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Da: "momotombo @ libero.it
Oggetto: I: Lo "spazio vitale tedesco" Controinformazione internazionale 1995
Data: 22 giugno 2014 22:14:09 CEST

Abbiamo "ripescato" un vecchio documento di un collettivo di compagni tedeschi del 1995 pubblicato dai quaderni di controinformazione internazionale di Senza Censura che ripercorre la storia dell'imperialismo tedesco e del suo "spazio vitale" ad est prendendo spunto dall'aggressione alla Federazione yugoslava di quegli anni. Ovviamente ci sono alcune parti datate ma nel complesso vengono forniti molti elementi per capire gli sviluppi degli anni successivi fino ai giorni nostri con l'attacco all'Ucraina. 
Buona lettura

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QUADERNI DI CONTROINFORMAZIONE N.1 - FEBBRAIO 1995

UNA NUOVA TAPPA
VERSO IL POTERE MONDIALE

GLI INTERESSI TEDESCHI
NEL CONFLITTO JUGOSLAVO

Seconda parte del dossier del Gruppo di lavoro e solidarietà antimperialista (AKAS) di Heidelberg sul conflitto jugoslavo

PREMESSA ALLA SECONDA PARTE


Straordinariamente, l'idea che la Germania sia una grande potenza che tenta con ogni mezzo di imporre i propri interessi è completamente scomparsa nella stessa Germania, anche nella sinistra. Ugualmente il concetto di imperialismo (soprattutto in riferimento alla società tedesca) non ha più alcun significato, per così dire, non è più di moda.

Se analizziamo gli avvenimenti in Jugoslavia, in particolare il ruolo della Germania, ci troviamo davanti al problema che processi storici di queste dimensioni sono difficili da osservare a causa della loro momentanea vicinanza temporale ed è difficile fare delle ipotesi. I contorni minacciano di sparire nello stesso momento in cui si cerca di osservarli sotto la lente di ingrandimento e spesso si dissolvono nella nebbia della politica di tutti i giorni. Fra dieci o venti anni si riuscirà ad analizzare meglio gli avvenimenti: la maggior parte dei fatti allora sarà nota e con la distanza temporale sarà più facile distinguere l'essenziale dal superfluo.

Però non siamo completamente impotenti, possiamo trarre delle conclusioni dai risultati di decennali studi empirico-teorici (sugli interessi preminenti che sono in gioco, sulle leggi e sui meccanismi economici e politici che tentano di imporre questi interessi). D'altro canto, anche uno sguardo retrospettivo ad avvenimenti storici paragonabili a questo e l'individuazione delle continuità e delle discontinuità ci possono aiutare a far luce sugli avvenimenti attuali.

Comunque non possono neppure essere formulati parallelismi prematuri e troppo diretti, anche se spesso appaiono evidenti. Niente si ripete in maniera identica. Ad esempio, se la Germania tendesse nuovamente verso un corso aggressivo, espansionistico, allora il nuovo fascismo sicuramente avrebbe un aspetto completamente diverso da quello del sistema dal 1933 al 1945. E' necessario individuare i processi di lungo periodo che stanno alla base di un fenomeno sullo sfondo di mutevoli superfici dei sistemi e verificare se questi, in forma diversa, sono presenti ancora oggi e dove esistono dei momenti equivalenti.

Per quanto riguarda il momento attuale, possiamo riscontrare una straordinaria continuità storica che appare con evidenza nella politica della RFT nei confronti della Jugoslavia. E questa continuità non si limita alla Jugoslavia, ma a tutti gli aspetti della politica tedesca nei confronti dell'est. Accertarsi di questa continuità è perciò tanto più importante dato che la Jugoslavia è un passo spettacolare, ma non certo il primo e tanto meno l'ultimo, nella politica espansionistica della Germania rispetto all'Europa orientale e meridionale.

Per raccogliere materiale di analisi dovremo percorrere un arco temporale più ampio. Dapprima accenneremo brevemente agli obiettivi strategici, ancora oggi molto moderni, dell'imperialismo tedesco prima e durante la prima guerra mondiale per poi vedere come questi obiettivi sono stati sviluppati alla fine degli anni '20 e agli inizi degli anni '30 e come poi hanno trovato una corrispondenza nella politica espansionistica della Germania sotto il fascismo.

Queste strategie hanno la medesima direzione d'urto: il controllo economico e politico dei paesi dell'Europa orientale e meridionale. Solo i nomi sotto i quali venivano indicate queste strategie sono cambiati: progetto mitteleuropeo, politica del 'grande spazio', politica dello 'spazio vitale' e oggi gemellaggio, associazione, Europa del nucleo duro.

Pure l'energia e il modo con cui venne tentato di imporli cambiano, eppure le prospettive che ne erano alla base diventavano sempre di più un bene comune delle élites dominanti tedesche.

Poi cercheremo di capire che cosa intende Klaus Kinkel quando nel suo programma, pubblicato dal FAZ, vede uno degli obiettivi della politica estera e mondiale tedesca nel "completare quello che per due volte abbiamo fallito".

In seguito tenteremo di formulare dei parallelismi con l'attuale politica estera ed economica, così come le differenze qualitative, nella mutata situazione mondiale.

Per una migliore comprensione generale dei rapporti mondiali, che influiscono tra l'altro anche sul conflitto in Jugoslavia, accenneremo a paragoni strutturali tra le strategie di soluzione delle crisi adottate dagli Stati imperialisti durante la crisi dell'economia mondiale agli inizi degli anni '30, in particolare quella USA, e mostreremo come l'odierno ordine mondiale, in particolare il rapporto primo-terzo mondo, sia l'essenza comune di tutte queste strategie di soluzione della crisi imposte - quale risultato della seconda guerra mondiale, sotto il dominio mondiale degli USA.

Su questo retroscena si riescono ad inquadrare gli sviluppi attuali nell'Europa orientale e si riesce a vedere la situazione degli interessi che hanno portato all'esplosione del conflitto in Jugoslavia e che ancora oggi lo tengono acceso.

Ancora una breve spiegazione del concetto di imperialismo, che è già stato citato e che in seguito sarà usato molto spesso. Negli Stati occidentali, contrariamente agli Stati del Sud del mondo, questo concetto è mal compreso e il suo significato è andato perduto.

Si tratta di un concetto scientifico, simile al concetto di capitalismo. In effetti l'imperialismo è strettamente connesso al capitalismo e rappresenta un sistema capitalistico contraddistinto da una forte quantità di concentrazione di capitale e di industrie e che non è limitato a livello nazionale, ma che anzi impone le proprie condizioni di sfruttamento a livello mondiale per mezzo del suo potere economico e militare. Sottolineiamo"militare", perché nella teoria di sinistra, marxista, questo aspetto viene spesso trascurato e viene diffusa l'impressione che l'attuale dominio imperialista sia possibile grazie al semplice dominio dei mercati mondiali, l'indebitamento, il FMI, la Banca Mondiale eccetera.

Distinguiamo i centri imperialisti, le cosiddette metropoli, dalla periferia dipendente. Le metropoli sono gli Stati delle grandi fabbriche multinazionali, in altre parole le grandi potenze capitalistiche (economiche e militari), la periferia invece sono gli Stati dipendenti del Sud.


CONTINUITÀ STORICA NELLA POLITICA ESTERA TEDESCA NEI CONFRONTI DELL'EUROPA ORIENTALE E MERIDIONALE


OGNI TIRO UN RUSSO... E "I SERBI DEVONO MORIRE" - STRATEGIE ESPANSIONISTICHE PRIMA E DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE

1. LA FERROVIA DI BAGDAD

Quando l'imperialismo tedesco si era consolidato e rafforzato e tentava di espandersi (circa 100 anni fa), gli Stati imperialisti concorrenti controllavano già ampie parti della terra, in particolare i mari e le più importanti strade marittime. Forze consistenti del Reich tedesco videro quindi la direzione d'urto "naturale" dell'imperialismo tedesco - sulla scia della centenaria colonizzazione tedesca dell'oriente - nell'appropriazione dell'Europa orientale e meridionale e dell'impero russo. Questo "spazio vitale messo a disposizione dei tedeschi dalla geografia in modo per così dire naturale, che spetta loro legittimamente per la loro importanza storica ed economica nel cuore dell'Europa", prometteva immense riserve di materie prime e produzione di generi alimentari e doveva solo, così sembrò agli strateghi tedeschi, essere gestito con la diligenza tedesca.

Però questo non doveva essere che il "cortile di casa", che non soddisfava affatto l'imperialismo tedesco. L'ulteriore direzione d'urto aveva come obiettivo il Vicino e il Medio Oriente. Un ampio progetto strategico in questo senso era la costruzione, iniziata nel 1903, della ferrovia di Bagdad e proprio questo obiettivo è stato uno dei motivi che ha portato alla prima guerra mondiale. Il finanziamento del progetto era gestito dalla Deutsche Bank, dalla Banca dell'industria elettrica e chimica, cioè dalle "nuove" industrie, che spingevano con maggior vigore delle "vecchie" industrie pesanti per l'espansione verso l'oriente.

La ferrovia di Bagdad, che non era ancora terminata all'inizio della guerra nel 1941, doveva portare attraverso la Turchia in Irak e garantire il collegamento via terra con la regione petrolifera, che all'epoca faceva parte dell'Impero Ottomano, e con il Golfo Persico. Era anche prevista la possibilità di rifornire le navi da guerra tedesche in questa regione in caso di necessità.

Così però il Reich Tedesco mirava direttamente alla zona di influenza britannica nel Golfo Persico, Arabia e Oceano Indiano.

Era quindi irrinunciabile la sicurezza di questa ferrovia "tedesca". Una buona parte correva all'epoca lungo i confini dell'Impero Asburgico, la maggior parte attraverso l'Impero Ottomano, che già all'epoca si era notevolmente indebolito. Interesse preminente del Reich tedesco era quindi il rafforzamento della Turchia e contemporaneamente il rafforzamento dell'influenza tedesca e il controllo diretto delle regioni dell'Europa sudorientale. Inoltre la sicurezza sembrava impossibile fino a quando fosse esistita una Russia forte. Bisognava quindi distruggerla e disgregarla in piccole parti.

2. L'EUROPA CENTRALE

La direzione dell'imperialismo tedesco che abbiamo delineato ebbe la sua formulazione "classica" sotto il nome di "Mitteleuropa". Era la moderna strategia imperialista delle "nuove" industrie, già operanti a livello europeo-multinazionale (chimica, elettrica), che contrariamente ai piani meramente annessionistici dell'industria pesante avevano già in mente i metodi di coniugazione dell'egemonia economica con l'indipendenza formale.

Uno degli ideologi di questo progetto di Mitteleuropa era il social-liberale F. Naumann. Nucleo centrale di tutte le varianti della Mitteleuropa era l'unione della Germania all'asburgica Austria-Ungheria, alla Bulgaria, che all'epoca comprendeva anche la Grecia settentrionale, e la Turchia e in tutto questo l'elemento di maggior disturbo era la Serbia. La Serbia aveva da poco conquistato la propria indipendenza dall'Impero Ottomano e si era opposta con successo a tutti i tentativi di annessione da parte dell'Impero Asburgico.

Su questo punto, Friedrich Naumann dichiarò: "Il territorio serbo non può essere tollerato come fortezza nemica all'interno della formazione di trincea mitteleuropea.... Come popolo i serbi hanno gli stessi diritti di esistere degli altri popoli, ma non possono pretendere il diritto di disturbatore della pace di professione".

La prima guerra mondiale cominciò e il grido di guerra tedesco fu "ogni tiro un russo, ogni colpo un francese, ogni calcio un inglese...e i serbi debbono morire".

Nel settembre 1914 il Cancelliere del Reich, Hollweg, aveva già formulato il programma di guerra influenzato da Rathenau (AEG) e da Gwinner (Deutsche Bank): "Bisogna raggiungere un'unione economica mitteleuropea mediante lo smantellamento comune delle frontiere, sotto l'influenza della Francia, del Belgio, Olanda, Danimarca, Austria-Ungheria, Polonia ed eventualmente Italia, Norvegia e Svezia. Questa unione...sotto la parità esteriore dei suoi membri, ma in realtà sotto la direzione tedesca, deve stabilizzare il predominio della Germania sull'Europa Centrale".

E' superfluo sottolineare che a questo punto si pensava naturalmente solo ad un'imposizione militare di questa unione economica. Contemporaneamente erano già stati formulati dei programmi per il "rivoluzionamento della Russia dalla Finlandia fino al Mare Nero, così come del mondo islamico dal Marocco all'India".

Come si profilò in seguito la Germania non poteva reggere una guerra su due fronti e quindi, alla fine della guerra, non avrebbe potuto imporre il proprio predominio quale potenza vincitrice. Perciò i circoli più moderni della borghesia tedesca cominciarono a pensare a come poter ottenere il medesimo risultato in una maniera meno diretta.

Faceva parte di questi progetti anche il cercare una pace duratura e un'alleanza con la Francia così da avere le mani libere per il progetto di Mitteleuropa. Una prospettiva che si ripresentò anche in vista della sconfitta della seconda guerra mondiale e che poi venne ripresa sotto Adenauer.

In questo senso andavano, a partire dal 1917, i tentativi di questi circoli per raggiungere una "pace negoziata".

Questi progetti si esprimono chiaramente in un memoriale del 1918 di Friedrich Naumann, Ernst Jäckh e Robert Bosch nel quale viene richiesta l'immediata fine della guerra per salvare l'area sudorientale controllata dalla Germania: "Le nostre conquiste di guerra fino ad oggi sono la creazione e l'unificazione dell'Europa Centrale. Questo esprime la nostra collocazione economica e militare tra le grandi potenze, un obiettivo di guerra che possiamo raggiungere indipendentemente da qualsiasi cambiamento delle nostre frontiere con l'occidente e con l'oriente".

Proprio questo era stato capito anche dai nemici di guerra dei tedeschi che dopo la sconfitta del Reich tentarono di vanificare proprio questa vittoria e di impedire, con provvedimenti strutturali di lunga durata, una nuova edizione di quella che si chiamava la "Mitteleuropa" tedesco-imperialista. Per questo motivo il Trattato di Versailles e quelli successivi -quintessenza delle catene della politica tedesca- sono stati duramente combattuti fin dall'inizio.


OBIETTIVI ESPANSIONISTICI PRIMA DELL'INSTAURAZIONE DELLA DITTATURA FASCISTA IN GERMANIA


L'imperialismo tedesco aveva subito durante la prima guerra mondiale una sensibile sconfitta, ma era molto lontano dall'abbandonare i propri obiettivi espansionistici. Questo si rileva con chiarezza tra l'altro nelle dichiarazioni del Generale Von Seeckt alla fine del 1918: "Dobbiamo tornare ad essere potenti e non appena riavremo il potere ci riprenderemo naturalmente tutto quello che abbiamo perso". E il Generale Groener, Ministro della Difesa del Reich dal 1928 al 1932, disse nel 1919: "Se si vuole combattere per il dominio mondiale, bisogna essere lungimiranti e prepararsi senza troppi riguardi per le conseguenze... . A questo fine però il terreno sul quale ci poniamo, all'interno e all'esterno, deve essere stabile e inattaccabile".

Questo compito venne assunto con fermezza dai circoli dominanti.

1. IL CONGRESSO ECONOMICO MITTELEUROPEO

Un passo decisivo è stata la fondazione del congresso economico mitteleuropeo (MWT), un gruppo d'interessi del capitale tedesco che univa, al di là delle diverse frazioni, tutti i gruppi di capitali interessati all'espansione verso il sud-est. Questo gruppo riuniva le più importanti multinazionali: dalla Krupp alla Thyssen fino alla IG-color e le grandi banche. In questo modo erano uniti all'interno del MWT i due campi della grande industria dell'epoca, il cosiddetto campo-Brüning (le industrie dell'esportazione come la Siemens che appoggiavano il Cancelliere del Reich Brüning) e il fronte-Harzburger (il cartello della cosiddetta "opposizione nazionale"sotto la direzione di Hitler e di Hugenberg), vale a dire frazioni di capitale con interessi in parte diametralmente contrapposti. Inoltre vi facevano parte anche altre associazioni come ad esempio l'unione dell'industria tedesca del Reich, il congresso dei comuni tedeschi, l'ADAC. Aveva stretti collegamenti con le forze armate del Reich e naturalmente con il Ministero degli Esteri.

La fondazione del MWT avvenne non a caso all'epoca della maggiore e più lunga crisi economica della storia del capitalismo.

Compito principale del MWT era quello di elaborare strategie per affrontare la crisi che potessero contare sul massimo consenso possibile da parte dei principali gruppi capitalistici. Il fatto che questa procedesse in modo eccezionale fu una delle condizioni che permisero l'instaurazione della dittatura fascista nel 1933.

2. STRATEGIE DI SOLUZIONE DELLE CRISI DEL CAPITALE TEDESCO AGLI INIZI DEGLI ANNI '30

Le prospettive dell'economia tedesca nel 1931, alla fine della lunga crisi dell'economia mondiale, erano estremamente sfavorevoli:

- dal mercato mondiale non c'era da aspettarsi, in tempi brevi, una ripresa degli affari;

- l'imperialismo tedesco era bloccato, per quanto riguardava la politica valutaria e creditizia, dal pagamento delle riparazioni di guerra;

- non aveva a disposizione delle colonie quali mercati esteri di riserva;

- aveva perso durante la prima guerra mondiale gran parte del suo capitale estero;

- disponeva per le sue capacità produttive di un mercato interno troppo limitato.

La concentrazione di interessi per trovare una strada comune per uscire dalla crisi, in questa situazione disperata, non era un compito facile. Da un lato il campo del fronte di Harzburg spingeva per sganciarsi dal mercato mondiale nel quale non vedeva alcuna prospettiva. Le multinazionali ancora concorrenziali a livello internazionale come la Siemens o la Pharma si opponevano a qualsiasi provvedimento che potesse nuocere alla capacità di concorrenza internazionale. L'unica via d'uscita sembrava essere in tre proposte concatenate:

- la creazione di una richiesta supplementare da parte dello Stato, in particolare materiali bellici;

- la riconquista di una capacità bellica aggressiva mediante un riarmo massiccio;

- la "delimitazione del commercio estero tedesco", cioè lo sganciamento dal mercato mondiale mediante la creazione di una regione economica dipendente dalla Germania nell'Europa centrale ed orientale. Del resto in caso di guerra sarebbe stato impossibile mantenere rapporti economici oltreoceano.

Sia questi cosiddetti sforzi autarchici che il massiccio riarmo avevano bisogno di uno Stato forte, che potesse imporre i provvedimenti e le spese necessarie all'intero paese - con i rapporti esistenti questo era possibile solo sotto una dittatura.

3. LA POLITICA DI AGGRESSIONE IMPERIALISTA TEDESCA PRIMA DELL'INSTAURAZIONE DELLA DITTATURA FASCISTA

E' comunque un errore credere che all'epoca la politica di aggressione imperialista tedesca abbia dovuto aspettare la "presa del potere da parte di Hitler". Infatti già in ottobre/novembre, quindi tre mesi prima che Hitler venisse "strappato dal letto" per diventare Cancelliere del Reich, venne intrapreso un tentativo di politica di aggressione nell'area del Mediterraneo, che può servire da esempio delle attività del MWT: nel novembre 1932 il MWT insieme alle forze armate del Reich e al Ministero degli Esteri redassero un memorandum "non ufficiale" e lo consegnarono a Mussolini. Questo memorandum aveva come obiettivo il sovvertimento violento degli Stati dell'Europa centrale e sudorientale. Punto centrale del progetto era la Jugoslavia che doveva essere distrutta con l'aiuto dell'Italia. La Jugoslavia doveva essere divisa in uno Stato Croato-Sloveno e in uno Stato del resto della Jugoslavia, composto da Serbia e Montenegro, lungo le vecchie frontiere tra il Regno Romano d'Oriente e d'Occidente. Inoltre si sarebbe dovuto irrompere dalla Transilvania tedesca nella Romania per creare infine una federazione del Danubio composta da Croazia, Slovenia, Transilvania e Ungheria che sarebbe stata sottomessa in ugual modo all'Italia e alla Germania. Le secessioni dovevano essere provocate con l'appoggio ai movimenti indipendentisti reazionari croati e sloveni in Jugoslavia ovvero mediante movimenti insurrezionali degli Ungheresi e dei tedeschi della Transilvania in Romania fomentati artificialmente.

Di conseguenza scoppiarono rivolte croate e slovene che si svilupparono nel 1932/1933 - attività sotterranee che, secondo le affermazioni di Alfred Sohn-Rethel, vennero finanziate tra l'altro da Krupp: "In campo tedesco avveniva il traffico d'armi, il servizio clientelare, la distribuzione di denaro riciclato, le trattative con i partiti politici e con i capi delle bande ... gli emissari di Pavelic [capo degli Ustascia] andavano e venivano. L'ultimo risultato di questa attività sovversiva fu l'assassinio del Re Alessandro I a Marsiglia il 9 ottobre 1934 da parte degli uomini di Pavelic" (con l'aiuto attivo della difesa tedesca).

Questo progetto fallì soprattutto perché l'Inghilterra e la Francia ne vennero a conoscenza.

4. SFORZI ECONOMICI E POLITICI PER IL CONTROLLO DEI PAESI DEL DANUBIO E DEI BALCANI

"Non che si volesse conquistare ed annettere politicamente i paesi del Danubio e dei Balcani, ma dovevano essere portati sotto l'influenza e l'effettivo dominio del Reich, così che in caso di necessità si potesse disporre delle materie prime, dei raccolti, delle fonti energetiche, dei mezzi di trasporto, della posta e delle strutture amministrative e che si potesse dirigere le loro strutture produttive e la loro politica agraria".

Totalmente unanime su questo punto, il capitale bancario ed industriale tedesco si impegnò metodicamente nell'accerchiamento economico e nell'infiltrazione politica dei Balcani.

Anche un altro metodo attirò l'attenzione in Inghilterra: secondo le affermazioni del Ministero per il Commercio inglese ditte tedesche importavano prodotti dall'Europa centrale e sudorientale ad un prezzo di molto superiore a quello del mercato mondiale e vi importavano merci in parte anche al di sotto dei costi di produzione conducendole così ad una dipendenza economica sempre maggiore.

In relazione ai piani economici per riconquistare una capacità bellica ("autarchia") era importante anche stimolare la coltivazione di monocolture che dovevano corrispondere agli interessi tedeschi. Si trattava soprattutto della coltivazione di foraggi e di sementi oleose, ad esempio soia, che avevano importanza anche per la produzione di alimenti sintetici e di materie grezze chimiche.

L'agognato controllo totale sull'"Europa Centrale" doveva essere anche la base per la programmata guerra contro l'Unione Sovietica ("petrolio di Baku") e l'allargamento dell'influenza tedesca nel Vicino e Medio Oriente.

"L'Unione Sovietica deve scomparire. Attaccarla frontalmente non è consigliabile. Useremo una manovra a tenaglia: al nord dal Baltico, al sud dai Balcani - fino a Baku... Per andare sul sicuro appronteremo una seconda tenaglia: al nord dalla Norvegia e da Murmansk, al sud dall'Italia, l'Africa settentrionale, l'Egitto e la Persia fino a Baku", così si esprimeva il Presidente della Camera di Commercio e dell'Industria di Aachen, Peill, nel 1932. La Germania avrebbe dovuto appoggiarsi sulla stessa base dell'ultima guerra, solo che questa volta l'Italia avrebbe preso il posto della Turchia.

Presupposto di un'effettiva egemonia sull'Europa sud-orientale era la distruzione del sistema industriale dell'Europa sud-orientale che si basava soprattutto sull'industria ceca, appoggiata soprattutto dal capitale finanziario francese, e sull'industria austriaca finanziata dall'Inghilterra. L'annessione territoriale dell'Austria e della Cecoslovacchia di per sé non era quindi necessaria; necessaria era solo la rottura della posizione di concorrenza dell'industria austriaca e ceca, che però, come già detto, erano sostenute da capitali finanziari francesi ed inglesi.

Non importa in quale modo, se al capitale tedesco fosse riuscito di appropriarsi delle fabbriche ceche e di portare sotto il proprio controllo le industrie austriache "la posizione di monopolio industriale e politico della Germania sarebbe stata assicurata non solo per l'Europa sudorientale, ma anche per una buona parte del Vicino Oriente".

In anticipo su questa espansione nel Vicino Oriente, nel maggio 1931 venne fondata l'Unione d'Oriente Tedesca.

Abbiamo parlato così articolatamente degli sforzi dell'imperialismo tedesco agli inizi degli anni '30 per mostrare che i tentativi fortemente nazional-sciovinisti, aggressivi ed espansionistici erano stati progettati già prima del 1933 e al di fuori delle organizzazioni nazional-socialiste. Erano le particolari circostanze storiche (crisi dell'economia mondiale, forte movimento operaio), che spinsero le principali forze imperialiste del Reich tedesco a ricorrere alla forma di governo fascista.


LA DITTATURA FASCISTA COME STRATEGIA AGGRESSIVA DI SOLUZIONE DELLE CRISI DEL CAPITALE TEDESCO


1. TENTATIVI COMUNI DI SOLUZIONE DELLE POTENZE IMPERIALISTE: ESPANSIONE ED INTERVENTISMO DEL CAPITALISMO DI STATO

Lo sfondo di questa politica erano i problemi strutturali dell'economia imperialista che dopo i duri provvedimenti di razionalizzazione ed un massiccio processo di concentrazione non potevano più essere risolti con i mezzi del capitalismo liberale.

In principio, agli inizi degli anni '30, gli obiettivi delle principali potenze imperialiste si assomigliavano. Studi scientifici di gruppi di esperti imperialisti erano giunti alla conclusione -partendo dalla crisi economica mondiale della fine degli anni '20 - che la via d'uscita dalla crisi strutturale poteva consistere solo parzialmente nella limitazione dei meccanismi di mercato dovuta al fatto che l'intera industria e l'economia finanziaria erano sottoposti ad una certa influenza dalla creazione di cartelli obbligatori e diretti da interventi statali. La borghesia doveva quindi essere rimborsata per la sua perduta libertà con la garanzia della ripresa della produzione, con la creazione di domanda supplementare di cosiddetti beni non produttivi, cioè beni che non trovavano un impiego né per la riproduzione della popolazione (vestiti, alimenti ecc.), né per la produzione industriale. In pratica si trattava di merci d'armamento, di sprechi finanziati dallo Stato - cioè dalla massa della popolazione - e di beni di lusso.

Però i principi dell'economia di mercato dovevano cadere non solo all'interno. Sembrò infatti necessario legare strettamente a sé una gran parte del mondo in modo che lo scambio economico non seguisse le regole del mercato mondiale e le spese della ristrutturazione venissero scaricate in gran parte su queste regioni.

Nella corrispondente terminologia questo significava che la stabilizzazione del dominio imperialista era possibile solo con il controllo di una "zona egemonica" grande e gerarchicamente suddivisa: un ampio spazio economico-politico, con una struttura gerarchica metropoli-satelliti, nella quale i popoli sottomessi della periferia dovevano svolgere tre funzioni in un sistema di divisione del lavoro:

1. produrre materie grezze, generi alimentari e prodotti a basso prezzo per le metropoli;

2. essere acquirenti dei prodotti industriali dei popoli dominatori;

3. servire da gigantesco esercito di riserva a buon mercato per l'industria.

L'inasprimento dello sfruttamento del lavoro e il trasferimento della ricchezza prodotta verso le metropoli doveva rendere possibile accanto ad alti tassi di profitto per la grande borghesia imperialista anche l'elevamento dello standard di vita per ampi strati della popolazione nelle metropoli ed impedire così tentativi rivoluzionari dall'interno.

I metodi per affermare questa ristrutturazione dipendevano dalla situazione nella quale si trovava il rispettivo paese imperialista. Negli USA, che erano usciti estremamente rafforzati dalla prima guerra mondiale e che nel frattempo tenevano sotto il proprio controllo ben oltre l'America meridionale, si poterono imporre i provvedimenti di politica interna - grazie anche all'aiuto del "New Deal" di Roosvelt - nell'ambito di una limitata democrazia parlamentare. Contrariamente a questo keynesismo civile, le ricette borghesi in altri paesi, come ad esempio il Giappone e la Germania, dovevano essere più fortemente limitate, "e soprattutto in Germania, con lo sviluppo di una nuova, totalitaria forma di Stato borghese: il fascismo".

2. LA VARIANTE TEDESCA: SPAZIO VITALE - LO SVILUPPO DEL PROGETTO DI "MITTELEUROPA"

In questo paragrafo vogliamo parlare dettagliatamente di questa variante tedesca dell'intervento del capitalismo di Stato. Da un lato perché qui appare con particolare chiarezza la direzione d'urto dei tentativi espansionistici tedeschi. Dall'altro però anche perché nei documenti programmatici dell'intellighenzia economica e politica redatti sotto il fascismo tedesco vengono espressi propositi imperialisti in un linguaggio chiaro, senza veli, brutale, che secondo noi hanno una validità ancora oggi a livello mondiale, nel rapporto primo-terzo mondo.

Riallacciandosi ai progetti di Mitteleuropa, sotto il fascismo le elite tedesche svilupparono una strategia imperialista di soluzione della crisi utilizzando il concetto di "spazio vitale": la creazione di un'ampia area economica sotto il dominio della Germania. A partire dal centro - la Germania - dovevano essere creati cerchi concentrici con sempre minore grado di sviluppo economico e standard di vita e con sempre maggiore grado di sfruttamento delle risorse umane e materiali. Gli Stati immediatamente confinanti avrebbero mantenuto la propria indipendenza formale e il proprio potenziale industriale. Il cerchio successivo sarebbe stato formato da Stati semi-coloniali tenuti ad un livello di sviluppo inferiore e nel cerchio più esterno le regioni sotto l'occupazione coloniale, deindustrializzate e ricondotte ad un'economia meramente agraria.

Dal punto di vista geopolitico la parte principale di questo ampio spazio da conquistare non poteva che essere situato ad est. Hitler si espresse a questo riguardo nel modo seguente: "Le 'Indie' della Germania si trovano ad 'est': la culla della potenza inglese è l'India. Fino a 400 anni fa gli inglesi non avevano nulla. Gli enormi spazi dell'India li hanno costretti a governare milioni di uomini con pochi uomini. Determinante era l'approvvigionamento di più paesi europei con generi alimentari e beni d'uso... Nella nostra colonizzazione dell'area russa il 'contadino del Reich' dovrà alloggiare in meravigliosi insediamenti. I luoghi e le istituzioni tedeschi devono avere stupende costruzioni, i Governatori palazzi. Intorno a questi luoghi si costruirà ciò che serve al mantenimento della vita. Intorno alla città ci sarà un anello di 30/40 chilometri di bei villaggi collegati con le migliori strade. Quello che c'è poi è l'altro mondo, nel quale lasceremo vivere i Russi così come loro desiderano. Solo che noi li domineremo. In caso di una rivoluzione non abbiamo che da buttare un paio di bombe su quelle città e la cosa è risolta".

Accanto ai bei insediamenti ed ai palazzi l' "altro mondo", il "mondo dei Russi". Immagini terribilmente attuali come quelle delle townships e degli slums nell'attuale Africa, Asia e Sudamerica, che formano un contrasto inumano con la ricchezza nell'America del nord e in Europa.

Per il fascismo tedesco il principio-guida per la costruzione delle "Indie tedesche" era l'esempio britannico: saccheggio economico mediante l'uso della violenza. Presupposto ne era la distruzione dell'Unione Sovietica. C'era unità tra le frazioni principali delle forze armate, le élites politiche ed economiche nel far cadere il regime sovietico ed indebolire la Russia tramite la "balcanizzazione", l'annessione di sue parti, lo spopolamento e la deindustrializzazione. "Bisogna impedire l'esistenza di ogni organizzazione statale e tenere ad un corrispondente livello culturale gli appartenenti a queste popolazioni. Bisogna partire dal presupposto che questi popoli hanno innanzitutto nei nostri riguardi il compito di servirci economicamente. Non ci saranno più colonie, che aprono la porta alle illusioni, ma solo zone economiche che verranno gestite secondo un piano ben preciso" aveva detto Himmler nel 1940.

La logica conseguenza di questo programma, che fu eseguito in modo brutalmente scoperto, fu l'utilizzo del terrorismo di Stato.

3. CONDIZIONI DI PARTENZA DELL'ESPANSIONISMO TEDESCO

La Germania partiva da una posizione di svantaggio nella realizzazione dei suoi progetti. Dalla propria sconfitta [nella prima guerra mondiale, ndt] aveva ancora un accesso limitato alle risorse dei paesi dipendenti e delle quali ogni paese imperialista aveva assolutamente bisogno. Senza l'accumulazione delle ricchezze delle colonie e delle semicolonie in nessuno dei concorrenti imperialisti poteva esserci sviluppo economico ed era impensabile la costruzione di un potenziale bellico. Questo significava che la Germania doveva basare la maggior parte del proprio armamento su crediti diretti o indiretti che potevano essere coperti solo dai futuri guadagni di guerra. Questo peso doveva naturalmente essere scaricato sui "territori dell'est": "Le vittime della guerra di aggressione dovevano poi pagare in prima persona i costi dell'aggressione".

L'annessione dell'Austria, l'annessione della Cecoslovacchia e le aggressioni alla Polonia, Belgio, Francia, Norvegia non avevano altro obiettivo che creare le condizioni economiche per poter reggere una guerra prolungata. Il lavoro forzato, lo sfruttamento spietato della forza lavoro erano quindi assolutamente necessari per compensare la mancanza di risorse.

4 PIANIFICAZIONE ECONOMICA DEI SACCHEGGI FUTURI...

Calcoli imparziali degli economisti mostravano che le risorse dei territori presi di mira dal Reich Tedesco non potevano bastare a sfamare a sufficienza le popolazioni che vi abitavano e che quindi era inevitabile sprofondare interi popoli nella fame se si voleva conservare il livello di vita desiderato nel paese centrale e se si volevano eseguire i piani militari.

In un documento di pianificazione segreto del dicembre 1941 dell'Istituto scientifico del lavoro del fronte operaio tedesco sulla "utilizzazione dei territori conquistati dal popolo tedesco" questa logica viene espressa con chiarezza: "Quando una potenza conquista un territorio nemico si trova oltre all'alternativa tra l'inserire questo territorio e la sua popolazione quale nuova provincia con pari diritti nella precedente unione di Stati oppure dominarlo come oggetto di sfruttamento, cioè costituzionalmente, e per il resto amministrarlo separatamente, anche una serie di soluzioni di mezzo... Quanto più forte è l'impronta delle popolazioni straniere in questi territori, tanto meno essi sono adatti ad essere annessi pariteticamente nello Stato originario; devono quindi essere amministrati quale bottino separato. Naturalmente questo bottino deve rivestire una qualche utilità per la maggioranza etnica. Questa utilità può avere da un lato carattere politico, in questo caso il vincitore deciderà di riunire i territori conquistati in uno Stato più o meno indipendente e si accontenterà di tenere questo Stato in un certo grado di dipendenza (esempio Slovacchia, Croazia eccetera). L'altro estremo consiste nello sfruttamento esclusivamente economico con il contemporaneo impedimento alla formazione di uno Stato indipendente nelle zone conquistate. Questo sarà il caso applicato, per impellenti motivi politici, nella maggior parte dei territori orientali conquistati..... . Per l'economia politica vale il principio che la somma della produzione corrisponde alla somma del consumo, cioè ogni economia consuma nel suo complesso quanto produce. Su questa equazione si basa ogni economia della divisione del lavoro... Se ora i territori dominati devono cedere una parte delle loro eccedenze di lavoro a favore della maggioranza etnica (i tedeschi), allora deve essere violato il principio economico formulato sopra. Gli abitanti delle zone dominate dovranno usare per loro solo una parte della loro produzione. L'altra parte deve essere destinata alla maggioranza etnica come controvalore per la sua direzione politica. Nel rapporto maggioranza etnica-Stato dominato deve prendersi in considerazione ciò che l'economia politica definiva plusvalore, quando questo si presenta quale imprenditore nei rapporti con i lavoratori".

Questi auspicati rapporti strutturali di sfruttamento tra la metropoli e la periferia corrispondono in tutto alla teoria della dipendenza che è stata formulata in riferimento all'attuale rapporto tra il primo e il terzo mondo. "Nel lungo periodo la primitiva economia di sfruttamento deve essere sostituita con un adattamento pianificato della struttura economica alle esigenze del popolo tedesco. Solo allora è assicurato un 'guadagno' del popolo tedesco", si legge ancora nel documento citato sopra.

Dopo la guerra, secondo i progetti dell'elite al potere - composta da NSDAP [partito nazista], elite economica e scientifica - la popolazione sovietica "vivrebbe ad un livello di vita così basso, che tutti i prodotti industriali, partendo dal semplice bicchiere d'acqua, vi troverebbero commercio" (Hitler). Dove c'erano delle industrie concorrenti, le economie dovevano essere "ridotte" tramite deindustrializzazione o"naturalizzazione" al necessario grado primitivo "complementare", non concorrenziale.

5 ...E LE PROMESSE PER LA POPOLAZIONE TEDESCA

In futuro si sarebbe offerto ai lavoratori tedeschi "il meglio per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di stipendio, la valorizzazione della loro forza lavoro e tutto quello che è attualmente possibile dal punto di vista tecnico". Una simile rivoluzione della produttività e del salario poteva realizzarsi però solo nella "grande area europea": "Nella grande area in futuro i lavoratori tedeschi potranno essere utilizzati solo per i lavori di maggior prestigio e meglio pagati e che permettono il maggior standard di vita possibile; i prodotti che non corrispondono a queste prerogative verranno lasciati sempre di più alla produzione dei paesi periferici. Ci prenderemo il meglio per i lavoratori tedeschi nella produzione industriale europea".

Ovvero come si legge ancor più chiaramente in un contributo scientifico pubblicato nel 1941 nella Rivista per l'economia pubblica globale: "I paesi dipendenti potranno coprire non solo il loro fabbisogno di beni di consumo di massa, ma anche in parte, a poco a poco, quello del paese-guida, mentre il paese-guida potrà dedicarsi sempre di più a quei rami industriali che richiedono forza lavoro altamente qualificata... Mentre quindi i più piccoli membri della grande area... produrranno ad esempio più articoli tessili e di pelle, più prodotti dell'industria del legno, metallurgica, siderurgica, edile eccetera a prezzi medio-bassi, la produzione del paese-guida godrà di nuovo impulso grazie alla produzione chimica ed elettrica altamente qualificata, alle macchine ed alle apparecchiature che necessitano di competenze meccaniche o particolarmente complicate, automobili o aeroplani e altri mezzi produttivi costosi..." - così Theo Suranyi-Unger nella sua relazione dal titolo "la lotta per l'economia della grande area" all'Università di Leipzig l'8/3/1940.

Questo esprime anche la quintessenza delle proposte, pubblicate dallo Spiegel nel 1992, della agenzia di consulenza aziendale Roland Berger & Soci, la seconda azienda di servizi di questo tipo in Germania. Ritorneremo su questo punto in seguito.

6 ZONE ECCEDENTARIE E ZONE DEFICITARIE: LIVELLO DI VITA A SPESE DEI PAESI DIPENDENTI

L'Europa occidentale, in particolare la Francia e il Belgio, dovevano servire da centri di investimento supplementari per il capitale tedesco; la Scandinavia e il "Protettorato di Boemia e Moravia" dovevano essere attive nella produzione di energia, alluminio e autovetture. Per l'Europa meridionale erano previste agricoltura intensiva, produzione di materie prime e una limitata produzione industriale di beni di consumo di massa; infine, la Polonia e l'Unione Sovietica dovevano diventare paesi sottosviluppati per quanto riguardava l'agricoltura e fornire le merci forza-lavoro e materie prime.

Anche qui - come evidenzieremo in seguito - ci sono degli evidenti parallelismi con la situazione attuale.

Nell'ambito di questa "struttura di sfruttamento della grande-area" tutto era legittimo e questo consentiva il maggior plusvalore possibile delle economie periferiche per la metropoli. Era possibile un certo "sviluppo dipendente" solo nella misura in cui aumentava questo plusvalore. Un elaborato dell'Ufficio Sperimentale per l'economia di difesa dell'Ente incaricato per il piano quadriennale ad esempio diceva di non avere obiezioni - in riferimento all'Europa meridionale- ad uno sviluppo economico della regione nell'ambito del settore produttivo assegnatole, se questo non limitava le rendite per la metropoli:

"... abbiamo un grande interesse a vicini economicamente stabili. Comunque dobbiamo temere una produzione eccedentaria di queste regioni, per cui non dobbiamo assolutamente contribuire ad uno sviluppo che ne aumenti il livello di vita a discapito della produzione eccedentaria che sarebbe disponibile per noi: se il livello dei consumi nei paesi dall'Europa sudorientale salisse ai nostri stessi livelli di consumo non solo diminuirebbero le eccedenze per le esportazioni dell'Europa sudorientale di generi alimentari e di foraggi, ma ci sarebbe un deficit incolmabile nell'approvvigionamento di generi alimentari e di materie prime per tutta l'Europa".

Non deve nemmeno essere un obiettivo far scomparire quella che "sta prendendo espressione nella sovrappopolazione agraria come 'disoccupazione nascosta'. Questa forza-lavoro in eccedenza potrebbe venire impegnata meglio qui da noi. In effetti la forza-lavoro eccedente del sud-est è il bene da esportazione più prezioso che quei paesi ci possono inviare già adesso e nel dopo-guerra. Sarebbe quindi da valutare se non sarebbe utile attribuire un ruolo più importante nel traffico economico tedesco-sudest europeo all'assunzione di maggiori masse di esseri umani quali lavoratori pendolari...".

In questo importante documento viene elaborato in modo esemplare quello che è essenziale per tutte le strutture e le strategie imperialiste: il fatto che l'aumento del livello di vita dei cosiddetti paesi periferici non è possibile senza diminuire il livello di vita nelle metropoli imperialiste e, al contrario, un alto livello di vita nella metropoli può esserci solo a spese della periferia. Dice su questo punto Heinz Dietrich, che si è espresso esaurientemente in un suo lavoro sulle affinità strutturali delle strategie imperialiste di soluzione della crisi negli anni '30 e le analogie con gli attuali rapporti nord-sud: "Le massime di razionalità capitalistico-economica formulate in questo modo dai tecnocrati e dai politici nazionalsocialisti non sono espressione di una loro particolare bassezza morale - in paragone ai discorsi delle attuali democrazie liberali". Documentano solo "apertamente e quindi tanto più brutalmente" le strategie, valide fino ad oggi, delle élites capitalistiche dominanti negli Stati imperialisti.

Oltre alle prime misure militari ne era programmata un'intera altra serie tesa ad affermare e consolidare la formazione della grande-area e la conquista del mercato mondiale. Di primaria importanza, per assicurarsi il predominio, era l'azione congiunta di alta finanza, grande industria e politica di intervento del capitale statale. Bisognava raggiungere una compenetrazione capitalistica tra le multinazionali concorrenziali all'interno del blocco del marco con la formazione di maggioranze azionarie tedesche, assicurazione del monopolio sulle licenze, agevolazioni fiscali e vantaggi per le grandi industrie tedesche, posizioni di monopolio sulle fonti di materie prime.

"Come è in generale necessario nei progetti imperiali o imperialisti, anche il superamento della crisi e la strategia egemonica dell' 'area vitale' dovevano essere assicurate con il terrorismo di Stato e con tecniche di dominio. Uno dei metodi utilizzati fu quello della politica di affamamento. Per rendere disponibile ai conquistatori lo spazio di insediamento all'est, la popolazione che vi era stanziata - così come era accaduto nella colonizzazione dell'America - doveva essere liquidata (Ebrei, Sinti, Rom eccetera), oppure esiliata in zone marginali, oppure trasformata in schiavi. Secondo i piani dell'Ente Centrale per la Sicurezza del Reich, dopo la vittoria sull'Unione Sovietica, dei circa 45 milioni di Europei orientali che nel 1941/42 vivevano ancora al di là del progettato confine orientale delle zone di insediamento tedesche, 31 milioni dovevano essere deportati in Siberia e il resto, nel giro di trenta anni, 'tedeschizzati'".

Come già accennato in precedenza lo stato maggiore economico-politico tedesco partiva dal "dato di fatto" che bisognava ridurre il consumo di generi alimentari all'est di modo che la Germania avesse avuto a sufficienza di che mangiare. Conseguentemente l'est venne diviso in zone eccedentarie e zone deficitarie. "Verranno promosse economicamente e tenute in ordine solo quelle zone che possono rifornirci di riserve alimentari e di petrolio". Un esempio di questo può essere testimoniato dalle generazioni più anziane: in Germania si è sofferto veramente la fame solo dopo la guerra.

I prodotti delle zone eccedentarie naturalmente non dovevano più essere a disposizione delle rimanenti regioni russe. "Non c'è alcun interesse tedesco nel mantenimento della capacità produttiva di questi territori -tranne che per quanto riguarda esclusivamente l'approvvigionamento delle truppe che vi sono stanziate-".

Di conseguenza anche ogni "trasporto di generi alimentari dal fertile sud verso il nord doveva essere ostacolato... Le popolazioni di queste zone (settentrionali), in particolare quelle delle città, dovranno affrontare il problema della fame". I tentativi "di salvare la popolazione dalla morte per fame, facendo confluire le eccedenze dalla zona della terra nera (per i territori settentrionali), potevano avvenire solo a discapito dell'approvvigionamento dell'Europa... La conseguenza forzata è la morte sia dell'industria che di una gran parte degli esseri umani nelle zone deficitarie (Russia)".

Anche in questo caso sono evidenti le affinità con le zone deficitarie dell'Africa. Naturalmente qui la morte per fame non viene progettata apertamente, amministrativamente, ma avviene attraverso il "mercato", cioè anche attraverso la politica delle multinazionali e dei loro governi. "E con i dati attuali si può prevedere in modo statisticamente preciso quante persone delle zone deficitarie dovranno morire se i banchieri di New York, Tokjo, Londra e Francoforte decidono di aumentare il tasso internazionale di sconto di un punto", così Heinz Dietrich nei suoi studi.


L'ODIERNO "MONDO LIBERO" - L'ESSENZA DELLE STRATEGIE IMPERIALISTE DI SOLUZIONE DELLE CRISI DEGLI ANNI '30


Ci manca lo spazio per analizzare compiutamente le strategie degli USA, vincitori della seconda guerra mondiale. Riassumendo basti dire: l'imperialismo tedesco - come quello giapponese - mirava apertamente ad un"Nuovo Ordine" e si riferiva, dal punto di vista ideologico, alla dottrina Monroe, utilizzata dagli USA da 100 anni (divieto di intervento da parte di tutte le altre potenze in America), quale precedente di diritto internazionale. Gli USA invece, quale maggiore potenza e sicura erede dell'impero britannico, non potevano trarre alcun vantaggio da questo basilare riordinamento e miravano al mantenimento dello status quo.

Mentre quindi i Giapponesi cercavano potenziali alleati nelle regioni della grande-area con la parola d'ordine "l'Asia agli Asiatici" e la Germania "l'Europa per gli europei germanizzati", gli USA - insieme all'Inghilterra - che avevano da difendere una egemonia mondiale, portavano avanti uno scontro ideologico nella forma generale della difesa della democrazia e del diritto all'autodeterminazione dei popoli.

Per quanto le strategie differissero molto nella forma, l'effettivo contenuto era essenzialmente lo stesso. Le strutture mondiali che si formarono dopo la seconda guerra mondiale nella parte del mondo controllata dagli Stati imperialisti sono l'essenza di queste strategie di soluzione della crisi. Se si toglie il mantello ideologico alle relazioni tra primo e terzo mondo appaiono con chiarezza le stesse relazioni che erano state apertamente formulate dall'intellighenzia tedesca durante il fascismo.

Citando ancora Heiz Dietrich: "La situazione attuale è ancora più ripugnante di quella passata. I nazisti potevano... demagogicamente... gestire le necessità di guerra. Gli attuali centri dell'economia mondiale non si trovano né in guerra, né soffrono la mancanza di generi alimentari. Al contrario enormi somme vengono sprecate per annientare i generi alimentari eccedenti... Il capitale liberista, contrariamente al moloc amministrativo annientatore del nazionalsocialismo, uccide principalmente attraverso il mercato. Eppure, dato che gli apparati ideologici del Mondo Libero svolgono alla perfezione la loro funzione di indottrinamento, la "morte necessaria" degli esseri umani nel terzo mondo non è uno scandalo bensì una di quelle necessità triviali che colpiscono questo mondo".

Però, come hanno mostrato le guerre degli ultimi 50 anni in Africa, Asia e America, l'imperialismo non uccide solamente attraverso il mercato.

Con il crollo degli Stati socialisti dell'Europa orientale e dell'Unione Sovietica la strada verso l'est e verso il sudest è nuovamente libera. Tutto fa presumere la una maggior parte di questi paesi stia per cadere in una di quelle forme di dipendenza descritte sopra e quindi per assumere lo status di paese del terzo mondo. Dove questo non può essere ottenuto con provvedimenti politici ed economici, si destabilizzano gli Stati e si utilizza la violenza per disgregarli. La Jugoslavia, della quale parleremo subito dopo, è un esempio di tutto questo.


GERMANIA POTENZA CENTRALE DELL'EUROPA


LA RINASCITA DEL "CONCETTO DI MITTELEUROPA"

Lo storico conservatore e biografo di Adenauer Hans-Peter Schwarz apre il suo ultimo lavoro sul ruolo della Germania quale "potenza centrale europea" con l'osservazione che tra le grandi cesure della storia tedesca è da annoverare il 1° settembre 1994, il giorno della ritirata delle ultime unità russe dalla Germania. "Così finiva un'epoca che era incominciata mezzo secolo prima". La RFT, quattro anni dopo l'annessione della RDT, è di nuovo tre in uno: uno Stato nazionale, una grande potenza europea e la forza centrale in Europa. "Perché c'è solo un paese che grazie alla sua posizione geografica, grazie alle sue capacità economiche e alla sua influenza culturale, grazie alla grandezza e grazie ad una sempre presente dinamica, può assumersi il compito di essere una potenza centrale: appunto la Germania". La Germania è già la potenza centrale dell'Europa, ovvero la grande potenza europea. Dal momento però che il concetto di grande potenza evoca all'interno come all'estero il ricordo di una sfrenata politica egemonica, della guerra e dell'annientamento, si preferisce il nuovo concetto di "potenza centrale dell'Europa".

1 SCHÄUBLE/LAMERS E IL "NUCLEO EUROPEO"

Puntualmente il giorno della grande cesura del 1° settembre 1994, il capo frazione della CDU/CSU Wolfgang Schäuble insieme al portavoce della politica estera della frazione parlamentare della CDU/CSU Lamers fecero scalpore con la pubblicazione del documento strategico "riflessioni sulla politica europea". In esso venivano formulati -e sattamente nel senso del pensiero di Hans-Peter Schwarz sulla "potenza centrale dell'Europa" - gli obiettivi della nuova politica tedesca di grande potenza e veniva richiesta la formazione di un "nucleo europeo" - con Germania, Francia e Benelux che formano il nucleo e la Germania e la Francia il"nucleo del nucleo duro" - con l'intenzione, dopo quasi 50 anni di astinenza, di entrare finalmente in scena quale potenza d'ordine continentale. Accanto a

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UNA BIRRETTA IN COMPAGNIA

Il sito "Osservatorio Balcani e Caucaso" è specializzato nello spaccio del punto di vista della Commissione Europea, che lo finanzia dal 2006. Ha già fatto gravi danni sulla questione Jugoslava ma non disdegna di disinformare su tutto l'Est europeo e fino al Caucaso. E' legato a simili iniziative di disinformazione via internet come il "Courrier de Balkans" franco-montenegrino. Adesso cerca di indorare la pillola del nazismo ucraino, anziché denunciare la responsabilità diretta delle istituzioni UE nello scoppio di una nuova guerra fratricida in Europa. Leggere per credere:

Pravy Sektor: birra e rivoluzione
di Danilo Elia, 18 giugno 2014

Verifica chi sono i finanziatori di "Osservatorio Balcani e Caucaso":





http://xcolpevolex.blogspot.it/2014/06/trieste-e-la-targa-della-falsa.html

13/06/14

Trieste e la targa della “falsa” liberazione del 12 giugno 1945, alcune menzogne dei 42 giorni di Trieste


Il primo maggio del 1945 alle sei di mattina con cinque carri armati leggeri e duecento mitragliatrici, i partigiani jugoslavi, entrando a Trieste, libereranno la città dall'occupazione nazifascista. Ma da quel momento sino al 12 giugno 1945 e soprattutto dopo il 12 giugno 1945, quando le truppe dell'esercito jugoslavo abbandoneranno la città in relazione agli accordi come maturati con gli anglo-americani nel 9 giugno del 1945, vi sarà una campagna di falsificazione storica, di revisionismo storico,talmente folle che è diventata verità, verità fatta propria anche dalla sinistra istituzionale. La liberazione di Trieste verrà trasformata in occupazione di Trieste. L'occupazione di Trieste da parte dei partigiani jugoslavi, nella memoria storica sia locale che nazionale, come condizionata da diverse falsità, diventerà più violenta ed irruenta di quella nazifascista. Si parlerà poco per esempio del 27 marzo 1944, quando in città vennero impiccati pubblicamente quattro partigiani del "Battaglione Triestino": Sergio Cebroni, Giorgio De Rosa, Remigio Visini e Livio Stocchi, si parlerà poco del  3 aprile quando vennero impiccati settantadue ostaggi in rappresaglia ad un attentato compiuto dalla Resistenza a Opicina  del 29 aprile, quando per rappresaglia rispetto all'uccisione di cinque tedeschi avvenuta a via Ghega a Trieste, i nazisti impiccarono altri cinquantasei partigiani, si parlerà molto, invece, della caccia all'italiano, falsa, esercitata dai partigiani jugoslavi. Si ricorderà poco, a livello nazionale, l'esistenza della Risiera, si ricorderà molto, invece tutta la mistificazione delle vicende delle foibe o dell'esodo e dei "tremendi" 42 giorni di Tito. Andando a rileggere i giornali di quel tempo, che in sostanza dedicheranno sempre spazio alla questione di Trieste, ben emerge la denuncia della menzogna come esercitata da diverse agenzie di stampa. Non si parlerà per esempio del fatto che dieci mila triestini erano riuniti in piazza a gridare viva Tito viva gli alleati antifascisti, la sera antecedente l'approvazione dell'accordo che avrebbe sancito il passaggio di poteri. Addirittura lo stesso Vescovo di Trieste dichiarerà che “l'atteggiamento delle autorità jugoslave e locali nei riguardi del clero sono invariabilmente corrette e rispettose” sull'Unità del 10 giugno del 1945 e la fonte sarà l'agenzia Reuters smentendo anche le voci che dicevano che il Vescovo fosse stato sottoposto a domicilio coatto da parte dei partigiani jugoslavi.  Unità, che come è noto, non è mai stata benevola nei confronti di Tito, e non aveva alcun interesse a tutelare la sua figura ed il suo ruolo. Il 17 maggio del 1945 si leggerà che a Trieste non vi sono state “Né stragi, né deportazioni di massa, né caccia all'italiano” ed a dire ciò sarà la signora Sprigge del Manchester Guardian . 

Velio Spano, che sarà successivamente membro dell'Assemblea costituente e senatore per le prime quattro legislature nell'Unità del 18 maggio del 1945 scriverà, in prima pagina, che andavano denunciate le falsità delle agenzie di stampa, sulla questione di Trieste, che avevano l'unico scopo di risvegliare "sentimenti nazionalistici e residui di fascismo" .
Come falsa sarà, per esempio, la notizia dell'ultimatum all'esercito di Tito. Il 19 maggio del 1945, dopo una riunione avvenuta al Rossetti, nascerà il comitato congiunto italo sloveno per l'amministrazione civile di Trieste, il corrispondente dell'Associated Press di Trieste renderà noto che vi erano trattative tra l'esercito jugoslavo e quello anglo americano e che i  rapporti erano cordiali, come diranno diverse agenzie di stampa anche del 31 maggio del 1945.

Dunque certamente i partigiani jugoslavi non potevano avere alcun minimo tipo di interesse, vista la situazione, di realizzare persecuzioni o violenze nefaste, sarebbe stato un controsenso illogico, sarebbe stato come buttarsi la zappa mortale sui piedi.

Non si deve poi dimenticare che in quel periodo, in Italia, operavano i Tribunali straordinari per i collaborazionisti del nord, come da decreto del 22 aprile 1945, vi era la pena di morte per coloro che venivano accusati di aver avuto le maggiori responsabilità, ciò per far capire il clima di quel tempo, stesso discorso, in un certo senso, accadeva sotto la vigenza dell'esercito di liberazione jugoslavo, la guerra non finisce con la data stabilita a tavolino, gli effetti della guerra continuano nel tempo con le inevitabili  condanne anche a morte di chi fino a qualche giorno prima si era reso complice, direttamente od indirettamente, del regime fascista e nazifascista. Ed allora il fatto che la così detta sinistra voglia fare propria l'iniziativa di forze reazionarie e di destra, quale quella di dover considerare il 12 giugno come la vera liberazione di Trieste, come quella di dover considerare i 42 giorni di amministrazione italo-slovena e jugoslava a Trieste come tremendi, come momenti bui, equiparati all'occupazione nazifascista è una falsità storica sconvolgente.
Degli errori ci saranno stati, ma deve seriamente indurre alla riflessione ma anche alla reazione, quando accade che le istanze di forze nazionalistiche, che poi erano quelle che facevano circolare le false notizie e falsi allarmismi in quel tempo, vengono fatte proprie da forze politiche che deriverebbero proprio dalla resistenza, quella resistenza che si è battuta contro la menzogna e contro i fascismi. Il 12 giugno 1945 non vi è stata nessuna liberazione di Trieste, la forza che ha liberato Trieste, ha ceduto i poteri agli anglo-americani. Ed allora, per rigor di logica, se occupanti erano gli jugoslavi, occupanti saranno anche gli anglo-americani, occupazione che è continuata in Italia in modo poi non tanto sottile fino ai giorni nostri. D'altronde in Italia non vi è mai stata una Repubblica indipendente e la nota strategia del terrore, quale quella della tensione, deve essere letta anche in questo cupo ambito.
Ora, si dirà, perché questo intervento? Perché è stata rinnovata la promessa, da parte di alcuni esponenti politici locali, di voler realizzare una targa ,a Trieste, finalizzata a ricordare il 12 giugno del 1945 come giorno della liberazione della città.





http://www.diecifebbraio.info/2014/06/il-rapporto-dellispettore-de-giorgi-sulle-foibe/

IL RAPPORTO DELL’ISPETTORE DE GIORGI SULLE “FOIBE”

Nell’immediato dopoguerra l’ispettore della Polizia Civile del GMA Umberto De Giorgi si mise in luce come l’organizzatore dei recuperi delle salme degli “infoibati”.L’ispettore De Giorgi, già maresciallo di PS ai tempi del nazifascismo, fu uno dei fondatori della Polizia scientifica a Trieste e nell’immediato dopoguerra si mise in luce come organizzatore dei recuperi delle salme degli “infoibati”. Fu però un personaggio molto discusso all’epoca: da una parte venivano elogiati i suoi metodi di indagine, la sua capacità di identificare i responsabili delle inchieste che conduceva; dall’altra parte fu definito un “regista” di processi per il modo “disinvolto” ed a volte melodrammatico con il quale portava avanti le indagini.

Va anche ricordato che nel corso di un’intervista rilasciata pochi mesi prima di morire, l’ispettore De Giorgi disse che durante la guerra avevano spesso trovato “altri cadaveri che la banda Collotti (cioè l’Ispettorato Speciale di PS, n.d.r.) buttava in cespugli e anfratti dopo le torture, girando la notte con un furgoncino”, sequestrato all’impresa locale di pompe funebri. Tuttavia, pur essendo a conoscenza di questa “usanza” dell’Ispettorato, nel periodo in cui si dedicò al recupero delle salme dalle foibe De Giorgi non sembrò avere mai alcun dubbio nell’attribuire ai “partigiani” la responsabilità di tutti gli “infoibamenti”.

In merito alle esplorazioni compiute dalla Squadra Esplorazioni Foibe (SEF) da lui diretta, esiste uno “specchietto”, conservato presso l’Archivio Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste e pubblicato sul “Piccolo” del 3/9/96. In questo “specchietto” risultano esplorate tra il 1945 ed il 1948 71 cavità, dalle quali fu recuperato un totale di 464 salme; 23 di queste esplorazioni non portarono però ad alcun recupero. Non tutte queste esplorazioni si riferiscono alla provincia di Trieste: De Giorgi si spinse fino a Travesio (attuale provincia di Pordenone), dove da due fosse furono riesumati 12 corpi di persone uccise nel corso del conflitto; altri corpi furono recuperati da sommarie sepolture in fosse (non “foibe”) nella bassa friulana e nel monfalconese (una decina circa, alcuni risultarono essere stati vittime di rapinatori), ed altri (per lo più militari) nella zona corrispondente alla vecchia provincia di Gorizia passata sotto l’amministrazione jugoslava.

Sull’operato di De Giorgi hanno spesso speculato coloro che fecero della questione foibe il loro cavallo di battaglia politica, richiamandosi a quanto sarebbe scritto in un suo “rapporto”, del quale lo storico Roberto Spazzali scrisse: “un non meglio precisato rapporto che sarebbe stato redatto nel 1947 dall’ispettore capo della Polizia civile del GMA Umberto De Giorgi in merito ad alcune esplorazioni (…)Resta da verificare l’attendibilità del rapporto, la bibliografia indicata non fa alcun accenno personale e originale a questo rapporto” (in “Foibe. Un dibattito ancora aperto”, Lega Nazionale Trieste 1990).

Ciò che è stato reso pubblico di questo “rapporto” è sostanzialmente quanto Ugo Fabbri (noto a Trieste sia come speleologo, sia come militante in movimenti e partiti dell’estrema destra, autodefinitosi “incallito eversore”) pubblicò sul periodico “Il Borghese” del 25/4/76 (circa due settimane prima della morte di De Giorgi), asserendo di possedere una “copia autografa” di tale “rapporto”. Nell’articolo vengono descritte le esplorazioni di otto cavità operate dalla “squadra” di De Giorgi, dalle quali furono recuperate: una “cinquantina” di salme dalla “foiba di Monrupino” (militari germanici che caddero durante la battaglia di Opicina); 156 dalla Jelenka Jama (nella zona di Comeno), 70 dei quali militari di varie nazionalità; e per le altre sei cavità 11 persone in totale uccise in vendette individuali in parte avvenute durante il conflitto.

Questi dati, invece di confermare la tesi degli “italiani uccisi solo perché tali” dimostra invece come la maggior parte delle salme rinvenute nelle foibe fossero di militari uccisi in tempo di guerra, e, in misura molto minore, di singole vittime di regolamenti di conti.

Nel 2004 uno speleologo triestino ha rintracciato, tra i documenti della società speleologica del CAI, un “rapporto” su esplorazioni di foibe che può essere attribuito (non è firmato) alla squadra dell’ispettore De Giorgi. L’originale è ora conservato presso la Società speleologica di Postojna (Postumia) in Slovenia. Le parti pubblicate sul “Borghese” corrispondono a quanto contenuto in questo “rapporto”, quindi riteniamo si tratti del documento così spesso citato.

Questo “rapporto”, che consta di 60 pagine (la pagina n. 1 è bianca), contiene 26 relazioni che descrivono 33 ricognizioni in 27 cavità distinte (alcune cavità sono state esplorate più di una volta), svoltesi tra ottobre 1945 gennaio 1948. In totale risultano recuperate 246 salme; altri 62 corpi sono stati stimati in base al numero dei femori rinvenuti; una “cinquantina” infine furono localizzati nella 149 VG, ma non recuperati.

Dei corpi identificati, più di 200 sono di militari (italiani, germanici, alleati) o di formazioni simili (PS, Guardia civica, Vigili urbani). Una quarantina i civili; le vittime di singole azioni commesse dopo la fine della guerra sono una trentina, per la maggior parte di questi atti furono celebrati dei processi, ma è da dire che spesso quanto risulta dalle istruttorie non corrisponde a quanto scritto in queste relazioni (ad esempio i processi per la foiba di Gropada e per l’abisso Plutone).

Ma in conclusione quello che salta agli occhi dalla lettura è che questo rapporto non dimostra alcuna esecuzione di massa da parte dei partigiani jugoslavi nei confronti di “italiani uccisi sol perché italiani”, ma sostanzialmente invece che le “foibe” servirono o per occultare singole vittime di regolamenti di conti o per la sepoltura di militari caduti in combattimento. E non è detto che fossero tutti vittime dei “titini”, anzi.

Abbiamo deciso di pubblicare, in formato PDF, questo documento di cui negli anni si è tanto parlato, spesso senza cognizione di causa, in quanto non è stato finora reso noto se non in minima parte, ma ne anticipiamo una sintesi con alcune nostre annotazioni.

1) 18/10/45     149 VG Prazna Jama (corrisponde alla “foiba di Monrupino”, monumento nazionale): “una cinquantina” di salme di militari germanici uccisi nella battaglia di Opicina (aprile-maggio 1945), non recuperati.

2) 4/11/45       149 VG Prazna Jama: nessun recupero.

3) 22/2/46       517 VG e 519 VG presso Opicina, nessun recupero.

3) 23/2/46       8 VG Opicina campagna: recuperate 5 salme identificate per soldati tedeschi.

4) giugno 46    54 VG Gropada Orlek: localizzati 4 corpi non recuperati. Notizie del “Messaggero Veneto” indicavano la presenza di 34 salme

5) 13/08/46     54 VG Gropada Orlek: recuperate 5 salme, identificate per Dora Cok, Alberto Zarotti (PS) e Alberto Marega (dirigente del Fascio) uccisi nel maggio 1945; Rodolfo Zulian e Carlo Zerial uccisi nel gennaio 1945 (tutti per vendette personali). Per questi omicidi fu celebrato un processo nel 1947.

6) 20/03/47     605 VG San Lorenzo recuperata la salma di Boris Pieri, ucciso presumibilmente nel gennaio 1946; ex partigiano, secondo il rapporto sarebbe stato ucciso da suoi compagni, secondo i suoi ex compagni da speleologi fascisti.

7) 1/4/47         1492 VG San Pelagio: nessuna salma recuperata.

7) 1/4/47         242 VG Ternovizza: oltre a vari resti non meglio descritti, 12 salme recuperate, la maggior parte con divise militari, una in divisa da carabiniere. Equipaggiamento militare tedesco, medaglie con scritte tedesche e in cirillico, cartine per sigarette jugoslave, fanno pensare a militari nazisti uccisi nel corso del conflitto. Due salme legate col filo di ferro. Unico identificato il vigile urbano del distaccamento di Opicina Giuseppe Pesce, ucciso nel 1944.

8) 17/05/47     23 VG Abisso Plutone: 19 salme recuperate, 16 identificate. Si trattava di arrestati dalle autorità jugoslave che furono uccisi nel maggio 1945 da un gruppo di criminali comuni infiltrati nella Guardia del popolo. Il processo fu celebrato nel gennaio 1948.

9) 20/5/47       1328 VG Trebiciano nord: 1 salma recuperata

10) 31/5/47     61 VG Padriciano Stajerka jama: 2 salme recuperate, Gisella Dragan e Marcello Savi, uccisi nel maggio 1945, presumibilmente per motivi personali. Il processo fu celebrato nel 1947 nell’ambito di quello per i morti di Gropada Orlek.

11) 23/6/47     3099 VG Prepotto: 1 salma recuperata, identificata per il sacerdote don Giovanni Dorbolò che sarebbe stato ucciso il 20/3/45, da confessione di uno di coloro che occultarono il cadavere.

12) 29/7/47     1076 VG Pipenca (vicino Duttogliano): 23 salme recuperate. Di 3 non viene data alcuna indicazione, 13 in divisa militare (un tedesco e 3 carabinieri), 3 civili di cui una donna, 4 salme non repertate “per l’ora tarda”.

13) 30/7/47     509 VG Volci : 15 salme recuperate. 3 donne, divise militari e di carabinieri, due medagliette d’oro di cui una con scritta in ebraico. Alcune salme legate con filo di ferro.

14) 31/07/47   511 VG Jelenca Jama presso Comeno: la descrizione è molto confusa, ma risultano 94 salme recuperate più 62 stimate dal numero dei femori. Di esse 74 militari: 44 tedeschi, 25 italiani (Marina militare e Milizia confinaria), 3 alleati, 2 non identificabili; 19 civili, di cui 10 donne e un bambino di 9/10 anni. Unico identificato un certo Petelin della Marina militare. Data la diversità di salme si presume che le vittime siano state uccise in tempi diversi e non necessariamente dalle stesse persone (nella zona i combattimenti furono piuttosto intensi).

15) 13/08/47   Brestovizza: 1 salma recuperata identificata per Danica Leghissa, uccisa nel 1944 presumibilmente per motivi personali.

16) 30/08/47   2703 VG Rupinpiccolo: 3 salme recuperate, identificate per i militi ferroviari Vittorio Cima, Mario Mauri, Luciano Manzin uccisi ad Opicina nel maggio 1945 dopo un processo sommario. Un processo fu celebrato nel 1948.

17) 12/09/47   2996 VG Antro colombi (presso Utovlie): 1 salma recuperata, identificata per Francesco Mazzaroli (Macarol) di Križ presso Tomaj, scomparso nel dicembre 1945. Il rapporto ipotizza che volesse vendicarsi di coloro che avevano fatto la spia nel 1940 perché era antifascista e per questo era stato mandato militare in Africa.

18) 02/12/47   161 VG Pozzo del cane presso Gropada: nessun recupero. Le informazioni parlavano di una “trentina di ex agenti di PS” gettati dentro. Una successiva esplorazione (5/2/48) portò al recupero di 8 salme.

19) 03/12/47   1328 VG Caverna a nord di Trebiciano: recuperata 1 salma identificata per un cittadino di Lubiana abitante presso la zia ad Orlek nel maggio 1945. Nella precedente esplorazione (punto 9) non si faceva cenno a possibili altri corpi presenti nella voragine.

19) 3/12/47     24 VG e 1720 VG nei pressi di Gropada: nessun recupero.

20) 05/12/47   294 VG Voragine di San Lorenzo: 2 salme recuperate, un militare e un civile.

21) 10/12/47   8 VG Opicina campagna :recuperate 14 salme, di cui 6 militari tedeschi, 3 militari ignoti e altre 4 salme di cui “una italiana”. Inoltre in una fossa poco distante recuperati 2 militari tedeschi.

22) 11/12/47   8 VG Opicina campagna: altre 7 salme recuperate, 5 militari germanici e 2 militari italiani.

23) 16/12/47   131 VG Pozzo di Borgo Grotta gigante: 3 salme recuperate, identificati per Kriegsmarine.

24) 19/12/47   147 e 85 con esito negativo, poi 149 VG Prazna Jama: pochi resti appartenenti a 3 persone diverse. Annotazione: stato diverso da come visto nell’ultima esplorazione del settembre 1945, scomparsi resti umani che all’epoca erano stati lasciati lì. Bisogna annotare che le esplorazioni della 149, secondo questo “rapporto”, risultano fatte in ottobre e novembre 1945, non in settembre.

25) 26/12/47   3251 VG Abisso Carlini presso Prosecco: recuperate 3 salme “in perfetto stato di conservazione”. Ricerche proseguite il giorno dopo e recuperate altre 29 salme identificate per Gebirgsjaeger e Kriegsmarine fucilati il 12/5/45 da Partigiani slavi”. Nella fossa ipotizzata anche la presenza del corpo del bidello della scuola di Prosecco (non viene fatto il nome né la data di scomparsa).

26) 08/01/48   3 VG Colle Pauliano (nome “indigeno Jama Kerzisce” – sic). Rinvenute 2 salme; una persona anziana e un bambino o una donna.


Claudia Cernigoi, Trieste, 20 giugno 2014


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PRIMA PARTE: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2014/06/Rapporto-De-Giorgi-prima-parte1.pdf

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TERZA PARTE: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2014/06/Rapporto-De-Giorgi-terza-parte.pdf




(english / francais
Leggi anche:
Chi ha sabotato il gasdotto South Stream ( Tommaso Di Francesco, Manlio Dinucci, Il Manifesto 9.6.2014)
http://ilmanifesto.info/chi-ha-sabotato-il-gasdotto-south-stream/
en francais: http://www.voltairenet.org/article184185.html )


South Stream ... Loukachenko et Lavrov à Belgrade


1) Vučić à Berlin, Loukachenko et Lavrov à Belgrade
2) Bulgaria suspends construction of South Stream pipeline (WSWS)


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http://balkans.courriers.info/article25093.html

Le Courrier des Balkans

Étonnante diplomatie serbe : Vučić à Berlin, Loukachenko à Belgrade


Correspondance particulière

Mise en ligne : jeudi 12 juin 2014
La presse serbe consacre ses gros titres au voyage de deux jours qu’effectue le Premier ministre Aleksandar Vučić à Berlin. Pendant ce temps, le Président biélorusse Alexandre Loukachenko est en visite d’État à Belgrade, à l’invitation de son homologue serbe, Tomislav Nikolić.

Par JAD

(Avec B92) - « L’Allemagne est le pays le plus important pour nous comme pour l’Union européenne », a assuré le Premier ministre serbe Aleksandar Vučić à l’issue de sa rencontre avec la Chancelière allemande Angela Merkel.

Angela Merkel a expliqué qu’Aleksandar Vučić lui avait présenté son « ambitieux calendrier de réformes ». Le gouvernement serbe fera l’objet de toutes les attentions, et « la coopération de l’Allemagne dépendra de sa transparence et du respect des principes de l’État de droit ». La chancelière a précisé que l’Allemagne avait des « exigences précises » concernant la poursuite du processus d’intégration européenne de la Serbie, concernant notamment le Kosovo.

En s’adressant aux journalistes, le Premier ministre serbe a rejeté toutes les accusations de censure. Il a par ailleurs expliqué que la poursuite de la construction du gazoduc South Stream ne dépendait pas de la Serbie, mais des relations entre l’Union européenne et la Russie.


[FOTO: Alexandre Loukachenko dépose une couronne au mémorial du Soldat inconnu, à Avala]


Alexandre Loukachenko et les charmes discrets de l’Union eurasiatique

Pendant ce temps, le président biélorusse Alexandre Loukachenko a entamé mercredi une visite d’État de deux jours en Serbie - sa dernière visite officielle remonte à 1999, quand il était venu apporter son soutien à Slobodan Milošević, à la veille des bombardements de l’Otan. Le président biélorusse s’était aussi, toutefois, rendu plus discrètement en Serbie en février 2009 pour participer au Sommet économique de Kopaonik.

Alors que le régime biélorusse est frappé par des sanctions de l’Union européenne, le pays a rejoint l’Union eurasiatique, créée à l’initiative de Vladimir Poutine et qui regroupe également la Russie et le Kazakhstan. À la veille de son départ pour Belgrade, Alexandre Loukachenko a déclaré que cette Union avait « de grandes perspectives », et suscitait « l’intérêt de beaucoup de pays, dont la Serbie ».

En avril 1999, durant les bombardements de l’Otan, le Parlement de la République fédérale de Yougoslavie (SRJ, Serbie et Monténégro) de l’époque avait voté une décision de principe en faveur de l’adhésion à l’Union douanière Russie-Biélorussie, qui n’a jamais été suivie d’effets. Les relations entre la Serbie et la Biélorussie s’étaient considérablement rafraichies après les changements démocratiques d’octobre 2000.

Le ministre russe des Affaires étrangères, Serguei Lavrov est attendu en début de semaine prochaine pour une visite de deux jours à Belgrade.


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http://balkans.courriers.info/article25130.html

Le Courrier des Balkans

Lavrov à Belgrade : la Serbie poursuit son étrange ballet entre l’UE et la Russie

De notre correspondant à Belgrade

Mise en ligne : mercredi 18 juin 2014
Le ministre russe des Affaires étrangères, Serguei Lavrov, achève une visite de deux jours à Belgrade. Au menu des discussions, l’avenir du gazoduc South Stream, la crise en Ukraine, mais aussi la candidature européenne de la Serbie.

Par J.A.D.

Au cours de ses deux jours de visite, Serguei Lavrov a rencontré le ministre serbe des Affaires étrangères, Ivica Dačić, puis le Premier ministre Aleksandar Vučić et le président Tomislav Nikolić.

Malgré l’absence d’accord gazier avec l’Ukraine et la récente décision de la Bulgarie de suspendre les travaux du gazoduc South Stream, la Serbie et la Russie ont décidé de poursuivre ce projet, « clé de la sécurité énergétique de l’Europe ». Ivica Dačić a souligné que la construction de South Stream relevait de « l’intérêt national » de la Serbie, tout en demandant pourquoi, quand le gazoduc North Stream a déjà été construit, South Stream ne le serait pas.

Le chef de la diplomatie russe a déclaré que son pays « respectait la volonté de la Serbie de poursuivre ses négociations avec l’Union européenne ». Ivica Dačić a rétorqué que l’adhésion de la Serbie à l’UE ne remettrait nullement en cause les relations privilégiées du pays avec la Russie. « Nous souhaitons et l’UE et le développement de bonnes relations avec la Russie. Pourquoi la Serbie devrait-elle être sommée de faire un choix ? »

À la veille de la visite de Serguei Lavrov, le Premier ministre Aleksandar Vučić avait confirmé que la Serbie « soutenait l’intégrité territoriale de l’Ukraine, mais ne voulait pas prendre de sanctions contre la Russie ».

La semaine dernière, un étonnant chassé-croisé s’était produit : tandis qu’Aleksandar Vučić se rendait à Berlin pour rencontrer Angela Merkel et discuter de l’intégration européenne de la Serbie, le président Nikolić recevait à Belgrade son homologue biélorusse Alexandre Loukachenko, dont le pays fait toujours précisément l’objet de sanctions européennes.

Serguei Lavrov a bien sûr évoqué le rôle de l’OSCE, dont la Serbie va prendre la présidence en 2015 après la Suisse, en espérant que cette organisation pourra revenir « à ses principes fondateurs ». Le ministre russe a notamment appelé à multiplier les pressions sur Kiev pour que les dirigeants ukrainiens appliquent la feuille de route élaborée par la présidence suisse de l’OSCE.


=== 2 ===

http://www.wsws.org/en/articles/2014/06/19/bulg-j19.html

Bulgaria suspends construction of South Stream pipeline


By our correspondents 
19 June 2014


On June 8, 2014, Bulgarian Prime Minister Plamen Oresharski announced that the laying of the South Stream gas pipeline will be discontinued until further notice.

The South Stream project, which is operated by the Russian energy giant Gazprom, is of major geostrategic importance. It links the Russian Black Sea coast with Bulgaria, enabling Russia to bypass Ukraine and deliver 63 billion cubic metres of natural gas annually and directly to Bulgaria, Serbia, Hungary, Slovenia, Austria and Italy.

Until now, a large part of Russian gas exports to Europe have passed through Ukraine, which demands high fees for the transit routes and uses them as a powerful bargaining chip in its dispute with the Kremlin. Supplies to several eastern European countries were interrupted in January 2006, when Russia responded to abortive price negotiations by cutting off gas supplies to Ukraine, which in turn channelled gas intended for Europe for its own consumption.

The Ukrainian transit network is also in urgent need of renovation. The high cost of such an undertaking would hardly be warranted, however, if a part of Russia’s European gas supply could bypass Ukraine.

The recent suspension of the South Stream project is a direct result of the confrontational stance taken by the US and the European Union (EU) against Russia in the Ukraine conflict. The stoppage was instigated following massive pressure from Brussels and Washington.

The EU Commission has been trying to abort the project for some time, justifying its efforts by referring to codes of competition. Following Russia’s launching of the construction in December 2012, the EU declared that all agreements between Russia and the European project participants were invalid because the project breached EU law. Although the EU had originally offered to help in the renegotiation of contracts, it insisted on termination of the project after the outbreak of the Ukraine crisis.

In the first week of June, the European Commission initiated criminal proceedings against the Bulgarian government, accusing it of infringing European market laws in its support for the pipeline. It then increased the pressure by freezing EU financial aid to Bulgaria.

The Bulgarian government, which maintains close relations with Moscow, initially opposed the freeze on construction. European governments involved in the project also tried to prevent the wind-down of construction. Italian Prime Minister Matteo Renzi joined seven other governmental heads to draft a letter to the EU in support of the project.

The countries involved have major concerns about their energy supply. In addition to Gazprom, which has a 50 percent stake in South Stream, the Italian ENI energy group has a 20 percent share, while both Germany’s Wintershall and France’s EdF each have 15 percent.

In early June, three US senators headed by John McCain paid a visit to the Bulgarian head of government. Marcie Ries, the US ambassador in Sofia, threatened Bulgarian companies involved in the project with sanctions. The reason she gave was that the Russian company, Stroytransgaz, was involved in the consortium that was building the 3.5-billion-dollar Bulgarian section. The US has imposed sanctions on oligarch Gennady Timchenko, Stroytransgaz’s proprietor and a close associate of Vladimir Putin.

Two days after the visit from the US, Bulgarian Prime Minister Oresharski threw in the towel and announced the cessation of the construction project.

Russian EU ambassador Vladimir Chizhov condemned the move as a “creeping shift to economic sanctions against Russia,” adding, “It is hard to shake off the feeling that the European Commission’s blocking of the start of work on the construction of Bulgaria’s key section of South Stream has been done for purely political purposes.”

There is now also speculation as to whether the plans for the shelved Nabucco project will be resumed. Nabucco had been promoted for many years by the EU and US as a means of transporting gas to Europe from the Caspian region via Georgia and Turkey, and thereby reducing European dependency on Russian gas. After several European countries opted for South Stream, plans for Nabucco were halted in the summer of 2013.

The EU Commission has long sought to curb the influence of the Russian Gazprom gas company in Europe. Currently, the EU gets 36 percent of its gas and about 20 percent of its oil imports from Russia.

In September 2012, the EU opened an antitrust suit against Gazprom for breach of market rules and abuse of its dominant market position in Bulgaria, Estonia, Latvia, Lithuania, Poland, Slovakia and the Czech Republic. The EU claims that the Russian side is engaging in unfair price fixing and business practices that are contrary to a liberalized market.

Basing its policy on the Third EU Energy Package of 2009, which prohibits a company from simultaneously operating as a network provider and energy supplier, the EU is trying to force Russia to privatize Gazprom. It intends to open the way for the entry of Western energy companies into the Russian energy market.

However, the EU member states are far from achieving a unified strategic approach. On June 13, at a meeting in Luxembourg, German Energy Commissioner Günther Oettinger called on European energy ministers to take a firm and consistent stand against Russia and Gazprom.





LA FORMALE ANNESSIONE COMINCIA IN CLASSE


http://balkans.courriers.info/article25106.html

Koha Ditore

L’Albanie et le Kosovo signent l’unification de leurs systèmes scolaires


Traduit par Nerimane Kamberi

Publié dans la presse : 4 juin 2014
Mise en ligne : lundi 16 juin 2014
Le Kosovo et l’Albanie ont signé un accord qui prévoyant l’unification des programmes scolaires dans l’enseignement primaire et secondaire. « Un jour spécial dans l’histoire du développement de l’enseignement albanais », estime le Premier ministre albanais Edi Rama.


Le 3 juin dernier, le Kosovo et l’Albanie ont signé un accord prévoyant l’unification des programmes scolaires dans l’enseignement primaire et secondaire. « C’est fait, nous sommes arrivés à unifier le système scolaire entre le Kosovo et l’Albanie », s’est félicité la ministre albanaise de l’Éducation et des Sports, Lindita Nikolla.

Le nouveau programme garantit aussi la mobilité des enfants scolarisés : ainsi un élève albanais pourra faire ses études au Kosovo sans aucun problème, et vice-versa.

Ce programme, comparable à celui de l’Union européenne, sera expérimenté dès septembre dans douze cantons d’Albanie. La ministre albanaise a déclaré que le système pré-universitaire albanais serait aligné sur celui du Kosovo et que les élèves et les enseignants seront préparés pour le marché européen.

Pour le Premier ministre albanais, « la signature de l’accord pour l’unification des programmes scolaires entre l’Albanie et le Kosovo marque un jour spécial dans l’histoire du développement de l’enseignement albanais ». Edi Rama a estimé que le travail des ministères de l’Éducation des deux côtés de la frontière pour parvenir à cet accord délimitait un nouvel « espace national actif ».

« Les pas faits vers l’unification du système scolaire ne sont pas un mouvement vers l’unification mécanique de nos deux États, mais une marche commune vers ce que nous aimerions avoir demain pour la génération à venir, de Pristina à Tirana. Le mouvement pour l’unification qui a commencé va ouvrir une nouvelle voie, donner un meilleur accès à la connaissance et ouvrir de nombreux chantiers de travail commun, depuis la langue et la littérature jusqu’aux sciences dures », a poursuivi le Premier ministre.




(english / italiano)

30 Agosto, Giornata mondiale di protesta contro la NATO

1) WPC chiama all'azione per la Giornata mondiale di protesta contro la NATO
2) Montenegro's Annexation into NATO / USA e Djukanovic spingono il Montenegro nella NATO
3) NATO Trains Balkans Armies For Global Wars
4) Aviano Air Base participates in Exercise Adriatic Strike 2014


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http://www.resistenze.org/sito/os/lp/oslpef09-014620.htm
www.resistenze.org - osservatorio - lotta per la pace - 09-06-14 - n. 502

Il Consiglio mondiale della Pace chiama all'azione per la Giornata mondiale di protesta contro la Nato

Consiglio mondiale della Pace | wpc-in.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Maggio 2014

Il 30 agosto 2014, il Consiglio mondiale della Pace chiama le persone amanti della pace nel mondo a mobilitarsi per una Giornata mondiale di protesta contro la Nato.

2014: Centenario della Prima guerra mondiale - 75 anni dall'inizio della Seconda guerra mondiale

Nel 2014 cade il 100° anniversario dall'inizio della Prima guerra mondiale, che fu uno dei più mortali conflitti imperialistici nella storia umana, una tragedia che uccise 17 milioni di persone. Fu descritta come la "guerra per porre fine a tutte le guerre", ma oggi, un secolo più tardi, il potenziale militare per distruggere le vite e un ambiente abitabile è giunto a livelli spaventosi e continua a crescere.

Ogni giorno, in tutto il mondo, i popoli soffrono a causa dei conflitti armati, delle azioni militari, delle occupazioni, intimidazioni ed aggressioni, della modernizzazione e proliferazione delle armi nucleari e delle altre armi di distruzione di massa. La crisi economica capitalista sta ulteriormente aggravando le condizioni di vita dei popoli mentre i profitti delle industrie di guerra sono in continua crescita. Il terreno necessario alle aggressioni militari e alle guerre imperialiste non è mai stato determinato da eventi fortuiti o decisioni personali.

Il centenario della Prima guerra mondiale dovrebbe essere un momento di riflessione, di fortificazione della pace ed esortazione all'amicizia e solidarietà internazionali, sulla base dell'uguaglianza e del rispetto per la sovranità dei popoli. Dovrebbe essere teso a far cessare la dominazione economica dei monopoli e delle corporation multinazionali, come pure le loro aggressive alleanze militari. Perciò, noi dovremmo agire contro la Nato, la macchina da guerra numero uno al mondo. Il Consiglio mondiale della Pace, fondato subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale con le parole d'ordine "Mai più guerra - Mai più fascismo", sottolinea la necessità di trarre delle conclusioni dal periodo che ha portato all'invasione nazista della Polonia, il 1° settembre 1939, e all'inizio della Seconda guerra mondiale. Le crescenti ambizioni imperialiste della Germania nazista s'incontrarono allora con l'agenda imperialista delle altre forze, che all'inizio non si opposero all'espansione tedesca verso Est. La gloriosa resistenza dei popoli contro il fascismo e il nazismo, unita alla lotta e alle decine di milioni di vittime dell'Unione sovietica, condussero alla liberazione dell'Europa dal fascismo e alla vittoria dei popoli. La situazione internazionale successiva alla guerra, la fondazione delle Nazioni unite e del loro Statuto creò una situazione nuova per i popoli e i loro sforzi per ottenere libertà e sovranità. Tutto ciò viene oggi messo ferocemente in discussione e rovesciato, attraverso i tentativi in atto di sostituire le Nazioni unite con la Nato, con la crescita in molte parti d'Europa delle forze neo-fasciste al servizio di ideologie reazionarie e dei piani contro i popoli. Il Consiglio mondiale della Pace si oppone alla crescente militarizzazione delle relazioni internazionali, ai progetti imperialisti del "Grande Medio oriente", del " Pivot to Asia" degli Usa e all'ingerenza nella sovranità dei popoli e delle nazioni in America latina.

Nato: lo strumento militare chiave dell'imperialismo - 65 anni di crimini contro umanità

La Nato è la più grande, più forte e aggressiva alleanza militare oggi esistente al mondo. Dominata fermamente dall'imperialismo Usa, la Nato è anche un pilastro della strategia di difesa dell'Unione europea. La Nato attualmente comprende 28 stati membri tra America del nord ed Europa. Altri 22 paesi sono coinvolti nel cosiddetto Consiglio di partenariato euro-atlantico (Euro-Atlantic Partnership Council, EAPC). Accanto a questi, attraverso il globo, altri 19 paesi sono impegnati con la Nato in programmi come il "Dialogo Mediterraneo" (Mediterranean Dialogue), la " Iniziativa per la cooperazione di Istanbul" (Istanbul Cooperation Initiative, ICI) o il " Partenariato per la Pace (Partnership for Peace, PfP).

Fin dal 1991, la Nato ha accresciuto in modo aggressivo i suoi appartenenti e il teatro delle operazioni. Questo fatto da solo svela il suo scopo fondamentale: essere uno strumento chiave della dominazione imperialista occidentale del mondo.

La Nato è nemica della pace. La Nato è impegnata nella dottrina del "primo colpo" (nucleare) e dell'attacco preventivo. In quanto alleanza militare offensiva, si tiene pronta ad intervenire prima che alla diplomazia sia concessa una reale opportunità, se ciò è nell'interesse dell'imperialismo occidentale. L'espansione e le provocazioni della Nato - come dimostra la crisi in corso in Ucraina - sono direttamente responsabili per la destabilizzazione, l'agitazione, la violenza e la guerra.

La Nato è nemica dei popoli. Quando interviene, i suoi membri utilizzano regolarmente armi tossiche contenenti uranio impoverito o fosforo bianco. Inoltre, la Nato considera le armi nucleari una parte fondamentale della sua strategia di difesa. L'alleanza persegue e promuove aggressivamente provocazioni e interventi militari in tutto il mondo, i cui risultati consistono sempre nell'aumento della distruzione, dei profughi e della morte. Gli esempi delle guerre nell'ex Iugoslavia e la creazione del protettorato del Kosovo, in Afghanistan e Libia, come anche l'aggressione alla Siria, testimoniano il disastro umanitario dell'intervento Nato. In Iraq, dove la Nato ha preso parte allo sforzo per la ricostruzione, non ha portato né pace né democrazia.

La Nato è nemica della pace e dei popoli. Senza alcun dibattito pubblico, gli stati europei membri della Nato ospitano armi nucleari statunitensi sul loro territorio. Nel 2010, un accordo segreto sullo spiegamento delle versioni modernizzate delle testate esplosive B61 ne ha esteso la presenza per molti decenni, non lasciando spazio alcuno al dibattito democratico sulla questione. Attraverso il suo Articolo 5, l'alleanza Nato impone agli stati membri anche degli obblighi che risultano incompatibili col diritto sovrano degli stati di decidere sulla pace e la guerra.

Il prossimo vertice Nato in Galles adotterà e svilupperà ulteriormente le decisioni del vertice di Lisbona (2010), userà vecchi e nuovi pretesti per il suo ruolo di "sceriffo del mondo" che le assicura mercati, risorse energetiche e sfere di influenza, a detrimento dei diritti e dei bisogni dei popoli. Lo scioglimento della Nato deve essere una priorità per coloro che difendono la pace, la giustizia e il progresso sociali, insieme al diritto di ogni popolo di lottare per il disimpegno da essa.

Facciamo appello a tutte le persone e organizzazioni amanti della pace per fare del 30 agosto la Giornata mondiale di protesta contro la Nato, esigendone la sua dissoluzione!


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http://www.nato.int/cps/en/natolive/news_104124.htm

North Atlantic Treaty Organization - October 16, 2013

NATO Secretary General praises Montenegro’s reform efforts

The President of Montenegro Filip Vujanovic visited the NATO Headquarters on Wednesday (16 October) and met with Secretary General Anders Fogh Rasmussen. They discussed progress in Montenegro’s reform agenda and the growing cooperation between NATO and Montenegro. The NATO Secretary General commended Montengro’s continued reform efforts on the way to Euro-Atlantic integration.

“It is important to maintain the momentum of reforms, even at a time of economic difficulties”, the Secretary General said. “So I encourage you to continue working on the challenges that we have identified together in the Membership Action Plan. Reinforcing the rule of law, fighting corruption and organised crime, finding the resources to modernise your armed forces, and explaining to your public the importance of Euro-Atlantic integration”.

During the meeting, the NATO Secretary General and President Vujanovic also discussed NATO’s security agenda and the Alliance’s mission in Afghanistan. 

“We are grateful for Montenegro’s significant contribution, and for your pledge to help the Afghan security forces both financially and through the training mission that we are planning after 2014”, the Secretary General noted. And he added: “Montenegrin forces are offering force protection to our trainers in Mazar-e-Sharif. And together with other Adriatic nations, you successfully transitioned the programme of training for the Afghan Military Police in Kabul. You have worked closely with countries from your region to build stability in Afghanistan – and strengthen cooperation among yourselves.”

The Secretary General also praised Montenegro’s active contribution to cooperation and security in the Western Balkans. 

“NATO’s commitment to the region is strong”, he said. “We see your future in the Euro-Atlantic family and we are determined to help you along that path.”

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http://www.b92.net/eng/news/region.php?yyyy=2014&mm=01&dd=29&nav_id=89157

Beta News Agency - January 31, 2014

Montenegro hopes to get NATO invitation this year

PODGORICA: "Despite different announcements" the Montenegrin government still expects the country to be invited to join NATO during the alliance's summit in September.
The government said it would engage in "increased political activity to win greater public support for NATO membership," Beta reported.
Leaders of political parties in the ruling coalition are said to have agreed that this was "one of the political priorities in the coming months." 
The party leaders met on Tuesday and agreed to also step up "party line" activities to create an environment that would lead to greater public support for membership in NATO. 
That support is now at about 40 percent, "which is not yet sufficiently credible for NATO itself." 
The opposition, meanwhile, insists that Montenegro will not receive an invitation to join the Western military alliance at the summit to be held in Wales. 
NATO has not yet specified whether the issue of its enlargement will be on the agenda of the summit.

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http://contropiano.org/internazionale/item/23447-balcani-usa-e-djukanovic-spingono-il-montenegro-nella-nato

Balcani: USA e Djukanovic spingono il Montenegro nella NATO

•  Mercoledì, 16 Aprile 2014 14:21
•  Carlo Perigli

Mente in Ucraina la situazione sta scivolando sempre più nel baratro della guerra civile, gli Stati Uniti puntano a rafforzare la propria posizione all’interno dei Balcani. La neutralità mantenuta dalla Serbia nei confronti della crisi ucraina, esplicitata dal rifiuto del governo di Belgrado di unirsi all’applicazione delle sanzioni volute dall’Occidente , unita alla grande popolarità di cui lo Stato russo gode tra la popolazione, sta difatti creando numerosi grattacapi al governo di Washington.

Una volta acquisite nell’orbita NATO Slovenia (2004), Croazia (2009), e Albania (2009), avviato il c.d. dialogo intensificato con la Serbia, e inserito Bosnia e Montenegro nel MAP (Membership Action Plan, l’ultimo passo prima dell’adesione), considerando anche il fatto che proprio nei Balcani sorge Camp Bondsteel, la più grande base militare statunitense all’estero dai tempi del Vietnam, a Washington regnava la convinzione che la “pacificazione” dei Balcani fosse al sicuro.

Ora che da Belgrado è arrivato il “no, grazie” alla richiesta di partecipare alle sanzioni, la paura di ritrovarsi uno o più Paesi vicini a Mosca nel cuore dell’Europa ha portato gli Stati Uniti ad affrettarsi per portare avanti la pratica nel minore tempo possibile.

Da qui l’idea di accelerare il processo di accettazione del Montenegro nella NATO, evitando altresì , qualora le cose andassero diversamente, la possibilità che Mosca abbia, anche se indirettamente, un facile sbocco sul Mediterraneo.

Una mossa che potrebbe avere quindi un duplice effetto: escludere ogni ipotesi di passaggio di Podgorica nell’orbita russa e aumentare la pressione nei confronti della Serbia, unico Paese ancora “in bilico” dell’area, affinchè anche Belgrado tagli definitivamente i ponti con Mosca.

Tuttavia, in Montenegro la situazione è tutt’altro che chiara. Il governo, guidato dal quantomeno ambiguo Milo Djukanovic, si è subito schierato al fianco dei Paesi occidentali partecipando alle sanzioni, e ora sta cercando di sfruttare la crisi ucraina per convincere i Paesi della NATO ad accelerare il procedimento di accettazione. Lo stesso premier montenegrino, a margine dell’incontro avvenuto la scorsa settimana a Washington con il vicepresidente americano Joseph Biden, ha affermato che “ è realistico attendersi che il Montenegro riceva un invito di adesione alla NATO dal prossimo vertice dell’Alleanza in programma a settembre nel Regno Unito. Spetta al Montenegro lavorare al meglio e produrre buoni risultati, che andranno a rafforzare le posizioni dei Paesi amici, dei quali gli USA sono il più importante”.

D’altro canto sembra proprio che la popolazione montenegrina non condivida gli sforzi portati avanti da Djukanovic. Secondo gli ultimi sondaggi più della metà della popolazione è contraria all’ingresso del Paese nella NATO. Lo scorso 4 aprile Podgorica è stata teatro di una manifestazione convocata proprio per esplicitare la volontà di non entrare nel Patto Atlantico.

Particolarmente radicale è la protesta portata avanti dalla minoranza serba, circa il 30% della popolazione, che ha proposto di regalare alcune terre situate a nord del Paese, vicino al confine con la Serbia, alla Russia per costruire una base militare.

--- FLASHBACK:

http://www.b92.net/eng/news/region-article.php?yyyy=2012&mm=07&dd=15&nav_id=81280

Tanjug News Agency - July 15, 2012

Metropolitan hopes “NATO will break up”

PODGORICA: Serbian Orthodox Church (SPC) Metropolitan of Montenegro and the Littoral Amfilohije once again said he was against Montenegro joining NATO.
He also said he hoped that NATO would break up.
“I hope to God that Montenegro will not join NATO that bombed us,” he told the Podgorica-based daily Dan. 
Amfilohije believes that Montenegro would by joining the EU become a link in the military organization that “exerts violence upon the entire world”. 
“Are we supposed to help Tomahawks and bombs become ploughshares and other tools for farming and the improvement of society and the human community?” asked the metropolitan in Herceg Novi. 
“God, give us wisdom to help Europeans and Americans to dissolve NATO. That would be the biggest contribution of Montenegro to the world,” he pointed out.


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Southeast European Times
January 20, 2014

Balkan armies benefit from NATO training

Training allows Balkan militaries to improve their skills and participate in NATO-led missions abroad.

By Miki Trajkovski for Southeast European Times in Skopje 

NATO continues to train Balkan militaries to participate in the Alliance's missions abroad, while also strengthening their forces' capacity and determination to become Alliance members, officials said.
New military contingents from Macedonia, Albania, Montenegro and Bosnia and Herzegovina (BiH) trained with NATO prior to joining the International Security Assistance Force (ISAF) mission in Afghanistan.
A team from the NATO joint command in Napoli, Italy, trained 15 Macedonian officers last month in mission leadership, management under conditions of stress, advising in situations of conflict and gender relations.
"The Macedonian soldiers are gaining very valuable knowledge about the development of the security system, and are able to successfully fulfil their responsibilities in specific situations," Blagoja Markovski, retired colonel and president of the Balkan Security Forum in Skopje, told SETimes.
The last Macedonian contingent trained with the US army in Germany, and is fully trained to carry out its responsibility to train the Afghan military as well as guard the main ISAF command in Kabul, said Mirce Gjorgjoski, spokesperson for the Macedonian military.
"The training was adapted to NATO mission tasks. It is a guarantee the soldiers will successfully finish the mission. It also shows we are not different than other NATO armies when it comes to training standards and organisation," Gjorgjoski told SETimes.
Montenegro has participated in the NATO mission in Afghanistan since 2010, having provided eight contingents of soldiers. It is presently preparing a ninth contingent.
Montenegro has contributed 13 percent of its soldiers to the NATO-led missions, and all soldiers must pass strict physical and psychophysical criteria, including tactical exercises, military operations, first aid training and procedures.
"They are trained prior to leaving to Afghanistan but also practice them daily there," said Colonel Hajrudin Djerekarac, commander of the Montenegro military's sixth contingent in Afghanistan.
Djerekarac said those that have passed the training now work to train others and structure the army according to NATO standards.
"An entire set of skills which we have gained in the preparation process to participate in the NATO missions contributed to a better presentation of the Montenegrin army in the international community," Djerekarac told SETimes.
Albania has participated in the NATO-led missions in Afghanistan, Iraq, Chad, Kosovo and BiH since 2002.
"NATO specialists assisting our troops in Tirana and NATO membership made the Albanian military train and receive the highest level of responsibilities in the field," Tanush Bedini, executive director of the Albanian Centre for Security and Integration in Tirana, told SETimes.
BiH recently offered a unit of 45 police officers for the mission in Afghanistan whose training extended six months, and will serve as part of the Danish contingent there.
...BiH is dedicated to Euro-Atlantic integration and continues to fulfil its international responsibilities through the NATO mission in Afghanistan without consequences to the well-being of its members, said Zekerijah Osmic, BiH defence minister.
"But to become a NATO member, BiH must show it is capable to share risks and the difficulties of the military operations," Osmic said.
Soldiers were attacked in the past and faced acts of terrorism, and the rigorous training they received helped them successfully deal with such situations, said Emil Dimitrievski, assistant defence minister of Macedonia.
"More than 2,000 Macedonian soldiers have rotated in this operation. Our military gained great experience that should transfer to the other soldiers," Dimitrievski, told Radio Free Europe.
The high level of professionalism shown has translated into a very positive experience for the Montenegrin military, but also into an increased approval for NATO membership among the public, said Aleksandar Dedovic, executive director of Alfa Centre, an NGO in Niksic.
"Active participation in the missions contributed to the strengthening of Montenegro’s reputation and to its dedication for full membership in the Alliance," Dedovic told SETimes.

Correspondents Erl Murati in Tiranа, Bedrana Kaletovic in Sarajevo and Ivana Jovanovic in Belgrade contributed to this report.

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U.S. Department of Defense

January 27, 2014

Hagel, Serbia's Defense Minister Discuss Enhanced Defense Cooperation

American Forces Press Service

WASHINGTON: Defense Secretary Chuck Hagel met at the Pentagon today with Serbia's Minister of Defense Nebojsa Rodic for discussions that included opportunities for broadening defense cooperation.
"Secretary Hagel was pleased to join Minister Rodic in signing a General Security of Military Information Agreement, which will ensure protection of military information and enable further military-to-military cooperation," Pentagon Press Secretary Rear Adm. John Kirby said in a statement issued after the meeting. 
Kirby said Hagel "welcomed Serbia's contribution to peacekeeping efforts and its leadership on the Balkans Medical Task Force," and added that "Serbia's decision to host bilateral and multinational exercises further demonstrates our growing defense relationship."
In addition, Kirby said "the leaders discussed regional security concerns in the Balkans, and ways to build upon the positive momentum of the Serbia-Kosovo dialogue."
Kirby said Hagel praised the progress Serbia and Kosovo have made in normalizing relations, and highlighted the positive influence Minister Rodic has had in securing regional cooperation.


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http://www.usafe.af.mil/news/story.asp?id=123412924

U.S. Air Forces in Europe
U.S. Air Forces Africa

June 3, 2014

Aviano Air Base participates in Exercise Adriatic Strike 2014

31st Fighter Wing Public Affairs

AVIANO AIR BASE, Italy:  F-16 Fighting Falcons from the 31st Fighter Wing are providing close air support during Exercise Adriatic Strike 2014 in Postojna, Slovenia this week. Slovenia first hosted Adriatic Strike, an exercise focused on training Joint Terminal Attack Controllers or JTACs, in 2012.
The Slovenian government has invited JTACs from the Austrian, Belgian, Czech, Montenegrin, French, Croatian, Latvian, Hungarian and Slovenian militaries to participate in this marquee training event. The main goals of the exercise are enhancing JTAC interoperability and technical expertise.
Each day, aircraft from Aviano Air Base will fly to the main Slovenian Air Force training range to simulate the combat close air support that JTACs are responsible for coordinating. The F-16 is a multirole fighter that flies a variety of missions to include suppression of enemy air defense, offensive counter air, defensive counter air, close air support and forward air controller missions.




http://www.anpiroma.org/2014/05/affile-le-motivazioni-della-sentenza-di.html

Erano stati assolti il 1 aprile scorso i tre ragazzi accusati di aver imbrattato il mausoleo intitolato a Rodolfo Graziani ad Affile. Secondo il Tribunale Ordinario di Tivoli – sezione penale monocratica, non si deve procedere nei loro confronti perché il fatto non sussiste.


Vedi Comunicato Stampa del 1 aprilehttp://www.anpiroma.org/2014/04/comunicato-stampa-prosciolti-i-ragazzi.html

L'Anpi Provinciale di Roma è soddisfatta delle motivazioni che qui riportiamo.


Nella motivazione della sentenza di assoluzione si legge come il fabbricato oggetto dell’attività imputata avesse mutato caratteristiche e finalità a seguito della decisione della Giunta Comunale di Affile del 21 luglio 2012, che deliberava di intestare il sacrario non al soldato in senso ampio, ma bensì al Generale M.llo d’Italia Rodolfo Graziani. Dalla scelta della Giunta derivano una serie di rilevanti polemiche politiche, sociali e contestazioni che riguardavano non solo il nostro paese, ma anche l'ambito internazionale, in considerazione del profilo storico e personale di Graziani e al suo evidente coinvolgimento ed identificazione per le attività svolte e i ruoli ricoperti con il regime fascista.

La scelta della Giunta Comunale di Affile, la violazione della destinazione del fabbricato in questione in modo unilaterale senza alcun rispetto dell’originario progetto così come finanziato e valutato positivamente dalla Regione Lazio, determinava l’intervento del Presidente della Regione Lazio per contrastare la intenzione dichiarata del Sindaco di Affile di rendere quel paese un luogo equivalente a Predappio nella celebrazione del M.llo d’Italia Rodolfo Graziani.

Quanto all’accusa di danneggiamento, nella sentenza si legge che dalla documentazione acquisita non emerge alcuna modificazione strutturale o funzionale della cosa e d’altra parte le caratteristiche del bene, la sua impropria destinazione e il contrasto anche a livello amministrativo circa la destinazione del bene, valgono ad escludere senza alcun dubbio la ricorrenza dell’aggravante di aver commesso il fatto su beni pubblici. Dagli accertamenti è emerso che a causa delle scritte non vi sia stata nessuna dispersione, distruzione, o deterioramento definitivo del bene tanto da renderlo inservibile, con la conseguenza che è esclusa la sussistenza del fatto contestato.

Occorre evidenziare, si legge nella sentenza, che la originaria funzione e destinazione del bene era stata identificata in un sacrario volto a celebrare la memoria di tutti quei cittadini e soldati che hanno perso la loro vita in eventi bellici nella difesa del loro paese. Memoria che all’evidenza ricopre carattere e interesse generale e appare rivolta a tutelare un bene riferibile alla intera comunità pubblica. Al contrario, la scelta della delibera comunale del 21/07/2012 è stata quella di mutare tale contesto, intitolando il sacrario al Generale Rodolfo Graziani, e dunque ad una singola persona che non ha perso la propria vita in eventi bellici, la cui celebrazione non riveste carattere di interesse generale, mostrandosi al contrario foriera di contrasti o contestazioni in relazione alla discussa azione bellica dello stesso Graziani realizzata, che hanno portato a polemiche e contestazioni e sul suo passato e sul suo ruolo mai sopite. Non ricorre dunque nel caso in esame quella caratteristica che vale a connotare la evidente pubblica utilità di un bene, ovvero la riferibilità della celebrazione a sentimenti complessivi, condivisi e universalmente riconosciuti come quello del sacrificio e della morte in eventi bellici di cittadini o soldati nella difesa del proprio paese, mentre emerge senza alcun dubbio la volontà di esaltare una singola personalità.

E ancora: non può essere ritenuta la pubblica utilità del bene che per le sua caratteristiche, per l’uso pubblico al quale voleva essere destinato dal Comune di Affile appare in evidente contrasto con la disposizione dell’art. 11 della Costituzione, secondo il quale “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” Noto e condiviso dai padri costituenti lo spirito informatore dell’articolo 11 della Costituzione, in tal senso occorre considerare come il termine ripudio (non risultando utilizzato il termine ‘rinuncia’) alla guerra implica, inoltre, la condanna di ogni propaganda bellicistica, di dottrine che esaltino o giustifichino la guerra, e la condanna della guerra, in particolare di aggressione, ovunque ciò avvenga.

Ebbene, riferire ed intitolare il sacrario in questione ad un rappresentante di diversi governi, tra i quali il governo fascista, che ha materialmente realizzato con costanza proprio le condotte aggressive ripudiate dalla nostra Costituzione, anche con organizzate attività di sterminio ed eliminazione di popoli da conquistare, esclude a parere del tribunale la ricorrenza di quella pubblica utilità che avrebbe dovuto originariamente caratterizzare il sacrario oggetto di accertamento, volto a celebrare la memoria dei cittadini impegnati nella difesa del paese e nella cura dell’interesse pubblico generale.

Tivoli, 1 aprile 2014, depositato in cancelleria il 6 maggio 2014.

Queste le frasi che furono scritte sul monumento: “no al fascismo”, “libertà”, “macellaio”, “vile onore e patria assassina”, “ne spazio ne luoghi per un massacratore”, “chiamate eroe un assasino”, “per i tuoi massacri compiuti un monumento per le vittime”.


Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" <jugocoord@...>
Oggetto: [JUGOINFO] Tivoli 1/4: Sotto processo per antifascismo
Data: 26 marzo 2014 16:38:59 CET
A: [JUGOINFO]

 

Tivoli 1/4: Sotto processo per antifascismo

1) Affile: “Ma quale danneggiamento, si è scritta solo la verità”. Lettera aperta dei tre ragazzi accusati di aver sporcato il monumento al criminale di guerra fascista e repubblichino Rodolfo Graziani. 1° Aprile: sit in dentro e fuori il tribunale di Tivoli Viale Nicolò Arnaldi n, 19 ore 9.30

2) Nel frattempo… Con qualche decennio di ritardo, aperta inchiesta sui crimini di guerra italiani accertati dalla commissione Gasparotto


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Lettera appello di tre ragazzi accusati di aver verniciato il monumento a Graziani ad Affile. “Ma quale danneggiamento, si è scritta solo la verità”. Il 1° aprile dovranno comparire al Tribunale di Tivoli e convocano un sit in di protesta e solidarietà.
(Vedi anche: "Rodolfo Graziani, soldato o criminale di guerra?" di Ernesto Nassi

"Siamo i 3 ragazzi accusati di aver imbrattato il mausoleo intitolato a Rodolfo Graziani, una delle figure di spicco del ventennio fascista.
Per molti fascisti nostrani questo mausoleo (inaugurato nell'agosto 2012) è stato il compimento del percorso che il Movimento sociale, ad Affile (RM), aveva intrapreso dal dopo guerra. Già nel '67 infatti venne presentato il progetto del suddetto dal celebrato sindaco affilano Luigi Ciuffa (esponente dell' Msi e sindaco della cittadina per 40 anni). Così, assieme al busto di Almirante, Affile oggi vanta anche un mausoleo intitolato tramite delibera comunale al ‘macellaio di Fezzan’, Graziani. La Regione Lazio, a seguito del clamore suscitato da tale scempio, ha bloccato una parte  del finanziamento promesso e dopo un attento sopralluogo sul posto non ha  trovato più alcun riferimento al fascista. Di fatto il mezzo busto che dominava la sala è ora custodito gelosamente in casa dal sindaco Viri, come da lui stesso dichiarato. Il manufatto sarà scappato da solo o qualcuno avrà provveduto a rimuoverlo?Quella che secondo i piani del sindaco deve essere la Predappio del Lazio è una chiara e palese revisione storica che pone il macellaio nella veste del soldato pluri medagliato prima del fascismo, poi soldato "non fascista" nel ventennio e successivamente nella repubblica sociale “ fedele alla patria fino alla fine tanto da salvarne vite umane e beni materiali dalla furia tedesca“... e si può aggiungere “ servo di una patria assassina “ come recitava uno scritto sul mausoleo.A seguito di diverse denunce di individualità e associazioni il sindaco Viri ed alcuni assessori sono stati denunciati. La Procura  ad oggi non sembra aver dato seguito all’indagine per apologia di fascismo scattata ai danni del sindaco … Molto più facile procedere “verso chi pratica gesti violenti“, appunto vernice , come  gridava qualche fascista  in giacca e cravatta, commentando la notizia delle scritte.Così il 1 aprile (non è uno scherzo) ci ritroveremo nell’ aula del tribunale di Tivoli ad essere accusati nel modo in cui riportiamo: “...in concorso tra di loro danneggiavano mediante verniciatura con bombolette  spray la scalinata in marmo, due porte e le quattro facciate del sacrario denominato 'il Soldato' sito in Affile. Con l’ aggravante di aver commesso il fatto su beni destinati per necessità alla pubblica  utilità e su edifici ad uso pubblico...", scrivono i carabinieri.A prescindere dal fatto di chi abbia praticato il gesto, vogliamo evidenziare la volontà di far passare per pubblica utilità un mausoleo intitolato ad un criminale di guerra, come evidenzia la storia, ad un condannato per collaborazionismo con i tedeschi nell’occupazione nazista, al ministro della repubblica di salò firmatario del bando che rese obbligatoria la leva delle classi '22 ‘ 23, deportando 2500 persone nei lager tedeschi.L’uomo che con i suoi ordini sterminò migliaia di etiopi, l’uomo che rivendicò lo sterminio di Debra Libanos (in cui morirono più di 3000 persone), l’uomo firmatario delle leggi razziali, l’uomo protetto ancora oggi da una chiesa complice delle sue atrocità. Sono allora 4 mura intitolate a questa figura un bene pubblico? O sono il tentativo da parte della destra nostalgica di creare un luogo di culto per i vecchi e nuovi fascisti? Proprio perché non ci riconosciamo in questa assurda vicenda e con sentimento di complicità con tutte le persone che ieri hanno combattuto e che oggi combattono contro i vecchi e nuovi fascismi, con spirito di rivalsa verso un gesto che è un insulto alla vita umana e alla Resistenza, vogliamo non far passare questo processo come “un semplice danneggiamento“. Per questo motivo chiediamo un forte sostegno nelle modalità che riterrete più opportune, a tutti gli uomini e alle donne, ad associazioni e movimenti, individualità e collettivi che si riconoscono nei valori della Resistenza. Per una società libera da ogni fascismo e per l’ abbattimento del mausoleo a Rodolfo Graziani.

1° Aprile: sit in dentro e fuori il tribunale di Tivoli Viale Nicolò Arnaldi n, 19 ore 9.30

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Mi perviene una lettera aperta di tre ragazzi che il 1 aprile dovranno comparire davanti al Tribunale di Tivoli per danneggiamento ad un bene pubblico. Si tratta dell’accusa di aver imbrattato “con vernice la scalinata in marmo, due porte e quattro facciate del sacrario denominato “Il soldato”, sito in Affile”. I tre ragazzi fanno alcune considerazioni e chiedono sostegno per un processo “che non deve passare come un semplice danneggiamento”. Ovviamente, io non so come stiano i fatti e quali prove vi siano sugli autori; e, avendo fatto per molto tempo l’avvocato, so che non bisogna mai pronunciarsi su atti che non si conoscono. Ma alcune considerazioni di carattere politico possono e debbono essere svolte; anzitutto per augurare, sinceramente, ai tre ragazzi in questione di poter dimostrare, nel giudizio, la proprio innocenza. Ma poi, colpiscono alcuni fatti di notevole rilevanza. Anzitutto, se è esatto il modo in cui è riportato, nella lettera aperta, il capo d’imputazione, c’è da dire che apprendiamo solo ora che quello è un sacrario denominato “Il soldato”. Da quando? Si è sempre parlato, e ne ha parlato tutta la stampa del mondo, di un sacrario dedicato a Rodolfo Graziani, implacabile e feroce colonialista, fascista e razzista, dichiarato “collaborazionista” (anche per aver firmato un famoso bando della R.S.I. che prometteva la fucilazione per i giovani renitenti alla leva repubblichina) e considerato universalmente un “criminale di guerra”. Qualcuno si è accorto dello scandalo che aveva giustamente suscitato ed ha cercato, praticamente, di “rimediare”? Ma in modo molto ingenuo, perché quello è, per tutti, il sacrario dedicato a Graziani, di cui lo stesso Sindaco del luogo si è dichiarato orgoglioso e contro il quale pende un procedimento penale in fase istruttoria, davanti allo stesso Tribunale di Tivoli. Il cambiamento è, comunque, significativo, anche perché scolora lo stesso atto compiuto dagli ignoti “verniciatori”, che certo non avrebbero reagito in modo simile se non si fosse trattato di una destinazione inaccettabile agli occhi del mondo intero. Ma ancora: l’ANPI ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Tivoli, il 29.10.2012, per la creazione del “sacrario” dedicato, appunto, ad un personaggio come Graziani. A tutt’oggi non abbiamo notizie concrete degli esiti di quell’indagine e tantomeno sulle prospettive anche temporali di un auspicato giudizio. Colpisce il fatto che, invece, sia giunto rapidamente a maturazione un episodio, che di quella  vicenda è solo un derivato. Posso comprendere che ogni indagine ed ogni procedimento abbia la propria storia e la propria durata, ma in questo caso, la sproporzione appare assolutamente evidente. E questo deve, necessariamente, essere rilevato con rammarico e preoccupazione.

Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale ANPI
Fonte: ANPI News n. 113 – 25 marzo/2 aprile 2014


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Segnaliamo che i documenti del fondo Gasparotto sono online: http://www.criminidiguerra.it/documenti.shtml

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I crimini di guerra italiani sotto inchiesta. Era ora!

•  Martedì, 25 Marzo 2014 08:57
•  Federico Rucco

Era da tempo, da troppo tempo, che questo paese doveva fare i conti con due macigni sulla sua storia. Quello degli “italiani brava gente” e quello dell’impunità assicurata ai criminali di guerra italiani – così come a quelli tedeschi – alla fine della seconda guerra mondiale. Il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, ha finalmente aperto un'inchiesta sui crimini compiuti dai militari italiani nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale, in particolare in Grecia, Jugoslavia, Albania. Non è dato sapere se la cosa verrà estesa a Libia ed Etiopia.

Il dott. De Paolis per ora si è limitato a far saper che e' partito un "accertamento conoscitivo" e che e' stato aperto un fascicolo 'modello 45', cioe' "atti relativi a",  ma senza indagati.

A smuovere le acque è stato l'esposto presentato da alcuni cittadini, ispirato da due articoli di Franco Giustolisi, il giornalista che rivelò all'opinione pubblica il famigerato "armadio della vergogna", dove furono chiusi e "provvisoriamente archiviati" nel dopoguerra - per una sorta di "patto segreto" tra Italia e Germania - 695 fascicoli di crimini nazifascisti, riemersi solo negli anni scorsi, quando fu possibile riaprire le indagini e svolgere una serie di processi finiti con decine di ergastoli.
"Dimenticato" in un angolo della procura, non lontano dall'armadio, svela Giustolisi, c'era anche un "carrello della vergogna". Un carrello stipato di incartamenti relativi alle tante stragi commesse, durante l'ultima guerra, dai soldati italiani. Di questi eccidi si occupo' una commissione istituita il 6 maggio 1946 dall'allora ministero della Guerra. La relazione finale, del 30 giugno 1951, e' firmata dal senatore Luigi Gasparotto. Oltre 300 i militari italiani accusati di crimini di guerra dalle varie nazioni aggredite dal fascismo.
Eccidi che sarebbero stati commessi in varie localita' della Jugoslavia, della Grecia, dell'Unione Sovietica, della Francia, dell'Albania. Solo poco piu' di una trentina, secondo la relazione Gasparotto, quelli perseguibili da parte "dell'autorita' competente". Ma nessuno fu processato.
Solo per una di queste stragi - quella di Domenikon, in Grecia, dove furono trucidati 150 civili - il procuratore De Paolis, dopo aver raccolto la denuncia del rappresentante dei familiari delle vittime, gia' da tempo ha riaperto un'inchiesta che in precedenza era stata archiviata. Le indagini della procura militare di Roma avrebbero consentito, secondo quanto si e' appreso, di risalire ai responsabili della strage, che verranno ora iscritti nel registro degli indagati, anche se sarebbero tutti morti. Inevitabile, dunque, la successiva archiviazione.

Recentemente uno degli giovani storici, Davide Conti, ha pubblicato il libro “Criminali di guerra italiani” dove, attraverso un'ampia mole di documenti ufficiali, ricostruisce i crimini di guerra commessi dal regio esercito durante l'occupazione italiana in Albania, Jugoslavia, Urss e Grecia e di cui le alte gerarchie militari avrebbero dovuto rispondere alla fine della guerra. Più precisamente, illustra le trattative, gli accordi, le politiche dilatorie attuate dal governo di Roma per giungere a eludere ogni forma di sanzione giuridica ai danni dei vertici del proprio esercito cosicché i mancati processi, le assoluzioni e la generale impunità ha permesso la narrazione auto-assolutoria degli italiani "brava gente".


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24/03/2014 08:00 | ALTRO - ITALIA | Autore: fabrizio salvatori

Armadio della vergogna. La procura militare di Roma apre un'inchiesta sui crimini fascisti in Grecia, Jugoslavia e Albania

Un'inchiesta sui crimini compiuti dai militari italiani nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale, dalla Grecia alla Jugoslavia, all'Albania. L'ha aperta il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, che ha ricevuto un esposto da parte di alcuni cittadini.
De Paolis si limita a dire per il momento che e' partito un "accertamento conoscitivo" e che e' stato aperto un fascicolo 'modello 45', cioe' "atti relativi a", senza indagati. L'esposto, secondo quanto si e appreso, prende in particolare le mosse da due articoli di Franco Giustolisi, il giornalista che per primo svelo' all'opinione pubblica lo scandalo del cosiddetto "armadio della vergogna", dove furono chiusi e "provvisoriamente archiviati" nel dopoguerra - per una sorta di "patto segreto" tra Italia e Germania - 695 fascicoli di crimini nazifascisti, riemersi solo negli anni scorsi, quando fu possibile riaprire le indagini e svolgere una serie di processi finiti con decine di ergastoli.
"Dimenticato" in un angolo della procura, non lontano dall'armadio, svela Giustolisi, c'era anche un "carrello della vergogna". Un carrello stipato di incartamenti relativi alle tante stragi commesse, durante l'ultima guerra, dai soldati italiani. Di questi eccidi si occupo' una commissione istituita il 6 maggio 1946 dall'allora ministero della Guerra. La relazione finale, del 30 giugno 1951, e' firmata dal senatore Luigi Gasparotto. Oltre 300 i militari italiani accusati di crimini di guerra dalle varie nazioni aggredite dal fascismo.
Eccidi che sarebbero stati commessi in varie localita' della Jugoslavia, della Grecia, dell'Unione Sovietica, della Francia, dell'Albania. Solo poco piu' di una trentina, secondo la relazione Gasparotto, quelli perseguibili da parte "dell'autorita' competente". Ma nessuno fu processato.
Solo per una di queste stragi - quella di Domenikon, in Grecia, dove furono trucidati 150 civili - il procuratore De Paolis, dopo aver raccolto la denuncia del rappresentante dei familiari delle vittime, gia' da tempo ha riaperto un'inchiesta che in precedenza era stata archiviata. Le indagini della procura militare di Roma avrebbero consentito, secondo quanto si e' appreso, di risalire ai responsabili della strage, che verranno ora iscritti nel registro degli indagati, anche se sarebbero tutti morti. Inevitabile, dunque, la successiva archiviazione.



(italiano / francais / english)


NATO Aggression against Russia via the Ukraine


*** ULTIMORA DA KIEV: Regime Poroshenko lascia assaltare ambasciata russa dalla canaglia di "Pravy Sektor"
I nazi-europeisti vogliono replicare Odessa e tirare per i capelli la Russia fino a coinvolgerla in un conflitto che sarà necessariamente mondiale
LA DIRETTA VIDEO: http://www.ustream.tv/channel/vichekyiv ***


1) NATO IS THE AGGRESSOR – The German Freethinkers Association on the crisis in Ukraine
2) Les “observateurs de l’OSCE”, n’étaient ni des observateurs, ni de l’OSCE (Dj. Kuzmanovic, 9 mai 2014)
3) 
NEWS: Bloody offensives agains Donetzk - Luhansk -  Slavyansk / Kiev lancia offensiva contro il Donbass antifascista, è strage. USATE ANCHE BOMBE A FRAMMENTAZIONE E AL FOSFORO
4) Battaglione "Azov" porta la morte a Mariupol. MA RAINEWS 24 SI EMOZIONA SOLO PER I BACI DEI NAZISTI ALLE FIDANZATE
5) Centri di detenzione per la pulizia etnica dell'Ucraina sudorientale con fondi UE
6) La crisi ucraina diventa nucleare. L’assalto neonazista alla centrale nucleare di Zaporozhe (Tony Cartalucci Global Research, 17 maggio 2014)
7) 15 giugno 2014: NAVE DELLA MARINA MILITARE ITALIANA PARTE PER IL MAR NERO


Vedi anche:

Il punto di Giulietto Chiesa 
13 06 2014 - … sul contratto che vedrebbe l’acquisto, da parte della Shell e Chevron di oltre 7000 kilometri quadrati di terreno ucraino, per estrarne il gas da scisti bituminosi. Indovinate di quale regione si tratta…? La distruzione del Donbass adesso ha un senso. L’Ucraina è una colonia.

Dall'Ucraina al Venezuela: mercenari e golpisti (Higinio Polo)

Ukraine regime claims control of key port city (Patrick Martin / WSWS, 14 June 2014)
   
Massenmord im Donbass:
http://www.jungewelt.de/2014/06-05/064.php

Obama backs state terror against eastern Ukraine (Bill Van Auken / WSWS, 5 June 2014)
http://www.wsws.org/en/articles/2014/06/05/ukra-j05.html

QUANTA GENTE DEVE ANCORA MORIRE…?
Pubblicato il 09/giu/2014 - Una recentissima ed esclusiva testimonianza, molto evocativa di un soldato separatista in Ucraina dell'est…

ALTRI VIDEO:
http://rutube.ru/video/c57436a4e66efd74fe37b50b83afaff3/
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La verità sulla strage di Odessa
Uccisi come animali, uno per uno. Una vera e propria esecuzione di massa premeditata. In parte confermata dai reporter presenti. Un crimine contro l'umanità.
Franco Fracassi - 8 maggio 2014

PandoraTV sulla strage di Odessa:

Russia. Putin si scaglia contro i revisionisti della Seconda Guerra Mondiale
Scritto da: G.B. il 19 maggio 2014 … In particolare Putin ha sottolineato come questo sia avvenendo in Ucraina, ma chi lo ascolterà? 


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Sunday, 8 June 2014

NATO IS THE AGGRESSOR – The German Freethinkers Association on the crisis in Ukraine

Since the coup in Ukraine on 22nd February 2014 and in particular following the developments on the Crimean peninsula in the Black Sea, a political campaign in the media has begun to roll in the USA and in NATO and EU countries, which hysterically accuses Russia and in particular the Russian president, Vladimir Putin, of reckless power politics and of “stealing land” in violation of international law. The incorporation of the Crimea into the Russian Federation has been branded as “annexation in violation of international law” by leading NATO governments.

With this campaign, the real character of the crisis in Ukraine is to be disguised as an anti-Russian manoeuvre and further hostile acts towards the Russian Federation are to be prepared psychologically.

It is at first astonishing that countries that have up to now continually violated international law, including the attack on the Federal Republic of Yugoslavia in 1999, the invasion of Afghanistan in 2001 and that of Iraq in 2003, the recognition of the sovereignty of Kosovo in 2008, so obviously operate a double standard when it comes to judging Russian actions.

Those same people who would have us believe that Germany’s security interests are being defended in distant Afghanistan deny Russia the right to look after its indisputable security interests in its immediate vicinity. And that is even the case in view of the striking difference that in the defence of German interests in Afghanistan a General Klein once ordered a massacre on more than 100 civilians while the Crimea joining the Russian Federation took place without a single violent act on the part of Russia and in complete agreement with a large majority of the population of the Crimea.

Those same people who recognised Kosovo on the basis of a one-sided declaration of independence by the provincial government against the will of the legitimate central government in Serbia deny the Russian Federation the right to fulfill the wish of the population in the Crimea for incorporation, a wish expressed through a referendum with a result that speaks for itself, at a time in which a legitimate central government does not exist in Ukraine.

Ukraine’s sovereignty violated through a putsch inspired by NATO

The arguments which are supposed to prove that Russia has violated international law are based abstractly on the premise that Russia has cut off a piece of a sovereign state out of the blue. What had really happened in Ukraine, however, was that the government in Kiev, formed legally and recognised internationally, was brought down in a violent putsch. Forces loyal to NATO supported this act of violence through various canals. The so-called “interim head of government”, Arseniy Yatseniuk, is a notorious NATO collaborator.

This constituted hidden NATO aggression against Ukraine. From the very beginning, it was clear that the putsch government had no control over large parts of the country. Nevertheless, it was quickly recognised as the legitimate representation of the country by the USA and NATO and EU states. The sovereignty and territorial integrity of Ukraine was violated by NATO governments.

For it was the USA, NATO and the EU that in this way in reality brought a part of Ukraine under their influence in violation of international law and vioating the constitution of Ukraine. No one elected the so-called “interim government” in Kiev; it was put there in place of the old national government through illegal and violent means. Straightaway, the EU concluded the first part of an association agreement with the leaders of the putsch – a treaty in line with international law which even includes the “integration” of Ukraine into the military structures of the EU. And that is the case even though parts of the country are still controlled by the previous legitimate organs of the state. In reality this means that the western countries mentioned have basically separated the west of Ukraine from the rest of the country. They are the ones that in truth have “created facts” – an accusation which they incessantly direct towards Russia.

Under these circumstances, one cannot talk of annexation when it comes to incorporating the Crimea into the Russian Federation. It reflects the voluntary act of joining Russia by the remaining sovereign part of Ukraine. For the Crimea was the only part of the country in which there was still unrestricted law and order after the putsch. As both the population of the Crimea and also Russia’s strategic interests in the Black Sea were in danger after the events in Kiev, it was necessary to act quickly. Consultation with western “partners” was out of the question as these had already, without consideration for Russia and the Ukrainian people, supported the putsch refusing all dialogue and recognised the putsch government, and thus pressurising the Crimea and Russia to act.

If the Crimea had not joined the Russian Federation, then, as President Putin said on 18th March 2014, “the NATO fleet would have appeared in Sevastopol, the city of Russian glory; which would not have been a nebulous danger, but a very concrete danger for the whole of the south of Russia.”

The claim that the Crimea joined Russia after a Russian “invasion” has turned out to be a lie. It is a known fact that the Russian Black Sea Fleet was stationed in Sevastapol in accordance with a valid treaty between Russia and Ukraine, and that Russia was allowed to have 25,000 troops stationed in the Crimea. There is no proof to confirm claims that this number was exceeded after the putsch in Kiev, and Russia denies these claims too.

The most important fact is, however, that Russian soldiers were not only in the Crimea legally, but also with the consent of the regional authority and the obvious wish of the population, and remained completely peaceful. During the alleged “Russian invasion” there was no single act of violence and not even an attempt to provoke the enemy –a sign of how close the ties with Russia are amomg the Crimean population.

The self-defence forces in the Autonomous Republic of Crimea were also used as a further sign of a “Russian invasion”. Directly after the putsch in Kiev, they had taken up position in front of public buildings and military facilities with the clear aim of defending constitutional law against the supporters of the putsch. As they wore uniforms “without identification badges”, it was clear for the West that they had to be Russian soldiers. By contrast, the “demonstrators on the Maidan” in Kiev, the majority of whom also wore uniforms without identification badges, were not identified as NATO soldiers.

Russia emphasized that it did not have any command over the Crimean self-defence forces. The main difference, however, is that they were acting in full agreement with the large majority of the population in protecting constitutional law and not like the thugs in Kiev breaking it. It is an excellent example of the two-facedness of our rabble-rousing media celebrating the bloody putsch in Kiev as a breakthrough for democracy and at the same time branding the purely passive protection of organs of the state in the Crimea as Russian intervention.

International law: Crimea and Kosovo-Metohija

From Yugoslavia to Syria, the USA/NATO/EU have continually been waging wars – and always in demonstrative disregard for and violation of international law. And now suddenly they are playing protectors of international law and repeatedly implore the “territorial integrity of Ukraine”.

The German Freethinkers Association has always stressed the defence of international law as the most important task of the anti-war movement and continues to do so also with regard to the apparent change in role of the NATO warmongerers. While the former German chancellor Gerhard Schröder has frankly admitted in the meantime that with the NATO aggression against Yugoslavia in 1999 international law was violated (even though he still has to voluntarily allow legal proceedings against himself), the majority of commentators still insist that NATO “did the right thing” in Kosovo – an argument that Russia canot rely on in their eyes for the situation in the Crimea is totally different.

Indeed, the two cases are totally different – but for exactly the opposite reasons than the warmongerers claim. It is basically valid that international law does not forbid secession or a declaration of independence. In this respect, Vladimir Putin, in his speech of 18th March 2014, cites the USA’s memorandum of 17th April 2009 to the International Court of Justice on Kosovo: “Declarations of independence can, as often is the case too, violate domestic law. But that does not mean that international law is violated through this.”

Whereas international law sees secession as an inner-state affair, it does not allow any group to split from the original state without its agreement. However, as a result of the foreign aggression against Ukraine, no legitimate and functioning Ukrainian authority was left which would have been able to contradict the Crimea joining the Russian Federation – a move which in fact was taken as a measure of protection against this said aggression.

What international law explicitly forbids is the change in the territorial sovereignty of a sovereign state with the aid of foreign aggression. In Kosovo, the USA and NATO at first built up a terror organisation, armed it and trained it, smuggled in reactionary Islamist mercenaries, and then as the air force of this terror organisation, in crass violation of international law, waged 79 days of bomb warfare on Yugoslavia. Nevertheless, their military success remained limited and they had to accept the territorial integrity of the state attacked, including Kosovo, in the peace agreement, and this was sealed with UN Resolution 1244.

Under its military protection, NATO allowed ethnic cleansing to occur in the Serbian province Kosovo and Metohija and elevated the terror and mafia structures to the “government” of a separate state, the international recognition of which it has been organising ever since. This secession has been invalid from the very beginning because it was initiated through a foreign war of aggression and because it violates the valid resolution UNSCR 1244. Neither has a war of aggression been waged against the Crimea or the Ukraine, nor can any rule be found in international law which demands that the Crimea belongs to Ukraine eternally. Indeed, in an act of national self-determination, the population of the Crimea has become independent as a part of the Ukraine and constituted themselves as their own sovereign state. The new state fulfilled all the requirements under international law for the de jure recognition by other states. No rule in international law forbade the Russian Federation from accepting the new state’s request to join its federation. Thus, the secession of Kosovo from Serbia violates international law; the Crimea joining the Russian Federation on the other hand does not.

Everything that has happened in the Crimea in recent weeks, including joining the Russian Federation and the integration now slowly taking its course, has been a reaction to the putsch in Kiev and the negation of Ukraine’s sovereign rights through NATO and the EU. And this reaction was to be expected and was consciously calculated by the foreign supporters of the “Euromaidan”, including the sanctions imposed on Russia as a “penalty” and the “aggravation of the tone of voice”, the linguistic symptom of the increasing aggression.

Fight against fascism in Ukraine

Since the Crimea’s peaceful joining of the Russian Federation, the conflict in Ukraine has taken on a violent form. Further parts of the country in which there are a majority of Russian-speaking inhabitants have continued their resistance against the putsch regime in Kiev.
The regime calls the resistance fighters “terrorists”; the media, loyal to NATO and on the same wave length, call them “pro-Russian separatists”. Both terms turn the basic situation in Ukraine upside down – as the propaganda against the Crimea joining Russia had already done: the present rulers in Kiev were brought to power using terror, and it was the leaders of the putsch who created a separate state in the west of Ukraine because, from the very beginning, they could only take control of the western part of Ukraine.

The junta in Kiev is trying to break the resistance with military force. It has made the gangs of fascist thugs from the “Euromaidan” servants of the state, armed them and dressed them as the “national guard”. They have sent in tanks against the people in the east and south of Ukraine, set fire to the trade unions building in Odessa, and have exerted naked terror against communists, trade unionists, Russian-speaking people and members of minorities. They excluded the communist faction from meetings of parliament, attempted to kill the leader of the Ukrainian Communist Party, Petro Simonenko, by setting his car on fire and are working to ban the Communist Party completely. The “western community based on values” supports this fascist terror to conquer the resistance so that NATO can take control of the strategically important Donetsk Basin.

As a reaction and a measure of protection, the population in the areas around Donetsk and Luhansk chose to form independent states with the options of either extensive autonomy within a federal Ukraine or joining the Russian Federation. The resistance did not develop from a striving to separate, but from the defence of constitutional order, which up until the putsch had been valid in the whole of Ukraine. It would be factually correct and more honest to talk of separatists in Kiev loyal to NATO. It is clear to see that the political judgement of these events and with regard to international law is the same as in relation to the Crimea: through the coup in Kiev on 22nd February Ukranian national territory was torn apart; on the basis of international law, Ukraine stopped existing as a state within its previous borders, and if anyone can assert a claim to be its legal successor, then it is those areas in the east showing resistance.

No matter how the crisis in Ukraine continues to develop, it has to be said that it was triggered off by the policies of the USA and its allies in NATO and the EU and continues to be intensified. With Ukraine, a further country is to be opened for those major banks and groups of companies which operate globally, and which strive to subjugate the wealth of the whole world to their monopolistic tribute system. The supranational “world order” which NATO and the EU are striving for is the global supremacy of a handful of super-rich people in the western world and in a few other countries.

In their striving for global supremacy they grasp if need be – as had already been practised before historically – the fascist form of rule. This is a merciless declaration of war on the life interests of all peoples and means that the national aims of self-determination, sovereignty of the people and democracy can only be achieved in the irreconcilable fight against the global rule of finance capital.

A new world war?

Direct military aggression by NATO against Russia seems to be becoming clearer on the horizon, and this is nothing more than the perspective of the way into a new world war.

Unlike the era one hundred years ago, when, in the First World War, two enemy alliances of similarly rapacious superpowers fought against each other with the aim of redistributing the world, today the historic centres of imperialism, the USA, the EU and Japan, form a global system of alliance. However, that does not mean that the inner-imperialistic contradictions and competition has disappeared and that the participants would not try to gain advantages at the others’ cost. The so-called triad under the leadership of Washington has been pursuing a strategy of the “new world order” ever since the demise of the socialist states in Europe.

The series of intervention and aggression unleashed within this strategy is directed against the countries which appear in this constellation either as “rivals” (Russia, China, India, Brazil etc) and/or “disturbers” (Yugoslavia, North Korea, Syria, Iran, Cuba, Venezuela etc). This new scenario which could lead to another world war is the expression of the metamorphosis of imperialism. The monopoly capitalism of the last century has developed through the phase of state monopoly capitalism to today’s transnational monopoly capitalism.

The monopoly capitalists operating transnationally which dominate imperialism today count on the power apparatus of nation-states and yet at the same time are in crass contradiction to what is national. They thus undermine national self-determination and sovereignty of the people as a foundation for any form of democracy; they destabilise whole states and do not even refrain from destroying them completely.

Transnational groups, however, do not form any monolithic syndicates, but continue to belong to different capital factions with sometimes contradicting interests. These conflicts of interest also lead to different positions on the question of war and peace, and peace activists can and must take advantage of these differences to defend peace.

There are growing signs that capitalism is entering its end phase, in which it will no longer have the ability to integrate the whole of the world population organically into the capitalist world system. The gap between rich and poor is growing. The inequal development of countries and states is getting worse. The capitalist economic system can only offer the mass of the earth’s rural population, at least still half the world population, the fate of marginalisation and impoverishment.

The world crisis holds both the chance of revolutionary changes towards a continuing development towards a socialist society, but at the same time a real danger: that a massive military destruction of production capacity and “surplus” population could appear to the imperialist powers as the only “way out” if they are to maintain their “world order”.

There is no secret about Russian interests

Even the imperialist destabilisation of Syria, which is home to the Russian marine’s only Mediterranean base, is not least directed against Russia. Taking control of Ukraine is first and foremost a declaration of attack on Russia. NATO’s anti-Russian acts, which began with the attack on Yugoslavia in 1999 and continued with NATO’s extension eastwards, then the missile shield and the Georgian attack on Southeast Ossetia in 2008, have now reached a new quality with the isolation of the Crimea in the fact that for the first time a major pillar of Russia’s security architecture has been threatened.

Exactly analogous to previous wars, the war propagandists in the NATO countries are trying to drum into their peoples that the aggression is in reality defence against Russia, which they depict as the true aggressor.

Peace activists are called upon to become aware of the real context and to consequently explain the facts about this. Such explanation must include the categorical rejection of all views that Russia is at least partly to blame for the escalation of the crisis. Many of those who honestly reject NATO aggression state that indeed in principle Russia is “not any better” as it only pursues its own interests of course.

But what interests does the Russian Federation pursue? Its prime interest is stability, both at home and also in international relations. Maintaining its security architecture is also necessary for this stability; that is why Russia has a particular interest in the stability of countries which are home to Russian military bases. Russia has an interest in the development of its economy. This goes in line with the interests already mentioned as the Russian economy needs security and stability for the development of its economy. These are the Russian interests. They are the type of interests no-one can accuse a country of having and pursuing.

But in which way does the Russian Federation pursue these interests? Does Russia attack and occupy other countries – as NATO does? Does Russia finance, arm, house and train terrorists which commit massacres on the civilian population of foreign countries in order to cause chaos there – as a coalition from the USA, NATO countries and Gulf states are currently doing in Syria? Does Russia authorise itself to strangle other countries with sanctions in order to force its will upon them? Does Vladimir Putin issue a list of persons every week to have them eliminated by the means of drones on the territory of foreign sovereign states – as Barack Obama does? Does Russia board ships under the flag of foreign countries in international waters – as Israel does?

Russia’s policies towards maintaining its interests mentioned have so far been marked by restraint and concessions. Wherever something had to be used to counter a hostile measure Russia never got anywhere close to exhausting the arsenal of legitimate counter measures. Russia’s interests coincide with the will for peace of the largest part of humanity. Peace activists must recognise this fact.

Prevent war – solidarity with Russia!

The perspective of a war against Russia has apocalyptic features for Germany and Europe. The only chance of defending peace is in rapprochement towards Russia. The Russian Federation is the protector of peace in Europe. This is the practically important fact of knowledge that must be used to counter NATO’s constantly intensified anti-Russian propaganda.

A third world war can only be avoided at Russia’s side. Only in solidarity with Russia can the peace movement, particularly in Germany, become a factor to be taken seriously again. Only in alliance with Russia has our demand “Germany out of NATO – NATO out of Germany” a realistic perspective of being implemented.

A half-hearted position of “equidistance” somewhere in the middle between NATO and Russia has never been so wrong and as dangerous as it is now. It could at best lame a little the propaganda unleashed to create jingoism among the masses, but above all it lames the resistance against the war. For if the lie about Russia being the threat is not decisively rebuffed, then NATO’s central and psychologically most effective reason for the escalation of war will remain.

In view of the danger of also being affected by a war, more people in Germany in particular have been alarmed by the anti-Russian campaigns; they want to know the truth about such vital contexts. Surveys and opinion columns show that the large majority of the population rejects the West’s course of confrontation against Russia.

The German Freethinkers Association warns against the further worsening of the confrontation between the West and Russia. We demand the end to the creation of enemy concepts and disinformation as well as the anti-Russian campaigns and the demonisation of President Putin.

The USA’s strategy is heading for a division of Europe and confrontation with Russia and harms the interests of European countries. Europe belongs to all peoples and nations of Europe; it needs peaceful coexistence between all countries and nations. This requires taking into consideration the mutual interests and partnership with both Ukraine and Russia.

We show our solidarity with the communists, anti-fascists and democrats in Ukraine who, in spite of persecution, stand up against revisionism of history, Russophobia and national chauvinism. We stand up for friendship with Russia together with them.

Therefore, we are calling for:

1. No support for the US strategy of dividing Europe by rebuilding an Iron Curtain

2. No sanctions against Russia – in particular as they damage economic interests and harm the labour market in Germany and European countries; they also damage interest in stable relations and partnerships

3. Stop NATO’s extension eastwards and the military isolation of Russia through encirclement; NATO must not move forward to Russia’s borders and Ukraine must not be incorporated into the military structure of the EU

4. Support for a democratic Ukraine, without fascism and revanchism, with the same human and civil rights and full freedom of religion and weltanschauung for all irrespective of their ethnic origin, and with good neighborly relations with western Europe and the Russian Federation

5. No taxpayers money for the financial and logistic support for fascist organisations and no financial support for their training



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Les “observateurs de l’OSCE”, n’étaient ni des observateurs, ni de l’OSCE


9 MAI 2014 |  PAR DJORDJE KUZMANOVIC


En fait de membres de l’OSCE, il s’agissait de militaires allemands et européens travaillant pour la Bundeswher (armée allemande) dans le cadre d’un partenariat bilatéral signé avec les nouvelles autorités de Kiev. Les présenter à longueur d’article comme des membres de l’OSCE relève au mieux de l’incompétence crasse, au pire, c’est un mensonge volontaire et collectif grave.

Les médias français de masse, dans leur vaste majorité et à quelques notables exceptions près (l’Humanité, Le Monde Diplomatique, quelques journalistes de Marianne, rue89 et Mediapart…), font malheureusement preuve d’un atlantisme débridé que même la plus élémentaire compassion ou tout simplement la vérité ne détournent pas de leur travail de manipulation des consciences. Le cas de l’Ukraine est une anthologie de propagande éhontée.

L’histoire des “membres de l’OSCE pris en otages” en est un exemple saisissant. Nos médias aux ordres de Washington l’ont répété à l’envie : “des membres de l’OSCE ont été pris en otages”... Ces dizaines de journalistes sur qui repose l’information de millions de citoyens ne se sont même pas donné la peine de vérifier sur le site de l’OSCE si ces “otages” étaient bien membres de l’OSCE.

Or en fait de membres de l’OSCE, il s’agissait de militaires allemands et européens travaillant pour la Bundeswher (armée allemande) dans le cadre d’un partenariat bilatéral signé avec les nouvelles autorités de Kiev. Les présenter à longueur d’article comme des membres de l’OSCE relève au mieux de l’incompétence crasse, au pire, c’est un mensonge volontaire et collectif grave.

 

Le récit d’un mensonge.

Le 25 avril, on annonçait dans les médias que plusieurs “membres de l’OSCE” avaient été pris en otage à Slaviansk par les “pro-Russes” : huit “observateurs européens” et leurs quatre accompagnateurs ukrainiens. Huit jours plus tard, le 3 mai 2014, les mêmes médias annonçaient en chœur la “libération des membres de l’OSCE et de leurs accompagnateurs ukrainiens pris en otage” et se félicitaient de leur bonne santé en les élevant au rang de héros.

Pendant plus d’une semaine, cette histoire sera l’occasion pour la vaste majorité des médias de laisser comprendre que les “pro-Russes” de l’est de l’Ukraine avaient séquestré des membres d’une organisation internationale faisant leur légitime travail. Il a été fortement insinué que la Russie avait une responsabilité importante dans cette “prise d’otage”. Le récit a été répété ad nauseam dans le cadre d’une vaste campagne de propagande anti-russe et de légitimation du sulfureux gouvernement de Kiev.

 

La vérité derrière le récit médiatique

Le problème, c’est que dès le 25 avril au soir, jour de “la prise d’otage des membres de l’OSCE”, Claus Neukirch , directeur adjoint du Centre de prévention des conflits de l’OSCE - un diplomate de premier plan de l’OSCE donc -  tenait les propos suivants sur la première chaîne autrichienne, l’ORF  :

-          Les personnes retenues n’étaient pas membres de l’OSCE

-          Compte tenu du fait que ce ne sont pas des membres de l’OSCE, celle-ci ne négocierait pas leur libération

-          L’OSCE n’avait fait aucune estimation des risques encourus pour cette mission puisque… ce n’était pas une mission de l’OSCE (la journaliste semblait, déjà, avoir du mal à comprendre).

-          Il s’agissait d’observateurs militaires européens œuvrant dans le cadre d’une mission militaire bilatérale entre l’Allemagne et l’Ukraine pour le compte d’une branche des forces armées allemandes, la "Zentrum für Verifikationsaufgaben der Bundeswehr" (Centre de vérification de la Bundeswehr)

-          Fort logiquement, les négociateurs étaient les autorités allemandes.

La vidéo originale de l’interview de M. Claus Neukirch étaient visible directement sur le site de l’ORF, mais le lien y a été supprimé.

 

Le maintien d’une fausse version malgré le démenti officiel

Et pour cause : suite à ce démenti de bonne foi fait dans l’immédiat face à des propos erronés tenus par un journaliste, il n’y en aura plus d’autres.

Pas de démentis formels de la part de l’OSCE, de l’OTAN ou d’une quelconque chancellerie occidentale.

Seul le site du ministère des affaires étrangères russe indiquait qu’il ne s’agissait pas de membres de l’OSCE.

Les médias auraient pu aisément vérifier cette affirmation. Mais là encore aucune enquête sérieuse de la part de journalistes.

Le récit mensonger était lancé, il pouvait continuer son œuvre, parmi tant d’autres récits de propagande bellicistes qui risquent de détruire les dernières chances de résolution pacifique du conflit.

 

Un travail journalistique honnête aurait pu permettre de constater que sur le site de l’OSCE on ne trouvait :

-          Rien sur cette prise d’otages. Etonnant pour une organisation comme l’OSCE de ne pas communiquer sur une prise d’otages potentiellement dangereuse pour la vie de ses membres. Un document interne et public de l’OSCE, "OSCE monitoring mission to Ukraine: The facts" en date du 28 avril, rédigé donc après la prise d’otages, ne fait aucune mention de quelconques otages de l’OSCE retenus en Ukraine. Une telle omission dans un document officiel traitant des “faits de la mission de surveillance de l’OSCE en Ukraine” rédigé trois jours après la date de “la prise d’otage” serait le moins bizarre.

-          Pendant la semaine qui suivra le 25 avril, pas une ligne sur d’éventuelles négociations, ni commentaires sur l’état des otages.

-          Le 3 mai, rien non plus sur la libération de ces “otages”. Etonnant… les organisations internationales, les grandes ONG ou les medias communiquent fortement lorsqu’ils récupèrent leurs membres pris en otages.

-          En fait si, on pouvait trouver ce communiqué :

"OSCE Chairperson-in-Office and Swiss Foreign Minister Didier Burkhalter expressed his gratitude to all participating States involved in the efforts for the release of the seven military inspectors and their Ukrainian hosts who were detained in Sloviansk by a group of armed individuals" (Le Président en exercice de l’OSCE et ministre des Affaires étrangères suisse, Didier Burkhalter, a exprimé sa gratitude à tous les Etats participants impliqués dans les efforts pour la libération des sept inspecteurs militaires et leurs hôtes ukrainiens qui étaient détenus à Sloviansk par un groupe d’individus armés) ; là encore, aucune mention de leur appartenance à l’OSCE.

 Enfin, pour les plus paresseux, il suffisait de jeter un œil sur le compte Twitter de l’OSCE, ils auraient pu y lire :

OSCE@OSCE Apr 25

2/4 All members ot the OSCE Special Monitoring Mission and OSCE/ODIHR observers are safe and accounted for

(2/4 Aucun des membres de l'OSCE de la Mission Spécial de Surveillance ou des observateurs OSCE/ODIRH ne manquent à l’appel)

 

Le mandant de l’OSCE était d’envoyer des observateurs civils, pas des militaires

Et pour cause : dans un autre document de l’OSCE, en date du 21 mars 2014, "Décision N° 1117 Déploiement d’une mission spéciale d’observation de l’OSCE en Ukraine", soit le mandat de la mission de l’OSCE en cours au moment des faits, il est précisé dans l’article 6 que ce sont 100 observateurs civils qui seront déployés en Ukraine ; il n’est aucunement question d’“observateurs militaires”.

6. La Mission spéciale d’observation sera constituée dans un premier temps de 100 observateurs civils qui travailleront, le cas échéant, 24 heures sur 24 et sept jours sur sept en équipes. L’observateur en chef informera la Présidence, le Conseil permanent et le pays hôte des modalités concrètes, en fonction des besoins sur le terrain. Selon qu’il conviendra et en fonction de la situation, les effectifs de la mission pourront être augmentés de 400 observateurs supplémentaires au total. Les observateurs seront déployés initialement à Kherson, Odessa, Lvov, Ivano-Frankivsk, Kharkiv, Donetsk, Dniepropetrovsk, Tchernivtsi et Louhansk. La mission sera basée à Kiev. Tout changement au niveau du déploiement fera l’objet d’une décision du Conseil permanent.

Notons enfin, que seul EuroNews fournira une information précise le jour de la libération des “otages”, et encore, sur le prompteur en bas de l’écran : "L’OSCE se félicite de la libération des observateurs militaires européens” (“European military observers”) sans jamais mentionner qu’ils sont membres de l’OSCE.

On pourrait se dire à la lumière de la sociologie des médias qu’il s’agit là d’une malheureuse erreur : les médias voient leurs crédits coupés, en particulier pour les enquêtes longues portant sur les questions internationales, et sont enjoints à produire des nouvelles toujours plus vite dans un environnement hautement compétitif, d’où une forte tendance à se copier les uns les autres pour le bon comme pour le moins bon, les stagiaires et pigistes mal payés y sont surreprésentés, etc., etc.

Même si c’était le cas, constatons alors que “l’erreur” se transforme en une propagande répétée massivement pour convaincre le citoyen de suivre les ordres du bon maître, le persuader que le coupable et donc le mal dans tous les événements d’Ukraine serait la Russie et que le bien et la vertu seraient incarnés par l’Occident sous le drapeau de l’OTAN, et par son guide suprême : les Etats-Unis. Et malheureusement ça marche. Comme l’écrivait Aldous Huxley dans Le Meilleur des mondes, “64 200 répétitions font la vérité”.

 

C’est de la criminalité de clavier, car cette propagande a des conséquences lourdes : elle attise les haines, tend des situations déjà difficiles, crispe les camps sur leurs positions. Comment d’ailleurs les “fédéralistes” et “pro-Russes” d’Ukraine de l’est pourraient-ils percevoir autrement cette histoire des “otages de l’OSCE” sachant bien qu’il ne s’agit pas de membres de cette organisation ? Ils ne peuvent que se sentir visés par une campagne de désinformation coordonnée et délibérément orientée contre eux.

Comment les vrais et nécessaires observateurs de l’OSCE pourront-ils demain travailler sereinement sur le terrain ? Ce mensonge ne les met-il pas en danger ?

Le plus grave, c’est que le mensonge ici décortiqué n’est qu’un exemple parmi tant d’autres. Comment, alors qu’on travaille ainsi à diaboliser systématiquement les contestataires de l’est de l’Ukraine, pourra-t-on restaurer la confiance entre différentes populations de ce pays, sans laquelle il n’est pas de destin commun possible ?

Cet épisode rappelle le devoir de chaque citoyen tel que le formulait dans son discours à la jeunesse le grand Jaurès assassiné il y a 100 ans : “le courage c’est de chercher la vérité et de la dire ; c'est de ne pas subir la loi du mensonge triomphant qui passe, et de ne pas faire écho, de notre âme, de notre bouche et de nos mains aux applaudissements imbéciles et aux huées fanatiques ”.



=== 3: NEWS ===

Source of the english-language news is the Stop NATO e-mail list.
Home page with archives and search engine: http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages
Website and articles: http://rickrozoff.wordpress.com


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Kiev lancia l’offensiva contro Donetsk, è strage

Martedì, 27 Maggio 2014
Marco Santopadre

Mentre a Kiev l’oligarca Poroshenko e il figlioccio politico di Angela Merkel, Vitali Klitschko, festeggiavano rispettivamente la vittoria alle elezioni presidenziali di domenica e l’elezione a sindaco della capitale, l’esercito e le bande neonaziste lanciavano ad est un assalto in grande stile contro le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk. 

Le notizie dal fronte sono ancora confuse, ma si parla di asprissimi combattimenti e di una offensiva massiccia da parte delle forze fedeli alla giunta golpista appena legittimata dal voto. D’altronde il neoeletto Poroshenko, che in campagna elettorale ha promesso il dialogo con le popolazioni russofone e l’avvio di una riforma federalista dello stato, ha in realtà immediatamente annunciato la ripresa immediata delle operazioni militari contro le repubbliche indipendentiste che non ne riconoscono l’autorità.
Secondo un bilancio provvisorio delle vittime della battaglia per il

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(english / italiano)

Ucraina: le Repubbliche Popolari del Donbass e i comunisti

1) Appello del popolo della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk alla comunità mondiale
2) I comunisti ucraini e le sinistre europee. Intervista a Petro Simonenko, leader del PCU
3) Interview with Sergei Kirichuk, leader in exile of BOROTBA
4) Victor Shapinov (BOROTBA): Ukraine’s Donbass is today’s Vietnam
5) Evgenyj Tsarkov (PCU): Chi ha effettivamente guadagnato dalla vittoria del Majdan


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Appello del popolo della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk alla comunità mondiale

da kprf.ru | Traduzione dal russo di Mauro Gemma

Il sito del Partito Comunista della Federazione Russa ha diffuso il seguente testo dell'appello

Noi, il popolo della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, in questo momento critico ci rivolgiamo alla comunità mondiale con la richiesta di aiuto immediato e di una risposta immediata a ciò che sta accadendo nella nostra terra, in relazione alla minaccia che incombe su di noi dell'annientamento da parte delle forze nazi-fasciste, che vengono usate dal regime dell'Ucraina.

Dichiariamo che il nostro unico desiderio è rappresentato dall'aspirazione a vivere in conformità con le nostre tradizioni e costumi storici, con la nostra cultura e le nostre abitudini, in pace e in rapporti di buon vicinato con tutte le nazioni, i popoli e gli stati che non mostrano ostilità nei nostri confronti.
Il nostro è un popolo lavoratore e creativo, ma è stato costretto a imbracciare le armi per proteggere la vita e il proprio futuro, poiché non gli è rimasta altra scelta. Noi non abbiamo mai mostrato aggressività nei confronti di alcuno stato o popolo, non abbiamo mai perseguito obiettivi di espansione e di annessione di altri territori. Noi resistiamo per la nostra terra e per le nostre famiglie, e resisteremo fino alla fine. Non è la prima volta che succede nella storia.

E' stato così negli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando le orde degli occupanti fascisti calarono sulla nostra terra pacifica. Al prezzo di colossali perdite umane e di uno sforzo immane, l'Unione Sovietica insieme agli altri stati che sostenevano la pace nel mondo sconfisse il fascismo hitleriano, che aveva portato anche nella nostra terra un immenso dolore e fiumi di sangue. Ed ecco ora, dopo più di 70 anni, la peste bruna ha di nuovo alzato la testa. Non c'è bisogno di elencare le incalcolabili azioni fasciste che si svolgono nell'Ucraina di oggi. Kiev, Odessa, Khmelnitsky, Slovyansk, Kramatorsk, Donetsk e molti altri luoghi sono bagnati oggi dal sangue di pacifici cittadini, colpevoli solo di opporsi alla politica contraria ai valori umani delle autoproclamatesi autorità ucraine, che si sono impossessate con la forza della guida del paese.

Oggi, quando non ci è rimasta altra scelta che quella di morire senza sottometterci a fascisti privi di umanità o di sollevarci in difesa della nostra vita e di quella delle nostre donne, dei vecchi e dei bambini, abbiamo scelto la via della lotta. Ma siamo ben consapevoli che la nostra lotta, nonostante la nostra determinazione, senza l'aiuto della comunità mondiale, schierata a difesa della pace nel mondo, sarà più dura.

Secondo quanto apprendiamo da fonti attendibili, le autorità ucraine che agiscono di concerto con gli Stati Uniti si stanno preparando a una resa dei conti che ricoprirà completamente di sangue la nostra terra. In questa operazione di pulizia non verrebbero risparmiati nemmeno le donne e i bambini. Questo scenario fascista dovrebbe essere portato a compimento in tempi brevissimi. Noi, il popolo della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, siamo pronti a far fronte al nemico, che porta la morte a noi e ai nostri figli. Ma ci auguriamo sinceramente che la comunità mondiale non stia a guardare e risponda alla nostra richiesta di aiuto, poiché è assolutamente evidente che l'idra fascista salita al potere ci sta attaccando e domani, nutrita e guidata dagli Stati Uniti, avanzerà ancora, e allora il mondo si troverà sulla soglia di una nuova guerra mondiale. Tuttavia, è evidente che noi naturalmente non identifichiamo i governi degli Stati Uniti e di alcuni loro alleati europei con il popolo americano e i popoli d'Europa.

Esprimiamo anche la speranza che le forze e le personalità responsabili dell'incitamento all'odio nazionale tra gli slavi, attraverso la manipolazione, la provocazione e l'istigazione, e responsabili anche del sostegno finanziario a organizzazioni nazionaliste estremiste il cui scopo è quello di sferrare attacchi militari, economici, informativi e di altro tipo al nostro popolo, siano consapevoli che dovranno inevitabilmente subire la giusta punizione, corrispondente alla scala delle atrocità e dei crimini di guerra che hanno commesso.

28 maggio 2014


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I comunisti ucraini e le sinistre europee. Intervista a Petro Simonenko

4 Giugno 2014

Traduzione dal russo di Mauro Gemma

Il leader del Partito Comunista di Ucraina Petro Simonenko dal 22 al 28 maggio si è recato in visita nella Repubblica Ceca, in Germania e Francia, dove ha incontrato i dirigenti di alcuni partiti di sinistra europei.

In un'intervista a Obozrevatel' (L'Osservatore) ha riferito su come le sinistre europee hanno reagito alla possibilità del divieto del Partito comunista, su come intendono aiutare i colleghi ucraini, e ha anche spiegato che le destre europee differiscono da quelle ucraine, e perché la loro popolarità è in crescita tra gli elettori europei.

Simonenko ha anche comunicato che i suoi colleghi europei sono intenzionati a chiedere l'adempimento degli accordi di Ginevra e di quelli del 21 febbraio, firmati anche da Viktor Yanukovich.


Petr Nikolaevich, ha trascorso quasi tutta la settimana scorsa in Europa, dove si è incontrato con le sinistre europee. A quale livello sono avvenute le riunioni?

La settimana scorsa mi sono incontrato con i nostri compagni a Praga. Ho avuto un colloquio con il segretario del Partito Comunista di Boemia e Moravia, Voitech Filip, che è pure vice-presidente del parlamento della Repubblica Ceca. Abbiamo discusso le questioni che ci riguardano con i deputati, abbiamo tenuto una conferenza stampa, illustrando la nostra posizione direttamente ai giornalisti a Praga.

La stessa cosa abbiamo fatto a Berlino. Abbiamo incontrato i deputati del Bundestag, abbiamo discusso con il dirigente del Partito di Sinistra della Germania (Die Linke), Tobias Pflüger e abbiamo incontrato i giornalisti.

Il terzo incontro si è tenuto a Parigi. Ci siamo incontrati con il capo del gruppo parlamentare del Front de Gauche all'Assemblea Nazionale (il parlamento francese) André Chassaigne, con deputati e giornalisti.

L'ultimo incontro l'ho avuto con il leader della “Sinistra Europea”, Pierre Laurent. A questo proposito, va detto che ora il gruppo delle sinistre europee sarà di circa 50 deputati, mentre fino al 25 maggio ne aveva 35.

Quali questioni avete affrontato nel corso degli incontri?

La prima questione che abbiamo pensato di porre è quella relativa alla diffusione delle informazioni e delle nostre valutazioni degli eventi in Ucraina. Abbiamo convenuto che i media europei presentano la situazione in maniera distorta. Purtroppo, la macchina informativa non funziona in modo tale che l'Europa sappia obiettivamente che cosa sta accadendo da noi in Ucraina, ma solo per sostenere ciò che può risultare vantaggioso al punto di vista dell'annessione dell'Ucraina all'UE, senza alcuna considerazione degli interessi nazionali del nostro paese.

Da noi tutti i governi sono stati considerati come i più democratici, prima di accusarli di dittatura, crimini e corruzione. Tutto ciò sta accadendo ora con il nuovo governo ucraino.

Ci siamo trovati d'accordo su tre posizioni di principio.

In primo luogo le sinistre europee hanno sostenuto la nostra idea della necessità di esercitare pressioni sul regime dell'Ucraina con la richiesta di interrompere immediatamente la guerra, fermare lo spargimento di sangue nel cuore dell'Europa e sedere al tavolo dei negoziati.

In secondo luogo, abbiamo concordato sul fatto che oggi la prospettiva della risoluzione dei problemi che hanno provocato lo spargimento di sangue in Ucraina, risiede in un piano di modifica della Costituzione, e che a questo processo va data concretezza. E' inoltre necessario riprendere il lavoro sull'attuazione dell'accordo del 21 febbraio, in cui è stata coinvolta anche l'Europa, e degli accordi di Ginevra, di modo che ciò che è stato firmato in questi due documenti venga realizzato.

E la terza idea: i miei colleghi comprendono davvero che in Ucraina oggi si sta svolgendo un processo politico per la messa sotto accusa del nostro partito. Sapendo come nell'Unione Europea viene considerata la proibizione di un partito, tenendo conto del fatto che noi siamo rappresentati in parlamento e che per noi ha votato la gente, i miei colleghi hanno acconsentito ad aiutarci, mettendo a disposizione giuristi europei di fama, per difenderci in questo tribunale politico, che sta cercando di allestire l'attuale regime nazional-fascista in Ucraina. Questo sarà il lavoro concreto, poiché noi tutti comprendiamo che permettere un secondo incendio del Reichstag, come stanno cercando di fare in Ucraina, non è consentito.

Voglio ancora sottolineare che attraverso queste tre posizioni abbiamo trovato la via costruttiva della collaborazione e della comprensione. Le nostre valutazioni su quanto sta accadendo in Ucraina sono considerate obiettive.

Tutto ciò che sta accadendo in Ucraina è il risultato di problemi interni all'Ucraina. Fino a quando nel nostro paese ci sarà chi non comprende che dobbiamo risolvere i nostri problemi da soli, invece di incolpare qualcuno, non riusciremo mai a risolvere nulla. Di tutto questo abbiamo parlato.

Sono stati firmati accordi o concordate intese verbali?

Per noi è già abbastanza avere potuto illustrare la nostra posizione. Dal 6 all'8 giugno a Bruxelles ci sarà una riunione del Partito della Sinistra Europea e il primo giorno sarà dedicato a discutere dei problemi dell'Ucraina.

Come hanno reagito le sinistre europee alla crescita della popolarità dei partiti di destra, che si è manifestata nelle ultime elezioni per il Parlamento Europeo?

Abbiamo bisogno di comprendere cosa sono i partiti europei di destra. L'idea di fondo, che ha spinto gli europei a sostenere questi partiti, non è l'idea nazionalista, ma la difesa degli interessi nazionali. Nelle condizioni della crisi, nelle condizioni in cui i lavoratori migranti e il loro lavoro vengono intensamente sfruttati, quando non si risolve il problema della disoccupazione, insieme alle sue conseguenze, il voto per la destra rappresenta una protesta contro L'Unione Europea. Dobbiamo capire che proprio questi fattori sono alla base del sostegno ai partiti della destra e dell'estrema destra in Europa.

So che sono fondamentalmente euroscettici...

Si, sono euroscettici. E allora perché in Ucraina sono stati mobilitate sul Majdan persone che hanno ucciso altre persone, per qualcosa a cui in Europa si guarda in modo completamente diverso? E forse ciò si è manifestato solo nell'ultimo anno? Per questo hanno sparso sangue? Ora è necessario capire chi ha ucciso questa gente? A mio avviso, ammontano già a centinaia i morti nel Donbass e gli obitori sono stipati nella regione di Donetsk.

A proposito della situazione nel Donbass, come giudicano i suoi colleghi europei l'operazione anti-terrorismo?

Come una guerra contro il proprio popolo, e la condannano. Il capo del gruppo parlamentare del Front de Gauche all'Assemblea Nazionale André Chassaigne ha detto che verrà richiesto per iscritto al ministro degli affari esteri della Francia di prendere posizione per una cessazione immediata di questa guerra. In Europa l'opinione è molto negativa.

E qual è il parere delle sinistre europee sull'annessione della Crimea alla Russia?

Ho cercato di parlare d'altro con i colleghi europei. Oggi si parla di questo, colpevolizzando la Russia del fatto che essa avrebbe annesso questo territorio. Io ho cercato di rispondere alla domanda su quale sia stata la causa della radicalizzazione dei cittadini dell'Ucraina che vivono in Crimea, ancora una volta sottolineo cittadini dell'Ucraina che vivono in Crimea. E ho detto che il 22-23 febbraio, quando in Ucraina veniva attuato il colpo di Stato, i cittadini della Crimea hanno cominciato a chiedersi che cosa sarebbe loro accaduto.

Ho detto ai colleghi europei che già allora avevo invitato tutti i parlamentari di Kiev a recarsi in Crimea dai loro colleghi del luogo per affrontare tutti i problemi, concedere loro il diritto ad un'ampia autonomia, come era avvenuto nel 1992. Ma che cosa ha fatto Kiev? Kiev ha cominciato a mostrare il bastone, a imbastire processi penali, a dire che tutti in Crimea erano separatisti.

Alla fine non sono stati risolti nella sostanza i problemi, che certo non per la prima volta si presentavano in Crimea: sulla lingua, sui poteri dell'autonomia. Per questo la questione della Crimea ha preso una piega completamente diversa: in Ucraina è necessario imparare a non spaventare la gente, a prestare ascolto al proprio popolo.

Per questo ho spiegato ai miei colleghi in Europa che la separazione della Crimea è il risultato della politica criminale di Kiev. Ecco dove sta la radice dei problemi, e Kiev non deve dare la colpa a Mosca.

Oggi stiamo assistendo a qualcosa di paradossale: tutti i problemi di Kiev vengono risolti o a Washington, o a Bruxelles o a Mosca. E quando saranno risolti a Kiev? Cerchiamo di non aspettare che ci sia qualcuno che decida per noi. Questo va richiesto ai nostri politici: siete in grado di risolvere i problemi o siete solo dei chiacchieroni?

Petr Nikolaevich, ora avete legami con i comunisti russi?

Certo che ne abbiamo. Il risultato dei nostri legami è rappresentato dall'ultima dichiarazione dell'intera Duma di Stato a sostegno del nostro partito minacciato di messa al bando. E' avvenuto la scorsa settimana. Abbiamo parlato con Ghennady Andreevich Zyuganov (leader dei comunisti russi) e ancora una volta abbiamo confrontato le nostre posizioni circa la necessità di trovare oggi una soluzione pacifica alla questione, riguardante il rapporto tra Kiev e le regioni. La mia posizione sulla necessità di risolvere tranquillamente tali problemi, è sostenuta dai miei colleghi e chiediamo che sia lo stesso popolo ucraino a risolverli autonomamente e che nessuno interferisca nei nostri affari interni.


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http://www.workers.org/articles/2014/06/13/ukrainian-leftist-leader-speaks-beginning-maidan-supported-imperialist-plunder/

Ukrainian leftist leader speaks: ‘From the beginning, Maidan supported imperialist plunder’

By Sergei Kirichuk on June 13, 2014

The following interview with Sergei Kirichuk, leader in exile of Union Borotba (Struggle), was published at Initiativ-online.org on June 11, 2014. It was translated from German by Workers World managing editor John Catalinotto.

From the beginning the Maidan [the demonstrations in Kiev’s central square] supported the free trade agreement with the EU. We, on the other hand, were from the beginning against the EU, which had no other goal but to plunder and destroy the Ukrainian economy.”

Initiativ: How and when was Borotba created?

SK: We are a very young, very new organization. We founded Borotba in 2011 as the result of a coalition of various left-wing groups. Some came from Marxist associations; others came from the Communist Party of Ukraine (KPU) and also its youth organization. We are different people with different backgrounds. We have Stalinists, Trotskyists, Maoists and people of other political backgrounds in our organization. We reached a point when we realized that these divisions are no longer as important as they once were. In various campaigns we have all worked together and found that these differences are not as significant now. We can work together to build something new; that was the key idea. A lot of people have participated in this process. To be honest, it was mostly politically experienced and educated people who have supported this process. But even workers without special training were involved, as well as leading people out of the labor movement. One of them comes from Kharkov. A few days ago someone tried to kidnap him.

Although for a long time we were very well organized and active, we were numerically a very small organization. We had regional offices in all major cities. At our biggest demonstrations we had several hundred participants.

When the crisis began, when the Maidan movement started [last November], we were from the beginning against this movement. It was a position many people could easily understand, especially people from the working class. Riding this wave, we increased our influence, and became one of the leading forces in cities like Kharkov, for example. After the Maidan coup [of Feb. 22], the fascists destroyed our headquarters in Kiev. Our comrades in western Ukraine went underground, while we continued to lead public activities in the east, where it was still possible.

The Ukrainian city of Kharkov was one of the largest industrial centers in the days of the Soviet Union, after Moscow and Leningrad. Today, Kharkov is one of the largest railway hubs in Europe. It’s a city with a good old left and democratic tradition.

It is therefore not at all surprising that the mood in Kharkov was and is so strong against the new oligarchic coup government. There were huge gatherings, which were all peaceful, against this new government in Kiev. And of course, we won over new members from this movement. For example, in one day, 300 people signed a statement that they would like to join our organization. And of course they were not all communists, socialists or leftists; they expressed their agreement with a specific policy. But 300 such declarations alone already have enormous importance. It showed how our program was right on target.

Initiativ: If someone asks what Borotba is, how do you answer them? What sets you apart from the KPU (Communist Party of Ukraine)?

SK: We are a communist organization. But the best known leftist organization in Ukraine is the KPU. We criticize this party very sharply, and we were clearly against their parliamentary illusions. The KPU was part of the oligarchic Yanukovych government. But if you say you’re a communist, then everyone thinks you’re part of the KPU. That is why we have taken the name Borotba. The name literally means “struggle,” and implicitly evokes the tradition of Ukrainian communists, who once had a newspaper named Borotba. There have been other organizations in the past that were called Borotba.

For westerners, the name sometimes sounds strange, but it has true Ukrainian roots. What is humorous here is that Borotba is the name in Ukrainian. In the Ukrainian media, we are naturally represented as Putin’s agents, as a pro-Russian party. The problem is that we of course also appear in the Russian-speaking regions with the Ukrainian name Borotba. Most people find it difficult to understand why such a party would have a Ukrainian name.

Initiativ: Right from the start you were against the Maidan. Why?

SK: From the beginning, the Maidan demonstrations made no social demands. Many people think the Maidan was some sort of great democratic movement, with social demands. The fascist forces came into the Maidan like a natural catastrophe, destroying the progressive part of the movement and putting themselves at the forefront. From the beginning, the Maidan supported the free trade agreement with the EU, which has no other content except plundering and destroying the Ukrainian economy.

On the other hand, the idea of success of the ​​individual held sway. This culminated in the idea that the corrupt Ukrainian system dominated by oligarchs could be overcome if we were part of the EU. Those who are willing to work hard will be successful and become rich.

Not only the liberal nationalist opposition but also the Yanukovych government spread the same propaganda in the media. Look at the Baltic countries, they said. They have implemented reforms, they are part of the EU, they have wealth, they are so rich, and we have to follow that path too. But Ukrainians can see and think. They have noticed the crisis in the EU and, for example, also seen what happened in Greece. And there was this big anti-Greek campaign in Ukraine, which argued the following: In Greece, socialism rules, the people are very rich and very lazy. And now they have to pay for their behavior. This is no joke; I mean seriously, it’s what they argued.

For a long time we were the minority of a minority. For example, when I took part in a discussion on a TV show, I was the only one against European integration. All the official representatives [of the Yanukovych regime] as well as the opposition were in favor. And of course they had no reasonable arguments against my position, because I pointed out what the consequences of the free-trade zone would be. They could make not a single rational argument. They said, “Looking at the EU, they are all so rich,” and when I made it clear that I did not agree, they countered by saying they no longer wanted to hear such Soviet propaganda.

Initiativ: What were the reasons Yanukovych refused to submit to the EU’s dictates?

SK: Yanukovych did not sign the declaration with the EU because there was pressure from the Russian side. The problem was that Russia was not able or willing to find a compromise that would have allowed Ukraine to cooperate with Russia as well as with the EU. On the other hand, there was great pressure from Ukrainian business, especially from the high-technology sector, for example, the industry that produces engines for helicopters, airplanes, nuclear weapons and space rockets; they produce for the Russian market and not for the EU. Some 50 percent of Ukrainian foreign trade is with the Russian Federation and the other half is with the EU. So Yanukovych had pressure on both sides from oligarchs.

The difference is Ukraine delivers many raw materials to the EU, and the profit from these sectors is very low, while what is delivered to Russia is high-price, high-tech products. Big capital exerted tremendous pressure and Yanukovych finally announced that there must be more negotiations. There should be more negotiations so that Ukraine would achieve more profitable exchanges with the free trade agreement. That was the reason why the Maidan movement began.

They tried to explain that the reason we are so poor is because we are living in the Soviet Union. It doesn’t exist anymore, but we still have a Soviet mentality, they say, and we need to break with this mentality and become a part of Europe. On the Maidan they built a symbolic wall. They said we are living in the Soviet Union, and if we overcome this border and become part of the EU, then we are breaking with our past.

Initiativ: What was the concrete political program of Borotba at that time?

SK: Of course we were in sharp opposition to the Yanukovych government. But we also understood that this opposition on the Maidan is just as reactionary as Yanukovych. Thus, we have directed our criticism towards both sides. At this time, the political camps were already very strongly polarized between Yanukovych and the pro-Western opposition. We represented at this time the thinking of a small minority of Ukrainian society.

Then some people began to understand what was really happening when the Maidan movement across the country began to destroy Lenin monuments. They destroyed hundreds of monuments that are spread all over the country. Then people could understand very well what was happening. These are reactionary forces, they have no progressive social demands, and they have this right-wing ideology. And they say all problems can be found in the person of Lenin.

After the coup, the Lenin monuments became important political symbols. In Kharkov, for example, they also tried to destroy the monument. Many people from all over Kharkov came to protect the monument, and only a minority of them were communists or leftists, the absolute majority were ordinary people. And they defended the monument as an expression of our history, our Soviet history. This is our history and we won’t let them take it away from us. For example, there was an older woman at a demonstration with a self-made placard on which she had written: You should not destroy your own house, just because it was built in the Soviet era.

Initiativ: What is the situation today?

SK: All our party offices were destroyed by the so-called National Guard, which is the legal cover for the neo-Nazi groups. When our people came to the offices they saw people in black uniforms, armed with AK-47s and blockading our offices. They took everything: flags, music systems, computers and even newspapers. It is easily understood that under such conditions no legal, open work is possible.

Two weeks ago, an attempt was made to kidnap two of our leading comrades following an anti-war demonstration in Kharkov. At the end of the demonstration, people with AK-47s tried to pull our comrades into a car. Bystanders were able to stop that from happening.

Our entire leadership is now in the underground. Many of our members have left the country. The Nazis have, for example, attacked the well-known left-wing journalist and Borotba member Andriy Manchuk, who is the chief editor of the daily Internet magazine Liva. In the end, we were made illegal and the leadership was forced into exile. But a few days ago there was an impromptu rally in Kharkov. Ordinary people gathered in the square, and we saw a lot of Borotba flags at this meeting.

Initiativ: You spoke of solidarity with the Kurdish liberation struggle? What did you mean by that?

SK: That must be clarified. If we look at the flag of Borotba, we see a great many similarities with the flag of the Workers’ Party of Kurdistan (PKK). It was not that we conceived it as such from the beginning. But we have quite a few Kurdish members in Borotba. And it was ultimately pro-capitalist, neoliberal students, hostile to us, whose pressure brought about this agreement on the flag. They wrote in a statement that Borotba is connected to the PKK and that the Kurdish Workers’ Party is considered a terrorist organization in the EU. They claimed that both together form a terrorist front against the EU. We were always in solidarity with the liberation struggle of the Kurds.

Initiative: Where do the Kurds come from? Did they immigrate to Ukraine in the days of the Soviet Union?

SK: The majority of Kurds living in Ukraine come from the south, from the Odessa region. Some of them are students and others work in the markets as traders. The Ukrainian government has always worked in close cooperation with Turkey. This put pressure on the Ukrainian government to take steps against the Kurds.

Previously, the authorities did not actually arrest Kurds, nor did they want to carry out greater repression against them. But the university authorities exerted pressure, for example, on the students, saying they should only study and not take part in political activities. Nevertheless, the Kurdish students have organized political meetings.

The main propaganda that the Ukrainian media always repeated was that Kurds simply cannot live in peace. And that although Turkey is such a “democratic” and “peaceful” country, the Kurds would always carry out terrorist acts. The media always asked, “Why are they coming to Ukraine? They cannot live in peace.”

Initiativ: What do you think about the concept of a democratic federation? Also in relation to the concrete situation in Ukraine?

SK: The Kurdish people must decide for themselves what form self-determination will take. In Ukraine, we are for democratic federalism. This means budgetary, political and social autonomy for southeastern Ukraine. The southeast would be a part of the Ukrainian Federation. And of course we need full equality of languages.

The people are very shocked about the historical mystifications. Nazi collaborators are suddenly turned into national heroes in Ukraine. Those days are now good pages of our history. If they now want to build monuments to Bandera [Hitler’s Ukrainian collaborator], please leave me out. People from the southeast want none of that. They say they are building monuments in Lvov in the west for Nazi collaborators and we defend our Soviet Army monuments.

Whether that should be happening in the same state or in two states is now the ultimate question. In the southeast, in the People’s Republics, there is now a debate. What should we do? Do we enter into a federation with Ukraine or will we be separate?

Initiativ: How will the struggle continue, given the new situation?

SK: We always criticized the KPU because they were focused on the parliamentary struggle. We have always concentrated on mass mobilization of working people and youth, on government service workers, etc. We were under the illusion that we were going to live for many years in a liberal democracy, with freedom of assembly and association. We are not at present nor were we ever prepared for this new situation, this guerrilla warfare. We have no infrastructure, weapons and experience. That was a big mistake.

Initiativ: Are the majority of people who are struggling in the southeast on the part of the People’s Republics of Donetsk and Lugansk made up of Russians, as is claimed by the media again and again in the west?

SK: Of course, the absolute majority of people come from the region itself. Just as there are people from the southeast fighting on the side of the Kiev junta, so there are also people from Russia fighting on the side of the People’s Republics. In the southeast there is no significant Russian influence. For example, there is a Russian citizen who is the leader of the resistance in Slavyansk. And Kiev has been claiming that he is a member of the Russian secret service. According to research by journalists it has now come out that he is a member of the “Rekonstructer” movement. These are people who wear the uniforms that date from the time of the Tsars. They meet for public appearances and organize spectacles, etc. Well, he became a leading commander of the resistance in Slavyansk, and to that extent this is Russian influence. But there are no experienced officers of the Russian secret service who lead and control everything, the way the media present it.

On the other hand, there are some Russians in the southeast, but in turn not as well suited for pro-west media propaganda, because they take a clear position against Putin.

Initiativ: Now one last question about Crimea. What is the situation overall, and in particular that of the Tatars in Crimea?

SK: Putin is now playing the game. He has now given the Tatars in Crimea some national rights. They are represented in the local parliament and in the government. This is exactly what the Tartars have always demanded from the Ukrainian government for 20 years.

As the Ukrainian army left Crimea, nobody wanted to fight against the Russian army; all accepted the new situation more or less. Only the Tatars expressed their rejection. And the Ukrainian nationalists called on the Tartars to join with the Ukrainians in this struggle. But no one joined, not even the Tartars.

Not all people in Crimea were happy about the annexation to Russia. But now they watch TV and see the Odessa massacre, the civil war and the bombing of apartment blocks in Donetsk, and they say to each other, “Thank god that we are not affected.”


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Ukraine’s Donbass is today’s Vietnam

By Workers World staff on May 30, 2014

Following are excerpts from an article by Victor Shapinov, a member of the socialist organization Union Borotba (Struggle). It is directed towards Ukrainian youth, especially those living in the western part of the former Soviet republic. The western region is the stronghold of the coalition of neoliberal politicians, oligarchs and fascists who recently seized power in a U.S.-backed coup, and is currently waging a brutal military campaign against the industrial and mainly Russian-speaking southeast.

The article originally appeared on the Ukrainian progressive websiteLiva.com.ua and was translated by Workers World contributing editor Greg Butterfield.

By Victor Shapіnov

Today, the romantic image of the rebels of 1968 inspires youth. Young, beautiful, sexy participants of the revolutionary events of those times are placed before us as heroes of the movie “The Dreamers” by Bernardo Bertolucci, which is shown by every progressive youth film club. But those who admire the youth of the sixties, apparently, have thought little about what the youthful red rebels of 1968 would fight against today.

There is no doubt that the trigger for the uprising of 1968 was the global anti-war movement. The monstrous war in Vietnam, where the strongest and most modern army developed by the Western countries unleashed its power on peasant guerrillas of a Third World country, was the catalyst for the student unrest of the time.

Footage of the burning of My Lai, photographs of murdered women and children, and farms burned by napalm, did not leave the younger generation of Western youth indifferent. “Not in my name,” said the students in France, Germany, Britain and the U.S. At mass rallies against the war, draftees burned draft cards, and officers and soldiers returning from Vietnam created a stir with a “Veterans Against War” protest at the White House and by their publicly renouncing military decorations.

Could it be that today’s youth don’t share their sincerity and solidarity — if the videos of neo-Nazis burning the House of Trade Unions in Odessa, photos of civilians shot in Mariupol, and images of Donetsk burning do not cause many of us to have the same reaction as the pictures from Vietnam for the distant 1960s generation?

Really, old people are always grumbling that “youth are not the same,” right?

The war is not thousands of miles away, not in some faraway country. The next war is here. Those being killed are like you — Ukrainians, Russians, Armenians, Jews, Tatars. Perhaps your distant relatives, friends or just familiar people. Although in order to empathize with the death of a person, one does not need to know him or her personally.

Where are the mass student rallies against the war? Which draftees are burning their draft cards?  Where is the blockade of the aviation unit in Mirgorod, which launches warplanes for air strikes on residential areas in the city of Donetsk? Where is the stigma against pilots killing random, innocent people and getting paid 9000 hryvnia ($765) per flight? Even the anti-war protests of Volyn women, who blocked the road yesterday, demanding the return and feeding of the soldiers — their husbands, brothers and sons — only began after the death of military personnel in an ambush. Not because some of them protested against the war in Donbass, which killed other people’s sons and husbands.

Of course, you can find a thousand excuses for why it’s not necessary to keep fighting for Donbass.

You will be called traitors and foreign agents. But the U.S. establishment also condemned American students for marching with the flag of the National Liberation Front of South Vietnam.

You will be told that the leaders of the People’s Republic of Donetsk profess the wrong political views. But students who protested against the Vietnam War did not always or fully share the views of Comrade Ho Chi Minh. Among them were devout Christians or liberals from wealthy families. They felt they had to do the right thing to stop the killings, the murders, occurring in their name.

There are many excuses — it’s not a great difficulty to come up with them. But how will the current generation of young people look into the eyes of their children, regardless of what the country is called after this war? Will they also despise their parents, as a generation of young Germans of the sixties looked at their parents who dutifully accepted Nazi crimes, eagerly buying into Nazi propaganda and joyfully marching to war against the “savage, inferior eastern trash”?

Do you believe that this crazy nightmare is not happening in your name?



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Chi ha effettivamente guadagnato dalla vittoria del Majdan

13 Giugno 2014

di Evgenyj Tsarkov, parlamentare del PC d’Ucraina e segretario regionale di Odessa del PCU

Traduzione di Flavio Pettinari per Marx21.it

La nomina a capo del dell'Amministrazione Presidenziale del multimilionario Boris Lozhkin è l'ennesima conferma che i veri beneficiari del "Maidan" sono gli oligarchi. La logica degli oligarchi suggerisce la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite. Così è successo con il "Majdan". Perdita del territorio, sangue e guerra, aumento dei prezzi dei beni e dei servizi essenziali: questo è stato il tributo per trasferire il potere da una “famiglia” di oligarchi all’altra.

Com’è noto, ai sensi del Decreto Presidenziale № 519/2014, il nuovo capo dell'amministrazione del Presidente è diventato l'ex proprietario della mediaholding UMH Group, e socio in affari del nuovo presidente Poroshenko, Boris Lozhkin, che fa parte del gruppo delle cento persone più ricche d’Ucraina, e la cui fortuna è stimata attorno ai 126,4 milioni di dollari.

Di fatto, come sostenuto dai comunisti, ciò che si è verificato nel paese, la cosiddetta "rivoluzione", è stato principalmente un colpo di stato oligarchico. Avevamo ragione, come in altre occasioni.

L'essenza originaria della protesta degli ucraini scesi sul "Majdan" era combattere il dominio dell’oligarchia sul paese. La lotta contro il fatto che il destino di un intero paese e dei suoi milioni di cittadini fosse nelle mani di alcuni ricchi, ignorando completamente l'opinione della gente. Come risultato, purtroppo, la nostra diagnosi è stata confermata: nel paese c’è stata una banale sostituzione di alcuni oligarchi con altri. La forza della protesta è stata sfruttata per rimuovere Yanukovich, che aveva cercato di diventare il proprietario esclusivo del paese. Oggi, anche il nuovo presidente e il suo capo dell’Amministrazione sono i più evidenti rappresentanti dell'oligarchia.

Per gli oligarchi al potere, è tradizione trattare il popolo come un proprio business, per loro la popolazione è uno dei mezzi per ricevere profitto e su cui far leva per risolvere i problemi del paese. Ecco perché il nuovo governo nelle sue azioni e nelle sue politiche, praticamente non si differenzia da quello precedente.

I cittadini comuni infatti oggi sono sconfitti e "stanno già gustando i frutti del nuovo governo": in tutto il paese si registra l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, dei medicinali e delle tariffe abitative e dei servizi.

Ricordiamo che da inizio anno è stato registrato questo aumento dei prezzi: i prezzi dei prodotti da forno sono aumentati in media del 46%, e il paniere alimentare nel suo complesso del 97%; i medicinali del 127%, il prezzo del gas è aumentato del 52%. Oltre a questo, dal 1° luglio in Ucraina aumenteranno in media del 84% le tariffe per la fornitura dell’acqua, del 105% quelle per le acque di scarico, del 93% le tariffe per il consumo dell’acqua. Allo stesso tempo, vi è una riduzione del 63% delle prestazioni sociali e grivna è svalutata del 53%.

Fonte: Ufficio stampa del PCU, www.kpu.ua



(english / francais / italiano)

Kosovo: scontro sull’"esercito" e crisi di "governo"

1) Consiglio di Sicurezza ONU, è scontro sull’esercito del Kosovo
2) Collapse of Kosovo government leads to early elections
3) L’opposition [du criminel de guerre Haradinaj] se coalise pour chasser [le criminel de guerre] Thaçi et le PDK


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Consiglio di Sicurezza, è scontro sull’esercito del Kosovo


Il dibattito nel Consiglio di Sicurezza relativo alla liceità della formazione di un esercito del Kosovo, tra ostacoli giuridici e conseguenze politiche


Aggiunto da c_perigli il 30/05/2014.

Nella riunione del Consiglio di Sicurezza di martedì scorso – 27 maggio – convocata per analizzare l’ultimo rapporto presentato dal Segretario Generale Ban Ki-Moon relativo alla situazione nei Balcani, buona parte del dibattito si è focalizzato sulla decisione del governo di Pristina di istituire un esercito del Kosovo indipendente, convertendo e ampliando la forza di sicurezza già esistente. Il Consiglio di Sicurezza si è presto ritrovato diviso, come da tempo avviene quando si affronta il rapporto tra Serbia e Kosovo, in due blocchi separati, ciascuno dei quali ha spiegato la propria posizione.

GLI SCHIERAMENTI E LE MOTIVAZIONI - Da un lato difatti, oltre al governo di Belgrado, anche Russia, Cina, Ciad e Argentina  hanno manifestato disappunto per la decisione presa dal governo di Pristina. Hanno infatti ricordato che la base giuridica di ogni decisione relativa al Kosovo e Metochia debba essere conforme a quanto stabilito dal Consiglio di Sicurezza nella Risoluzione 1244  del 1999, emanata subito dopo la fine delle ostilità tra i Paesi Nato e l’allora Repubblica Federale di Jugoslavia. Su tali basi, la creazione di un esercito del Kosovo sarebbe in violazione del diritto internazionale almeno per due motivi: anzitutto, come specificato dal delegato russo, sarebbe in violazione del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della Serbia perché il Consiglio di Sicurezza aveva indicato nella Kfor l’unico corpo militare posto a garanzia della sicurezza della provincia autonoma. In secondo luogo, come riportato dal rappresentante di Belgrado, la creazione di un esercito del Kosovo sarebbe una minaccia alla stabilità della Serbia e dell’intera regione, e minerebbe la credibilità delle Nazioni Unite.

IN DISACCORDO – In perfetto disaccordo con tale posizione si sono schierati invece, oltre al Kosovo, anche Gran Bretagna, Stati Uniti e Australia, che hanno sottolineato anzitutto che la Risoluzione 1244 non pone alcun divieto alla creazione di una forza militare kosovara, specificando poi che è diritto naturale di qualsiasi Stato sovrano quello di poter disporre di una propria forza di difesa.  In particolare, il presidente del Kosovo Atifete Jahjiaga ha affermato che la creazione di un esercito del Kosovo contribuirebbe a rafforzare la sicurezza di tutta la regione balcanica, invitando tutte le comunità etniche a partecipare attivamente al processo di creazione.


IL COMPLICATO DIALOGO TRA SERBIA E KOSOVO – Il percorso di normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo ha conosciuto la svolta con l’accordo del 19 aprile 2013, attraverso il quale Belgrado e Pristina hanno deciso di regolare l’autonomia dei cittadini di etnia serba all’interno del Kosovo.  La soddisfazione delle élite politiche, incrementata anche dal fatto che questo accordo, almeno per la Serbia, è decisivo per proseguire il cammino verso l’Unione Europea,  non ha trovato riscontro tra i cittadini serbi residenti nel nord del Kosovo, scesi in piazza per rigettarne i contenuti e chiedendo, sia l’istituzione di un governo locale, sia un referendum in Serbia sull’accettazione dell’accordo. Anche da parte albanese non sono mancate le manifestazioni di disappunto.  Forti le proteste provenienti dal movimento Vetëvendosje  (Autodeterminazione) – la seconda forza di opposizione nel Parlamento di Pristina – che ha bocciato l’intesa come un sabotaggio del processo di State building del Kosovo, e una resa alle aspirazioni di Belgrado di ottenere un’entità serba all’interno dei confini del Kosovo. L’incomprensione più grande verte però proprio sulla natura dell’accordo. Se per Pristina si è trattato dell’ennesimo dato a favore di una ormai conclamata indipendenza, da Belgrado hanno chiarito sin da subito che l’accordo non influisce in alcun modo sullo status del Kosovo, del quale la Serbia non intende riconoscere l’indipendenza.

LO STATUS GIURIDICO DEL KOSOVO E LE RIPERCUSSIONI POLITICHE – Ed è proprio lo status giuridico del Kosovo, il suo essere o meno uno Stato vero e proprio, la discriminante in base alla quale stabilire la legittimità della creazione di un esercito alle dipendenze di Pristina. Se difatti il Kosovo è uno Stato indipendente a tutti gli effetti, allora predisporre degli strumenti atti a difendere la propria sovranità è indubbiamente un suo diritto. Va però ricordato che, per quanto riguarda il diritto internazionale, la Risoluzione 1244 riconosce sì un’ampia autonoma alla regione, ma impegna gli Stati a rispettare la sovranità e l’integrità territoriale dell’allora Repubblica Federale di Jugoslavia, di cui il Kosovo rimane parte, anche se sotto amministrazione temporanea da parte delle Nazioni Unite. In ultimo, vi sono diversi aspetti politici le cui conseguenze dovranno essere valutate tanto dagli Stati coinvolti quanto dagli Stati terzi: in primis, l’effetto che la scelta di Pristina può avere sui rapporti con Belgrado, ad un anno dalla conclusione dei tanto agognati accordi di normalizzazione. Inoltre, sono da considerare le ripercussioni che le posizioni tenute dagli Stati occidentali potrebbero avere sulla crisi in Ucraina, con cui il caso kosovaro presenta non poche analogie.

Carlo Perigli

@c_perigli


=== 2 ===


Collapse of Kosovo government leads to early elections


By Paul Mitchell 
7 June 2014


Early elections are taking place in Kosovo this Sunday, following the collapse last month of the coalition government of Kosovo Prime Minister Hachim Thaci. Thaci is the leader of the Democratic Party (PDK) and a former Kosovo Liberation Army (KLA) commander.

His government wanted to change the Constitution to transform the Kosovo Security Force (KSF), a home for ex-KLA fighters, into an army and reduce the number of Kosovo Assembly seats reserved for ethnic minorities.

Both proposals were considered threats by deputies belonging to the ethnic Serb minority who boycotted the Assembly debate preventing a quorum being reached. As a result, the Assembly was dissolved with Thaci declaring, “a parliament that cannot launch its own army should not continue.”

In 2010, in the last Assembly elections to the 120 seat Assembly, Thaci’s PDK won 34 seats, the Democratic League of Kosovo (LDK) 27 seats, the Self Determination Movement (LVV) 14 seats, the Alliance for the Future of Kosovo (AAK) 12 seats and the New Kosovo Coalition (AKR) eight seats. Thirteen seats went to Serbian parties and 12 to other minorities (Roma, Ashkali, Bosniak, Turkish and Gorani).

After the election, the PDK formed a minority government with the AKR, created in 2006 by the world’s richest ethnic Albanian, construction magnate Behgjet Pacolli.

Dissatisfaction with the political and economic setup is indicated by voter turnout in the Assembly elections, which has been below 50 percent since 2005. The combined vote for the two main parties—the PDK and LDK—has plummeted from around 80 percent in 2001 to around 50 percent today. This is because they are closely associated in the public’s mind with Kosovo remaining one of the poorest regions in Europe, with unemployment estimated at between 35 and 60 percent and almost 40 percent of people living in poverty. At the same time, a political/criminal network has made a fortune out of the privatisation of public assets, narcotics, human trafficking, corruption and nepotism.

Opinion polls suggest the PDK could struggle to hold onto power, even though Thaci has attempted to overcome criticisms by promising 500 million euros for agricultural reform and the creation of 200,000 new jobs—promises matched by LDK leader Isa Mustafa and the AAK’s Ramush Haradinaj. Commentators point out that it would require an impossible 20 percent growth rate to achieve these levels of employment.

The polls suggest the main beneficiary of Sunday’s election will be Self-Determination (LVV). Founded in 2004 and led by ex-KLA political officer Albin Kurti, the party describes itself as “left nationalist”, has consistently opposed EU/US intervention in Kosovo and called for a referendum of union with Albania. It has not been tarnished in the same way as the PDK and LDK attacking privatisation as “a corruption model, contributing to increasing unemployment, ruining the economy, and halting economic development of the country”. The 12.7 percent vote the LVV gained in the first Assembly elections it took part in 2010 and the ousting of the LDK’s leader Isa Mustafa as mayor of the capital Pristina last year by LVV candidate Shpend Ahmeti have been described as “historic”.

Two major issues have surrounded the election campaign—how to persuade the Serb minority (10 percent of the population) to vote and what to do about former KLA leaders now facing war crimes charges.

Both issues are linked to the Western campaign to dismember the former Republic of Yugoslavia and counter Russian influence in the Balkans—an objective that remains until this day.

During the1998-99 Kosovo conflict, Thaci was inserted at the head of the Kosovo negotiating team at the Rambouillet conference, supplanting Ibrahim Rugova, then leader of the “non-violent” LDK. When the 14-week bombardment of Serbia began the KLA—now delisted as a terrorist organisation by the US—was used as a proxy military force on the ground.

Following the defeat of Serbia and the ousting of President Slobodan Milosevic, UN Security Council resolution 1244 was passed and placed Kosovo under the control of a civilian United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (UNMIK) headed by a Special Representative and a military NATO-led KFOR force.

The resolution was a fudge from the start—removing Kosovo from the practical control of Serbia whilst guaranteeing the sovereignty and territorial integrity of the Yugoslav federation.

There was no mention of Kosovan independence in the resolution but this did not stop the Western powers pushing ahead with the secession of Kosovo. The 2005 plan by former Finnish prime minister Martti Ahtisaari for “conditional independence” of the province supervised by an International Civilian Office was adopted as was recognition of Kosovo’s unilateral declaration of independence in 2008—something which Russia, China, India and most states in Africa and South America still do not accept.

The Western powers continue to dictate what happens in Kosovo with the plans to create a new army included in the Strategic Security Sector Review, the final version of which, according to press reports was “imposed” by the Security Advisory Unit of the International Civilian Office.

Another consequence of the newly-formed western protectorate was the incorporation of many ethnic Serbs, concentrated in the north, who have remained out of the control of the central government. A virtual Serb self-government has operated in the area and protests and outbreaks of violence have occurred whenever Pristina has tried to exert control.

However, with Serbia and Kosovo seeking admission to the EU, NATO and other Western institutions have been increasing pressure on the two countries to “normalise” their relations.

Following the April 2013 EU-mediated Brussels Agreement between the two countries, the majority of Serbian parallel institutions have been dissolved including the police force and judiciary. A soon-to-be created Community of Serbian Municipalities in Kosovo will retain control of economic development, education, health, and planning.

Ministers in Serbia, whilst making the ritual denunciations that they will never recognise Kosovo, encouraged ethnic Serbs to take part in the first local elections in Northern Kosovo in late 2013. However turnout was very low—single figure percentages in some municipalities—and marred by sporadic violence.

To prevent a re-occurrence in the Assembly elections, politicians in Serbia and northern Kosovo have been pleading with ethnic Serbs to vote claiming a high turnout could make them a major political force in the Assembly—especially if they all voted for the single Serb electoral list Citizens’ Initiative Srpska. This is a distinct possibility given there are over 1,200 candidates from 30 political entities, 18 political parties, seven initiatives and four coalitions contesting the 120 seats.

As a condition of Kosovo’s progress toward the EU, the Western powers have also increased pressure for it to set up a Special Court to try KLA leaders accused of war crimes in the Kosovo war. The allegations were the subject of a 2011 report by Council of Europe investigator, Dick Marty, which described how, after the cessation of the Kosovo conflict, the KLA operated a separate network of makeshift detention centres, which were used primarily for the gruesome practice of trafficking in human organs of abducted refugees.

Marty explicitly named Thaci and other PDK leaders and criticised the US, Germany, Britain and others for helping conceal the KLA’s activities and UNMIK and the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia for destroying evidence.

Marty also drew attention to the fact that Washington was able to carve out a permanent military presence in Kosovo as part of its broader geo-political interests with “an Embassy endowed with impressive resources and a military base, Camp Bondsteel, of a scale and significance that clearly transcends regional consideration.”

In April, US Ambassador to Kosovo, Tracey Ann Jacobson, made it clear the demand for a Special Court involved a damage-control exercise. She insisted that “these are individual allegations, not allegations against a group of people, KLA, or against the war in general” and if they were not addressed, they “would inevitably end up in Kosovo being drawn in to a much longer process, possibly with a much broader scope” i.e., an investigation of the role of the US and other Western powers.

Within days, the Assembly, having heard their Master’s Voice and ignored Thaci’s pleas about Kosovo’s “humiliation and injustice”, voted to sacrifice their “war heroes” and create a Special Court.




=== 3 ===


Le Courrier des Balkans

Kosovo : l’opposition se coalise pour chasser Thaçi et le PDK


De notre correspondant à Pristina


Mise en ligne : mercredi 11 juin 2014
La Ligue démocratique du Kosovo (LDK), l’Alliance pour l’avenir du Kosovo (AAK) et l’Initiative pour le Kosovo (Nisma për Kosovën) ont signé mardi un accord pour former le nouveau gouvernement du Kosovo. Le PDK d’Hashim Thaçi, minoritaire mais arrivé en tête des élections de dimanche dénonce une initiative « anticonstitutionnelle ».

Par B.K.


[PHOTO: Ramush Haradinaj, Isa Mustafa et Fatmir Limaj]


Selon l’accord signé par Isa Mustafa (LDK), Ramush Haradinaj (AAK) et Fatmir Limaj (Nisma), le poste de Premier ministre reviendrait à Ramush Haradinaj ; la présidence du Parlement et la présidence de la République à la LDK, tandis que Nisma devrait se contenter d’un poste de vice-Premier ministre. Le mandat de l’actuelle présidente du Kosovo, Atifete Jahjaga, expire en 2016. Selon l’accord, les trois partis partageront les autres postes proportionnellement à leur représentation parlementaire.

Selon les résultats préliminaires, c’est pourtant le Parti démocratique du Kosovo (PDK) qui arrive en tête avec 31,21% des voix. La Ligue démocratique du Kosovo (LDK) se positionne en deuxième position en recueillant 26,13%, puis viennent le mouvement Vetëvendosje, avec 13,61%, l’Alliance pour l’avenir du Kosovo (AAK) avec 9,65% et l’Initiative pour le Kosovo (Nisma për Kosovën), avec 5,36%.

Ce sont néanmoins les formations de l’opposition qui se sont empressées de créer un nouvel axe majoritaire, sous l’impulsion de Vetëvendosje, qui a fait monter la pression sur l’opposition, en appelant tout de suite les autres partis à ne pas s’allier au PDK. Vetëvendosje a néanmoins refuser de rejoindre la coalition, en posant comme conditions « une lutte efficace contre la corruption, l’arrêt des négociations sans conditions avec Belgrade et l’interruption de la privatisation du KEK, des mines Trepça et des PTK ».

« Notre objectif conjoint était de ne pas permettre une nouveau gouvernement de Thaçi. Ce serait une poursuite de l’agonie sur le plan de l’économie, de l’Etat de droit et de l’intégration européenne », a commenté Ramush Haradinaj en promettant une lutte sans compromis contre la corruption.

Le PDK a réagi en estimant que l’action des partis de l’opposition était anti-constitutionnelle et en affirmant qu’il revient au parti arrivé en tête des élections de former le gouvernement. « La volonté des citoyens ne peut pas être modifiée par des accords anti-constitutionnels. Le gouvernement sera dirigé par le PDK ou bien il faudra convoquer des élections anticipées », a affirmé Hajredin Kuçi, vice-président du PDK.

Si jamais Vetëvendosje ! ne se rallie pas à la LDK, le AAK et Nisma, ces derniers dépendront des votes minoritaires. « Nous aurons la majorité parlementaire, au moins avec l’AAK ; et c’est à nous que revient le mandat pour former le gouvernement. Si la présidente Atifete Jahjaga offre en premier à Hashim Thaçi de former le gouvernement, c’est à nous, selon la Constitution, d’avoir la deuxième occasion. Mais s’ils veulent politiser cette question, nous irons aux élections anticipées en coalition et notre victoire est assurée. Il n’y a pas de retour en arrière », a riposté Isa Mustafa.

Alors que les résultats définitifs n’ont pas encore été certifiés par la Commission électorale, le débat politique s’est donc déplacé sur le plan juridique et constitutionnel, tandis que les ambassadeurs occidentaux influents à Pristina ne se sont toujours pas prononcés sur les derniers événements.






(deutsch / english / italiano)

Miliardario e spia USA è presidente dell'Ucraina

1) U.S. blesses fraudulent Ukraine election (WW / Greg Butterfield, 29.5.2014)
2) BOROTBA: Il presidente oligarca: naturale risultato di Euromaidan / President Oligarch — the natural result of Euromaidan
3) Poroshenko e la CIA (Rete Voltaire, 11.6.2014)
4) Wikileaks, Poroshenho fu informatore Usa (ANSA, 30 maggio 2014)
5) Il Cremlino indaga sui rapporti tra Poroshenko e gli USA (ATS, 30 maggio 2014)
6) Poroshenko, l’insider americano a Kiev (Simone Pieranni, 30.5.2014)
7) Germans slam Berlin for supporting Nazi Ukrainians (Voltaire Net, 25 May 2014)
8) Germany: Leading journalists attempt to censor TV program (Peter Schwarz / WSWS, 30 May 2014)
9) Fascist propaganda on the front page of the Frankfurter Allgemeine Zeitung  (Peter Schwarz / WSWS, 4 June 2014)
10) Für Frieden und Freiheit  (GFP, 30.05.2014)


Vedi anche:


Who is Petro Poroshenko

L’Allemagne est-elle impliquée en Ukraine ?

È ufficiale: in Ucraina i nazisti si schierano col presidente
In cambio Poroshenko gli ha promesso armi, aiuti di Stato e una legge che liberalizzerà le armi, «come in America». A oggi i miliziani di Pravy Sektor sono 5.000. 
Franco Fracassi - 9 giugno 2014

The Finnish Model
In the West's hegemonic struggle against Russia, German government advisers are calling for close military ties between Ukraine and the Western war alliance…
GFP 2014/06/05

L'Ucraina è un quadrato della scacchiera del gioco geopolitico
Peter Koenig | globalresearch.ca, 01/06/2014


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http://www.workers.org/articles/2014/05/29/u-s-blesses-fraudulent-ukraine-election/

U.S. blesses fraudulent Ukraine election

By Greg Butterfield on May 29, 2014

May 27 — The U.S.-backed junta of neoliberal politicians, oligarchs and fascists, which came to power in a coup against the elected government of Ukraine, staged presidential elections May 25 in an attempt to legitimize its rule.

Billionaire oligarch Peter Poroshenko, known as the “Chocolate King,” claimed victory with 54 percent of the vote. (CNN, May 27) His closest competitor, Yulia Tymoshenko of the far-right Fatherland party, got 12.9 percent.

Two candidates closely associated with the demands of the resistance movement in southeastern Ukraine — Oleg Tsarev, formerly of the Party of Regions, and Communist Party leader Peter Simonenko – withdrew. Both were subject to assassination attempts and denounced the election as a fraud.

Two reporters from Russia’s LifeNews were abducted, tortured and deported. An Italian journalist and his Russian interpreter were killed.

According to RT, Right Sector fascists armed with knives surrounded the Central Election Commission in Kiev on election day. Journalists trying to enter were subject to their approval.

Earlier, Right Sector leader Dymtro Yarosh had threatened that his forces would “guard” polling stations in eastern Ukraine. (Kyiv Post, May 23)

Nevertheless, U.S. and European election observers – headed by U.S. war criminal Madeleine Albright – rushed to declare the elections “free and fair,” even before the official results were in.

President Obama offered his congratulations via Twitter. Russian President Vladimir Putin, facing provocative military and economic threats from the U.S. and NATO, signaled that he would recognize the election results and negotiate with Poroshenko.

The U.S. and European imperialists hope Poroshenko’s ascension will finally cement their plans to rule Ukraine through an International Monetary Fund austerity program. They want to destroy the resistance movement in the southeast, which has taken an increasingly anti-capitalist direction.

Boycott vs. ‘elections of blood’

While the junta says between 55 and 60 percent of eligible voters participated, three areas claimed by Kiev did not participate at all – the People’s Republics of Donetsk and Lugansk, as well as the Autonomous Republic of Crimea, which has chosen to join the Russian Federation. These three areas contain nearly 20 percent of the total Ukrainian population of 45.6 million.

In other southeastern regions like Kharkov, Odessa and Dnipropetrovsk, many heeded the call to boycott what were described as “the elections of blood.” This refers to the May 2 massacre of 48 people by neo-Nazis in Odessa and the ongoing Ukrainian military assault on Donetsk and Lugansk.

Election watchdog group Opora, cited by the pro-junta Kyiv Post, gave a figure of 45 percent voter participation overall, while exit poll data suggested an even lower turnout. (Global Research, May 25)

In Donetsk city on May 25, hundreds marched to the estate of oligarch Rinat Akhmetov, Ukraine’s richest boss and owner of several mines. Protesters demanded that the new people’s government seize Akhmetov’s mansion and nationalize his properties. Akhmetov had staged a “strike” of his employees against the Donetsk People’s Republic in the run-up to the elections.

Hundreds also rallied in Kharkov, including supporters of the revolutionary socialist organization Union Borotba (Struggle), despite growing attacks on the anti-fascist movement.

Regime escalates violence

Although Poroshenko had promised negotiations, as soon as his victory was announced, the Ukrainian military assault escalated. He boasted, “The anti-terrorist operation … should and will last [only] hours.” (Guardian, May 26)

Kiev immediately launched punishing airstrikes on Donetsk in an attempt to regain control of its airport.

The National Guard – comprised mostly of fascist gang members in uniform – carried out attacks on civilian housing blocks in the cities of Donetsk and Slavyansk using heavy weaponry, and causing many casualties.

Aleksandr Boroday, prime minister of the Donetsk People’s Republic, reported that 50 civilians and 50 antifascist militia members had been killed May 26, as the region braces for more attacks. (RT, May 27)

Donetsk residents are being urged to stock up on supplies and stay indoors if possible. All people’s militia members, health care workers and activists are being mobilized for the defense of the city.

On May 27, workers at several mines in the southeast launched strikes against the junta’s military offensive.

“Miners from the Skochinskogo, Abakumova, Chelyuskintsev and Trudovskaya mines have not been working today,” a representative told RIA Novosti. “People have been standing by the entrances, not wanting to go underground. They are having rallies demanding the suspension of military actions.”



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http://www.senzatregua.it/?p=1139

IL PRESIDENTE OLIGARCA: NATURALE RISULTATO DI EUROMAIDAN


POSTED ON MAG 28, 2014 IN INTERNAZIONALE | 0 COMMENTS
* Traduzione a cura della redazione di Senza Tregua

Comunicato di Union Borotba (Lotta) sulle “elezioni di sangue” in Ucraina
Le cosiddette elezioni, tenute dalla giunta Kiev il 25 Maggio, non si possono considerare giuste o legittime. Le elezioni tenute nel bel mezzo della guerra civile nella parte orientale del paese e del terrore neonazista nel Sud e Centro, non sono state libere.
Lo stesso corso della campagna elettorale è stato senza precedenti con ogni immaginabile violazione delle norme democratiche. I candidati presidenziali sono stati picchiati e non è stata permessa la campagna. Diversi candidati si sono ritirati per protesta contro la farsa.
A Odessa e in altre regioni, sono stati documentati casi di seggi “sorvegliati” da unità ultra-nazionaliste portati da Kiev e dall’Ucraina occidentale. Ciò non può essere definito altro che come una pressione esplicita sugli elettori.
In Crimea e nelle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk, le cosiddette elezioni non si sono svolte. Nelle regioni Odessa e Kharkov, i seggi erano quasi vuoti. Molti di coloro che sono andati a votare hanno annullato il loro voto, scrivendo slogan contro la giunta di Kiev. Tuttavia, la cosiddetta Commissione Elettorale Centrale ha dichiarato una partecipazione del 60%!
Migliaia di persone in diverse città del paese sono scese in strada per protestare contro le “elezioni di sangue”. Tuttavia, i risultati annunciati dalla giunta saranno riconosciuti dell’obbediente Commissione Elettorale Centrale e dagli osservatori Occidentali.
Va notata l’ipocrisia dei cosiddetti campioni delle elezioni giuste. Essi criticano le elezioni viziate nella Federazione Russa e in altri paesi, ma adesso chiudono un occhio alla palese falsificazione e flagrante violazione delle “elezioni” del 25 Maggio. Questo dimostra ancora una volta che il criterio dell’”onestà” per l’opinione pubblica liberal ufficiale non è reale rispetto alle procedure elettorali, ma è leale al regime che tiene le elezioni per l’imperialismo occidentale.
Come previsto, il vincitore dell’”elezione” presidenziale è stato il miliardario Poroshenko. Poroshenko, insieme ad altri miliardari come Igor Kolomoisky e Sergei Taruta, è divenuto la personificazione del trasferimento diretto del potere statale ai grandi capitalisti. Poroshenko è il principale esempio della classe dirigente dell’Ucraina “indipendente” – la parassitaria oligarchia borghese che ha saccheggiato il paese negli ultimi 20 anni.
Il percorso politico di Poroshenko è rivelatore. Alla fine degli anni ’90 era un membro leale dell’allora Presidente Kučma del Partito Social Democratico d’Ucraina (Unito). Poi fu uno dei fondatori del Partito delle Regioni. Poi – un amico e alleato del presidente Viktor Yushchenko. Un leader lobbista per la cosiddetta “integrazione Europea”, Poroshenko è infine diventato uno dei leader e sponsor di Euromaidan.
Non c’è dubbio che Poroshenko continuerà il corso di Turchinov e Yatsenyuk nell’interesse di un sottile strato dell’oligarchia. Poroshenko continuerà la sporca guerra della giunta contro il proprio popolo nel Donbass. Poroshenko continuerà ad attuare le misure antipopolari imposte dal FMI portando il Paese al disastro economico.
Il trasferimento diretto del potere all’oligarchia e il rafforzamento delle tendenze neo-fasciste sono conseguenze dirette di Euromaidan, come Unione Borotba aveva avvertito lo scorso autunno. Solo le persone politicamente molto ingenue potevano aspettarsi un risultato diverso da un movimento guidato da neoliberisti e ultra-nazionalisti, e sponsorizzato dai più grandi capitalisti.
I risultati hanno mostrato una sconfitta devastante per i nazionalisti radicali – e Tyagnybok [leader di Svoboda] e Yarosh [leader di Settore Destro], che insieme hanno raggiunto solo il 2 %. Il terrore contro il popolo, contro la sinistra e le forze democratiche e lo spiegamento di unità combattenti nazionaliste, non hanno promosso la crescita della popolarità delle forze fasciste. Tuttavia, nonostante il loro scarso sostegno pubblico, l’estrema destra rimarrà un elemento importante del sistema politico della dittatura Kiev. Il loro ruolo è la violenta repressione degli oppositori del regime oligarchico. Questo è il ruolo tipico dei movimenti fascisti.
Noi non riconosciamo l’esito di queste pseudo-elezioni ignorate dalla maggioranza. Noi continueremo la campagna di disobbedienza civile contro la giunta di oligarchi e nazionalisti.



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http://borotba.org/president_oligarch_–_the_natural_result_of_euromaidan.html

http://www.workers.org/articles/2014/05/27/president-oligarch-natural-result-euromaidan/

President Oligarch — the natural result of Euromaidan

By Workers World staff on May 27, 2014

Statement of Union Borotba (Struggle) on Ukraine’s “elections of blood”

Following is a report and analysis of the May 25 elections by Union Borotba (Struggle), a revolutionary socialist and anti-fascist organization in Ukraine, translated by Workers World contributing editor Greg Butterfield and available on the Borotba.org website. Oligarch Petro Poroshenko declared himself the landslide winner of the presidential election, getting four times the vote of his nearest rival, Julia Timoshenko.

The so-called elections held by the Kiev junta on May 25, cannot be considered fair or legitimate. Elections held in the midst of civil war in the east of the country and neo-Nazi terror in the south and center were not free.

The very course of the election campaign was unprecedented in its every conceivable violation of democratic norms. Presidential candidates were beaten and not allowed to campaign. Several candidates withdrew in protest against the farce.

In Odessa and other regions, there were documented cases of polling stations being “guarded” by ultranationalist units brought from Kiev and western Ukraine. This cannot be called anything but explicit pressure on the voters.

In Crimea and the Donetsk and Lugansk People’s Republics, the so-called elections were not held. In the Odessa and Kharkov regions, polling stations were almost empty. Many of those who came to vote spoiled their ballots, writing slogans against the Kiev junta. Nevertheless, the so-called Central Election Commission claimed a turnout of 60 percent!

Thousands of people in different cities of the country came out to protest against the “elections of blood.” Nevertheless, the results announced by the junta will be recognized by the obedient Central Electoral Commission and Western observers.

The hypocrisy of the so-called champions of fair elections should be noted. They criticize flawed elections in the Russian Federation and other countries, but now turn a blind eye to the blatant falsification and flagrant violations of the “elections” of May 25.This once again shows that the criterion of “honesty” for official liberal public opinion is not real compliance with election procedures, but the loyalty to Western imperialism of the regime that holds elections.

As expected, the winner of the presidential “election” was billionaire Poroshenko. Poroshenko, along with other billionaires like Igor Kolomoisky and Sergei Taruta, became the personification of the direct transfer of state power to the big capitalists. Poroshenko is a prime example of the ruling class of “independent” Ukraine — the parasitic bourgeois oligarchy that has looted the country for the last 20 years.

Poroshenko’s political path is revealing. In the late 1990s, he was a loyal member of then-President Leonid Kuchma’s Social Democratic Party of Ukraine (united) party. Then he was one of the founders of the Party of Regions. Then — a friend and ally of President Viktor Yushchenko. A leading lobbyist for so-called “European integration,” Poroshenko then became one of the leaders and sponsors of Euromaidan.

There is no doubt that Poroshenko will continue the course of  Alexander Turchinov and Arseny Yatsenyuk in the interests of a narrow layer of the oligarchy. Poroshenko will continue the junta’s dirty war against its own people in the Donbass. Poroshenko will continue to implement the anti-people measures imposed by the International Monetary Fund and lead the country to economic disaster.

The direct transfer of power to the oligarchy and the strengthening of neofascist tendencies are direct consequences of Euromaidan, which Union Borotba warned of last autumn. Only very politically naive people could expect a different result from a movement led by neoliberals and ultranationalists, and sponsored by the biggest capitalists.

The results showed a devastating defeat for the radical nationalists — and Tyagnybok [leader of Svoboda] and Yarosh [leader of Right Sector], who together polled only 2 percent. Terror against the people, against the left and democratic forces, and deployment of nationalist combat units, have not promoted the growth of popularity of the fascist forces. Nevertheless, despite their low public support, the extreme right will remain an important element of the political system of the Kiev dictatorship. Their role is the violent suppression of opponents of the oligarchic regime. This role is typical of fascist-type movements.

We do not recognize the outcome of these pseudo-elections ignored by the majority. We will continue the campaign of civil disobedience against the junta of oligarchs and nationalists.

Violent attacks by neo-Nazi forces drove leaders from Kiev after the February coup. Borotba members then played a leading role in the resistance movement in southeastern Ukraine, especially in the regions of Odessa and Kharkov. Their members were among those killed and injured in the May 2 Odessa massacre. Because of increasing repression, since May 9, Borotba activists throughout the country have been forced to continue their work underground.


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FRANÇAIS  http://www.voltairenet.org/article184193.html
ESPAÑOL  http://www.voltairenet.org/article184200.html
ENGLISH  http://www.voltairenet.org/article184209.html
PORTUGUÊS  http://www.voltairenet.org/article184221.html
DEUTSCH http://www.voltairenet.org/article184234.html


http://www.voltairenet.org/article184247.html

Poroshenko e la CIA

RETE VOLTAIRE  | 11 GIUGNO 2014  

Il presidente dell’Ucraina, Petro Poroshenko, ha ricevuto una delegazione dei servizi segreti atlantisti guidati dal comandante delle operazioni segrete della CIA Frank Archibald.
La delegazione comprendeva l’ex-capo della stazione CIA in Ucraina Jeffrey Raymond Egan e il suo successore Mark Davidson, l’ex-capo della stazione in Turchia Mark Buggy, l’ex-capo dell’intelligence polacca colonnello Andrzej Derlatka, e l’agente della CIA che dirige la compagnia di assicurazione Brower, copertura dell’agenzia, Kevin Duffin.
Le due parti hanno firmato un accordo di cooperazione militare.

Traduzione di Alessandro Lattanzio


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http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2014/05/30/wikileaks-poroshenho-fu-informatore-usa_1c0b9f5c-167e-4b0b-9cd1-fba903c426d8.html

Wikileaks, Poroshenho fu informatore Usa

Cable americani diffusi a Mosca, giudizi e sospetti imbarazzanti

Redazione ANSA
MOSCA 30 maggio 2014 21:32

(ANSA) - MOSCA, 30 MAG - I media russi cominciano a scavare nel passato del neo presidente ucraino Petro Poroshenko, evidenziando i suoi stretti legami con gli Usa e i giudizi non sempre lusinghieri della diplomazia americana. Rovistando nell'archivio di Wikileaks, dove ci sono almeno 350 documenti con il nome dell'oligarca ucraino si scopre che Poroshenko era censito come "informatore" dell'ambasciata americana a Kiev nel 2006. Mentre in un altro cable appare sospettato di corruzione, al pari di Iulia Timoshenko.


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http://www.gdp.ch/notizie/esteri/il-cremlino-indaga-sui-rapporti-tra-poroshenko-e-gli-usa-id27185.html

Il Cremlino indaga sui rapporti tra Poroshenko e gli USA

I media russi ufficiali cominciano a scavare nel passato del neo presidente ucraino Petro Poroshenko, al quale Putin non ha ancora fatto le sue congratulazioni, evidenziando i suoi stretti legami con gli USA.

I media russi ufficiali o filo Cremlino cominciano a scavare nel passato del neo presidente ucraino Petro Poroshenko, al quale Putin non ha ancora fatto le sue congratulazioni, evidenziando i suoi stretti legami con gli Usa e i giudizi non sempre lusinghieri o apparentemente opportunistici della diplomazia americana.

Rossiskaia Gazeta, organo ufficiale del governo, e la tv filo Cremlino Russia Today, hanno rovistato nell'archivio di Wikileaks, dove ci sono almeno 350 documenti con il nome dell'oligarca ucraino. Il quotidiano governativo sottolinea che Poroshenko era un «informatore» dell'ambasciata Usa a Kiev sulla situazione politica interna. In un cable del 2006, l'allora ambasciatore statunitense William Taylor lo definisce il «nostro candidato alla carica di speaker del parlamento». «Non c'è alcun dubbio che Poroshenko abbia già dato prova della propria fedeltà agli interessi di Usa e Ue», commenta il giornale. 

Russia Today dà conto dell'evoluzione della posizione della diplomazia americana verso il magnate tra il 2006 e il 2011: nel 2006, quando Poroshenko era un deputato, l'allora ambasciatore Usa a Kiev John Herbst lo descrive come un «oligarca caduto in disgrazia».  Pochi mesi dopo la numero 2 della missione diplomatica statunitense Sheila Gwalney lo dipinge come «macchiato da credibili accuse di corruzione», dietro le quali c'era, tra gli altri, l'allora premier Iulia Timoshenko.

Nel 2009, l'anno in cui l'oligarca diventa ministro degli Esteri, le descrizioni a stelle e strisce cominciano a cambiare, attribuendogli note personali più favorevoli. L'allora incaricato d'affari ad interim, James Pettit, scrive di lui che è «un imprenditore ricco con ampie connessioni politiche, che auspica una maggiore integrazione europea e relazioni più pragmatiche con la Russia». Il tabloid Komsomolskaya Pravda, anch'esso filo Cremlino, rispolvera invece una vecchia condanna del padre di Poroshenko, Alexiei: 5 anni nel 1986 per malversazione, come direttore di una fabbrica per la riparazione di trattori e macchine agricole nella città moldava di Benderi.

(ATS) (30.05.2014 - 17:05)


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http://ilmanifesto.it/poroshenko-linsider-americano-a-kiev/

Poroshenko, l’insider americano a Kiev

Ucraina, Usa e WikiLeaks. Un cable del 2006 dall'ambasciata di Kiev, descrive Poroshenko come "l'uomo americano in Ucraina"

di  Simone Pieranni, su Il Manifesto del 30.5.2014

Il «re del cioc­co­lato», l’oligarca, il tycoon, l’uomo del com­pro­messo pos­si­bile tra Usa e Rus­sia, il busi­ness­man capace, forse, di nego­ziare per­fino con Putin. Negli ultimi giorni le defi­ni­zioni dedi­cate al neo pre­si­dente ucraino Poro­shenko si sono spre­cate, ma quella più pecisa, netta e rive­la­to­ria, si trova in un cable del 2006, rila­sciato da Wiki­leaks gio­vedì notte.

A scri­vere è l’allora amba­scia­tore ame­ri­cano a Kiev e nella rela­zione Poro­shenko viene defi­nito come «our insi­der in Ukraine». Nel 2006, quindi, Poro­shenko era già con­si­de­rato «l’uomo ame­ri­cano a Kiev». <

Nel cable in que­stione l’oligarca si pone come media­tore tra i pro­ta­go­ni­sti della rivo­lu­zione aran­cione, Tymo­shenko e Yushenko, spen­den­dosi in par­ti­co­lari sulle vicende poli­ti­che dell’allora governo ucraino. Nel 2006, poteva sem­brare piut­to­sto ovvio che un per­so­nag­gio di rilievo come Poro­shenko, non solo busi­ness­man ma anche poli­tico (sarà mini­stro degli esteri tra il 2009 e il 2010 e mini­stro del com­mer­cio nel governo dell’ex pre­si­dente Yanu­ko­vich) diven­tasse un «insi­der» degli Usa per com­pren­dere al meglio la situa­zione poli­tica del paese.

Ana­liz­zare quel cable con il senno di poi, per­mette però di riscon­trare una linea­rità negli eventi. Se ci fer­miamo solo agli ultimi sei mesi delle vicende poli­ti­che ucraine, potremmo met­tere in fila una serie di acca­di­menti che com­por­tano una pre­senza degli Stati uniti nelle dina­mi­che poli­ti­che dell’Ucraina, che non appa­iono certo improv­vi­sate. Nel momento in cui infu­ria la pro­te­sta di Maj­dan, con Yanu­ko­vich pre­sto mol­lato tanto dai suoi quanto da Putin, la neo­con Vic­to­ria Nuland, assi­stente del segre­ta­rio di Stato Kerry, si fa piz­zi­care nel corso di una tele­fo­nata infuo­cata con­tro l’Ue.

Durante la con­ver­sa­zione Nuland spon­so­rizza in modo ener­gico Yatse­niuk, l’uomo con­si­de­rato più vicino — in quella fase — agli ame­ri­cani. Qual­che set­ti­mana più tardi, dopo i cento morti di Maj­dan, la fuga di Yanu­ko­vich e la nego­zia­zione tra lea­der della pro­te­sta e piazza, esce fuori dal cilin­dro Yatse­niuk, nuovo pre­mier ucraino. Primo passo: accordo con il Fmi. Nei cable pre­senti sul data­base di Wiki­leaks, Yatse­niuk com­pare un paio di volte e viene descritto come per­sona «affi­da­bile» dai fun­zio­nari ame­ri­cani. Un gio­vane su cui contare.

Poco dopo la sua nomina, Yatse­niuk lan­cia l’offensiva con­tro le regioni orien­tali; un’azione mili­tare che dovrebbe garan­tire, a can­no­nate, quella pace neces­sa­ria per­ché si pos­sano svol­gere le ele­zioni pre­si­den­ziali. La pace non arriva, le urne invece si aprono nelle regioni occi­den­tali e matu­rano un suc­cesso tanto ampio, quanto pre­vi­sto, pro­prio dell’«insider» Poro­shenko. Due uomini «ame­ri­cani» alla guida di un paese uscito da un con­flitto di piazza e in preda a una guerra civile e al cen­tro di un con­ten­zioso non da poco con la vicina Rus­sia, ovvero la minac­cia di un allar­ga­mento a est della Nato.

Wiki­leaks ha un archi­vio vasto di mate­riale e natu­ral­mente la noti­zia del cablerela­tivo al neo pre­si­dente ucraino non poteva non sol­le­ti­care la curio­sità. Su Poro­shenko si espri­mono anche altri ame­ri­cani, nel corso degli anni. Nel 2006 la numero 2 della mis­sione diplo­ma­tica Usa a Kiev Sheila Gwal­ney, lo dipinge come un uomo «mac­chiato da cre­di­bili accuse di cor­ru­zione», die­tro le quali ci sarebbe stata l’allora pre­mier Tymo­shenko. Ma dal 2009, quando l’oligarca diventa mini­stro degli Esteri, le descri­zioni comin­ciano a cam­biare; Poro­shenko torna ad essere affi­da­bile: è di nuovo l’uomo giu­sto, al posto giusto.


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ITALIANO: http://www.voltairenet.org/article184236.html
FRANÇAIS: http://www.voltairenet.org/article183957.html 
ESPAÑOL: http://www.voltairenet.org/article183959.html 
 فارسى : http://www.voltairenet.org/article183978.html 
РУССКИЙ: http://www.voltairenet.org/article183985.html 
DEUTSCH: http://www.voltairenet.org/article184026.html


http://www.voltairenet.org/article183966.html

Germans slam Berlin for supporting Nazi Ukrainians

VOLTAIRE NETWORK | 25 MAY 2014 

German Foreign Minister Frank-Walter Steinmeier lost his temper at an election rally of the SPD (Social Democratic Party of Germany) on the Alexanderplatz in Berlin.

The Minister was defending his policy in Ukraine when he was interrupted by hecklers for his support for Ukrainian Nazis. He snapped back saying that they were the instigators of war, while the European Union and the social democrats stood for peace.

This is not the first time that the German government is criticized for its backing of Ukrainian extremists against Russia. The three former chancellors Helmut Schmidt, Helmut Kohl and Gerhard Schröder expressed their misgivings and even opposition vis-à-vis this policy. Last week Chancellor Angela Merkel was also booed at a campaign rally by voters chanting "No support for Nazis in Ukraine!".

Former chief of the intelligence service, Steinmeier has played a central role in Germany’s support for the KLA terrorists during the NATO war in Kosovo. This time around, he is credited with being the main architect of German support for Ukrainian Nazis.

Exports from Germany to Russia fell by 16% in January-February 2014.

VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=AX5m5swD-QU


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http://www.wsws.org/en/articles/2014/05/30/germ-m30.html

Germany: Leading journalists attempt to censor TV program


By Peter Schwarz 
30 May 2014


Since February, Germany’s second public television channel, the ZDF, has been broadcasting the political satire show “Die Anstalt” (the German word is used for a TV station as well as for a mental asylum) at regular intervals. Featuring 46-year-old Max Uthoff and 36-year-old Claus von Wagner, a younger generation of comedians has taken over from Urban Priol and Frank-Markus Barwasser, who headed the predecessor “News from the Anstalt”.

The first three editions of “Die Anstalt” were a refreshing antidote to the political coverage provided by the ZDF and other German media outlets. Using satire, the programs took up current issues and brought the public’s attention to themes which normally can only be learned about by carefully researching the Internet or reading the World Socialist Web Site.

Central themes of the programs were the revival of German militarism and the events in Ukraine. German President Gauck, Foreign Minister Steinmeier and Defense Minister von der Leyen, who all called for “an end to military restraint,” were subjected to the same merciless treatment as the lying reports in the German media about the events in Kiev.

The second edition of the program, on March 11, began with a depiction of the “Revolution” in Kiev’s central Maidan square. It was not presented as a “freedom struggle”, but rather as a revolt by forces which were mainly right-wing and on the payroll of vested interests. The fascist Right Sector was ruthlessly exposed, as was the corrupt oligarch Julia Timoshenko, played by comedian Jochen Busse.

The third edition on April 29 then addressed at length the propaganda pumped out by the German media aimed at provoking war with Russia.

One scene featured a chart with the names of five leading German journalists: Stefan Kornelius of the Süddeutsche Zeitung, Josef Joffe and Jochen Bittner from Die Zeit, and Günther Nonnenmacher and Klaus-Dieter Frankenberger of the Frankfurter Allgemeine Zeitung.

In addition, the chart showed the names of 12 transatlantic think tanks—including the Aspen Institute, the Trilateral Commission, the German Council on Foreign Relations and the German Academy for Security Policy—where “military heads, business leaders and politicians discuss foreign policy strategies in a discreet atmosphere,” as Wagner explained.

Lines on the chart traced the connections between the five journalists and the government-related think tanks. The result was a dense network. “Then all of these newspapers function as something like the local editions of the NATO press office,” Uthoff concluded.

The scene was based on material contained in the dissertation “The power over opinion. The influence of elites on key media and alpha journalists” by the media expert Uwe Krüger, and on a strategy paper by the Institute for Science and Policy (Stiftung Wissenschaft und Politik, SWP) on German foreign policy, which has also been commented on by the WSWS. Both papers had appeared in 2013 but were only known to a small circle. “Die Anstalt” has now made them available to a much broader audience.

The wide publicity sparked fierce protests against the media outlets that had been exposed. Uwe Krüger told the online magazine Telepolis: “I suppose that the pressure following a television show with millions of viewers is considerable. There has certainly been a shit storm of online articles, and apparently there were cancellations of subscriptions.”

The affected journalists reacted. They pressured the ZDF to ban similar revelations in the future. They responded to the exposure of their one-sided reporting and their incestuous relationship with the ruling elite by calling for censorship.

Josef Joffe wrote a letter of complaint to the editor of the ZDF, Peter Frey. Joffe evidently anticipated a favorable reaction because Frey is one of the “alpha journalists” exposed by Uwe Krüger. Together with Stefan Kornelius and Klaus-Dieter Frankenberger, Frey sits “on the Advisory Board of the Federal Academy for Security Policy, a think tank affiliated to the Federal Ministry of Defense,” Krüger writes.

Joffe justified his letter of complaint by arguing that the TV program had led “to many protest letters and cancellations of subscriptions”. He wrote that the treatment of the media in “Die Anstalt”—which is, of course, a satirical show!—was “not good journalism” and Krüger’s book was “not good science.” Joffe does not deny his close links to the institutions mentioned, but he does deny that they constitute “lobbies”. It is quite right and natural that many transatlantic organizations demanded “more armament”, he said.

In an interview with the online magazine Telepolis Krüger rejected Joffe’s complaint. He refuted Joffe’s assertion that the media and think tanks represented different points of view. His detailed analysis of the content revealed a broad degree of agreement by different newspapers regarding the following “major questions”: “that security should be defined in a broad sense, that German interests are to defended all over the world, that Germany should become more involved militarily and should maintain its partnership with the US, and that the German government should intensify its efforts to convince the German population on all of these issues.”

Stefan Kornelius defended his close ties to government-related think tanks in the NDR magazine Zapp. “This is my daily bread. I find it strange that I have to justify myself for this”, he said. The message of “Die Anstalt” affected all the newspapers, from Die Zeit to the FAZ and the taz. It posed the question: “Do we retain any legitimacy at all?” He did not want to destroy the forums where he worked as a journalist, Kornelius said.

Joffe’s letter of complaint to the editor of ZDF was evidently intended to put the authors of “Die Anstalt” under pressure—in other words to censor the program. To make this absolutely clear, Joffe also sent a “cease and desist” demand to the ZDF, as did Jochen Bittner.

If the ZDF agrees to such terms it commits itself not to repeat certain claims and to pay a heavy penalty in the event of a violation. Should it not agree to the terms the TV station could face legal action with resultant high legal costs and penalties.

A spokeswoman for the station told Telepolis that the ZDF rejected the cease and desist letter. No information was given to the public about other reactions inside the ZDF. The fourth episode of “Die Anstalt”, however, which was aired on May 27, does not bode well. It was disappointing, with little remaining of its former political freshness and aggressiveness. Uthoff and von Wagner concentrated their fire on the impending football World Cup, the FIFA and its corrupt boss Sepp Blatter—an easy target that does not tread on the toes of the German ruling establishment.



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Fascist propaganda on the front page of the Frankfurter Allgemeine Zeitung

By Peter Schwarz 
4 June 2014

“If one tells a big lie, and repeats it often enough, then people will believe it in the end.” This principle of Joseph Goebbels, the Nazi propaganda minister, today serves many in the German media as a guideline for writing columns opposing the widespread resistance to a revival of German militarism.

Since Berlin and Washington helped a right-wing regime come to power in Ukraine, and thereby provoked a dangerous conflict with Russia, leading German media outlets have not shrunk from any lie in order to justify this policy. They play down the significance of the fascists of Svoboda and the Right Sector, depict the resistance in eastern Ukraine as a Russian conspiracy, and denounce their critics for daring to “understand Putin.”

But that is not enough. In order to undermine the opposition to the “end of military reticence” announced by the German government, they are even prepared to deny the historical crimes of German imperialism.

On Monday, the front page of the Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) carried a comment piece uniting both positions, headlined “One-sided friendship.” It combined hateful attacks on Putin and Russia with a presentation of the Second World War which one usually reads only in Nazi publications.