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Intervista a Samir Amin in occasione della Conferenza ministeriale del Movimento dei Paesi non allineati (Algeri, 26-29 maggio 2014)
Samir Amin* | pambazuka.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
19/05/2014
Qual è la natura della sfida con cui si confrontano oggi i paesi del Movimento dei Paesi non allineati, a 60 anni dalla sua nascita, in questo mondo molto cambiato?
Viviamo in un sistema di mondializzazione squilibrata, iniqua e ingiusta. Agli uni, tutti i diritti d'accesso alle risorse del pianeta per il loro uso e persino spreco, esclusivi. Agli altri l'obbligo di accettare quest'ordine e di adattarsi alle sue esigenze, rinunciando al proprio sviluppo, finanche ai diritti elementari all'alimentazione, all'istruzione e alla salute, alla vita stessa, per ampi segmenti dei propri popoli - i nostri.
Quest'ordine ingiusto è definito "mondializzazione" o "globalizzazione".
Dovremmo anche accettare che le potenze beneficiarie di quest'ordine mondiale ingiusto, soprattutto gli Stati uniti e l'Unione europea, associati militari nella NATO, avrebbero il diritto di intervenire con la forza armata per fare rispettare i loro diritti abusivi di accedere all'uso - o al saccheggio - delle nostre ricchezze. Lo fanno con pretesti diversi - la guerra preventiva contro il terrorismo, evocata quando gli conviene. Lo fanno prendendo a pretesto la liberazione dei nostri popoli da dittatori sanguinari. Ma i fatti dimostrano che né in Iraq, né in Libia, ad esempio, il loro intervento ha permesso di restaurare la democrazia. Questi interventi hanno semplicemente distrutto gli stati e le loro società. Non hanno aperto la via al progresso e alla democrazia, ma l'hanno chiusa.
Il nostro movimento potrebbe dunque essere definito Movimento dei paesi non allineati alla globalizzazione.
Mi spiego: non siamo avversari di tutte le forme di mondializzazione. Siamo avversari di questa forma ingiusta di mondializzazione, di cui siamo vittime.
Quali risposte possono dare a questa sfida i Paesi non allineati?
Le risposte che vogliamo dare a questa sfida sono semplici da formulare nei loro grandi principi.
Abbiamo il diritto di scegliere il nostro percorso di sviluppo. Le potenze che erano e rimangono beneficiarie dell'ordine esistente devono accettare di adeguarsi alle esigenze del nostro sviluppo. L'adeguamento deve essere reciproco, non unilaterale. Non spetta ai deboli adeguarsi alle esigenze dei forti. Al contrario, è dai forti che si deve esigere che si regolino alle necessità dei deboli. Il principio del diritto è concepito per questo, per correggere le ingiustizie e non per perpetuarle. Abbiamo dunque il diritto di attuare i nostri progetti sovrani di sviluppo. Quello che i fautori della globalizzazione in atto, ci rifiutano.
I nostri progetti sovrani di sviluppo devono essere concepiti per permettere alle nostre nazioni e stati di industrializzarsi come loro intendono, con strutture giuridiche e sociali a loro scelta, che permettono quindi di raggiungere e sviluppare da noi stessi le tecnologie moderne. Devono essere concepiti per garantire la nostra sovranità alimentare e permettere a tutti gli strati dei nostri popoli di essere i beneficiari dello sviluppo, ponendo termine ai processi d'impoverimento in corso.
L'attuazione dei nostri progetti sovrani esige la riconquista della sovranità finanziaria. Non spetta a noi di adattarci al saccheggio finanziario a maggior profitto delle banche delle potenze economiche dominanti. Il sistema finanziario mondiale deve essere costretto a adattarsi a quella che è la nostra sovranità.
Spetta a noi definire insieme le vie e i mezzi di sviluppo della nostra cooperazione Sud-Sud che possano facilitare il successo dei nostri progetti sovrani di sviluppo.
Il Mpna, che rappresenta l'organizzazione internazionale più importante (117 paesi) dopo l'Onu, può influenzare le decisioni della Comunità internazionale?
Il nostro movimento può e deve agire nell'ambito dell'Onu per ricostruire i propri diritti, ridicolizzati dall'ordine della ingiusta globalizzazione. Attualmente, una auto-proclamata "Comunità internazionale" si è sostituita all'Onu. I media delle potenze dominanti non cessano di ripetere: "La Comunità internazionale pensa questo o quello, decide questo o quello". Osservando più da vicino, si scopre che la "Comunità internazionale" invocata è costituita da Stati uniti, Unione europea e due o tre paesi selezionati con cura dai primi, come ad esempio l'Arabia Saudita o il Qatar. C'è un insulto più grave ai nostri popoli che questa auto-proclamazione? Cina, Algeria, Egitto, Senegal, Angola, Venezuela, Brasile, Thailandia, Russia, Costa Rica e tanti altri non esistono più. Non hanno più il diritto di far sentire la loro voce nella Comunità internazionale.
Sì, portiamo la grande responsabilità all'interno dell'ONU, dove costituiamo un gruppo numerico importante, di esigere il ripristino dei diritti delle Nazioni unite, la sola cornice accettabile per l'espressione della Comunità internazionale.
60 anni dopo la loro creazione, i blocchi che esistevano all'epoca sono scomparsi. Il Mpna ha ancora una ragion d'essere?
Possiamo gettare uno sguardo sul nostro passato, che ci offre una bella lezione di ciò che siamo stati e che dovremmo essere nuovamente. Il Movimento dei non allineati si è costituito nel 1960, sulla via aperta dalla conferenza di Bandung nel 1955, per affermare i diritti dei nostri popoli e delle nazioni dell'Asia e dell'Africa, allora non ancora riconosciute come degne di essere partner alla pari nella ricostruzione dell'ordine mondiale.
Il nostro movimento non è stato il sottoprodotto del conflitto fra le due principali potenze dell'epoca - Stati uniti e Urss - e "della guerra fredda", come provano a farci credere. Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, l'Asia e l'Africa erano ancora in gran parte sottoposte all'odioso colonialismo. I nostri popoli erano impegnati in lotte potenti per la riconquista dell'indipendenza, con mezzi pacifici o con la guerra di liberazione se occorreva.
Avendo riconquistato la nostra indipendenza e restaurato l'esistenza dei nostri stati, ci siamo trovati in conflitto con l'ordine mondiale che si voleva imporre all'epoca. Il nostro Movimento dei paesi non allineati ha allora proclamato il diritto di scegliere i percorsi del nostro sviluppo, ha attuato questo diritto e ha forzato le potenze dell'epoca a regolarsi alle esigenze del nostro sviluppo.
Alcune potenze dell'epoca lo accettarono, altre no. Le potenze occidentali - gli Stati uniti e i paesi di quella che diventerà l'Unione europea, già associati dal 1949 alla NATO - non hanno mai nascosto la loro ostilità ai nostri progetti di sviluppo indipendente. Li hanno combattuti con tutti i mezzi a loro disposizione. Altre potenze, l'Urss in primo luogo, hanno scelto verso di noi un'altra strada. Hanno accettato e a volte anche sostenuto le posizioni del Movimento dei paesi non allineati. La potenza militare dell'Urss dell'epoca ha pertanto limitato le possibilità d'aggressione dei nostalgici del colonialismo e dei difensori sempre entusiasti dell'ordinamento internazionale ingiusto.
Possiamo dunque dire che anche se il mondo di oggi non è più quello del 1960 - constatazione di un'evidenza banale - il Movimento dei non allineati, era già 60 anni fa un movimento dei non allineati alla globalizzazione che gli si voleva imporre all'epoca.
Qualcos'altro da aggiungere?
Attendo molto la Conferenza ministeriale del Movimento dei paesi non allineati, prevista ad Algeri dal 26 al 29 maggio prossimo. È la nostra Conferenza, quella dei nostri popoli e dei nostri stati. Che si facciano avanzare le nostre posizioni per il ripristino dell'uguale diritto di tutti gli stati di contribuire alla ricostruzione di una mondializzazione giusta. Auguro loro un buon successo.
* Samir Amin è direttore del Forum mondiale del Terzo Mondo
Il presidente della Bolivia, Evo Morales, il Mercoledì ha inaugurato il vertice ministeriale XVII Movimento dei Paesi Non Allineati (NAM) ha tenuto nella città di Algeri, capitale dell’Algeria, e dove le questioni legate al terrorismo, organizzata transfrontaliera criminalità sarà affrontato, razzismo e islamofobia in alcuni paesi europei.
Secondo il ministro degli Esteri algerino Ramtan Lamamra, nei giorni 28 e 29 maggio porterà almeno 80 ministri provenienti da diversi paesi e leader delle organizzazioni regionali del NAM.
La presenza del capo dello Stato boliviano Morales risponde attualmente presiede il Gruppo dei 77 + Cina, forum internazionale il cui vertice si terrà nella città di Santa Cruz (Bolivia centrale) il 14 e 15 giugno prossimo.
L’incontro ha evidenziato l’assistenza del Ministro degli Affari Esteri del Venezuela, Elias Jaua, che usano l’occasione per denunciare le interferenze degli Stati Uniti negli affari interni del suo paese, proprio come ha fatto all’interno dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur).
Infatti, l’evento servirà anche per avviare i preparativi per la prossima riunione ministeriale che si terrà a Caracas, capitale del Venezuela, il prossimo anno 2015.
NAM è stato concepito in mezzo al crollo del sistema coloniale e la lotta di liberazione dei popoli di Africa, Asia, America Latina e in altre regioni del mondo, così come durante il culmine della Guerra Fredda che indirettamente affrontato l’Unione Sovietica e negli Stati Uniti.NAM è fattore essenziale per il processo di decolonizzazione, poi, ha portato al raggiungimento di libertà e indipendenza di molti paesi e popoli, e la formazione di decine di nuovi Stati sovrani. Anche storicamente ha svolto un ruolo chiave nel mantenimento della pace mondiale.
Gli obiettivi del forum composto da 120 paesi includono il supporto per l’autodeterminazione, l’indipendenza nazionale, la sovranità e l’integrità territoriale degli Stati e non aderenza ai patti militari multilaterali.
28. 05. 2014. - 17:54 -- MRS
La delegazione iraniana, presidente di turno del NAM, che ha ricevuto oltre 50 richieste di incontri, aveva informato dai giorni precedenti di non poterle esaudire tutte. Giovedì Zarif ha incontrato il premier algerino, Abdulmalik Silal, con la quale ha parlato di sviluppo di relazioni bilaterali precisando che Teheran non pone limiti all'ampliamento dei rapporti con Algeri. Dal canto suo Silal ha espresso compiacimento per la vicinanza tra Iran e Algeria sul tema della lotta all'estremismo ed al terrorismo. Nell'incontro con il collega serbo Ivica Dacic, invece, il nucleare e l'accordo finale con il 5+1 e' stato al centro della discussione. Il capo della diplomazia serba si e' augurato che in futuro i due paesi possano stabilire relazioni più ampie e collaborare in più settori.
La riunione dei Non Allineati affronta gli attacchi al Venezuela e a Cuba
Prensa Latina 28.5 - Il blocco a Cuba e le aggressioni contro il Venezuela da parte degli Stati Uniti e la crisi nella Palestina occupata sono tra i temi del programma della riunione dei Ministri degli Esteri del Movimento Non Allineati (MNOAL) che è iniziato oggi ad Algeri. La delegazione di Cuba presenterà di nuovo il caso del blocco economico degli Stati Uniti e respinto in decine di occasioni dall'ONU, mentre il Ministro degli Esteri venezuelano, Elías Jaua, ha annunciato che parlerà delle aggressioni di Washington contro il Governo costituzionale del presidente Nicolás Maduro.
<< la nostra rete di piccole associazioni unisca le proprie forze e intervenga con alcuni progetti mirati in aree rurali nella ricostruzione di spazi pubblici devastati, quali scuole o ambulatori pubblici. (…) Proponiamo che siano i nostri tradizionali referenti nei Balcani a fornirci le indicazioni dei progetti che potremo realizzare, >>
progetti tra i quali sceglieremo in base all'ammontare dei fondi raccolti e privilegiando quelle aree di destinazione (non necessariamente della Rep. di Serbia, ma ad es. anche della Bosnia-Erzegovina) che meno stanno beneficiando degli interventi "istituzionali" già in corso.
Oltre a NBMSC e CNJ hanno già aderito anche le associazioni ABC Solidarietà e Pace di Roma e Zastava di Brescia.
Il conto corrente di riferimento per ricevere i contributi è quello di Non Bombe ma Solo Caramelle ONLUS:
IBAN: IT18E0892802202010000021816
Suggeriamo di indicare nel versamento la seguente causale: Erogazione liberale per emergenza alluvione (seguito dal nome e cognome).
I fondi eventualmente inviati con analoga causale a CNJ-onlus saranno girati sul conto di NBMSC-onlus.
Raccomandiamo di conservare copia cartacea del bonifico effettuato perchè questi versamenti sono deducibili dalla dichiarazione dei redditi.
(…) Stiamo collaborando con la Comunita’ Serba Ortodossa di Trieste, che fino ad ora e’ riuscita a spedire otto camion da 80 metri cubi ciascuno, inviando materiale di tutti i tipi (cibo, prodotti per l’igiene personale e la disinfezione, letti, materassi, vestiario, scarpe, giocattoli). Questi materiali sono stati inviati ai centri di raccolta istituiti dai governi di Serbia e Bosnia.
Sono stati anche raccolti a Trieste circa 25.000 euro.
Anche il denaro raccolto sara’ distribuito in parte in Serbia e in parte in Bosnia.
Le stime dei danni economici in Serbia e Bosnia sono catastrofiche: si possono calcolare in maniera approssimativa in 1,5-2 miliardi di euro per la Serbia (7% del Pil) e in 1,3 miliardi di euro per la Bosnia (circa 10%).
(…) Venerdi’ 30 maggio e’ partito da Trieste un convoglio di quattro furgoni (con persone di cui abbiamo la piu’ completa fiducia) per la distribuzione di aiuti nei paesi piu’ isolati e danneggiati in Bosnia e Repubblica serba di Bosnia. Questo convoglio ha ricevuto l’autorizzazione anche per la distribuzione di medicinali e noi abbiamo contribuito con quelle poche medicine che avevamo ancora a disposizione, cinque scatoloni che non eravamo riusciti a portare con noi a Kragujevac nel nostro viaggio di inizio aprile scorso.
Questo convoglio tornera’ a Trieste domani 2 giugno e il viaggio sara’ replicato venerdi’ prossimo 6 giugno.
Per quel viaggio contribuiremo con molti medicinali: ieri ce ne sono arrivati da Torino 3 metri cubi raccolti dalla associazione degli adottanti di quella citta’ insieme a quasi 2 metri cubi di materiale scolastico, e martedi’ prossimo ce ne saranno consegnati 18 scatoloni che ci sono stati spediti dalla ONLUS Le Medicine di Grottaferrata.
(fonte: Gilberto Vlaic)
Alluvioni in Serbia, i morti salgono a 51
Il premier Vucic stila il bilancio e stronca le polemiche ma Obrenovac resta allagata. Due arresti per gli allarmismi sul web
di Stefano Giantin
BELGRADO. Ci sono voluti giorni, perché ancora dovevano essere compiute le autopsie sui corpi recuperati. Ma alla fine il bilancio praticamente definitivo della tragedia delle inondazioni in Serbia è arrivato. Ed è un bilancio di vite umane pesante, quello letto dal premier di Belgrado, Aleksandar Vucic, ieri pomeriggio al Parlamento serbo durante un “question time” straordinario. Vucic ha spiegato che solo in Serbia ventiquattro sono i morti annegati durante l’alluvione, in gran parte a Obrenovac, tra cui un pompiere. Ventisei - la singolare distinzione fatta poi dal leader serbo -, sono invece le persone decedute «per cause naturali» nelle aree colpite dal disastro. Una persona è invece perita per uno smottamento del terreno. In tutto, 51 vittime accertate, mentre quattro rimangono ancora “missing”.
«Speriamo che questa sia la cifra finale», ha auspicato il primo ministro serbo. Qualche dubbio rimane, dato che «l’otto per cento» della superficie di Obrenovac, la città più colpita in Serbia, rimane ancora allagata. Obrenovac dove solo una sirena d’allarme avrebbe funzionato nella notte del disastro, ha informato Vucic, ma in città i soccorritori sono intervenuti «entro 90 minuti» dall’innalzamento del livello dell’acqua, la puntualizzazione. Il premier ha difeso a spada tratta l’opera delle autorità prima e durante l’emergenza. «Nessuno può dire che non abbiamo dato tutto», ha ribadito. La situazione era tale che ci siamo comportati nel migliore dei modi, tenuto conto delle dimensioni della catastrofe, ha ripetuto, rispondendo alla ridda di accuse sulla gestione dell’emergenza, in particolare a Obrenovac, municipalità il cui presidente, Miroslav Cuckovic, incolpato da più parti di non aver ordinato in tempo l’evacuazione, è stato ascoltato ieri per sette ore dalla polizia.
E dubbi e polemiche ha sollevato sempre ieri in Serbia la notizia della detenzione di tre persone denunciate per aver «causato panico» via Facebook. Avevano nei loro post parlato di centinaia di vittime a Obrenovac. I tre sono stati poi rilasciati, ma il procedimento contro di loro andrà avanti. Mercoledì l’Osce, criticata per questo da Vucic, aveva espresso preoccupazione per le presunte interferenze delle autorità sui media online e sul dibattito pubblico via web.
Rimane fermo invece a 24 il bilancio, ancora ufficioso, delle vittime in Bosnia, colpita da alluvioni «di proporzioni bibliche» che hanno creato «i maggiori danni» al Paese «dal tempo della guerra», ha ricordato Kristalina Georgieva, commissario Ue alla cooperazione internazionale. Bosnia dove, in collaborazione con la Banca mondiale, l’Onu e l’Unione europea, è iniziata finalmente la conta più precisa dei danni. Per ora valgono le cifre, seppur approssimative, rese note dal Consiglio dei ministri bosniaco, che ha parlato di 100mila alloggi danneggiati in misura diversa, 20mila abitazioni allagate, 40mila evacuati, almeno 2.600 persone la cui casa è andata irrimediabilmente distrutta, 2mila le frane e gli smottamenti, un migliaio solo nell’area di Tuzla. Numeri che fanno intuire le proporzioni del disastro.
Un disastro anche economico. Si possono calcolare in maniera approssimativa in 1,5-2 miliardi di euro per la Serbia (7% del Pil) e in 1,3 miliardi di euro per la Bosnia (circa 10%) i danni causati dall’alluvione, ha fatto sapere sempre ieri la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers). Da non dimenticare poi la Croazia, due morti, 15mila sfollati. Nazioni in difficoltà che vanno aiutate con donazioni, come auspicato ieri da Franco Iacop, presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. E con uomini e mezzi. Così, una colonna composta da 30 volontari, 4 funzionari e 11 mezzi della Protezione civile del Fvg e 2 veicoli con 6 volontari del Molise è partita ieri da Palmanova alla volta di Bijeljina, in Bosnia. «Voi - ha detto l’assessore regionale alla Protezione civile, Paolo Panontin - rappresentate l’Italia in una terra che ha richiesto il nostro intervento. Con il consueto orgoglio e le elevate capacità operative che contraddistinguono la Protezione civile del nostro Paese sarete in grado di aiutare le migliaia di persone in difficoltà», in una delle tante aree dei Balcani martoriate dalle alluvioni.
30 maggio 2014
Jacques-Marie Bourget | resistir.info - afrique-asie.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
16/05/2014
Annie Lacroix-Riz fa pensare ad Eric Hobsbawm, il gigante inglese della storia, specialista delle nazioni e del nazionalismo. Ad esempio, nel 1994 questo scienziato scrisse "Il Secolo breve", un libro che vi inchioda alla verità, come Archimede nell'istante in cui grida "Eureka". Per Hobsbawm, il XX secolo non è durato cento anni ma appena 75, dal 1914 al 1991. Prima della "Grande guerra", il XIX secolo finiva il suo tempo calpestando il subentrante e dopo la "Guerra del Golfo", il XXI stava già bussando. Lo storico inglese se la prende con i calendari, anche se ha il suo modo di aggiornarli. E che ne è stato di questo libro da tenersi sempre in valigia in caso di partenza? In Francia niente. C'è voluta una traduzione di Le Monde Diplomatique per rendere disponibile il saggio di Hobsbawm. A Parigi, la cricca che cura la pubblicazione dei libri di storia non se la sentiva di riportare il punto di vista del britannico, da loro scartato poiché marxista, dunque "preistorico" e inevitabilmente complice dei gulag.
Annie Lacroix-Riz vive uguale disavventura nel seno stesso di una "comunità" ridotta al chiacchericcio, quella dei nostri storici ufficiali che scrivono le loro opere in diretta televisiva, seduti sulle ginocchia di Bernard Henri Lévy. In generale hanno un passato di duri militanti del PCF e come tutti i convertiti, sono diventati dei Savonarola. Tanto peggio, la ricercatrice ha una buona reputazione nel resto del pianeta e presso gli anglosassoni, anche fra i suoi colleghi più reazionari. Ciò che questi ricercatori apprezzano è la capacità di lavoro di questa signora, che mangia un tramezzino negli archivi e finisce anche per dormirci. Legge tutto in tutte le lingue, con Lacroix-Riz entriamo nella brutalità dei fatti, le sue citazioni fanno dei lettori i testimoni della storia.
Ha appena pubblicato un libro di cui, siatene in certi, non sentirete parlare mai: "Aux origines du carcan européen (1900-1960)" [Alle origini della soggezione europea (1900-1960)], edizioni Le Temps des Cerises. In questo periodo di votazioni, le sue parole hanno un senso. Richiamiamo alla mente il postulato che giustifica l'Unione come una prova: "L'Europa è il mezzo per evitare la guerra"… In alcune frasi, Lacroix-Riz lo riprende rievocando le guerre jugoslave, le divisioni violente e il dramma esemplare dell'Ucraina di oggi. Il movente è sempre lo stesso: per promuovere i loro interessi, gli Stati Uniti continuano ad utilizzare l'Europa come uno strumento. Questa volta per combattere la Russia.
Il lavoro della storica francese risale alla fonte di questo schema, di quella che si potrebbe chiamare "Euramerica". Perché il germe o l'uovo di questa Europa odierna precede di molto le strette di mano di De Gaulle o Mitterrand coi cancellieri tedeschi. Al termine del libro, il bilancio delle ricerche: l'Europa non è niente altro che una successione di opportune intese tra i grandi gruppi finanziari tedeschi e francesi, con gli Stati Uniti che badano al rispetto del contratto matrimoniale. All'inizio è un idillio nascosto, nella fase più brutale della guerra del 1914. Un conflitto che avrebbe ucciso gli uomini, ma fatto prosperare l'industria. Così, ci ricorda Lacroix-Riz, nell'agosto 1914, dopo l'entrata dei tedeschi a Briey, fu preso un accordo segreto per "non bombardare" gli stabilimenti del signor De Wendel. Cartelloni con scritto "da proteggere" furono affissi affinché nessun furfante potesse danneggiare il sacro patrimonio di questa famiglia. Altro esempio di intesa molto cordiale fu quello di Henry Gall e del suo trust chimico Ugine. Questi, tramite la sua fabbrica svizzera di Lonza, fornirà tutta la sua produzione elettrica e i prodotti chimici necessari alla Germania per fabbricare armi terribili come la cianammide. Tra le imprese, durante la guerra continua la pace.
Altra dimostrazione di questa strategia transfrontaliera, è l'invalidazione del trattato di Versailles. Quest'ultimo, che metteva fine alla guerra del 1914 e costringeva la Germania alle sanzioni, fu accuratamente sabotato dagli Stati Uniti che temevano "l'imperialismo" di una Francia troppo forte e troppo laica. Il 13 novembre 1923, Raymond Poincaré è costretto a cedere alle pressioni di Washington. L'accordo è il seguente: vi ritirate dalla Ruhr, accettate un Comitato di esperti e di finanzieri americani, e noi cessiamo di speculare contro il vostro franco. E' il Segretario di Stato Hugues a presentare l'ultimatum in nome del banchiere JP Morgan, la stessa banca che oggi troviamo all'origine della crisi finanziaria mondiale. In questo ukase [editto] di oltre Atlantico, si ritrova la mano nascosta che, poco a poco, plasmerà l'Europa così come la conosciamo.
Ecco un aneddoto. Nell'agosto 1928, quando Raymond Poincaré propone a Gustav Stresemann, il ministro degli Esteri tedesco (che nel 1923 fu per breve tempo cancelliere), di fare "fronte comune" contro "la religione americana del denaro e i pericoli del bolscevismo", questi rifiuta. Per Lacroix-Riz, Stresemann è un "padre dell'Europa" decisamente misconosciuto, la pedina delle banche di Wall Street e proprio di JP Morgan o Young. Nel 1925, all'epoca della firma del patto di Locarno, che ridisegna l'Europa dopo la guerra, è lo stesso Stresemann ad essere proposto da Washington come grande architetto, mentre Aristide Briand e la Francia poggiano le natiche sul bordo di uno strapuntino. Stresemann firma ciò che egli segretamente considera un "pezzo di carta ornato di numerosi francobolli". Il governo del Reich ha già firmato degli accordi segreti coi nazionalisti stranieri amici. Stresemann sa che questo patto è superato sin dalla nascita, tuttavia, quando Hitler busserà alla porta, "Locarno" resterà parola sacra nei discorsi della destra politica, un sinonimo di pace mentre è soltanto una maschera del nazismo.
La perdita del controllo francese sulla Ruhr è allora occasione per firmare la vera pace, quella degli affari. E' la nascita della "Intesa internazionale dell'acciaio" che darà il "Pool carbone-acciaio", vale a dire la nostra Europa realizzata nelle banche. La Germania ottiene il 40,45% dell'Intesa, la Francia il 31,8%: la guerra è finita e un'altra può cominciare. E questa arriva. Nel 1943, Stati Uniti e Inghilterra mettono a punto lo "statuto monetario", che dovrà entrare in vigore alla fine del conflitto. Il vincitore, gli Stati Uniti, "imporrà alle nazioni aderenti l'abbandono di una parte della loro sovranità per fissare le parità monetarie". Questo auspicio ha impiegato un po' di tempo per realizzarsi, ma col ruolo giocato oggi dalle agenzie di notazione [rating] e con l'obbligo che hanno gli Stati dell'Europa di chiedere prestiti solamente sul mercato privato, il piano è finalmente rispettato.
Il 12 luglio 1947 si apre a Parigi la "Conferenza dei sedici". I cannoni nazisti sono ancora caldi quando Germania e Stati Uniti piangono di nuovo sul destino della Ruhr. Cosicché, a margine della Conferenza, anglo-americani e tedeschi tengono riunioni parallele per fare la pelle ai desiderata della Francia. Per una volta, Parigi tiene botta. Furiosi, gli americani mandano un emissario per "riscrivere il rapporto generale della Conferenza". Con buonsenso. In particolare, sono sei i punti dettati da Clayton, il Segretario di Stato al Commercio. Riassumono il programma commerciale e finanziario mondiale, dunque europeo, di Washington. Gli Stati Uniti esigono l'istituzione di una "organizzazione europea permanente incaricata di esaminare l'esecuzione del programma europeo". Questo dispositivo sarà l'Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OECE), che anticipa la "nostra" Europa. E Charles-Henri Spaak, primo presidente dell'OECE, è solamente un cancelliere che applica le consegne americane.
In quanto ai "padri dell'Europa", gli eroi che oggi celebriamo nelle votazioni europee, è indispensabile leggere Lacroix-Riz se non si vuole esserne i figli. Jean Monnet? Dapprima riformato nel 1914, commerciante di alcolici durante il proibizionismo, fondatore della Bancamerica a San Francisco, consigliare di Tchang Kai-Chek per il conto degli americani. Poi, a Londra nel 1940, Monnet rifiuta di aderire alla Francia Libera per diventare, nel 1943, l'inviato di Roosevelt presso il generale Giraud… Ecco un uomo dal profilo ideale per mettere in piedi un'Europa libera. In questo gioco di famiglia, volete un altro "padre"? Eccovi Robert Schuman, un'altra icona. Un dettaglio della vita dell'eroe basta a qualificarlo. Nell'estate 1940, vota i pieni poteri a Pétain e come premio accetta di far parte del suo governo. Dopo la guerra, Schuman sarà messo in penitenza, che è una prassi ordinaria per un tale buon cattolico. Poi, dimenticato il passato, spingerà per una Euro-America capitalista, cristiana che si sviluppi sotto la serra della NATO.
Prima [e dopo] le votazioni "europee" del 25 maggio, va letto "Aux origines du carcan européen"", un libro che lascia il re nudo. Quelli che, come François Hollande, sono convinti che "Lasciare l'Europa è lasciare la storia", potranno costatare che il presidente dice la verità, in quanto va abbandonata una storia scritta dai banchieri americani.
La Nato spinge l’Ue nella nuova guerra fredda
È stato il generale Usa Philip Breedlove – il Comandante supremo alleato in Europa, nominato come sempre dal presidente degli Stati uniti – a enunciare il punto di svolta: «Siamo alla decisione cruciale di come affrontare, nel lungo periodo, un vicino aggressivo». Ossia la Russia, accusata di violare il principio del rispetto delle frontiere nazionali in Europa, destabilizzando l’Ucraina come stato sovrano e minacciando i paesi della regione orientale della Nato. La predica viene dal pulpito di una alleanza militare che ha demolito con la guerra la Jugoslavia, fino a separare anche il Kosovo dalla Serbia; che si è estesa a est, inglobando tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, due della ex Jugoslavia e tre dell’ex Urss; che è penetrata in Ucraina, assumendo il controllo di posizioni chiave nelle forze armate e addestrando i gruppi neonazisti usati nel putch di Kiev.
Significativo è che alla riunione dei capi di stato maggiore dei paesi Nato, il 21 maggio a Bruxelles, abbia partecipato anche il generale Mykhallo Kutsyn, nuovo capo di stato maggiore ucraino. E il segretario generale della Nato Rasmussen, a Skopje, ha assicurato che «la porta dell’Alleanza rimane aperta a nuovi membri», come la Macedonia, la Georgia e naturalmente l’Ucraina. Continua dunque l’espansione a est. La Nato, avverte il Comandante supremo in Europa, deve intraprendere un «adattamento strategico per affrontare l’uso da parte russa di improvvise esercitazioni, ciber-attività e operazioni coperte».
Ciò «costerà denaro, tempo e sforzo». Il primo passo consiste nell’ulteriore aumento della spesa militare, già oggi superiore ai 1000 miliardi di dollari annui: a tal fine il segretario Usa alla difesa Chuck Hagel ha annunciato un incontro, dei ministri di difesa e finanze, il cui scopo è spingere gli alleati europei ad accrescere la spesa militare.
Lo scenario dell’«adattamento strategico» Nato va oltre l’Europa, estendendosi alla regione Asia-Pacifico. Qui – sulla scia degli accordi russo-cinesi, che vanificano le sanzioni occidentali contro la Russia aprendole nuovi sbocchi commerciali a est – si prefigura una unione economica eurasiatica in grado di controbilanciare quella Usa-Ue, che Washington vuole rafforzare con la partnership transatlantica per il commercio e gli investimenti.
Gli accordi siglati a Pechino non si limitano al gas, ma riguardano anche settori ad alta tecnologia. È in fase di studio il progetto di un aereo di linea che, prodotto da una joint venture russo-cinese, farebbe concorrenza ai Boeing Usa e all’europea Airbus. Un altro progetto riguarda la costruzione di un super-elicottero in grado di trasportare un carico di 15 tonnellate.
La questione di fondo, ignorata nella campagna delle elezioni europee, è se l’Ue debba seguire gli Usa nell’«adattamento strategico» della Nato che porta a un nuovo confronto Ovest-Est non meno pericoloso e costoso di quello della guerra fredda, oppure debba svincolarsi per intraprendere un cammino costruttivo respingendo l’idea di gettare la spada sul piatto della bilancia, accrescendo la spesa militare, per conservare un vantaggio che l’Occidente vede sempre più diminuire.
L’unico segnale che viene dalla Ue è un insulto all’intelligenza: la Commissione europea ha deciso che, dal 2014, nel calcolo del pil la spesa per sistemi d’arma sia considerata non una spesa ma un investimento per la sicurezza del paese. Per aumentare il pil dell’Italia investiamo dunque negli F-35.
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58793
http://www.wsws.org/en/articles/2014/05/26/ukra-m26.html
Billionaire oligarch declared winner in Ukraine elections
By Thomas Gaist
26 May 2014
Oligarch Petro Poroshenko was declared the winner of presidential elections held in Ukraine on Sunday. According to exit polls, the billionaire pro-European Union “chocolate king” had about 56 percent of the vote, far ahead of fellow oligarch and former prime minister, Yulia Tymoshenko.
The aim of the poll was to provide a semblance of political legitimacy to the right-wing regime installed three months ago with US and EU support, and backed by fascistic forces. Wide sections of the population boycotted the elections, particularly in the east and the south, where many polling stations were closed. The poll was conducted under conditions of mounting violence and intimidation directed at opponents of the Kiev government.
While the Ukrainian regime and its supporters declared the election a great success, turnout was low, at only 55 percent across the country.
In an effort to guide the election, the Obama administration sent observers, led by former Secretary of State Madeleine Albright. On Friday, a US Navy missile cruiser arrived in the Black Sea, underscoring the active involvement of US military and intelligence agencies in the country.
US President Barack Obama quickly declared the election a success, calling it an “important step forward in the efforts of the Ukrainian government to unify the country”—a reference to the new government’s hostility to the separatist and pro-Russian movements in the east, where the population is majority-Russian speaking.
In the weeks preceding the election, Poroshenko emerged as the consensus candidate among forces in the Ukrainian ruling class favoring closer relations with the EU and the imposition of deep austerity measures against the working class. He received the endorsement of former boxing champion Vitali Klitschko, who was elected mayor of Kiev.
Poroshenko is a veteran political operator in Ukraine who served for five years as the head of the Council of Ukraine’s National Bank. He is the owner of the Roshen Confectionary Corporation, with a net worth of some $1.3 billion, and was also a chief financial supporter of the 2004 western-backed “Orange Revolution.”
Poroshenko’s task will be to continue the integration of Ukraine into the EU, the issue that made previous President Victor Yanukovych a target of US and German imperialism. Poroshenko has vowed to complete an economic and political association agreement with the EU initiated in March, committing the country to harsh austerity measures in the guise of “reforms.” Signing the second part of the agreement was deliberately put off until after the polls so that the unpopular measures it mandates would not become an election issue.
Before casting his ballot, Poroshenko stressed the importance of fostering “a very good investment climate” in Ukraine, and adopting “all the necessary things to attract business.”
While saying that stability in Ukraine requires some sort of dialogue with Russia, Poroshenko also insisted that he does not recognize the annexation of Crimea by Russia or the independence of the eastern provides of Donetsk and Lugansk, which have declared themselves to be autonomous.
The second-place position in the election went to Yulia Tymoshenko, the billionaire natural gas oligarch, who received about 13 percent of the vote according to preliminary results. Tymoshenko, whose 7 year-prison sentence was commuted in the wake of the US-backed February putsch, responded to Poroshenko’s victory by calling for national unity and for a referendum on Ukraine’s accession to NATO.
In the weeks preceding the poll, Right Sector forces beat, intimidated and killed members of the Borotba (“Struggle”) group and the Communist Party of Ukraine (KPU). Oleg Tsarev, of Yanukovych’s Party of the Regions, was beaten by right-wing forces as well. Both Tsarev and the KPU candidate withdrew from the elections and called for a boycott.
While the new regime has relied on fascistic forces as the shock troops of the “revolution” and to terrorize political opposition, popular support for these groups is very low, in both the east and the west. Svoboda Party leader Oleg Tyahnybok received only 1.3 percent of the vote, and Right Sector head Dmitry Yarosh received 1.1 percent.
The election was held under deepening civil war conditions, particularly in the east. The sham character of the election was exposed by the mass boycott by millions in the industrial and largely Russian-speaking sections of the country. There were also reports of separatist forces taking control of ballots or shutting down polling stations.
The Ukrainian Central Elections Commission found that turnout in the Donetsk region was barely more than 12 percent. According to sources cited by Ria Novosti, elections did not take place at all in 23 of Donetsk’s cities.
Even as the elections have proceeded, these areas have been subjected to occupation and bombardment by regime forces. Video footage surfaced on Friday showing Ukrainian ultranationalist forces attacking Ukrainian regulars who had refused to fire on civilians and separatist groups. Clashes were still occurring near Slavyansk on Saturday, with an Italian journalist and his Russian colleague killed in the crossfire.
Prime Minister Arsieniy Yatsenyuk made clear that repression against the population in the east, where hostility to the quasi-fascist regime in Kiev is especially strong, will continue in the days ahead. “I would like to assure our compatriots in Donetsk and Luhansk regions, who will be prevented from coming to the polling stations by the war waged against Ukraine: The criminals don't have much time left to terrorize your land.”
Fearing that the increasingly explosive situation in Ukraine may catalyze an upsurge of opposition against his own government, Russian President Vladimir Putin has responded to the elections with a number of conciliatory statements.
Putin declared that he is prepared to work with whoever wins the election, despite what he described as “chaos and full blown civil war.”
Putin signaled his desire to forge a compromise with US imperialism and de-escalate the crisis. “Despite our varying, maybe diametrically non-overlapping approaches in assessing critical situations, we nevertheless continue cooperation,” Putin said. “They [the US] have not suspended military cargo transit to and from Afghanistan via our territory, because it is convenient for them. As a matter of fact, we have not refused it, either,” he added.
Deutsche Außenpolitik-Experten plädieren in einem PR-Projekt des Auswärtigen Amts für eine "neue Abschreckungspolitik gegenüber Russland" und sagen dem "Vielvölkerstaat" wegen separatistischer Bestrebungen in einigen Regionen eine "Zerreißprobe" voraus… (GFP 20.05.2014)
By Mahdi Darius Nazemroaya - Global Research, May 12, 2014
http://www.globalresearch.ca/welcome-to-nulandistan-a-videographic-essay-of-what-the-us-and-eu-have-unleashed-on-ukraine/5381838
Il Primo ministro ucraino, Arseniy Yatsenyuk, sarà ricevuto mercoledì prossimo dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel, a Berlino, insieme ai capi di governo di Georgia e Moldavia in un evidente tentativo di stringere il cerchio attorno alla Russia strumentalizzando i sentimenti antirussi diffusi in quei paesi – e sostenuti da conflitti territoriali con Mosca - governati da tempo da una classe dirigente selezionata e imposta dall’Unione Europea e dalla Nato.
Il leader golpista ucraina Yatsenyuk, il Primo ministro georgiano Irakli Garibashvili e il loro omologo moldavo, Iurie Leanca, saranno ricevuti ad una cena per fare il punto sulla situazione nella regione, ha spiegato Christiane Wirtz, portavoce aggiunta del governo tedesco.
Non a caso l’incontro è stato convocato appena dopo le elezioni presidenziali di domani in Ucraina che nelle intenzioni dei golpisti dovrebbero legittimare il loro potere.
Intanto però proprio in Germania tiene banco una polemica che nel resto dell’Unione Europea non ha avuto finora cittadinanza. Una polemica sul ruolo che il governo tedesco ha avuto nella destabilizzazione dell’Ucraina e poi nel golpe che ha estromesso il precedente governo imponendone uno fedeli agli interessi di Bruxelles e Washington. Nei giorni scorsi era stata la grande stampa tedesca, e in particolare il Bild, a confermare che nel paese scosso dalla guerra civile operano alcune centinaia di mercenari della multinazionale statunitense Academi, a cui la giunta ha fatto da subito ricorso dopo il golpe per tantare di prendere il controllo di alcune delle aree del sud est del paese non troppo inclini ad accettare un governo xenofobo e ultranazionalista. Che gli Stati Uniti abbiano avuto un ruolo di primo piano nel regime change cruento di Kiev è risaputo. Ma che anche l’Unione Europea abbia partecipato alla partita continua ad essere negato o sottovalutato anche dalla stampa progressista o euroscettica. Eppure non sono pochi i politici o gli “intellettuali mercenari” europei – basti pensare a Daniel Cohn Bendit e al suo compare Bernard Henry Levy – che hanno attivamente sostenuto EuroMaidan anche facendo la spola con Kiev dove hanno incitato la piazza nazionalista a disfarsi del governo e ad aderire alle “magnifiche sorti” della democrazia e della libertà targati Bruxelles. E poi sostenendo le sanzioni contro la Russia, e l'inclusione di Kiev nel meccanismo militare e di sicurezza dell'Ue, e in certi casi - l'italiana Pinotti - promettendo ai golpisti ucraini truppe in caso di bisogno.
Non è un caso che proprio all'interno della Germania sorga il dubbio che dietro i fatti di Kiev ci sia lo zampino del governo tedesco e dei suoi apparati. Nei giorni scorsi alcuni parlamentari di Berlino, eletti nelle liste della Linke (Sinistra) hanno infatti chiesto al governo di Frau Merkel di ordinare «un'inchiesta indipendente sulla presenza di mercenari in Ucraina» esprimendo la loro inquietudine sull’uso di eserciti privati nella guerra civile in corso nel paese. Inoltre, ed è questo che ci preme sottolineare, i deputati della sinistra tedesca hanno anche chiesto di sapere «se la Germania ha preso parte in qualche modo alla ribellione e al successivo conflitto». Non si tratta di una polemica strumentale o ‘elettorale’. Alla loro richieste i deputati della Linke accludono una serie di documenti e di fatti: «La Cdu ha sostenuto ufficialmente il leader della rivolta Vitali Klichko; il primo dicembre 2013 il presidente del parlamento europeo Martin Schulz ha pronunciato un discorso anti-governativo a Maidan; il 7 dicembre il presidente della commissione degli Esteri dell'europarlamento, Elmar Brok, ha pronunciato un discorso a Maidan in favore di Iulia Tymoshenko; il 29 gennaio Elmar Brok ha tenuto una conferenza stampa al fianco di Klichko in cui si chiedevano le dimissioni del presidente Viktor Yanukovich; il 27 febbraio tre ministri tedeschi hanno negoziato e poi firmato un accordo politico tra il Yanukovich e l'opposizione di Maidan, accordo che è servito a coprire il colpo di Stato; il 25 aprile quattro ufficiali tedeschi che lavoravano per l'Osce sono stati arrestati mentre compivano azioni fuori dal loro mandato nell'est dell'Ucraina, e successivamente cacciati dal Paese».
Non è un segreto che uno dei tre attuali partito di governo a Kiev, Udar, sia stato partorito grazie all'intervento della Fondazione Adenauer della Cdu tedesca e che il suo leader, l'ex campione di pugilato Klichko abbia la doppia cittadinanza ucraino-tedesca. Non è neanche da dimenticare quanta pressione abbia esercitato il governo tedesco negli ultimi anni affinché la leader del partito Patria, Yulia Timoshenko, in galera per appropriazione indebita e malversazione, fosse scarcerata prima di aver compiuto la sua condanna. Cosa verificatasi proprio in occasione del golpe di fine febbraio.
Siamo stati giustamente abituati, viste le vicende degli ultimi decenni, ad associare l’imperialismo, i colpi di stato, i complotti per liberarsi di governi scomodi alla politica estera statunitense. Ma è il caso di aggiornare la propria griglia di lettura della realtà, perché l’imperialismo ormai parla anche tedesco e l’Unione Europea persegue una propria espansione ad est e a sud esattamente come Washington ha sempre fatto nel suo ‘cortile di caso’. Costi quel che costi.
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58871
Wie Verheugen in einem Offenen Brief an den ehemaligen Bundeskanzler Helmut Schmidt (SPD) schreibt, sei es falsch, vor allem die Ukraine-Politik der EU-Kommission zu kritisieren. Schmidt hatte dies getan. "Noch immer sind die Mitgliedstaaten die Herren aller Verträge", stellt Verheugen fest: "Die entscheiden, nicht die Kommission." Eine besondere Rolle in puncto Ukraine habe dabei die Bundesregierung gespielt.[1]
Verheugen ruft in Erinnerung, dass "der Weg zur Assoziierung der Ukraine" im Juni 2007 "unter deutscher EU-Präsidentschaft ... eingeschlagen" wurde. "Unter Vorsitz der deutschen Bundeskanzlerin Merkel" sei der Kommission der Auftrag zu Assoziierungsverhandlungen erteilt worden, berichtet Verheugen, der noch bis 2010 als EU-Kommissar tätig war. Im Juni 2008 sei die "Östliche Partnerschaft" initiiert worden - "formell von Polen und Schweden", tatsächlich jedoch unter ausdrücklicher Befürwortung Deutschlands. Die Unterzeichnung des bereits im März 2012 paraphierten Assoziierungsabkommens sei "informell im Mai 2012, offiziell im Dezember 2012" von den EU-Außenministern verweigert worden, obwohl sie damals noch "völlig unstrittig mit Moskau" gewesen sei. Grund (mit Einwilligung des deutschen Außenministers): die Inhaftierung der Ex-Oligarchin Julia Timoschenko, einer Parteigängerin der NATO-Staaten.
Auch den "sogenannten Euro-Maidan" haben, wie Verheugen in Erinnerung ruft, weniger EU- denn vielmehr nationale Politiker unterstützt - an vorderster Stelle der deutsche Außenminister -, ohne zu berücksichtigen, "dass es sich weder um eine landesweite noch um eine homogene Bewegung handelte". Auch hätten sie die nach Janukowitschs Sturz an die Macht gelangte neue Regierung "ohne Not ... sofort rückhaltlos unterstützt", obwohl diese "noch nicht einmal im eigenen Land das Vertrauen der Mehrheit genießt, antirussisch ist und ihr völkisch gesinnte Kräfte angehören". Der ehemalige EU-Kommissar weist darauf hin, dass die Spitzenpolitiker der EU-Mitgliedstaaten damit "die schwerste Krise in Europa in diesem Jahrhundert mit ausgelöst" haben. Verheugen resümiert: "Ein Gutteil der Verantwortung dafür liegt in Berlin."
[1] Zitate hier und im Folgenden: Verheugen zur EU-Russlandpolitik: Warum Helmut Schmidt irrt. www.spiegel.de 19.05.2014.
RÉSEAU VOLTAIRE | 15 MAI 2014
Si nos lecteurs ont été informés dès les 3 et 4 mars de la présence de mercenaires israéliens et états-uniens à Kiev [1], les lecteurs de l’hebdomadaire Bild am Sonntag ont pu observer le 9 mars 2014 une vidéo montrant des employés d’Academi (voir https://www.youtube.com/watch?v=1VFMAIv8yvA ).
Les parlementaires ont exprimé leur inquiétude face à la privatisation de la guerre et ont exigé de savoir si oui ou non les autorités allemandes participent à ces opérations.
Cette question est d’autant plus importante que :
• Le parti de la chancelière Angela Merkel, la CDU, soutient officiellement le leader Vitali Klitchsko.
• le 1er décembre 2013, le président du Parlement européen Martin Schulz venait prononcer un discours anti-gouvernemental sur la place Maidan.
• Le 4 décembre, le ministre allemand des Affaires étrangères Guido Westerwelle venait apporter son soutien aux manifestants de la place Maidan.
• Le 7 décembre, le président de la Commission des Affaires étrangères du parlement européen, Elmar Brok, venait prononcer un discours sur la place Maidan en faveur de Iulia Tymoshenko.
• Le 29 janvier 2014, Elmar Brok se présentait à la presse aux côtés de Vitali Klitschko et demandait le départ du président Ianoukovytch.
• Le 27 février, les trois ministres du Triangle de Weimar, dont Guido Westerwelle, négociaient et signaient un accord politique entre le président Ianoukovytch et l’opposition de Maidan. Cependant, cet accord servait à couvrir le coup d’État qui intervint dans les heures suivantes alors que le président Ianoukovytch se rendait en province.
• le 25 avril, quatre officiers allemands travaillant à l’OSCE se sont rendus en dehors de leur mandat à l’Est du pays où ils ont été arrêtés pour espionnage par les fédéralistes et retenus durant une semaine.
[1] « Des soldats israéliens étaient camouflés place Maidan », Réseau Voltaire, 3 mars 2014 [ http://www.voltairenet.org/article182432.html ]. Et « Des mercenaires US déployés au Sud de l’Ukraine », Réseau Voltaire, 4 mars 2014 [ http://www.voltairenet.org/article182466.html ].
By Bill Van Auken / WSWS - 22 May 2014
By Alex Lantier / WSWS - 22 May 2014
http://www.globalresearch.ca/welcome-to-nulandistan-a-videographic-essay-of-what-the-us-and-eu-have-unleashed-on-ukraine/5381838
John Pilger | johnpilger.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
13/05/2014
Perché tolleriamo la minaccia di un'altra guerra mondiale nel nostro nome? Perché acconsentiamo le menzogne che giustificano questo rischio? La dimensione del nostro indottrinamento, ha scritto Harold Pinter, è un "brillante, persino arguto, atto di ipnosi di grande successo", come se la verità "non accadesse nemmeno mentre accade".
Ogni anno lo storico statunitense William Blum pubblica il suo "sommario aggiornato dei dati di politica estera USA", che mostra come dal 1945 gli Stati Uniti abbiano tentato di rovesciare oltre 50 governi, molti dei quali democraticamente eletti, abbiano grossolanamente interferito nelle elezioni di 30 paesi, bombardato le popolazioni civili di 30 nazioni, fatto uso di armi chimiche e batteriologiche e attentato alla vita di leader stranieri.
In molti casi il Regno Unito ne è stato complice. Il grado di sofferenza umana provocato, per non parlare dei crimini, è poco noto in occidente, malgrado la presenza del più sofisticato sistema di comunicazioni del mondo e del giornalismo nominalmente più libero. Che il maggior numero di vittime del terrorismo - del "nostro" terrorismo - sia di musulmani è taciuto, come è taciuto che lo jihadismo estremo, quello dell'11 settembre, sia stato nutrito come arma dalla politica anglo-statunitense (operazione ciclone in Afghanistan). Nel mese di aprile, il Dipartimento di Stato USA ha reso noto che, in seguito alla campagna della NATO del 2011, "la Libia è diventata un rifugio sicuro dei terroristi".
Nel corso degli anni è mutato il nome del "nostro" nemico, dal comunismo all'islamismo, ma generalmente si tratta di società indipendenti dall'egemonia occidentale o che occupano territori nevralgici dal punto di vista strategico o ricchi di risorse naturali. I leader di queste nazioni recalcitranti deposti di norma con la violenza, come i democratici Muhammad Mossedeq in Iran e Salvador Allende in Cile, o uccisi come Patrice Lumumba in Congo. Tutti sono oggetto di campagne caricaturali e vilipesi dai media occidentali, come Fidel Castro, Hugo Chavez e ora Vladimir Putin.
Il ruolo di Washington in Ucraina è diverso solo per le implicazioni nei nostri riguardi. Per la prima volta dagli anni di Reagan, gli USA minacciano di trascinare il mondo in una guerra. Con l'est Europa e i Balcani oramai avamposti NATO, l'ultimo stato cuscinetto al confine con la Russia viene dilaniato. Noi occidentiali stiamo sostenendo i neonazisti in una nazione dove i nazisti ucraini sostennero Hitler. Dopo aver ideato il colpo di stato nel mese di febbraio contro il governo democraticamente eletto a Kiev, è fallito il piano di Washington di sequestrare alla Russia la sua storica e legittima base navale in Crimea. I russi si sono difesi, come hanno fatto per oltre un secolo contro ogni minaccia e invasione occidentale.
Ma l'accerchiamento militare della NATO ha subito un'accelerazione, insieme con gli attacchi orchestrati dagli Stati Uniti ai danni degli ucraini di etnia russa e se Putin viene provocato a intervenire in loro aiuto, il suo ruolo di paria predestinato giustificherebbe una guerriglia della NATO che potrebbe rovesciarsi nella Russia stessa.
Invece Putin ha frustrato il partito della guerra cercando un'intesa con Washington e l'UE, ritirando le truppe russe dal confine e scoraggiando i russofoni nell'Ucraina orientale a partecipare ai provocatori referendum. Questa popolazione russofona e bilingue, un terzo del totale, aspira da tempo a una federazione democratica che rifletta le differenze etniche del paese, nel contempo autonoma e indipendente da Mosca. La maggioranza di queste persone non sono né "separatiste" e né "ribelli", ma cittadini che vogliono vivere sicuri nella loro patria.
Come le rovine dell'Iraq e dell'Afghanistan, l'Ucraina è diventata un parco divertimenti della CIA, governata da un funzionario della CIA, John Brennan, a Kiev, assieme a "unità speciali" che monitorano attacchi selvaggi contro coloro che si oppongono al colpo di stato di febbraio. Guardate i video, leggete le denunce dei testimoni oculari del massacro di Odessa di questo mese. Bande di criminali fascisti hanno dato fuoco alla sede dei sindacati, uccidendo 41 persone intrappolate al suo interno. Guardate la polizia impassibile. Ascoltate la testimonianza di un dottore che ha tentato di salvare alcune persone "ma sono stato fermato dai sostenitori dei nazisti ucraini. Uno di loro mi ha cacciato brutalmente, promettendomi che presto io e gli altri ebrei di Odessa avremmo avuto la medesima sorte... mi chiedo perché il mondo intero se ne stia in silenzio".
Gli ucraini russofoni stanno lottando per la sopravvivenza. Quando Putin ha annunciato il ritiro delle truppe russe dal confine, il segretario della difesa della giunta di Kiev, un membro fondatore del partito fascista Svoboda, si è vantato che gli attacchi contro "i ribelli" sarebbero continuati. In stile orwelliano, la propaganda occidente ha ribaltato i fatti, asserendo che "Mosca cerca di fomentare il conflitto e la provocazione", secondo William Hague. Il suo cinismo fa il paio con i grotteschi complimenti di Obama alla giunta golpista per la sua "notevole moderazione" dopo il massacro di Odessa. Illegittima e fascista, la giunta è descritta da Obama come "eletta". Ciò che conta non è la verità, ha detto una volta Henry Kissinger, ma ciò che è percepito come vero.
Nei media statunitensi le atrocità di Odessa sono state presentate come "oscure" e "tragiche", con i "nazionalisti" (neonazisti) che hanno attaccato i "separatisti" (persone che raccoglievano firme per un referendum a sostegno della Federazione Ucraina). Il Wall Street Journal di Rupert Murdoch ha dannato le vittime: "Il rogo è stato probabilmente appiccato dai ribelli ucraini, dice il governo". La propaganda in Germania è stata pura guerra fredda, con il Frankfurter Allgemeine Zeitung che avvertiva i suoi lettori della "guerra non dichiarata" della Russia. Per i tedeschi è una spiacevole ironia che Putin sia l'unico leader a condannare il riemergere del fascismo nell'Europa del 21° secolo.
Una popolare banalità è che "il mondo è cambiato dopo l'11 settembre". Ma cosa è cambiato? Secondo il grande informatore Daniel Ellsberg, un colpo di stato silenzioso è avvenuto a Washington e ora governa il militarismo rampante. Il Pentagono ultimamente svolge "operazioni speciali", guerre segrete, in 124 paesi. In patria, l'aumento della povertà e la riduzione delle libertà sono il tradizionale corollario di uno stato di guerra permanente. Aggiungiamo il rischio di una guerra nucleare e la domanda da porsi é: perché tolleriamo tutto questo?
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The White House
Office of the Vice President
For Immediate Release May 20, 2014
Remarks by Vice President Joe Biden to Joint United States and Romanian Participants in Carpathian Spring Military Exercise
Otopeni Military Airbase
Bucharest, Romania
THE VICE PRESIDENT: Let me begin by saying, Mr. Minister, thank you, and it’s very hot in here. I was supposed to -- I was told it was going to be cooler here, but thank you for the great weather.
Ladies and gentlemen, it’s an honor to have a chance to see our militaries work together in this Carpathian Spring Joint Military Exercise. The last time I saw you working together was in Afghanistan. And it is -- it’s a great benefit to both of us that we are side by side. It’s my pleasure to take a moment to recognize all that you do to keep the people safe and strong in our alliance.
...I even advocated for Romania’s early entry into NATO when I was a United States senator.
...
And I especially want to pay tribute to the 26 Romanians who gave their lives in Iraq and Afghanistan, and the 143 who were wounded...
In Romania, American forces have found a devoted NATO ally. I never doubted that for a moment as the effort to admit Romania into NATO was underway, serious and steadfast partner that you’ve been from day one. About a thousand Romanians remain in Afghanistan -- four serving without caveats, fully in the fight, alongside our women and men. And I’m pleased that you will continue to support the post-2014 mission in Afghanistan.
Romania today is hosting U.S. Marines at the M-K Airbase, which also supports logistical operations for Afghanistan. You’re building a fleet of F-16s. Romania is working to bring its defense budget up to 2 percent of GDP, as all NATO allies should and must.
To the Americans here today, let me say that I believe you are the greatest generation of warriors the world has ever produced. And that is not hyperbole. You represent a generation of Americans equal to any that has ever gone before you. I’ve seen you in Bosnia and Kosovo, Baghdad and Basra, Fallujah and Ramadi, Kabul and Kandahar. I’ve even seen you in those FOBs up in the Kunar Valley. You’re an incredible group of warriors.
You and your family are part of an unbroken chain of patriots who’ve stood guard since World War II over freedom’s frontier, right here in Europe. I could not be more proud of all of you.
We too care deeply about the alliance, Mr. Minister. America’s commitment to collective defense under Article 5 of NATO is a sacred obligation in our view -- a sacred obligation not just for now, but for all time. So I’m here to say on behalf of the President what I hope you already know: You can count on us. Period. We do what we say, and we mean what we say.
Today aggression in Crimea, less than 250 miles from Romanian territory, from NATO’s borders reminds us why we need NATO and why Romania belongs to NATO...
So long as Russia’s efforts to destabilize Ukraine continues we must remain resolute in imposing greater costs on Russia, imposing those costs together. But our strategy is about more than just imposing cost. It’s fundamentally about investing in a revitalized NATO that emerges from this crisis and works toward a successful summit in Wales, stronger and more united. America and our NATO allies have urgently stepped up our military presence in the air, land and on the sea of NATO’s eastern flank. In just the past weeks we’ve had ships visit. The USS Truxton, Cook, Taylor, as well as the Dacian Viper F-16 exercise. And in the coming days, new ships -- the Vella Gulf will enter the Black Sea to conduct port visits and maritime training. Period.
Since mid March the U.S. has been flying refueling missions over Poland and Romania in support of NATO’s AWACs. And we are on track to open up a missile defense site at Deveselu, next year. We support the Supreme Allied Commander of Europe’s intention to finalize contingency plans for the Black Sea allies by the Wales summit. And we have -- we have assigned extra strategic planners to help NATO meet that goal. As President Obama said, “NATO nations never stand alone.” NATO nations never stand alone.
I want to thank our Romanian colleagues for standing with us, alongside us, emboldening us, making us stronger. And I thank each and every one of the American troops for their continued patriotic service. Each and every one of you is doing your countries a great service.
May God bless Romania, may God bless America, and may God protect our troops. Thank you for your service. (Applause.)
RIA Novosti - May 22, 2014
OPINION: Biden in Romania Talks Reveals Extramundane Nature of US Push for War
Rick Rozoff
MOSCOW: US Vice President Joseph Biden appeared at a military base in the capital of Romania on May 20 and, against the backdrop of this year's annual Carpathian Spring joint military exercises, announced that Washington's willingness to go to war over the mutual military support clause of the 1949 North Atlantic Treaty, the founding document of the North Atlantic Treaty Organization, is not only clear and unwavering, but indeed of a mock-religious - extramundane and sempiternal - nature.
In his precise words: "America's commitment to collective defense under Article 5 of NATO is a sacred obligation in our view - a sacred obligation not just for now, but for all time." In aeternum, in saecula saeculorum and in line with eschatological imperatives.
Biden, the once, (near) future and perennial candidate to succeed the current commander-in-chief of the world's sole military superpower (the exact words of his current superior, President Barack Obama in his Nobel Peace Prize acceptance speech of five years ago), an abrasive and pugnacious Walter Mitty of a malign bent who has often experienced difficulties distinguishing between fact and fiction, campaign claims and occurrences in the real world, and his own modest abilities and megalomaniacal inflation thereof, began his speech in Romania upbraiding his hosts for not providing him the clement weather a personage of his elevated stature deserves and had, moreover, been promised, querulously and inconsistently grousing, "it's very hot in here. I was supposed to - I was told it was going to be cooler here, but thank you for the great weather."
A Roman emperor, Trajan for example, the conqueror of Dacia (modern-day Romania), would have severely chastised and as severely punished the leaders of a subjugated province for not having secured nicer weather for a visiting imperial dignitary of Biden's rank.
Though his modern avatar did commend the military prowess of Romanian troops serving under NATO command in Afghanistan, martial values serving in lieu of miracle-working ones, evidently. The American satrapy, a NATO member for a decade, maintains one of the largest troop contingents remaining in Afghanistan, 1,000 soldiers, and Bucharest will continue to provide NATO with cannon fodder in South Asia even after the formal completion of troop withdrawal at the end of this year.
The vice president acknowledged that Romania, with whom then-Secretary of State Condoleezza Rice signed an agreement in 2005 for the acquisition of bases and the stationing of military personnel and equipment, is housing a permanent force of US Marines at the Mihail Kogalniceanu Air Base near Constanta on the Black Sea. That base is also home to US Army Europe's Task Force East and the US Marine Corps' Black Sea Rotational Force, the latter a Special Purpose Marine Air Ground Task Force (SPMAGTF) used as the model for US Africa Command's SPMAGTF.
Biden also obliquely pressured Romania in regard to demands of the US (and at least implicitly NATO, because of interoperability exigencies) for the country, like neighboring Bulgaria, to replicate the purchase of American F-16 Fighting Falcons by Poland at the beginning of the century - 48 in all, the largest military outlay in Polish history - by reminding the Romanian officials present that "You're building a fleet of F-16s." Bucharest like Sofia was being pressured to purchase 24-36 apiece of the General Dynamics-manufactured warplanes before the US-generated economic downturn of six years ago led to a scaling back of that number.
With characteristic bravado and brusqueness, he also stated:
"America and our NATO allies have urgently stepped up our military presence in the air, land and on the sea of NATO's eastern flank. In just the past weeks we've had ships visit. The USS Truxton, Cook, Taylor, as well as the Dacian Viper F-16 exercise. And in the coming days, new ships - the Vella Gulf will enter the Black Sea to conduct port visits and maritime training. Period."
The four US warships mentioned are guided missile vessels and part of the US Navy's Aegis Combat System, which is being integrated into the US-NATO European Phased Adaptive Approach interceptor missile system to cover all of Europe west of Russia, the Mediterranean Sea Basin and the South Caucasus.
USS Truxton and USS Donald Cook are Arleigh Burke class destroyers, USS Taylor is a Oliver Hazard Perry class frigate and USS Vella Gulf a Ticonderoga class cruiser.
With an anachronistic martial ethos more suitable to a - much - earlier epoch, say, the late Roman Empire, the deputy commander-in-chief of the world's sole military superpower flattered US military personnel at the event as "the greatest generation of warriors the world has ever produced." He immediately added, "And that is not hyperbole," though of course it is.
Last month's Dacian Spring joint US-Romanian week-long exercise he alluded to consisted of drills with US F-16s and host country MiG-21 Lancers.
At the end of his ex officio declamations, Biden shifted from sub-imperator to pontifex maximus in tone, dispensing benedictions broadcast: "May God bless Romania, may God bless America, and may God protect our troops." It is uncertain which deity, of the underworld or other sphere, has conferred on him the office of bestowing blessings, as it were on the eve of a campaign, a war.
Adjectives like grandiose, magniloquent, millenerial and bombastic come to mind in reference to the pronouncements of Mr. Biden. But they, even, are too generous and elevated in tone.
Having recently had occasion to re-read Imperial Purple (1892), a series of belletristic sketches of the first twenty-five Roman emperors by American-born writer Edgar Saltus, I am more reminded of one or more of the later of those the author, a friend and colleague of such fellow writers as Oscar Wilde and Arthur Symonds during his London years, limned with a combination of urbane bemusement and visceral repugnance. Commodus, say, or Heliogabalus.
Website and articles: http://rickrozoff.wordpress.com
RIA Novosti - May 23, 2014
West’s Refusal of Dialogue May Lead to Ukraine’s Membership in NATO – Putin
ST. PETERSBURG: Russia fears that the West’s refusal to engage in dialogue on Ukraine may lead to Kiev joining NATO and the US deploying missile defense systems in the country, Russian President Vladimir Putin said Friday.
"The coup [in Ukraine] has occurred, and they do not want to talk to us. What should we think of? The next step will be Ukraine's membership in the NATO. They never ask us about that, and they do not engage in dialog with us, as we could see for the last two decades. 'No dialog,' they say, 'it is none of your business, and it does not concern you'," Putin said.
"Ukraine may become a member of the NATO tomorrow, and the next day Defense Missile elements of the United States may be deployed there," the Russian president said during remarks at the annual St. Petersburg International Economic Forum, which is hosting official delegations from 62 countries and CEOs of 146 major world companies.
The European Union, US and NATO representatives refused to attend the event.
Russian NATO envoy Alexander Grushko said Monday that Moscow had insisted on an immediate meeting of the NATO-Russia Council due to a sharp deterioration of the situation in crisis-hit Ukraine. The alliance suggested holding a meeting of ambassadors on May 27 but Moscow asked to postpone the summit.
On April 1, NATO ended all practical cooperation with Russia over Ukraine, only maintaining contacts at the ambassadors' level and higher. The foreign ministers of NATO members are to review relations with Moscow at their next meeting in June.
Putin earlier accused Western countries of supporting the unconstitutional coup in Ukraine at a time when Moscow was calling for searching for a way out of the crisis in the country through dialog.
The statement came at a time of strained Russia-EU relations, after the EU, together with the US, imposed sanctions on Russian officials for allegedly escalating the Ukrainian crisis.
Ukraine went through a regime change resembling a military coup on February 22, after months of clashes between the Russian-oriented authorities and supporters of Ukraine’s affiliation with Europe. The country’s parliament ousted President Viktor Yanukovych, changed the constitution and scheduled early presidential elections for May 25.
Since March, when the former Ukrainian Crimean peninsula rejoined Russia, anti-government protests have been spreading across the mainly Russian-speaking southeastern regions of the Ukraine. The Donetsk and Luhansk regions proclaimed autonomy earlier this month.
Ukraine’s new interim authorities, backed by radical ultranationalist groups, launched a special operation to crack down on the protesters in mid-April, which has already led to dozens of deaths and injuries.
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http://en.ria.ru/russia/20140523/190076131/Moscow-to-Respond-if-US-Speeds-Up-European-Missile-Defense-.html
RIA Novosti - May 23, 2014
Moscow to Respond if US Speeds Up European Missile Defense – Foreign Ministry
MOSCOW: Moscow hopes Washington understands that Russia will be forced to react if the US speeds up the placement of missile defense systems in Europe, Russian Deputy Foreign Minister Sergei Ryabkov said Friday.
“If there is really another look at the European Phased Adaptive Approach to the creation of a missile defense system speeding up to the phase where it’s time to place metal to the cement, then we will regret that because we cannot respond indifferently to attempts that negatively influence the national potential of Russian strategic nuclear restraint,” Ryabkov said.
Late last month, the U.S. Navy deployed for the first an advanced version of a missile-interceptor for its Aegis missile defense system, initiating the second phase of Washington’s plan to boost missile defenses in Europe.
The US missile defense system in Europe, which NATO and the US say is aimed at countering threats from North Korea and Iran, has been a particular source of friction in US-Russian relations for a number of years.
Russia and NATO formally agreed to cooperate on the system at the 2010 NATO summit in Lisbon, but talks foundered, in part over Russian demands for legal guarantees that the system would not target its strategic nuclear deterrent.
The Balkan floods and the break-up of Yugoslavia
By Paul Mitchell
20 May 2014
At least 44 people have died and tens of thousands have been left homeless in the worst-ever flooding to hit the Balkans.
Three months’ worth of rain fell in three days last week, causing the River Sava to burst its banks. It rises in the Alps of western Slovenia, forms the border between Croatia and Bosnia-Herzegovina and continues through Serbia to the capital Belgrade, where it joins the Danube. Thousands of landslides have been reported, destroying roads, railway lines and entire villages.
At least 27 people have died in Bosnia, including nine from the northeastern town of Doboj, devastated by what the regional police chief called a 3-4 metre high “tsunami” of water. About a third of the country is under water, affecting more than 1 million people.
The chairman of the Bosnian three-man presidency, Bakir Izetbegovic, declared that his country faced a “horrible catastrophe… We are still not fully aware of its actual dimensions.”
In Serbia, 12 bodies were recovered in the flooded town of Obrenovac, about 20 miles from the capital, Belgrade. More than 25,000 people have been evacuated and many more remain stranded.
The Nikola Tesla electricity plant in Obrenovac, which supplies most of Belgrade, is threatened, as is the coal-fired power plant at Kostolac, which provides over 20 percent of Serbia’s electricity needs.
Serbian Prime Minister Aleksandar Vucic said, “What happened to us happens once in a thousand years, not hundred, but thousand.”
It is clear that the severity of the floods has been compounded by the fall-out from the break-up of the former Yugoslavia, the Bosnian War (1991-95) and the NATO bombardment of Serbia in 1999. Political tensions between the Balkan countries and the economic disaster, worsened by the 2008 global crisis, have continued to take their toll.
These factors have been ignored in most news reports, with comment limited to the danger from the exposure of some of the 120,000 landmines that remain from the Bosnian War and the disappearance of signs warning of minefields. Some 500 people have been killed by mines since 1995. Some reports also quote Sarajevo Mine Action Centre official Sasa Obradovic, who said, “Besides the mines, a lot of weapons were thrown into the rivers, lying idle for almost 20 years.” But that is as far as it goes.
In 1972, the Yugoslav government first attempted to monitor and control the River Sava, the country’s most important inland waterway, linking Slovenia, Croatia, Bosnia-Herzegovina, Serbia and Montenegro. Its Sava River Basin Management Plan was one of the first in the world and attempted to reconcile the differing demands of the various republics—hydroelectric power in Slovenia, navigation for Croatia to its large inland port at Sisak, and agricultural needs in Bosnia and Serbia. Levees and reservoirs were built and waterways dredged. Further plans to improve navigation, prevent flooding and tackle pollution were drawn up in the 1980s.
However, these were thwarted by the break-up of the Yugoslav Republic and its descent into war. With the dissolution of the Soviet Union in 1991, the US and Germany both set about dismantling Yugoslavia by recognizing the breakaway republics of the old federation—Slovenia, Croatia, and then Bosnia—as independent sovereign states. The US was intent on exploiting the power vacuum created by the Soviet collapse to project its power eastward and gain control over the vast untapped reserves of oil and natural gas in the newly-independent Central Asian republics of the old USSR. The European powers, led by Germany, were anxious to stake their own claim.
Following years during which flood protection measures were ignored and infrastructure left unrepaired, numerous initiatives and commissions have been created to coordinate action, but these have borne little fruit as a result of the continuing economic and political situation.
In 2001, Bosnia-Herzegovina, the then-Federal Republic of Yugoslavia, Croatia and Slovenia signed a “Letter of Intent” to set up “the Sava River Basin Initiative” to “utilize, protect and control the Sava River Basin water resources in a manner that would enable ‘better life conditions and raising the standard of population in the region’, and to find appropriate institutional frame [sic] in order to enhance the cooperation.”
A few years later the International Sava River Basin Commission was established. The River Sava, the largest tributary of the Danube, was also included in the International Commission for the Protection of the Danube River, which “commits the contracting parties to join their efforts in sustainable water management, including conservation of surface and ground water, pollution reduction, and the prevention and control of floods, accidents and ice hazards.”
In 2004, the United Nations weighed in with its “Development of Sava River basin Management Plan—Pilot Project,” saying, “There is a need of co-ordination, integration and data exchange for the whole basin. This includes co-ordination of operations in the Sava basin’s retention areas and water reservoirs to avoid the coincidence of floodwaters as well as the maintenance of high flow conditions in the Sava and Drina. National emergency plans, flood forecasting and intervention plans are essential in case of accidents.”
It called for the reconstruction of flood protection embankments and a new early warning system, which had been destroyed during the war.
Nearly 10 years later all that has really materialised is the Sava’s inclusion in the new European Flood Awareness System (EFAS), which came into operational service in 2012. Flood prevention and maintenance largely remain in the hands of national governments, which see these activities as low priority or easy targets when imposing austerity measures.
According to the book Water and Post-Conflict Peacebuilding, published earlier this year, the Sava River basin still remains “less developed than other river basins in Europe, water management suffers from inadequate institutional structures, inefficient operations, lack of water and sewage treatment plants and reduced financial capacity.”
Disputes continue over building hydroelectric power plants on the river and its tributaries. Large ships are still unable to navigate the top third of the river due to erosion, obstruction from bombed bridges, destruction of navigation infrastructure and mines due to the Balkan War and the NATO bombing of Serbia. The oil embargo on the country also gave rise to “severe deforestation” and soil erosion, increasing the risk of flooding. Sanctions prevented its scientists from attending international conferences.
Water and Post-Conflict Peacebuilding points out that a unified approach to the Sava River has also been thwarted by political tensions. The Montenegrin government has refused to take part in discussions over its future since its split from Serbia in 2006. Authorities of the two component parts of Bosnia-Herzegovina—Republica Srpska and the Croat-Muslim federation—hardly speak to each other and, in 2009, the Serbian government filed a lawsuit in the World Court accusing Croatia of genocide during the Balkan War in response to one filed by Croatia in 1999.
2) Riferimenti indicati nella comunicazione odierna della Ambasciata della rep. di Serbia a Roma -
vedasi l'immagine qui riportata ed anche: http://roma.mfa.gov.rs/news.php
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sabato 24 maggio in piazza della vittoria genova parte il pullman Lasta prima delle ore 20:00 come rappresentate sul territorio vi chiedo un aiuto ... fate girare
Ko hoce da pomogne u subotu 24 maggio krece autobus Lasta Italia pre 20:00 ko predstavnik na teritorijum Lasta italije trazimo pomoc za Srbiju …. hranu dugo trajanje (pasta, paradais u konzervu pirinac … ) garderoba ... >>
(a cura del Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS - https://www.cnj.it)
Da: Kappa Vu sas <kappavu.ud @ gmail.com>Oggetto: Presentazioni questa settimanaData: 19 maggio 2014 16:23:26 GMT+01:00
Knjigu će predstaviti prof. Jože Pirjevec, Stefano Lusa, Borut Klabjan i sam autor uz Gorazda Bajca kao moderatora. Predstavljanje će se odvijati na talijanskom jeziku.
German army conducts biggest military exercises since Cold War
By Sven Heymann
19 May 2014
Since last Monday, the German army has been conducting its largest military exercises since the 1980s. The entire orientation of the exercise makes clear that, amid the escalating tensions with Russia due to the crisis in Ukraine, the German army and its Western allies are once again preparing for a major war with Russia.
The operation, named “Jawtex” (Joint Air Warfare Tactical Exercise), has been planned for three years. Around 4,500 soldiers are involved from a total of 12 countries, including Germany, France, the US, Italy, Slovenia, Greece, Turkey, the Netherlands, and the non-NATO states Austria, Switzerland and Finland.
According to German army sources, it is not officially a NATO operation. However, other countries are involved—leaving no doubt that the cooperation is to be expanded and deepened within NATO, under the leadership of the German army. Finland’s involvement was particularly significant, since it is a state that is a non-NATO member with a 1,300-kilometre (808-mile) border with Russia.
Through the end of this week, practically the entire spectrum of tasks for “air combat forces” will be tested, according to the German army. The exercise is not confined to the air force, however. Jawtex was a “joined combined exercise,” involving the entire German army, Chief Lieutenant Gero Finke told Deutschlandfunk. The “collaboration between the air force, army and navy” is also to be tested.
According to German army sources, they will practice “overlapping combat scenarios between the air force, navy and ground units.” Another aim is to practice “comprehensive armed forces firing support.”
The sheer scale of the exercise confirms that the German army and its Western allies are already preparing for an open and major war, rather than the so-called special forces interventions in distant crisis regions of recent years.
Jawtex is “practically being conducted across Germany’s entire northern and northeastern territory,” the German army reported on its web site. Close to 100 planes and helicopters are involved, with around 150 takeoffs and landings daily. The exercise is being led by Brigadier General Burkhard Pototzky from the Holzdorf air base in Brandenburg.
It is not only the extent of the exercise that proves the German army is readying itself for war, however. The individual operations make clear the type of plans that are being pursued. An air landing operation with 900 soldiers is to be tested involving units of paratroopers, army aviation, and artillery.
The German army wrote on its web site about a long-range reconnaissance company that is participating: “Their task is the exposure of the enemy in the operating zone deep in enemy territory. They cannot make any mistake in the process. Once they are identified by the enemy, their mission is condemned to failure.”
In air space over northern Germany, the air force is taking over several flight corridors for days. Part of the exercise includes plans for flying at low altitudes of 70 metres (230 feet).
In Jagel, Schleswig-Holstein, the air force is practicing bombing missions. “For two weeks, pilots have to try to navigate through a cordon of radars and ground-to-air defence,” the NDR radio network wrote. Colonel Hans-Jürgen Knittlmeier commented, “It is practicing how to sneak in, how the opposing air defences can be overcome without suffering any losses.”
Such statements make the purpose of the Jawtex exercise clear. It is part of the transformation of German foreign policy, which is turning east again for a third time following two world wars in the previous century. Following the organisation of a coup in Ukraine by Germany, the US and its allies, preparations are underway for a military confrontation with Russia.
An interview with former German chancellor Helmut Schmidt in Friday’s edition of the Bild newspaper reflects the seriousness of the political crisis.
The 95-year-old warned that, as in 1914, Europe was standing on the edge of the abyss. “The situation seems to me to be increasingly comparable.” Though Schmidt said he did not want “to speak too soon about a third world war,” he said that “the danger that the situation could escalate as in August 1914 is growing daily.”
http://www.wsws.org/en/articles/2014/05/10/germ-m10.html
How the revival of German militarism was prepared
By Johannes Stern
10 May 2014
The German government’s aggressive action in Ukraine and the massive propaganda campaign accompanying it have surprised many. German politicians and opinion makers have almost unanimously backed the fascist-led coup in Ukraine. They seek to outdo each other with demands for tougher measures against Moscow and denounce the German people, the majority of whom are clearly opposed to the war propaganda.
What shocked many was carefully prepared. For more than a year, 50 leading politicians, journalists, academics and military and business figures discussed a more aggressive German foreign policy in a project under the auspices of the government-aligned Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP, German Institute for International and Security Affairs) and the Washington-based think tank German Marshall Fund (GMF).
At the conclusion of the consultations last autumn, a paper was published entitled “New power, new responsibility: Elements of a German foreign and security policy for a changing world.” It provides a blueprint for the policies that are now being implemented in practice in the form of sanctions against Russia and the rearming of NATO. With the document, the German bourgeoisie is returning to militarist, great power politics following two world wars and horrific crimes.
From the start, the SWP paper makes clear that Germany has to “lead more often and more decisively in the future” to pursue its global interests. The document states: “German security policy can no longer be conceived otherwise than globally. That said, Germany’s history, its location, and scarce resources are reasons to be judicious about its specific strategic objectives.”
The paper leaves no doubt about what the ruling class understands as “judicious.” As a “trading and export nation,” Germany “benefits from globalisation like few other countries” and relies on “demand from other markets, as well as on access to international trade routes and raw materials.” Therefore, the “overriding strategic goal” has to be “the preservation, protection and adaptation of the liberal world order.”
The openness with which the document asserts German spheres of influence and calls for these to be secured militarily is remarkable. “A pragmatic German security policy, particularly concerning costly and longer-term military deployments” must “concentrate primarily on the increasingly unstable European vicinity from Northern Africa and the Middle East to Central Asia,” the paper declares.
As “instruments of German security policy,” the document speaks of “a combination of civilian, police and military forces.” Military interventions should “range from humanitarian aid to military advice, support, reconnaissance, and stabilisation operations, all the way to combat operations.”
The call for Germany to assume a “leading role” runs like a thread through the paper, and is explicitly linked to military operations within the framework of NATO. The military alliance, with its “standing political and military structures, a broad range of instruments and capabilities for collective defence” is said to be “a unique amplifier of German security policy interests.”
The document continues: “Germany must use its increased influence to contribute to shaping the future orientation of NATO. It has an interest in the continued existence of a strong and effective NATO, because the alliance is a proven framework for political consultation and military cooperation with the US.”
But, ultimately, “more contributions” at the “military-operational level” are required. Europe and Germany have to adjust to this and “develop formats for NATO operations that rely less on US contributions.” The paper adds, “This requires greater investment in military capabilities and more political leadership.”
A key component of the project is how to impose the transformation of foreign policy in the face of widespread popular opposition. The paper complains of a “sceptical public,” which calls “the future direction” into question.
In a section headed “The domestic dimension of German foreign policy,” the paper warns that “a more prominent German role on the global stage” could “exacerbate issues of legitimacy at home.” It therefore bluntly calls for “policymakers and experts” to address the “public’s lack of understanding of foreign policy.” Policymakers must “learn to communicate their foreign policy goals and concerns more effectively to convince Germany’s own citizens, as well as international public opinion.”
The extent of the conspiracy
The way the document came about is just as important as its content. For almost a year, major figures from politics, the media, business, the universities, ministries, NGOs and foreign policy think tanks discussed among themselves to arrive at a common position.
An article that appeared on Zeit Online in early February described this process in detail. Under the revealing title “A Global Course,” Zeit editors Joachim Bittner and Matthias Nass indicated how the return to German great power politics was prepared.
They wrote: “This new foreign policy alliance is no accident. The change in course has a pre-history, a pre-history that can be reconstructed. It stretches back as far as November 2012, and it took place in different locations—Bellevue Castle, the official residence of the German president, in the Foreign Office at the Werderian Market, and under the auspices of the Foundation for Political Science, the German government’s think tank. Over months of repeated round table discussions, preparations were made for what culminated in Munich.”
The change in course was prompted by Germany’s abstention from the military intervention against Libya, which provoked harsh criticism of then-Foreign Minister Guido Westerwelle. The authors of the article reported that “dissatisfaction with Germany’s lethargy had been mounting in the Berlin foreign policy community.”
They continued: “Four years of Westerwelle, four years without a clear course, but with even more frustration among the alliance partners. All of this had caused dissatisfaction to increase. The grumbling had been clearly audible.”
Then “for one year, from November 2012 to October 2013, a working group met in Berlin to discuss a foreign policy strategy for Germany. Officials from the chancellor’s office and the Foreign Ministry discussed together with representatives of think tanks, professors of international law, journalists and leading foreign policy representatives from all parliamentary fractions.”
The cooptation of the media
Die Zeit neglects to mention that Joachim Bittner was himself a member of the working group that elaborated the new foreign policy.
Nikolas Busse from the Frankfurter Allgemeine Zietung (FAZ) was added to the list of participants in the project. Bittner and Busse are among those German journalists with close ties to the German and American governments, the European Union (EU), NATO and numerous foreign policy think tanks.
As correspondent for the FAZ on NATO and the EU in Brussels, Busse is well connected to leading EU politicians and NATO military figures. He writes insider reports about NATO’s rearmament in eastern Europe. Already on February 25, three days after the coup in Ukraine and a month before Crimea joined with Russia, he reported under the headline “Turmoil in Ukraine: NATO Fears New Flashpoint in Europe” that military officials had “in the meantime even developed plans to defend alliance territory against Russia.”
Bittner was Zeit correspondent for Europe and NATO from 2007 to 2011, and in 2008 and 2009 a participant and reporter at the Brussels Forum, a partnership of the German Marshall Fund and the Bertelsmann Foundation.
On November 4 of last year, he published a programmatic article in the New York Times with the headline “Rethinking German Pacifism,” which advocated a more aggressive German foreign policy. In it he agitated against the “too deeply ingrained pacifism” among Germans and called for more “military interventions.”
If one wishes to understand why the German media has virtually unanimously beat the drums of war and not raised a critical voice, a study published in 2013 by the media studies academic Uwe Krüger is worth examining. It researches the links between leading German journalists and government circles in Germany and the United States and transatlantic think tanks. The study shows how the “journalistic output” of journalists is influenced by their links to the “US and NATO-oriented milieu.”
Professional scribblers like the co-editor of Die Zeit, Josef Joffe, and theSüddeutsche Zeitung’s Stefan Kornelius, both of whom have been leading the propaganda drive for war with Russia in recent weeks, are active in organisations concerned with foreign and security policy and the consolidation of transatlantic relations, “which are maintained to a great extent through the NATO common defence alliance.”
Their connections are wide-ranging. They participate regularly in the Munich Security Conference and have close ties to transatlantic think tanks such as the American Institute for Contemporary German Studies and the American Council on Germany. Joffe participates in the secretive, elite Bilderberg Conference, and Kornelius is a member of the executive of the German Atlantic Society. Both are involved in the German Society for Foreign Policy (DGAP), whose director, Eberhard Sandschneider, took part in the SWP project.
The emergence of Gauck, Steinmeier and Von der Leyen
While the ruling elite were agreeing on the key components of a new imperialist policy, the former pastor Joachim Gauck was installed as German president after a campaign in the press against his predecessor, Christian Wulff. It was Gauck’s job to announce the new shift in foreign policy publicly.
For this purpose, Gauck chose October 3, 2013. In his speech on the day commemorating German reunification, he summarised what had been discussed over the course of a year. He stated that Germany was “not an island” that could keep out of “political, military and economic conflicts.” It had to play a role in Europe and globally commensurate with its economic weight and influence.
Some of Gauck’s formulations were directly taken from the SWP paper. This was no accident. Gauck’s chief of staff, and one of the most important figures in the president’s office, is Thomas Kleine-Brockhoff. The former US correspondent for Die Zeit was among the initiators of the SWP project as then-director of the German Marshall Fund. Bittner reports in his article that “all Joachim Gauck’s speeches cross his desk.”
The timing of Gauck’s speech was deliberate. It took place only days after the 2013 federal election and set the agenda for coalition talks. This was seen with full clarity at the start of this year. Shortly after the assumption of power by the grand coalition, Foreign Minister Frank-Walter Steinmeier (Social Democratic Party) and Defence Minister Ursula Von der Leyen (Christian Democratic Union) announced the course that had been decided at the Munich Security Conference.
In formulations almost identical to Gauck’s on October 3, Steinmeier declared that Germany must “be prepared to intervene earlier, more decisively and more substantially in foreign and security policy.” In a thinly veiled critique of his predecessor Westerwelle (Free Democratic Party), he attacked the “culture of restraint” and said, “Germany is too big just to comment on foreign policy from the sidelines.”
Steinmeier ran down a list of countries viewed as part of German imperialism’s sphere of influence. He declared: “Syria, Ukraine, Iran, Iraq, Libya, Mali, the Central African Republic, South Sudan, Afghanistan, tensions in East Asia—that is the incomplete list of hot spots in the coming year. Foreign and security policy will not run out of work.”
Von der Leyen struck a similar note. She stated that “for a country like Germany, indifference [is] not an option.” It is “a country of considerable size” and it has to “fulfil its international responsibilities.” This includes international missions by the EU and NATO. Concretely, she pledged to “strengthen the contribution in Mali,” to participate in the “destruction of the rest of the chemical weapons from Syria,” and to support “the coming European Union intervention in the Central African Republic.”
The incorporation of the Left Party and Greens
The so-called opposition parties in the German parliament were incorporated at the highest level in the foreign policy shift. Omid Nouripour for the Greens and Stefan Liebich for the Left Party participated in drawing up the SWP paper. Both are among the leading foreign policy spokesmen in their parties. Mouripour is a representative on the Parliamentary Defence Committee, and Liebich is a member of the Foreign Affairs Committee. In addition, Liebich sits on the Left Party’s executive.
The participation of the Greens is no surprise. The former pacifists were the strongest critics of Germany’s abstention in the Libyan war. Since they agreed on German participation in NATO’s war on Serbia under then-Foreign Minister Joschka Fischer, they have enthusiastically supported every foreign intervention by the German army.
The incorporation of the Left Party is of particular significance. The party gives up its pacifist phrases at a point when German imperialism returns once again to the world stage. Liebich is a member of several foundations and think tanks, including the Atlantic Bridge and the DGAP.
While Liebich cooperated in the development of the new foreign policy under the auspices of the SWP, an agreement was reached within the Left Party in favour of a more aggressive foreign policy. Already last autumn, a collection of essays was published by WeltTrends with the title “Left foreign policy: perspectives for reform.” In it, leading Left Party politicians argued in similar terms as the SWP strategy paper. They spoke out in favour of military deployments, closer transatlantic cooperation with the US, and a greater international role for Germany.
The Left Party is now implementing this course in practice. In April, five party members, led by Liebich, voted together with the government parties for a foreign intervention by the German army. This marked the first-ever vote by Left Party delegates in support of a German military deployment. Another leading Left Party member, Christine Buchholz of the state capitalist Marx21 group, accompanied Defence Minister Von der Leyen on the latter’s recent visit to German troops in Africa.
Ideological support from the universities
An important component of the foreign policy shift is the involvement of German universities. Professors from the Free University Berlin, the Friedrich Schiller University in Jena, the Johann Wolfgang Goethe University in Frankfurt/Main, the European Viadrina University in Frankfurt/Oder, and the Humboldt University in Berlin took part in the discussions sponsored by the SWP and GMF.
The incorporation of the universities in the state’s war propaganda is a violation of the principle of the independence of research and teaching. There are horrific precedents for such collaboration in German history—notably, professors in the Third Reich who sought to provide a scientific basis for racist ideology, such as Carl Schmitt, who interpreted the law in the spirit of the Nazis, and Martin Heidegger, who provided Hitler with his philosophical blessing.
Significantly, the legal scholar Georg Nolte represented the Humboldt University in the discussions. He is the son of historian Ernst Nolte, who provoked the so-called Historians’ Dispute in 1986 by downplaying the crimes of the Nazis.
The revival of German militarism requires that the history of the twentieth century be rewritten and the crimes of German imperialism in two world wars be trivialised. Humboldt University has specialised in this task for some time. The head of the department of Eastern European History, Jörg Baberowski, has dedicated his work to the rehabilitation of Ernst Nolte. Der Spiegelrecently cited Baberowski saying, “Nolte was done an injustice. He was historically correct.”
In the future, the state and big business will provide the war ideologists in the universities with even greater quantities of research funds to enable them to serve, under the cover of science, as the ideological cadre-trainers of militarism.
In the SWP document it states: “A more complex environment with shortened response times also requires better cognitive skills, knowledge. Knowledge, perception, understanding, judgment and strategic foresight: all these skills can be taught and trained. But that requires investments—on the part of the state, but also on the part of universities, research institutions, foundations, and foreign policy institutions. The goal must be to establish an intellectual environment that not only enables and nurtures political creativity, but is also able to develop policy options quickly and in formats that can be operationalised.”
This is the new Orwellian language of German imperialism in the twenty-first century. Behind conceptions like “intellectual environment,” “political creativity,” “strategic foresight” and “quick and operational political options” stands the call to once again “think militarily” and return to a “politically creative” policy of war. This is the way in which the ruling class is responding to the deepest crisis of capitalism since the 1930s.
The scale of this war conspiracy and its meticulous preparation is a serious warning. On two occasions in the last century, German imperialism threw the world into the abyss. The international working class cannot and will not allow it to happen a third time. This underscores the critical role of the International Committee of the Fourth International in building the new, revolutionary leadership of the working class in Europe and internationally.
Prosegue l'organizzazione dell'iniziativa di ospitalità dei bambini di Jasenovik, località della regione del Kosovo che non è stata colpita dalla tremenda ALLUVIONE che ha messo in ginocchio Bosnia e Serbia… ma con questo evento il pensiero andrà anche alla popolazione colpita da questa sciagura e pertanto, la parte di fondi raccolti nel corso della serata, che non andrà a coprire le spese previste dell'iniziativa "nA More con AMore", sarà destinata ad interventi di ripristino in solidarietà, delle scuole, dei centri sanitari, dei centri ad uso della popolazione civile, dei comuni colpiti dal cataclisma. Le associazioni CNJ onlus e Non bombe ma solo caramelle onlus, si sono nel frattempo attivate per supportare anche l'emergenza, attraverso canali istituzionali e ben identificabili a livello locale.
2a izdanje! (2014)
“NA MORE CON AMORE” znači „na more s ljubavlju“, tako da i ove godine, posle mnogo kiša i isto toliko divnih dûga ovekovečenih našim improvizovanim snimcima, već razmišljamo o moru, suncu i novim trenucima raspusta. Ponovo predstavljamo ovu inicijativu letnjeg gostoprimstva, koja nam veoma leži na srcu, sa decom iz jugoslovenske pokrajine Kosovo, a posebno sa učenicima OŠ „Sveti Sava“ iz srpskih porodica koje žive u selu Jasenovik, u opštini Novo Brdo.
U svemu tome će nam pomoći dobrovoljna neprofitna udruženja „Ne bombe, već samo bombone“ i „Italijanska koordinacija za Jugoslaviju“, zajedno sa ostalim dragocenim prijateljima i poznanicima osetljivim na ove teme.
Planiramo da dočekamo novu malu grupu (do 9 gostiju), starosti između 10 i 12 godina, koju bi pratila njihova učiteljica, Valentina Ristić, učesnik i u prethodnom „izdanju“. Boravak dece je predvidjen za kraj juna, ponovo u primorskom gradiću Santa Severa (u rimskoj provinciji), gde će im biti dobrovoljno stavljena na raspolaganje jedna privatna struktura, adekvatna za smeštaj grupe. Deca će moći da plivaju i igraju se na plaži i da učestvuju u kulturnim aktivnostima u okviru programa poseta Rimu i okolini, za koji ćemo uskoro imati i detalje, i za koji se nadamo da će biti još bogatiji nego prošle godine. U inicijativi će učestvovati deca koja su i dobri učenici, a nemaju ozbiljne zdravstvene probleme, te mogu dobro da podnesu putovanje.
Podsećamo da su selo Jasenovik i njegova škola jedna mala sredina, od ne više od 150 stanovnika, od kojih mnogi žive na ivici siromaštva i preživljavaju uz velike napore i štednju. Veoma je izražena teritorijalna, institucionalna i društvena izolacija. Ovakvo stanje proizlazi iz vrlo mukotrpnog istorijskog puta, posutog bombama i karakterisanog stranim mešanjem i stalnim političkim i verskim manipulacijama. Očigledno je da najbolje rešenje za ovakvu situaciju nije u problematičnoj i prepotentnoj Evropskoj zajednici kojoj teži beogradska vlada, ali i prištinske vlasti, koje prazne Kosovo od srpskog prisustva, uništavajući raniji multikulturalizam i sekularizam, podrivene sve bolesnijim nacionalizmom i ekstremističkim tendencijama.
Imajući u vidu veoma pozitivno iskustvo od prošle godine
(http://vvv.cnj.it/INIZIATIVE/NaMoreConAmore.htm), inicijativa će biti usmerena jednim delom na rekreaciju dece, a drugim na socijalnu i kulturnu razmenu. Željeni ciljevi su i ovog puta stvaranje odnosa izmedju zajednica, uzajamno upoznavanje, mogućnost i prilika za psiho-fizički razvoj, naročito dece uključene u inicijativu, a sve u nadi da će to doprineti njihovoj spokojnosti i vedrini i služiti im kao podsticaj za život u teškim uslovima, koje uvek težimo da predstavimo ne na najbezbolniji način za nas, već na realniji, pošteniji i dostojanstveniji u odnosu na njih.
Po našoj proceni, troškovi inicijative iznosili bi oko 2.200 € (prošlogodišnji: 2.108 €). Zavisiće u velikoj meri od putnih troškova, koji tek treba da se utvrde. Počinjemo sa minimumom kojim za sada raspolažemo, 550 € (ostatak od prošle godine i dobit od prodaje polovnih stvari).
Uz pomoć i učešće dobrovoljaca moći ćemo da obezbedimo smeštaj i ishranu po veoma niskim cenama. Ipak, potrebno je da sakupimo dodatna sredstva. Ko ima mogućnosti i želi da pomogne, može da doprinese inicijativi uplatom na sledeći račun:
RAČUN BANCOPOSTA br. 88411681, registrovan na ime JUGOCOORD ONLUS, Rim
IBAN IT 40 U 07601 03200 000088411681
Svrha uplate: „NA MORE CON AMORE“
Dobićete na poklon jedno malo, dvojezično, neobjavljeno izdanje kratkih priča, „Strast crveno Srbija“.
Za sve dodatne informacije ili objašnjenja o načinu uplate:
Samantha Mengarelli, e-mail: namoreconamore@...
Obavestićemo vas o programu i razvoju inicijative. Hvala na pažnji i topao pozdrav.
(Prevod: Sonja Rakić, Ivana Kerečki)
http://www.glassrbije.org/članak/bih-ugroženo-milion-ljudi-nove-žrtve-drama-u-bijeljini
http://www.glassrbije.org/članak/srbija-borba-sa-poplavama-najkritičnije-u-četiri-okruga
http://radiosarajevo.ba/novost/151870/azilanti-u-srbiji-spasavaju-unesrecene-u-obrenovcu-video
Da: Nova komunisticka partija Jugoslavije NKPJ <int_nkpj @yahoo.com>Oggetto: Urgent. APPEAL OF NKPJData: 17 maggio 2014 20:21:18 GMT+01:00
Nova komunisticka partija Jugoslavije * New Communist Party of Yugoslavia * NKPJ
web www.nkpj.org.rs
web www.skoj.org.rs
Da: Nova komunisticka partija Jugoslavije NKPJ <int_nkpj @yahoo.com>Oggetto: Urgent. APPEAL OF NKPJData: 17 maggio 2014 20:21:18 GMT+01:00
Nova komunisticka partija Jugoslavije * New Communist Party of Yugoslavia * NKPJ
web www.nkpj.org.rs
web www.skoj.org.rs
Dipartimento per la protezione civile
La situazione è ancora di gravissima emergenza: gli argini che hanno ceduto in varie zone della Serbia e della Bosnia e nel contempo migliaia e migliaia di persone sono state tratte in salvo (si parla di più di 20.000 evacuati), ma molte si trovano ancora intrappolate in posti tuttora irraggiungibili per l'acqua ed il fango e purtroppo altre esondazioni sono previste a partire da stasera. E quando l’acqua si ritirerà il bilancio sarà ben peggiore.
La solidarietà e l’entusiasmo delle decine di migliaia di volontari venuti da tutte le parti della regione (si sono visti lavorare fianco a fianco serbi, croati, macedoni, montenegrini, sloveni assieme ai russi, bulgari, tedeschi, francesi) mostrano ancora una volta che la disgrazia fa affiorare la profonda umanità dalle persone, legittima la loro fatica e comune impegno per salvare le vite umane. Lo sforzo sovrumano mostrato dai volontari serbi nella difesa della cittadina di Sabac hanno premiato con la tenuta degli argini e la salvezza della cittadina.
Si sta muovendo nel frattempo la Comunità Internazionale, per spedire soccorsi ed aiuti alle popolazioni colpite. Aiuti sono giunti dall'estero, in particolare dalla Russia, che ha inviato finora tre aerei con squadre di soccorritori e generi alimentari e medicinali. Numerosi altri Paesi hanno risposto finora agli appelli del governo di Belgrado, tra gli altri Croazia, Macedonia, Slovenia, Montenegro, Israele, Francia, Germania, Estonia, Lettonia. Anche la commissione Ue a Bruxelles si è mobilitata per inviare aiuti.
L’Italia è il primo partner commerciale della Serbia. Nel nome della tradizionale solidarietà del popolo italiano verso i vicini balcanici chiediamo che l’Italia, che ha subito questi fenomeni naturali anche di recente, dia un degno contributo. Chiediamo pertanto al Governo italiano l’invio urgente di aiuti in uomini e mezzi nei due martoriati paesi balcanici uniti in una disgrazia di proporzioni bibliche.