokazuju da ni u Iraku, ni u Libiji, na primjer, njihova intervencija nije dozvolila razvoj demokracije. Te su intervencije jednostavno razorile te države i njihova društva. Nisu otvorile put napretka ili demokracije, već su taj put zatvorile. 

Da objasnim: nismo protivnici svih oblika mondijalizacije. Protivnici smo ovog nepravednog oblika mondijalizacije, kojeg smo žrve.

Što predlažu protiv tog izazova Nesvrstane države?

Odgovore na taj izazov je jednostavno formulirati u njihovim glavnim velikim načelima. 

Naše je pravo da izaberemo naš vlastiti put razvoja. Velesile koje su bile i ostaju tvorci i korisnici postojećeg svjetskog poretka moraju prihvatiti i prilagoditi se zahtjevima našeg razvoja. Prilagođavanje mora biti recipročno. Ne treba da se slabi prilagođavaju zahtjevima moćnih. Baš suprotno, treba zahtijevati od jakih da svoje ponašanje reguliraju prema potrebama slabih. I sam koncept prava baš zato postoji, da bi se ispravile nepravde, a ne da bi se one nastavljale u nedogled. Imamo dakle pravo da provedemo u djelo naše suverene projekte razvoja. A to je ono što nam onemogućuju današnji stvaraoci globalizacije. 

Naši suvereni projekti razvoja moraju biti tako zamišljeni, da dozvoljavaju našim narodima i našim državama da se industrijaliziraju na onaj način, kako one to shvaćaju, i da sebi stvore pravnu i društvenu strukturu po vlastitom izboru, koja će dozvoliti da mi sami postignemo i razvijemo suvremene tehnologije. One moraju biti tako koncipirane, da nam jamče suverenitet u hrani i da dozvoljavaju svim slojevima našeg naroda da imaju udjela u razvoju, i da se napokon stane na kraj sve većem osiromašenju, koje je upravo u tijeku. 

Ostvarivanje naših suverenih projekata zahtijeva ponovno stjecanje financijskog suvereniteta. Nije naš posao da se prilagodimo financijskoj pljački na ogromnu korist banka dominantnih ekonomskih sila. Svjetski financijski sistem mora biti prisiljen na prilagođavanje našem suverenitetu.

Naš je posao da zajedno odredimo puteve i sredstva razvoja naše međusobne kooperacije u smjeru Jug-Jug, što može olakšati uspjeh naših suverenih planova razvoja.

MPNA (Pokret nesvrstanih) predstavlja najvažniju međunarodnu organizaciju (117) zemalja nakon OUN-a; je li on u stanju utjecati na odluke Međunarodne zajednice? 

Naš Pokret nesvrstanih može i mora djelovati unutar OUN kako bi ponovo ostvario vlastita prava, koji je poredak nepravedne globalizacije naprosto ismijao. Sada se samoproklamirana "Međunarodna zajednica" supstituirala Ujedinjenim Narodima. Mediji dominantnih velesila neprekidno ponavljaju "Međunarodna zajednica misli ovo ili ono, odlučila je ovo ili ono". 

Kad se pobliže pogleda, otkriva se da je ta stalno zazivana "Međunarodna zajednica" ustvari sastavljena od Sjedinjenih Država, Europske Unije i još dvije ili tri zemlje, koje su ove prve vrlo brižljivo izabrale, kao što su Saudijska Arabija ili Katar. Da li može biti gore uvrede za naše narode od ove samoproklamacije? Kina, Alžir, Egipat, Senegal, Angola, Venezuela, Brazil, Tajland, Rusija, Kostarika i tolike druge zemlje za njih ne postoje. Nemaju pravo da se njihov glas čuje u toj tobožnjoj Međunarodnoj Zajednici. 

Da, imamo veliku odgovornost unutar ONU, gdje brojčano predstavljamo veliku grupaciju i moramo zahtijevati povratak prava Ujedinjenim Narodima, koje su jedini prihvatljiv okvir za izražavanje Međunarodne zajednice. 

60 godina nakon nastanka nestali su blokovi, koji su tada postojali. Da li MPNA (Pokret nesvrstanih) ima još smisla odnosno da li treba postojati?

Možemo pogledati našu prošlost, koja nam pruža baš dobru lekciju o onome što smo bili i što moramo ponovo postati. Pokret Nesvrstanih nastao je 1960., a put mu je otvorila Konferencija u Bandungu održana 1955, koja je imala za cilj potvrđivanje prava naših naroda i nacija Azije i Afrike, kojima se tada nije priznavalo da su dostojan partner i da moraju biti jednaki u rekonstrukciji svjetskog poretka.

Naš pokret nije nipošto neki podproizvod konflikta između dvije glavne velesile tog doba – Sjedinjenih Država i SSSR-a, niti podprozvod "hladnog rata", kako nas to pokušavaju uvjeriti. U razdoblju odmah nakon Drugog svjetskog rata Azija i Afrika bile su još porobljene od mrskog kolonijalizma. Naši su narodi bili angažirani u moćnoj borbi za ponovno osvajanje nezavisnosti, miroljubivim sredstvima i oslobodilačkim ratom, ukoliko je to bilo neophodno. 

Kad smo postigli nezavisnost i ponovo uspostavili vlastite države našli smo se u sukobu sa svjetskim poretkom, kojeg su nam tada htjeli nametnuti. Naš Pokret Nesvrstanih Zemalja tada je proklamirao pravo da imamo pravo sami izabrati puteve našeg razvoja, provodio je to pravo i prisilio velesile tog vremena, da se prilagode zahtjevima našeg razvoja. 

Neke velesile tog doba su to prihvatle, druge nisu. Zapadne sile – Sjedinjene Države i zemlje onih krajeva, koje će poslije sačinjavati Europsku Uniju, koje su već 1949. bile priključene NATO-u, nikada nisu krile svoje neprijateljstvo prema našim projektima nezavisnog razvoja. 

Borili su se protiv njih svim sredstvima, koja su im stajala na raspolaganju. Druge velesile, kao SSSR na prvom mjestu, prema nama su koristile drugačiji pristup. Prihvatile su i katkad čak i podržavale stavove Pokreta Nesvrstanih Zemalja. Vojna moć SSSR-a u to je vrijeme ograničavala mogućnosti agresije nostalgičara kolonijalizma i uvijek oduševljenih pobornika nepravičnog svjetskog poretka.

Možmo stoga kazati da, iako svijet više nije onakav kakav je bio 1960 - a to je evidentno banalna konstatacija – Pokret nesvrstanih bio je već prije 60 godina pokret nesvrstanih uz globalizaciju, kakva se već tada htjela nametnuti.

Što biste još mogli dodati? 
Očekujem mnogo od Konferencije ministara Pokreta Nesvrstanih Zemalja. To je naša Konferencija, naših naroda i naših država. Treba gurnuti u prvi plan naše stavove o ponovnom zahtijevanju jednakih prava za sve države, da i one doprinose takvoj mondijalizaciji, koja bi bila pravična. Želim svima uspjeh.

Samir Amin je direktor Svjetskog Foruma Trećeg svijeta.


=== 2 ===

http://www.comunisti-italiani.it/2014/06/09/le-elezioni-europee-del-maggio-2014-una-nuova-tappa-verso-limplosione-del-progetto-europeo/

Le elezioni europee del Maggio 2014: una nuova tappa verso l’implosione del progetto europeo

Un articolo di Samir Amin e un commento di Francesco Maringiò.

1. La costruzione europea è stata concepita e messa in campo fin dall’inizio per garantire la tenuta di un regime di liberalismo economico assoluto. Il trattato di Maastricht (1992) rinforzava ulteriormente questa scelta fondamentale ed impediva qualsiasi altra prospettiva alternativa. Infatti Giscard d‘Estaign diceva: “ il socialismo è ormai illegale”. Questa costruzione è quindi per sua natura antidemocratica ed annulla il potere dei parlamenti nazionali eletti, le cui decisioni devono essere conformi alle direttive del potere sovrannazionale definito dalla pseudo-costituzione europea. Il “deficit di democrazia” delle istituzioni di Bruxelles, attraverso le quali opera la dittatura neoliberale, è stato e continua ad essere coscientemente voluto. I fondatori del progetto europeo, Jean Monnet e gli altri, non amavano la democrazia elettorale e si ponevano come obiettivo di ridurne il “pericolo”, quello di impegnare una nazione al di fuori del sentiero tracciato dalla dittatura della proprietà e del capitale. Con la formazione di quello che io chiamo il capitalismo dei monopoli generalizzati, finanziari e mondializzati, a partire dal 1975, l’Unione Europea è diventata lo strumento del potere economico assoluto di questi monopoli, creando le condizioni che gli permettendo di completarne l’efficacia, con l’esercizio parallelo del loro potere politico assoluto.
Il contrasto destra conservatrice/sinistra progressista, che costituiva l’essenza della democrazia elettorale matura è, di fatto, annullato a beneficio di una ideologia di pseudo “consenso”. Questo consenso si fa forte del riconoscimento da parte dell’opinione pubblica europea del fatto che le libertà individuali ed i diritti dell’uomo sono garantiti, almeno nella maggiorità degli stati europei, ad eccezione di quelli dell’Europa orientale, meglio che altrove nel mondo. Questo è vero grazie ai popoli coinvolti. Ciò nonostante la doppia dittatura economica e politica dei monopoli generalizzati annulla la portata di queste libertà, private della loro capacità di condurre un progetto di società che trasgredirebbe i limiti imposti dalla logica esclusiva dell’accumulazione del capitale.
Del resto l’unità europea è stata propagandata asserendo che avrebbe dato vita ad una potenza economica uguale a quella degli Stati Uniti e da essa autonoma. Invece la Costituzione europea associava l’adesione di un Paese all’UE a quella alla Nato, come alleato subalterno agli Stati Uniti. Il nuovo progetto di integrazione economica atlantica dovrebbe fugare tutti i dubbi residui: il mercato europeo sarà alle dipendenze del più forte: gli Stati Uniti. Altro che indipendenza dell’Europa!
2. Ma il regime economico liberale assoluto, imposto dalla Costituzione europea, non è attuabile. La sua unica ragion d’essere è quella di permettere la concentrazione crescente della ricchezza e del potere, a beneficio dell’oligarchia e dei suoi beneficiari, a prezzo di un’austerità permanentemente imposta alle classi subalterne, alla regressione delle conquiste sociali, ed al proseguo della stagnazione economica. La spirale infernale dell’austerità produce in tutta Europa la crescita permanente di deficit e debito (e non la loro riduzione, come sostiene la teoria economica convenzionale, che non ha alcun fondamento scientifico). Le eccezioni (come Germania) non esisterebbero se gli altri paesi non fossero loro a subirne gli effetti. L’argomento avanzato – “bisogna fare come la Germania” – non è ammissibile: per sua stessa natura il modello non può essere generalizzato. In ogni caso il potere assoluto esercitato dai monopoli e dall’oligarchia dei loro servitori non permette di metterlo in questione. Questo potere assoluto è determinato a difendere fino alla fine e con tutti i mezzi i propri privilegi e quelli delle oligarchie, le sole beneficiarie della concentrazione senza limite della ricchezza.
3. Le elezioni europee del maggio 2014 rendono evidente il rigetto della maggioranza dei cittadini di “questa Europa” (ma non sono necessariamente coscienti del fatto che possa esistere “un’altra Europa”). Con più della metà d’astensionismo del corpo elettorale (più del 70% d’astensione nell’Est europeo), il 20% dei voti in favore dei partiti di estrema destra che si dichiarano “anti-europeisti” (le così dette liste “euroscettiche” in testa in Gran Bretagna e in Francia), il 6% in favore dei partiti della sinistra radicale critici di Bruxelles, si rende obbligatoria questa conclusione. Certo, per converso, la maggioranza di quelli che hanno partecipato al voto fanno sempre riferimento a un progetto europeo, per le ragioni che abbiamo prima esposto (“l’Europa garante delle libertà e dei diritti”) o perché pensano ancora, ingenuamente, che un’”Altra Europa” (dei popoli, dei lavoratori, delle nazioni) sia possibile. Ma la costruzione europea – ben strutturata e solida – è stata concepita per escludere ogni sua possibile riforma. Il voto di protesta alle formazioni di estrema destra porta in sé pericoli che non possono essere sottovalutati. Come tutti i movimenti fascisti del passato, questi non muovono mai una critica contro il potere esorbitante dei monopoli. La loro retorica sulla “difesa della nazione” è ingannevole: l’obiettivo perseguito è, oltre all’esercizio del potere nei differenti paesi dell’Unione, lo scivolamento dell’UE dal suo governo di natura social-liberale ad uno gestito dalle forze di destra radicale. Il dibattito sull’origine vera dell’arretramento sociale (causato dal potere dei monopoli) viene stravolto in favore di altri temi (in particolare quello dell’immigrazione). Ma se si è verificato questo successo preoccupante dell’estrema destra “anti-europea”, è per colpa della sinistra radicale (a sinistra dei partiti socialdemocratici). Per la sua mancanza di audacia nella critica all’Unione europea, per l’ambiguità delle sue proposte, che alimentano l’illusione di “riforme possibili”, questa sinistra radicale non è riuscita a far sentire la propria voce.
4. Nel capitolo intitolato “L’implosione programmata del sistema europeo” (in 1. L’implosion du capitalisme contemporain, 2012) tratteggio le linee generali della destrutturazione programmata dell’Unione Europea. Si avrà quindi una piccola Europa tedesca (la Germania, ingrandita con le sue semicolonie dell’Europa orientale, che arriva forse fino all’Ucraina), la Scandinavia e i Paesi Bassi attaccati a questa nuova zona marco/euro; la Francia, avendo deciso la sua adesione “vichysta” all’Europa tedesca (è la scelta delle forze dominanti a Parigi), ma forse tentata più avanti da un nuovo “gollismo”; la Gran Bretagna che prende le sue distanze e afferma ancora e prima di tutto il suo atlantismo diretto da Washington; la Russia isolata; l’Italia e la Spagna esitanti tra la sottomissione a Berlino e il riavvicinamento a Londra. Avevo descritto uno scenario da Europa degli anni ‘30. Ci stiamo arrivando.


di Samir Amin, traduzione dal francese a cura di Lorenzo Battisti


Sinistra e comunisti. L’unità necessaria per resistere, innovare e vincere

1. Trovo molto convincente l’analisi del voto europeo fatta da Samir Amin il quale, sostanzialmente, mette in evidenza come questo passaggio abbia reso evidente l’ostilità a “questa” Europa da parte della maggioranza dei cittadini dell’Unione. Ciò è riscontrabile non solo nel voto dato alle così dette formazioni euroscettiche, quanto soprattutto tenendo conto dell’altissimo livello di astensione (il più alto di sempre, con punte all’Est del 70%). Ma la distanza da “questa” Europa non si traduce necessariamente nella consapevolezza della necessità di “un’altra” Europa. Le stesse forze della sinistra radicale (pur in un contesto di crescita, che va valorizzato) non raccolgono un consenso così amplio come potrebbero, proprio per quella «mancanza di audaca – scrive S. Amin – nella critica all’UE e per l’ambiguità nella proposta politica che contribuisce all’illusione della “riformabilità” del sistema».
Ovviamente questo sguardo d’insieme deve essere modulato ed affinato per ciascun paese e forza politica, eppure si rivela estremamente utile per la disamina del contesto italiano.
2. Le vicende che hanno portato alla costruzione della Lista Tsipras e del suo risultato elettorale sono note ai più. Inclusa la primogenitura della stessa, sia dal punto di vista politico che nella costruzione della lista. I limiti che intravedo nel progetto sono molto profondi e tuttavia ho condiviso pienamente la scelta del Partito dei Comunisti Italiani di praticare una propria campagna elettorale autonoma sui contenuti politici e programmatici, invitando gli elementi più avanzati della Lista stessa a confrontarsi con la nostra piattaforma. Ancora una volta, autonomia ed unità, sono il binomio che orienta la nostra azione.
Allo stato delle cose archivierei la polemica sulla esclusione dei candidati del PdCI dalla Lista stessa, invitando però tutti quanti ad un’approfondita riflessione sul perché di quella esclusione (che, è bene non tacere, è stata possibile solo grazie alla complicità di diversi soggetti). Mi preme però fare solo una piccola osservazione: non è la prima volta che, un fatto del genere, accade. Già nel 2008, quando si presentò alle elezioni la lista unitaria “La Sinistra L’Arcobaleno”, si registrò un fatto analogo. I dominus della lista imposero un contrassegno elettorale (per la prima volta dal dopoguerra) senza il simbolo storico dei comunisti ed imposero questa scelta anche il PdCI, pena la sua esclusione dalla lista. Cosa, questa, riservata ad una minoranza interna del Prc che aveva promosso una battaglia politica in nome dell’autonomia comunista ed un appello per l’inserimento della Falce e Martello nel contrassegno elettorale. Non traggo alcuna conclusione definitiva, ma mi sia permesso un rilievo statistico: ogni qualvolta alle elezioni si presenta una coalizione elettorale che, per sua stessa ammissione, è il prodromo della costruzione di “un nuovo soggetto unitario della sinistra” i comunisti che pretendono di conservare la propria autonomia strategica e la propria organizzazione, vengono estromessi dalle liste elettorali. È accaduto con la Sinistra Arcobaleno (di questo “nuovo” partito erano state addirittura stampate le tessere in piena campagna elettorale) e si è ripetuto con la Lista Tsipras, viatico per la costruzione della “Syriza italiana”.
3. Ma le osservazioni di Samir Amin, prima richiamate, ci possono essere utili soprattutto per decodificare il dibattito che sta spaccando la Lista Tsipras (e, di riflesso i partiti coinvolti: Prc e Sel), attorno alla vicenda dell’accettazione da parte di Barbara Spinelli del seggio di Bruxelles. Qui il tema non è, come banalmente appare, di natura morale, in riferimento alla credibilità o meno delle affermazioni della “garante” della lista. Il tema è tutto politico ed attiene alla natura vera della Lista (e, almeno in parte, dei suoi mentori greci). L’appello di Alexis Tsipras affinché la Spinelli accetti di essere eletta è parte integrante di una strategia che punta, in accordo con il Partito Socialista Europeo, a farla diventare vicepresidente del Parlamento. A fronte della possibilità per il Gue/Ngl e la sinistra all’europarlamento di eleggere un proprio rappresentate come vicepresidente dell’assemblea, non sarebbe forse meglio individuare una figura espressione delle lotte sociali che in questi anni si sono opposti alle politiche di austerity e all’Ue? Questa operazione disvela perfettamente la natura ambigua della Lista ed il suo profilo federalista e di compatibilità sistemica con l’Ue e mette in mostra il terreno vero sul quale si muove la lista (in Italia) e Syriza (in Grecia). Del resto lo stesso Tsipras ha molto sponsorizzato questo legame con la Spinelli e gli altri, essenzialmente -questa la mia valutazione- per l’esigenza di accreditarsi presso alcuni settori dell’establishment internazionale, come viatico per la sua elezione a premier in Grecia (non è un mistero, per fare solo un esempio, che Spinelli -padre e figlia- abbiamo più volte preso parte alle riunioni del Bilderberg Club). Ed è inutile che qui mi attardi a spiegare le preoccupazioni sulla natura strategica di questa operazione che rischia di polarizzare -ed in prospettiva spaccare- il Gue/Ngl. La linea di Sel di stare «nella terra di mezzo, con Tsipras ma non contro Schulz» ricorda paurosamente il PCI post 18º Congresso che rompe il gruppo comunista europeo per formare la Sinistra Unitaria Europea, a metà strada col PSE.
In questo quadro, la sottoscrizione da parte di alcuni candidati della Lista Tsipras -che qui vorrei ringraziare- del documento presentato dal Pdci, acquisisce una valenza e mostra un’articolazione di posizioni che è molto importante.

4. Dopo decenni di diaspora e scomposizione sociale e politica è illusorio pensare che processi unitari possano nascere e giungere a maturazione in poco tempo. Ed è ancora più illusorio pensare che si inverta la rotta senza un progetto generale di radicamento sociale di massa, un’inchiesta approfondita sui cambiamenti strutturali della composizione di classe di questo paese ed una strategia che unifichi le analisi e le pratiche di lotta e che contribuisca alla crescita di coscienza e mobilitazione delle nuove generazioni affinché, nell’impegno e nelle battaglie politiche, sociali e culturali, possano riscoprire l’entusiasmo e la forza di lottare per cambiare la loro vita ed il loro futuro.
Pertanto, qualsiasi esperimento elettorale dia visibilità a contenuti avanzati ed entusiasmo è importante, ma affatto risolutivo dell’enorme lavoro che abbiamo davanti.
Io credo che, nell’intreccio tra la necessità della ricostruzione di un fronte della sinistra sociale e politico di classe e la ricostruzione di un partito comunista (unificato e rigenerato nelle idee, nelle pratiche e nel lavoro politico) ci sia bisogno di uno scarto innovativo. Non basta, cioè, proporre l’unità sic et simpliciter.
Senza un’alzata d’ingegno ed uno scarto innovativo, rischiamo di riprodurre parte della discussione che abbiamo già fatto negli ultimi anni, senza avanzare concretamente sul terreno dell’unità. Mi auguro pertanto che sin dalle prossime settimane nascano luoghi di confronto ed elaborazione collettiva e trasversale (dei comunisti e della sinistra).
Sin da subito, però, mi preme sgomberare il campo da un grosso equivoco: non si salvaguarda l’autonomia dei comunisti se, nel dibattito sull’unità a sinistra, si formulano soluzioni organizzativistiche di tipo fusionista o partitario. In questo, la proposta della costruzione della “Syriza italiana” è emblematica del problema. Chi propone queste soluzioni mette in conto la perdita di autonomia organizzativa, politica ed ideologica dei comunisti. Né può esistere un processo “a due tempi”: prima l’unità della sinistra e poi (forse) quella dei comunisti.
Unità della sinistra ed unità dei comunisti sono due processi indispensabili, complementari ma distinti. Chi cerca di confondere i piani o di anteporre il tema dell’unità della sinistra a quello della ricostruzione del Partito comunista, in realtà, persegue un disegno di diluizione e scioglimento delle forze in un calderone, per di più ideologicamente confuso ed eterogeneo, utile forse per qualche appuntamento elettorale ma totalmente incapace di rispondere a nessuna delle sfide che abbiamo davanti.
Francesco Maringiò










(slovenscina / italiano)

Prossime iniziative segnalate

1) Torino 26/6: UOMINI E NON UOMINI. Presentazione del libro di Goran Jelisic, prigioniero politico serbo-bosniaco in Italia
2) Sgonico (TS) 28/6: V KRALJESTVU ZLATOROGAfilm storico del 1931 sul Triglav e la Slovenia
3) Venegono Inferiore (VA) 28/6: CONTRO LA CONSEGNA AD ISRAELE DEGLI M-346
4) Roma 29/6: 1er Encuentro Italiano de Solidaridad con la Revolución Bolivariana de Venezuela (aderisce CNJ-onlus)
5) Parma 2/7: UCRAINA - CONTRO LA GUERRA UE-USA NEL CUORE DELL'EUROPA (aderisce CNJ-onlus)
6) Cesena 4/7: UCRAINA - LABORATORIO FASCISTA DELLA NATO E DELL’UNIONE EUROPEA
7) Mavhinje / Malchina (TS), 6/7: 70. OBLETNICA POŽIGA VASI - 70. ANNIVERSARIO DELL'INCENDIO DEL PAESE


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Torino, giovedì 26 Giugno 2014
alle ore 20,45 ℅ Assoc. Piemonte-Grecia in V. Cibrario 30 bis

Presentazione del libro di G. Jelisic 

UOMINI E NON UOMINI
Zambon Ed. 

e approfondimento relativo al Tribunale Penale dell’Aja per la ex Jugoslavia.
Intervengono:
Jean Toschi Marazzani Visconti ( curatrice del libro, già collaboratrice del Manifesto e di Limes)
Angelo Travaglini ( ex Ambasciatore)
Enrico Vigna (portavoce del Forum Belgrado Italia)
Organizza: Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali – Italia

Goran Jelisic - UOMINI E NON UOMINI – Zambon Ed.
La guerra in Bosnia Erzegovina nella testimonianza di un ufficiale jugoslavo
A cura di Jean Toschi Marazzani Visconti
Prefazione di Aldo Bernardini, docente di Diritto Internazionale, Università di Teramo
Postfazione dell’Avv. Ugo Giannangeli

La scheda del libro: https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia.htm#jelisic2013


=== 2 ===

Inizio messaggio inoltrato:

Oggetto: comunicato stampa: film storico del 1931 sul Triglav a Campo Sacro-Božje Polje (Sgonico)
Data: 11 giugno 2014 10:46:17 CEST


COMUNICATO STAMPA

Un film che vale più di tanti libri di storia:
V kraljestvu Zlatoroga (Nel Regno di Zlatorog)

Sabato 28 giugno 2104 – ore 20.00 Campo Sacro-Božje Polje (Sgonico)

1931. In America veniva proiettato il Frankenstein interpretato da Karloff. In Germania Lang portava in sala il suo primo film sonoro, M – Il mostro di Dusseldorf. In Slovenia invece, un gruppo di appassionati membri del Club Turistico Skala – tra cui il fotoamatore Janko Ravnik – provavano a produrre il primo glorioso film dedicato ai paesaggi sloveni. Ne è uscito V kraljestvu Zlatoroga (Nel regno di Zlatorog) un film muto, un po’ documentario un po’ avventura, che vede protagonisti 3 ragazzi che decidono di affrontare un lungo viaggio per i paesi e villaggi sloveni, con l’obbiettivo finale di scalare il monte Triglav, il monte Tricorno – cima più alta delle Alpi Giulie. Partono da una irriconoscibile, ma già sviluppata, Ljubljana: il mercato all’aperto, le fabbriche, i contadini, i bar, i mezzi di trasporto, le acciaierie… Passano per tanti paesini, fino ad arrivare sullo stupendo lago di Bled, famoso già a quei tempi per il castello arroccato sul fianco e la chiesa in mezzo alle sue acque. Poi Kranjska Gora, città (a quel tempo poco più che un paese) di confine per eccellenza, nella lingua di Slovenia in mezzo a Friuli e Austria. Ma le immagini più belle rimangono quelle sulla campagna e sulla montagna. Gli uomini che falciano o tagliano la legna, le donne che imballano il fieno o mungono le capre. Faticosissime favole di altri tempi. E poi le tende, i vestiti, il fuoco, i picchetti, gli sci e le corde per dominare le vette. Altre fatiche, ma altre grandi soddisfazioni. I 3, seguiti da una troupe straordinariamente preparata e coraggiosa (certe riprese ce le scordiamo anche oggi senza computer), toccano la vetta a 2.864 metri dopo una scalata incredibile: zero dispositivi e misure di sicurezza, abbigliamento e attrezzatura amatoriale e tanti muscoli. Uno spettacolo con il doppio obbiettivo: un occasione per viaggiare ed esplorare per gli attori/scalatori che stanno sta davanti alla camera e meravigliare, mostrare angoli sconosciuti e incuriosire chi sta davanti allo schermo.

A 83 anni di distanza, questo capolavoro amatoriale di Janko Ravnik, rivive grazie all’Associazione Monte Analogo di Trieste che lo porta a Campo Sacro – Božje Polje a Sgonico (sul carso triestino) all’ iniziativa “Trieste on Sight” e lo fa musicare dal vivo dal musicista triestino Giorgio De Santi.

Un film che vale più di tanti libri di storia. L’appuntamento, presentato da Sergio Serra (Presidente di Monte Analogo) è sabato 28 giugno 2014 alle ore 20.00 (ingresso libero)

Monte Analogo - Via Fabio Severo 31 (Trieste)

www.monteanalogo.net info@... (0039) 335 5279319


=== 3 ===

SABATO 28 GIUGNO 2014
 PRESIDIO E MANIFESTAZIONE
PRESSO L’ALENIA-AERMACCHI DI VENEGONO
CONTRO LA CONSEGNA AD ISRAELE DEGLI M-346
 
LA GUERRA È PRODOTTA A CASA NOSTRA
LA POSSIBILITÀ DI FERMARLA ANCHE
 
sabato 28 giugno dalle 14 PRESIDIO a Venegono Inferiore
incrocio via Varesina - via Pellico, davanti alla chiesa di Loreto
ore 15 CORTEO da Venegono Inferiore a Venegono Superiore
 
Domenica 29 ore 9,30-13 al Castello dei Comboniani di Venegono Sup.
ASSEMBLEA DEL FORUM CONTRO LA GUERRA
 
 
Comitato “No M346 a Israele”
 
Per adesioni e altre info: nessunm346xisraele@...forumnoguerra.blogspot.com/
 



=== 4 ===

Da: 'Coord. Naz. per la Jugoslavia'
Oggetto: ADESIONE
Data: 18 giugno 2014 19:22:07 CEST
A: encuentrosolidaridaditalven @ gmail.com

Cari compagni, il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus aderisce alla iniziativa e sarà presente il giorno 29/6 all'incontro che è stato indetto.
Saluti internazionalisti e buon lavoro


Inizio messaggio inoltrato:

*Solicitud de adhesiones*
* Richiesta di adesioni*

*Cari compagni e compagne*

La feroce aggresione del Dipartimento di Stato degli USA, dei suoi soci
internazionali e dell’opposizione criolla, contraria al processo di
trasformazione a cui ha dato inizio la patria di Bolívar dal 1999, con il
trionfo della Rivoluzione, ha raggiunto livelli inaccettabili di violenza
fascista. Il Governo Bolivariano, che punta a continuare il suo profondo
programma di trasformazioni in un clima di pace e rispetto, con gli
strumenti che il protagonismo democratico e partecipativo garantisce
nella *Carta
Magna *venezuelana, ritorna ad alzare la sua voce nel consesso
internazionale affinché gli uomini e le donne del pianeta che condividono
questi principi si uniscano al lato della verità e, di conseguenza,
contribuiscano alla difesa di un processo che in ogni momento ha saputo
avanzare sulla base della trasparenza e della onestà.

In questo contesto, vi aspettiamo insieme a tutti collettivi e gruppi di
solidarietà che dalla terrà di Garibaldi e Gramsci, accompagnano la
Rivoluzione Bolivariana, questa domenica 29 giugno 2014, a un primo
incontro che ci permetta di delineare e moltiplicare strategie di difensa
dell'opzione rivoluzionaria bolivariana. Per aderirsi a questa iniziativa
scrivere a encuentrosolidaridaditalven@...

*Hasta la victoria siempre !!!!*

*Vivremo e vinceremo !!!!*

[image: Venezuela: 10.000 Comuneros, una latencia revolucionaria del
proceso]

*VENEZUELA SOCIALISTA SE RESPETA !!*

*Primo Incontro Italiano di Solidarietà con la*

*Rivoluzione Bolivariana*

*1er Encuentro Italiano de Solidaridad con la Revolución Bolivariana*

*Domenica 29 giugno 2014*

*Dalle 09:00 alle 18:00 ore*

*Università La Sapienza – Lucernario Occupato*

*Viale dell’Università 28 - Roma*


*Inserite** il nome della vostra organizzazione, associazione o gruppo qui*

*Coloca el nombre de tu organización, asociación o colectivo aquí*

*Albassociazione/ANROS/Associazione di Amicizia Italia-Cuba/Associazione
Italia- Nicaragua. Circolo Leonel Rugama/Associazione
LiberaRete/Associazione Nazionale Nuova Colombia/ CARC/Casa dei Popoli/Casa
del Popolo di Torpignattara/ Centro Studi Antonio
Gramsci/CESTES-USB/CIRCinternazionale/Circolo Bolivariano Alessio
Martelli/Circolo Bolivariano Hugo Chavez/Fronte della Gioventù
Comunista/Marx XXI/Militant/ Partito Comunista/ PDCI /Rete dei
Comunisti/Rete in Difesa dell’Umanità/Rete No War/ Rifondazione
Comunista/SuramericAlba/ (n)PCI/*

*CONTROPIANO/ Il Manifesto / Le Monde Diplomatique / LiberaTV/*

*Radio Città Aperta/Rivista Nostra America/ Web Sibia-Liria/ Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia -onlus*




=== 5 ===

Parma, mercoledì 2 luglio 2014
alle 21 in p.le Matteotti

UCRAINA
Contro la guerra nel cuore dell'Europa, voluta dall'imperialismo USA e UE
A fianco dell'Ucraina antifascista!

Intervengono:
Manlio Dinucci - giornalista
Giulia Berdibaeva - cittadina dell'ex Unione Sovietica

Coordina:
Pier Paolo Novari - Comitato Antifascista

Organizza COMITATO ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA 
Prime adesioni:
Coord. Naz. per la Jugoslavia - Onlus
PdCI
PRC
Coordinamento Lista Tsipras di Parma
Ass. Naz. di Amicizia Italia-Cuba circolo "Celia Sanchez e Marilisa Verti"
Liberacittadinanza
Commissione Audit 



=== 6 ===

Cesena, Venerdì 4 Luglio 2014
h. 21.00 presso Federazione PdCI, Via C. Battisti 57

Incontro pubblico su: 
Ucraina: laboratorio fascista della NATO e dell’Unione Europea” 

Interverranno: 
F. Maringiò (vice-responsabile esteri Pdci)                                         
A. Martocchia (Rete dei comunisti –Bologna) 
S. Marchionni (Comitato Ucraina antifascista – Bo)
 
Promuovono: 
Partito dei comunisti italiani Cesena
Rete dei comunisti Cesena


=== 7 ===

https://www.facebook.com/events/643348609078133/

Mavhinje / Malchina (TS), domenica 6 luglio alle ore 18.00

70. obletnica požiga vasi - 70. anniversario dell'incendio del paese